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133 © 2013 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati. Fabio Guarracino Ecocardiografia nella valutazione della valvola mitrale CAPITOLO 10 ANATOMIA DELLA VALVOLA MITRALE L’esecuzione di un esame ecocardiografico corretto della valvola mitrale richiede all’ecocardiografista la conoscenza approfondita dell’anatomia della valvola stes- sa. L’esame ecocardiografico è infatti una diagnostica per immagini e come tale richiede l’interpretazione di immagini anatomiche che, nel caso dell’esame del cuore, deve essere incorporata in un ragionamento di tipo anatomofunzionale. Non è possibile limitare gli aspetti anatomici della mitrale ai due lembi e all’anel- lo. La valvola si presenta infatti come un complesso apparato anatomico, le cui componenti sono l’atrio sinistro, l’anello, i lembi, le corde tendinee, i muscoli papillari e la parete del ventricolo sinistro (Figura 10.1). La parete ventricolare e i muscoli papillari rientrano nell’apparato valvolare mi- tralico sia per ragioni funzionali, in quanto hanno una grande importanza nel funzionamento della valvola, sia per motivi ana- tomici, in quanto i muscoli papillari fanno parte integrante dell’anatomia ventricolare, essendo trabecole del ventricolo che aggettano nel lume della camera ventricolare. L’anatomia della valvola mitrale presenta caratte- ristiche di tipo funzionale che sono strettamente legate agli elementi anatomici. È pertanto impor- tante conoscere alcune caratteristiche anatomiche, se si vuole comprendere con chiarezza l’aspetto funzionale che si studia con la TEE. L’anello della mitrale è la struttura che per pri- ma richiede un approfondimento. Infatti, guar- dando la tavola anatomica della valvola mitrale in sezione traversa (Figura 10.2) si vede come il lembo posteriore della valvola mitrale presenti FIGURA 10.1 Immagine anatomica che mostra l’apparato mitralico in sezione longitudinale.

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© 2013 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati.

Fabio Guarracino

Ecocardiografia nella valutazione della valvola mitrale

CAPITOLO 10

ANATOMIA DELLA VALVOLA MITRALEL’esecuzione di un esame ecocardiografico corretto della valvola mitrale richiede all’ecocardiografista la conoscenza approfondita dell’anatomia della valvola stes-sa. L’esame ecocardiografico è infatti una diagnostica per immagini e come tale richiede l’interpretazione di immagini anatomiche che, nel caso dell’esame del cuore, deve essere incorporata in un ragionamento di tipo anatomofunzionale.

Non è possibile limitare gli aspetti anatomici della mitrale ai due lembi e all’anel-lo. La valvola si presenta infatti come un complesso apparato anatomico, le cui componenti sono l’atrio sinistro, l’anello, i lembi, le corde tendinee, i muscoli papillari e la parete del ventricolo sinistro (Figura 10.1).

La parete ventricolare e i muscoli papillari rientrano nell’apparato valvolare mi-tralico sia per ragioni funzionali, in quanto hanno una grande importanza nel funzionamento della valvola, sia per motivi ana-tomici, in quanto i muscoli papillari fanno parte integrante dell’anatomia ventricolare, essendo trabecole del ventricolo che aggettano nel lume della camera ventricolare.

L’anatomia della valvola mitrale presenta caratte-ristiche di tipo funzionale che sono strettamente legate agli elementi anatomici. È pertanto impor-tante conoscere alcune caratteristiche anatomiche, se si vuole comprendere con chiarezza l’aspetto funzionale che si studia con la TEE.

L’anello della mitrale è la struttura che per pri-ma richiede un approfondimento. Infatti, guar-dando la tavola anatomica della valvola mitrale in sezione traversa (Figura 10.2) si vede come il lembo posteriore della valvola mitrale presenti

FIGuRA 10.1 Immagine anatomica che mostra l’apparato mitralico in sezione longitudinale.

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un’inserzione molto lunga intorno l’anello valvolare, coprendone in particola-re circa due terzi della circonferenza. Al contrario, il lembo anteriore presenta un’inserzione che interessa l’anello per circa il 30% della sua circonferenza, nella porzione più anteriore. L’inserzione del lembo anteriore della mitrale è posta tra i due trigoni fibrosi. Questi ultimi, che rappresentano, come è noto, una parte dello scheletro rigido del cuore, sono di grande importanza perché insieme alla valvola aortica costituiscono una sorta di barriera rigida posta an-teriormente alla mitrale. Questo aspetto della porzione anteriore dell’anello della mitrale è molto importante poiché è il motivo per cui la patologia anulare interessa raramente l’anello anteriore, mentre è estremamente frequente nella regione posteriore dell’anello stesso. L’anello poste riore, infatti, è una struttura muscolare ed è parte della parete ventricolare e, come tale, è cedevole.

Dati questi aspetti dell’anatomia dell’anello si comprende l’esigenza di valutare con l’ecocardiografia, in maniera corretta, quale sia il diametro della valvola mitrale che subisce aumenti di lunghezza in corso di patologia. Guardando la Figura 10.2 si comprende come sia importante misurare esattamente il diametro anteroposteriore della valvola (freccia bianca), cioè quello passante attraverso la porzione centrale di entrambi i lembi. È quindi evidente che l’esaminatore deve conoscere questi aspetti anatomici, al fine di utilizzare le proiezioni più corrette per la misurazione del diametro anteroposteriore. La misura di qualsiasi altro diametro che non sia quello anteroposteriore fornirebbe un dato non utile alla comprensione del meccanismo della disfunzione valvolare. Quali siano le proiezioni utili a questo fine verrà detto più avanti, nel corso della valutazione ecocardiografica della valvola mitrale.

Un altro aspetto molto importante dell’anatomia di questa valvola e che deve esse-re conosciuto da chi esegue l’ecocardiografia è, come ben si vede dalla Figura 10.2

FIGuRA 10.2 Sezione trasversa della valvola mitrale. a. Le frecce azzurre grandi indicano i trigoni fibrosi; la freccia bianca indica il diametro anteroposteriore; le frecce azzurre piccole indicano il rapporto anatomico tra anello e arteria circonflessa. b. Schema di esplorazione del piano valvolare dall’approccio esofageo.

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(frecce blu piccole), il decorso dell’arteria circonflessa posteriormente all’anello della mitrale. Questo aspetto anatomico della circolazione coronarica spiega le gravi disfunzioni della parete ventricolare e talora, come conseguenza, anche dell’apparato mitralico, che si verificano a seguito di interventi chirurgici che abbiano coinvolto con la tecnica riparativa la regione posteriore dell’anello mi-tralico. Gli stretti rapporti anatomici tra l’anello posteriore della mitrale e il ramo coronarico rendono infatti ragione della possibilità che il ramo coronarico stesso possa essere lesionato nel corso di tecniche chirurgiche. Tali aspetti sono ben noti ovviamente ai colleghi cardiochirurghi e ciò rende questa complicanza rara. La possibilità che vi siano varianti anatomiche di decorso dell’arteria circonflessa e quindi che, nonostante tutte le precauzioni, possa verificarsi un danno al ramo coronarico deve tuttavia essere chiara a chi esegue l’ecocardiogramma. Infatti, l’insorgenza di anomalie contrattili nel territorio dell’arteria circonflessa dopo un intervento di riparazione mitralica, che abbia coinvolto con la tecnica chirurgica la regione dell’anello posteriore, deve far sorgere il dubbio che il paziente possa aver riportato una lesione del ramo coronarico. Appare evidente che la conoscenza di questi aspetti sarà molto utile per la corretta interpretazione di anomalie della cinetica regionale di nuova insorgenza nel territorio dell’arteria circonflessa.

Un altro aspetto anatomico di grande importanza ai fini di una corretta valuta-zione ecocardiografica è rappresentato dall’anatomia dell’apparato sottovalvolare. Se si guarda alla Figura 10.3 si vede come tale apparato, rappresentato dai mu-scoli papillari e dalle corde tendinee, presenti un’anatomia con una simmetria molto precisa, che vede il papillare anteriore fornire corde tendinee alle porzioni medioanteriori di entrambi i lembi e il papillare posteriore fare altrettanto con le porzioni medioposteriori. Quindi vi è una distribuzione simmetrica delle corde tendinee ai lembi della valvola mitrale. Questa distribuzione è di grande importanza e deve essere ben nota a chi esegue l’esame ecocardiografico, al fine di fornire informazioni funzionali sul meccanismo responsabile della disfun-zione valvolare. Le corde tendinee presentano, da un punto di vista anatomico, una netta distinzione: quelle che vanno dalla testa del muscolo papillare al margine libero del lembo sono definite corde di primo ordine; le corde tendinee che raggiungono, invece, la superficie ventricolare dei lembi del-la valvola si definiscono corde di secondo ordine; infine, sono definite corde di terzo ordine quelle corde, di solito di breve lunghezza, che vanno dalla parete ventricolare ai lembi valvolari. È importante conoscere questi aspetti anatomi-ci poiché la rottura delle corde tendinee è uno dei meccanismi responsabili dell’insufficienza mitralica. Riconoscere quale tipo di corda sia coinvolto nella disfunzione è importante per le decisioni che riguardano il trattamento di tale patologia. Infatti, la rottura di corde di primo ordine, cioè di quelle corde che, essendo inserite

FIGuRA 10.3 L’apparato sottovalvolare mitralico.

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sul margine libero del lembo, hanno un ruolo molto importante ai fini della competenza val-volare durante la sistole, comporterà una gra-ve insufficienza mitralica per un tipo di lesione che viene definito flail della mitrale. La rottura delle corde di secondo ordine, invece, di solito comporta il prolasso di alcune porzioni di un lembo della mitrale. Queste due situazioni, che verranno più avanti approfondite, richiedono di essere ben riconosciute in quanto suscettibili di trattamenti chirurgici completamente diversi, non solo dal punto di vista delle tecniche chirur-giche, ma anche dal punto di vista del timing del trattamento chirurgico.

La Figura 10.4 offre la prospettiva che si avrebbe stando seduti sull’apice del ventricolo sinistro, guardando in alto verso la base del cuore: si avrebbe così la visione della valvola mitrale e della valvola aortica dal basso. Come si può vedere, il lembo anteriore della mitrale presenta una continuità molto stretta con le cuspidi valvolari aortiche: è la cosiddetta continuità mitroaortica. Essa è quindi una realtà anatomica e come tale ha anche alcune ricadute da un punto di vista patologico, che devono essere tenute in considerazione nell’esecuzione dell’esame ecocardiografico. La netta continuità fra le due strutture rende infatti facilmente comprensibili i motivi per cui l’interessamento, per esempio, endo-carditico della valvola aortica possa coinvolgere anche la mitrale e viceversa, ma rende anche ragione del fatto che insufficienze valvolari aortiche rilevanti possano determinare lesioni da jet sul lembo anteriore della mitrale. Quindi la conoscenza di questa continuità anatomica è importante per chi esegue l’ecocardiografia, perché, nel caso di una patologia valvolare mitralica e di una patologia valvolare aortica, spingerà sempre a non trascurare la valutazione di eventuali lesioni che abbiano coinvolto la valvola vicina a quella primitiva-mente ammalata.

Gli aspetti dell’anatomia qui descritti sono quindi importanti per un corretto ap-proccio di tipo funzionale nello studio della valvola mitrale. Crediamo che siano facilmente intuibili anche le ragioni per cui il complesso apparato che comprende tutte le componenti anatomiche della mitrale richiede una loro forte sincronia, perché la valvola si presenti competente durante la sistole.

Da un punto di vista funzionale le componenti anatomiche operano durante il ciclo cardiaco insieme a forze idrodinamiche legate alle correnti ematiche in movimento durante la sistole e la diastole, le cosiddette forze di apertura e forze di chiusura, al fine di rendere la valvola competente. Qualsiasi anomalia di tali componenti anatomiche comporterebbe uno sbilanciamento degli equi-libri delle forze in gioco (Figura 10.5) e a ciò conseguirebbe inevitabilmente una mancanza di competenza valvolare in sistole, cioè un’insufficienza della valvola mitrale.

FIGuRA 10.4 La continuità mitroaortica vista dal versante ventricolare.

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Tutti gli aspetti di anatomia funzionale descritti possono essere studiati nel paziente in maniera chiara, veloce e semplice mediante l’ecocardiogra-fia. L’approccio transesofageo ha enormemente potenziato l’esame ecocardiografico della valvola mitrale. Ciò è dovuto alla vicinanza del transdutto-re transesofageo all’apparato valvolare. Se si guarda, infatti, la Figura 10.6 è facile comprendere come, da un punto di osservazione così facilitato qual è quello della sonda posta nell’esofago, cioè appena dietro l’atrio sinistro, sia possibile esplorare le strut-ture dell’apparato mitralico con estrema facilità. In particolare, da questo punto di osservazione non si hanno problemi legati all’interposizione di struttu-re e componenti anatomiche, le cosiddette nemiche degli ultrasuoni. L’approccio transesofageo supera cioè ogni limite legato all’inflazione del polmone, alla massa muscolare del torace, alla presenza di coste, insomma a tutti quei problemi che spesso l’approccio transtoracico non riesce a superare. È per questo che, qualora la TTE non consenta una visualizzazione di ottima qualità, la TEE diventa di particolare utilità clinica.

ESAME ECOCARDIOGRAFICO DELLA MITRALEL’esame della valvola mitrale risulta molto utile in situazioni cliniche di tipo medico e chirurgico. Negli ultimi anni si è molto apprezzata la valutazione TEE nell’ambito perioperatorio cardiochirurgico; tuttavia anche altri ambiti, come quello rianimatorio e intensivo e quello internistico e cardiologico, si sono molto giovati dell’approccio ecocardiografico nella valutazione della patologia mitralica. Nell’ambito della medicina critica, dell’area più intensiva del paziente critico, l’approccio transesofageo fornisce certamente informazioni molto utili per la gestione del paziente.

La TEE è considerata un approccio in classe 1 di raccomandazione per la valutazione della di-sfunzione della valvola mitrale. Secondo le linee guida, la valutazione con la TEE permette, infatti, di fornire le basi anatomiche di una disfunzione valvolare e le linee guida suggeriscono che questo approccio è indicato fortemente nei casi in cui la finestra transtoracica non sia in grado di dare le informazioni necessarie.

La TEE ha una classe 1 di raccomandazione nel cor-so degli interventi di cardiochirurgia riparativa.

FIGuRA 10.5 Rappresentazione schematica delle forze di apertura e di chiusura della mitrale.

FIGuRA 10.6 Classificazione anatomica secondo Carpentier.

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Passando alla valutazione ecocardiografica, è importante introdurre un aspetto di tipo terminologico. La necessità di poter trasferire sempre le informazioni che si acquisiscono richiede l’utilizzo di un linguaggio che sia condiviso da tutti gli operatori coinvolti. È, infatti, facilmente comprensibile come la descrizione di una lesione rilevata dall’ecocardiografia debba essere prontamente riconoscibile anche da un altro operatore, che approcci lo stesso problema in un momento successivo, oppure dal cardiochirurgo, quando apre l’atrio sinistro e si trova di fronte la valvola malata. Vogliamo dire che la condivisione di un linguaggio mette tutti gli operatori in condizioni di trasferire la stessa informazione pur essendo questa acquisita o approcciata da punti di osservazione diversi. Per essere chiari, se ci riferissimo a una lesione della valvola mitrale con termini generici come “alto” oppure “basso” o ancora “destra” o “sinistra”, nessun altro operatore avrebbe la possibilità di comprendere a che cosa ci stiamo riferendo, se approcciasse il problema dal suo punto di osservazione. Infatti, ripetendo la TTE nello stesso paziente in cui noi, con termini generici avessimo descrit-to una lesione mitralica, l’operatore non sarebbe in grado di capire a quale lesione ci riferivamo. La terminologia condivisa richiede quindi una precisa classificazione.

Nell’ambito della patologia mitralica risultano molto utili almeno due diverse classificazioni che tendono a denominare l’anatomia dei lembi della mitrale in maniera sistematica, ovvero quella di Carpentier e quella di Duran. La prima è di gran lunga la più utilizzata (Figura 10.7). Essa si basa sull’osservazione, fatta da Carpentier negli anni Sessanta del Novecento, che il lembo posterio-re della mitrale presenta anatomicamente una divisione in tre segmenti ben definiti. Carpentier decise di denominare i tre segmenti del lembo posteriore chiamandoli ciascuno con una sigla formata da una lettera, la P, che sta per posteriore, e un numero crescente da 1 a 3 andando dal segmento più anteriore a quello più posteriore. Quindi il segmento più anteriore del lembo posteriore lo chiamò P1, il segmento subito dietro a P1 lo denominò P2 e il segmento più posteriore del lembo posteriore lo denominò P3. Non essendo riconosci-bile un’analoga distinzione in segmenti sulla superficie del lembo anteriore, Carpentier decise di suddividere il lembo anteriore in tre segmenti, dove ogni segmento rappresentava la porzione di lembo anteriore che andava in coapta-

zione con la ben riconoscibile struttura presente sul lembo posteriore. Quindi, per chiarire, la re-gione del lembo anteriore che andava a coaptare con P1 fu definita A1; la porzione intermedia di lembo anteriore che andava in coaptazione con P2 fu denominata A2e la porzione di lembo anteriore che coaptava con P3 fu chiamata A3. Come si vede questa classificazione di Carpen-tier consente di definire sei diversi segmenti sulla valvola mitrale con una terminologia che, se condivisa, è la stessa da qualsiasi punto di osservi la valvola: TTE, TEE, visione diretta da parte del chirurgo.

FIGuRA 10.7 Schema dell’esplorazione transesofagea della mitrale.

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Nel 1999 furono pubblicate, come già descritto nel Capitolo 4, le linee guida per la TEE nelle quali venne anche introdotto uno schematismo per lo studio transesofageo della mitrale. Tale schema consente di individuare quale regione della valvola sia esplorata in ciascuna delle proiezioni che si possono ottenere dall’approccio transe-sofageo. È molto importante avere in mente questo schema, se si vuole riconoscere prontamente in ogni proiezione transesofagea quale porzione si sta osservando. Un aspetto molto interessante è che in studi diversi, nei quali si diceva di utilizzare questo tipo di approccio sistematico con la TEE, venivano descritte in ciascuna proiezione ecocardiografica parti diverse della valvola mitrale, come se in America, in Europa o in Asia l’approccio transesofageo alla valvola mitrale potesse far vedere cose diverse nelle stesse proiezioni. Ovviamente non è così. Non ci sono quindi errori da parte degli autori dei vari lavori, ma è semplicemente un problema legato al fatto che lo schematismo introdotto dalle linee guida si riferisce a un’anatomia della mitrale che potremmo definire la media anatomia di un apparato mitralico normale. Sappiamo tutti che il paziente con una patologia mitralica presenta alterazioni anatomiche del cuore, per esempio l’ingrandimento dell’atrio sinistro o del ventricolo sinistro, che possono alterare i rapporti anatomici a cui invece fanno riferimento le linee guida.

Approcci ecocardiograficiUn aspetto iniziale della valutazione ecocardiografica della mitrale consiste nella necessità di avere chiaro in mente quali siano le scansioni che permettono l’esplorazione lungo l’asse anteroposteriore e quali quelle che permettano lo studio sull’asse commissurale.

L’esplorazione della valvola in asse anteroposte-riore richiede proiezioni in asse lungo in approc-cio sia transtoracico (Figura 10.8) sia transeso-fageo. Nel primo caso la proiezione asse lungo parasternale permette di avere una scansione che attraversa il piano valvolare lungo l’asse A2-P2 (Fi-gura 10.9); nella TEE l’esplorazione lungo un’as-se anteroposteriore richiede una proiezione asse lungo a 120° (vedi Figura 10.2).

Per ottenere una scansione lungo l’asse com-missurale, sarà necessario ricorrere a proiezioni ortogonali a quelle appena descritte, quindi alla TTE la apicale due camere, mentre alla TEE sa-rà l’approccio in proiezione commissurale due camere a 60°.

Vogliamo quindi dire che chi impiega l’eco-cardiogramma deve disporre di uno schema mentale con cui orientarsi nell’esame: l’esplora-zione nelle proiezioni parasternali asse lungo e medioesofagee a 0° tende a studiare la valvola in asse anteroposteriore, mentre l’esplorazione

FIGuRA 10.8 Piani di scansione dell’apparato mitralico nelle proiezioni transtoraciche asse lungo (in alto) e quattro camere (in basso).

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nelle proiezioni apicali due camere e medioesofa-gee a 90˚ tende a esplorare la valvola lungo l’asse commisurale. Tra queste due posizioni saranno poi possibili proiezioni intermedie di utilizzo del trasduttore, da cui si potranno visualizzare assi intermedi dell’esplorazione della mitrale.

Non torniamo qui a ripetere le caratteristiche delle singole proiezioni dai vari approcci perché sono già state illustrate nei capitoli dedicati alla TTE e alla TEE standard; tuttavia vogliamo ricor-dare l’importanza di eseguire l’esame della valvola mitrale ricorrendo a tutte le proiezioni utili.

Una proiezione che non è presente nelle linee guida della TEE e che tuttavia è di largo utilizzo

nella pratica clinica, in quanto fornisce informazioni importanti, è la cosiddetta cinque camere. Anche questa va inserita nell’approccio routinario alla valvola mitrale. Se guardiamo la tavola anatomica della valvola mitrale (vedi Figura 10.2), appare evidente come l’esplorazione lungo un’asse a 0° in cinque camere determini la visualizzazione delle strutture mitraliche più anteriori. Come si vede nella Figura 10.10, la proiezione cinque camere consente la visualizzazione dei segmenti A1 e P1, mentre la proiezione quattro camere a 0°, escludendo di fatto la valvola aortica e il tratto del flusso, determina l’esplorazione prevalente dei segmenti A2 e P2, come si può vedere nella Figura 10.11.

Se guardiamo il piano di scansione lungo le commissure, sia in apicale (Figura 10.12) sia in due camere commissurale medioesofagea, ci rendiamo conto che il nostro esame percorre l’apparato mitralico da una commissura a un’altra. Quindi la visualizzazione che otterremo sarà quella dei segmenti estremi del lembo poste-riore, cioè P1 e P3, e del segmento intermedio del lembo anteriore, cioè A2.

FIGuRA 10.10 Proiezione quattro camere alla TEE in sistole. Si notino i segmenti A1 e P1 della mitrale in posizione di chiusura.

FIGuRA 10.11 Proiezione quattro camere alla TEE in sistole. Si notino i segmenti A2 e P2 della mitrale in posizione di apertura.

FIGuRA 10.9 Proiezione parasternale asse lungo.

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Se procediamo nel nostro studio andando verso la proiezione asse lungo 120°, otteniamo un’esplorazione della valvola lungo un piano che attraversa l’asse anteroposteriore nelle porzioni intermedie di entrambi i lembi e che coinvolge nuovamente la valvola aortica e il tratto del flusso. Se si guarda la Figura 10.13, si riconoscono facilmente i segmenti A2 e P2 della valvola mitrale.

Se ricordiamo quanto è stato detto all’inizio del capitolo, con riferimento all’ana-tomia funzionale dell’anello mitralico, è facile comprendere come questa sia la proiezione in cui probabilmente è ottenibile la migliore misura del diametro anteroposteriore della mitrale, sia quella asse lungo a 120° con la TEE sia quella parasternale asse lungo con la TTE (Figura 10.14).

Passando alla proiezione asse corto parasternale o transgastrica, si può ottenere, nell’approccio basale trasverso della valvola mitrale, la cosiddetta proiezione a bocca di pesce. In questa proiezione si possono visualizzare tutti i segmenti di entrambi i lembi contemporaneamente, come si vede nelle Figure 10.15 e 10.16. Inoltre, si possono esplorare le regioni commissu-rali, quella posteriore in alto nello schermo, quel-la posteriore in basso. È quindi facile comprende-re come queste proiezioni consentano di studiare tutti i segmenti e tutte le aree commissurali nello stesso tempo. Inoltre, mettendo insieme le infor-mazioni che si ottengono da queste proiezioni e quelle che si ottengono dalla posizione apicale commissurale e commissurale medioesofagea che abbiamo visto pocanzi, si possono avere informa-zioni conclusive sulla funzione delle aree com-missurali. Questo è un aspetto molto importante della valutazione dell’apparato mitralico, poiché le commissure sono talora sede di jet da rigurgito anche rilevanti che vengono trascurati.

FIGuRA 10.12 Scansione della valvola mitrale in proiezione apicale due camere.

FIGuRA 10.13 Proiezione TEE medioesofagea asse lungo a 120°: si visualizzano i segmenti A2 e P2.

FIGuRA 10.14 Misurazione del diametro anulare mitralico in proiezione parasternale asse lungo.

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Per coloro che lavorano in area cardiochirurgica è facile comprendere come il riscontro di un jet da rigurgito in posizione commissurale debba essere ricono-sciuto con chiarezza nei casi in cui si prospetti una riparazione valvolare con una tecnica edge-to-edge. Infatti, un jet commissurale tenderebbe a rendere vana una riparazione effettuata con una tecnica edge-to-edge centrale, poiché in questi casi lo stress idrodinamico si trasferisce proprio sulle regioni commissurali e quindi si potrebbero avere un aggravamento dell’insufficienza mitralica commissurale e un fallimento dell’intervento riparativo.

La proiezione transgastrica asse lungo (Figura 10.17) è probabilmente quella che dà la migliore visione dell’apparato sottovalvolare. Da questo approccio possiamo infatti valutare tutte le anomalie morfologiche e funzionali dei muscoli papillari (Figura 10.18), nonché le anomalie che riguardano le corde tendinee. Dato che

FIGuRA 10.16 La mitrale in proiezione transgastrica asse corto basale.

FIGuRA 10.17 Visualizzazione dell’apparato sottovalvolare in proiezione transgastrica asse lungo.

FIGuRA 10.18 Rottura del muscolo papillare (a sinistra) visualizzata in asse lungo transgastrico. A destra, si osserva la conseguente insufficienza mitralica.

FIGuRA 10.15 La mitrale in proiezione parasternale asse corto.

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sono facilmente riconoscibili le rotture del papillare o delle corde, è molto im-portante non tralasciare questo approccio nell’esame sistematico.

Una volta che si siano effettuate in maniera sistematica tutte le proiezioni transto-raciche o transesofagee, si saranno ottenute tutte le informazioni di tipo funziona-le utili alla comprensione del meccanismo della disfunzione valvolare. Attraverso queste proiezioni possiamo infatti effettuare una valutazione molto attenta della dinamica dei lembi e di quella dell’anulus nonché dell’apparato sottovalvolare. È anche possibile comprendere i rapporti che intercorrono tra la porzione anulare basale della valvola e le porzioni medioapicali del ventricolo sinistro.

Riguardo all’esame dei lembi è importante studiarne l’apposizione e la coapta-zione. Per apposizione intendiamo l’allineamento dei lembi sullo stesso piano, mentre per coaptazione intendiamo il contatto tra le superfici di coaptazione di entrambi i lembi. È evidente che si possa avere una normale apposizione in assenza di coaptazione. È il caso della dilatazione dell’anello della mitrale: in tale circostanza i lembi si trovano sullo stesso piano durante la sistole, ma non entrano in contatto, cioè non vanno in coaptazione. La mancanza di coapta-zione è quindi il meccanismo responsabile dell’insufficienza valvolare in un caso come questo. Si ritiene che la coaptazione per essere efficace debba essere estesa per almeno 6-8 mm nelle regioni di coaptazione di entrambi i lembi.

CLASSIFICAzIONE FuNzIONALE DELLA PATOLOGIA MITRALICAOltre alla classificazione anatomica a cui abbiamo fatto riferimento precedente-mente, il professor Carpentier introdusse anche una classificazione funzionale relativa al movimento dei lembi. Questo approccio tende a fornire una facile classificazione dei meccanismi responsabili dell’insufficienza mitralica e si basa sull’osservazione del movimento dei lembi mitralici (Figura 10.19):

j tipo 1: valvola mitrale che presenta lembi con movimento normale;j tipo 2: valvola mitrale in cui si osserva un aumento di movimento in almeno

un segmento di un lembo;j tipo 3: valvola mitrale in cui si osserva una riduzione di movimento nei lembi;

nel tipo 3 è possibile riconoscere due sottotipi:j il sottotipo A in cui il ridotto movimento del lembo è diastolico ed è tipico

della patologia reumatica; tutti ricordiamo l’ipomobilità dei lembi nella stenosi mitralica di tipo reumatico;

FIGuRA 10.19 Classificazione di Carpentier basata sul movimento dei lembi valvolari.

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j il sottotipo B fa invece riferimento a un ridotto movimento del lembo du-rante la sistole; questo tipo di movimento ridotto è tipico della patologia ischemica e funzionale di cui si dirà più avanti.

La classificazione del movimento dei lembi descritta da Carpentier costituisce un utile strumento di comunicazione. Infatti, l’osservazione all’ecocardio-gramma del movimento dei lembi della mitrale consente una veloce classifica-zione della patologia che si ha di fronte e, siccome a ogni tipo di movimento corrispondono alcune eziologie di disfunzione della mitrale, l’impiego della classificazione rappresenta anche un modo di incasellare più velocemente il tipo di patologia che si deve fronteggiare e quindi di giungere a una diagnosi in modo più semplice.

Nel tipo 1, cioè nel movimento normale, sarà possibile avere un’insufficienza mitralica nei casi, per esempio, di dilatazione dell’anello, di endocardite con perforazione di un lembo e talora nella patologia ischemica del miocardio.

Il tipo 2 fa invece riferimento a condizioni molto frequenti di patologia, cioè a quella di tipo degenerativo, a quella mixomatosa e talora a quella su base endo-carditica. Un caso di tipo 2 su base ischemica è l’insufficienza mitralica acuta da rottura del muscolo papillare.

Il tipo 3 si riferisce al movimento ridotto dei lembi. Come dicevamo prima, il sot-totipo A è quello tipico della patologia reumatica: in questi casi la riduzione del movimento del lembo è dovuta alla patologia infiammatoria che coinvolge il tessuto dei lembi. All’ecocardiografia saranno quindi immediatamente riconoscibili l’ispessi-mento del lembo, il ridotto movimento di apertura, l’incurvamento tipico del lembo, definito doming, nonché la presenza di calcificazioni, anch’esse tipiche di questo tipo di patologia. Sarà anche molto importante valutare il coinvolgimento dell’apparato sottovalvolare: non è infrequente infatti riscontrare la fusione delle corde tendinee e la calcificazione che si forma su queste in corso di patologia reumatica.

Per quanto riguarda il sottotipo B descritto da Carpentier, cioè quello presente nella patologia ischemica e funzionale, è necessario affrontare il problema da un punto di vista molto più definito; si tratta infatti di quadri di alterazione del movimento dei lembi in cui tale movimento risulta ridotto a seguito di una pa-tologia che coinvolge la parete ventricolare.

All’inizio di questo capitolo si è detto che nella normale dinamica della valvola mitrale hanno un ruolo fondamentale tutte le componenti anatomiche e le forze idrodinamiche. Ciò che si verifica nella patologia che dà luogo al tipo 3B è un’al-terazione della geometria della camera ventricolare sinistra, alla quale fa seguito un’alterazione dei rapporti anatomici tra la regione anulare e quella medioapicale del ventricolo sinistro, nonché un’alterazione delle normali forze idrodinamiche di apertura e di chiusura della valvola. La comprensione di questo tipo di patologia richiede la conoscenza di aspetti fisiopatologici molto complessi. Negli ultimi an-ni si è sempre più compreso che nel tipo 3B l’alterazione della funzione valvolare è fortemente dipendente dalla patologia che coinvolge la parete ventricolare. Studi interessanti sono stati condotti con tecniche diverse, dalla risonanza magnetica

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all’ecocardiografia tridimensionale fino alla tomografia computerizzata di ultima generazione. Questi studi hanno evidenziato come nel paziente con patologia ischemica del miocardio l’alterazione del movimento dei lembi, nel senso di un movimento ristretto, possa essere dovuta al rimodel-lamento della parete ventricolare. Si è cioè dimostrato come, nel paziente che abbia avuto un infarto del miocardio, il rimodellamento della parete ventricolare, cioè una dilata-zione regionale della parete, comporti come conseguenza lo spostamento della base di impianto del muscolo papillare che si trovi sulla parete oggetto del rimodellamento (Figu-ra 10.20). È facile comprendere come l’allontanamento della base di impianto del papillare comporti l’allontanamento di tutto il muscolo papillare. Questo meccanismo determina un incremento delle forze di trazione sulle corde tendinee e sul margine libero del lembo, dove le corde sono inserite. La progressione di questo meccanismo porta nel tempo un abbassamento verso la camera ventricolare del punto di coaptazione dei lembi della mitrale (Figure 10.21 e 10.22). Quando il punto di coaptazione si sposta all’interno della camera ventricolare a una distanza dal piano valvolare di circa 11 mm, avviene una perdita di co-aptazione e insorge quindi l’insufficienza della valvola mitrale. Come si vede, il meccanismo che porta all’insufficienza mitralica nel tipo 3B di Carpentier è quindi l’aumento della distanza tra la base di impianto dei due papillari per l’allontanamento di uno di questi, conseguente al rimodellamento della parete ventricolare e anche all’aumento della distanza tra la testa del muscolo papillare e il piano dell’anulus mitralico. È proprio l’alterazione di queste due proiezioni

FIGuRA 10.20 Fisiopatologia dell’insufficienza mitralica di tipo 3B.

FIGuRA 10.21 Dilatazione ventricolare e tethering mitralico visualizzati in proiezione due camere commissurale medioesofagea.

FIGuRA 10.22 Zoom su proiezione medioesofagea asse lungo a 120°: si notino il tethering del lembo posteriore (a sinistra in 2D) e il jet asimmetrico con effetto Coanda al color Doppler (a destra).

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geometriche la responsabile della perdita di coaptazione dei lembi della mitrale e quindi dell’insufficienza. Nel paziente con patologia ischemica tuttavia non è soltanto il rimodellamento medioapicale che può portare all’insufficienza mitrali-ca, ma anche un rimodellamento nella regione basale del ventricolo sinistro, cioè quella che abbiamo ripetutamente definito come aumento del diametro antero-posteriore dovuto all’ectasia dell’anulus posteriore. Appare quindi evidente che il paziente con insufficienza mitralica su base ischemica può rientrare tanto nel tipo 1 di Carpentier, cioè avere un movimento normale dei lembi ma non avere una coaptazione completa a causa dell’anulodilatazione, quanto nel tipo 3B, in conseguenza di un rimodellamento della porzione medioapicale del ventricolo, cioè a seguito dell’aumento della trazione (tethering) del muscolo papillare sulle corde tendinee sul lembo (Figura 10.23).

Il meccanismo che comporta il tipo 3B provoca tre conseguenze sull’apparato valvolare mitralico: la prima è l’abbassamento del punto di coaptazione all’in-terno della camera ventricolare; la seconda è la generazione di una forma geo-metrica a tenda della valvola mitrale, dove la base della tenda è il piano anulare e il tetto è rappresentato dai lembi attratti nella camera ventricolare; la terza conseguenza è la perdita della coaptazione, con la comparsa dell’insufficienza mitralica. Queste alterazioni della morfologia e della geometria dell’apparato mitralico, conseguenti come abbiamo visto ad alterazioni della geometria del-la camera ventricolare, devono essere ben studiate con l’ecocardiografia, per ottenere informazioni utili a comprendere il meccanismo dell’insufficienza mitralica.

È chiaro che una corretta interpretazione del meccanismo è importante per orientare il trattamento. Pertanto il riconoscimento dell’anulodilatazione (Figura 10.24) e il riconoscimento del tethering e del rimodellamento ventri-colare orienteranno verso tecniche chirurgiche diverse, qualora l’entità dell’in-sufficienza mitralica sia tale da richiedere l’indicazione chirurgica. Viceversa, il

FIGuRA 10.23 Tethering con formazione di area di tenting mitralico.

FIGuRA 10.24 Misurazione dei diametri anulari con lo strumento X-plane.

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riconoscimento, per esempio, di un’insufficienza mitralica di tipo 2 orienterà verso un tipo di trattamento completamente diverso. Quindi non è difficile comprendere come la TEE, chiarendo questi aspetti di tipo anatomofunzio-nale, dando cioè una spiegazione del perché l’apparato mitralico sia diventato disfunzionante, ricopra un ruolo molto importante nella gestione dei pazienti con insufficienza mitralica.

APPROCCIO ECOCARDIOGRAFICO SISTEMATICOLa valutazione ecocardiografica dell’apparato valvolare mitralico viene effettuata con un approccio sistematico basato sulle proiezioni standard, come descritto sopra. Ogni proiezione deve essere impiegata prima per lo studio morfologi-co, cioè bisogna esaminare attentamente tutte le componenti anatomiche con l’ausilio dell’ecografia bidimensionale. Soltanto dopo avere effettuato un’attenta valutazione morfologica all’esame bidimensionale si potrà passare all’impiego del color Doppler, il quale serve soltanto a confermare l’impressione avuta all’esame morfologico. In particolare, va sottolineato che il color Doppler consente di va-lutare anomalie di flusso sulla valvola mitrale e di correlare la direzione del jet di rigurgito evidenziata con la lesione morfologica riconosciuta all’esame bidimen-sionale. È molto importante tenere presente che il color Doppler di solito fornisce un jet la cui direzione è opposta al lembo interessato dalla lesione morfologica (Figura 10.25). Per essere chiari, nella patologia di tipo 2, cioè nei casi in cui vi sia un aumento del movimento del lembo, il jet di rigurgito sarà rivolto in dire-zione opposta al lembo coinvolto: un prolasso del lembo posteriore darà luogo a un jet di rigurgito diretto verso l’anteriore e viceversa. Va tuttavia ricordato che nel caso della patologia di tipo 3B, cioè quella con movimento ridotto causato dall’alterazione della geometria ventricolare, si verifica un’eccezione alla regola appena descritta, poiché il jet visualizzabile con il color Doppler ha la direzione uguale al lembo coinvolto: se è trazionato in basso il lembo posteriore, il jet di rigurgito andrà verso il lembo posteriore (vedi Figura 10.22). Questo aspetto è molto importante e va tenuto sempre presente, se si vogliono evitare grossolani errori di diagnosi. È facile immaginare quali conseguenze possa avere scambiare un prolasso per un tethering.

Anche nel caso di jet di rigurgito centrali, co-me quelli che si possono trovare nella dilata-zione dell’anello della mitrale, bisogna essere prudenti. Infatti, vi sono pazienti in cui la pa-tologia del ventricolo è diffusa, per esempio la cardiomiopatia dilatativa. In questi soggetti le alterazioni geometriche della camera ventrico-lare possono essere tali da coinvolgere entrambi i muscoli papillari. In questo caso, l’allonta-namento di entrambi i papillari a seguito del rimodellamento della parete ventricolare de-termina un fenomeno di tethering simmetrico, cioè entrambi i lembi saranno attirati all’interno

FIGuRA 10.25 Jet eccentrico da insufficienza mitralica di tipo 2. Si notino l’area di convergenza sotto il piano valvolare, la vena contracta e l’eccentricità del jet.

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della camera ventricolare e la perdita di coaptazione avverrà in modo da dare luogo a un jet di tipo centrale. Sarà quindi sempre molto importante nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra sistolica accertare se un jet di rigurgito mitralico a direzione centrale sia causato da una dilatazione del diametro an-teroposteriore dell’anello mitralico oppure da un tethering simmetrico. Appare evidente che le due situazioni basate su condizioni fisiopatologiche molto di-verse prevedono anche un trattamento molto diverso. Una volta valutato con l’esame morfologico e con il color Doppler l’apparato valvolare mitralico, si avranno tutte le informazioni morfofunzionali utili a capire qual è il mecca-nismo della disfunzione valvolare. Con l’impiego del color Doppler sarà poi possibile valutare la gravità dell’insufficienza mitralica.

quANTIFICAzIONE DELL’INSuFFICIENzA MITRALICAI metodi di quantificazione del rigurgito mitralico sono molti e assai di-versi tra loro, tuttavia i più utilizzati in ambito clinico sono quelli basati sull’impiego del color Doppler, il quale, attraverso la visualizzazione del jet di rigurgito, consente di stimare la severità dell’insufficienza mitralica con modi diversi. Le tecniche di quantificazione più impiegate, basate sul color Doppler, sono:

j la vena contracta (Figura 10.26);j l’estensione dell’area del jet (Figura 10.27);j la planimetria dell’area del jet (Figura 10.28).

Un altro metodo impiegato per la quantificazione dell’insufficienza mitrali-ca è il Doppler pulsato delle vene polmonari (Figura 10.29). Il pattern di flus-so proveniente dalle vene polmonari è influenzato dall’insufficienza mitralica, determinando una riduzione progressiva della componente sistolica (Figura 10.30). I flusso venoso polmonare è tuttavia influenzato anche da altre condizioni

FIGuRA 10.26 Misurazione della vena contracta in un caso di insufficienza mitralica.

FIGuRA 10.27 Valutazione dell’estensione del jet nell’atrio sinistro.

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patologiche: la disfunzione diastolica (vedi Capitolo 8) e la disfunzione sistolica del ventricolo sinistro con aumento della pressione telediastolica. Quindi l’uso del Doppler delle vene polmonari nella quantificazione dell’insufficienza mitralica può essere fuorviante quando si associano altre condizioni come la disfunzione ventricolare sinistra, pertanto soltanto l’inversione della componente sistolica del flusso polmonare può essere considerata un segno attendibile di insufficienza mitralica severa. Alterazioni minori del flusso sistolico non sono così attendibili nella quantificazione dell’insufficienza mitralica.

Le tecniche di quantificazione dell’insufficienza mitralica di tipo quantitativo sono meno impiegate nella pratica clinica perché richiedono più tempo per i calcoli e possono essere soggette a errori.

Come già detto nel Capitolo 9, riguardo alla va-lutazione dell’insufficienza aortica, le metodiche basate sul color Doppler e su tecniche semiquanti-tative sono largamente più utilizzate e sono anche consigliate dalle raccomandazioni sull’appropria-tezza dell’uso dell’ecocardiografia. Descriveremo qui brevemente la modalità con cui è possibile effettuare una quantificazione dell’insufficienza mitralica con il metodo PISA, ma consigliamo di ricorrere alla vena contracta nella maggior parte delle valutazioni nella pratica clinica.

La vena contracta, come già descritto nel Capitolo 9, rappresenta la misura dell’ampiezza del jet alla sua origine sul piano valvolare. Questa misura si ottiene ponendosi in proiezione longitudinale

FIGuRA 10.28 Misurazione della planimetria del jet di rigurgito.

FIGuRA 10.29 Flusso venoso polmonare campionato con il Doppler pulsato allo sbocco della vena polmonare superiore sinistra con la TEE.

FIGuRA 10.30 Blunting della componente sistolica del flusso polmonare nell’insufficienza mitralica.

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della mitrale, quindi nelle proiezioni medioesofagee, attivando il color Doppler sull’area mitralica, ingrandendo l’immagine con lo zoom in modo da ottenere una buona visualizzazione dell’origine del jet e misurandone l’ampiezza, dopo aver congelato l’immagine in sistole. Bisogna sempre misurare la massima vena contracta che si riscontra dopo aver valutato il rigurgito nelle varie proiezioni.

Ricordiamo che la vena contracta è considerata un buon metodo di valutazione perché presenta una scarsa dipendenza dalle condizioni di carico e ha una forte correlazione con l’orifizio effettivo di rigurgito. I valori di riferimento per la quanti-ficazione dell’insufficienza mitralica per quanto riguarda la vena contracta sono:

j insufficienza mitralica lieve = vena contracta <3 mm;j insufficienza mitralica moderata = vena contracta fra 3 e 7 mm;j insufficienza mitralica severa = vena contracta >7 mm.

Per quanto riguarda l’estensione dell’area del jet, si considera un’insufficienza mitralica di tipo lieve quando il jet di rigurgito rimane confinato in prossimità del piano mitralico; l’insufficienza mitralica è definita moderata quando il jet di rigurgito raggiunge circa la metà dell’atrio sinistro, mentre quando il jet arriva al tetto dell’atrio sinistro è definita severa. Se, invece, si ricorre alla planimetria del jet di rigurgito, i valori di riferimento saranno:

j <3 cm2 di area = insufficienza mitralica lieve;j 6 cm2 di area = insufficienza mitralica severa.

Accanto ai criteri descritti per quantificare l’insufficienza vi sono aspetti strutturali che contribuiscono alla comprensione della gravità. Infatti, mentre in caso di insuffi-cienza lieve non vi sono di solito modificazioni delle dimensioni atriali, nel rigurgito moderato è talora riscontrabile un ingrandimento dell’atrio sinistro e del ventricolo sinistro, che sono invece segni sempre riscontrabili nell’insufficienza severa. Ovvia-mente, accanto a queste alterazioni strutturali delle camere sinistre, nei gradi severi di insufficienza si riscontrano le alterazioni dei lembi e dell’anulus descritte sopra.

VALuTAzIONE DELLA STENOSI MITRALICALa valutazione transesofagea della valvola mitrale stenotica si basa su un approc-cio sistematico alla valvola, come descritto nel caso dell’insufficienza mitralica. Andranno quindi effettuate tutte le proiezioni già viste, sia medioesofagee sia transgastriche, per ottenere una buona visualizzazione dell’apparato valvolare.

L’esplorazione con l’ecografia bidimensionale consente di evidenziare nel caso della stenosi mitralica gli aspetti anatomici, morfologici e funzionali tipici di questo tipo di patologia. Ricordiamo che la patologia di tipo reumatico è la più frequente causa di stenosi della valvola mitrale. Per questa ragione la patologia della valvola stenotica rientra tipicamente nel tipo 3A descritto da Carpentier, quindi dobbiamo aspettarci un ridotto movimento dei lembi. Infatti, l’esplorazione ecocardiografica evidenzia proprio una riduzione del movimento di apertura di entrambi i lembi della valvola mitrale, i quali si presentano anche ispessiti e con la caratteristica incurvatura diastolica, soprattutto del lembo anteriore (doming) (Figura 10.31).

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L’esame bidimensionale consente quindi di evi-denziare bene questi aspetti nell’apparato valvo-lare mitralico e permette di valutare l’estensione di questo tipo di alterazioni, cioè se si tratti di un interessamento prevalente dei lembi oppure se esso si estenda anche all’apparato sottovalvolare. In quest’ultimo caso le proiezioni transgastriche, specialmente l’asse lungo, permetteranno di met-tere in evidenza la presenza di fusione delle corde dell’apparato sottovalvolare.

Un aspetto importante della valutazione della stenosi mitralica riguarda l’estensione delle calci-ficazioni all’apparato valvolare, in quanto la loro presenza rappresenta un elemento molto impor-tante nella scelta del tipo di atteggiamento chirurgico da adottare per il paziente con stenosi mitralica severa. Il riscontro di estese calcificazioni dell’apparato valvolare orienta infatti verso un atteggiamento non conservativo della valvola.

quantificazione della stenosi mitralicaLa TEE consente anche la valutazione della severità della stenosi valvolare, cioè la quantificazione della valvulopatia. Le metodiche ecocardiografiche che permet-tono di quantificare la stenosi mitralica sono l’esame bidimensionale, il color Doppler e il Doppler spettrale. Con queste tre tecniche ci proponiamo sostan-zialmente di quantificare la gravità della riduzione dell’area valvolare mitralica attraverso la misurazione dell’area della valvola stessa e la quantificazione del gradiente di pressione transvalvolare.

L’ecografia bidimensionale consente di effettuare la misurazione dell’area valvolare della valvola mitrale in proiezione asse corto (Figure 10.32 e 10.33). Da tale ap-proccio è possibile calcolare l’area planimetrica della valvola in diastole. Questa misurazione si effettua nello stesso modo descritto nel caso della valvola aortica: posizionando il cursore sul bordo interno delle cuspidi della valvola mitrale e attivando il comando “traccia” si potrà percorrere l’intero profilo del margine delle cuspidi della valvola mitrale in modo da ottenere la traccia dell’intera area valvolare.

Questa metodica consente di avere immediatamente la misura dell’area valvolare mi-tralica ma, come già detto per la stenosi aortica, nei casi in cui tale misura è realmente necessaria spesso non è possibile ottenerla a causa delle calcificazioni e delle gravi alterazioni flogistiche dei lembi, che rendono difficoltoso essere precisi nel tracciare il bordo interno dei lembi. La quantificazione sarebbe veloce, qualora si riuscisse a definire bene l’area con questa metodica, e la gravità della stenosi verrebbe valutata nel seguente modo:

j lieve, se l’area valvolare risulta tra 1,5 e 2,5 cm2;j moderata, se l’area è tra 1 e 1,5 cm2;j severa, se l’area è <1 cm2.

FIGuRA 10.31 Doming del lembo anteriore della mitrale.

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Con il color Doppler è possibile valutare le anomalie di flusso sulla valvola stenotica, le quali si comportano come accelerazione e turbolenza diastolica e come possibile presenza di insufficienza mitralica. L’accelerazione diastolica è evidenziabile attra-verso la visualizzazione del mosaico di colore in fase diastolica. Durante l’apertura della valvola mitrale stenotica si verifica un’accelerazione del sangue che passa attra-verso l’orifizio stenotico e questa accelerazione viene codificata dal color Doppler con il tipico mosaico di colore. Sappiamo che nella stenosi mitralica può coesistere anche un’insufficienza mitralica. In questo caso il color Doppler consente anche di visualizzare un jet di rigurgito durante la fase sistolica del ciclo cardiaco. Ciò che è invece molto più utile nella quantificazione della stenosi mitralica è l’impiego del Doppler spettrale, con il quale è infatti possibile riconoscere e misurare l’aumento della velocità del sangue attraverso l’orifizio stenotico durante la diastole. Pertanto i criteri che vengono impiegati per la quantificazione della stenosi mitralica con il Doppler fanno riferimento ai gradienti transvavolari di picco e medio.

La misurazione della velocità transvalvolare durante la diastole con il Doppler e l’applicazione della formula del teorema di Bernoulli, esposta nel Capitolo 31, con-sentono di misurare immediatamente il gradiente transvalvolare. La misurazione della velocità di picco permette, applicando l’equazione di Bernoulli, di conoscere immediatamente il gradiente di picco, mentre la traccia con il calibro dell’apparec-chio dell’intero profilo di velocità registrato sulla valvola con il Doppler consente di ottenere immediatamente la misura del gradiente medio. Quest’ultima è considerata di gran lunga il metodo più attendibile di quantificazione della stenosi mitralica in clinica, anche più importante del gradiente di picco. Pertanto, se eseguiamo la misu-razione con il Doppler continuo del gradiente medio sulla valvola mitrale, potremo quantificare la severità della stenosi mitralica (Figura 10.34) come segue:

j lieve, se il gradiente medio è <5 mmHg;j moderata, se il gradiente medio è tra 5 e 12 mmHg;j severa, se il gradiente medio è >12 mmHg.

FIGuRA 10.33 Planimetria dell’area valvolare mitralica alla TTE.

FIGuRA 10.32 Planimetria dell’area valvolare mitralica alla TEE.

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Un altro modo di quantificare la stenosi mitralica, basato sempre sull’uso del Dop-pler spettrale, è il cosiddetto tempo di dimezzamento pressorio (PHT) (Figura 10.35). La quantificazione della stenosi mitralica con il PHT si basa sulla misurazione del tempo necessario al dimezzamento del gradiente di picco misurato sulla valvola con il Doppler spettrale. In altre parole, si tratta di misurare la velocità diastolica con il Doppler continuo, di misurare il gradiente di picco esistente in diastole sulla valvola attraverso l’equazione di Bernoulli e quindi di vedere in quanto tempo questo gradiente si dimezza. Questo metodo nasce dall’osservazione che in soggetti con un’area valvolare mitralica di 1 cm2, misurata durante l’autopsia, il tempo di dimezzamento del gradiente transvalvolare in vita all’ecocardiogramma pre mortem era di 220 msec. Si è cioè dimostrato che in presenza di un’area valvo-lare mitralica di 1 cm2 il tempo necessario perché il gradiente di picco misurato su questa valvola stenotica si riduca della metà è di 220 msec.

Partendo da questo assunto, è facile capire che, se misuriamo quanto tempo impie-ga nel nostro paziente il gradiente di picco a dimezzarsi, indipendentemente dal suo valore assoluto di partenza, possiamo ottenere l’area valvolare mitralica del nostro paziente dividendo 220, che è il gold standard per il tempo trovato nel nostro paziente. Per esempio, se il paziente presenta un PHT di 100 msec, la sua area valvolare mitralica sarà data da 220/100 = 2,2 cm2.

Come si vede il metodo non è complesso, anche perché la determinazione del PHT è fatta automaticamente dal software dell’ecocardiografo. Va però tenuto presente che questo metodo è molto influenzato dalle variazioni di carico del cuore, quindi negli scenari critici e intensivi in cui viene applicata la TEE l’utilizzo del PHT richiede cautela: utilizzarlo, per esempio, per la valutazione dell’area valvolare mitralica in sala operatoria dopo un intervento di plastica della mitrale può essere difficoltoso e fuorviante, poiché dopo la circolazione extracorporea le condizioni di carico del cuore sono fortemente influenzate dall’uso degli

FIGuRA 10.34 Quantificazione del gradiente medio transmitralico al Doppler continuo.

FIGuRA 10.35 Valutazione dell’area mitralica con la misurazione del PHT.

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anestetici generali, dalla ventilazione meccanica, dalla somministrazione di fluidi, di inotropi ecc. Se si tiene conto di queste limitazioni, l’uso del PHT in uno scenario in cui si cerchi di ottimizzare le condizioni di carico del cuore può tuttavia rappresentare uno strumento pratico di quantificazione dell’area valvolare mitralica. I valori di riferimento per la quantificazione sono:

j stenosi lieve, se il PHT è tra 90 e 150 msec;j stenosi moderata, se il PHT è tra 150 e 220 msec;j stenosi severa, se il PHT >220 msec.

Concludendo, possiamo ricordare che la quantificazione della stenosi mitralica si basa quindi su tre metodiche: la planimetria dell’area valvolare con l’ecografia bidi-mensionale; la misurazione del gradiente medio transvalvolare con il Doppler continuo; la misurazione del PHT con il Doppler continuo.

La valutazione della stenosi mitralica è importante anche in area critica, poi-ché nei pazienti che ne sono affetti sono possibili gravi alterazioni del profilo emodinamico in conseguenza di fatti acuti. Per esempio, un soggetto portatore di una stenosi mitralica, se perde improvvisamente il ritmo sinusale, va incontro a una severa riduzione della portata cardiaca e anche a un aumento acuto della pres-sione atriale sinistra. È facile comprendere come, in presenza di un’area mitralica ridotta, l’improvvisa perdita del ritmo sinusale possa aumentare in maniera acuta la pressione atriale sinistra e mandare il paziente in edema polmonare e in bassa portata. Quindi il rianimatore o l’intensivista o il medico di emergenza che si trovi a gestire un improvviso deterioramento emodinamico in un paziente in cui all’au-scultazione si rileva il tipico rumore di apertura da stenosi mitralica deve tenere fortemente in considerazione questo dato nell’inquadramento dell’emodinamica del paziente che abbia avuto un passaggio acuto alla fibrillazione atriale.

Vi sono anche altre condizioni che richiedono una valutazione attenta, con la TEE, del paziente con stenosi mitralica in area critica. Per esempio, il paziente che presen-ti fenomeni tromboembolici a seguito dei quali si trovi ricoverato in terapia inten-

siva, per ipotesi perché è portatore di una lesione cerebrale oppure di un’embolizzazione coronarica o per altri motivi ancora, deve essere prontamente riconosciuto come un soggetto affetto da stenosi mitralica e deve essere esplorato anche per le pos-sibili condizioni a essa associate, come la trombosi dell’auricola sinistra (Figura 10.36) e la trombosi atriale sinistra, che possono essere causa di gravi fenomeni di embolizzazione sistemica.

Quindi la stenosi mitralica, pur essendo una pato-logia non più frequente nella popolazione (anche se tutti sappiamo come il cambiamento in corso nel nostro Paese dovuto ai flussi migratori stia portando a una ricomparsa della patologie reu-matiche valvolari), deve essere sempre esplorata con attenzione negli scenari critici con la TEE.

FIGuRA 10.36 Riscontro di un trombo auricolare alla TEE.

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quANTIFICAzIONE DELL’AREA VALVOLARE MITRALICA CON IL METODO PISANel Capitolo 31 si afferma che, in prossimità di un restringimento della sezione del condotto in cui scorre il sangue, la velocità del sangue aumenta per rispettare il principio della conservazione del flusso (Figura 10.37).

Nella patologia mitralica l’accelerazione del sangue avviene approssimandosi alla valvola dal lato atriale nel caso della stenosi, dal lato ventricolare nel caso dell’insufficienza. In entrambe le evenienze vi sarà un orifizio (la valvola steno-tica in un caso, l’orifizio di rigurgito nell’altro) che causerà l’accelerazione dei globuli rossi.

Il sangue, approssimandosi alla valvola, accelera e i globuli rossi si dispongono secondo una sequenza di “gusci” emisferici concentrici (Figura 10.38) che con-vergono verso il piano valvolare. Bisogna immaginare che tali emisfere hanno velocità diverse tra loro: più ci si avvicina alla valvola, maggiori saranno le velo-cità. In base all’equazione di continuità, il flusso sarà lo stesso a livello di ogni emisfera e, siccome avvicinandosi progressivamente alla valvola l’area di ogni emisfera si riduce, la velocità del sangue a ogni emisfera aumenterà per mantenere il flusso costante. Inoltre, il flusso che passa per un’emisfera in prossimità della valvola sarà lo stesso che passa attraverso la valvola. In base a questo principio, più volte enunciato, se sappiamo calcolare il flusso sull’emisfera e misurare la velocità del sangue attraverso la valvola, riusciamo a calcolare l’area della valvola mitrale stenotica o l’area dell’orifizio di rigurgito.

L’area di una sfera è calcolabile applicando la formula geometrica 4 π × r2; quindi l’area di un’emisfera, detta Proximal Isovelocity Surface Area, da cui deriva il famoso acronimo PISA, sarà:

FIGuRA 10.37 Principio della conservazione del flusso: in presenza di un restringimento del condotto la velocità del sangue aumenta per garantire la costanza del flusso. A1: sezione del condotto; A2: sezione del condotto in corrispondenza del restringimento; V1: velocità del flusso attraverso la sezione A1; V2: velocità del flusso attraverso le sezioni A2 che si presenta ristretta rispetto ad A1.

FIGuRA 10.38 Rappresentazione schematica delle emisfere concentriche in cui si dispongono i globuli rossi convergendo verso l’orifizio. Su ciascuna emisfera è rappresentata una velocità che aumenta all’approssimarsi all’orifizio. Viceversa, la superficie si riduce avvicinandosi all’orifizio.

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4π × r2/2 = 2π × r2

mentre la velocità dell’emisfera in avvicinamento sarà data dal color Doppler che evidenzia l’emi-sfera stessa.

Come eseguire le misurazioni con il metodo PISAPartiamo dall’area dell’emisfera e ci poniamo in proiezione asse lungo (Figura 10.39), applichia-mo il color Doppler sulla valvola mitrale e attivia-mo lo zoom per avere una migliore definizione. A questo punto, se riduciamo la soglia della scala

del color Doppler, provochiamo una riduzione del limite di aliasing del color Doppler e ciò comporterà la visualizzazione di un’emisfera nettamente delineata in prossimità della valvola sul versante atriale. Per misurare l’area di tale emisfera (2 π × r2) dobbiamo quindi misurarne il raggio r e lo facciamo partendo dalla base dell’emisfera sul piano valvolare e andando verso il bordo riconoscibile dell’emisfera stessa. Purtroppo in vivo l’emisfera non è mai una vera emisfera, nel senso che non ha una base piatta a causa della morfologia della valvola mitrale; per questo motivo bisogna introdurre nella formula un fattore di correzione per l’angolo a misurato alla base. Quindi abbiamo:

PISA = 2π × r2 × a/180

Non servono lunghi commenti per far capire quanto nella pratica clinica la mi-surazione dell’angolo a possa introdurre elementi di errore.

Per quanto riguarda la misura della velocità sulla superficie dell’emisfera, questa è immediatamente ottenuta guardando alla scala del colore che avevamo preceden-temente manipolato per evidenziare l’emisfera: la velocità sarà quella del limite di Nyquist, presente sulla scala del color Doppler. Quindi, avendo ottenuto l’area dell’emisfera e la sua velocità, siamo in grado di misurare il flusso (equazione di flusso), che è uguale sulla mitrale stenotica:

PISA × Valiasing = MVA × Vpicco mitrale

Quindi, se misuriamo la velocità del sangue attraverso la valvola stenotica con il Doppler continuo, otteniamo l’ultimo elemento che ci occorre per calcolare l’MVA, cioè la velocità di picco sulla mitrale:

MVA = PISA × Valiasing /Vpicco mitrale

quantificazione dell’insufficienza mitralica con il metodo PISAIl metodo PISA può essere impiegato nella quantificazione dell’insufficienza mitrali-ca, consentendo di misurare l’EROA e il VR. Non ripetiamo qui gli aspetti teorici che sottendono all’uso di questo metodo e al suo significato, poiché sono stati delineati a

FIGuRA 10.39 Valutazione al color Doppler dell’emisfera di velocità che si delinea sul piano valvolare.

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Ecocardiografia nella valutazione della valvola mitrale CAPITOLO 10 157

proposito dell’applicazione del metodo PISA nella quantificazione dell’area mitralica nella stenosi valvolare mitralica. È evidente che nell’insufficienza mitralica l’emisfera a cui si fa riferimento è quella che si forma in prossimità della valvola insufficiente, quindi questa volta sul versante ventricolare della valvola. La proiezione da usare sarà ancora una medioesofagea asse lungo. Anche in questo caso è necessario ridurre il limite di Nyquist per far comparire un’emisfera più grande e meglio valutabile. I calcoli per misurare l’area dell’emisfera sono quelli visti sopra:

PISA = 2π × r2 × a/180

dove r è il raggio dell’emisfera e a l’angolo. Nelle lesioni di tipo 2 (prolasso) è facile immaginare quanto l’angolo dell’emisfera possa risultare lontano da 180°.

Flusso sull’emisfera = 2π × r2 × Valiasing

dove la velocità V sarà data dal limite di Nyquist sulla scala del color Doppler. Il flusso passante per l’orifizio mitralico attraverso il quale la valvola risulta in-sufficiente è uguale a quello dell’emisfera (conservazione del flusso), pertanto applicando l’equazione di continuità è possibile misurare l’ampiezza, espressa in millimetri quadrati, dell’orifizio di rigurgito.

EROA = 2π × r2 × Valiasing/Vpicco rigurgito

dove Vpicco rigurgito è la velocità massima del jet di rigurgito della mitrale. Se poi misuriamo il VTI del jet di rigurgito, possiamo misurare il VR moltiplicando il VTI per l’EROA.

VR = EROA × VTIrigurgito

Un’EROA >0,4 cm2 definisce un’insufficienza mitralica severa, mentre un valore <0,2 cm2 definisce un’insufficienza mitralica lieve. Un VR >0,6 definisce un’in-sufficienza mitralica severa, mentre un valore <0,3 definisce un’insufficienza mitralica lieve.

Come si vede questo interessante metodo di misurazione dell’area mitralica è basato su un forte assunto fisico, tuttavia presenta limiti che appaiono immediati, specie se si volesse immaginarne l’impiego in area critica: il tempo necessario per le misurazioni, in particolare per qualla dell’angolo (!), la manipolazione del color Doppler, la possibilità di errore nella determinazione del raggio dell’emi-sfera: ognuno di questi passi può introdurre errori enormi nel risultato. Per queste ragioni, pur avendo descritto il metodo per completezza, non riteniamo di consigliarlo nell’applicazione routinaria negli scenari clinici di area critica, ma solo in casi selezionati e da parte di un operatore molto esperto.

uTILITà DELL’ECOCARDIOGRAFIA NELLA VALuTAzIONE MITRALICA IN AREA CRITICAL’impiego dell’ecocardiografia nella valutazione della disfunzione mitralica in area critica può essere di grande rilievo. La patologia valvolare mitralica infatti può essere il motivo che porta il paziente al ricovero in area intensiva (si pensi al paziente con infarto del miocardio e insufficienza mitralica acuta ed edema

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polmonare), ma può essere anche in grado di condizionarne l’andamento emo-dinamico anche se il ricovero è dovuto a un altro motivo.

In terapia intensiva non è infrequente trovarsi in difficoltà nella gestione dello svezzamento dalla ventilazione meccanica di un paziente ricoverato per motivi vari. Nella maggior parte dei casi tale difficoltà viene attribuita a una problema-tica respiratoria ma è esperienza quotidiana che il mancato svezzamento di un paziente dal ventilatore possa essere dovuto a una patologia cardiaca e spesso quella mitralica è in gioco in queste situazioni. Nei pazienti anziani non è infre-quente il riscontro occasionale di un’insufficienza mitralica di grado non severo o di una stenosi mitralica anch’essa di grado non severo che tuttavia possono diventare determinanti nella procedura di svezzamento dal ventilatore. Ricono-scere in un paziente la presenza di un’insufficienza mitralica non nota durante la diagnostica, che porti a comprendere le motivazioni di un difficile svezzamento dal ventilatore, è un’informazione di grande importanza. Va infatti considerato che il passaggio del paziente dalla ventilazione meccanica a quella spontanea così come la riduzione dei supporti di ventilazione possono indurre in un paziente con insufficienza mitralica un aggravamento del rigurgito valvolare per l’aumento della pressione transmurale del ventricolo sinistro.

Quindi, in condizioni di difficoltoso svezzamento dal ventilatore, l’intensivista deve sempre valutare il paziente con l’ecocardiografia e ricorrere all’approccio transesofageo qualora le informazioni dalla finestra transtoracica risultino insuf-ficienti. L’insufficienza mitralica in questi casi può essere su base organica, come abbiamo visto, ma può anche riconoscere una causa di tipo ischemico funzionale. Non è difficile capire come lo svezzamento dal ventilatore possa rappresentare una vera e propria prova da sforzo, durante la quale il paziente può manifestare la disfunzione ventricolare sinistra e l’associata insufficienza mitralica. È per questo motivo che spesso l’ecocardiogramma effettuato in condizioni basali o di riposo può risultare del tutto normale, può cioè non rivelare la causa di una difficoltà allo svezzamento dal ventilatore. L’esecuzione dell’esame durante manovre di svezzamento può, invece, slatentizzare la presenza di un’insufficienza mitralica e può mettere l’operatore nella condizione di riconoscere il meccanismo che porta il paziente a non riuscire a svezzarsi dal ventilatore.

Un altro scenario in cui è molto importante lo studio transesofageo dell’insuffi-cienza mitralica è quello che riguarda il paziente settico. I motivi per cui la TEE può essere utile in questo tipo di paziente sono descritti nel Capitolo 14, qui però vale la pena ricordare che un paziente con una sepsi grave e persistente, con una resistenza alla terapia e che presenti un’instabilità emodinamica di dif-ficile soluzione può avere un’endocardite della valvola mitrale. La TEE consente all’intensivista di giungere a una diagnosi che può cambiare completamente lo scenario in termini di trattamento; infatti, se il paziente viene riconosciuto come affetto da una grave insufficienza mitralica su base endocarditica questa informazione cambia completamente l’approccio verso la sua condizione. Non sarà probabilmente più sufficiente trattarlo con l’antibioticoterapia, con le me-todiche di ultrafiltrazione e quant’altro, ma sarà da valutare l’indicazione alla chirurgia.

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Ecocardiografia nella valutazione della valvola mitrale CAPITOLO 10 159

Un altro esempio importante in cui la valutazione della valvola mitrale può essere dirimente in area intensiva è nel paziente con trauma toracico. Nel Capitolo 18 sono stati affrontati i punti che rendono la TEE utile in certe circostanze, tuttavia desideriamo ricordare come la comparsa dell’insufficienza mitralica in un trauma toracico sia un’evenienza possibile a seguito tanto di meccanismi contusivi del miocardio quanto di una lesione e di una rottura di un muscolo papillare o di un lembo della mitrale. La dinamica del trauma toracico, cioè la presenza di un meccanismo di tipo compressivo o di compressione-decompressione e l’auscul-tazione di un soffio sistolico sul torace, deve indurre l’intensivista a esplorare il paziente con l’ecocardiogramma. In un paziente che si presenti difficile all’esplo-razione transtoracica, come può essere un soggetto con trauma toracico, la TEE consentirà di valutare se vi sia appunto una lesione della valvola mitrale. Questo, com’è intuitivo, può portare a un completo cambiamento di gestione del paziente dal punto di vista emodinamico e del trattamento.

Come si vede, sono numerosi gli esempi di quadri clinici in cui lo studio della funzione valvolare mitralica in area critica può essere importante. Si tratta di sce-nari tipicamente intensivi nei quali il riconoscimento di una patologia mitralica acuta oppure il riconoscimento di una preesistente patologia mitralica in una condizione acuta di altra natura può influenzare l’atteggiamento terapeutico e anche manovre che riguardano la gestione emodinamica e lo svezzamento dal ventilatore. Per questo motivo riteniamo che le informazioni fornite in questo capitolo sulla funzione e sulla diagnostica della valvola mitrale debbano essere note agli intensivisti e non facciano parte esclusivamente del bagaglio culturale dello specialista cardiologo. La diffusione dell’uso degli ultrasuoni in area critica richiede agli utilizzatori intensivisti, rianimatori e alle altre figure professionali coinvolte conoscenze di base dell’anatomia, della fisiologia, della patologia e della fisiopatologia dell’apparato valvolare mitralico.

Pensiamo di avere fornito in questo capitolo numerosi spunti di riflessione sull’importanza che ricopre un’attenta valutazione della funzione valvolare mi-tralica nel paziente in area critica e quindi di avere convinto i colleghi dell’impor-tanza, per chi si avvicina all’utilizzo degli ultrasuoni in area critica, di acquisire anche un bagaglio culturale spesso non tipicamente patrimonio dei medici che lavorano in tale ambito.

Un ultimo punto che desideriamo toccare riguarda la necessità di avere sempre un approccio sistematico. Questo è un aspetto che vale in qualsiasi tipo di paziente e in qualsiasi tipo di situazione qualora si utilizzi l’ecocardiografia. Nel caso dello studio della funzione valvolare mitralica la complessità dell’apparato che si vuole esaminare e la complessità degli aspetti fisiopatologici che sottendono a molte sue condizioni di disfunzione rendono l’approccio sistematico assolutamente mandatorio. Pertanto raccomandiamo sempre di non soffermarsi con la TEE alle prime immagini chiare, belle, apparentemente esplicative del problema che si sta studiando. Invitiamo invece a fare sempre prima un esame completo, che a un ope-ratore abituato ed esperto richiede non molti minuti, prima di effettuare qualsiasi diagnosi ed esprimere qualsiasi giudizio clinico. Ricordiamo che l’esplorazione con l’ecografia della mitrale porta ad avere sullo schermo dell’ecografo un’immagine

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che rappresenta una sottilissima porzione di un apparato tanto complesso e non è pensabile, attraverso un’immagine estremamente sottile di una struttura che ha invece un’enorme complessità tridimensionale, giungere a qualsiasi conclusione di tipo funzionale. Ricordiamo che la nostra visione della mitrale attraverso una qualsiasi delle proiezioni che possiamo utilizzare è una visione infinitamente piccola rispetto alla complessità anatomica e funzionale dell’apparato.

ECOCARDIOGRAFIA TRANSESOFAGEA INTRAOPERATORIA NELLA ChIRuRGIA RIPARATIVA DELLA VALVOLA MITRALEPrima dell’introduzione della TEE la valutazione pre-, intra- e postoperatoria della valvola mitrale dipendeva completamente dall’ispezione chirurgica eseguita nel corso dell’intervento. Da molti anni invece l’introduzione di questa metodica dia-gnostica consente al chirurgo di pianificare l’intervento e di ottenere l’immediata valutazione del risultato della riparazione in un modo estremamente pratico, affi-dabile, poco invasivo e soprattutto molto time-consuming. Infatti, la presenza della sonda e dell’apparecchio per la TEE in sala operatoria permette di realizzare la va-lutazione con una tempistica immediata e di evitare al paziente di uscire dalla sala operatoria senza una completa e definitiva disamina del risultato chirurgico.

La chirurgia riparativa della valvola mitrale ha assunto negli ultimi anni un ruolo molto importante nella cura dei pazienti, questo perché alla riparazione valvolare sono riconosciuti vantaggi nettamente superiori rispetto alla chirurgia sostitutiva della valvola. I principali vantaggi della riparazione mitralica sono:

j la preservazione della funzione ventricolare sinistra, attraverso il risparmio della continuità valvola-ventricolo;

j un basso rischio di eventi tromboembolici a distanza;j la non necessità di assumere una terapia anticoagulante cronica;j la ormai eccellente durata della riparazione valvolare.

A fronte di questi vantaggi è tuttavia necessario sottolineare che vi sono anche condizioni che consento la riparazione della valvola e condizioni che, invece, rendono proibitivo l’approccio conservativo.

I criteri che rendono una valvola mitrale suscettibile di essere riparata vanno di-stinti in base alla patologia valvolare. In quelle organiche, la controindicazione alla riparazione è rappresentata dalla presenza di estese calcificazioni della regio-ne anulare e/o dei lembi valvolari; nella patologia ischemica il fattore limitante è rappresentato dalla funzione ventricolare sinistra, in particolare dalla severa disfunzione contrattile in assenza di miocardio vitale.

Le linee guida della Società Europea di Ecocardiografia hanno affrontato il te-ma della valutazione della riparazione mitralica in termini di prevedibilità del successo. In esse sono confermati come criteri di probabile buon risultato della riparazione l’assenza di calcificazioni estese dell’anulus e dei lembi, l’assenza di una severa deformazione dell’apparato valvolare, che è sempre da mettere in

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Ecocardiografia nella valutazione della valvola mitrale CAPITOLO 10 161

relazione con fenomeni rilevanti di rimodellamento ventricolare, e l’assenza di un prolasso esteso a più di tre scallop dei lembi valvolari.

Nella riparazione valvolare mitralica la valutazione ecocardiografica inizia sem-pre con l’identificazione dei criteri che rendono una valvola suscettibile di ripa-razione, al fine di poter iniziare il planning chirurgico e decidere quale tipo di riparazione possa essere applicata.

Valutazione intraoperatoria prima della circolazione extracorporeaPrima del by-pass cardiopolmonare la TEE si pone i seguenti obiettivi:

j confermare la diagnosi preoperatoria di disfunzione valvolare;j valutare la morfologia e la funzione dell’apparato valvolare mitralico;j determinare il preciso meccanismo della disfunzione valvolare;j valutare la fattibilità della riparazione.

Chi esegue l’ecocardiografia in questo contesto clinico deve avere ben chiare le finalità di una riparazione valvolare. Quest’ultima si propone l’obiettivo di:

1. correggere la disfunzione dei lembi;2. fornire la più ampia superficie possibile di coaptazione;3. stabilizzare l’anulus.

Questi tre scopi della chirurgia riparativa sono da tenere sempre presenti da parte dell’ecocardiografista, perché le informazioni ottenute nell’esame ecografico della mitrale consentiranno di accoppiare gli scopi e le informazioni anatomofunzionali in un percorso di fattibilità e di pianificazione della riparazione.

La valutazione dopo il by-pass cardiopolmonare ha invece i seguenti scopi:

j valutare il risultato della procedura chirurgica;j valutare la funzione ventricolare sinistra;j riconoscere eventuali complicanze.

In questa fase di valutazione, dopo la circolazione extracorporea, l’ecocardiogra-fista deve sempre provare a rispondere a tre domande che raccolgono i tre scopi fondamentali della riparazione:

1. La disfunzione dei lembi è corretta?2. La superficie di coaptazione è sufficiente?3. L’anulus è stabilizzato?

Valutazione ecocardiografica transesofageaLa valutazione della valvola mitrale nel contesto della riparazione chirurgica si basa su un attento studio di tutte le componenti anatomiche che sono state descritte all’inizio di questo capitolo. Gli aspetti anatomici e funzionali vengono valutati attraverso una sistematica e attenta sequenza di scansioni e seguono le proiezioni standard delle linee guida ormai consolidate da molti anni. Le proie-zioni utili a questo scopo sono trattate nel Capitolo 4, cui si rimanda.

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In questa occasione desideriamo sottolineare l’importanza di avere sempre un atteggiamento sistematico e di fare un esame completo al fine di non perdere informazioni importanti, come può invece accadere se non si eseguono tutte le proiezioni della TEE.

Aspetti di meccanica valvolareQuando si affronta il problema della riparazione mitralica in ecocardiografia bisogna sempre ricordare che l’apertura e la chiusura dei lembi valvolari sono determinate dai seguenti fattori:

j la caduta di pressione transvalvolare;j la contrazione dell’anulus e dei muscoli papillari;j l’effetto dell’emodinamica ventricolare.

Questi fattori sono fortemente influenzati dall’interazione fluido-struttura, che nel caso della mitrale assume un ruolo particolarmente rilevante nel determina-re il funzionamento dell’apparato valvolare. Da questo punto di vista è molto importante considerare che le proprietà dei materiali di cui è fatta la valvola, lo spessore dei tessuti, l’orientamento delle fibre collagene e anche delle corde tendinee sono tutti elementi di grande importanza.

Le componenti che sottendono all’interazione fluido-struttura interagiscono durante la dinamica valvolare determinando una precisa dispersione delle forze meccaniche sulla superficie dei lembi della valvola.

Da studi condotti su modelli fisico-matematici, nonché da valutazioni condotte anche con l’ausilio della risonanza magnetica e della TC 3D, oggi sappiamo che durante il ciclo cardiaco la superficie dei diversi segmenti dei lembi valvo-lari va incontro a carichi meccanici differenziati nelle varie fasi della sistole. Le zone maggiormente soggette sia al displacement sia al carico meccanico sono quelle centrali degli scallop A1 e A3 e le aree di coaptazione del lembo posteriore, soprattutto nelle regioni di P1 e P3. Il carico meccanico si trasmette ai lembi valvolari attraverso l’apparato sottovalvolare, in particolare attraverso le corde tendinee la cui precisa distribuzione è stata già affrontata nella parte sull’anatomia.

Vale la pena ricordare che durante il ciclo cardiaco, in particolare nella fase si-stolica, lo stress meccanico si sposta sulla superficie dei lembi, a seconda della fase del ciclo sistolico in cui ci si trova (Figura 10.40), e si può osservare come le parti soggette a maggiore stress durante la fase terminale della sistole siano le porzioni centrali degli scallop anteriore e posteriore.

La precisa interazione tra il fluido, cioè la massa ematica, e la struttura dell’ap-parato valvolare è un determinante fondamentale del corretto funzionamento della valvola, cioè della sua competenza sistolica. In caso di patologia quello che succede è proprio la rottura della normale interazione fluido-struttura. Si provi a immaginare una patologia degenerativa che, attraverso l’allungamento delle corde tendinee o una lassità dei segmenti dei lembi, determini un’abnorme inte-razione tra il pool ematico e la struttura morfologica della valvola. È ugualmente

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facile intuire che, nella patologia di tipo ischemico funzionale, i meccanismi di retrazione dei lembi valvolari o di dilatazione anulare o di rimodellamento della parete ventricolare con displacement papillare saranno tutti responsabili di una rottura della normale interazione fluido-struttura.

Questi aspetti, che apparentemente hanno un’importanza solo teorica, sono invece da considerare durante la valutazione ecocardiografica, poiché il ricono-scimento delle alterazioni morfofunzionali porterà l’ecocardiografista a conoscere in quale porzione del complesso apparato valvolare l’interazione fluido-struttura è alterata e quali possano essere le modalità di ripristino di tale interazione, at-traverso l’applicazione delle tecniche riparative più idonee caso per caso.

Se consideriamo l’insieme dell’apparato valvolare mitralico in fase di diastole e di sistole del ciclo cardiaco possiamo riassumere le forze che determinano il normale funzionamento della valvola in forze di apertura e forze di chiusura. Si tratta di un mix di forze idrodinamiche e di forze meccaniche, le quali ovviamente interagiscono nel determinare la normale interazione fluido-struttura.

Le varie condizioni di patologia alterano il meccanismo di questa interazione determinando quadri che possono essere molto facilmente incasellati nella classi-ficazione funzionale di Carpentier descritta in precedenza. Per esempio, il tipo 1 dell’insufficienza mitralica, cioè quella in cui il movimento dei lembi è assoluta-mente normale, è un classico esempio di rottura della normale interazione fluido-struttura determinata, per esempio, da una dilatazione anulare o dalla perforazione

FIGuRA 10.40 Variazione dello stress cordale nelle fasi del ciclo sistolico.

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di un lembo. Nel tipo 2 di Carpentier, invece, l’alterazione è determinata dalla patologia degenerativa attraverso un allungamento delle corde, un prolasso del lembo o un flail di parti o di interi lembi valvolari e causa la perdita di coaptazione e l’insufficienza mitralica. Nel tipo 3 di Carpentier sappiamo che l’anomalia consiste 1) nel sottotipo A, nella presenza di estese calcificazioni di fenomeni fibrotici della valvola; 2) nel sottotipo B, nella retrazione dei lembi valvolari esercitata dalle forze di tethering conseguenti al rimodellamento della camera ventricolare.

È facile intuire che l’osservazione ecocardiografica dell’interazione tra le varie strutture, il riconoscimento del meccanismo di anomalia e la successiva asse-gnazione a una delle classi di Carpentier rappresentano un processo tanto facile quanto rilevante di schematizzazione e di classificazione della problematica mitralica di un singolo paziente.

Quando applichiamo la TEE in questo contesto, otteniamo quindi informazioni che hanno una grande importanza nella comprensione del meccanismo, che è un processo fondamentale di valutazione della patologia valvolare mitralica, dell’interazione fluido-struttura e delle possibili riparazioni per il ripristino della normalità di quest’ultima.

Valutazione dopo la riparazioneIl risultato che ci si aspetta è quello di una competenza della valvola e dell’assenza di gradiente transvalvolare. In relazione alle conseguenze in termini di outcome a distanza (libertà da eventi, necessità di reintervento) sono accettabili solo even-tuali rigurgiti residui lievi e gradienti trascurabili (<5 mmHg).

La TEE intraoperatoria tesa a valutare il risultato chirurgico, quindi effettuata su-bito dopo l’uscita dal by-pass cardiopolmonare, si propone una serie di obiettivi che possiamo in maniera generale distinguere a seconda che si stia valutando la riparazione in una malattia organica della valvola mitrale o in una malattia ischemica o funzionale. Nella riparazione effettuata in presenza di alterazioni della valvola di tipo organico è molto importante guardare:

j la funzione dei lembi;j la superficie di coaptazione;j l’eventuale presenza di rigurgito residuo;j l’eventuale presenza di gradiente transvalvolare.

Tutti questi aspetti dovranno essere letti dall’ecocardiografista all’interno della tecnica chirurgica che è stata utilizzata. È infatti molto importante effettuare la valutazione conoscendo esattamente quale riparazione chirurgica è stata uti-lizzata in quel caso, poiché il tipo di intervento e i gesti correttivi messi in atto influenzano fortemente la normale funzione valvolare e gli esiti visibili dopo la circolazione extracorporea. In altre parole, chi esegue questo tipo di ecocardio-grafia deve essere esperto delle tecniche chirurgiche in modo da poter cogliere anche sfumature di alterazione della riparazione valvolare e poter quindi fornire eventualmente informazioni relative alla necessità di una re-riparazione nel corso dello stesso intervento.

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Quando invece si valuta un paziente con patologia ischemica o funzionale, ol-tre ai criteri espressi sopra relativi alla funzione valvolare, alla coaptazione, alla presenza di insufficienza o di gradiente residuo, sarà molto importante valutare anche la funzione ventricolare in termini globali, sistodiastolici e di alterazioni regionali e valutare anche la funzione biventricolare, in quanto l’interazione tra le due camere ventricolari può essere responsabile di alterazioni funzionali che devono essere prontamente riconosciute.

Si possono dare alcuni suggerimenti pratici a chi esegue questo tipo di va-lutazione. Innanzitutto, consigliamo di guardare sempre, per prima cosa, il movimento dei lembi, che devono sempre potersi aprire liberamente, non devono mostrare limitazioni al movimento, fissità nel movimento o addirit-tura completa assenza di movimento. Quindi conviene procedere a osservare se il lembo posteriore offre superficie di coaptazione a quello anteriore. Nella maggior parte dei casi, infatti, dopo una tecnica riparativa, il lembo posteriore assume l’atteggiamento simile al battente di una porta e quest’ultima è rappre-sentata dal lembo anteriore.

Un altro dato molto pratico da considerare con attenzione è che l’escursione del lembo anteriore avvenga nel piano anteriore: qualsiasi movimento del lembo anteriore che non avvenga nel piano anteriore della valvola deve essere conside-rato con sospetto.

Un altro consiglio pratico che ci sentiamo di dare è considerare che tutte le volte che si è in presenza di un impianto di anello valvolare o di una protesi valvolare, cioè tutte le volte che ci si trova in difficoltà a causa degli artefatti che questi materiali determinano, ostacolando l’esplorazione del piano valvolare e sottovalvolare, è utile procedere alla proiezione transgrastrica profonda nella quale l’anello si trova in una posizione opposta all’area di interesse e quindi non costituisce più un ostacolo all’osservazione ecocardiografica attraverso i riverberi e gli artefatti che può determinare. Infine, vogliamo ricordare un aspetto pratico molto importante e cioè che il piano anulare si trova sempre al di sotto dell’anello protesico che è stato impiantato.

Questo approccio alla valvola successivo alla riparazione conduce sempre alla decisione finale: 1) la riparazione è efficace (ricorda il risultato auspicato all’inizio di questo paragrafo); 2) la riparazione richiede di essere migliorata.

In linea generale, lo scopo di una riparazione è ottenere un’insufficienza mitralica residua assente o minima. In altre parole, tutte le volte che dopo un’attenta e scrupolosa valutazione ci si trovi di fronte a un’insufficienza mitralica moderata o moderata-severa, bisogna entrare nella valutazione dell’eventuale necessità di re-riparazione e quindi di dover ritornare in circolazione extracorporea. Com’è facile capire, si tratta sempre di decisioni difficili che non dovrebbero mai esse-re prese in maniera superficiale. La decisione di reintervenire nel paziente per migliorare la riparazione mitralica spetta infatti all’intero team presente in sala operatoria, in quanto non è la sola informazione ecocardiografica a essere de-terminante in questo processo. La scelta di reintervenire deve tenere conto degli aspetti ecocardiografici certamente, ma anche delle condizioni del paziente,

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ovvero dell’eventuale presenza di comorbilità, della stratificazione di rischio che è stata fatta prima dell’intervento; dovrà cioè tenere conto del fatto che il paziente potrebbe avere anche degli svantaggi dal ritorno in circolazione extracorporea. Quindi la decisione di reintervenire durante la stessa procedura richiede:

j che l’ecocardiografista abbia una competenza nell’interpretazione del quadro ecocardiografico post-riparativo;

j che il chirurgo abbia una piena consapevolezza delle proprie capacità;j che l’intero team abbia chiaro il significato delle implicazioni a breve termine

del reintervento e delle implicazioni a lungo termine dell’insufficienza mitra-lica residua.

Un aspetto che vale la pena richiamare, anche se probabilmente è ben presente nella mente di coloro che approcciano questo tipo di valutazioni, è che la va-lutazione del risultato della chirurgia riparativa della valvola deve avvenire in condizioni emodinamiche il più possibile stabili e simili alla condizione preope-ratoria. Si deve sempre considerare che il momento in cui si effettua questo tipo di valutazione è molto particolare dal punto di vista fisiopatologico: il paziente è in ventilazione meccanica, è emodiluito, sta ricevendo anestetici generali, probabilmente riceve anche dei farmaci cardiovasoattivi, le condizioni di carico possono non essere ancora ottimizzate.

Tutti questi aspetti devono assolutamente essere considerati, perché ciascuno di essi può influenzare la valutazione ecocardiografica del risultato chirurgico. Quindi l’ecocardiografista deve sempre fare la valutazione e trarre le conclu-sioni quando è sicuro che le considerazioni che sta facendo avvengono in una condizione di emodinamica il più possibile “normalizzata”. Questo richiede di valutare prima con attenzione che le condizioni di precarico ventricolare siano adeguate, che la pressione di perfusione sia adeguata, che la frequenza cardiaca sia adeguata, che la contrattilità del ventricolo non sia particolarmente depressa.

L’unico dato su cui è difficile intervenire in maniera sostanziale è quello dell’emo-diluizione e questo quindi richiede all’ecocardiografista di eseguire le valutazioni con il color Doppler, tenendo conto che tale metodica in questo particolare momento sta lavorando su un paziente il cui ematocrito è, nella migliore delle ipotesi, circa il 50% di quello precedente alla circolazione extracorporea; quindi i criteri di quantificazione, per esempio quelli colorimetrici, devono essere deci-samente più restrittivi per garantire una valutazione prossima al reale risultato chirurgico.

Valutazione ecocardiografica delle complicanze della chirurgia riparativaNel corso della riparazione della valvola mitrale possono verificarsi delle com-plicanze che devono essere prontamente riconosciute. Le complicanze più im-portanti sono il SAM, la lesione dell’arteria circonflessa e la lesione della valvola aortica.

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Ecocardiografia nella valutazione della valvola mitrale CAPITOLO 10 167

Per quanto riguarda la comparsa del SAM della valvola mitrale sono da consi-derare due aspetti:

j bisogna sempre valutare se vi sono nel paziente criteri predittivi del SAM prima della circolazione extracorporea;

j bisogna essere in grado di riconoscere il SAM prontamente dopo la circolazio-ne extracorporea, al fine di procedere al trattamento migliore per la soluzione del quadro.

Dal punto di vista della predittività sappiamo da tempo che gli aspetti più im-portanti dal punto di vista ecocardiografico riguardano i rapporti tra il lembo anteriore e quello posteriore in termini di lunghezza: il rapporto lunghezza del lembo anteriore (ALL)/lunghezza del lembo posteriore (PLL) è considerato un criterio predittivo di SAM. In particolare sappiamo che il SAM si verifica con maggiore frequenza nei pazienti che hanno un rapporto ALL/PLL <1 cm.

Un altro criterio predittivo è la distanza C-Sept (Figura 10.41), cioè la distanza tra il punto di coaptazione dei lembi e il setto interventricolare: il criterio di predittività del SAM è una distanza C-Sept <2,5 cm.

Al di là dei numeri che spesso siamo tentati di ricercare, vi sono anche dei cri-teri qualitativi che indicano fortemente la suscettibilità di un paziente al SAM. Questi sono la presenza di una camera ventricolare di piccole dimensioni, la coesistenza di ipertrofia delle pareti del ventricolo, la presenza di lembi mitralici particolarmente ridondanti.

Quando ci si trova di fronte a un quadro suggestivo per essere predittivo, il chi-rurgo deve essere prontamente informato, in quanto è possibile, nel corso della riparazione mitralica, mettere in atto alcune tecniche riparative che siano capaci di prevenire la comparsa del SAM, per esempio le tecniche di sliding del lembo posteriore e la scelta di anelli protesici di misura adeguata.

Il riconoscimento del SAM richiede il rilievo di alcuni ele-menti. Il primo è la presenza di accelerazione nel tratto di flusso e la contemporanea presenza di tessuto valvolare mitralico nel tratto di flusso fino ad arrivare al contatto con il setto interventricolare durante la sistole ventricolare (Figura 10.42).

L’altro elemento di grande importanza è la coesistenza del rigurgito mitralico dovuto alla malcoaptazione dei lembi valvolari. Quando questo viene riconosciuto, bisogna im-mediatamente rendersi conto se il SAM sia suscettibile di trattamento medico o richieda un trattamento chirurgico ulteriore.

Il trattamento medico del SAM, come è ben noto, consiste nell’interruzione della somministrazione di inotropi, se sono in corso, nella somministrazione di volume, cioè

FIGuRA 10.41 Criteri predittori di SAM.

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nell’espansione volumetrica della camera ven-tricolare, e nella somministrazione di un bolo di b-bloccante a breve emivita che consente di interrompere il circolo vizioso legato all’iper-contrattilità.

Alcuni autori consigliano la somministrazione di una piccola dose di vasocostrittore che, deter-minando un acuto aumento del postcarico del ventricolo sinistro, induce un’interruzione del meccanismo di gradiente a cavallo del tratto di flusso. Se l’aumento del postcarico, l’azione del b-bloccante, l’espansione volemica hanno l’effet-to di revertire il SAM nel giro di pochi minuti, si

potrà concludere che il SAM in quel paziente è un evento di tipo dinamico che non richiede ulteriore intervento chirurgico.

In rari casi, nonostante queste manovre, durante l’ottimizzazione emodinamica del paziente persiste il movimento anteriore del lembo mitralico nel tratto di afflusso durante la sistole: in queste circostanze può essere necessario ritornare in circolazione extracorporea e correggere il SAM attraverso le tecniche riparative del lembo valvolare o dell’anello.

Un’altra possibile complicanza è la lesione dell’arteria circonflessa. Le basi anatomiche per cui questa complicanza può verificarsi sono ben note: l’arteria circonflessa ha un decorso molto prossimo all’anulus posteriore della mitrale, decorrendo proprio vi-cino alla regione anulare sede del passaggio di punti di sutura di anelli e protesi.

L’eventuale sutura accidentale dell’arteria circonflessa determina l’anormalità della cinetica della parete nel territorio del vaso lesionato.

Il riconoscimento di anomalie nella cinetica regionale nel territorio della circon-flessa non presenti prima della circolazione extracorporea deve sempre allarmare e l’informazione va prontamente trasmessa al chirurgo per poter porre rimedio alla possibile complicanza.

La singolare anatomia della mitrale e la presenza della continuità tra essa e la radice aortica (si ricordi la continuità mitroaortica descritta sopra nel paragrafo introduttivo sull’anatomia) rappresentano le basi per un danno al lembo della valvola aortica. Di solito questo è dovuto al passaggio accidentale di un punto di sutura attraverso la cuspide aortica.

In questa complicanza ciò che si nota dopo la circolazione extracorporea è la presenza di un’insufficienza aortica.

Quindi ogni volta che con la TEE si riscontra un’anomalia della funzione valvo-lare aortica che non era preesistente, bisogna approfondire l’esame della valvola, al fine di cogliere eventuali anomalie di movimento a livello delle cuspidi e valutare se una cuspide aortica sia rimasta inglobata da un punto e trasmettere immediatamente questa informazione al chirurgo per le decisioni del caso.

FIGuRA 10.42 A sinistra si nota il SAM spiccato del lembo anteriore che determina (a destra) l’insufficienza mitralica e l’accelerazione di flusso nel tratto di efflusso.

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ECOCARDIOGRAFIA TRANSESOFAGEA TRIDIMENSIONALE IN SALA OPERATORIANel Capitolo 30, sull’ecocardiografia tridimensionale, sono descritti gli aspetti tecnici di questa metodica e le diverse modalità di utilizzo. Qui desideriamo solo richiamare l’attenzione sul ruolo crescente che la TEE 3D ha assunto nel setting intraoperatorio. Analogamente a quanto descritto a proposito della procedura MitraClip (vedi Capitolo 25), anche nella chirurgia mitralica l’impiego delle modalità 3D live e zoom 3D sono molto utili nello studio dell’anatomia della valvola e per la pronta e precisa valutazione degli scallop valvolari e delle loro anomalie. Inoltre, l’esame 3D consente di riconoscere anche anomalie strutturali come le rotture delle corde e dei papillari.

Come visualizzare la mitrale all’esame transesofageo 3DNella modalità zoom la cosa più semplice da fare è portarsi con il trasduttore in proiezione due camere 60° commissurale, ridurre la profondità così da ingran-dire l’immagine del piano mitralico, e premere il tasto “Zoom 3D”: a questo punto compare un volume tridimensionale ancora indistinto. Per ottimizzare la visualizzazione bisogna procedere in questo modo: ridurre il gain globale finché si mettono a fuoco le strutture (di solito questo richiede di scendere con il gain tra 5 e 10), quindi con l’ausilio della trackball ruotare il volume in modo da orientare la visione della mitrale dal lato atriale. Un ulteriore lieve aggiustamen-to del gain permette di ottimizzare l’immagine. A questo punto si può studiare la valvola dalla prospettiva atriale e ruotando il volume con la trackball si può avere la visione dal ventricolo. Questo approccio è molto utile per evidenziare le anomalie degli scallop e le rotture cordali o papillari.

Per la modalità live è sufficiente portarsi in una delle proiezioni standard 2D in cui si visualizza la mitrale e attivare il comando “Live”: comparirà il 3D live dell’immagine che si sta studiando; anche in questo caso un aggiustamento, di solito una riduzione, del gain consente di ottimizzare l’immagine.

In sala operatoria il full volume è meno comodo perché meno immediato, ma talora può aiutare a comprendere particolari nascosti.

Il color Doppler è utilizzabile sul full volume nelle sonde di prima generazione, mentre nelle ultime arrivate è utilizzabile in modalità live come se stessimo la-vorando con la metodica 2D.

A fronte della chiarezza delle immagini (Figura 10.43) bisogna però ricordare che un esame 3D di buona qualità dipende da una buona qualità dell’immagine 2D; quindi non si deve pensare di utilizzare la metodica 3D nei casi in cui la 2D non fornisce immagini di qualità. Un altro aspetto importante è che nell’acquisizione delle immagini 3D in movimento, specialmente nell’acquisizione full volume, conviene interrompere la ventilazione per la durata dei battiti richiesti dall’ac-quisizione, al fine di evitare artefatti da movimento (vedi Capitolo 2).

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CONCLuSIONILa valutazione transesofagea della riparazione valvolare mitralica è una proce-dura di enorme importanza dal punto di vista della gestione clinica ed è una valutazione che si concentra su due punti fondamentali: lo studio dell’anatomia funzionale della valvola mitrale, la comprensione del meccanismo fisiopatolo-gico del planning della riparazione, reso possibile dalle informazioni ottenute con l’ecocardiogramma bidimensionale. Alla luce di ciò si comprende come sia importante effettuare questa valutazione con estrema attenzione e con grande scrupolo, tenendo presente che le condizioni fisiopatologiche in cui l’esame viene eseguito sono molto diverse da quelle preoperatorie e considerando che le infor-mazioni fornite in fase intraoperatoria hanno un’enorme rilevanza dal punto di vista operativo, in quanto condizionano scelte di trattamento immediate.

L’impiego della TEE 3D consente una più rapida visualizzazione dell’anatomia e facilita la comunicazione con il chirurgo, sia in fase di planning sia in fase di controllo del risultato chirurgico.

FIGuRA 10.43 Immagini tridimensionali della mitrale nativa e protesica.

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