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E—01 IBRIDAZIONE AMBIENTE by Grazia Dammacco data di creazione 15/01/16 19:02 ultima modifica 08/02/16 12:35 capitoli / parte principale ambiente analogico/digitale corpo funzione post-digitale storia In questo capitolo: — Lo spazio urbano — L’interazione — La posizione degli attori coinvolti http://www.postdigitaltribe.org/dt/2015/07/07/ibridazione-ambiente/

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I B R I D A Z I O N EA M B I E N T Eby Grazia Dammacco data di creazione 15/01/16 19:02ultima modifica 08/02/16 12:35

c a p i t o l i / p a r t e p r i n c i p a l e

ambiente analogico/digitale corpo funzione post-digitale storia

In questo capitolo:

— Lo spazio urbano— L’interazione— La posizione degli attori coinvolti

http://www.postdigitaltribe.org/dt/2015/07/07/ibridazione-ambiente/

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Per ibr idazione ambientale s i intende quel t ipo di processo che mette in relazione i l corpo — inteso come massimo esem-pio di medium analogico e mate-r ico — e l ’ambiente mediato dal le tecnologie digi ta l i . Per ambiente s i intende i l com-plesso degl i e lement i natural i — la f lora, la fauna, i l paesaggio — e del le r isorse che circondano un determinato organismo e, inpart icolare, g l i esser i umani. In questo t ipo di operazione, l ’ ibr idazione avviene come con-seguenza del l ’ interazione tra i l corpo e l ’ambiente che lo c i r -conda, ponendosi quindi , nel la maggior parte dei casi , come azione ed esper ienza, piut tosto che come artefatto vero e proprio.

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«Un “Internet delle cose” descrive un mondo incorporato con così tanti dispositivi digitali che lo spazio tra di essi consiste non in oscuri circuiti ma nello spazio della città in sé. Il computer è scappato dalla scatola, e gli oggetti ordinari nello spazio si sono arricchiti di segnali digitali». [ previsioni future / in cosa stanno investendo i colossi della tecnologia e dell’informazione? / internet delle cose ] [ post-digitale e ibridazione / relazioni con la società: economia, storia, cultura, religione / cultura e religione / la prospettiva ecologica ] [ post-digitale e ibridazione/ relazioni con le pratiche artistiche e comunicative ] [Aranda Julieta, Vidokle Anton, Wood Brian Kuan, “The Internet Does Not Exist, e-flux journal”, Sternberg Press, Berlino, 2015, p. 28]

L O S PA Z I O U R B A N O

In “Arte e Media” Gabriele Perretta riflette sull’origine della nascita del concetto di spazio contemporaneo, ovvero uno spazio da vivere, modificare, in cui l’uomo interagisce con gli elementi che lo costituiscono. La riflessione e la riconfigurazione dello spazio cittadino trova un importante precedente nell’esplorazione dei flâneur e nel concetto di deriva situazionista [ uso sperimentale dei media nella storia / la deriva situazionista e il détournement ].

La rivalutazione del paesaggio urbano inoltre trova riscontro nello sviluppo di alcune nuove tecnologie, infatti nel saggio “Passages di Parigi” Benjamin presenta una riflessione su uno dei mezzi di comunicazione di massa più potenti del Novecento, il cinema:

«Da lì a pochi istanti, le nuove tecniche di montaggio, che giustapponevano immagini contrastanti, stimolano il giudizio dello spettatore, non solo impressero ai film un notevole dinamismo, ma suscitarono in tutta la visione culturale moderna una nozione di spazialità, che secondo Benjamin “scioglie la mitologia nella dimensione della storia”».[Gabriele Perretta in: Balzola Andrea, “Arte e media. Formazione ricerca produzione. Origini identità prospettive”, Scalpendi, Milano, 2010. Citazione originale in: Benjamin Walter, “Passages di Parigi”, Einaudi, Torino, 2002]

Ne “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, Benjamin dichiara che la fotografia e il cinema — ovvero le tecniche propriamente moderne — rendono:

«Le cose, spazialmente e umanamente, più vicine, ed è per le masse attuali un’esigenza vivissima, quanto la tendenza al superamento dell’unicità di qualunque dato mediante la ricezione della sua riproduzione. […] Ogni giorno far valere in modo sempre più incontestabile l’esigenza di impossessarsi dell’oggetto da una distanza il più possibile ravvicinata, nell’immagine, o meglio nell’effige, nella riproduzione».[Benjamin Walter, “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa”, Einaudi, Torino, 2000]

Nel corso del Novecento, non solo il cinema ma anche l’architettura di Le Corbusier o di Frank Lloyd Wright iniziano a mettere l’uomo in relazione con l’ambiente, che sia quello domestico o quello cittadino esterno alla casa. La dimora, lo spazio abitato, diventa un’area che si muove tra l’interno e l’esterno della costruzione [ post-digitale e ibridazione / relazioni con la società: economia, storia, cultura, religione / cultura e religione ]. Questa interazione è oggi facilitata e resa al tempo stesso più rapida dal mondo digitalizzato nel quale siamo immersi. Cedric Price è un architetto londinese che si concentra sui temi delle reti, delle infrastrutture, dei movimenti delle popolazioni e sul concetto di improvvisazione e autorialità. Adotta spesso la pratica della performance usando attori Paul Gavarni, “Le Flâneur”, 1842

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umani e non umani che interagiscono nello spazio. Price si concentra sull’interazione, e sul modo in cui gli object form — oggetti inanimati — e le active form — esseri umani — operino insieme e creino un processo all’interno dell’ambiente in cui si trovano. Price scrive:

«Designers e architetti dovrebbero impegnarsi nell’ideazione di nuovi linguaggi di comparazione con i computer, piuttosto che usarli per confermare l’ovvio».[Keller Easterling in: Aranda Julieta, Vidokle Anton, Wood Brian Kuan, “The Internet Does Not Exist, e-flux journal”, Sternberg Press, Berlino, 2015, p.30]

In “The internet does not exist”, Keller Easterling decrive il lavoro di Price e Christopher Alexander, spiegando come lo spazio sia in sé una tecnologia infrastrutturale e monetizzata, che viaggia intorno al mondo come fenomeno ripetibile. Easterling spiega che un tipo di ricerca artistica si basa sul concetto che:

«L’azione è la forma. L’azione non è necessariamente movimento ma piuttosto è inclusa nelle relazioni, nelle relative posizioni e potenzialmente nelle organizzazioni. L’azione è immanente nella “disposizione” di un’organizzazione. Non c’è una prescrizione per un architettura ma solo una tecnica per Le Corbusier, “The Modulor”, ristampa ed. 2004 (New York: Faber and Faber, 1954), p. 67

Le Corbusier, “The Modulor”, ristampa ed. 2004 (New York: Faber and Faber, 1954), p. 51

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eseguirla. La forma attiva progetta una disposizione — un insieme di capacità per dare forma allo spazio nel tempo. Le forme attive sono forme utili per trattare forme».[Aranda J., Vidokle A., Wood B. K., “The Internet...”, op. cit.]

Easterling spiega che l’azione è la portatrice di informazione, di conseguenze, cambiamenti o eventi. L’azione è il materiale utilizzato per fare cose e creare significato. L’azione si svolge ovviamente nello spazio, come relazione tra le forme attive e gli oggetti del tessuto urbano. In “An Enthology if Urban Fabric(s)” Jonas Fritsch e Bodil Marie Stavning Thomsen sviluppano un ragionamento sul concetto di tessuto urbano e sulle relazioni che si instaurano al suo interno. La semantica del tessuto urbano in genere viene indicata come:

«L’aspetto fisico dell’urbanistica, che enfatizza le tipologie edilizie, le strade, gli spazi aperti, le facciate e i paesaggi urbani ma escludendo l’ambientale, il funzionale, l’economico e il socio-culturale […]».[Fritsch Jonas, Thomsen Bodil Marie Stavning,“An ethology of urban fabric(s)”, “Post-Digital Research. A Peer-Reviewed Newspaper”, 2014, vol 3, n. 1, p.10]

In questo articolo Fritsch e Thomsen esplorano l’idea non metaforica del tessuto urbano facendo riferimento al concetto di “etologia”, secondo la definizione esplicata da Deleuse sul libro che scrive su Spinoza:

«Lo studio dei rapporti di velocità e lentezza, delle capacità di influenzare o essere influenzati che caratterizza ogni cosa». [Fritsch J., Thomsen B. M. S., “An ethology...”, op. cit.]

Nell’osservazione dei funzionamenti etologici dei tessuti urbani, i due autori si concentrano su due aspetti: la velocità e le caratteristiche dei tessuti urbani. Per quanto riguarda la velocità, sorgono due temi principali. Il primo riguarda la velocità in contrapposizione alla lentezza delle mode, la seconda riguarda la natura temporanea delle costruzioni edilizie. Le mode rappresentano una spinta nel mercato per avviare il progresso, e le novità vengono allineate ai cambiamenti delle mode. Le novità estetiche introdotte dalle mode di abbigliamento, e nella loro relazione con i corpi, che a loro volta si relazionano con l’ambiente urbano e con altri corpi, è un potenziale estetico utilizzato

da designers e architetti. Questa produzione relazionale/spaziale, che viene anche proposta dal cinema, porta anche a riproporre vecchie mode e stili del passato. Allo stesso modo anche la cultura del riuso e del riciclaggio, dei tessuti e abiti appartenenti al passato, si sviluppa all’interno di un commercio che diventa mainstream e che va ad influenzare l’ambiente abitato. Questo “rallentamento della moda” in cui la moda invece di andare avanti si guarda indietro, influenza perciò la produzione urbana [ ibridazione aspetto / innovative nostalgia e revival del passato ]. Il secondo aspetto citato da Fritsch e Thomsen è la natura temporanea dello sviluppo edilizio nella configurazione del tessuto come sistema di elementi che vivono relazioni esperienziali e di causa/effetto all’interno della sfera urbana. La lentezza dello sviluppo delle costruzioni urbane a cui siamo abituati è stata ribaltata dall’uso dei sistemi digitali, che hanno spesso cambiato la nostra percezione della città, come si vede, ad esempio, nelle pratiche artistiche di Rafael Lozano-Hemmer e del Graffiti Research Lab [ Graffiti Research Lab, “EyeWriter” (2009-in corso) ] [ Graffiti Research Lab, “L.A.S.E.R. Tag” (2006) ]. Sono operazioni, queste, che permettono di agire sul tessuto urbano in modo istantaneo, secondo le possibilità offerte dalle tecnologie digitali, annullando quindi il tempo tradizionalmente necessario per modificare l’esperienza urbana:

«Si potrebbe sostenere che stiamo assistendo alla complessità dell’“accelerazione” delle infrastrutture edilizie che si mescolano in qualche modo con un “rallentamento” attraverso l’azione di materiali, texture, tessuti e dati più o meno analogici — o post-digitali?».[Fritsch J., Thomsen B. M. S., “An ethology...”, op. cit.]

Fritsch e Thomsen proseguono l’articolo considerando le caratteristiche del tessuto urbano e il modo in cui queste possono essere utilizzate. Il tessuto urbano condiziona la nostra percezione quotidiana della città, le azioni che intraprendiamo e quello che BrianMassumi chiama “livello micropercettivo” [lettura consigliata: Massumi Brian, “Of Microperception and Micropolitics. An interview with Brian Massumi”, http://www.senselab.ca/inflexions/volume_3/node_i3/massumi_en_inflexions_vol03.html, INFLeXions 3, 2009]. Massumi collega il concetto di micropercezione a quello di micropolitica, riprendendo i concetti di Rancièrs dell’estetica della politica e della politica dell’estetica, secondo cui le pratiche artistiche compiute a livello urbano posso riconfigurare i tessuti dell’esperienza sensoriale,

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e sviluppare pratiche di attivismo urbano, utilizzando il materiale sensibile della città. [Lettura consigliata: Rancière Jacques, “Dissensus: On Politics and Aesthetics”, Continuum, Londra, 2010, p. 40]. Fritsch e Thomsen credono perciò che il tessuto urbano possa essere messo in discussione attraverso la sperimentazione critica, concettuale, artistica e progettuale, andando ad influenzare le persone nei loro modi di agire e di vivere la città. Le pratiche artistiche possono stabilire la riconfigurazione della distribuzione degli spazi comuni, attraverso pratiche di design di attivismo urbano nel quale viene usato il materiale sensibile della città alla scoperta degli elementi dell’esperienza urbana.

Abbiamo visto come, nello spazio reale e fisico abitato da strutture digitali, l’uomo analogico può interagire e intervenire, sviluppando così situazioni ibride. Ma esiste anche uno spazio che non è reale, ma che è totalmente virtuale e artificiale: il cyberspazio. Per William Gibson questo viene individuato come lo spazio in cui vivono i nostri computer, una rete di tutti i computer e di tutti i sistemi che processano le informazioni della terra. Benedikt afferma che:

«Il disegno del cyberspazio è, dopo tutto, il disegno di un altro mondo vivente, un universo parallelo che offre la prospettiva inebriante di realizzare — per mezzo di una tecnologia acquisita solo di recente — un sogno vecchio di migliaia di anni: il sogno di trascendere il mondo fisico, rimanendo pienamente in vita, quando si vuole, per dimorare in un Aldilà, nel quale acquisire maggior potere ed essere illuminati, dove soggiornare da soli o con gli altri e poter fare ritorno in qualsiasi momento». [ ibridazione corpo / lʼaldilà virtuale ][Bolter David, Grusin Richard, “Remediation: understanding new media”, The MIT Press, 2000]

L ’ I N T E R A -Z I O N E

Un aspetto ricorrente nell’arte postdigitale è l’interazione dell’utente con l’opera [ post-digitale e ibridazione / relazioni con le pratiche artistiche e comunicative ]. In “The Future of Art in Post Digital Age”, Alexenberg cita Edward Bullough, il quale sostiene che l’esperienza estetica deriva da una “distanza fisica”, la contemplazione visiva

dell’arte distaccata da ogni altra preoccupazione. Alexenberg cita l’esempio del Metropolitan Museum of Art, edificio che imita il tempio greco: le persone salgono l’ampia scalinata prima di arrivare al tempio.

All’interno del museo si fermano davanti ad ogni dipinto e lo onorano, in silenzio, lo osservano a debita distanza, camminano più vicino per leggere l’etichetta, dopo si allontanano e ripetono lo stesso omaggio rituale al successivo quadro:

«Gli artisti della nostra era postdigitale stanno creando nuove forme d’arte che enfatizzano la nostra essenziale interconnessione piuttosto che la separazione, forme che evocano un sentimento di appartenenza ad un tutto più grande piuttosto che esprimere il sé isolato e alienato».[Alexenberg Mel, “The Future of Art in a Postdigital Age. From Hellenistic to Hebraic Consciousness”, Intellect Bristol, UK / Chicago, USA, 2011, p.71]

Le nuove forme di happening e arte partecipativa nascono dalla volontà di far avvicinare le persone alle opere d’arte, per camminarci attraverso, toccarle, in modo da mettere in gioco molteplici percezioni sensoriali, e non più la sola vista [ come le tecnologie cambiano la società / il villaggio globale e la ri-tribalizzazione nella società elettrica / il ritorno ai media freddi ]. I tre tipi di segni rappresentativi citati da Alexenberg — icona, simbolo, indice — rappresentano cose che sono già state, già avvenute [ ibridazione aspetto / icona e scheumorfismo ]. Per quanto riguarda le forme d’arte partecipativa, Alexenberg parla di tre tipi di arte: identica, a priori, dialogica. L’arte “identica” non rappresenta nulla e non simboleggia o indica qualcosa, ma semplicemente “presenta” qualcosa. Essa descrive ciò che è, ciò che sarà e ciò che potrebbe essere: sono le forme e i colori presentati come forme e colori, è la cosa reale presentata

Metropolitan Museum of Art, New York

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come cosa reale, è la trasmissione in tempo reale di un avvenimento. Così Kandinskij sviluppa un tipo di arte identica perché presenta forme e colori puri che non rappresentano qualcos’altro. Rothko dipinge tele di colori sfumati che non rappresentano nulla, ma che sono in grado di evocare nell’osservatore reazioni spirituali ed emotive, e così l’opera si compie nell’innescamento di un evento in diretta. Le trasmissioni elettroniche in tempo reale di eventi forniscono un grande potenziale per creare opere di arte postdigitale identica, in questo senso Alexenberg cita il suo progetto “Four Wings of America”, realizzato in collaborazione con l’artista Miriam Benjamin. Nell’opera quattro ballerini situati ai quattro angolo dell’America — Miami, San Diego, Seattle e Portland — ballano simultaneamente davanti ad una web cam. I video vengono montati insieme su uno schermo e trasmessi in tempo reale.

Un altro tipo di arte descritto da Alexenberg è l’arte a priori. Questa indica la presentazione di un proposito o di un potenziale per un evento o opera non ancora realizzati. Per manifestare questi intenti, l’arte a priori può presentarsi sotto forma di icone o simboli. Alcuni esempi sono gli spartiti musicali, realizzati dai compositori ma eseguiti in seguitodai musicisti; le coreografie pensate dai coreografi e poi eseguite dai ballerini; il copione seguito dagli attori; i piani architettonici. Gli artisti contemporanei

possono creare arte a priori fornendo istruzioni per gli utenti o per i collaboratori, piani per installazioni pubbliche o per gallerie. Le opere di Christo e Jeanne Claude, ad esempio, che richiedono molto tempo e fondi massicci, non sempre vengono realizzate, e

Mark Rothko, Rothko Chapel, Houston (Texas), 1964-1971. Fondata da John e Dominique de Menil

Christo, “Surrounded Islands” (progetto per Biscayne Bay, Greater Mia-mi, Florida), matita, carboncino, pastello, pastello a cera, pittura a smalto, fotografia aerea e campione di tessuto, 1983

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anche quando lo sono, vengono precedute da disegni preparatori che diventano essi stessi delle opere d’arte. Inoltre sono opere che richiedono il lavoro di molti collaboratori impiegati in svariati lavori, che necessitano di istruzioni. “Surrounded Islands” è preceduta da disegni preparatori a pastelli e a carbone, collages e litografie che i due artisti hanno venduto per pagare i sei milioni e mezzo di dollari necessari per realizzare l’opera: una grandissima quantità di tessuto rosa, la manodopera di quattrocencinquanta persone che hanno lavorato giorno e notte, centoventi supervisori su gommoni per tendere il tessuto. Per opere come queste infatti ci vuole molto tempo, sia per raccogliere i fondi che per ricevere i dovuti permessi. Per realizzare

“Wrapped Reichstag”, infatti, Christo ha realizzato i disegni e i collages preparatori ventiquattro anni prima.

Se la land art opera sull’ambiente, Allan Kaprow opera su — e con — le persone. Kaprow conia il termine“Happening” nel 1957, che appare poi per la prima volta nel 1958 pubblicato in “Legacy of Jackson Pollock”. Con “Happening” Kaprow descrive le performance artistiche che invitano il pubblico a partecipare e interagire con l’ambiente creato dall’artista. Negli anni Cinquanta Kaprow realizza quadri, e seguendo il suo interesse per Pollock, inizia a realizzare i suoi “action-collages” in cui grossi pezzi di materiali vari — carta, cellophane, scotch, smalti, panni — sporgono dai dipinti fino a riempire l’intera galleria. Guardando i visitatori muoversi tra questi oggetti e dall’ambiente

da lui creato, Kaprow inizia a presentare delle istruzioni scritte da fornire al pubblico: spostare qualcosa, spegnere o accendere, e altre cose. Progressivamente, dal 1957-1958, inizia a dare agli utenti responsabilità sempre più grandi per la realizzazione dell’opera e lo sviluppo dell’Happening.

Alexenberg descrive infine l’arte dialogica. Questo tipo di arte si sviluppa attraverso il dialogo ed esiste come interazione tra le persone e tra persone e ambiente — naturale, artificiale o virtuale. Si può estendere anche come dialogo inter-specie. La differenza con l’arte identica e che questa è esperienza di qualcosa, mentre l’arte dialogica non è esperienza di qualcosa, ma si presenta come

Christo e Jeanne-Claude, “Surrounded Islands”, Biscayne Bay, Greater Miami, Florida, 1980-83

Christo, “Wrapped Reichstag, Project for Berlin”, grafite, carboncino, pastello, pastello a cera, fotografia di Wolfgang Volz, disegno stampato, dati tecnici, campione di tessuto e nastro, su due fogli di carta,1995

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una interrelazione con una esistenza propria. Deriva da un dialogo, una condivisione interattiva delle persone. Un esempio di arte dialogica è “Please, Superimpose, Please?” di John Randolph Carter, in cui l’artista invita due estranei ad impegnarsi in una conversazione in tempo reale attraverso lo spazio elettronico.

In “Arte e Media” Enzo Cuoghi scrive che le operazioni artistiche contemporanee e le prospettive future sono influenzate da un habitat artificiale inedito e complesso in rapida trasformazione. I territori sintetici e virtuali risultano anamorfici, interattivi, muntidimensionali. In questo contesto l’arte si sposta da un’opera chiusa verso un’opera relazionale in costante espansione. Questo tipo di arte interattiva porta all’inevitabile sparizione della figura dell’artista

come figura che racchiude il significato e l’atto artistico in maniera globale. Al contrario, l’opera può ricevere impulsi diversi da ambiti disciplinari disparati, perché vario è il potenziale interattivo. Cuoghi scrive:

«L’habitat della comunicazione sembra abbattere il diaframma che divideva le intenzioni dalle azioni, introducendo forme di collaborazione fra “artificiale” e “naturale” impensabili anche solo un decennio fa. […] L’habitat della comunicazione contemporaneo, unitamente al poderoso procedere di una quotidianità tecnologicamente aumentata, appare come una grande matrice plastica, in grado di accogliere e potenziare tutte le istanze creative che si trovano nelle condizioni di partecipare a questo processo autogenerativo di “scultura” sociale. […] La questione assume un’evidenza tattile laddove possiamo

John Randolph Carter, “Please, Superimpose, Please?”, in “A Special Videotape Show”, presso il Whitney Museum of American Art, New York, 1971

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osservare eventi […] che fondano la loro struttura su sistemi di interazione avanzati. Là, dove l’agire del fruitore si fonde in un fenomeno emergente non più separabile, e in un divenire quasi “alchemico”».[Balzola Andrea, “Arte e media...”, op. cit.]

Queste esperienze si basano quindi sull’interazione dell’uomo con un ambiente abitato dalle macchine e dai processi della rete. Questa interazione si presenta sotto forma di processo dal risultato non del tutto prevedibile:

«Oggi, la cosiddetta “Cultura Digitale”, che costringe il mondo alle dimensioni di un “villaggio globale”, così come è stato preconizzato da Marshall McLuhan, si manifesta a noi come una realtà ineludibile e anamorfica, onnivora e totalizzante. Ecco, è in questo contesto che si iscrivono una parte cospicua delle ricerche artistiche contemporanee».[Cuoghi E. in: Balzola Andrea, “Arte e media...”, op. cit.]

L A P O S I Z I O -N E D E G L I AT T O R I C O I N V O LT I

In “Do not return to sender why post-digital aesthetic research should distinguish between artist, critics and audience” [Philipsen Lotte, “Post-Digital Research A Peer-Reviewed Newspaper”, 2014, vol 3, n. 1] Lotte Philipsen indaga un aspetto cruciale della ricerca estetica post-digitale: il ritorno alla consapevolezza delle differenti posizioni dell’artista e del pubblico. Ci si dovrebbe chiedere il modo in cui gli attori coinvolti nell’arte contemporanea — artisti, curatori, critici, utente, pubblico implicito, pubblico reale — interagiscono e giudicano l’opera d’arte. Secondo Philipsen ci si interessa poco a queste diverse soggettive posizioni perché, nell’arte digitale, la ricerca estetica tende ad interpretare l’opera in base all’informazione tecnologica. I libri che parlano di arte contemporanea che fa uso delle nuove tecnologie infatti, stabiliscono spesso un focus sull’artista o sulle singole opere, o su sottogeneri tecnologici come video art, network art, interactive art. L’indagine su queste nuove tendenze estetiche non mette in risalto la distinzione tra le interfacce che vengono applicate e di cui fanno esperienza gli utenti. Philipsen spiega

che questo è un paradosso, soprattutto quando ci sono opere che usano quei nuovi media e tecnologie che non si sono ancora completamente affermate nella nostra cultura.

La svolta del post-digitale sarebbe quella di prendere in considerazione il potenziale estetico dell’arte senza che l’esperienza estetica debba essere automaticamente relativa alla sfera tecnologica. Quello che emerge è che in realtà, la stessa opera d’arte, a seconda della posizione del soggetto — artista, curatore, critico, utente, pubblico — può essere soggetta a diversi tipi di esperienze estetiche e di coinvolgimento. Può capitare anche, come nel caso di “5 Million Dollars One Terabyte” [ ManuelPalou, “5 Million Dollars One Terabyte” (2011) ], che i contenuti dell’opera non siano accessibili ai nostri sensi fisici, e quindi risulta difficile giudicarne l’estetica. Piuttosto, in questo caso, è il concettoquello che conta e che viene giudicato dal pubblico.L’opera in questione è un hard disk nero da un terabyte che contiene materiale scaricato illegalmente dal valore di cinque milioni di dollari, messo in mostra su un piedistallo. In questo caso il giudizio estetico sarà diverso in base al soggetto: l’artista avrà un suo giudizio, potendo accedere al contenuto dell’hard disk, mentre il pubblico potrà giudicarne solo l’aspetto esterno e probabilmente quello concettuale.

In altre opere invece, l’esperienza di artista e pubblico è inscindibile. Si tratta di lavori in cui l’artista fornisce delle istruzioni o delle semplici linee guida, e gli utenti partecipanti svolgono l’opera d’arte. Philipsen cita l’esempio della categoria “Digital Communities” dell’Ars Electronica Prix 2013, che consiste in opere in cui la separazione tra artista e pubblico può sembrare assurda. “El Campode Cebada”, è il progetto vincitore del Golden Nica del 2013, in cui l’omonima piazza chiusa di Madrid viene ridefinita tramite un’operazione collaborativa dei residenti. Il lavoro non è stato accreditato ad alcun artista o gruppo in quanto si tratta di un progetto di comunità sociale, anche se è Zuloark l’architetto dietro a questo progetto. Mentre a Madrid la piazza è però rimasta disabitata, all’Ars Electronica viene esibita, e questo solo atto di esibizione stabilisce automaticamente “El Compo de Cebada” come oggetto per un possibile giudizio estetico riflessivo anche da parte di altri — di un pubblico — e non solo dai loro produttori:

«Così, ogni opera d’arte (che utilizzi media digitali o no) necessita di almeno due differenti posizioni

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soggettive: il creatore (artista e/o curatore) e il pubblico. La posizione del pubblico è cruciale — non solo per l’arte ma per la riflessione estetica. […] Inoltre, esiste spesso più di una posizione del pubblico».[Philipsen Lotte, “Do not return to sender why post-digital aesthetic research should distinguish between artist, critics and audience”, “Post-Digital Research A Peer-Reviewed Newspaper”, 2014, vol 3, n. 1]

Considerando questo tipo di pratiche artistiche, diventa importante definire la differenza tra il pubblico e l’utente. Philipsen cita, per mostrare questa differenza, il lavoro di Telekommunisten group “OCTO P7C-1”, da loro descritto come “IntertubularPneumatic Packet Distribution System [ www.telekommunisten.net/octo ].

Questo progetto — costituito da tubi che trasportano messaggi scritti dagli utenti — intende rivoluzionare il sistema delle comunicazioni, tramite il ritorno alla sfera fisica creando una piattaforma globale per la condivisione di oggetti fisici. Per Transmediale 2013 viene realizzato un prototipo di OCTO P7C-1, in cui possiamo capire quali sono le differenze dei ruoli

coinvolti nell’opera. Gli utenti sono quei visitatori che si impegnano attivamente nell’opera, che scrivono o disegnano a mano dei messaggi per il tubo e li inviano o li ricevono comunicando con lo staff di OCTO. I viaggi dei messaggi all’interno dei tubi producono dei suoni, così come le conversazioni tra utenti e staff e le varie azioni svolte. Questi sono tutti differenti tipi di stimoli acustici, visivi e tattili con cui l’utente gradualmente esplora le dimensioni fisiche e semiotiche dell’opera — e potenzialmente compie su di essa una riflessione estetica. Il pubblico invece non si impegna direttamente nell’opera, ma osserva tutto quello che succede. Anche il pubblico perciò esplora il lavoro, ma da un punto di vista diverso rispetto all’utente, avrà una percezione sensoriale diversa ma al tempo stesso sarà in grado di fare una riflessione estetica sull’opera, seppur differente:

«Un pubblico può fare esperienza di ciò che nel paradigma digitale può essere descritto come “installazione reticolare, interattiva”, in maniera passiva e isolata e può ancora impegnarsi esteticamente con il lavoro, in quanto l’esperienza estetica è fondamentalmente una questione di giudizio e gusto personale. […] In conclusione, le qualità estetiche di un’opera derivano non dal

mittente ma dal ricevente dell’opera, che quindi, in ultima analisi, diventa il produttore estetico (ma non tecnologico) dell’opera». [ post-digitale e ibridazione / relazioni con la società: economia, storia, cultura, religione / cultura e religione ] [ post-digitale e ibridazione / relazioni con le pratiche artistiche e comunicative / interazione ][Philipsen Lotte, “Do not return...”, op. cit.]

“Inside OCTO”, https://vimeo.com/58703548, pubblicato da transmediale l’1 febbraio 2013

“Transmediale 2013 Rohrpost (OCTO P7C-1)”, https://www.youtube.com/watch?v=nTJtAxtkooU, pubblicato da Christian Grasse il il 31 gennaio 2013

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B i b l i o g r a f i a c o n s u l t a t a

Alexenberg Mel, “The Future of Art in a Postdigital Age. From Hellenistic to Hebraic Consciousness”, Intellect Bristol, UK / Chicago, USA, 2011

Anderson Christian Ulrik, Cox Geoff, Papadopoulos Georgios, “Post-Digital Research. A Peer-Reviewed Newspaper”, vol 3, n. 1, Digital Aesthetics Research Center/Aarhus University (Aarhus) in collaborazione con reSource transmedial culture berlin (Berlino), 2014

Aranda Julieta, Vidokle Anton, Wood Brian Kuan, “The Internet Does Not Exist, e-flux journal”, Sternberg Press, Berlino, 2015

Balzola Andrea,“Arte e media. Formazione ricerca produzione. Origini identità prospettive”, Scalpendi, Milano, 2010. Citazione originale in: Benjamin Walter, “Passages di Parigi”, Einaudi, Torino, 2002

Benjamin Walter, “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa”, Einaudi, Torino, 2000

Bolter David, Grusin Richard, “Remediation: understanding new media”, The MIT Press, 2000

S i t i c o n s u l t a t i ( 2 0 1 5 )

https://it.wikipedia.org/wiki/Christo_e_Jeanne-Claudehttps://en.wikipedia.org/wiki/Happening

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