Capitale umano e benessere - Intro e...

21
1 Capitale umano e benessere Maurizio Pugno Dispense per il corso di Economia del capitale umano (6 cfu) Anno accademico 2020/2021 Dipartimento di Economia e Giurisprudenza Università degli Studi di Cassino e Lazio Meridionale

Transcript of Capitale umano e benessere - Intro e...

Page 1: Capitale umano e benessere - Intro e I.1-2mauriziopugno.com/wp-content/uploads/2016/04/Capitale... · 2020. 10. 1. · capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere

1

Capitale umano e benessere

Maurizio Pugno

Dispense per il corso di

Economia del capitale umano (6 cfu)

Anno accademico 2020/2021

Dipartimento di Economia e Giurisprudenza

Università degli Studi di Cassino e Lazio Meridionale

Page 2: Capitale umano e benessere - Intro e I.1-2mauriziopugno.com/wp-content/uploads/2016/04/Capitale... · 2020. 10. 1. · capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere

2

Indice

Introduzione

Capitale umano: una introduzione

1. L’estensione della funzione di utilità e rendimento psichico

Box: Concetti e misure di benessere

2. L’estensione della funzione di utilità alla identità (modello di Akerlof)

Box: Benessere e identità sul posto di lavoro

3. L’accumulo razionale del capitale umano (modello di Becker)

4. Lo sviluppo cognitivo e non-cognitivo del capitale umano

Box: Caratteristiche personali variabili, ambiente familiare e capitale umano

5. Capitale umano e dipendenza dannosa (modello di Becker)

6. Capitale umano, dipendenza dannosa e miopia

Box: Sconto esponenziale e coerenza temporale

Box: Sconto iperbolico ed incoerenza temporale

7. La dipendenza dannosa di massa e le sue origini

Box: Il sovra-consumo di beni di comfort

8. Il benessere è crescita del capitale umano

Le politiche

Capitale umano, benessere e crescita economica

Riferimenti bibliografici

Figure

Page 3: Capitale umano e benessere - Intro e I.1-2mauriziopugno.com/wp-content/uploads/2016/04/Capitale... · 2020. 10. 1. · capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere

3

Introduzione Questi appunti hanno scopi puramente didattici, perché intendono fornire, in modo

semplice e piano, un quadro teorico d’insieme di una letteratura molto variegata che ruota attorno al ruolo del capitale umano nel benessere delle persone. E’ vero che la letteratura economica sul capitale umano si occupa in buona parte del rendimento dell’istruzione (e del training sul posto di lavoro), il quale è un argomento relativamente specifico. Tuttavia, il concetto di capitale umano, inteso come stock di conoscenze possedute dalle persone che influenzano le loro scelte e il loro benessere presente e futuro, è decisamente più ampio e vario. Basta pensare all’importanza di quelle che Heckman, premio Nobel per l’economia nel 2000, chiama abilità non-cognitive, come la pazienza, la scrupolosità, l’apertura alle nuove occasioni, ecc., che sono plasmate dall’esperienza delle persone a partire dalla loro infanzia. Oppure si può richiamare l’importanza di quella poco desiderabile competenza che ha il dipendente da droghe (o dal gioco), come ci ha fatto vedere Becker, premio Nobel per l’economia nel 1992. Oppure ancora l’importanza di esprimere la propria identità adottando una certa linea di condotta e acquistando certi prodotti, come ci ha fatto vedere Akerlof, premio Nobel per l’economia nel 2001. Ulteriori sviluppi del concetto di capitale umano si sono avuti nel contesto macroeconomico, osservando gli effetti aggregati del capitale umano sulla crescita e sull’efficienza del sistema.

Questa letteratura, pur attingendo ad altre discipline come la psicologia e la sociologia, mantiene la teoria economica della scelta razionale come l’approccio metodologico di riferimento. In tal modo, il concetto di capitale umano consente di affrontare diversi temi riguardanti la capacità delle persone di influenzare il benessere, materiale e non materiale, per mezzo della gestione della propria conoscenza sulle cose, su di sé e sugli altri. Il tipico problema è quello della scelta sulla carriera di studi in vista di un buon reddito futuro, o quello di finanziare il sistema scolastico per assicurare la futura crescita economica. Ma un problema non meno importante è quello riguardante la scelta tra quei consumi che possono ampliare la conoscenza e stimolare gli interessi delle persone, oppure i consumi fini a sé stessi, con la possibile conseguenza di non riuscire a sottrarsi alla rincorsa dei consumi.

L’uso della teoria economica della scelta razionale con conseguenze sul futuro implica il metodo di ottimizzazione intertemporale. Al fine di mantenere una esposizione semplice ed essenziale, questi appunti fanno un uso limitato della formalizzazione, e propongono un modello-base che mantiene le caratteristiche essenziali di quello di Becker, e lo estende opportunamente discutendo di altri modelli successivi. In tal modo si intende catturare le argomentazioni e i risultati dei principali studi presenti nella letteratura, e facilitare il loro confronto. Chi fosse interessato alle formalizzazioni più generali verrà rinviato ai testi originali.

Questi appunti, dunque, forniranno un quadro teorico d’insieme, e si concentrano sui contributi della letteratura che hanno affrontato il ruolo del capitale umano nel benessere delle persone. L’organizzazione è la seguente. Un paragrafo introduttivo è dedicato al concetto di capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere alle persone, inserendo in particolare il capitale umano e nella loro funzione di utilità. Dopo aver chiarito il significato e le implicazioni di una funzione di utilità così estesa (par. I.1), viene affrontato il modello di Akerlof sulla identità come capitale umano (par. I.2), il modello di Becker sulla accumulazione del capitale umano, in cui è presente la previsione dei suoi effetti benefici (par. I.3), l’approfondimento di Heckman sulla funzione di accumulazione (par. I.4), la versione del modello di Becker rivolta a spiegare la dipendenza dannosa da certi consumi (par. I.5), l’approfondimento sul caso di scarsa previsione di questi effetti (par. I.6), il caso della dipendenza di massa e le sue origini nella vita delle persone (par. I.7), e, per finire, il concetto di benessere che emerge da questa analisi (par. I.8). A mo’ di conclusione, due

Page 4: Capitale umano e benessere - Intro e I.1-2mauriziopugno.com/wp-content/uploads/2016/04/Capitale... · 2020. 10. 1. · capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere

4

paragrafi sono dedicati alle implicazioni di questa analisi sugli interventi di politica economica e sociale, e all’importanza del capitale umano, per la produzione e la crescita economica. All’interno dei diversi paragrafi si farà uso di box per mostrare esempi che contengono anche qualche approfondimento chiarificatore.

Page 5: Capitale umano e benessere - Intro e I.1-2mauriziopugno.com/wp-content/uploads/2016/04/Capitale... · 2020. 10. 1. · capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere

5

Capitale umano: una introduzione Una definizione estesa di capitale umano è la seguente. Il capitale umano è la quantità

di quelle conoscenze (teorico-generali), competenze (specifiche) e abilità (pratico-applicative) di tipo cognitivo (cioè verbalizzabile) e non-cognitivo (o socio-emotivo), che riguardano la realtà materiale e umana, e che appartengono alle persone, come singoli o come gruppo, in un dato momento del tempo. Il capitale umano è essenziale per il benessere materiale e non materiale delle persone. Nel corso del tempo il capitale umano può essere aumentato o diminuito, dalla singola persona o per interazione tra le persone, in modo intenzionale o non intenzionale.

La versione tradizionale di capitale umano è molto più ristretta. Essa esclude tutto ciò che non è cognitivo, ma è misurabile con gli anni di istruzione, ed è esclusivamente orientata ad aumentare la produzione.

Il capitale umano, che è dunque uno stock1, influenza il benessere delle persone in due modi. Il modo più studiato è quello riconducibile al maggior reddito che il capitale umano permette di ottenere. Per spiegare questa affermazione è opportuno ricorrere a un po’ di formalizzazione come generalmente si usa in economia.

Il capitale umano è un fattore che entra nella produzione di beni e servizi, vale a dire: Y = F(H, K, l)

dove Y è la produzione, F è la funzione della produzione (di un’impresa o di un paese), H è il capitale umano, K è il capitale fisico (stock) e con l si indicano le ore di lavoro (flusso). Inserito in questa funzione, il capitale umano è remunerato per il suo contributo alla produzione, che è usualmente calcolato (vale a dire assumendo concorrenza perfetta) come l’aumento (del valore) della produzione dovuto ad un aumento di H, a parità degli altri fattori della produzione. Vale a dire, nel continuo:

HY ∂∂ =r dove r è la remunerazione marginale o rendimento del capitale umano nella produzione. Una misura molto grossolana può essere l’incremento di remunerazione che un lavoratore ottiene se da diplomato diventa laureato. Questa remunerazione entra nella definizione del vincolo di bilancio del consumatore:

Y = l w r + redditi non da lavoro = pAA + pBB + . . . dove w è il remunerazione del lavoro semplice (vale a dire privo di istruzione) per unità di lavoro (per ora lavorata), pA è il prezzo (in unità monetaria) del bene A (in unità fisiche), e così per gli altri beni. Quindi r funziona come un indice che qualifica la remunerazione del lavoro. Tanto più alto è l’indice, quanto è alta la retribuzione del lavoratore, quanto più si allenta il vincolo di bilancio, e possono essere acquistati più beni. La utilità estratta dal consumatore da questi beni è rappresentata dalla funzione d’utilità (U):

U = U(A, B, …). L’aumento del capitale umano avviene per una esperienza pregressa che sviluppa

facoltà umane di tipo cognitivo come l’istruzione (I) , che può essere misurato in tempo di studio. Vale a dire:

tH ∂∂ =f(I) dove la f, detta ‘funzione di accumulazione del capitale umano’, è una funzione positiva (come la F e la U). Maggiore è il tempo dedicato allo studio, maggiore è l’aumento di capitale umano. Diversamente dalle altre due, che sono statiche, è una funzione dinamica.

Tuttavia, I deve essere sottratto a qualche altra attività, come il lavoro o come il tempo libero. Vale a dire: 1 Si dice che una variabile è di ‘stock’ quando è misurabile in un momento del tempo, mentre quando è misurabile su un arco temporale, si dice che la variabile è di ‘flusso’.

Page 6: Capitale umano e benessere - Intro e I.1-2mauriziopugno.com/wp-content/uploads/2016/04/Capitale... · 2020. 10. 1. · capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere

6

T = l + I + tempo libero dove T è il totale del tempo che si ha a disposizione (come frazione della propria vita, ad esempio età scolare). Quindi il consumatore si trova ad affrontare il problema di ripartire il tempo T fra le due componenti, l e I (il tempo libero è limitatamente comprimibile) a seconda che preferisca lavorare subito ma ricevere una remunerazione relativamente bassa o ricevere una remunerazione più alta, ma dovendo prima istruirsi per aumentare il proprio capitale umano. Questo è il modo convenzionale con cui viene impostato il problema dell’investimento in capitale umano. E’ un modo restrittivo, anzitutto perché concentrato sull’istruzione, mentre il capitale umano può essere acquisito anche con altre esperienze (l’esempio incontrovertibile è quello del gioco nell’età prescolare). In secondo luogo l’utilità U appare legata soltanto ai beni, mentre può essere anche ottenuta quando si acquisisce capitale umano (come quando i bambini imparano giocando).

Per descrivere questo secondo modo allargato occorre introdurre due modifiche. Anzitutto, I deve includere tutte le attività che formano il capitale umano, e non solo l’istruzione. Ad esempio, la stessa esperienza lavorativa è molto formativa. Dunque sarebbe più opportuno distinguere semplicemente T in I e non-I. Nel tempo residuale non-I rientra il tempo dedicato al mantenimento in efficienza dell’organismo umano, come il riposo mentale e fisico, la assunzione di calorie, liquidi, eventualmente medicine, ecc. Oppure altre attività in cui non si impara molto, come i lavori ripetitivi e il tempo dedicato semplicemente a rilassarsi. In secondo luogo, la funzione di utilità deve considerare anche il ruolo benefico del capitale umano e della sua acquisizione. Dentro la U si dovrebbe quindi introdurre la I o/e la H. Ad esempio è stato accertato che le persone istruite, pur a parità di reddito, godono di una migliore salute, che è una componente di U. In questo modo, si aggiunge l’effetto del capitale umano che entra direttamente dentro la funzione di utilità, all’effetto indiretto considerato prima, che passava attraverso la funzione di produzione.

Lo studio di questo modo allargato è stato ostacolato dalla difficoltà di misurare HU ∂∂ e IU ∂∂ . Infatti, mentre l’effetto del reddito sull’utilità appare logicamente scontato

(tutt’oggi diciamo spesso ‘benessere’ per indicare il benessere economico), l’effetto del capitale umano o di esperienze diverse dall’istruzione richiede una esplicita indagine di cosa è U (benessere psicologico?) e di come si misura. Ad esempio, a volte si parla di IU ∂∂ come rendimento psichico, che, ovviamente, è più difficile da definire di un rendimento monetario. Di questo si discuterà nei prossimi paragrafi.

Il rendimento del capitale umano di una persona può essere appropriato dalla persona stessa o andare a beneficio delle altre persone della società, oppure entrambe le cose. Ad esempio, la qualifica di laureato può dar luogo ad uno stipendio più elevato per il lavoro specializzato svolto. Ma se viene svolto in squadra, i collaboratori possono acquisire competenze che potrebbero non essere riconosciute nella paga del laureato. In tal caso si parla di esternalità positive, ed il rendimento individuale è inferiore al rendimento sociale che si può ottenere.

Page 7: Capitale umano e benessere - Intro e I.1-2mauriziopugno.com/wp-content/uploads/2016/04/Capitale... · 2020. 10. 1. · capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere

7

1. L’estensione della funzione di utilità e il rendimento psichico Lo studio del ruolo del capitale umano nel modificare il benessere materiale e non

materiale di una persona implica affrontare il problema della definizione di benessere, e, dal punto di vista dell’economista, implica trovare una specificazione della funzione di utilità adeguata per questo studio. Un requisito richiesto dall’economista alla definizione di benessere per essere utilizzata come variabile dipendente della funzione di utilità è quello della misurabilità. Questo requisito implica, ma non necessariamente, una proprietà desiderabile, quello della osservabilità. Una scorciatoia che garantisce sia la misurabilità, sia la osservabilità è quella della materialità (o tangibilità) del benessere. Si tratta di una scorciatoia perché il benessere materiale non è l’unica fonte di benessere, né garantisce che suoi incrementi si riflettano in incrementi del benessere non-materiale. Nonostante questo, sia tra gli economisti, sia nel linguaggio comune, ci si riferisce al benessere materiale assumendo che rifletta bene il benessere complessivo. Tuttavia, non sempre questa assunzione è corretta.

Analogamente, le variabili usate per spiegare il benessere attraverso la funzione di utilità (dette variabili esplicative o argomenti) dovrebbero essere misurabili, è opportuno che siano osservabili, è comodo che siano costituite da beni materiali. Tuttavia, le proprietà richieste alle variabili esplicative per poter essere utilizzate nella funzione di utilità sono meno stringenti. E’ infatti necessario e sufficiente il solo requisito della misurabilità, perché quello che interessa all’economista è il rendimento, vale a dire il benessere che una persona potrebbe ottenere se utilizzasse una certa quantità di un argomento. Com’è noto dalle nozioni di microconomia, interessa particolarmente il rendimento marginale o utilità marginale rispetto ad una variabile esplicativa, al fine di determinare la scelta ottimale tra le variabili del paniere. Quindi ancora una volta si rinvia alle proprietà del benessere.

In tal modo, è d’uso comune includere tra le variabili esplicative non solo i beni e i servizi acquistabili sul mercato, ma anche il tempo libero, nonché, in molti casi, generiche attività. Il modo più usato dagli economisti per rendere tangibile il rendimento è quello del costo-opportunità rispetto alla migliore variabile che può essere sostituta, e che solitamente si riferisce ad un prodotto di mercato (incluso il tempo di lavoro). Il tipico esempio riguarda la valutazione del rendimento del tempo libero, che viene valutato dal reddito che si sarebbe guadagnato se invece quel tempo fosse stato impiegato per lavorare.

Gli economisti dunque sono mal disposti ad utilizzare variabili che non abbiano rendimenti tangibili o immediatamente rapportabili a prodotti di mercato. Il capitale umano, definito come lo stock di conoscenze di una o più persone, è certamente una di queste variabili. Questo spiega il fatto che il capitale umano è stato utilizzato nella letteratura economica solo recentemente, e che il suo uso principale è nell’analisi del rendimento diretto sul mercato, vale dire come variabile esplicativa della funzione di produzione.

Tuttavia, l’utilizzo del capitale umano nella funzione di utilità ha permesso di spiegare vari fenomeni altrimenti inspiegabili. Diversi comportamenti delle persone, infatti, non sembrano essere riconducibili unicamente al proprio tornaconto economico. Questo ha avuto due effetti nella disciplina. Da un lato, s’è accettata una definizione di ‘rendimento psichico’ del capitale umano anche se intangibile e solo lontanamente rapportabile al reddito e ai prodotti di mercato. Dall’altro lato, lo studio del concetto di benessere ha avuto un nuovo impulso.

Il resto di questo paragrafo si soffermerà dunque sul concetto di benessere, tenendo a mente che il rendimento del capitale umano dovrà essere valutato appunto in termini di benessere. Questo concetto, ed il suo aspetto operativo nella funzione di utilità, ha attratto l’interesse di molti economisti, anche molto autorevoli, ed ha allargato il campo di indagine della disciplina, in particolare alla psicologia. In queste pagine, e nelle successive, incontreremo infatti i nomi di 6 Premi Nobel per l’economia che hanno contribuito a questo

Page 8: Capitale umano e benessere - Intro e I.1-2mauriziopugno.com/wp-content/uploads/2016/04/Capitale... · 2020. 10. 1. · capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere

8

argomento, tra cui uno psicologo di formazione.2 Senza contare che con il termine ‘benessere’ in economia si intende anche il benessere sociale che riguarda l’equità distributiva e le politiche connesse, e che viene comunemente chiamato welfare. Di quest’ultimo non si farà alcun cenno, essendo materia di un altro corso, ma l’attenzione sarà limitata a quello che potrebbe essere chiamato, in analogia al termine inglese well-being, con ben-essere.

Nei corsi di Storia del pensiero economico si racconta che lo studio dell’utilità è avvenuto seguendo due scuole, quella dell’utilitarismo di Bentham, tipico dell’800, e quella dell’ordinalismo di Pareto e Hicks, tipico del ‘900. Nelle rassegne sulla recente ‘economia della felicità’ si racconta che lo studio della felicità è avvenuto seguendo due scuole dell’antica Grecia, quella dell’edonismo risalente a Epicuro (o più correttamente ad Aristippo), e quella dell’eudaimonia, risalente ad Aristotele. Sia nello studio dell’utilità, sia in quello della felicità, una questione che ha animato il dibattito è il carattere soggettivo o oggettivo che dovrebbe avere la valutazione della utilità o felicità (well-being). Qui non si ripercorreranno in dettaglio tutte queste questioni, ma si prenderà il contributo dell’analisi del capitale umano come occasione per rivedere, in modo semplificato, le diverse articolazioni del dibattito sul benessere sotto una nuova prospettiva.

L’utilitarismo di Bentham considerava l’utilità in senso cardinale, cioè misurabile in termini assoluti, nell’idea che riguardasse una percezione del corpo a seguito dell’uso o consumo di un bene. L’utilità in tal senso doveva essere la guida per le scelte individuali, e quindi necessitava di introspezione. La valutazione dell’utilità era dunque soggettiva. Si osservi che l’esperienza passata del consumo del bene sta alla base della scelta per una esperienza futura.

Recentemente, Kahneman ha rivalutato il concetto di utilità cardinale come misura del benessere di una persona, forse in seguito alla possibilità di osservare l’attività cerebrale con strumenti moderni. Infatti, considerando che la percezione del corpo è un fenomeno osservabile o accertabile, almeno in laboratorio, Kahneman sostiene, in contrapposizione a Bentham, che la valutazione della utilità possa essere oggettiva, benché riferibile al soggetto, cioè variabile da persona a persona, almeno in una certa misura.

La distinzione tra l’utilità che il soggetto dice di percepire e quella osservata dall’esterno diventa rilevante per le conseguenze quando le due utilità non coincidono. Infatti, le decisioni vengono prese sulla base dell’utilità percepita, ma questa può essere distorta rispetto a quella oggettiva, cosicché la persona si ritrova ad aver preso una decisione che non massimizza la sua utilità che poi andrà effettivamente a sperimentare.

Più precisamente, Kahneman distingue anzitutto tra ‘utilità momentanea’, che è quella osservabile dal soggetto e dall’esterno in un dato momento, ‘utilità esperienziale’, che è quella che aggrega tutti i momenti di un’esperienza, e ‘utilità decisionale’, che è quella su cui la persona prende una decisione per il futuro. Kahneman sostiene poi che l’utilità decisionale si basa sul ricordo di quella esperienziale, e che questo ricordo è una percezione distorta dell’utilità esperienziale, che era oggettivamente osservabile. In particolare, sembra che le persone facciano una sintesi dell’esperienza vissuta (ad esempio la festa di compleanno di un amico) ricordando ‘solo’ il momento più significativo (ad esempio quando si scartano i regali), e quello conclusivo (i saluti). Si ‘dimenticano’ invece gli altri momenti (che magari sono di noia). La decisione che ne segue non sarà quindi ottimale (si tornerà alla festa rimanendo ‘sorpresi’ dei momenti di noia).

Kahneman e le ricerche sugli errori di percezione, di memoria, e di previsione hanno così messo in luce un fatto importante: che le scelte umane, anche quelle prese sistematicamente, possono non essere razionali, cioè massimizzanti il benessere. Vale a dire,

2 Si tratta di Akerlof [2001], Becker [1992], Harsany [1994], Heckman [2000], Kahneman [2002], Sen [1998]. Tra parentesi quadre è indicata la data di conferimento del premio Nobel.

Page 9: Capitale umano e benessere - Intro e I.1-2mauriziopugno.com/wp-content/uploads/2016/04/Capitale... · 2020. 10. 1. · capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere

9

le persone possono trovarsi ad aver fatto ripetutamente scelte di cui dopo si pentono. Queste ricerche costituiscono la cosiddetta ‘economia comportamentale’, che tenta di costruire una nuova teoria studiando il tipo e il segno delle distorsioni, per poter spiegare una quantità maggiore di fenomeni e fare previsioni. La teoria del capitale umano rientra in parte in questa ricerca.

Utilitarismo vecchio (soggettivo) e nuovo (oggettivo) sembrano quindi poter rientrare nel filone filosofico dell’edonismo. In realtà, l’edonismo è stato spesso letto come quel principio che suggerisce di lasciarsi guidare dal corpo e dalle spinte che ne provengono, tipicamente le emozioni, quando si devono prendere delle decisioni. In passato, questo ha animato il dibattito in campo filosofico sulla contrapposizione tra ‘passioni e ragione’. Recentemente il dibattito si è spostato tra coloro (spesso neuroscienziati) che ritengono che le emozioni siano indispensabili nel prendere le decisioni, anche quelle apparentemente più razionali, e coloro (spesso economisti) che ritengono invece che le emozioni distorcono le scelte rispetto a quelle che avrebbero dato loro il maggior benessere. Il caso preferito dagli economisti su tale questione riguarda le scelte intertemporali. La spinta emotiva sarebbe miope mentre il calcolo razionale sarebbe previdente. Come si vedrà, il capitale umano implica una scelta intertemporale, e la questione è quindi di grande interesse.

L’edonismo si concentra sul benessere, che viene studiato come reazione corporea agli stimoli esterni, con, in particolare, una elaborazione del cervello che assegna una valutazione di piacere/dispiacere (edonica) allo stimolo. L’edonismo si concentra dunque sul lato sinistro della equazione U = U(…), per chiedersi poi quali stimoli sul lato destro si associano meglio a U. Dunque il fine è U, che deve infatti essere massimizzato, e gli argomenti tra parentesi sono i mezzi per conseguire U.

All’utilitarismo, nell’ambito dell’economia, si contrappone l’ordinalismo, secondo cui, per prendere scelte ottimali, è sufficiente conoscere le preferenze tra opzioni alternative, vale a dire l’utilità di una opzione relativamente all’altra. La coerenza che devono avere le preferenze (ad es. la proprietà transitiva secondo la quale se preferisco A a B, e B a C, allora non posso preferire C ad A) fornisce già dei principi che possono spiegare la elasticità negativa della domanda senza richiedere la introspezione o una misura cardinale. Questo approccio è quindi potente e diffuso, e viene usualmente insegnato nei corsi di microeconomia.

Ma l’ordinalismo si è spinto anche oltre con l’approccio delle ‘preferenze rivelate’. Questo approccio sostiene che le preferenze possono essere inferite dall’economista osservando le scelte effettuate delle persone, ed assumendo che siano razionali. In tal modo, non è ovviamente necessaria alcuna introspezione, la valutazione dell’utilità è oggettiva perché osservabile dalle scelte compiute. Non c’è possibilità d’errore per costruzione, e “tutto è bene ciò che è scelto”.

L’ordinalismo e l’approccio delle ‘preferenze rivelate’ non sono quindi interessate allo studio e alla valutazione del benessere perché questo è supposto come derivato dalle scelte stesse. La funzione di utilità potrebbe non essere neppure usata perché le scelte osservabili rivelerebbero implicitamente le preferenze. Se vengono venduti molti biglietti di un concerto, questo implicherebbe che quel concerto piace, molti sarebbero contenti ad andarci, e non si pentirebbero di esserci andati.

Inoltre, con l’ordinalismo e l’approccio delle ‘preferenze rivelate’ il campo esplicativo della teoria si è andato restringendo alle scelte ‘locali’, cioè alle scelte che, presa una per volta, riguardano un ambito molto ristretto della vita di una persona. Ad esempio quando andiamo a fare la spesa al supermercato. L’originario utilitarismo di Bentham invece aveva l’ampio orizzonte di perseguire la ricerca della felicità degli esseri umani. Ma un insieme di scelte razionali ‘locali’ non garantisce di condurre le persone al benessere.

Page 10: Capitale umano e benessere - Intro e I.1-2mauriziopugno.com/wp-content/uploads/2016/04/Capitale... · 2020. 10. 1. · capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere

10

Un modo per allargare il campo di scelta è riconoscere la limitatezza delle informazioni a disposizione di ciascuna persona. Harsany distingue tra preferenze ‘effettive’ (o idiosincratiche), che possono essere osservate (o, meglio, inferite), e le preferenze ‘informate’, che sono le preferenze che le persone potrebbero avere se avessero a disposizione tutte le informazioni necessarie sulle opzioni tra cui devono scegliere. La massimizzazione operata solitamente dalle persone, è quindi una massimizzazione locale perché basata sulle preferenze effettive. Risultati migliori potrebbero essere ottenuti con un ampliamento delle informazioni. Il processo di acquisizione delle informazioni è quindi importante, e, come si vedrà, riguarderà anche il capitale umano, che potrebbe essere misurato dalla quantità delle informazioni possedute da una persona.

Un approccio più radicale per ampliare il campo di scelta e puntare ad un livello assoluto di benessere è quello che indaga “cosa rende felici le persone” per proporre una funzione di utilità estesa ai nuovi argomenti che sono rilevanti anche se intangibili. Si tratta, in altri termini, di partire dal lato destro della funzione U = U(…), per spiegare il lato sinistro.

Questo approccio è tutt’altro che unitario. Semplificando, si possono distinguere due sottoapprocci a seconda della ispirazione filosofica oppure psicologica. L’intento iniziale comune è quello di stilare una lista di argomenti che possano spiegare il benessere complessivo di qualsiasi persona. Ad esempio, Harsany propone, partendo dal filosofo Parfit, la seguente lista: “comfort materiale; sicurezza fisica; libertà di controllare la propria vita; un lavoro adatto alla nostre capacità e interessi; relazioni personali profonde nell’amore, nel matrimonio, nell’amicizia; avere bambini ed essere un buon genitore; capire meglio il mondo e il nostro posto nel mondo; gioire della bellezza nella natura e nell’arte; avere un riconoscimento di qualche tipo; e conformare il nostro comportamento a valori morali”. Una funzione di utilità che comprendesse questi argomenti potrebbe essere detta ‘universale’ (o funzione di ‘metapreferenze’). Il problema è renderla operativa.

Sen e la filosofa Nussbaum compiono un passo operativo interessante, pur non specificando una funzione di utilità tradizionale. Essi infatti introducono i concetti di ‘funzionamenti’ delle persone, secondo cui queste sono effettivamente in grado o no di apprezzare le caratteristiche dei beni che hanno scelto, e di ‘capacitazioni’ delle persone, secondo cui queste sono in grado o no di apprezzare le caratteristiche dei beni che potrebbero scegliere. Per ‘apprezzare’ si intende avere preventivamente accesso ai beni, conoscere le loro caratteristiche, e saperli poi valutare per poterli confrontare con quelli che si hanno già a disposizione. Se ad esempio una persona soffre di scarso assorbimento intestinale, è impedito in un funzionamento. Se un’altra persona gode di libertà religiosa, può decidere se digiunare o no, avendo sufficiente capacitazione. Nella funzione di utilità, dunque, potrebbero essere introdotti, oltre ai beni, anche i funzionamenti e le capacitazioni che rendono i beni fruibili. Come conseguenza operativa, si argomenta che il benessere di un paese non può essere valutato solo sulla base del reddito procapite, ma anche dalla capacità di utilizzarlo per il proprio benessere, e dunque dallo stato di salute della popolazione, dalla speranza di vita alla nascita, dalla possibilità di esercitare diritti civili ecc.. Poiché tutto questo è misurabile oggettivamente, sono sufficienti per descrivere il benessere, e non è necessario misurare il benessere in quanto tale, meno che mai con misure soggettive. Sen è scettico sulla possibilità di una misura soggettiva che sia affidabile perché – così sostiene – sono alterate dall’adattamento alle condizioni oggettive. Anche un indigente si può fare una ragione del suo stato e dichiarare un buon livello di felicità. Occorre quindi una valutazione distaccata, razionale, e quindi possibilmente fatta da terzi.

L’analisi di Sen e Nussbaum è interessante per le implicazioni di politiche economiche e sociali, specie nei paesi in via di sviluppo. Tuttavia, non aiuta molto a capire come le persone scelgono per il proprio benessere.

Page 11: Capitale umano e benessere - Intro e I.1-2mauriziopugno.com/wp-content/uploads/2016/04/Capitale... · 2020. 10. 1. · capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere

11

Il sottoapproccio psicologico al benessere è più pragmatico. Sulla base di indagini sul campo ed in laboratorio, un gruppo di psicologi guidati da Deci e Ryan ha selezionato i bisogni psicologici fondamentali (bpf), la cui soddisfazione è condizione necessaria e sufficiente per ottenere il benessere. In modo parsimonioso sono stati individuati tre bisogni psicologici fondamentali: il bisogno di autonomia, vale a dire della sensazione che l’iniziativa delle azioni intraprese parte dal proprio interno senza coercizioni esterne; il bisogno di competenza, vale a dire della sensazione che le proprie azioni hanno efficacia sul mondo esterno e su sé stessi; il bisogno di relazionarsi agli altri, sapendo comprenderli nei loro bisogni e rispondere adeguatamente.

Deci e Ryan sono in grado di dettagliare, con evidenze empiriche, quali sono le conseguenze positive della soddisfazione dei bpf sul benessere. Hanno accertato infatti che le conseguenze si estendono dal benessere psicologico all’aumento della vitalità come energia per perseguire i propri obiettivi, all’aumento della capacità di dare un significato ultimo ai propri obiettivi, al benessere fisico, in termini di riduzione dei sintomi patologici e di allungamento della vita.

Ma neppure Deci e Ryan offrono una teoria della scelta, secondo la quale le persone saprebbero cosa scegliere di fare per soddisfare i bpf. In altre parole, Deci e Ryan non indicano cosa inserire nella funzione di utilità, che invece interesserebbe molto gli economisti. Infatti, secondo Deci e Ryan, non sono i beni in sé che soddisfano o non soddisfano i bpf, ma le motivazioni con cui si utilizzano i beni. Sostengono che una guida utile, ma non sufficiente, per fare le scelte che soddisfano i bpf è costituita dalle ‘motivazioni intrinseche’. Una motivazione per scegliere una opzione è detta intrinseca quando lo stesso perseguimento della opzione da benessere. Ad esempio, mentre è una motivazione estrinseca quella di scegliere un lavoro con il solo obiettivo di avere una paga per poter consumare, la motivazione diventa intrinseca se è il lavoro stesso che da soddisfazione.

Entrambi i sottoapprocci al benessere, quello filosofico e quello psicologico, possono essere fatti rientrare nell’approccio dell’eudaimonia, secondo cui andrebbero perseguiti quei fattori che, come conseguenza non intenzionalmente cercata, concorrono alla felicità. L’eudaimonia si contrappone all’edonismo non tanto per la definizione dello stato psicofisico di benessere che può essere eventualmente raggiunto, quanto per il fuoco dell’analisi: l’edonismo è focalizzato sull’esito, sulla misurazione del benessere e sulla prescrizione di perseguire il benessere come obiettivo finale; l’eudaimonia è focalizzata sui mezzi (come impiegare il tempo, che beni consumare, ecc.) che ritiene necessari per raggiungere il benessere e che costituiscono l’oggetto delle conseguenti prescrizioni. L’eudaimonia avverte inoltre che perseguire il benessere come obiettivo può essere una strategia controproducente. Infatti, i comportamenti edonistici avrebbero effetti transitori sul benessere, mentre comportamenti eudaimonici avrebbero effetti duraturi.

La teoria del capitale umano, come si vedrà, aiuterà a raccogliere molte delle indicazioni fornite dagli autori qui ricordati, e a risolvere diversi problemi lasciati insoluti, perché può fornire una teoria di sintesi grazie specificatamente ad una sua caratteristica fondamentale che vedremo nei prossimi capitoli: quella di essere una teoria dinamica.

Box

Concetti e misure di benessere L’ edonismo è una corrente filosofica basata sull’idea che il piacere è, in ultima istanza, la cosa

più importante nella vita delle persone (Aristippo). Le loro azioni dovrebbero quindi essere ispirate a massimizzare il piacere e a minimizzare la pena, essendo il benessere o utilità misurabili come quantità fisiche (Bentham). Recentemente, ispirandosi a questa concezione, è stata proposta una misurazione del ‘benessere momentaneo’, vale a dire del flusso di benessere percepito dal una

Page 12: Capitale umano e benessere - Intro e I.1-2mauriziopugno.com/wp-content/uploads/2016/04/Capitale... · 2020. 10. 1. · capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere

12

persona in seguito ad una sua azione, o semplicemente al trascorrere del tempo (Kahneman). Si tratta del Day Reconstruction Method.

Il Day Reconstruction Method è un metodo per misurare il benessere a seconda dell’attività svolta nell’arco della giornata. Si chiede infatti ad un campione di persone di ricostruire, rispondendo ad un questionario scritto: - le attività svolte nell’ultima giornata per durata e caratteristiche specifiche, - la intensità del benessere provato durante queste attività, nonché alcune qualità degli affetti,

come la felicità, la preoccupazione, la rabbia. E’ così possibile rappresentare il benessere medio che le diverse attività quotidiane procurano

secondo due scale: una che misura gli affetti positivi, l’altra gli affetti negativi. La tabella che segue è un esempio di questo tipo di sondaggio (Schwartz, Kahneman, Schkade,

Stone).

Questo metodo sembra essere alquanto fedele a quello che effettivamente provano le persone, al punto di ritenerlo ‘oggettivo’. Tuttavia, è molto costoso, e messo a punto recentemente solo negli Stati Uniti.

Il Subjective Well-Being è una misura del benessere usata in molte indagini da alcuni decenni a livello mondiale. Consiste nella risposta data da decine di migliaia di persone ad una semplice domanda del tipo: “considerando complessivamente la sua vita di questi giorni quanto ti ritieni felice?” Le possibilità di risposta sono numeriche, ad esempio una scala da 1 a 10, oppure qualitative, ad es. “molto felice, abbastanza felice, per niente felice”.

Questa misura ha il vantaggio di usare una domanda molto facile, immediatamente traducibile nelle diverse lingue, poco costosa da fare nei sondaggi. Ha lo svantaggio di dipendere dal contesto, e di essere distorta dalle propensioni personali ad apparire più o meno felice, per cui è ritenuto un metodo ‘soggettivo’. Le distorsioni, essendo in entrambe le direzioni, dovrebbero cancellarsi nei grandi campioni.

E’ indubbio tuttavia che questo metodo non registra la utilità momentanea (o non soltanto questa), ma richiama anche all’intervistato una valutazione retrospettiva del suo benessere. Per questo motivo Kahneman ritiene che il SWB sia così distorto da dover essere preferito il DRM.

I grafici che seguono sono costruiti sulla base del SWB, e si riferiscono agli Stati Uniti dal 1945 al 2000 (rappresentazione temporale), e ad un campione mondiale di paesi alla fine degli anni ’90 (rappresentazione sezionale).

Page 13: Capitale umano e benessere - Intro e I.1-2mauriziopugno.com/wp-content/uploads/2016/04/Capitale... · 2020. 10. 1. · capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere

13

Come è ben visibile, il SWB non aumenta negli USA, mentre è più alto nei paesi ricchi, anche se in modo via via meno pronunciato. Il diverso andamento del SWB al crescere del reddito nelle due rappresentazioni è ritenuto sorprendente dagli economisti, ed è stato chiamato paradosso di Easterlin (vedi par. I.7).

L’ eudaimonia è una corrente filosofica di origine aristotelica che è basata sull’idea che la

felicità dipende dalle più profonde caratteristiche dell’essere umano, le quali determinano come le persone si rapportano al mondo. Quindi, diversamente dall’edonismo, diversi fattori, più o meno perseguiti dalle persone, conducono alla felicità, la quale non è invece perseguita in quanto tale, ma ne deriva di conseguenza.

Aristotele prescriveva una condotta etica da amministrare con la ragione, mentre recentemente Deci e Ryan preferiscono parlare di comportamenti guidati dalle motivazioni, che possono non essere completamente coscienti.

Il grafico che segue mostra la relazione che intercorre tra il livello di SWB (da 1 a 7) e l’importanza relativa attribuita ai soldi (come valore da perseguire nella vita) piuttosto che all’amore o viceversa da parte di un campione di 7000 studenti di diverse nazionalità. Da questo grafico si evince che coloro che attribuiscono una importanza prioritaria ai soldi rispetto all’amore riportano un livello di SWB più basso e viceversa.

Page 14: Capitale umano e benessere - Intro e I.1-2mauriziopugno.com/wp-content/uploads/2016/04/Capitale... · 2020. 10. 1. · capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere

14

I.2 L’estensione della funzione di utilità alla identità (modello di Akerlof) Un primo passo per considerare il capitale umano come uno stock che procura un

rendimento psichico nella funzione di utilità è fornito dall’importante contributo di Akerlof e Kranton (2000) sulla identità in economia. Pur non affrontando il problema dell’accumulazione del capitale umano, e neppure direttamente il concetto di capitale umano, questo contributo è importante. Infatti, esso mostra come l’estensione della funzione di utilità all’identità, come insieme di caratteristiche di una persona nel contesto sociale, non solo cognitive, sia in grado di spiegare diversi comportamenti che non appaiono procurare benessere, o che addirittura appaiono auto-lesivi. Per far questo, vengono presi a prestito dalla sociologia e psicologia alcuni risultati relativamente consolidati in quelle discipline, ma ignorati in economia.

Il concetto di identità utilizzato da Akerlof e Kranton, che chiamano anche senso di sé o auto-immagine, è definito in termini di categorie sociali di appartenenza. Ad esempio il genere è una categoria con le alternative femminile e maschile, la professione è un’altra categoria con le alternative di operaio, impiegato, ecc., e così via. L’identità di una persona può essere così definita come appartenenza ad una di queste alternative per ciascuna delle categorie, ma generalmente non tutte. Lo stock di conoscenza costituita dall’identità riguarda dunque le caratteristiche della persona e le caratteristiche degli altri, anch’essi osservabili come appartenenti alle diverse categorie.

I comportamenti delle persone non sono solo motivati dalla ricerca del benessere materiale, ma anche dalla spinta ad esprimere la propria identità nel confronto sociale. Le due motivazioni possono entrare in rotta di collisione. Per spiegare questo risultato, che può apparire paradossale, la formalizzazione con un modello può essere di aiuto.

La funzione di utilità estesa di una persona sia la seguente: (1) U = U (a, I)

dove a è un vettore formato da diverse azioni o attività (cioè l’elemento ai del vettore a è la i-esima azione) che la persona può intraprendere per conseguire, da ciascuna di esse, un rendimento economico netto. Ad esempio, ai potrebbe rappresentare il benessere di consumare un certo bene avendo lavorato per comprarlo, cosicché il benessere netto risultante è quello lordo del consumo meno il costo dello sforzo lavorativo.

Più precisamente, con aU ∂∂ / , nella (1), viene rappresentato il vettore dei benefici marginali (netti) derivanti da un insieme di attività che formano il paniere di scelte a disposizione. Ad esempio, l’i-esima azione di consumare un certo bene procura una utilità

Page 15: Capitale umano e benessere - Intro e I.1-2mauriziopugno.com/wp-content/uploads/2016/04/Capitale... · 2020. 10. 1. · capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere

15

aggiuntiva netta se per consumare quel bene si rinunciano ad altre azioni o beni, come il tempo libero (definiti come aj, dove j è diverso da i), che avrebbero invece procurato benefici netti inferiori. Vale a dire, la scelta è guidata dai benefici e dai costi di ogni azione. Pertanto, un osservatore superficiale delle scelte dell’individuo, cioè tale per cui ignora I, si aspetta che l’individuo scelga una determinata composizione del paniere a che massimizza U sulla base dei costi e benefici economici di a.

Nella funzione di utilità estesa (1), però, entra anche l’identità (I), che è definita secondo le alternative delle categorie sociali (c) a cui appartiene la persona. Akerlof e Kranton attingono alla psicologia e sociologia anche per spiegare come le persone generalmente esprimono questa identità nella vita sociale. I comportamenti delle persone sarebbero infatti ispirati a comportamenti ideali socialmente determinati. Ad esempio, l’ideale di donna ispirato alle modelle della pubblicità sarà quello di forma longilinea ecc. Tanto più i comportamenti delle persone si conformano a questi ideali, quanto più ne traggono un benessere. In termini formali:

(2) I = I (c, –|a–P|) dove c caratterizza I per mezzo delle categorie, e P denota il comportamento ideale per ciascuna categoria. La differenza in valore assoluto tra a e P entra nella funzione in modo negativo per rappresentare il beneficio ottenuto dal minimizzare la lontananza di a da P sia nel caso a>P, sia nel caso a<P. Quindi, tanto più a si avvicina a P, e quindi quella differenza è minore, quanto maggiore è il beneficio netto ottenuto dal conformare il proprio comportamento a quello ideale P. Ovviamente, il beneficio netto massimo derivante dai soli comportamenti identitari sarebbe a=P. Se a fosse maggiore o minore di P il beneficio netto sarebbe più piccolo. Nell’esempio fatto, sarà a<P per coloro che non riescono a mettersi a dieta come vorrebbero, e sarà a>P per coloro che eccedono col rischio di ammalarsi.

La scelta tra le diverse attività per massimizzare U dovrà tenere in considerazione sia l’effetto diretto di a che compare nella (1), che rappresenta la componente “economica”, sia quello indiretto di a attraverso la (2), che rappresenta la componente “identitaria”. I due effetti possono avere lo stesso segno, ma possono avere anche segno contrario.

Si consideri l’esempio della divisione del lavoro in casa tra coniugi. Il modello economico tradizionale, basato sulla efficienza e sui costi economici comparati, predice che sarebbe razionale che un coniuge si specializzasse nel lavoro domestico e l’altro nel lavoro fuori casa o di mercato. Otterrebbero così un maggior rendimento congiunto, e una maggiore utilità individuale. Dunque l’equazione da massimizzare sarebbe la (1) senza la variabile I. Ma i dati e l’esperienza mostrano che la maggior quantità di lavoro domestico non ricade casualmente su un coniuge, ma quasi sistematicamente sulla donna. Se nella funzione di utilità di ciascun coniuge (1) si considera invece l’identità (I) come appartenenza al genere, allora si spiega un fatto presente in tutti i paesi e apparentemente inspiegabile. Infatti, il lavoro domestico entra nella (1) tra le diverse attività (a) con un rendimento netto negativo, riducendo pertanto l’utilità. Se però si considera anche il rendimento positivo di I, derivante dal riconoscimento sociale della famiglia tradizionale, peraltro oggi in via di superamento, allora la scelta del lavoro domestico da parte della donna può trovare una giustificazione.

In generale, quindi, il paniere che massimizza l’utilità estesa (1) sarà quella della utilità convenzionale, funzione solo di a, ma “corretta” con la (2) per tenere conto del rendimento derivante dall’esprimere una certa identità. Se la correzione è piccola, ignorare I non implica un grave errore. Ma in taluni casi l’importanza di I è tale da modificare a drasticamente, in modo da provocare malessere materiale (quello diretto su U). Si pensi al caso del terrorista. Il suo ideale è la causa per la quale rischia la vita. Avvicinare il comportamento al suo ideale può diventare lesivo della sua incolumità fisica. Se si ignorasse I, il suo comportamento osservabile sarebbe incomprensibile secondo una logica razionale, mentre diventa comprensibile se si considera I.

Page 16: Capitale umano e benessere - Intro e I.1-2mauriziopugno.com/wp-content/uploads/2016/04/Capitale... · 2020. 10. 1. · capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere

16

Per chiarire meglio utilizziamo le equazioni (1) e (2), e diamone una rappresentazione grafica. Cominciamo con il grafico della (1) ignorando la (2), poi considereremo soltanto la (2), e infine ragioneremo sulla (1) combinata con la (2). La (1) senza la (2) dice come varia U al variare di ai. Essendo i comportamenti soggetti a vincoli, di tempo, sforzo, reddito ecc., le azioni ai daranno rendimenti prima crescenti, e poi decrescenti per il costo-opportunità che aumenta al crescere di ai, sopravanzando ad un certo punto i benefici di ai. Esisterà quindi un massimo di U per un certo livello di ai, denotato con a°i, secondo una curva (vedi sotto) che parte da zero se ai dovesse essere essenziale (cioè se occorre che sia ai>0 per avere U>0), ed arriverà a zero quando ai assorbe tutte le risorse (tempo, sforzo, ecc.) che sarebbero altrimenti necessarie per le altre aj.

La equazione (2) ci dice che I sarà massimo quando ai=P, per date categorie c. Quindi si

può così rappresentare la relazione tra I e ai, che è a forma di cuspide:

Sostituendo la (2) nella (1) si ottiene:

(3) U = U (a, I(c, –|a–P|)) In questo modo si mette in relazione ai con U nella stessa equazione attraverso due

canali: quello economico e quello identitario. La rappresentazione grafica sarebbe possibile se fosse nota l’importanza del primo canale e del secondo, vale a dire se la funzione U fosse esplicitata con parametri numerici. Però si può comunque ragionare con la combinazione dei due grafici appena visti:

Infatti, e già possibile dedurre dal grafico così combinato che il livello di ai che

massimizza U, pur non essendo precisamente determinato né rappresentato sul grafico, è sicuramente compreso nell’intervallo chiuso [a°i,P]. Dunque, considerare l’identità sociale delle persone può spostare i comportamenti. Tanto più la componente identitaria è importante (rappresentabile con una cuspide pi elevata), quanto più il livello di ai che massimizza U sarà spostato a destra verso P. Ci potrebbero anche essere casi in cui la sola componente economica è negativa (in questo caso la curva a gobba si collocherebbe tutta sotto l’asse delle

ai

U

P a°i

I

ai P

ai

U

a°i

Page 17: Capitale umano e benessere - Intro e I.1-2mauriziopugno.com/wp-content/uploads/2016/04/Capitale... · 2020. 10. 1. · capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere

17

x), ma la combinazione con la componente identitaria rende l’opzione attraente perché U diventa positivo, nonostante molto spostato a sinistra di P.

Un aspetto chiave del modello è P, vale a dire le prescrizioni per un comportamento ideale secondo un modello sociale. Nel caso del lavoro domestico, il modello de “la donna in casa e il marito al lavoro” è ancora diffuso, anche se stanno emergendo anche altri modelli. Ad esempio quello della donna emancipata che pianifica la sua vita decidendo prima il lavoro e poi la maternità.

Dunque le alternative di ciascuna categoria, ma anche le categorie stesse, possono cambiare e sorgere di nuove. In diversi casi le persone possono scegliere. Non il colore della pelle, ma la professione sì. In tal caso la scelta è in due tempi: prima quella che riguarda le categorie (c), a cui è associato P, poi i comportamenti (a). E’ razionale che la scelta su c minimizzi lo scostamento di partenza |a–P|. Cambiare di genere, ad esempio, fissa per la persona uno scostamento alquanto elevato. Ma essendo P socialmente determinato e variabile, le persone possono sentirselo vicino o lontano. Non solo, ma P può essere anche manipolato dalla grande industria o da leader politici. La televisione in particolare ha un grande impatto nel proporre modelli sociali; a volte anche lo stile di gestione del potere ha un impatto di rilievo. Tuttavia, Akerlof e Kranton non applicano il principio di razionalità alla prima scelta, quella riguardante c, né studiano i mutamenti di P, che quindi rimane esogeno nel loro modello.

La massimizzazione dell’utilità – riconoscono Akerlof e Kranton – non deve essere necessariamente cosciente; anzi, la riduzione dello scostamento |a–P| è un meccanismo psicologico di riduzione dell’ansia spesso di tipo inconscio, dunque tipicamente non-cognitivo. La forza delle prescrizioni P nell’indicare i comportamenti a è un effetto, secondo gli psicologi, della identificazione delle persone nei modelli sociali.

Il modello economico di Akerlof e Kranton può essere applicato a molti casi anche in questa versione semplificata. Ad esempio, è stato applicato alla scuola e sul posto di lavoro. Si pensi al fenomeno del bullismo nelle scuole. Recentemente è diventato un problema sociale, vale a dire si è formata una alternativa interna alla categoria dello studente con tanto di ideale e prescrizioni. Senza l’analisi dell’identità nel contesto sociale non sembrano facilmente spiegabili molti comportamenti che sono a rischio, per sé stessi oltreché per gli altri.

Akerlof e Kranton esaminano anche gli effetti di interazione sociale. La formazione di un comportamento ideale da imitare permette a colui che trova beneficio nel seguire tale comportamento di distinguersi dagli altri che seguono un diverso comportamento ideale, ad esempio perché tifano una squadra diversa o sono di un’altra religione. La contiguità sociale genera quindi esternalità negative tra gruppi diversi, come è il caso dei confronti fra tifoserie delle squadre avversarie. Akerlof e Kranton ricorrono spesso all’esempio dei soldati, che vengono motivati per spirito di corpo a dare il loro contributo ben oltre il beneficio materiale, ma che sono chiamati a gestire il conflitto tra parti avverse. Quindi, l’identità sociale può dare alle persone un beneficio particolare (riconoscimento, distinzione, ecc.), ma allo stesso tempo è fonte di confronti sociali o anche di conflitti sociali.

Una strategìa adottata dalle istituzioni per far fronte a questi aspetti quando diventano particolarmente preoccupanti è quella di tentare una riduzione della distanza da P. Ad esempio, la diseguaglianza dei redditi polarizza i comportamenti su una P tipica dei ricchi, ed è noto che questo genera malessere sociale nei più poveri. Maggiore uguaglianza dei redditi potrebbe alleviare il fenomeno alla radice, in modo più efficace della repressione.

Un’altra strategia tipica emerge dall’analisi di Amartya Sen, il quale condivide con Akerlof e Kranton l’idea della identità come appartenenza a gruppi sociali, pur non condividendo l’impiego della funzione di utilità nella analisi del benessere. Sen argomenta che la ragione dovrebbe avere la sovranità nella scelta su c e quindi su P. Nel suo libro dal

Page 18: Capitale umano e benessere - Intro e I.1-2mauriziopugno.com/wp-content/uploads/2016/04/Capitale... · 2020. 10. 1. · capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere

18

titolo significativo, Reason before Identity, fa il caso di molte donne nel mondo che rimangono vincolate nella loro realizzazione dalle tradizioni, spesso di origine religiosa. Rivendica che l’uso della ragionevolezza dovrebbe spingerle ad uscire dalla loro situazione di limitazioni, essendo ormai disponibili ben altri modelli sociali a cui ispirarsi. Nella terminologia del modello, Sen sembra suggerire di abbandonare dei vecchi comportamenti P, ed uniformarsi a comportamenti P più moderni.

L’osservazione di Sen apre nuovamente il problema del ruolo della razionalità nelle scelte, rispetto alle spinte emotive e, direbbero Akerlof e Kranton, inconsce. Il caso che Sen esamina è di conflitto rispetto ai due tipi di motivazione. Senza che pensiamo di risolvere qui questo problema, è sufficiente sottolineare il suggerimento derivante dal contributo di Sen. La forza dei modelli sociali è importante per spingere le persone nelle loro scelte su c. Dunque occorre fare attenzione, perché la razionalità ‘locale’, rappresentata da c e P nella (2), può non portare ad un grado soddisfacente di benessere, in quanto il modello sociale scelto in qualche modo, può costituire una trappola. Le politiche sociali non possono quindi ignorare come si formano c e P.

Il modello di Akerlof e Kranton, e la teoria della identità come appartenenza a gruppi sociali, mostra dei limiti evidenti, anche alla luce della osservazione di Sen. Partiamo dalla domanda che si pone Davis a commento di Akerlof e Kranton: “gli individui hanno anche caratteristiche specifiche proprie come individui oltre a quelle intese come caratteristiche di gruppo?”. “In psicologia sociale – continua Davis – la identità personale è intesa, in contrasto con la identità sociale, come una identità dell’individuo distinta dagli altri. In filosofia, la identità personale è generalmente inquadrata senza riferimento alla identità sociale, e si occupa della questione di come un individuo può cambiare e rimanere lo stesso individuo”.

Da queste considerazioni emerge il limite fondamentale del modello di Akerlof e Kranton rappresentato dalle (1) e (2), che potrà essere superato passando dalla identità come appartenenza, al capitale umano. Il limite è quello di spiegare solo parzialmente I, in quanto non viene spiegato come gli individui, oltre a scegliere c, generano proprie caratteristiche.

Il passaggio dal concetto di identità come appartenenza, attraverso il concetto di identità personale, alludendo al capitale umano, è chiaro nelle parole di Davis:

il concetto di identità personale [di Akerlof e Kranton] è quella di una collezione di stock di auto-immagini mantenute più o meno in quantità date attraverso un meccanismo di feedback di tipo termostatico. Questi stock non crescono attraverso investimenti, perché sono presi come dati dagli individui, e non sono quindi né trasformabili, né espandibili di numero dall’azione individuale. In breve si può dire che in Akerlof e Kranton si parla di identità sociale, ma non di

identità personale, mentre il capitale umano può essere inteso come la prospettiva dinamica della identità personale.

Box

Benessere e identità sul posto di lavoro Il modello di Akerlof e Kranton trova una interessante applicazione al caso del comportamento

dei lavoratori dipendenti. Il modello tradizionale, infatti, rappresenta il problema della scelta del lavoratore come basata sullo scambio di ore di lavoro contro un compenso monetario orario. La motivazione a lavorare risiederebbe esclusivamente nei consumi che si possono acquistare con il reddito così guadagnato; anzi il tempo di lavoro entrerebbe nella funzione di utilità del lavoratore come disutilità. Invece, diverse indagini hanno mostrato che, per una crescente parte della popolazione, il lavoro costituisce una fonte di soddisfazione importante di per sé, ed in particolare, sembra che a dar soddisfazione sia essere dipendenti di una certa impresa per il suo prestigio sul mercato. Alla motivazione monetaria al lavoro si aggiunge così un’altra motivazione che viene chiamata intrinseca. Il modello di Akerlof e Kranton è in grado di dar conto di questa motivazione aggiuntiva, che consente di spiegare fatti altrimenti poco comprensibili.

Page 19: Capitale umano e benessere - Intro e I.1-2mauriziopugno.com/wp-content/uploads/2016/04/Capitale... · 2020. 10. 1. · capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere

19

Si consideri un unico comportamento del lavoratore, cioè lavorare, che però può essere graduato con due diversi livelli di impegno (effort): un alto impegno, denotato con eA, ed un basso impegno, denotato con eB (il simbolo e deriva dall’inglese effort). Corrispondentemente, tale impegno permette al lavoratore di guadagnare due diversi livelli di compenso monetario: yA e yB, rispettivamente.

La (1) può essere così riscritta: (1’) U = ln y – e + I dove il vettore delle azioni a della (1) è costituito qui dal beneficio dovuto al reddito e dal costo dovuto all’impegno lavorativo. La forma additiva è adottata per pura semplicità, mentre la forma logaritmica del reddito è un modo per rappresentare il principio dell’utilità marginale decrescente del reddito. Si noti che l’impegno potrebbe semmai costituire un costo crescente, piuttosto che lineare, a causa dell’esaurirsi delle energie nel corso della giornata lavorativa. In tal caso, invece del coefficiente 1 di e, potrebbe essere e2.

La funzione dell’identità sia costituita da una costante (Ic), che garantisce un rendimento

positivo dell’identità, e dal termine indicante lo scostamento dell’impegno effettivo del lavoratore rispetto a quello ideale (e*). Si supponga che esistano due modelli sociali, e dunque due lavoratori ideali. Uno è quello di lavoratore diligente e leale all’impresa, e dunque molto dedito al lavoro (eN* ); l’altro è quello di opportunista, il quale, non essendo direttamente controllato dal datore di lavoro, tende a poltrire e minimizzare il suo impegno (eO* ). Queste definizioni implicano che eN*>eA>eB>eO* . Si riscriva pertanto la (2): (2’) I = Ic – tc | e– e* |

Si configurano dunque 4 possibilità, a seconda che il lavoratore prenda a modello uno dei due ideali di comportamento, ed a seconda che scelga di impegnarsi molto o no. Si rappresenti dapprima il modello tradizionale, che considera solo la motivazione economica (dunque con I=0): UA = ln yA – eA

UB = ln yB – eB Essendo yA>yB, eA>eB, allora potrà risultare UA>UB o UA<UB a seconda dei valore specifici

delle 4 variabili. Questo significa che, dati i 4 livelli, yA,yB,eA,eB, dovremmo osservare che tutti i lavoratori preferiranno una delle due opzioni, cioè quella che procura un più elevato U. Quindi tutti i lavoratori si impegneranno o molto o poco.

Se invece si considerano anche le motivazioni intrinseche, allora, sostituendo la (2’) nella (1’), si possono rappresentare i 4 casi: (i) UAN = ln yA – eA + Ic – tc | e

A– eN* |

(ii) UBN = ln yB – eB + Ic – tc | eB– eN* |

(iii) UAO = ln yA – eA + Ic – tc | eA– eO* |

(iv) UBO = ln yB – eB + Ic – tc | eB– eO* |

Per un livello di tc sufficientemente elevato, si avrà UAN>UBN, e UAO<UBO. A parole, il

lavoratore con ideale diligente, dunque con opzioni (i) e (ii), preferirà impegnarsi molto, mentre il lavoratore con ideale opportunista, dunque con opzioni (iii) e (iv), preferirà impegnarsi poco. Osserviamo dunque comportamenti diversi a fronte di dati 4 livelli oggettivi, yA,yB,eA,eB, perché i lavoratori si ispirano, soggettivamente a diversi ideali. In particolare, traggono un rendimento psichico da I, che è aggiuntivo.

L’impresa preferirebbe avere lavoratori diligenti per svariati motivi, tra cui la possibilità di ridurre i costi di monitoraggio e controllo. Avrà dunque tutto l’interesse per spingere i lavoratori a sostituire l’ideale O con l’ideale N, attraverso iniziative volte a creare una lealtà aziendale, uno spirito di squadra, ecc. Oppure potrebbe eliminare la forma contrattuale (yB, eB), e tentare di reclutare lavoratori sul mercato che hanno comportamenti ispirati a eN* . In tal caso, per i lavoratori dell’impresa, un più elevato livello remunerativo si accompagna ad una più elevata identità sociale.

Un caso più generale può essere studiato non vincolando e a due livelli prefissati, ed esplicitando la relazione con y in modo molto semplice: y=me. La remunerazione è legata all’impegno attraverso il coefficiente positivo m, che è tipico dei lavori a cottimo. Quindi la (1) diventa: (1’’) U = ln me – ne + I dove n è un coefficiente positivo che pesa il costo di impegnarsi e.

Page 20: Capitale umano e benessere - Intro e I.1-2mauriziopugno.com/wp-content/uploads/2016/04/Capitale... · 2020. 10. 1. · capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere

20

Da questa specificazione si vede bene l’effetto positivo dell’impegno attraverso la remunerazione, e l’effetto negativo per la fatica. Ma mentre la remunerazione viene goduta in modo meno che proporzionale, la fatica è lineare secondo il coefficiente n (come si diceva, dovrebbe crescere, piuttosto, in modo più che proporzionale). Consideriamo per un momento il caso convenzionale in cui I=0, e chiediamoci quale sia il livello ottimale di e, cioè il livello che massimizza U. Per rispondere dobbiamo calcolare il rendimento marginale netto, vale a dire

eU ∂∂ / =1/e–n, e vedere se tocca un massimo, vale a dire porre questa derivata pari a zero. Si ottiene così e=1/n. La (1’’) e le sue componenti possono essere così rappresentate nel caso in cui I=0:

La curva a gobba è ottenuta sottraendo la semiretta dalla curva concava e crescente, come dice la (1”).

La (2”) può essere invece così rappresentata:

La combinazione dei due grafici nel caso del lavoratore ideale di tipo impegnato è il seguente:

Quindi, se il lavoratore badasse solo alla remunerazione, il suo impegno ottimale sarebbe

e=1/n, se badasse soltanto all’identità sociale, sarebbe e*. Se considera invece entrambe, allora il suo impegno si trova in posizione intermedia, cioè superiore in questo caso a 1/n. Nel caso di lavoratore ideale di tipo fannullone, il grafico a cuspide sarebbe a sinistra di quello a gobba, e l’impegno ottimale sarebbe inferiore a 1/n.

In conclusione, l’impresa che gode di un prestigio in modo da dare identità sociale ai suoi lavoratori è avvantaggiata, perché questi hanno una motivazione aggiuntiva per impegnarsi rispetto alla motivazione puramente economica. Quindi produrranno di più e meglio. In questo caso, l’impresa potrebbe produrre come le sue concorrenti, ma pagare di meno i lavoratori.

In questi casi, considerare l’identità ha modificato il livello dello sforzo effettivo scelto, che rimane però comunque positivo, anche se superiore o inferiore a quello che avremmo detto ignorando l’identità. Ma si dia il caso come quello rappresentato sotto.

e

U,I

e* 1/n

e

I

e*

e

e

ln me

U

U

1/n

Page 21: Capitale umano e benessere - Intro e I.1-2mauriziopugno.com/wp-content/uploads/2016/04/Capitale... · 2020. 10. 1. · capitale umano in generale, e nel suo ruolo di procurare benessere

21

In questo caso, il lavoratore trova insufficiente l’incentivo economico per lavorare, perché lo

sforzo prevarrebbe e l’utilità sarebbe comunque negativa. La componente identitaria, se sufficientemente importante, può invece indurre il lavoratore a lavorare. Si pensi a quelle piccole attività economiche, come certi negozi o ristoranti, che non sono redditizi, ma che danno comunque una qualche soddisfazione ai proprietari. In questo caso, avremmo tratto delle deduzioni completamente sbagliate se avessimo ignorato l’identità.

Un altro esempio potrebbe essere quello del tifoso di calcio, per il quale la sua attività presso la tifoseria è solo costosa (disutilità), mentre la componente identitaria ne costituisce il motivo sostanziale.

e

U,I

e*