capitolo 2 la corruzione - diritto.it · La corruzione come reato plurisoggettivo. - 2. ... essendo...

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CAPITOLO II LA CORRUZIONE 1

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CAPITOLO II

LA CORRUZIONE

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1. La corruzione come reato plurisoggettivo. - 2. L’elemento materiale. -

2.1 Il pactum sceleris. - 2.2 La retribuzione. - 3. Differenza tra corruzione

propria ed impropria. - 3.1 Elementi comuni. - 3.2 L’atto contrario ai

doveri d’ufficio. - 4. Beni giuridici tutelati. - 5. La corruzione in atti

giudiziari. - 6. Il momento consumativo. - 7. Le diverse forme del dolo nei

delitti di corruzione. - 8. Istigazione alla corruzione ed ammissibilità del

tentativo.

1. La corruzione come reato plurisoggettivo

La corruzione è disciplinata nelle sue varie forme dagli articoli

318-322 del codice penale. In riferimento alle varie fattispecie si

parla di corruzione propria1, corruzione impropria2, corruzione in

1 L’art. 319 c.p. dispone: “Il p.u. che, per omettere o ritardare o per

aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri d’ufficio, riceve per sé o per un terzo, denaro o altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da due a cinque anni”.

La L. 86/90 ha qui provveduto ad equiparare la corruzione antecedente con la susseguente, oltre che ad eliminare le sanzioni pecuniarie. Inoltre la circostanza aggravante della corruzione propria è stata prevista in una nuova norma (319bis).

2 L’art. 318 c.p. dispone: “Il p.u., che, per compiere un atto del suo ufficio, riceve, per sé o per un terzo, in denaro o altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Se il p.u. riceve la retribuzione per un atto d’ufficio da lui già compiuto, la pena è della reclusione fino ad un anno”.

Il testo è stato modificato dalla L. 86/90, che ha introdotto un minimo di pena per la corruzione impropria antecedente, ed ha eliminato le sanzioni pecuniarie.

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atti giudiziari3. Si distingue inoltre la corruzione antecedente (che

si ha quando la ricezione o la promessa di denaro o altra utilità

avviene prima del compimento dell’atto, contrario o conforme ai

doveri d’ufficio) dalla susseguente (in cui la ricezione o la

promessa avviene quando l’atto è già stato compiuto4).

Soggetti attivi di tali reati possono essere il p.u. o l’incaricato

di pubblico servizio5: per le definizioni di questi soggetti valgono

i rilievi già esposti (cfr. cap. I, par. 1).

Soggetti attivi dei reati di corruzione non sono però solo questi

soggetti pubblici, essendo puniti anche i privati. Infatti alla

condotta di un corrotto (che sarà sempre un p.u. o incaricato di

3 L’art. 319ter dispone: “Se i fatti indicati negli articoli 318 e 319 sono

commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da tre a otto anni.

Se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena è della reclusione da quattro a dodici anni; se deriva l’ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all’ergastolo, la pena è della reclusione da sei a venti anni”.

Tale ipotesi di corruzione, prima della L.86/90, era una circostanza aggravante della corruzione propria: oggi invece è reato autonomo (cfr. cap. II, par. 5).

4 La corruzione impropria susseguente è realizzata solo con la ricezione di denaro o altra utilità, e non anche con la promessa.

5 L’art. 320 c.p. dispone: “Le disposizioni dell’articolo 319 si applicano anche all’incaricato di pubblico servizio; quelle di cui all’articolo 318 si applicano anche alla persona incaricata di un pubblico servizio, qualora rivesta la qualità di pubblico impiegato”. La punibilità del privato corruttore è esclusa in ipotesi di corruzione impropria susseguente, dato che manca il richiamo al secondo comma dell’art. 318 c.p.

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pubblico servizio) corrisponde sempre anche quella di un

corruttore. Ciò è confermato dalla lettera dell’art. 3216 c.p.

Più correttamente, in riferimento ai soggetti attivi, può

distinguersi tra intraneus ed extraneus riferendosi,

rispettivamente, al corrotto e al corruttore. Infatti se il corrotto è

sempre un p.u. (o un incaricato di pubblico servizio) nello

svolgimento delle funzioni, il corruttore non è necessariamente

un privato: ben potendo essere anche lui un p.u., purchè estraneo

all’esercizio della funzione o del servizio oggetto del pactum

sceleris7.

La necessità che convergano le condotte di almeno due

soggetti rende evidente, secondo la dottrina8, la plurisoggettività

del reato (o reato a concorso necessario): si tratta dunque di

illeciti “nei quali una pluralità di agenti è richiesta dalla norma

come elemento costitutivo della fattispecie legale, che pertanto

non può essere realizzata da una sola persona”9.

6 “Le pene stabilite al primo comma dell’art. 318, nell’art. 319,

nell’art. 319bis, nell’art. 319ter e nell’art. 320 in relazione alle suddette ipotesi degli articoli 318 e 319, si applicano anche a chi dà o promette al p.u. o all’incaricato di pubblico servizio il denaro o altra utilità”

7 GROSSO, sub art. 318-322, in AA.VV., I delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A. (coordinato da T. PADOVANI), Torino, 1996, p.176; SEGRETO-DE LUCA, I delitti, cit., p.196.

8 GROSSO, I delitti, cit., p. 174; ANTOLISEI, Manuale, cit., p.314; VENDITTI, Corruzione (delitti di), in Enc. dir., vol. X, Milano, 1961, p.756; FIANDACA-MUSCO, Diritto, cit.,p.214.

In giurisprudenza Cass. 18 luglio 1997, Pennetta, in Guida dir. 1997, p.68; Cass. 14 settembre 1988, Zufolo, in Riv. pen. 1989, p.617; Cass. 16 aprile 1984, Alvati, in Giust. pen. 1985, p.65.

9 MANTOVANI, Diritto, parte generale, cit., p.550.

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Da non condividere un orientamento10 che distingue tra

corruzione attiva (dell’extraneus) e passiva (dell’intraneus),

vedendovi forme autonome di reati. Si sostiene che potrebbe

verificarsi l’ipotesi che uno dei soggetti attivi risponda di

corruzione propria e l’altro di corruzione impropria, se diversa è

la percezione dell’atto come contrario o conforme ai doveri

d’ufficio da parte dei due. Inoltre in caso di concorso di un terzo

(come intermediario del pactum) bisognerebbe stabilire se questi

abbia partecipato alla corruzione dell’intraneus o dell’extraneus.

A tali considerazioni è possibile obiettare una pluralità

argomenti che invece fanno propendere decisamente per la

unitarietà del reato in questione.

Innanzitutto i vari soggetti attivi non rispondono in concorso

tra loro ma in un’unica volta, mentre il terzo risponde di

concorso in corruzione. Infatti il nucleo del reato è rappresentato

dal pactum sceleris11, che reca in sé l’idea della pluralità dei

soggetti attivi: appare difficile ipotizzare un accordo che

contempli un solo soggetto. Insuperabile appare inoltre

l’argomento per cui se le varie fattispecie di corruzione fossero

figure autonome di reato, l’offerta non accettata non sarebbe

punita a titolo di istigazione (come avviene normalmente), ma

10 PAGLIARO, Principi, cit., p.156, il quale arriva ad ipotizzare 24

tipi di incriminazioni possibili per i reati di corruzione (p.152). 11 BENUSSI, Trattato, cit., p.418.

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sarebbe già un reato perfetto12. Tale interpretazione appare in

chiaro contrasto con il dettato normativo e pertanto

inaccettabile13 (cfr. cap. II, par. 8).

2. L’elemento materiale

2.1 Il pactum sceleris

L’elemento caratterizzante i delitti di corruzione è il c.d.

pactum sceleris cioè quell’accordo tra corrotto e corruttore in

base al quale l’atto d’ufficio (o anche quello contrario ai doveri)

è oggetto del mercimonio. Come in un normale contratto alla

prestazione dell’intraneus corrisponde una controprestazione

(denaro o altra utilità) dell’extraneus. Solo che l’oggetto del

mercimonio è qualcosa che non può essere venduto: il

compimento di un atto conforme o meno ai doveri d’ufficio (cfr.

cap II, par.3)14.

12 M.ROMANO, I delitti, cit., p.134. 13 BENUSSI, Trattato, cit., p.417 precisa come si tratti reati

plurisoggettivi bilaterali, cioè di reati in cui vi è una reciprocità nella condotta degli agenti: “all’azione di chi dà, corrisponde necessariamente ed immancabilmente quella di chi riceve: l’una non è concepibile senza l’altra”. Nello stesso senso PANNAIN, I delitti, cit., p.115.

14 Autorevole dottrina ritiene, che il nostro legislatore abbia assunto una concezione germanica della corruzione, e non una romanistica. Mentre la concezione romanistica si incentra sul divieto di accettare qualsiasi dono da parte del p.u. in relazione allo svolgimento delle funzioni, la germanica impone il divieto di compravendita dell’atto

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Sembra ora opportuno vedere da vicino gli elementi del

pactum sceleris.

Per i concetti di dazione e promessa può che rinviarsi a quanto

già detto in tema di concussione (cfr. cap. I, par. 3.3), salvo

alcune precisazioni. Infatti in dottrina15 si ritiene che la promessa

debba essere seria ed individuabile, pur non essendo legata a

forme tassative. Si esclude inoltre che tale promessa debba

intendersi in senso civilistico secondo un’ottica autonomistica dei

concetti penali16: qualunque tipo di impegno che appaia di una

certa serietà pare dunque rilevante17.

Oggetto della dazione o della promessa deve essere denaro o

altra utilità. Anche per tali concetti può rinviarsi a quanto già

detto in tema di concussione (cfr. cap. I, par. 3.3), ribadendo che

anche in riferimento a tali reati si preferisce l’accezione lata del

concetto di utilità18.

d’ufficio. La germanica indica un rapporto tra l’atto e la retribuzione, per cui l’una è data in funzione dell’altra. Coessenziale è la proporzione che lega l’atto e la retribuzione stessa. La corruzione è quindi incentrata su tale rapporto e ciò che è punito è il c.d. pactum sceleris, con cui vuole sottolinearsi la presenza di un rapporto sinallagmatico, che ha ad oggetto il mercimonio di un atto, contrario o conforme ai doveri di ufficio. Cfr. PAGLIARO, Principi, cit., p.149; ANTOLISEI, Manuale, cit., p.314.

15 PAGLIARO, Principi, cit., p.177-178; GROSSO, I delitti, cit., p.178. 16 PANNAIN, I delitti, cit., p.124; GROSSO, I delitti, cit., p.178. 17 Ovviamente la evidente impossibilità di eseguire la promessa fa

versare in ipotesi di reato impossibile ex art. 49, co.2 c.p. In tal senso

GROSSO, I delitti, cit., p.178; SEGRETO-DE LUCA, I delitti, cit., p.300. 18 SEGRETO-DE LUCA, I delitti, cit., p.308; VENDITTI, Corruzione,

cit., p.757.

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2.2 La retribuzione

L’elemento centrale del pactum sceleris è costituito dalla

retribuzione. Il tenore letterale degli artt. 318 e 319 c.p. sembra

sottolineare che le condotte degli agenti devono essere legate da

un rapporto sinallagmatico: l’extraneus retribuisce l’intraneus

affinché questi compia un atto contrario o conforme ai doveri

d’ufficio.

Secondo alcuni19 l’elemento retributivo sarebbe da escludere

nell’ipotesi della corruzione propria. Infatti mentre nell’art. 318

c.p. il rapporto sinallagmatico tra le due condotte è chiarito

dall’inciso “una retribuzione”, l’art. 319 c.p., non riporta tale

dizione. Di più: siccome la corruzione propria è volta a far

compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio appare irrilevante

il carattere retributivo. Ogni prestazione data (o ricevuta) in

relazione al compimento dell’atto contrario ai doveri,

integrerebbe il delitto.

Tale posizione non è condivisibile20.

In realtà l’art. 318 c.p. dispone che integra corruzione solo

“una retribuzione non dovuta” in quanto esistono attività del p.u.

che possono21 (o debbono) essere retribuite dall’extraneus. La

19 PANNAIN, I delitti, cit., p.142. In giurisprudenza Cass. 15 marzo 1996, Panigoni in Cass. pen., p.2892.

20 GROSSO, I delitti, cit., p.184; BENUSSI, Trattato, cit., p.478; FIANDACA-MUSCO, Diritto, cit., p.219.

21 Anche la facoltà di retribuire esclude la configurabilità del reato.

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corruzione impropria è volta a colpire solo la retribuzione di

quegli atti conformi ai doveri d’ufficio la cui vendita è vietata

dall’ordinamento. In tal modo si è voluto escludere la

configurabilità della corruzione impropria in riferimento alle

attività del p.u. retribuibili22. Invece, proprio perchè l’atto

contrario ai doveri non è mai retribuibile, appare inutile riportare

tale dizione23. La differente lettera della norma può spiegarsi in

tal modo, senza però giungere ad escludere il carattere retributivo

nella corruzione propria.

Chiarito che esiste un extraneus che retribuisce un intraneus

per il compimento di un atto conforme o contrario ai doveri di

ufficio, può anche affermarsi che, come ogni prestazione e

controprestazione, anche queste devono essere legate da una

certa proporzione: come dire che non esiste mai vera retribuzione

se non è proporzionata all’opera o al servizio richiesto. Anche

tale punto è condiviso in dottrina24. Ne consegue che una

evidente sproporzione25 tra la prestazione (data o promessa) e la

22 Nello stesso senso PAGLIARO, Principi, cit., p. 183; BENUSSI,

Trattato, cit., p.441. 23 Il carattere indebito della retribuzione dell’atto contrario discende

dalla contrarietà dell’atto ai doveri d’ufficio. Cfr. PAGLIARO, Principi, cit., p. 182.

24 PAGLIARO, Principi, cit., p.174; SEGRETO–DE LUCA, I delitti, cit., p.304. In giurisprudenza Cass. 19 aprile 1996, Cariboni, in Riv. pen. 1997, p.402; “nella struttura del delitto di corruzione (…) fra l’illecito compenso e l’atto amministrativo venduto deve intercorrere un rapporto di sinallagmaticità e quindi una certa proporzione” Cass. 19 novembre 1997, Cunetto, in Riv. pen. 1998, p.712.

25 Cass. 15 marzo 1996, Panigoni in Cass. pen., p.2892.

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e quindi il delitto in esame (mancando la coscienza del carattere

retributivo, e cioè l’aspetto soggettivo).

3. Differenza tra corruzione propria ed impropria

3.1 Elementi comuni

La più importante distinzione tra le varie fattispecie di

corruzione è quella tra corruzione propria ed impropria.

La corruzione propria, si distingue in quanto la dazione o la

promessa assume la forma della retribuzione per il compimento

di un atto che è contrario ai doveri d’ufficio28.

La corruzione impropria si ha quando il pactum sceleris è

finalizzato alla retribuzione di un atto d’ufficio da parte

dell’intraneus.

Prima di vedere quando un atto può definirsi contrario o

conforme ai doveri d’ufficio, pare opportuno sottolineare gli

aspetti comuni delle due forme di corruzione (oltre al già rilevato

elemento materiale).

28 ANTOLISEI, Manuale, cit., p.316.

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L’atto innanzitutto deve essere considerato in un significato

ampio. Quindi la retribuzione può riferirsi tanto ad un atto

amministrativo in senso stretto, quanto ad un atto di diritto

privato posto in essere da una P.A.29, ma anche ad atti di

governo30, o a comportamenti materiali31.

L’atto in questione deve poi rientrare nella competenza

dell’intraneus. Competenza che non deve essere specifica, ma

anche di fatto (cfr. cap. I, par. 3.1): ”Ai fini della sussistenza del

delitto di corruzione, è sufficiente una generica competenza

dell’agente, derivante dalla sua appartenenza all’ufficio

pubblico, quando questa gli consenta in concreto una qualsiasi

ingerenza (o incidenza) illecita nella formazione o

manifestazione della volontà dell’ente pubblico (…). Tale

competenza non va, peraltro necessariamente riferita all’atto

terminale del procedimento amministrativo, assumendo rilievo in

relazione a qualsiasi segmento”32. E’ invece da escludere la

configurabilità dei delitti di corruzione quando l’intraneus

29 SEGRETO-DE LUCA, I delitti, cit., p.313. 30 VENDITTI, Corruzione, cit., p.757; SEGRETO-DE LUCA, I delitti,

cit., p.313. 31 GROSSO, I delitti, cit., p.186; PAGLIARO, Principi, cit. p.184. In

giurisprudenza Cass. 23 aprile 1990, Zampini, in Cass. pen. 1992, p.944. 32 Cass. 8 febbraio 1994, Bonetto, in Riv. pen. 1995, p.230. BENUSSI,

Trattato, cit., p.437. In giurisprudenza nello stesso senso Cass. 7 ottobre 1999, Libardoni, in G. dir. 1999, p.91; Cass. 10 ottobre 2000, Verde, in G. dir. 2000, p.79; Cass. 23 aprile 1990, Zampini, in Cass. pen. 1992, p.944; Cass. 19 novembre 1997, Cunetto, in Riv. pen. 1998, p.712.

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compia un atto in caso di incompetenza assoluta o carenza di

attribuzioni (con atto quindi nullo o inesistente)33. In tal caso

infatti l’intraneus non ha neanche la possibilità di incidere

sull’atto e la sua formazione. Anzi, a ben vedere, non potrebbe

neanche parlarsi di intraneus, mancando il collegamento tra la

posizione dell’intraneus stesso e lo svolgimento delle funzioni34.

Molti35 sostengono che l’atto debba essere almeno

individuabile, in quanto diversamente non potrebbe determinarsi

l’atto come d’ufficio (o contrario ai doveri d’ufficio), e quindi

capire di fronte a che tipo di corruzione ci si trovi, o, addirittura,

capire se ci sia davvero una corruzione (una retribuzione per

adempiere ad un credito privato tra i due soggetti non sarebbe

rilevante ai fini corruttivi, mancando il cd. aspetto soggettivo, cfr.

cap. II, par 2.2).

Alcuni inoltre ritengono che anche l’essere messo a “libro

paga” possa integrare una corruzione, purchè il genus di atti

retribuiti sia individuabile e rientri almeno nella competenza di

33 GROSSO, I delitti, cit., p.190; PAGLIARO, Principi, cit., p.187. In

tal senso anche M.ROMANO che ritiene in tal caso la realizzazione dell’atto impossibile a priori (M.ROMANO, I delitti, cit., p. 165).

34 Potrebbe integrarsi al più il delitto di usurpazione di cui all’art. 347 c.p. (cfr. cap. I, par. 1).

35 BENUSSI, Trattato, cit., p.438; PAGLIARO, Principi, cit., p.186. Anche in giurisprudenza si afferma che deve individuarsi almeno il

genere di atti da compiere cfr. Cass.21 agosto 1998, Zorzi in Cass. pen. 1999, 3128; Cass. 15 novembre 1998, Giovannelli, in Cass. pen. 1999, p.3129;Cass. 19 aprile 1996, Cariboni, in Riv. pen. 1997, p.402.

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fatto dell’intraneus: questi s’impegnerebbe ad attivarsi

all’occorrenza36.

3.2 L’atto contrario ai doveri d’ufficio

Visti i concetti comuni a tutte le ipotesi di corruzione,

dobbiamo ora vedere cosa si intenda per atto contrario ai doveri

d’ufficio, dato che tale contrarietà distingue la corruzione propria

dall’impropria.

Alcuni37 rilevano che è contrario l’atto che non è conforme al

buon uso del potere discrezionale.

Altri ritengono38 che la contrarietà o la conformità dell’atto

debba valutarsi alla stregua dei vizi dell’atto amministrativo: per

cui solo dove l’atto sia illegittimo secondo i tre vizi canonici

dell’atto amministrativo (violazione di legge, eccesso di potere

36 “(…) L’atto o il comportamento amministrativo, oggetto dell’illecito

accordo, se non individuato ab origine deve essere almeno individuabile; va precisato per altro che, poiché la individuazione ben può essere limitata al genere di atti da compiere” Cass. 19 novembre 1997, Cunetto, in Riv. pen. 1998, p.712.

Nello stesso senso Cass. 25 maggio 1996, Squillante, in Cass. pen. 1997, p.3408. Cfr. anche SEGRETO-DE LUCA, I delitti, cit., p. 306.

37 ANTOLISEI, Manuale, cit., p.323. 38 GROSSO, I delitti, cit., p.189; VASSALLI, Corruzione propria e

corruzione impropria, in Giust. pen. 1979, p.305; FIANDACA-MUSCO, Diritto, cit. p.224.

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incompetenza), potrà parlarsi di corruzione propria39. Questa

sembra essere la soluzione preferibile, non essendoci, tra l’altro,

indicazioni normative diverse.

Per quanto riguarda la violazione di legge non sorgono

particolari problemi: basta verificare la conformità dell’atto posto

in essere alla fattispecie legale prevista. Per quanto riguarda

l’incompetenza relativa40 bisogna verificare che l’atto rientri

nelle competenze dell’intraneus: se non vi rientra avremo

corruzione propria ( cfr. cap. I, par. 3.2 ).

Per quanto riguarda l’eccesso di potere, vizio tipico dell’atto

discrezionale, ci sono posizioni discordanti: ad esempio c’è chi

ha sostenuto che l’atto discrezionale si risolve sempre in un atto

contrario41.

39 “La differenza tra le ipotesi criminose previste dagli artt. 318 e 319

c.p. sta nel fatto che nel primo caso (…) si realizza una violazione del principio di correttezza e in qualche modo del dovere di imparzialità del p.u., senza però che la parzialità si trasferisca nell’atto, che resta l’unico possibile per attuare gli interessi esclusivamente pubblici, mentre nel secondo la parzialità si rivela nell’atto, segnandolo di connotazioni privatistiche, perché formato nell’interesse esclusivo del privato corruttore, e rendendolo pertanto illecito e contrario ai doveri d’ufficio”. (Cass. 23 aprile 1990, Zampini, in Cass. pen. 1992, p.944). Conforme Cass. 26 agosto 1997, Egidi, in Riv. pen. 1998, p.618; Cass. 28 settembre 1995, Caliciuri, in Cass. pen. 1996, p.2549.

40 In riferimento alla incompetenza assoluta abbiamo già visto che non può parlarsi proprio di corruzione, cfr. cap. II, par. 3.1, nota 33.

41 Cass. 20 marzo 1968, in Riv. pen. 1969, p.630; Cass, 14 novembre 1968, in Riv. pen. 1969, p.211. Contra Cass. 15 dicembre 1997, Albini, in Giust. pen. 1998, p.625.

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Attualmente, invece, dottrina42 e giurisprudenza43 prevalenti

sostengono che l’atto discrezionale è contrario quando l’uso del

potere di valutazione comparativa degli interessi pubblici da

perseguire è esercitato in modo scorretto: “potrà ravvisarsi la

contrarietà dell’atto ai doveri d’ufficio solo quando, per effetto

del pactum sceleris, v’è stato un inquinamento effettivo nella

valutazione comparativa degli interessi contrapposti”44. Si

sottolinea che la contrarietà ai doveri consisterebbe nel fatto che

l’intraneus si sarebbe determinato e avrebbe posto in essere l’atto

tenendo conto dell’interesse del privato (che lo retribuisce) e non

dell’interesse pubblico.

Pur condividendo tale impostazione, sembra opportuna una

precisazione.

Se è vero che il potere discrezionale è “il potere di apprezzare

in un margine determinato l’opportunità di soluzioni possibili

rispetto alla norma amministrativa da attuare”45 e se quindi è

42 BENUSSI, Trattato, cit. p.482; VASSALLI, voce Corruzione, cit.,

p.334; PAGLIARO, Principi, cit., p.194 e ss. 43 In giurisprudenza Cass 4 febbraio 1998, Gilardino, in Cass. pen.

1998, p.1989; Cass. 6 settembre 1990, Pistoni; Cass. 12 gennaio 1990, Lapini, in Cass. pen. 1992, p.944 secondo cui “anche tramite l’emanazione di atti formalmente regolari può venir meno ai suoi compiti istituzionali, inserendo tali atti in un contesto avente finalità diverse da quella di pubblica utilità.” Quindi “l’asservimento costante della funzione , per denaro, agli interessi privati concreta il reato di cui al 319 c.p. anziché quello di cui al precedente art. 318.”

44 BENUSSI, Trattato, cit. p.482. Nello stesso senso VASSALLI, voce Corruzione, cit. p.334; PAGLIARO, Principi, cit.,p.194 e ss.

45 GIANNINI, Il potere discrezionale della P.A., Milano 1939, p. 171, citato da VASSALLI, voce Corruzione, cit., p. 329.

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anche vero che tale “norma (…) definisce, ovviamente, un fine

specifico della P.A. da realizzarsi secondo quello che è il

pubblico interesse nel caso concreto”46, allora anche il

compimento di un atto discrezionale può integrare una corruzione

impropria. Ben potrebbe verificarsi che un atto discrezionale, per

quanto retribuito, possa, anche solo incidentalmente coincidere

con il migliore interesse pubblico nel caso concreto (essendo, ad

esempio, per l’intraneus indifferente perseguire al meglio anche

gli interessi pubblici). In tal caso, stante il riferimento alle

norme di diritto amministrativo, non potrà parlarsi di corruzione

propria: l’atto compiuto soddisfa al meglio gli interessi pubblici

del caso concreto e l’illiceità non può che consistere nell’indebita

retribuzione, e ciò proprio secondo lo schema della corruzione

impropria47. Infatti l’atto amministrativo, per quanto retribuito,

co

46 VASSALLI, voce Corruzione, cit., p.329. 47 Nello stesso senso ANTOLISEI, Manuale, cit., p.323; RICCIO, voce

Corruzione (delitti di), in Noviss. Dig., vol. IV, Torino, p.902 e ss.; FERRARO, Brevi note in tema di rruzione, in Cass. pen. 1983, p.1966: che sostiene che se ogni generica violazione (di fedeltà, correttezza ecc.) nell’adozione dell’atto, senza accertare un concreto vizio dello stesso, si risolvesse in una contrarietà ai doveri d’ufficio, non si avrebbe mai corruzione impropria .

In giurisprudenza Cass. 13 febbraio 1985, Provini, in Riv. pen. 1996, p.744; Cass. 12 giugno 1997, Albini, in Giust. pen. 1998, p.625; Cass. 26 marzo 1993, in Mass. dec. pen. 1993; Cass. 13 febbraio 1985, Miriello, in Riv. pen. 1986, p.314. “Non integra reato di corruzione propria la condotta del p.u. che si esaurisce in informazioni accessibili alla generalità degli interessati, che proprio perché consoni alla linea e agli orientamenti presenti e futuri dell’azione programmata della P.A. non possono essere ritenuti in contrasto con i doveri d’ufficio che incombono

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non potrebbe annullarsi e sarebbe assolutamente legittimo:

“errore, violenza e dolo non rilevano di per sé come vizi, bensì

in quanto influenti sull’illegittimità del provvedimento”48.

L’atto amministrativo così delineato può quindi considerarsi

un elemento della fattispecie penale49: l’elemento di discrimine

tra la forma di corruzione propria e quella impropria.

L’art. 319 c.p. dispone che integrano corruzione propria anche

l’omissione e il ritardo dell’atto d’ufficio. Per quanto riguarda

eventuali problemi di rapporti tra l’art. 319 c.p. e l’art. 328 c.p.,

sembra potersi affermare il collegamento di causa ed effetto tra la

retribuzione e il non compimento dell’atto (o anche solo il suo

compimento oltre i termini entro cui dovrebbe essere compiuto)

realizza lo schema della corruzione propria50. Pare quindi

difficile ipotizzare un concorso tra i due reati51.

I

sui pubblici funzionari” (Cass. 19 settembre 1997, Paolucci, in Cass. pen. 1998, p.1981)

48 GALATERIA-STIPO, Manuale, cit., p.372. 49 Come tale pare potersi ammettere una valutazione in sede penale e

a soli fini penali della legittimità dell’atto, ai sensi dell’art. 2 del c.p.p. recita “Il giudice penale risolve ogni questione da cui dipende la decisione (…). La decisione del giudice penale che risolve incidentalmente una questione civile, amministrativa o penale non ha efficacia vincolante in nessun altro processo”. Nello stesso senso VASSALLI, voce Corruzione, cit., p.330; PETRONE, La nuova disciplina degli agenti pubblici contro la P.A.: dalle prospettive di riforma alla L.86/90, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1993, p.922.

50 GROSSO, delitti, cit., p.188-189. 51 Cass. 28 maggio 1985, Casati, in Riv. pen. 1986, p 314; Cass. 18

dicembre 1979, Sancassano, in Cass. pen. 1981, p. 514.

18

In conclusione il discrimine tra le due forme di corruzione in

esame si risolve nella valutazione circa la legittimità52 dell’atto

compiuto o da compiere.

4. I beni giuridici tutelati

La discussione sull’oggetto giuridico dei delitti di corruzione è

sempre stata caratterizzata da una notevole vivacità, per via della

molteplicità e della diversità di opinioni.

In passato, beni tutelati erano stati ritenuti il prestigio53 della

P.A., oppure la fedeltà54 o la probità dei pubblici funzionari55.

Tali beni sono ormai considerati come insufficienti a fondare una

proficua categoria di tutela penale per la loro eccessiva

genericità56.

52 E’ tale l’atto che è contrario a “leggi, regolamenti, istruzioni o

ordini legittimamente impartiti” M.ROMANO, I delitti, cit., p.182. 53 ANTOLISEI, Manuale, cit., p.320, limitatamente all’ipotesi di

corruzione impropria. VENDITTI, voce Corruzione, cit., 754; PANNAIN, I delitti, cit., p.114. In giurisprudenza Cass. 4 maggio 1990, in Riv. pen. 1991, p.534.

54 ANTOLISEI, Manuale, cit., p.323 nell’ipotesi ci corruzione propria. MAGGIORE, Diritto penale, Bologna, 1950, p.154.

55 MANZINI, Trattato di diritto penale, vol. V, Torino, 1981, p.212 e ss.

56 SEGRETO-DE LUCA, I delitti, cit., p.274; FIANDACA-MUSCO, Diritto, cit., p.217; PAGLIARO, Principi, cit., p.145.

19

Altri57 individuano il nucleo centrale della corruzione nel

mercimonio, nella compravendita privata di atti (conformi o

contrari ai doveri) d’ufficio. L’interesse primario sarebbe il

dovere di non venalità delle funzioni pubbliche, e, solo in via

mediata, verrebbero in rilievo altri beni, come il buon andamento,

il prestigio o l’imparzialità della P.A. E’ stato obiettato che tale

tesi confonde la condotta vietata con il bene58. Tanto la tesi,

quanto l’obiezione colgono nel segno: non può certo confondersi

il bene giuridico che vuol proteggersi con la condotta punita, ma

è anche vero che nucleo centrale dei delitti in questione è

rappresentato da una compravendita dell’atto.

Altra dottrina59 preferisce individuare i beni giuridici nel buon

andamento e nell’imparzialità della P.A. ex art. 97 Cost. (cfr. cap.

I, par. 2). Mentre la corruzione impropria lederebbe solo

l’interesse a che la P.A. operi in maniera imparziale60, la

corruzione propria, oltre ad alterare la par condicio civium,

impedirebbe lo svolgimento della funzione pubblica secondo le

regole di buon andamento (di efficienza, correttezza ecc.).

57 PAGLIARO, Principi, cit., p.150; GROSSO, Delitti, cit., p.222-223. 58 FIANDACA-MUSCO, Delitti, cit., p.221. 59 FIANDACA-MUSCO, Diritto, cit., p.221. BENUSSI, Trattato, cit.,

p.463. In giurisprudenza Cass. 24 maggio 1990, Lapini, in Cass. pen. 1992, p.944; Cass. 14 aprile 1997, Necci, in Riv. pen. 1997, p.576.

60 BENUSSI, Trattato, cit., p.429; FIANDACA-MUSCO, Diritto, cit., p.227. In giurisprudenza Cass. 17 dicembre 1996, Malossini, in Riv. pen. 1997, p.31; Cass. 13 febbraio 1995, Provini, in Cass. pen. 1995, p.2129.

20

Un’altra teoria61, sulla falsariga della precedente, sostiene che

dall’art. 97 della Costituzione possono desumersi tre valori-

cardine62:

1. l’interesse alla legale distribuzione delle funzioni pubbliche

e al suo legale esercizio e, quindi, a che tali funzioni non

siano svolte arbitrariamente;

2. l’interesse al buon andamento della P.A., nel senso già

ampiamente visto nel capitolo precedente (cap. I, par. 2);

3. l’interesse all’imparzialità della P.A.: che cioè assuma una

posizione di equidistanza rispetto agli interessi dei privati

nell’esercizio della funzione assegnata.

Si sostiene quindi che la corruzione propria verrebbe a ledere

tutti e tre gli interessi in questione, stante la contrarietà dell’atto,

ai doveri d’ufficio. La corruzione impropria, invece,

caratterizzandosi per la conformità dell’atto ai doveri, verrebbe a

ledere solo l’interesse alla tutela dell’imparzialità, in quanto

l’intraneus opererebbe cercando di favorire l’extraneus corruttore

rispetto a tutti gli altri, ma non altererebbe la legale distribuzione

61 VASSALLI, Corruzione, cit., p.326 e ss.; MIRRI, Corruzione

propria e corruzione impropria tra costituzione e politica legislativa, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1980, p.436 e ss.; SEGRETO-DE LUCA, I delitti, cit., p.276 e ss. In giurisprudenza Cass. 25 agosto 1991, Ligresti, in Cass. pen. 1993, p.820; Cass. 17 novembre 1994, Provini, in Cass. pen. 1995, p.2129.

62 MIRRI, voce Corruzione, in Enc. giur., vol. IX, 1991, p.4 e ss.; SEGRETO-DE LUCA, I delitti, cit., p. 350.

21

risposto a quei criteri di efficienza, economicità, rendimento, in

sostanza di legalità e, in ultimo, di giustizia a cui la funzione

pubblica deve ispirarsi e deve realizzare attraverso la sua stessa

attività64? Sembra di no. Eppure l’art. 318 c.p. sembra descrivere

proprio l’ipotesi di una retribuzione indebita di un atto65 a cui

l’extraneus avrebbe avuto comunque diritto, in quanto conforme

a leggi, regolamenti ecc.

In sostanza l’atto parziale si rivela sempre e comunque anche

lesivo degli altri due valori-cardine suindicati. L’atto imparziale,

indicato nell’art. 318 c.p., invece non sembra essere lesivo di

nessuno dei tre valori-cardine indicati.

Seguendo tale ricostruzione sembra perso di vista il bene

giuridico immediato, ma anche quello mediato. E allora non

64 Ad esempio, nell’ipotesi che l’impiegato delle poste acconsenta (retribuito) a che il pensionato Tizio ritiri la sua pensione prima del pensionato Caio, pur quest’ultimo precedendolo nella fila allo sportello, potrà dirsi che l’impiegato abbia realizzato la funzione pubblica affidatagli nella maniera più adeguata? Sarà possibile individuare una norma (primaria, secondaria, anche consuetudinaria) che legittimi tale comportamento? E certo, pare ovvio, ritirare la propria pensione a fine mese, non può qualificarsi come atto illegale! Viceversa, può dirsi la condotta di Tizio che retribuisca l’impiegato per ritirarla al suo turno lesiva della par condicio civium, o non conforme alle regole di buon andamento della P.A.?

65 Cass. 23 aprile 1990, Zampini, in Cass. pen. 1992, p.944: “Ed invero l’interesse tutelato dalla disposizione in esame non è tanto quello dell’imparzialità della P.A., dato che l’atto da compiere è conforme ai criteri di sana e corretta amministrazione, nel senso che gli atti - legittimi, corretti e dovuti - non possono essere oggetto di un privato baratto tra il privato e la P.A., ma debbono essere compiuti in una posizione di sostanziale e totale estraneità rispetto ad interessi di

23

potrebbe dirsi che ciò che il legislatore vuole evitare è la

creazione di situazioni prodromiche alla realizzazione di

comportamenti, questi si, lesivi di beni quali l’imparzialità, il

buon andamento e la legale distribuzione della funzioni?

Il rilievo di fondo è che l’intraneus che accetta retribuzioni

indebite per compiere atti comunque dovuti, non potrebbe

“facilmente” accettare retribuzioni anche per atti non

consentiti66? Il legislatore non potrebbe aver voluto anticipare la

soglia di punibilità per tale motivo67?

Tra l’altro tale ricostruzione sarebbe anche coerente con la

non punibilità dell’extraneus nella corruzione impropria

susseguente68: vuole evitarsi che solo l’intraneus “cada in

tentazione”.

privati, al di fuori di influenze diverse da quelle dettate dagli interessi generali dello Stato”.

66 Può anche amaramente osservarsi con VASSALLI (VASSALLI, voce Corruzione, cit., p.327) che una diffusione di tale pratica non farebbe che rendere addirittura migliore lo svolgimento della funzione pubblica, rendendo i vari p.u. ancor più “rispettosi“ delle regole!

67 Non dimentichiamoci che il legislatore è quello del ’30, un legislatore fascista, per il quale incriminazioni del genere erano coerenti con una certa visione tanto della società, quanto del diritto penale, quale diritto anche della prevenzione, e che le varie riforme non hanno toccato sostanzialmente tale punto.

68 Mentre rimane incriminato l’intraneus, eppure l’atto conforme già compiuto che bene ha leso? Nell’esempio di cui alla nota 64 gli interessi di uno sono stati preferiti a quelli di un altro? L’incriminazione, in questa ricostruzione avrebbe un maggior senso.

24

A ben vedere questa non sembra essere altro che la ratio della

norma69 e gran parte della dottrina70 ammette l’esistenza di reati

che rispondono solo ad una ratio di tutela. La corruzione propria

si pone a tutela dei beni suindicati: nella forma del solo pericolo

in ipotesi di corruzione antedecente, nella forma di un’effettiva

lesione in ipotesi di corruzione susseguente.

69 BENUSSI, Trattato, cit., p.429; FIANDACA-MUSCO, Diritto, cit.,

p.226, nel senso che lo scopo della norma è che la venalità toglie dignità e prestigio alla P.A.

Cfr. anche la posizione di MIRRI, Corruzione propria, cit., p.443-444, la quale sostiene che una ricostruzione del genere sia condivisibile limitatamente alla fattispecie di corruzione impropria susseguente, ma auspica anche una depenalizzazione del delitto in quanto una sanzione amministrativa (sospensione dalla qualifica di p.u., sanzioni disciplinari, divieto di contrarre con la P.A.) sarebbe più adeguata alle esigenze preventive.

70 DONINI sostiene che, ferma restando la priorità che il concetto di bene giuridico deve avere nella ricostruzione del reato, spesse volte il bene-scopo, la ratio di tutela può meglio spiegare certe incriminazioni rimanendo sullo sfondo gli “interessi finali potenzialmente e realisticamente offendibili dai fatti tipizzati” (DONINI, Teoria del reato, Padova, 1982, p.153 e ss.). NUVOLONE, Il sistema del diritto penale, Padova, 1982, p.241 e ss., parla di reati ostativi, ma comunque nello stesso senso di DONINI.

Nello stesso senso MANTOVANI, Diritto, cit., p.236; FIANDACA-MUSCO, Diritto, parte generale, cit., p.152; MANZINI, Trattato di diritto penale, vol. I, Torino, 1981, p.686. DOLCINI-MARINUCCI, Corso di diritto penale, Milano, 2001, p.593-600 e ss., invece parlano di reati di pericolo indiretto nei quali, anche se in forma anticipata, è comunque incriminato il pericolo del realizzarsi dell’offesa.

25

5. La corruzione in atti giudiziari

L'art. 319ter. c.p. (introdotto con la L. 86/1990) stabilisce che

il p.u.71 che si fa corrompere per favorire o danneggiare una parte

in un processo civile, penale o amministrativo è punito con la

reclusione da tre a otto anni72.

In tal modo il legislatore ha voluto trasformare in titolo

autonomo di reato73, ciò che precedentemente era qualificata

come circostanza aggravante della corruzione propria. Si è così

voluto sottrarre al giudizio di equivalenza la corruzione in atti

giudiziari: precedentemente il favorire o il danneggiare una parte

in un processo poteva rimanere assorbito da una qualsiasi

attenuante (anche generica).

r

71 L’incaricato di pubblico servizio non può essere soggetto attivo di questo reato in quanto l’art. 320 c.p. non richiama l’art. 319ter c.p.

72 Alla stessa pena soggiace anche il corruttore, dato il richiamo contenuto nell’art. 321 c.p., dell’art 319ter c.p..

73 “L’art. 319ter c.p. configura un reato autonomo e non una circostanza aggravante ad effetto speciale (…). Quanto sopra si ricava dalla circostanza che il legislatore nel citato art. 319ter ha attribuito alla ipotesi criminosa configurata un proprio titolo di reato nonché dalla considerazione che nel capoverso del suddetto articolo sono previste altre specifiche ipotesi con indicazione di autonome pene. Se dette ipotesi dovessero ritenersi figure autonome di reato, a maggior ragione ciò varrebbe per l’ipotesi base di cui al comma 1; se invece dovessero essere ritenute aggravanti di tali ipotesi, ne conseguirebbe ugualmente l’impossibilità di configurare quest’ultima come aggravante, non essendo ipotizzabile l’aggravante di un aggravante” Cass. 30 ottobre 1995, Perrone, in Cass. pen. 1996, p.3654. Nello stesso senso PAGLIARO, Principi, cit., p.204; BENUSSI, T attato, cit., p.508. Contra ANTOLISEI, Manuale, cit., p.326.

26

L’autonomo titolo di reato pare giustificato anche dalla

diversità di beni giuridici che la nuova norma intende tutelare,

(nonché dal maggiore disvalore del delitto): la correttezza

dell’esercizio della funzione giudiziaria lesa da questo fenomeno

corruttivo al pari dei beni buon andamento e imparzialità, comuni

anche alle altre forme di corruzione74.

La struttura del reato non è tipizzata in maniera autonoma, ma

mediante un rinvio alle condotte descritte agli artt. 318 e 319 c.p.

Per cui la condotta del delitto consiste in fatti di corruzione

propria o impropria volti a favorire o danneggiare un parte in un

processo.

La parte deve essere intesa in senso processuale75.

Già l’accordo tra extraneus ed intraneus consuma il delitto non

essendo necessario il verificarsi dell’obiettivo. Sembra però

corretto il rilievo di chi ritiene configurabile il 319ter c.p. solo in

riferimento alla corruzione propria. Infatti se il danno o il

vantaggio deve essere ingiusto, pare davvero difficile che il p.u.

possa compiere un atto conforme e, nello stesso tempo, favorire o

74 BENUSSI, Trattato, cit., p.510. 75 Nel processo civile e in quello amministrativo è parte “colui che

propone una domanda o colui nei confronti del quale la domanda è proposta. Nel processo penale devono intendersi come parti coloro che rivestono la qualità di imputato, di parte civile, di indagato, di persona offesa del reato, di responsabile civile di obbligato civilmente e di pubblico ministero” PAGLIARO, Principi, cit., p.206. Nello stesso senso Cass. 11 giugno 1998, Necci, in Cass. pen. 1999, p.3128.

27

danneggiare ingiustamente76. L’avverbio ingiustamente pare

delineare una condotta in cui l’accordo deve essere finalizzato

alla realizzazione di una situazione (di vantaggio o di danno77)

non giustificata dall’ordinamento giuridico. Il compimento dell’

atto d’ufficio è invece la concretizzazione corretta dell’

ordinamento: una concretizzazione scorretta pare realizzabile

solo con un atto contrario ai doveri d’ufficio78.

76 MIRRI, voce Corruzione, cit., p.10; GROSSO, I delitti, cit., p.296.

Contra BENUSSI, Trattato, cit., p.513. 77 L’ingiustizia del danno o del vantaggio è da riferirsi alla posizione

sostanziale e non processuale delle parti. Cfr. BENUSSI, Trattato, cit., p.514; PAGLIARO, Principi, cit., p.206.

78 Due sono le circostanze aggravanti previste dall’art. 319ter , co.2 c.p.: sono le ipotesi in cui dalla corruzione in atti giudiziari derivi l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione, rispettivamente, non inferiore a 5 anni oppure superiore a 5 anni (o all’ergastolo). Tali circostanze sono previste come un evento ulteriore, più grave rispetto all'evento base corruttivo, pertanto rientrano nella categoria dei reati aggravati dall’evento (si ritiene che in tali reati l’evento ulteriore deve essere almeno prevedibile da parte del reo, per il rispetto del principio di colpevolezza).

Per ingiusta condanna deve intendersi sia la condanna del colpevole ad un trattamento più severo rispetto a quello che si sarebbe dovuto infliggere, sia la condanna dell’innocente. Tale ricostruzione dell’art. 319ter, co.2 è condivisa in dottrina: PAGLIARO, Principi, cit., p.218; BENUSSI, Trattato, cit., p.516.

28

6. Il momento consumativo

Come abbiamo già visto, il nucleo centrale dei delitti di

corruzione può ravvisarsi nell’accordo tra le parti o, più

precisamente, nell’accettazione da parte dell’intraneus,

alternativamente, di una dazione o di una promessa di denaro o

altra utilità. Il delitto quindi si consuma nel momento e nel luogo

in cui si raggiunge l’accordo o meglio, allorquando, la promessa

o la dazione sia accettata dal p.u. L’effettivo compimento

dell’atto per cui ci si accorda appare superfluo, almeno nella

corruzione antecedente79.

La dottrina80 individua il momento consumativo nella dazione

o nella promessa, mentre nell’ipotesi di promessa non ancora

eseguita parte della dottrina81 e della giurisprudenza82 ritengono

79 BENUSSI, Trattato, cit., p.490; M.ROMANO, I delitti, cit., p.137;

In giurisprudenza Cass. 14 aprile 1997, Necci, in Riv. pen. 1997, p.576; Cass. 26 marzo 1993, Riso, in Riv. pen. 1995, p.292; Cass. 16 giugno 1982, Albertini, in Cass. pen. 1983, p.1966 secondo cui “poiché il compimento dell’atto da parte del p.u. non ha rilievo al fine di determinare il momento consumativo (…), se pertanto la promessa e la retribuzione è unitaria, anche se in funzione di una pluralità di atti, non si avrà una pluralità di reati, ma un unico reato”.

80 GROSSO, I delitti, cit. p.221; SEGRETO-DE LUCA, I delitti, cit. p.321; ANTOLISEI, Manuale, cit., p.322.

81 GROSSO, I delitti, cit., p.221; PAGLIARO, Principi, cit., p.220-221 secondo cui si tratterebbe addirittura di reato eventualmente permanente (per la critica a tale categoria cfr. cap. I, par. 4).

82 “Il delitto di corruzione è configurato quale reato di evento caratterizzato dalla particolarità di perfezionarsi alternativamente o con l’accettazione della promessa o con il ricevimento dell’utilità promessa. Ne consegue che quando entrambi gli eventi si realizzano,

29

che il momento consumativo sarebbe spostato in avanti:

l’effettiva dazione consumerebbe il reato, in quanto ci sarebbe un

approfondimento dell’offesa secondo lo schema del reato

progressivo83.

Questa conclusione non è persuasiva. Le norme descritte

vanno considerate sotto un profilo unitario. Inoltre la condotta

sembra avere un unico elemento centrale: il pactum sceleris84.

Casomai potranno aversi più condotte, distinte tra loro, ma

capaci di integrare lo stesso reato, “trattandosi di semplici

modalità di previsione di un unico tipo di reato”85 (infatti il

delitto in esame prevede modalità alternative di realizzazione).

La promessa già consuma il reato, e la successiva dazione può

considerarsi un post factum non punibile, in quanto tutto il

l’adempimento della promessa non degrada a post factum irrilevante perché in questo caso il reato, realizzandosi lo schema principale della dazione della correlata accettazione del denaro o dell’utilità da parte del p.u., si consuma nel momento della percezione effettiva del compenso” Cass. 13 marzo 1998, Grimaldi, in Riv pen. 1998, p.582. Cass. 28 gennaio 1999, Maraffi, in Riv. pen. 1999, p.1015; Cass. 18 dicembre 1998, Ferlin, in G. dir. 1999, p.92; Cass. 17 dicembre 1996, in Riv. pen. 1997, p.31; Cass. 19 aprile 1996, Cariboni, in Riv. pen. 1997, p.402.

83 Recentemente si è addirittura sostenuto che l’art. 319 contiene due distinti precetti normativi: la promessa o la ricezione del compenso. Tali fattispecie non potrebbero assorbirsi l’una nell’altra, sostanziandosi in due fattispecie autonome di pari gravità, le quali al massimo possono essere legate dal vincolo di continuazione, (in caso si verifichino entrambe). Insomma l’art. 319 sarebbe una disposizione a più norme. Cass. 12 novembre 1996, Rapisarda, in Cass. pen 1998, p.73

84 MARRA, Corruzione: norma a più fattispecie o disposizione di legge con più norme?, in Cass. pen. 1998, p.84.

85 MANTOVANI, Diritto, cit., p.467

30

disvalore è già assorbito nella prima condotta. La promessa già

realizza l’accordo che è poi il nucleo centrale dell’

incriminazione86 (cfr. cap. I, par. 4). Tra l’altro il reato

progressivo prevede un crescendo di lesione nei confronti del

bene tutelato87: “la materiale dazione di somme di denaro può

costituire un semplice momento satisfattivo (esecutivo) della

complessiva vicenda”88 (quindi dell’effettivo momento lesivo).

Le conclusioni qui raggiunte, con particolare riferimento alla

corruzione propria, possono ritenersi valide anche per la

corruzione impropria, descrivendo l’art. 318 c.p. dal punto di

vista della consumazione ipotesi del tutto simili.

r

86 SEGRETO-DE LUCA, I delitti, cit., p.323-324; BENUSSI, Trattato, cit., p.487-488; PANNAIN, I delitti, cit., p.145; RAMPIONI, Momento consumativo del delitto di corruzione ed escamotages giurisprudenziali in tema di decorso del termine di presc izione, in Cass. pen. 1996, p.2556.

In giurisprudenza Cass. 7 dicembre 1989, Lombardi, in Riv. pen. 1990, p.877 ; Cass. 3 ottobre 1996, Bevilacqua; Cass 2 luglio 1994, Caputo, in Cass. pen. 1995, p.3340; Cass. 27 aprile 1984, De Rosa, in Giust. pen. 1995.

87 Il reato progressivo “visto sotto il profilo del divenire dell’attività criminosa si presenta (…), da un minus ad un maius” (MANTOVANI, Diritto, cit., p.487).

88 Cass. 25 maggio 1996, Squillante, in Cass. pen. 1997, p.3408

31

7. Le diverse forme del dolo nei delitti di

corruzione

L’esame del dolo nelle varie fattispecie di corruzione si basa

sulla già riportata distinzione tra corruzione antecedente e

susseguente89 (cfr. cap. II, par. 1). La prima si verifica nell’

ipotesi in cui il pactum sceleris (anche nella forma della sola

promessa) preceda l’atto (contrario o conforme ai doveri) da

compiere. La seconda invece si verifica nell’ipotesi in cui il

pactum si verifichi dopo il compimento dell’atto stesso90. Il reato

si consuma in entrambe le forme (antecedente e susseguente)

solo al momento dell’accettazione della promessa o della

dazione.

Si può constatare che nell’antecedente sia irrilevante che l’atto

venga davvero compiuto, dato che il reato è già consumato. Nella

susseguente, invece, è esiziale che l’atto sia stato compiuto: anzi

l’avvenuto compimento dell’atto è elemento della fattispecie,

anche se solo l’accordo consuma il reato.

89 SEGRETO-DE LUCA, I delitti, cit. p.284; ANTOLISEI, Manuale,

cit., p.316. 90 La corruzione impropria antecedente si distingue dalla

susseguente anche per il carico sanzionatorio (da sei mesi a tre la prima, fino ad un anno la seconda), per la esclusione della punibilità del privato (nella susseguente ex art. 321 c.p.), e che per l’impossibilità di concludere l’accordo con la sola promessa.

32

La differenza in esame rileva anche dal punto di vista

soggettivo. Infatti la dottrina91 ritiene che le ipotesi di corruzione

antecedente siano fattispecie a dolo specifico: il compimento

dell’atto non è necessario ai fini della consumazione del reato, in

quanto rappresenta il fine ulteriore dell’accordo e si pone quindi

oltre il fatto materiale tipico92. Per cui i soggetti attivi devono

avere la coscienza e la volontà dell’accordo retributivo, del suo

carattere indebito, della qualità di intraneus, e del fine ulteriore

(che può riguardare il compimento tanto di un atto conforme ai

doveri dell’ufficio, quanto di uno contrario).

La corruzione susseguente è invece caratterizzata dal dolo

generico93: il nesso psichico sussiste con la coscienza e la volontà

di tutti gli elementi del fatto tipico, senza riguardo alcuno al fine

per cui si agisce. La volontà della norma è chiara in tal senso:

l’atto (contrario o conforme) è ricompreso tra gli elementi della

fattispecie, come già compiuto94, non come fine ulteriore.

In dottrina95 è condivisa inoltre l’opinione secondo la quale

l’assenza di dolo da parte di uno dei soggetti attivi esclude la

91 BENUSSI, Trattato, cit., p.443; PAGLIARO, Principi, cit., p.190;

MIRRI, voce Corruzione, cit., p.8 92 Per la definizione di dolo specifico cfr. MANTOVANI, Diritto, cit.,

p.331. 93 Per la definizione di dolo generico cfr. MANTOVANI, Diritto, cit.,

p.331. 94 M.ROMANO, I delitti, cit., p.174; BENUSSI, Trattato, cit., p.443. 95 M.ROMANO, I delitti, cit., p.173; SEGRETO-DE LUCA, I delitti,

cit., p.318. In giurisprudenza Cass. 10 aprile 1981, De Lucis, in Riv. pen.1982, p.130; Cass. 18 dicembre 1968, in Giust. pen, 1969, p. 697.

33

responsabilità penale di questi mancando il nesso soggettivo tra

l’agente e la condotta96.

Dottrina97 e giurisprudenza98 sono inoltre concordi nel ritenere

del tutto irrilevante la riserva mentale99: l’ipotesi in cui l’accordo

è concluso, da parte dell’intraneus, col segreto proposito di non

adempierlo, cioè di non compiere l’atto per cui si viene retribuiti.

Infatti se il delitto si consuma con l’accordo, rileva solo il

contegno esterno manifestato dall’intraneus: un’interpretazione

diversa sembrerebbe in contrasto con il dettato normativo, che

nessun rilievo sembra offrire al contegno interno dell’intranues.

Il problema della riserva mentale non si pone neanche nella

forma susseguente di corruzione dato che l’atto è già compiuto.

96 SEGRETO-DE LUCA, I delitti, cit., p.318-319. 97 GROSSO, I delitti, cit., p.193; BENUSSI, Trattato, cit., p.436;

SEGRETO-DE LUCA, I delitti, cit., p.319. 98 Cass. 21 ottobre 1982, Amato, in Riv. pen. 1983, p.607; Cass. 21

marzo 1984, Belmonte, in Giust. pen. 1984, p.268. 99 Mentre in caso di accettazione simulata (quella compiuta al solo

scopo di scoprire il corruttore) pare doversi escludere la configurabilità del delitto di corruzione: si configurerà il delitto di istigazione ex art. 322 c.p. non essendosi perfezionato il pactum sceleris. Cfr. SEGRETO- DE LUCA, I delitti, cit., p.319; M.ROMANO, I delitti, cit., p.173. In giurisprudenza Cass. 27 giugno 1967, Provini, in Giust. Pen. 1968, p.287; Cass. 18 marzo 1988, Bottero, in Giust. pen. 1989, p.296.

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8. Istigazione alla corruzione e ammissibilità del

tentativo

L’art. 322 c.p. prevede l’ipotesi di istigazione alla corruzione.

In riferimento a tale articolo la distinzione tra corruzione attiva

e passiva può risultare utile.

L’istigazione alla corruzione passiva (disciplinata dai commi 1

e 2 dell’art.322) è quella dell’extraneus che offre o promette

denaro al p.u. (o all’incaricato di pubblico servizio) al fine di

realizzare una corruzione propria o impropria100.

I commi 3 e 4 dell’art.322 c.p. (inseriti con la L.86/1990)

disciplinano le ipotesi di istigazione alla corruzione attiva101,

quelle cioè in cui è il p.u. (o l’incaricato di pubblico servizio) a

100 L’art. 322, comma 1 c.p. dispone che “chiunque offre o promette denaro od altra utilità non dovuti, ad un p.u. o ad un incaricato di un pubblico servizio che riveste la qualità di pubblico impiegato, per indurlo a compiere un atto del suo ufficio, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nel primo comma dell’art.318, ridota di un terzo”. Il comma 2 dispone che “Se l’offerta è fatta per indurre un p.u. o un incaricato di un pubblico servizio a omettere o a ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevole soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nell’art.319, ridotta di un terzo”

101 “La pena di cui al primo comma si applica al p.u o all’incaricato di un pubblico servizio che riveste la qualità di pubblico impiegato che sollecita una promessa o dazione di denaro io altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall’art. 318”(comma 3).

“La pena di dui al secondo comma si applica al p.u. o all’incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro od

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sollecitare una retribuzione per le finalità indicate agli artt.318 e

319 c.p.102.

Si parlerà quindi di istigazione attiva laddove la sollecitazione

non sia poi sfociata nel pactum. Per quanto riguarda la

sollecitazione si rimanda a quanto già detto in tema di

concussione (cfr. cap. I, par. 3.1): per cui integra il delitto in

questione anche la mera richiesta di denaro da parte

dell’intraneus, purchè questa sia prospettata come retribuzione103

(non dovuta) per il compimento di un atto (contrario o

conforme). La sollecitazione, per quanto insistita, rientra

nell’istigazione: solo se viene a delinearsi uno stato di

sopraffazione, potrà parlarsi di tentata concussione.

L’istigazione passiva invece può consistere tanto in un’offerta

quanto in una promessa di denaro o altra utilità da parte

dell’extraneus. Qualsiasi offerta, purchè “effettiva, seria ed

I

altra utilità da parte di un privato per le finalità ndicate dall’art. 319” (comma 4).

102 E’ da rilevare come l’art. 322 c.p. non richiami anche l’art. 319ter c.p., lasciando così scoperte le ipotesi forse più gravi di corruzione (quella in atti giudiziari). Anche se probabilmente si tratta di un difetto di coordinamento tra le norme, la disciplina di cui all’art. 322 c.p. non sembra applicabile (ANTOLISEI, Manuale, cit., p.326). In ogni caso i fatti previsti a titolo di istigazione alla corruzione (sollecitazione dell’intraneus, offerta dell’extraneus, nonché trattative non concluse) sembrano potersi punire a titolo di tentativo di corruzione in atti giudiziari.

103 GROSSO, delitti, cit. p.219.

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idonea”104, può integrare l’istigazione, purchè tale offerta non sia

accettata, altrimenti ci troveremmo di fronte ad una corruzione. Il

legislatore ha voluto anticipare la soglia della punibilità elevando

a titolo autonomo di reato fatti altrimenti costituenti tentativo105:

l’istigazione infatti si caratterizza per il compimento di atti idonei

e diretti in modo inequivoco al pactum, ma non sfociati nell’

accordo per la mancanza delle concordi volontà di tutti i soggetti

attivi.

Pareri discordanti si registrano in merito alla questione relativa

all’ammissibilità del tentativo. Alcuni106 lo ritengono ammissibile

in riferimento all’ipotesi in cui ad un’offerta o ad una

sollecitazione siano poi seguite trattative tra i soggetti, non

sfociate nel pactum sceleris. In tal caso sembra potersi parlare di

atti diretti inequivocabilmente al pactum secondo lo schema del

delitto tentato, dato anche che l’art.322 c.p. sembra non

disciplinare queste ipotesi107.

I

104 GROSSO, I delitti, cit., p.215; PAGLIARO, Principi, cit., p.213. In giurisprudenza Cass. 14 febbraio 1985, in Riv. pen. 1985, p.199; Cass. 15 aprile 1985, in Giust. pen. 1986, p.214.

105 GROSSO, delitti, cit., p.214; BENUSSI, Trattato, cit., p.446-448. 106 MIRRI, voce Corruzione, cit. ,p. 9; SEGRETO-DE LUCA, I delitti,

cit., p.331; M.ROMANO, I delitti, cit., p.143. 107 In ipotesi di trattative avviate su iniziativa dell’extraneus e poi

non concluse per un ripensamento ultimo dell’intraneus potrebbe dirsi che quest’ultimo abbia ”sollecitato” così come esige la norma? Allo stesso modo, può definirsi “offerta non accettata” la condotta dell’extraneus che sia consistita in trattative iniziate dall’intraneus e fallite per un ripensamento di quest’ultimo?

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