CAPITOLO 1
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CAPITOLO 1
Il tempo musicale dall’antica Grecia ai giorni nostri
1.1 LA RITMICA GRECA
“Nel pensiero Greco il concetto di tempo, inteso come misura della
durata delle cose mutevoli e come successione ritmica del divenire della
natura, appare ancora in gran parte legato al mito, alle speculazioni di
origine orfica entrate a far parte della scuola pitagorica nel VI sec. a.C.” La
religione orfica vedeva nei pianeti i rappresentanti dei propri dèi. Sappiamo
bene come gli antichi greci tenessero in considerazione il movimento degli
astri e possiamo con sicurezza dire che la loro concezione del tempo si
basasse esclusivamente su questo. Il tempo è insomma un’immagine riflessa
del movimento (degli astri). Ma soprattutto la religione orfica portava con sè
il mito di Orfeo da cui appunto prende il nome. Orfeo è l’archetipo
dell’artista, in contatto con la divinità (era figlio del dio Apollo), riusciva
con la poesia, con la musica e la retorica ad ammaliare chi lo stava ad
ascoltare. Egli inoltre rappresenta, con le sue gesta, la forte spinta e volontà
di dominare la natura sconfiggendo il tempo e la morte attraverso l’arte.
“Con Parmenide (515 a.C. – 450 a.C.) il concetto di tempo diviene
questione problematica (perché contrapposto all’immutabilità dell’essere) ed
espressione caratterizzante la mutevole realtà sensibile. Nella Fisica,
Aristotele (384-383 a.C.) definisce il tempo come ‹‹il numero del
1
movimento secondo il prima e il poi››. Secondo questa definizione, il
movimento, inteso come susseguirsi di atti, è identificabile cognitivamente
in una successione cronologica di fasi.”1 Per Aristotele, quindi, il tempo non
è il movimento anche se ha a che fare con esso: il movimento è solo la
misura del tempo, e per misurarlo occorre ovviamente che ci sia un soggetto
numerante.
Fin dai tempi più antichi il tempo fu considerato uno degli elementi
più importanti in musica, principalmente in quanto fondante il ritmo.
L’origine della parola ritmo si fa risalire al verbo greco rheo, che tradotto
significa scorrere, fluire. Non sappiamo molto della musica suonata dagli
antichi grechi, ma si suppone, dai pochi frammenti pervenutici, che essa
fosse strettamente legata alla parola, alla poesia e che quindi seguisse la
scansione sillabica di quest’ultima. Il ritmo, considerato la parte maschile,
agiva a modellare la melodia, la parte femminile. Quindi al tempo veniva
attribuito il potere di determinare il carattere della musica e così la capacità
di sviluppare l’immaginazione e il pensiero di chi la ascoltava.
Il sistema metrico greco è fondato sulla distinzione tra la sillaba breve
e la sillaba lunga (che vale due brevi), le quali combinandosi danno vita a
diversi schemi accentuativi, chiamati piedi. I più usati sono:
piedi di 2 tempi primi ( =2/8
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piedi di 3 tempi primi ( =3/8
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1 Alessandro Bertirotti-Augusta Larosa, Tempo e Musica, 2002, http://www.ilgiardinodeipensieri.eu/storiafil/bertirotti-1.htm
2
piedi di 4 tempi primi ( =2/4
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Uno dei maggiori teorici dell’epoca ellenica è Aristosseno di Taranto,
discepolo di Aristotele, vissuto intorno al IV secolo e autore di due trattati
sulle scienze armonica e ritmica che contengono delle novità rispetto alla
tradizione. Aristosseno, infatti, “ sancì nel mondo antico il consapevole e
definitivo distacco del ritmo musicale dalla dizione poetica”. Il tempo,
insomma, acquisì un’autonomia rispetto alla durata media della scansione
sillabica.
Il tempo di esecuzione (agoge ritmica) veniva precisamente notato
dai greci in quanto “considerato un elemento essenziale alla
caratterizzazione di un particolare genere musicale e alla scelta del suo
contesto d’impiego”2.
1.2 IL TEMPUS DELLA MUSICA MEDIEVALE
Nel pensiero altomedievale si può riscontrare la presenza di una
duplice concezione di tempo della musica: la prima di carattere naturalistico,
e si riferisce alla “dimensione temporale nella quale è immerso un universo
armonicamente e musicalmente regolato”3, mentre la seconda di carattere 2 Eleonora Rocconi, “Il tempo musicale nelle fonti dell’antica Grecia”, in Storia dei concetti musicali, a cura di Borio G. e Gentili C., ed. Carrocci, 2007, p. 2593 Massimiliano Locanto,”Tempo ed eternità tra filosofia e teoria musicale altomedievali”, (a cura di Borio e Gentili, 2007), p.262
3
mentalistico afferisce all’esperienza della musica fatta dall’individuo nella
sua interiorità soggettiva.
Per quanto riguarda la teoria musicale sul ritmo, questa rimane
ancorata all’antica ritmica greca, che grazie ad Agostino (354 d.C - 430
d.C.) fu trasmessa al mondo latino. Il tempus in musica era quindi visto
come velocità di scorrimento della musica. Il termine tempo infatti
deriverebbe dal verbo temno e dalla radice tam, che significa scindere, e da
appunto l’idea della suddivisione in unità elementari e del loro scorrere
lineare.
La visione della musica imperante nel Medioevo portava a dividere
questa in tre specie distinte, che costituivano in un certo senso i gradini per
giungere alla perfezione di Dio: musica instrumentalis, musica humana,
musica mundana. L’armonia presente nei suoni (m.instrumentalis) e l’ordine
ciclico del cosmo (m.mundana) sono compresi dall’uomo perchè egli stesso
possiede quella musica e quelle proporzioni (numerorum ratio) che Dio
stesso gli ha instillato. La nostra anima subisce, insomma, l’influsso della
musica strumentale fatta dall’uomo stesso, perchè possiede quelle stesse
proporzioni nella sua anima e può avvicinarsi con il canto a contemplare il
mistero di Dio, che è armonia, musica pura, in un’ascesi che va dalla
dimensione temporale a quella dell’eternità.
Il pensiero sul tempo nel Medioevo si incentra principalmente sul
problema del rapporto tra il tempo e l’eterno. Secondo Agostino il tempo
non può esistere se non in funzione dell’eterno, senza il quale sarebbe un
assurdo. Riprendendo le idée platoniche del Timeo, Agostino immagina il
tempo quale imitazione della dimensione eterna, una “immagine mobile che
procede secondo il numero, dell’eternità che permane nell’unita” (Timeo,
37d). I cieli rappresentano l’anima mundi poichè con il loro movimento
4
circolare ed eterno sono l’immagine visibile dell’invisibile, del non creato.
“La realtà oggettiva del cosmo è immersa nel tempo, inteso come
conseguenza del movimento ciclico, ma è evidente che il tempo sia
considerato innanzitutto dal punto di vista soggettivo dell’anima
individuale” (Massimiliano Locanto, 2007 p. 276). Agostino infatti è certo
del fatto che l’esistenza del tempo, inteso come distinzione tra passato,
presente e futuro, risieda esclusivamente nell’anima umana e non nelle cose
esterne ad essa. Il tempo è considerato come lo scorrere di momenti che
sono sempre presenti; il passato e il futuro non esistono di per sè come entità
autonome in un altro tempo ma sono sempre in un momento che è presente e
quindi potremmo meglio chiamarli come ‘presente di ciò che è passato’ e
‘presente di ciò che è futuro’. “Queste diverse specie di tempo sono in un
certo senso nell’anima e non vedo come possano essere altrove: il presente
di ciò che è passato è la memoria, di ciò che è presente è la percezione, di
ciò che è futuro è l’attesa” (Le Confessioni XI 20, 26). “La coscienza umana,
infatti, è capace di conservare traccia di ciò che passa e di anticipare
nell’attesa ciò che verrà all’esistenza, ricollegando il tutto al presente: una
cetra suona una nota dopo l’altra, ma l’ascoltatore le riunisce e gusta
l’armonia dell’insieme”. 4
In definitiva, se l’uomo dell’antichità interrogandosi sul tempo
guardava in alto, alle stelle e al cosmo, da ora in poi cercherà nella propria
interiorità le risposte al misterioso quesito.
Anche per Boezio (476 d.C. –525 d.C.) l’eternità è una dimensione
che appartiene solo a Dio, mentre il creato è immerso nel tempo diveniente
della realtà sensibile. Queste due dimensioni non si contraddicono ma
4 Elio Rindone, Il problema del tempo e della storia nella filosofia medievale, http://www.ilgiardinodeipensieri.eu/storiafil/rindone-11.htm
5
dipendono dalla prospettiva dalla quale si guarda (per Dio è l’eternità, per il
creato è la temporalità) e corrispondono anche alla differenza tra
provvidenza e fato, prescienza divina e libero arbitrio: “come il tempo sta
all’eternità, come la circonferanza sta al centro, così il corso del fato sta in
rapporto all’immutabile semplicità della provvidenza” (De consolatione
philosophiae, IV, pr. 6, 74-77). Così il tempo della musica strumentale
(microcosmo), non diversamente, assume il tempo delle sfere celesti
(macrocosmo) quale suo prototipo: ad esempio il tetracordo, a imitazione
della musica mundana, consta di quattro elementi, e l’eptacordo di sette,
ovvero quanti sono i pianeti. In accordo con Agostino, “esperendo
interiormente le leggi numeriche che regolano la rhythmica, l’anima coglie
un tramite fra la dimensione temporale, nella quale si distende, e l’eternità
divina” (Massimiliano Locanto, 2007 p. 276).
Risulta chiaro che nel pensiero cristiano medievale, da Agostino in
poi, il tempo assume una direzionalità irreversibile che era sconosciuta al
mondo antico. Un Dio eterno ha creato questo mondo ed esso per necessità è
destinato a finire (quando arriverà il Giudizio Universale). La storia e le
singole vite degli uomini devono essere indirizzate verso la meta della
salvezza che è da ricercare non in questo mondo bensì nel paradiso celeste, il
quale esiste fuori dal tempo. Questo è l’inizio di una concezione della storia
puramente lineare, che influenzerà il pensiero di numerosi filosofi nei secoli
a seguire.
Dal secolo XIII, in seguito alla riscoperta della Fisica aristotelica, le
due concezioni del tempo musicale di cui si parlava sopra giungono ad una
prolifica ed interessante unione. Ossia il tempo viene ora visto come
esistente sia nella realtà oggettiva e sia nella mente (partim in anima e
partim in re extra). Il tempo è quindi la “misura del movimento secondo il
6
prima e il poi”; il movimento avviene all’esterno ma quello che numera è
l’animo umano.
Questa svolta nel visione filosofica del tempo coincide con la nascita e
la teorizzazione della musica mensurabilis, ovvero la sistemazione delle
durate in quantità proporzionali. Le durate, insomma, vengono ad assumere
sempre più importanza, e sono via via notate nella partitura con maggior
precisione dal compositore, eliminando così, dalla musica, quell’elemento di
arbitrarietà derivato dall’esecuzione estemporanea dello strumentista.
“Incentrando maggiormente l’interesse sul modo in cui le durate si
succedono e si strutturano in divenire (nel tempo) la musica mensurata diede
uno scossone alla concezione metafisica dell’alto Medioevo, per la quale la
musica, e in particolare il canto sacro, pur dispiegandosi nel tempo, libera
l’uomo dalla dimensione temporale e diveniente propria dei gradi più bassi
dell’essere, elevandolo a quella atemporale dell’Uno” (Mainoldi, 2001, pp.
203-5).
1.3 IL TEMPO MISURATO NELLE TEORIE
RINASCIMENTALI
7
Se nel Medioevo la musica e il pensiero sul tempo erano fondati su
principi di staticità eterni e immutabili, l’uomo del Rinascimento riscopre il
movimento quale elemento fondante il suono e quindi la musica. In seguito
alle scoperte avvenute in questo periodo circa la natura del suono riprende
vigore quel filone filosofico che indaga la musica da un punto di vista
prettamente fisico e matematico e che è in opposizione, invece, con le
indagini che privilegiano un punto di vista mentalistico e astratto. Viene, tra
l’altro, riscoperto nel Rinascimento il profondo legame che la musica
intrattiene con la danza; il ritmo, quasi assente nelle composizioni dei secoli
precedenti, assume dal Cinquecento in poi sempre più rilievo tra gli elementi
musicali.
8
E’ evidente che il suono, ogni suono (oppure rumore), deriva da un
movimento fisico, si propaga attraverso le vibrazioni dell’aria e giunge a
muovere anche gli esseri senzienti come risposta alla percezione sonora. E’
quindi logico dire che senza movimento non ci sarebbe nessun suono e
tantomeno la musica5. Quello che viene scoperto nel Cinquecento6 è la
natura microritmica del suono, ovvero il fatto che a determinare l’altezza di
un suono sia il numero movimenti oscillatori, più o meno frequenti, del
corpo vibrante: più si aumenta frequenza delle oscillazioni e più il suono
risulta acuto e viceversa. E’ dunque un elemento quantitativo a dare la
qualità del suono armonico. Si riesce così a dare anche una spiegazione
scientifica al misterioso fenomeno della risonanza7 che tanto aveva
affascinato nelle epoche passate; ovvero, se abbiamo due corde unisone e ne
pizzichiamo una, “la seconda corda viene ‘commossa’ perché gli impulsi che
essa riceve si sommano: dapprima la smuovono impercettibilmente, poi
trovandosi in fase con quelli della corda eccitatrice, si accumulano
sincronicamente, come le spinte su un’altalena, fino a produrre un effetto
chiaramente percepito: la risposta simpatetica.”8 E non è tanto la frequenza
principale (cioè quella del suono realmente percepito) a permettere il
verificarsi di questo fenomeno quanto i “singoli moti oscillatori della corda
le cui velocità e frequenze superano la capacità risolutiva dell’orecchio”9,
5 E come abbiamo visto non ci sarebbe nemmeno la percezione del tempo dato che l’uomo misura il tempo dal movimento (degli astri, delle lancette dell’orologio, dei propri stati di coscienza ecc.) 6 C’erano state soltanto delle intuizioni già nel II secolo d.C. ad opera di Nicomaco di Gerasa, riprese poi da Severino Boezio.7 “La risonanza è un fenomeno acustico consistente nella facoltà, da parte di un corpo elastico, di convibrare con spontaneità quando viene eccitato da vibrazioni esterne”. (Enciclopedia della Musica e dello Spettacolo, Garzanti, 1983)8 Guido Mambella, “La teoria rinascimentale del tempo in musica da Zarlino a Cartesio”, in Storia dei concetti musicali, a cura di Borio G. e Gentili C., ed. Carrocci, 2007, p. 291.9 Ibid., p.288
9
che vengono chiamati ictus10 e che sono la causa dei suoni cosiddetti
armonici (o anche armoniche superiori)11. Il suono come il nostro orecchio lo
percepisce, e come il nostro cervello lo elabora, è quindi una mescolanza di
molti piccoli movimenti ripetuti nel tempo che si uniscono e determinano
l’altezza del suono stesso; il suono è esso stesso tempo.
Da questo momento in poi, inoltre, sarà la coincidenza degli ictus a
determinare la consonanza tra due suoni: ovvero due suoni sono più
consonanti quando i loro ictus sono più prossimi tra di loro; è chiaro che due
suoni unisoni rappresenteranno il massimo della consonanza avendo gli
ictus perfettamente coincidenti.
Dal Seicento interviene un’altro fattore a rivoluzionare il panorama
musicale e la percezione del tempo musicale; il tempo viene, per così dire,
disciplinato e strutturato tramite la suddivisione in battute, prima nella
musica da ballo, e poi in tutti gli altri generi musicali. Infatti “soppiantato
l’antico gruppo mensurale, in questo genere musicale (musica da ballo, nda)
domina un nuovo concetto di raggruppamento delle durate: determinate
quantità di tempo, rappresentate da corrispondenti quantità di valori di
durata delle note, tendono a porsi come costanti e successive frazionamenti
del continuum sonoro- alla stregua di una serie di ‹‹pacchetti›› contigui di
tempo- grazie ad un tratto significativo, un ‹‹marcatore›› invisibile, ma
percepibile ai sensi, come momento di discontinuità: un accento che cade
all’inizio di ciascun ‹‹pacchetto›› sull’attacco del primo valore di durata, un
10 In medicina il termine ictus indica il battito regolare del polso.11 La scoperta dei suoni armonici superiori, tra l’altro, avvalora scientificamente la suddivisione del monocordo fatta da Pitagora 2000 anni prima. Ritroviamo infatti nella serie degli armonici prima quei suoni che Pitagora aveva ritenuto consonanti e via via tutti gli altri; ad esempio se consideriamo il suono do la serie sarà: do1, do2, sol2, do3, mi3, sol3 ecc. Questa ‘armonicità’ interna al suono dimostra la fondatezza della scala con intonazione pitagorica.
10
punto nel tempo (un timepoint) che è contemporaneamente appoggio
(momento di riposo, momento finale) e avvio (momento dinamico, momento
iniziale) di ogni successivo raggruppamento di durate. […] Tale
raggruppamento si definisce battuta, un raggruppamento di durate
organizzate non più secondo i criteri della variabilità della mensura, bensì
secondo una successione regolare e ripetitiva di accenti forti e deboli.”12 In
definitiva il ritmo libero delle composizioni antiche viene ora regolarizzato
all’interno di una misurazione del tempo più precisa e oggettiva.13 “E’ una
nuova visione della composizione musicale, ma anche della percezione della
musica: i ritorni e le simmetrie, le relazioni e le corrispondenze tra gli eventi
musicali scanditi dall’unità di battuta costituiscono per il compositore i punti
di appoggio del decorso musicale, e per l’ascoltatore una sorta di traliccio
mediante il quale riconoscere e collegare fra loro gli eventi musicali”.14
L’ascolto della musica del Seicento richiede l’uso dell’intelletto, di fare
collegamenti tra gli eventi musicali, di cogliere la struttura del brano,
insomma un ascolto non più passivo ma al contrario attivo.
Uno dei primi teorici che parla di battuta è Cartesio (1596-1650) nel
suo Compendium musicae (1618). Il tempo è per Cartesio una delle proprietà
del suono e per questo può essere studiato matematicamente; egli considera
la battuta come unità di misura del tempo, fondamentale perché quest’ultimo
abbia un valore musicale. La battuta infatti ordina il tempo e riesce a farci
percepire nell’ascolto quei rapporti proporzionati tra le parti che ci fa
12 Loris Azzaroni, Canone Infinito, Clueb, Bologna, 2001, pp. 160-16113 E’ interessante inoltre notare come questa innovazione in musica, cioè appunto l’introduzione della battuta, si rifletta con la contemporanea diffusione degli orologi meccanici nella società occidentale. Tanto la battuta quanto il tempo misurato dell’orologio sembrano avere come effetto quello di oggettivizzare il tempo e renderlo una cosa estranea agli accadimenti umani; le lancette dell’orologio infatti scorrono inesorabilmente e sempre allo stesso modo, indifferenti del mondo.14 Loris Azzaroni, op. cit., p. 161
11
provare diletto; infatti “quelle proporzioni riconducibili a differenze unitarie,
ovvero composte di parti uguali, saranno le più chiaremente e distintamente
apprezzate”.15 La battuta allora sarà l’oggetto attraverso il quale l’intelletto
opera la numerazione e la misurazione del tempo; la ricorrenza della battuta
allora permetterà di tenere in memoria il susseguirsi delle strutture ritmiche
e, compresa la regola, proiettarla nel futuro; la deduzione dello schema della
battuta ha infatti la caratteristica di estendersi da ciò che è conosciuto a ciò
che è sconosciuto.
Secondo Cartesio ogni primo tempo di una battuta deve essere
accentato rispetto agli altri. Gli schemi di comprensione di una battuta, poi,
possono essere ricondotti a due modelli fondamentali: ovvero la battuta può
essere di due o tre tempi.
Anche Wolfgang Caspar Printz (1641-1717) parlando della battuta
dice che “il rapporto reciproco fra i suoni non dipende soltanto dal rapporto
delle loro durate, ma anche dalle ‹‹qualità intrinseche›› che derivano loro
dale rispettive collocazioni all’interno della battuta”16.
Quello che sembra emergere da queste constatazioni è il fatto che
insieme alla diffusione della battuta si fa avanti e diventa sempre più
importante quello che potremmo dire il metro di una composizione, inteso
come pulsazione costante e che governa l’andamento di un pezzo ( non
dobbiamo dimenticare che la musica nel Seicento è intimamente legata alla
danza e che aveva ritrovato nel movimento la sua essenza fondamentale), e
di consequenza il contrasto tra il metro e il ritmo. Il metro allora va
definendosi come il susseguirsi regolare di momenti accentati sottostanti un
brano musicale (un marcatore invisibile che divide il tempo in unità regolari,
15 Guido Mambella, op. cit., p.30016 Loris Azzaroni, op. cit., p. 162
12
come fa l’orologio) e il ritmo come la serie di eventi che accadono sopra il
metro.
1.4 LE TEORIE MODERNE
La ricerca sul tempo musicale si fa nell’epoca moderna più ampia e
multiforme. Una tendenza molto forte, anche se non proprio nuova, è stata
quella di utilizzare la musica come strumento per la comprensione
dell’interiorità, della coscienza temporale dell’uomo, proprio per la natura
eminentemente temporale della musica. Si accentua infatti in questo periodo
grazie soprattutto a Lessing e ad Hegel la distinzione tra le belle arti in cui la
musica riveste il ruolo di unica arte in cui il tempo struttura l’opera e ne dà il
senso.
Il tempo musicale inoltre viene visto come mezzo per sfuggire
all’inarrestabile e inesorabile scorrere del tempo; la musica è infatti capace
di organizzare il tempo in una maniera diversa da come viene percepito nella
vita di tutti i giorni. “Da Beethoven in poi il tempo è uno dei parametri
essenziali, se non decisivo nella determinazione della forma”; e questo fatto
sembra molto sintomatico e riflette i bisogni e le necessità di una società
vicina ad una svolta epocale: ovvero proprio nel momento in cui in Europa si
incomincia a diffondere, in seguito alla rivoluzione industriale, una mentalità
del progresso fondata sulla dipendenza dalle macchine e su un’ ‹‹economia
del tempo››, si sente il bisogno di riappropriarsi dei sentimenti e degli
impulsi più umani, e inoltre di riconquistare il dominio sul tempo,
13
letteralmente ammazzato dal lavoro. “Quello che Beethoven sembra aver
scoperto è che il tempo non deve essere accettato semplicemente come una
assoluta successione ma che esso può essere manipolato, formato,
scolpito”.17 La musica allora come un antidoto che permette all’uomo di
liberarsi dalla gabbia del tempo che lo vuole costringere in una sola
direzione irreversibile.
D’altra parte, però, la musica in questo periodo diviene anche
metafora della caducità. Infatti una musica inizia (nasce) e poi finisce
(muore), e dura (vive) per un certo tempo, così essa ha bisogno di essere
continuamente ripetuta. Secondo Hegel l’arte in generale può combattere il
dominio del tempo, la sua attività distruttrice e negativa, però la musica per
la sua natura performativa non può mantenere la sua promessa (ideale) di
sconfiggere il tempo. Le altre arti producono, infatti, opere visibili e stabili,
che resistono al tempo, mentre la musica, per la sua stretta parentela con
esso, muore nell’atto di esistere.
La musica poi nel suo rapporto con il tempo è strettamente legata
anche all’autocoscienza dell’Io; tra tempo e coscienza, dice Hegel, esiste una
coincidenza e infatti “l’Io è nel tempo e il tempo è l’essere del soggetto
stesso” ( Hegel, [1836-38] 1972, p. 1013). Con questa affermazione Hegel
supera la visione soggettivista di Agostino che vedeva nell’anima l’unica
misura possibile del tempo. Infatti per Hegel “la coscienza è nel tempo, la
coscienza è il tempo, ma la coscienza non comprende il tempo”.18 Insomma
la coscienza, che per Hegel è il concretizzarsi dello Spirito, è già un qualcosa
di temporale, che possiede una sua temporalità. La musica allora diventerà
17 Jonathan D. Kramer, The Time of Music. New Meanings, new Temporalities, new Listening Strategies, Schirmer Books, New York, 1988, p. 16518 Valerio Guagnelli Scanzani, Il concetto di tempo in Hegel, http://web.tiscali.it/quaderno/Documenti/HegelTempo.htm
14
sempre di più la sede privilegiata di un’indagine fenomenologica sulla
natura della coscienza.
Sulla scia di Hegel si pongono due filosofi che a cavallo tra
l’Ottocento e il Novecento parlano del tempo con riferimenti alla musica,
essi sono Bergson e Husserl. Il pensiero di questi filosofi influenzerà
notevolmente l’estetica musicale, la musicologia e il pensiero compositivo
del Novecento.
Bergson -la cui corrente , lo spiritualismo, si colloca in opposizione al
positivismo e all’intellettualismo allora imperanti- fa una distinzione
fondamentale tra il tempo della scienza da quello della coscienza; la scienza
concepisce il tempo come una successione di istanti di uguale durata nel
quale prendono luogo degli eventi meccanicamente determinati e
prevedibili. La coscienza, invece, vive il tempo qualitativamente, per cui ci
saranno momenti più intensi e momenti meno intensi, momenti più densi di
eventi e altri meno; il nostro vissuto interiore attribuisce al tempo, alle
durate, valori più o meno significativi, cosicchè un attimo potrà durare
un’infinità oppure scorrere velocemente per la nostra coscienza. La
peculiarità della musica è che essa cadendo sotto il dominio sia
dell’intelligenza (scienza) che dell’intuizione (coscienza), li integra; però
ascoltando una serie di suoni
o trattengo ciascuna di queste sensazioni per organizzarle insieme alle altre in un
gruppo che mi ricorda un’aria o un ritmo noto, e in questo caso non conto i suoni, ma mi
limito a raccogliere l’impressione per così dire qualitativa che il loro numero produce in
me; oppure mi propongo esplicitamente di contarli, e allora sarà necessario che io li
dissoci e che questa dissociazione venga effettuata in ambito omogeneo in cui i suoni,
svuotati delle loro qualità ,vuoti in un certo senso, lascino tracce sempre uguali del loro
passaggio. [Bergson (1889) 1986, dissertazione dottorale]
15
La fenomenologia di Husserl, riprendendo le teorie di Agostino si
propone di indagare “il modo in cui si costituisce l’oggetto sonoro
all’interno della coscienza”.19 A differenza di Agostino, Husserl divide la
memoria in due parti: la memoria primaria o ritenzione e la memoria vera e
propria. Un suono appena udito viene raccolto dalla memoria di ritenzione e
poi si allontana sempre di più nella coscienza fino a raggiungere un posto
nella memoria. Però il suono mantiene il suo tempo, e allora sarà la
coscienza che spostandosi verso altri oggetti in qualche modo si allontana
dai suoni appena percepiti. Così “ la ritenzione dà forma e profondità agli
oggetti temporali, li costituisce all’interno della coscienza e li rende
disponibili alla memoria”.20
Nella seconda metà del Novecento sarà soprattutto Jonathan Kramer
(di cui parleremo nel secondo capitolo) a portare avanti l’indagine sul tempo
musicale partendo dai presupposti fenomenologici che concepiscono il
tempo come relazione tra soggetto e oggetto.
Una svolta nel pensiero filosofico riguardo al concetto di tempo
avviene nel 1927 per merito di Martin Heidegger. Egli porta alle estreme
conseguenze la distinzione già operata da Agostino, ma anche da Bergson,
che vedeva un temporalità autentica (quella dell’anima) contrapposto al
mutare costante e uguale delle cose esterne. In Heidegger il tempo viene
affrontato per la sua natura concettuale, nient’altro che un pensiero, un modo
di intendere la realtà. La sua visione e la contemporanea conoscenza di
culture extra-europee aprirono nel mondo occidentale contemporaneo uno
19 Michele Garda, Teorie del tempo musicale nella modernità, in Storia dei concetti musicali, a cura di Borio G. e Gentili C., ed. Carrocci, 2007, p. 33220 Michele Garda, op. cit., p.333
16
spiraglio che permise di intravedere altri modi di concepire il tempo, in
musica ma non solo.
1.5 IL TEMPO MUSICALE PER I COMPOSITORI
DEL NOVECENTO
A partire dalla seconda metà del ventesimo secolo possiamo assistere
ad un crescendo dell’interesse verso il concetto di tempo da parte dei
compositori. Il discorso sul tempo si sposta ora in un’ambito strettamente
musicale influenzando notevolmente il pensiero compositivo del Novecento.
Il tempo viene considerato dai compositori un elemento importante, se non il
più importante, nella determinazione della forma e diviene oggetto di
numerosi studi e trattamenti diversi. Il tempo, che è della musica l’elemento
che la contraddistingue dalle altre arti, viene usato nel Novecento in maniera
più consapevole, e non più intuitivamente come avveniva in passato. Il
compositore del Novecento giunge, insomma al controllo totale della forma
musicale avendo fatto proprio, incorporandolo nella forma, l’elemento più
musicale possible, il tempo. E vedremo anche come il tempo nelle
composizioni di questo periodo sia qualcosa di completamente diverso,
all’ascolto, rispetto a quello che era stato nelle composizioni passate. Un
tipo di tempo assimilabile con quello della musica orientale e determinato
anche dallo sviluppo delle tecnologie di registrazione sonora (di questo se ne
discuterà meglio nel secondo capitolo).
Quello che ci interessa sottolineare qui è come il tempo sia l’elemento
nuovo della musica contemporanea e come i compositori abbiamo adottato e
utilizzato questo parametro nelle loro composizioni. Infatti smantellata
17
(come tante altre cose tramandate dal passato) la vecchia organizzazione
delle durate non più valida per i canoni estetici della musica del Novecento,
si devono ora ricercare altri sistemi in grado di dare forma sonora al
continuum temporale.
Il serialismo integrale è il primo tentativo con il quale si costruisce la
musica cercando di controllarne matematicamente ogni singolo parametro.
L’applicazione del principio seriale al parametro durata porta, tra l’altro, a
una scrittura ritmica molto complessa e difficile nell’esecuzione.
Uno dei primi che ha compiuto esperimenti in questo senso è stato
Stockhausen il quale ha esposto anche la sua visione del tempo su un
articolo del 1957 chiamato …wie die Zeit vergeht… (come passa il tempo).
“Stockhausen propone [qui] un nuovo sistema di organizzazione della durate
a partire dale proprietà temporali del fenomeno sonoro identificabili
nell’intervallo temporale che intercorre tra i cambiamenti (silenzio/suono)
nel campo acustico”.21 E’ la materia sonora a possedere una propria e
specifica qualità temporale, e a determinare, in virtù di un principio seriale,
la struttura compositiva di un brano. Il tempo non è concepito da
Stockhauser come un susseguirsi lineare di eventi; la forma nei brani di
Stockhausen è un campo temporale adirezionale in cui gli eventi non si
succedono per una logica di causa-effetto ma sono piuttosto simultanei nello
spazio.
Messiaen nello stesso periodo riprende la distinzione bergsoniana tra
durata vissuta e tempo strutturato, e le scoperte sulla percezione del tempo
da parte della coscienza; possiamo riassumere quest’ultime attraverso due
regole:
21 Ingrid Pustijanac, Il tempo nel pensiero compositivo della seconda metà del Novecento, in Storia dei concetti musicali, a cura di Borio G. e Gentili C., ed. Carrocci, 2007, p. 344
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a) La sensazione della durata presente: nel presente, più il
tempo è pieno di eventi, più ci sembra breve – più è vuoto, più ci
sembra lungo.
b) La valutazione retrospettiva del tempo passato: nel
passato, più il tempo era pieno di eventi, più ci sembra lungo ora – più
era vuoto di eventi, più ci appare breve adesso.22
La percezione delle durate, dice Messiaen, dipende altrettanto dalla
qualità sonora e quindi dallo strumento che produce il ritmo. La durata di
una melodia suonata al violino sarà più breve, alla percezione, della stessa
melodia suonata con uno xilofono. Da questa constatazione si può dedurre
che la musica si distacca dal tempo fisico, cronometrico ed è invece più
vicino al tempo della coscienza che crea e ‘colora’ il proprio tempo in base
alla qualità degli eventi. “Il tempo musicale plasmato dall’interazione di tutti
i parametri in realtà può essere concepito come risultato della
sovrapposizione di strati temporali diversi di cui l’universo (il tempo delle
stelle, dell’uomo, dell’atomo) e l’essere umano (tempo fisiologico, tempo
psicologico) sono permeati e che esprimono la sostanza poliritmica del
mondo”.23
Inoltre “la dimensione temporale in linea di principio è scindibile
dagli altri aspetti della composizione; […] da una parte si può concepire un
brano come articolazione del tempo, dall’altra invece il tempo musicale può
essere concepito come uno tra i tanti parametri da articolare”. Koenig
concepisce il tempo musicale come tempo ‹‹striato››; Boulez afferma che i
parametri di altezza, durata, timbro e intensità hanno la medesima sostanza
del tempo, inteso quest’ultimo come una qualità superiore della
22 Armand Cuvillier, citato da Messiaen, 1994, I, p. 1023 Ingrid Pustijanac, op. cit., p. 349
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composizione. Questo tempo ‹‹composto›› (Eggebrecht) e tendente
all’indeterminatezza serialeconfluisce necessariamente nella percezione del
tempo. E il tempo che la maggior parte dei compositori seriali e post-seriali
intende farci percepire è un tempo frammentato, discontinuo, che sfavorisce
un ascolto lineare.
Una caratteristica comune di questo tipo di musica è la staticità
nell’indeterminatezza; queste opere sono la risultante di una formalizzazione
matematica (data appunto dalla serie che investe tutti i parametri) che
garantisce l’uniformità (la mancanza di sorpresa è uno degli stilemi estetici
nel Novecento) del materiale sonoro.
Questo tempo allora statico, verticale (che Kramer chiamerà ‘non-
lineare’) si puù paragonare a quello che potremmo esperire guardando una
scultura; gli elementi sonori si muovono, rimanendo però costanti e in sè
coerenti, in un tempo spazializzato. Quello che governa il pezzo è un
principio o una tendenza generale (Kramer) che ci fa esperire quella sorta di
atemporalità o eterno della musica invocati già da Agostino.
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