Cap. Il Bilancio Da Anthony

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11 Il bilancio civilistico italiano 11.1 Il quadro normativo italiano Nel nostro paese, la redazione del bilancio di esercizio è disciplinata dal codice civile (negli articoli compresi tra il 2423 e il 2435 bis). Questa disciplina si applica alle impre- se mercantili, industriali e di servizi in forma di società di capitali. Alle norme civilisti- che si aggiungono, inoltre, i principi contabili nazionali emanati dall’OIC (Organismo Italiano di Contabilità), che pur non essendo leggi, sono fortemente raccomandati. A partire dall’anno 2005, però, questo quadro normativo è stato complicato dall’introduzione dei principi contabili internazionali IAS/IFRS (International Accounting Standards), con forza di legge. Questi ultimi, attraverso un regolamento comunitario, sono diventati obbligatori per le società quotate (per la redazione dei bilanci consolidati e individuali), mentre sono facoltativi per tutte le altre (solo le piccole imprese ne sono, al momento, escluse). In Italia, quindi, coesistono bilanci fondati su norme diverse, nazionali e inter- nazionali. Poiché le differenze tra i due set di principi contabili sono sostanziali e riguardano sia la loro filosofia di fondo, sia aspetti tecnici, è facile comprendere che le aziende che adottano standard diversi redigono bilanci non confrontabili tra loro. Allo stesso tempo, le differenze vanno comprese per essere in grado di interpretare i dati economico-finanziari di una qualunque impresa italiana. CONTENUTI DI QUESTO CAPITOLO: •  Il quadro normativo italiano in tema di bilancio •  La struttura dello stato patrimoniale prevista dal codice civile italiano •  La struttura del conto economico prevista dal codice civile italiano •  Il contenuto della nota integrativa e della relazione sulla gestione •    La differente impostazione della normativa italiana rispetto alla disciplina  internazionale

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11Il bilancio civilistico italiano

11.1 Il quadro normativo italianoNel nostro paese, la redazione del bilancio di esercizio è disciplinata dal codice civile (negli articoli compresi tra il 2423 e il 2435 bis). Questa disciplina si applica alle impre-se mercantili, industriali e di servizi in forma di società di capitali. Alle norme civilisti-che si aggiungono, inoltre, i principi contabili nazionali emanati dall’OIC (Organismo Italiano di Contabilità), che pur non essendo leggi, sono fortemente raccomandati.

A partire dall’anno 2005, però, questo quadro normativo è stato complicato dall’introduzione dei principi contabili internazionali IAS/IFRS (International Accounting Standards), con forza di legge. Questi ultimi, attraverso un regolamento comunitario, sono diventati obbligatori per le società quotate (per la redazione dei bilanci consolidati e individuali), mentre sono facoltativi per tutte le altre (solo le piccole imprese ne sono, al momento, escluse).

In Italia, quindi, coesistono bilanci fondati su norme diverse, nazionali e inter-nazionali. Poiché le differenze tra i due set di principi contabili sono sostanziali e riguardano sia la loro filosofia di fondo, sia aspetti tecnici, è facile comprendere che le aziende che adottano standard diversi redigono bilanci non confrontabili tra loro. Allo stesso tempo, le differenze vanno comprese per essere in grado di interpretare i dati economico-finanziari di una qualunque impresa italiana.

Contenuti di questo Capitolo:

•  Il quadro normativo italiano in tema di bilancio•  La struttura dello stato patrimoniale prevista dal codice civile italiano•  La struttura del conto economico prevista dal codice civile italiano•  Il contenuto della nota integrativa e della relazione sulla gestione•   La differente impostazione della normativa italiana rispetto alla disciplina 

internazionale

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2 Capitolo 11

Questo capitolo ha il duplice scopo di (1) definire la struttura dei documenti di bilancio espressamente prevista dal codice civile italiano e di (2) mettere a confronto le diffe-renti prospettive adottate da principi contabili nazionali e internazionali.

11.2 I documenti che costituiscono il bilancio d’esercizio civilistico

Questo testo ha come scopo primario far comprendere i concetti e le logiche fonda-mentali che guidano la contabilità generale e la redazione del bilancio di esercizio. La loro validità è pressoché “universale” e riscontrabile a livello internazionale.

Eppure, ogni paese è caratterizzato da normative nazionali inerenti gli aspetti con-tabili e gli obblighi connessi al bilancio di esercizio. Per questo, per una più completa comprensione dei bilanci delle aziende italiane, risulta fondamentale conoscere i linea-menti generali specifici della nostra disciplina, dettati dal codice civile (e approfonditi dai principi contabili emanati dall’OIC).

Innanzitutto, il codice civile italiano prevede che il bilancio si componga ob-bligatoriamente dei seguenti documenti: stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa. Inoltre, impone di allegare al bilancio una relazione sulla gestione redatta dagli amministratori della società.

Solo i principi contabili internazionali prevedono l’obbligatorietà di un quarto documento: il rendiconto finanziario. Quest’ultimo è comunque di fatto fortemente consigliato dai principi contabili nazionali, in particolar modo per le aziende di medie-grandi dimensioni, che dovrebbero pertanto inserirlo nella nota integrativa. Inoltre, è comunque obbligatorio per le società quotate in borsa.

Per legge, gli schemi di bilancio devono riportare i dati riferiti all’esercizio in oggetto e a quello precedente, per consentire un apprezzamento dell’andamento eco-nomico-finanziario nel tempo dell’azienda. Perché la comparabilità sia garantita, però, occorre che le poste di bilancio siano state valutate nei due anni col medesimo criterio; in caso contrario, è necessario adattare le voci dell’anno precedente, uniformando i criteri di valutazione. Ciò può essere necessario, per esempio, nel caso di un passaggio della valutazione del magazzino dal criterio del LIFO a quello del FIFO o viceversa.

I documenti di bilancio obbligatori per il nostro codice civile saranno singolar-mente oggetto dei prossimi paragrafi, allo scopo di mettere in luce le specificità ita-liane, rispetto ai concetti generali già esposti nei capitoli precedenti.

Dal punto di vista procedurale, il bilancio di esercizio redatto dagli amministratori di una società deve essere approvato dall’assemblea dei soci entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio a cui si riferisce, a meno che lo statuto aziendale non preveda termini più ristretti. Inoltre, entro 30 giorni dalla sua approvazione, una copia del bi-lancio deve essere depositata all’ufficio del registro delle imprese, perché possa essere reso pubblico e sia disponibile per i terzi interessati.

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11.3 Lo stato patrimoniale

Diversamente dai principi contabili internazionali, il codice civile prevede che gli schemi di bilancio (sia dello stato patrimoniale, sia del conto economico) non siano liberi; occorre bensì riportare i valori seguendo un modello prestabilito. Lo schema rigido, dunque uguale per tutte le aziende, dovrebbe favorire la comparabilità dei dati di aziende diverse o della stessa in periodi diversi.

La Tabella 11.1 riporta l’ossatura dello stato patrimoniale previsto dal legislatore italiano all’art. 2424 c.c. per le società di capitali che svolgono attività industriale, mercantile e di servizi.

Lo schema completo prevede però molte più voci di dettaglio per ciascuno dei raggruppamenti (si veda la successiva Tabella 11.2).

Per lo stato patrimoniale, il codice civile prevede uno schema a sezioni contrap-poste; si riportano, infatti, le attività a sinistra (in dare) e le passività insieme al patri-monio netto a destra (in avere).

Con riferimento alle macroclassi dedicate alle attività, si distinguono innanzitutto:

attività pluriennali (c.d. •  immobilizzazioni – gruppo B dello schema), in quanto beni o diritti destinati a permanere in azienda per più periodi, tra cui per esempio gli impianti e i macchinari utilizzati nel processo produttivo, i terreni, i brevetti e i marchi; attività a breve termine (c.d. •  circolanti – gruppo C dello schema), in quanto liquide oppure beni o diritti destinati a una rapida conversione in denaro nell’ambito del ci-clo operativo (ne fanno parte, per esempio, il magazzino e i crediti verso clienti).

Tabella 11.1 L’ossatura dello schema civilistico dello stato patrimoniale (ex art. 2424 c.c.).Attività Passività e Patrimonio netto

A) Crediti verso soci per versamenti an-cora dovuti

A) Patrimonio netto

B) Immobilizzazioni B) Fondi per rischi e oneriI - Immateriali C) Trattamento di fine rapportoII - Materiali D) DebitiIII - Finanziarie E) Ratei e risconti passiviC) Attivo circolanteI - RimanenzeII - CreditiIII - Attività finanziarie che non

costituiscono immobilizzazioniIV - Disponibilità liquideD) Ratei e risconti attivi

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In particolare, i principi contabili nazionali chiariscono che per beni durevoli, da iscriversi dunque all’interno della macroclasse B, si intendono tutti quelli destinati a rimanere nel patrimonio dell’azienda anche oltre la chiusura dell’esercizio. Sono, per esclusione, da considerarsi circolanti, pertanto, tutti i beni che non presentano questo requisito.

Ne consegue che la distinzione tra beni e diritti dell’attivo immobilizzato da quelli dell’attivo circolante non deriva dalla loro natura, bensì dalla destinazione, dalla fun-zione economica che gli è stata attribuita dagli amministratori.

Ciò spiega anche perché alcune voci, per esempio i crediti, sono ripetute nello schema (Tabella 11.2). I crediti sono infatti inseriti tra le immobilizzazioni finanziarie quando non derivano da attività commerciali, mentre rientrano nelle attività circolanti quando hanno natura commerciale, perché sorti in seguito a operazioni di vendita. Ciò che cambia, nei due casi, è la funzione del credito (di finanziamento, se immobilizzato, di funzionamento, se circolante), indipendentemente dall’effettiva durata.

Per chiarire il concetto, uno stesso bene (come un’auto) può rientrare alternati-vamente tra le immobilizzazioni o nel capitale circolante, in funzione della sua desti-nazione. Così, se la vettura rappresenta il prodotto dell’azienda (perché si tratta di un produttore di autoveicoli) ed è anche destinata alla vendita, essa è collocata nell’attivo circolante, nel magazzino; al contrario, qualora la medesima vettura (eventualmente anche prodotta dall’azienda) non sia destinata alla vendita, bensì invece all’utilizzo da parte del personale nello svolgimento delle proprie mansioni per un periodo presumi-bilmente pluriennale, essa deve essere inserita tra le immobilizzazioni materiali.

Un’azienda può poi vantare dei crediti verso i suoi stessi soci, qualora questi ultimi si siano impegnati a versare capitale sociale ma non abbiano ancora provveduto. Azienda e soci sono infatti due entità giuridiche distinte. Nel raggruppamento A delle attività si riportano proprio i crediti verso i soci per versamenti ancora dovuti, a fronte di azioni già sottoscritte (ma non ancora pagate). Si tratta di capitale sociale non ancora versato, che, non essendo di fatto ancora disponibile, potenzialmente potrebbe compromet-tere la funzione di garanzia nei confronti degli impegni assunti verso i terzi tipica del patrimonio netto. Per questo, il legislatore ha deciso di dare particolare rilievo a questi crediti, prevedendo una macroclasse apposita. Al suo interno, è previsto che si indichino separatamente le quote non ancora versate ma già richiamate e che, quindi, presumibilmente saranno incassate dall’azienda a breve termine.

Infine, la macroclasse D dell’attivo (Ratei e risconti attivi) si riferisce a:

proventi di competenza dell’esercizio ma non ancora esigibili (•  ratei attivi); si pensi per esempio a degli affitti attivi che si incasseranno posticipatamente in data 28 febbraio dell’anno futuro, ma con maturazione a partire dall’1 dicembre dell’anno a cui si riferisce il bilancio; spese già sostenut•  e alla chiusura dell’esercizio a cui si riferisce il bilancio, ma che

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in verità sono di competenza dell’esercizio successivo, a cui devono essere rinviate (risconti attivi); si pensi, a titolo di esempio, a un canone leasing pagato anticipa-tamente l’1 novembre, con valenza trimestrale e, quindi, per un terzo di competenza dell’esercizio futuro.

Al criterio della destinazione, lo schema dello stato patrimoniale previsto dal codice civile affianca anche quello della liquidità. Infatti, nel complesso tendenzialmente le poste dell’attivo (e, in particolare, B e C) presentano un grado di liquidità crescente, con le dovute eccezioni. Infatti, di norma, il gruppo B, che riporta le c.d. immobilizzazioni, descrive beni o diritti che l’azienda manterrà a lungo nel tempo. Al contrario, il gruppo C (attivo circolante) riporta beni e diritti che dovrebbero essere ricollocati (o ricolloca-bili) a breve sul mercato o incassati a breve, dunque rapidamente ed economicamente convertibili in liquidità, in denaro. Fanno parte dell’attivo circolante anche le liquidità in senso stretto, come il denaro che un’impresa deposita in cassa o presso depositi e conti correnti bancari e postali (C.IV). Sono considerate liquidabili a breve anche le rimanenze di materie prime e prodotti presenti in magazzino (C.I) e i crediti di natura commerciale, ossia verso clienti (C.II), di regola incassabili entro dodici mesi.

In verità, anche alcuni crediti verso clienti potrebbero avere durata superiore a dodi-ci mesi, ma essendo comunque commerciali andrebbero riepilogati in C, pur distinguen-doli da quelli in scadenza entro un anno. Il criterio della destinazione, infatti, prevale su quello della liquidità. Allo stesso modo, alcuni crediti di finanziamento, per esempio i prestiti concessi ad aziende del gruppo, potrebbero avere durata inferiore all’anno; no-nostante ciò andrebbero collocati in B, pur distinguendoli dagli altri per la minore du-rata (a prevalere, infatti, è sempre la funzione del credito rispetto al grado di liquidità). Nella sezione opposta, il raggruppamento A accoglie le voci del patrimonio netto.

Per quanto riguarda, invece, la sezione del passivo, lo schema di stato patrimoniale civilistico prevede:

B. Fondi per rischi e oneri;C. Trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato;D. Debiti (con separata indicazione, per ciascuna voce, degli importi esigibili oltre

l’esercizio successivo);E. Ratei e risconti passivi.

Tenendo conto anche del dettaglio richiesto per ciascuna macroclasse (di seguito spe-cificato nella Tabella 11.2), emerge con chiarezza che lo schema civilistico classifica (organizza) le passività in base alla natura del debitore (fornitore, dipendente, Erario, obbligazionisti), pur non trascurando l’informazione circa la durata delle fonti di finanziamento. Infatti, per ciascuno dei debiti indicati in bilancio è necessario speci-ficare anche l’eventuale quota con scadenza oltre i dodici mesi successivi. Al criterio della natura del debitore si affianca quindi anche quello della durata.

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Infine, tra le passività sono inclusi, oltre ai debiti in senso stretto (macroclasse D), anche dei fondi per rischi e oneri (macroclasse B), accumulati in previsione di probabili uscite future (o, in alcuni casi, di uscite certe), di importo non sempre de-finito, riferite a costi che pur non essendosi già manifestati finanziariamente hanno comunque maturato la loro competenza economica e che, anche per prudenza, devono essere iscritti (pur se soltanto presunti). Si fa riferimento, per esempio, a fondi per imposte legate ad accertamenti fiscali in corso, alle imposte differite, a fondi spese per operazioni a premio o per riparazioni in garanzia dei propri prodotti.

Tra le passività si colloca poi il debito accumulato per trattamento di fine rapporto per lavoro subordinato (macroclasse C), che in verità rappresenta un vero e proprio debito, sebbene non ancora perfezionato, poiché il diritto del lavoratore a riscuotere maturerà solo nel momento dell’interruzione del rapporto (l’incertezza riguarda, dunque, solo il momento del pagamento, non il verificarsi dell’evento, né l’entità della cifra dovuta).

Si incontrano, infine, i ratei e i risconti passivi (macroclasse E), ossia:

costi di competenza dell’esercizio ma non ancora liquidati (•  ratei passivi); si pensi per esempio ad affitti passivi che si pagheranno posticipatamente in data 28 febbraio dell’anno futuro, ma con maturazione a partire dall’1 dicembre dell’anno a cui si riferisce il bilancio; ricavi già incassati alla chiusura dell’esercizio a cui si riferisce il bilancio, ma che • in verità sono di competenza dell’esercizio successivo, a cui devono essere rinviati (risconti passivi); si pensi, a titolo di esempio, ad affitti attivi incassati anticipata-mente l’1 novembre, con valenza trimestrale e, quindi, per un terzo di competenza dell’esercizio futuro.

La Tabella 11.2 riporta lo schema completo di stato patrimoniale, secondo il dettato del codice civile all’art. 2424. L’articolazione delle singole macroclassi non sarà qui trattata con ulteriore dettaglio, poiché il significato delle voci analitiche è facilmente desumibile dal loro nome.

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Tabella 11.2 Lo schema di stato patrimoniale ex art. 2424 c.c.

Attivo Passivo e Patrimonio netto

a) crediti verso soci per versamenti ancora dovuti, con separata indicazio-ne della parte già richiamata.

b) immobilizzazioni, con separata indi-cazione di quelle concesse in locazione finanziaria:

I - Immobilizzazioni immateriali:1) costi di impianto e di ampliamento*;2) costi di ricerca, di sviluppo e di pubbli-

cità**;3) diritti di brevetto industriale e diritti di

utilizzazione delle opere dell’ingegno;4) concessioni, licenze, marchi e diritti si-

mili;5) avviamento;6) immobilizzazioni in corso e acconti;7) altre.

Totale

II - Immobilizzazioni materiali:1) terreni e fabbricati;2) impianti e macchinario;3) attrezzature industriali e commerciali;4) altri beni;5) immobilizzazioni in corso e acconti.

Totale

III - Immobilizzazioni finanziarie, con se-parata indicazione, per ciascuna voce dei crediti, degli importi esigibili entro l’esercizio successivo:

1) partecipazioni*** in:a) imprese controllate;b) imprese collegate;c) imprese controllanti;d) altre imprese;2) crediti:a) verso imprese controllate;

a) patrimonio netto:

I- capitaleII - riserva da sopraprezzo delle azioniIII - riserve di rivalutazioneIV - riserva legaleV - riserve statutarieVI - riserva per azioni proprie in porta-

foglioVII - altre riserve, distintamente indi-

cateVIII - utili/perdite portati a nuovoIX - utile/perdita dell’esercizio

Totale

B) fondi per rischi e oneri:

1) per trattamento di quiescenza e obblighi simili;

2) per imposte, anche differite;3) altri.

Totale

c) trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato

d) debiti, con separata indicazione, per ciascuna voce, degli importi esigibili oltre l’esercizio successivo:

1) obbligazioni;2) obbligazioni convertibili;3) debiti verso soci per finanziamenti;4) debiti verso banche;5) debiti verso altri finanziatori;6) acconti;7) debiti verso fornitori;8) debiti rappresentati da titoli di credito;9) debiti verso imprese controllate;10) debiti verso imprese collegate;

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b) verso imprese collegate;c) verso controllanti;d) verso altri;3) altri titoli;4) azioni proprie, con indicazione anche del

valore nominale complessivo.

Totale

Totale immobilizzazioni (b)

c) attivo circolante:

I - Rimanenze:1) materie prime, sussidiarie e di consumo;2) prodotti in corso di lavorazione e semila-

vorati;3) lavori in corso su ordinazione;4) prodotti finiti e merci;5) acconti.Totale

II - Crediti, con separata indicazione, per ciascuna voce, degli importi esigibili oltre l’esercizio successivo:

1) verso clienti;2) verso imprese controllate;3) verso imprese collegate;4) verso controllanti;4-bis) crediti tributari;4-ter) imposte anticipate;5) verso altri.Totale

III - Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni:1) partecipazioni*** in imprese controllate;2) partecipazioni*** in imprese collegate;3) partecipazioni*** in imprese controllanti;4) altre partecipazioni***;5) azioni proprie, con indicazione anche del

valore nominale complessivo;

11) debiti imprese controllanti;12) debiti tributari;13) debiti verso istituti di previdenza e di

sicurezza sociale;14) altri debiti.

totale

e) ratei e risconti, con separata indicazione dell’aggio su prestiti.

Tabella 11.2 (segue)

Attivo Passivo e Patrimonio netto

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* Per costi di impianto e di ampliamento si intendono oneri legali, notarili, amministrativi, soste-nuti in sede di costituzione della società o di operazioni straordinarie sulla sua struttura o forma giuridica (per esempio, in sede di trasformazione da Srl a SpA, di fusione con altre aziende, ecc.).** I costi di ricerca, di sviluppo (di nuovi prodotti, processi, ecc.) e di pubblicità iscrivibili nelle immobilizzazioni materiali sono solo quelli con un’utilità pluriennale. Si noti che, in contrasto con la normativa italiana, i principi contabili internazionali IAS/IFRS ammettono l’iscrizione tra le immobilizzazioni immateriali esclusivamente dei costi di sviluppo.*** Le partecipazioni sono costituite dalle azioni di altre società possedute dall’azienda. Se tali azioni sono detenute nel medio-lungo termine, per scopi di controllo, le partecipazioni vanno inserite tra le immobilizzazioni finanziarie (gruppo B), mentre in caso contrario rientrano nell’at-tivo circolante (gruppo C).

6) altri titoli.Totale

IV - Disponibilità liquide:1) depositi bancari e postali;2) assegni;3) denaro e valori in cassa;Totale

Totale attivo circolante (c)

d) ratei e risconti, con separata indicazio-ne del disaggio su prestiti

Tabella 11.2 (segue)

Attivo Passivo e Patrimonio netto

11.4 Il conto economicoLa Tabella 11.3 riporta l’ossatura generale del conto economico prevista per le socie-tà di capitali all’art. 2425 c.c. Alle macroclassi indicate si aggiungono una pluralità di altre voci di dettaglio, come evidenziato successivamente nella Tabella 11.4.

A livello generale, si può osservare che i ricavi e i costi non sono presentati a sezioni contrapposte, secondo la struttura tipica dello stato patrimoniale, ossia in dare i costi e in avere i ricavi, bensì in forma scalare. Questa scelta permette di eviden-ziare alcune forme di reddito intermedie, come per esempio la differenza tra valore e costo della produzione (A-B), prima di giungere all’utile o alla perdita complessivi dell’esercizio.

In particolare, il primo raggruppamento A (Valore della produzione) riporta essenzialmente il valore di tutto ciò che è stato prodotto/erogato dall’azienda nel periodo amministrativo.

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Tabella 11.3   L’ossatura dello schema civilistico del conto economico (ex art. 2425 c.c.).

A) Valore della produzioneB) Costi della produzioneDifferenza A – BC) Oneri e proventi finanziariD) Rettifiche di valore di attività finanziarieE) Proventi e oneri straordinariImposte sul reddito dell’esercizio

Risultato dell’esercizio

Il valore della produzione include sia i ricavi di vendita, ossia il valore dei beni ven-duti e dei servizi erogati nel periodo, sia il valore dei prodotti realizzati nell’anno ma non venduti (e confluiti di conseguenza nei magazzini sotto forma di rimanenze, di semilavorati e di prodotti finiti).

Il punto B (Costi della produzione) raggruppa tutti i costi operativi che l’azienda ha sostenuto per realizzare la sua produzione (includendo salari e stipendi, materie prime consumate, servizi acquisiti, affitti passivi maturati, ammortamento delle at-trezzature, ecc.).

Sottraendo i costi della produzione al valore della produzione, come previsto dallo schema, si evidenzia un primo risultato economico intermedio, denominato “Differen-za A – B”, che approssima il reddito operativo (EBIT), la differenza tra ricavi e costi operativi (connessi al ciclo di acquisto-trasformazione-vendita). Questo risultato par-ziale anticipa se l’azienda è stata in grado di produrre un reddito attraverso la propria gestione operativa, vale a dire se ha realizzato prodotti e servizi di valore superiore rispetto alle risorse che ha consumato. Una differenza positiva tra A e B è, dunque, auspicabile e la massimizzazione di questo risultato è senz’altro un obiettivo a cui tutte le imprese devono tendere. Al contrario, una differenza negativa risulta fortemente preoccupante, poiché può segnalare pericolosi livelli di inefficienza e inefficacia pro-prio nell’ambito della gestione operativa aziendale.

Come detto, la differenza tra A e B approssima il reddito operativo, ossia la differenza tra il risultato lordo industriale e gli altri costi operativi, così come dal conto economico nella Tabella 9.1. Lo schema civilistico non evidenzia, invece, il costo del venduto. Per ottenere questa informazioni, infatti, sarebbe necessaria una distinzione dei costi di natura industriale da quelli amministrativi e commerciali. Ma il conto economico civilistico elenca i costi per natura (costi per il lavoro, costi per ammortamenti, ecc.), non per destinazione (costi amministrativi, costi commerciali, ecc.), a differenza di quanto previsto dai principi contabili internazionali (per i quali il conto economico può essere o per natura o per destinazione). Di conseguenza, solo disponendo di informazioni aggiuntive rispetto a quelle minime richieste dal codice

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civile, sarebbe possibile ricostruire il costo del venduto e calcolare il risultato lordo industriale. In caso contrario, ci si può limitare all’osservazione della differenza tra valore (A) e costo (B) della produzione, tenendo presente che quest’ultimo include anche gli oneri amministrativi e commerciali, non solo quelli di trasformazione.

Nel gruppo C, invece, sono riepilogati oneri (costi) e proventi di natura finanziaria, quali rispettivamente interessi passivi pagati sui finanziamenti ottenuti e interessi attivi maturati sugli investimenti in essere nel corso dell’esercizio. Questi costi e proventi sono riepilogati in un raggruppamento separato poiché essi sono generati dai finanziamenti richiesti dall’impresa (nel caso degli interessi passivi) o dall’impiego in attività accessorie della propria liquidità (con riferimento agli interessi attivi), non dalle operazioni di produzione e vendita in senso stretto. Non afferiscono infatti alla gestione operativa caratteristica.

Dall’osservazione del conto economico di un’azienda è così possibile esprimere un giudizio distinto su:

la sua capacità di essere efficiente ed efficace nel produrre e vendere, riflessa nella • differenza tra A e B; l’erosione del reddito a opera degli interessi passivi e degli altri oneri finanziari • (riportati in C), funzione della gestione finanziaria, ossia dell’entità e delle forme di indebitamento; la presenza di investimenti accessori (quali conti correnti fruttiferi, titoli, ecc.), che • procurano ricavi aggiuntivi sotto forma di interessi attivi, dividendi, ecc., riportati anch’essi in C, e che non rientrano nello svolgimento della sua attività operativa caratteristica.

Il raggruppamento D, invece, riepiloga le perdite o gli utili aziendali generati da variazioni del valore delle sue attività finanziarie (rappresentate da partecipazioni azionarie, obbligazioni e altri titoli).

Infine, il gruppo E riporta ricavi o costi “eccezionali”, in quanto derivanti da operazioni di gestione non ricorrenti e non ripetibili (per esempio, la dismissione e vendita di un reparto produttivo o di un ramo d’azienda oppure un furto subito o un risarcimento assicurativo seguito a un incendio). Si tratta di oneri e proventi definiti straordinari (extra-ordinary items) dal nostro ordinamento giuridico.

Secondo la disciplina internazionale, invece, la categoria dei costi e ricavi stra-ordinari è praticamente assente, poiché secondo la loro prospettiva possono derivare esclusivamente da eventi catastrofici naturali (come terremoti e inondazioni); per questo sono di fatto rarissimi.

Nella Tabella 9.1, che ricalca maggiormente lo schema di conto economico suggerito dai principi contabili internazionali, il contenuto dei raggruppamenti civilistici D ed E

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12 Capitolo 11

Tabella 11.4  Lo schema di conto economico ex art. 2425 c.c.a) valore della produzione:1) ricavi delle vendite e delle prestazioni;2) variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti;3) variazioni dei lavori in corso su ordinazione;4) incrementi di immobilizzazioni per lavori interni;5) altri ricavi e proventi, con separata indicazione dei contributi in conto esercizio.totale (a)b) costi della produzione:6) per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci;7) per servizi;8) per godimento di beni di terzi;9) per il personale;a) salari e stipendi;b) oneri sociali;c) trattamento di fine rapporto;d) trattamento di quiescenza e simili;e) altri costi;10) ammortamenti e svalutazioni;a) ammortamento delle immobilizzazioni immateriali;b) ammortamento delle immobilizzazioni materiali;c) altre svalutazioni delle immobilizzazioni;d) svalutazioni dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide;11) variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci;12) accantonamenti per rischi;13) altri accantonamenti;14) oneri diversi di gestione.totale (b)Differenza fra valore e costi della produzione (a – b)c) proventi e oneri finanziari:15) proventi da partecipazioni, con separata indicazione di quelli relativi a imprese controllate

e collegate;16) altri proventi finanziari:a) da crediti iscritti nelle immobilizzazioni, con separata indicazione di quelli da imprese con-

trollate e collegate e di quelli da controllanti;b) da titoli iscritti nelle immobilizzazioni che non costituiscono partecipazioni;c) da titoli iscritti nell’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni;d) proventi diversi dai precedenti, con separata indicazione di quelli da imprese controllate e

collegate e di quelli da controllanti;17) interessi e altri oneri finanziari, con separata indicazione di quelli verso imprese controllate

e collegate e verso controllanti;17bis) utili e perdite su cambi.totale (15 + 16 – 17 +/– 17bis)

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risulta incluso tra costi e ricavi operativi, insieme ai proventi finanziari qui riportati in C. Questo spiega perché la differenza tra A e B non rappresenta esattamente il reddito operativo: essa trascura proventi e oneri derivanti da attività finanziarie.

Lo schema civilistico presenta però il vantaggio di offrire informazioni più det-tagliate, rispetto a quelle riportate sinteticamente nella versione “internazionale” del conto economico.

Sommando alla differenza tra A e B anche i risultati dei raggruppamenti C, D ed E, si giunge alla determinazione del risultato economico d’esercizio prima delle imposte (utile al lordo delle imposte). Tale risultato include, quindi, sia la differenza tra ricavi e costi operativi, sia i risultati (positivi o negativi) della gestione finanziaria e della ge-stione straordinaria. Sottraendo a tale valore anche le imposte sul reddito (attualmente IRAP e IRES, per le società di capitali), si determina il risultato netto dell’esercizio (costituito da un utile o profitto se positivo, da una perdita se negativo).

A conclusione di questa descrizione degli schemi di bilancio previsti dal codice civile, è importante capire che i documenti in oggetto possono assumere svariate configurazioni, pur derivando dalle medesime rilevazioni contabili delle singole tran-sazioni. Ciò che cambia è solo la modalità di esposizione dei dati per i terzi. Per fini conoscitivi interni, poi, le imprese sono libere di adottare lo schema o gli schemi che ritengono più efficaci e utili (secondo l’approccio seguito nel resto del libro).

Tabella 11.4  (segue)

d) rettifiche di valore di attività finanziarie:18) rivalutazioni:a) di partecipazioni;b) di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni;c) di titoli iscritti nell’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni;19) svalutazioni:a) di partecipazioni;b) di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni;c) di titoli iscritti nell’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni.totale delle rettifiche (18 – 19)e) proventi e oneri straordinari:20) proventi, con separata indicazione delle plusvalenze da alienazioni i cui ricavi non sono

iscrivibili al n. 5);21) oneri, con separata indicazione delle minusvalenze da alienazioni i cui effetti contabili non

sono iscrivibili al n. 14 e delle imposte relative a esercizi precedenti.totale delle partite straordinarie (20 – 21)risultato prima delle imposte (a – b +/– c +/– d +/– e)22) Imposte sul reddito dell’esercizio, correnti, differite e anticipate;23) utile (perdita) dell’esercizio

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14 Capitolo 11

11.5 La nota integrativa

La nota integrativa è un documento descrittivo, obbligatoriamente incluso nel bilancio d’esercizio e regolamentato dall’art. 2427 c.c.

Essa assolve a una pluralità di funzioni. Innanzitutto, descrive i criteri di valu-tazione adottati per le diverse poste del bilancio, sia dello stato patrimoniale, sia del conto economico. Per esempio, in relazione alla voce impianti e macchinari riepilogata nell’ambito delle immobilizzazioni materiali dello stato patrimoniale, chiarisce se è stato loro assegnato il valore di mercato (c.d. fair value) oppure un valore pari al costo storico d’acquisto, al netto del fondo ammortamento. Inoltre, per le imprese che hanno la possibilità di scegliere se applicare i principi contabili internazionali in alternativa a quelli nazionali, la nota integrativa chiarisce, normalmente nella sua parte iniziale, la scelta effettuata a tale riguardo.

Una seconda funzione consiste nel fornire dettagli aggiuntivi sul contenuto e sul-le movimentazioni delle voci di conto economico e stato patrimoniale. Per esempio, tra i costi della produzione nel conto economico (nel raggruppamento B) è possibile trovare alcune voci “residuali”, come la B.14 (oneri diversi di gestione), che includo-no al proprio interno tipologie assai eterogenee. Leggendo la nota integrativa, però, è possibile risalire alla loro composizione interna e scoprire qual è la quota di costo rappresentata da tasse e contributi, da compensi pagati agli amministratori, da minu-svalenze da alienazione, ecc.

La nota integrativa rende anche possibile ricostruire le variazioni intervenute nell’anno per le varie poste patrimoniali. Per esempio, relativamente alle immobiliz-zazioni, a fronte di un valore dei fabbricati iniziale pari a 100 e finale pari a 200, la nota integrativa potrebbe spiegare che nell’esercizio si sono verificati nuovi acquisti per 430, dismissioni per 300 e ammortamenti per 30 (per cui, a fine anno, il valore risulta complessivamente aumentato di 100). È evidente come questo tipo di dettagli risulti fondamentale per la comprensione delle dinamiche intervenute nel periodo am-ministrativo (e, in particolare, anche per la redazione del rendiconto finanziario, per il quale si rinvia al Capitolo 9).

Infine, alla nota integrativa è associabile l’ulteriore funzione di fornire informa-zioni aggiuntive, non contenute nei prospetti numerici (conto economico, stato patri-moniale ed eventuale rendiconto finanziario). Si fa riferimento, per esempio, a eventi significativi avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio, ma comunque prima del termine della redazione del bilancio, oppure alla ripartizione per aree di business dei ricavi elencati nel conto economico o al numero medio di addetti per categoria o ai motivi che hanno portato l’azienda a derogare alle regole stabile dal codice in materia di bi-lancio per rappresentare la situazione aziendale in modo chiaro, veritiero e corretto.

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Il bilancio civilistico italiano 15

Passando ai contenuti, a norma dell’art. 2427 c.c. e anche alla luce dei principi contabili nazionali, la nota integrativa deve indicare, per esempio:

i criteri di valutazione applicati alle voci di bilancio;• 

Esempio 11.1

Nella sezione dedicata alla descrizione dei criteri di valutazione del magazzino, la nota integrativa potrebbe riportare quanto segue: «Le rimanenze sono iscritte al minore tra il costo di acquisto o di produzione, determinato secondo il metodo del costo medio ponderato, e il valore di presumibile realizzo desumibile dall’andamento del mercato. Il costo di produzione comprende il costo delle materie prime, i costi diretti e tutti quelli indirettamente imputabili alla fabbricazione. Le scorte obsolete o di lento rigiro sono svalutate in relazione alla loro possibilità di utilizzo o realizzo». ■

i movimenti delle immobilizzazioni, specificando per ciascuna voce (1) costo, (2) • precedenti rivalutazioni, (3) precedenti ammortamenti e svalutazioni, (4) acquisizio-ni, (5) spostamenti di valore da una posta all’altra, (6) dismissioni, (7) rivalutazioni avvenute nell’esercizio, (8) ammortamenti e svalutazioni effettuate nell’esercizio; la composizione dei costi iscritti tra le immobilizzazioni immateriali (costi di im-• pianto e ampliamento, costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità), oltre alle ragioni che hanno portato alla scelta di capitalizzarle (to capitalize) e ai criteri per il relativo ammortamento; un elenco delle partecipazioni possedute direttamente e indirettamente, indicando, tra • le altre cose, i dati della società partecipata e la quota di possesso; i crediti e i debiti con durata residua superiore a cinque anni e i debiti assistiti da • garanzia reale su beni sociali; la composizione di ratei e risconti e della voce “altre riserve” nel patrimonio netto;•  un descrizione analitica delle voci del patrimonio netto;•  la ripartizione dei ricavi per aree di attività e aree geografiche, se significative;•  il numero medio di dipendenti per categoria;•  l’ammontare dei compensi degli amministratori;•  il numero e il valore nominale delle azioni in circolazione e di quelle emesse • nell’esercizio; la tipologia e il numero di azioni e di obbligazioni in circolazione;•  ecc.• 

11.6 La relazione sulla gestioneNella relazione sulla gestione, che deve necessariamente essere allegata al bilancio d’esercizio delle società di capitali, gli amministratori riportano fondamentali infor-mazioni aggiuntive riguardanti la passata gestione dell’azienda. In particolare, questo documento deve descrivere:

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16 Capitolo 11

l’andamento della gestione trascorsa, eventualmente anche attraverso una vera e • propria analisi di bilancio e l’impiego di indicatori di performance economico-finanziaria; il collegamento tra i risultati raggiunti e la strategia perseguita, che deve essere • descritta in questo documento; l’evoluzione prevedibile della gestione.• 

Inoltre, essa deve essere completa, ossia riguardare tutti i settori della gestione (ana-lizzati separatamente) e le eventuali società controllate.

La relazione deve riportare, infine:

la descrizione delle attività di ricerca e sviluppo•  ; i rapporti con imprese controllate, collegate e controllanti•  ; il numero e il valore nominale delle azioni proprie possedute al 31 dicembre•  ; il numero e il valore nominale delle azioni proprie acquistate e/o alienate nel corso • dell’esercizio; i fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio (per esempio, la chiusura • di uno stabilimento, il crollo di un mercato, ecc.); l’elenco delle sedi secondarie.• 

11.7 Differenze di impostazione fra normativa italiana e principi contabili internazionali

La contabilità e la redazione dei bilanci di esercizio si basano su convenzioni contabi-li, non su principi scientifici incontrovertibili. Convenzioni contabili diverse possono portare, quindi, a dati economico-finanziari diversi. Nel nostro ordinamento giuridico e, comunque, nel mondo coesistono convenzioni contabili alternative, che le aziende, a volte, possono o, altre volte, devono seguire. Queste convenzioni sono riassunte nei principi contabili.

Dai capitoli precedenti è già emerso con chiarezza che la scelta delle aziende italiane (a volte obbligata, altre volte facoltativa) di adottare i principi contabili inter-nazionali IAS/IFRS in luogo di quelli nazionali comporta cambiamenti anche signifi-cativi nelle regole di redazione dei bilanci1. Il set di principi contabili internazionali può portare a:

valori completamente diversi da quelli ottenuti applicando la normativa e i principi • contabili nazionali;

1 Negli Stati Uniti vige un ulteriore corpus di principi contabili denominati US GAAP (Generally Accepted Accounting Principles).

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Il bilancio civilistico italiano 17

regole diverse per l’iscrizione delle poste in bilancio, che possono implicare l’inclu-• sione di alcune attività altrimenti escluse o una loro differente collocazione.

Questi cambiamenti modificano i dati di bilancio, quindi, inevitabilmente impattano a cascata anche sull’analisi della performance economico-finanziaria attraverso gli indici di bilancio. La considerazione di tale performance, a sua volta, è alla base dei comportamenti che molti stakeholder adottano nei confronti di un’azienda e, in particolar modo, condiziona quello dei potenziali investitori (e, in generale, di tutti i finanziatori).

Vale la pena ricordare che gli IAS/IFRS considerano proprio i potenziali finan-ziatori (anche a titolo di proprietà) come i destinatari privilegiati delle informazioni di bilancio e ambiscono a fornire loro informazioni maggiormente utili, efficaci e adeguate rispetto al loro fabbisogno informativo. Per questo hanno introdotto elementi di soggettività nelle valutazioni al solo scopo di convertire valori spesso anacronistici (per esempio, il valore delle attività al costo) in valori correnti, che meglio permettono di apprezzare il valore economico prodotto da un’azienda.

Si deve supporre, pertanto, che qualora l’impatto sulla performance comunicata coi bilanci applicando gli IAS/IFRS sia significativo, il condizionamento di questa “rivoluzione contabile” sugli stakeholder sia estremamente rilevante. La differenza nei risultati comunicati, infatti, non sarebbe certamente dovuta a una diversa (migliore o peggiore) realtà operativa delle aziende, ma semplicemente all’aver adottato criteri di contabilizzazione diversi a fronte delle medesime operazioni di gestione e degli stessi patrimoni in dotazione. Le differenze riscontrate sarebbero dunque esclusivamente di natura contabile.

Emerge, quindi, un rischio: un uso strumentale dei cambiamenti nei criteri di iscrizione e valutazione ammessi grazie al passaggio ai principi contabili internazionali (passaggio a volte obbligatorio, ma in altri casi semplicemente facoltativo), al solo scopo di migliorare la performance percepita dagli stakeholder e, in particolare, dagli investi-tori a titolo di rischio. Senza trascurare, inoltre, che tutto ciò potrebbe andare a scapito anche di alcune categorie di stakeholder più deboli, persino meno consapevoli delle conseguenze tecniche emergenti con l’adozione dei principi contabili internazionali (si pensi, per esempio, ai dipendenti, a piccoli fornitori, ai consumatori finali, ecc.).

Nel contempo, però, passando ai principi internazionali gli investitori a titolo di rischio acquisiscono nuove opportunità, come per esempio: vedersi assegnato un red-dito maggiore (eventualmente anche distribuito sotto forma di dividendi) e accrescere le possibilità di comparazione dei risultati ottenibili attraverso investimenti in azioni di società alternative, grazie all’armonizzazione a livello internazionale dei criteri di redazione dei bilanci. Il confronto spaziale, ossia i processi di comparazione tra aziende, rappresenta un punto fermo in qualunque valutazione della performance economico-finanziaria di un’impresa.

Scendendo più nel dettaglio, i principi contabili internazionali hanno introdotto un nuovo concetto di risultato economico d’esercizio. In particolare, allo scopo di

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18 Capitolo 11

movimentare il mercato dei capitali e di incentivare gli investitori, gli IAS/IFRS privilegiano un concetto di capitale corrente (in luogo del tradizionale capitale di funzionamento) e un concetto di reddito misto, che include alcuni proventi effettiva-mente realizzati e altri solo realizzabili in futuro (presunti, probabili, sperati). Questo teoricamente consente agli investitori che hanno deciso di finanziare a titolo di rischio la società per un periodo determinato (non necessariamente illimitato) di usufruire di tutti i profitti maturati nel periodo, anche se non effettivamente realizzati. Tale reddito misto ingloba, infatti: minusvalenze e plusvalenze maturate ma anche minusvalenze e plusvalenze solo prevedibili e variazioni di valore delle attività e delle passività ottenute dall’applicazione del fair value (cioè di una valutazione a prezzi di merca-to). Inoltre, si ritiene che tale configurazione di reddito mostri meglio le potenzialità dell’azienda, che potrebbero favorire sia la sopravvivenza sia lo sviluppo futuro. Con l’applicazione del fair value, inoltre, viene adeguatamente rispettato anche il principio della competenza economica, poiché riconosce le rivalutazioni di attività e passività in “tempo reale”, a prescindere dalla loro manifestazione finanziaria.

Al contrario, i principi contabili nazionali prevedono l’utilizzo del costo storico come base per la maggior parte delle valutazioni e ruotano prevalentemente intorno al principio della prudenza, che non ammette la redditualizzazione di proventi maturati nel periodo ma non effettivamente realizzati. Ne deriva una sottostima potenziale del capitale di funzionamento e del reddito delle aziende e, quindi, la presenza di riser-ve di utili “occulte” e potenziali, non riconosciute agli investitori a titolo di rischio. Un ulteriore limite informativo legato alla sottovalutazione del patrimonio consiste nell’incapacità di mostrare a pieno tutte le potenzialità dell’azienda, dunque la sua capacità di sopravvivenza nel lungo termine. Al contrario, il concetto di reddito misto implicito nel contenuto dei principi contabili internazionali è in grado di evidenziare meglio le potenzialità di creazione di valore, ma rischia di compromettere la durabi-lità dell’azienda, per via del minor grado di prudenza adottato e della possibilità di distribuire maggiori dividendi.

Questo approccio meno prudente dei principi internazionali è attualmente sotto osservazione da parte degli organismi contabili internazionali, poiché può aver gioca-to un ruolo non secondario nella crisi globale dei mercati finanziari e reali di questi ultimi anni.

Appendice - Il concetto di competenza economica applicato al conto economico civilisticoAlla luce delle logiche di funzionamento della contabilità per competenza economica, è necessario che nel conto economico confluiscano e impattino sul reddito solo i costi del venduto, ossia la parte di costi industriali e per acquisti correlata ai ricavi. Ciò si-gnifica che esclusivamente i costi per consumi di materie confluite nei prodotti anche venduti sono di competenza economica del periodo. Allo stesso modo, i costi del lavoro

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Il bilancio civilistico italiano 19

industriale (manodopera diretta e indiretta), degli ammortamenti industriali, dei servizi industriali e, in generale, tutti gli altri costi di trasformazione possono essere iscritti in conto economico solo per la quota correlata a prodotti e servizi venduti. Come è già stato spiegato nel Capitolo 6, questo può richiedere l’applicazione di parametri di allocazione per i costi indiretti di produzione.

Eppure, osservando il conto economico civilistico si potrebbe avere l’impressione che il principio di correlazione non sia rispettato, poiché nel raggruppamento A si riporta il valore della produzione (non del venduto) e nel raggruppamento B il costo della produzione (non del venduto).

Potrebbe dunque sorgere la seguente domanda: pensando allo schema di conto economico civilistico, come si realizza l’imputazione dei soli costi industriali di com-petenza economica, poiché correlati ai ricavi?

Inoltre: perché nel conto economico, nel raggruppamento A (Valore della produ-zione), al punto A.2, si iscrivono anche gli aumenti del magazzino dei prodotti finiti e semilavorati, pur trattandosi di beni non venduti?

Rispondere a questi due quesiti non è semplice e richiede alcune premesse.Innanzitutto, è opportuno anticipare che anche nello schema di conto economico

civilistico i principi della contabilità economica sono pienamente rispettati. Esso ac-coglie pertanto tutti e solo i ricavi e i proventi realizzati nel periodo (come variazioni che aumentano il reddito) e, nel contempo, solo e tutti i costi a essi correlati, oltre ai costi di periodo (come componenti che diminuiscono il reddito). Pertanto, a prescin-dere dallo schema utilizzato, l’utile netto (o la perdita) non cambia.

Occorre, inoltre, pensare al conto economico come a un report che può raccogliere e raggruppare in modi diversi, tra loro alternativi, i medesimi saldi dei conti di costo e ricavo del libro mastro. Quello che cambia nelle varie configurazioni del conto econo-mico non è la sostanza, bensì solo la forma di rappresentazione dei medesimi dati.

Più nel dettaglio, occorre tenere presente che sia i prodotti finiti in magazzino, sia i semilavorati in magazzino vengono valorizzati al loro costo di produzione, esatta-mente come sono valorizzate al costo (ma di acquisto) le rimanenze di merci e materie prime. Per costo di produzione si intende la somma di tutti i costi industriali diretti (materie prime, manodopera, lavorazioni esterne) e di tutti i costi industriali indiretti (ammortamenti, affitti passivi degli stabilimenti, responsabile di reparto, manutenzio-ni, ecc.), per la quota ragionevolmente imputabile.

Infine, si ribadisce che A e B riepilogano ricavi e costi della produzione, non del venduto.

Ciò premesso, la logica di funzionamento del conto economico civilistico italiano è descritta di seguito.

1. Innanzitutto, non dovendo determinare il costo del venduto ai fini civilistici, non è necessario registrare sul libro giornale le rilevazioni riportate nel Capitolo 6, con cui le spese per materie prime, lavoro e gli altri costi industriali vengono iscritte nel conto

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20 Capitolo 11

Magazzino, per poi essere girate al conto Costo del venduto al momento in cui si realiz-za il ricavo. Al contrario, le spese per materie, per lavoro, per servizi industriali di ogni genere sono iscritte in un conto di costo al momento dell’acquisto, come presumendo che diventeranno tutte anche costi dello stesso periodo. Si procederà poi, a fine anno, a rilevare la quota che non è stata consumata per prodotti venduti nell’esercizio e che, quindi, non si è tramutata in costi di competenza economica dello stesso. Questa quota, non di competenza, sarà quindi stornata dai conti di costo e caricata in dare nel conto Magazzino. In definitiva, la procedura sottostante la redazione del conto economico civilistico è inversa rispetto a quella descritta nei Capitoli 5 e 6. Anziché registrare le spese e tramutarle in costi al momento del consumo, si iscrivono a costo tutte le spese e poi si eliminano a fine anno quelle che in verità non sono state consumate.

2. In B, tra i costi della produzione, sono collocate tutte le spese per acquisti di materie e merci (alla voce B.6, nella Tabella 11.4), indipendentemente dall’effettivo consumo. Ma successivamente nello schema, attraverso la voce B.11 (variazione delle rimanenze di materie prime e merci), la parte di acquisti non impiegata per la realizzazione di semilavorati e/o prodotti finiti, che perciò è rimasta in magazzino, viene sottratta dal costo della produzione e, quindi, dai costi di competenza economica dell’esercizio, lasciando solo quelli legati alla produzione. In caso di incremento del magazzino di materie prime, infatti, la voce B.11 ha segno negativo, dunque abbatte i costi della produzione di competenza. Qualora, invece, per la produzione siano state utilizzate materie in quantità superiore a quelle acquistate (riportate alla voce B.6), tali maggiori consumi comportano una riduzione del magazzino di materie, che viene riepilogata con segno positivo in B.11, andando così a “ingrossare” i costi della produzione. Quin-di, se la voce B.6 (acquisti di materie) viene letta insieme alla voce B.11 (variazione del magazzino di materie) è possibile intuire che solo i consumi di materie utilizzate per la produzione del periodo finiscono per ridurre l’utile netto dell’esercizio.

3. Anche le materie prime utilizzate per i semilavorati o prodotti finiti non venduti vengono eliminate dai costi di competenza, ma non attraverso la voce B.11, bensì at-traverso la variazione del loro magazzino registrata in A.2. Infatti, la quota di materie prime che è stata utilizzata per la realizzazione di semilavorati o prodotti non venduti avrà ingrossato il relativo magazzino e tale aumento sarà riportato in conto economico con segno positivo in A.2, ossia come fosse un ricavo. In verità, però, non ha la na-tura di un ricavo, bensì di una rettifica in diminuzione dei costi di competenza, in un primo momento stimati per eccesso attraverso il valore degli acquisti posti in B.6. In caso di produzione confluita in magazzino (non venduta), pertanto, la voce A.2 riduce idealmente i costi di competenza e aumenta come conseguenza il reddito d’esercizio. Infatti, le spese per materiali confluiti in semilavorati non venduti non rappresentano costi di competenza economica dell’esercizio.

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Il bilancio civilistico italiano 21

4. Inoltre, attraverso la rilevazione in A.2 della rettifica di costi dovuta a semilavorati e prodotti finiti non venduti (che hanno ingrossato i relativi magazzini), si elidono dai costi di competenza dell’esercizio anche le altre spese di produzione (energia, servizi in genere, ammortamenti, costi del lavoro, ecc.), sostenute per la realizzazione nel periodo di semilavorati e prodotti finiti, che però non sono stati venduti.

Infatti, in un primo momento, tutte le spese industriali sono contabilizzate indi-stintamente in B – nelle voci B.7 (costi per servizi), B.8 (costi per canoni leasing, af-fitti passivi), B.9 (costi per il personale), ecc. – senza distinzione in funzione del fatto che siano confluite o meno in prodotti anche venduti. Ma poi, quando si conteggia con l’inventario finale l’eventuale aumento dei magazzini di semilavorati e prodotti finiti, al 31 dicembre, se si constata che una parte di dette spese (voci B.7, B.8, B.9, ecc.) in realtà non compete all’esercizio, perché consumate per prodotti non venduti, si rettificano i dati attraverso la variazione in A.2. In particolare, anziché ridurre a uno a uno il valore di tutte le spese industriali, si abbattono tutte insieme, attraverso un’unica rettifica di costo (in A.2). Tale rettifica è proprio pari all’incremento del valore dei magazzini in oggetto, ricordando che in bilancio semilavorati e prodotti finiti sono valorizzati al loro costo di produzione (si veda Capitolo 6).

A.2 raccoglie il costo di produzione sostenuto per tutti i semilavorati e i prodotti finiti realizzati nel periodo ma non venduti nello stesso. Tale valore, essendo iscritto con segno positivo, aumenta l’utile e, di fatto, compensa l’eccesso di costi iscritti in B. Elidendo i costi non di competenza, ne annulla l’impatto sul reddito di esercizio.

5. Infine, se volessimo la misura di tutti i costi operativi effettivamente di competenza dell’anno (costo del venduto + altri costi operativi), basterebbe la seguente formula: B – A.2, ossia il totale dei costi della produzione meno quella parte dei costi industriali confluiti in semilavorati e prodotti finiti realizzati ma non venduti, che hanno ingros-sato i relativi magazzini.

Concetti da ricordare In Italia coesistono aziende che nella redazione del bilancio seguono il codice civile • e i principi contabili nazionali e altre che adottano quelli internazionali. I due set di principi si differenziano in modo sostanziale. Diversamente dai principi contabili internazionali, la normativa italiana prevede • schemi fissi dettati dal codice civile per i documenti di conto economico e stato patrimoniale. Ciò favorisce la comparabilità dei dati (nel tempo e tra aziende). Lo stato patrimoniale delle società di capitali italiane prevede le seguenti macroclas-• si di attività: A) Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti, B) Immobilizzazio-ni, C) Attivo circolante, D) Ratei e risconti attivi. Il criterio adottato per collocare le attività nelle varie macroclassi è quello della funzione economica che la società assegna ai singoli beni e diritti.

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22 Capitolo 11

Nello stato patrimoniale civilistico, i finanziamenti non sono classificati in base alla • loro durata, bensì rispetto alla fonte, vale a dire: A) Patrimonio netto, B) Fondi rischi e oneri, C) Trattamento di fine rapporto, D) Debiti, E) Ratei e risconti passivi. Per ciascuna tipologia di debito occorre indicare sia la natura del creditore, sia l’even-tuale quota in scadenza oltre i dodici mesi successivi. Il conto economico civilistico è presentato in forma scalare. Il primo raggruppa-• mento è costituito dal Valore della produzione (A), a cui si sottrae l’aggregato de-nominato Costo della produzione (B), per arrivare alla determinazione di un reddito parziale (definito Differenza A-B) assimilabile al reddito operativo. A differenza di quest’ultimo, però, esso non include oneri e proventi derivanti da attività finanziarie (azioni, obbligazioni e altri titoli, depositi di denaro fruttiferi, crediti di finanziamen-to), né oneri e proventi derivanti da eventi non ripetibili o imprevedibili (definiti “straordinari” dal nostro ordinamento giuridico). A seguire, il conto economico riepiloga: C) Oneri e proventi finanziari, D) Rettifiche • di valore di attività finanziarie, E) Oneri e proventi straordinari, 22) Imposte sul reddito, 23) Utile (perdita) dell’esercizio. La nota integrativa è il terzo documento obbligatorio del bilancio d’esercizio se-• condo il nostro codice civile. Le sue principali funzioni sono: descrivere i principi contabili e i criteri di valutazione adottati nella redazione del bilancio, fornire det-tagli aggiuntivi sul contenuto e sulle movimentazioni delle voci di conto economico e stato patrimoniale, ricostruire le variazioni intervenute nell’anno per le varie poste patrimoniali, fornire informazioni rilevanti aggiuntive. Al bilancio delle società di capitali deve essere allegata la relazione sulla gestione • redatta dagli amministratori, che riporta un commento sull’andamento, sui risultati raggiunti e che, in generale, informa su aspetti qualitativi e strategici altrimenti non esplicitati nei documenti di bilancio, ma che è rilevante conoscere. L’applicazione dei principi contabili internazionali IAS/IFRS alle società italiane • risponde a un bisogno di armonizzazione contabile che supporti l’internazionaliz-zazione dei mercati dei capitali. Questo corpus di principi privilegia la prospettiva dei finanziatori a titolo di rischio (azionisti), a scapito della tutela di altri soggetti esterni che hanno interessi e rapporti con le aziende. Nel complesso la normativa italiana è più prudente rispetto a quella internazionale.•