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Superate le incertezze del pe- riodo severo e prima degli sconvolgimenti ellenistici l’arte dell’antica Grecia ha saputo co- gliere con estrema precisione la complessità esteriore e interiore dell’essere umano. Il titolo “La perfezione raggiunta” si riferisce infatti al “Doriforo” di Policleto, scultura che rappresenta l’apice dell’esperienza figurativa greca e di tutto il mondo antico. Nel Medioevo invece la ricerca arti- stica è rivolta alla comprensione dei misteri teologici, nell’Età Mo- derna essa si concentra sempre più sul rapporto tra l’uomo e il mondo, ovvero sulla conoscen- za. Gli artisti anticiperanno e documenteranno i teoremi della matematica, le leggi dell’ottica, gli sconvolgimenti delle guerre, le trame della politica, le scoperte della meccanica e dell’in- gegneria. Tutto ciò al punto che la perfezione sarà spesso raggiunta prima nell’arte, poi negli altri campi del sapere. Così è accaduto anche nell’ingegneria civile… Lo scultore Constantin Brâncuşi, in collaborazione con l’ingegnere Ste- fan Georgescu Gorjan, ideò e plasmò, tra il 1921 e il 1938, l’opera scultorea e architettonica che possiede, oltre all’af- flato lirico ed estetico degno del capolavoro, straordinarie prestazioni nei confronti delle sollecitazioni atmosferiche: la “Colonna senza Fine”. Si tratta dell’elemento conclusivo del complesso monumentale dedicato alla resistenza della città romena di Târgu Jiu durante la Seconda Guerra Mondia- le. Successivamente l’incuria e il tentativo di abbattimento operato dal regime comunista di Ceausescu, che definiva il genio Brâncuşi “persona indesiderata”, danneggiarono l’opera. A seguito della caduta del Comunismo nel 1989 e della deposizione del dittatore si de- cise di riportare il monumento al suo originale splendore… Dopo alcuni maldestri interventi che peggiorano le condizioni di salute della struttura, tra la fine del vecchio millennio e l’inizio del nuovo la World Bank stanzia un finanziamento per il restau- ro, l’UNESCO dichiara la Colon- na “patrimonio dell’umanità” e il prof. Dan Lungu della facoltà di ingegneria civile di Bucharest si fa promotore di studi appro- fonditi. Il vento è la sollecitazio- ne a cui la Colonna è maggior- mente esposta e per studiarla Dan Lungu sceglie il migliore: il “nostro” prof. Giovanni Solari. Gli studi condotti in galleria del La perfezione raggiunta Constantin Brâncuşi e Stefan Georgescu Gorjan, “Colonna senza Fine”, 1921-38 Novembre 2017 IL CANNOCCHIALE Realizzato con il contributo dell’università degli studi di Genova Stampato in proprio dal settore centro stampa dell’Università degli Studi di Genova. La diffusione gratuita del presente stampato avviene esclusivamente nell’ambito della Scuola Politecnica dell’Università degli Studi di Genova. La collaborazione degli ade- renti è avvenuta su base volontaria e a titolo totalmente gratuito. L’opera realizzata, date le sue caratteristche di pubblicazione non programmata a in- tervalli di tempo prefissati, non può essere ricondotta alla tipologia di periodico. vento mostrano che la scultura-architettura di Brâncuşi rappresenta, per ricondurmi al concetto iniziale, la “per- fezione raggiunta”: i periodi di ritorno del vento a cui può resistere sono apocalittici, persino per quanto riguarda la fatica. La variabilità della sezione con l’altezza e il fatto che gli elementi modulari non siano collegati suggellano il connubio tra successo estetico e ingegneristico. Tali ac- corgimenti sono stati ripresi in seguito per la progettazio- ne dei grattacieli più alti. Quanto la perfezione sia stata voluta e prevista da Brânc- uşi e Georgescu non è dato saperlo: gli studi condotti rappresentano oggettività ingegneristica, il genio degli ideatori della Colonna, ma anche di chi l’ha tutelata e studiata, è mito! Luca Palazzo

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Superate le incertezze del pe-riodo severo e prima degli sconvolgimenti ellenistici l’arte dell’antica Grecia ha saputo co-gliere con estrema precisione la complessità esteriore e interiore dell’essere umano. Il titolo “La perfezione raggiunta” si riferisce infatti al “Doriforo” di Policleto, scultura che rappresenta l’apice dell’esperienza fi gurativa greca e di tutto il mondo antico. Nel Medioevo invece la ricerca arti-stica è rivolta alla comprensione dei misteri teologici, nell’Età Mo-derna essa si concentra sempre più sul rapporto tra l’uomo e il mondo, ovvero sulla conoscen-za. Gli artisti anticiperanno e documenteranno i teoremi della matematica, le leggi dell’ottica, gli sconvolgimenti delle guerre, le trame della politica, le scoperte della meccanica e dell’in-gegneria. Tutto ciò al punto che la perfezione sarà spesso raggiunta prima nell’arte, poi negli altri campi del sapere.Così è accaduto anche nell’ingegneria civile… Lo scultore Constantin Brâncuşi, in collaborazione con l’ingegnere Ste-fan Georgescu Gorjan, ideò e plasmò, tra il 1921 e il 1938, l’opera scultorea e architettonica che possiede, oltre all’af-fl ato lirico ed estetico degno del capolavoro, straordinarie prestazioni nei confronti delle sollecitazioni atmosferiche: la “Colonna senza Fine”. Si tratta dell’elemento conclusivo del complesso monumentale dedicato alla resistenza della città romena di Târgu Jiu durante la Seconda Guerra Mondia-le. Successivamente l’incuria e il tentativo di abbattimento operato dal regime comunista di Ceausescu, che defi niva il genio Brâncuşi “persona indesiderata”, danneggiarono

l’opera. A seguito della caduta del Comunismo nel 1989 e della deposizione del dittatore si de-cise di riportare il monumento al suo originale splendore…Dopo alcuni maldestri interventi che peggiorano le condizioni di salute della struttura, tra la fi ne del vecchio millennio e l’inizio del nuovo la World Bank stanzia un fi nanziamento per il restau-ro, l’UNESCO dichiara la Colon-na “patrimonio dell’umanità” e il prof. Dan Lungu della facoltà di ingegneria civile di Bucharest si fa promotore di studi appro-fonditi. Il vento è la sollecitazio-ne a cui la Colonna è maggior-mente esposta e per studiarla Dan Lungu sceglie il migliore: il “nostro” prof. Giovanni Solari. Gli studi condotti in galleria del

La perfezione raggiunta

Constantin Brâncuşi e Stefan Georgescu Gorjan, “Colonna senza Fine”, 1921-38

Novembre 2017

IL CANNOCCHIALERealizzato con il contributo dell’università degli studi di Genova

Stampato in proprio dal settore centro stampa dell’Università degli Studi di Genova.La diffusione gratuita del presente stampato avviene esclusivamente nell’ambito della Scuola Politecnica dell’Università degli Studi di Genova. La collaborazione degli ade-

renti è avvenuta su base volontaria e a titolo totalmente gratuito.L’opera realizzata, date le sue caratteristche di pubblicazione non programmata a in-tervalli di tempo prefissati, non può essere ricondotta alla tipologia di periodico.

vento mostrano che la scultura-architettura di Brâncuşi rappresenta, per ricondurmi al concetto iniziale, la “per-fezione raggiunta”: i periodi di ritorno del vento a cui può resistere sono apocalittici, persino per quanto riguarda la fatica. La variabilità della sezione con l’altezza e il fatto che gli elementi modulari non siano collegati suggellano il connubio tra successo estetico e ingegneristico. Tali ac-corgimenti sono stati ripresi in seguito per la progettazio-ne dei grattacieli più alti.Quanto la perfezione sia stata voluta e prevista da Brânc-uşi e Georgescu non è dato saperlo: gli studi condotti rappresentano oggettività ingegneristica, il genio degli ideatori della Colonna, ma anche di chi l’ha tutelata e studiata, è mito!

Luca Palazzo

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Dal 29 maggio al 23 giugno 2017 sette studenti del Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Civile e Ambientale (Simona Boffelli, An-nalisa De Leo, Francesco Roda, Giovanni Salomone, Verdiana Ver-diglione, Stefania Viaggio e Sara Zani) hanno avuto la possibilità di prendere parte al workshop “Port Engineering and Maritime Works” nella città di Caen, capoluogo della Normandia (Francia). La parteci-pazione è stata proposta dal Prof. Giovanni Besio, docente di inge-gneria marittima, costruzioni ma-rittime e ingegneria portuale pres-so la facoltà di Via Montallegro.Il workshop è stato organizza-to dall’Università ESITC (Ecole Supérieure d’Ingénieurs des Tra-vaux de la Construction) con il supporto di numerosi partner pro-fessionali da diverse parti del mondo.Carichi di aspettative e pronti a mettersi alla prova, con la volontà di approfondire argomenti d’inge-gneria portuale e di affrontare un progetto vero e proprio, gli studen-ti italiani sono partiti da Genova per la nuova esperienza all’estero.Durante le quattro settimane, in-sieme ad altri 33 studenti prove-nienti da differenti università di tutto il mondo, i ragazzi hanno lavorato al progetto di un porto realmente esistente, situato a Na-dor, in Marocco. Il lavoro mirava

Port Engineering and Maritime Works

all’analisi e alla definizione di di-versi layout portuali alternativi a quello esistente. A tal fine tutti gli studenti sono stati divisi in quattro gruppi da dieci persone ciascuno; ogni gruppo aveva a disposizione gli stessi dati ma doveva analizza-re diverse entrate al porto. Il team degli organizzatori del workshop ha definito i limiti geografici per la costruzione delle infrastrutture portuali, le problematiche nelle di-verse zone e ha assegnato i dati per lo svolgimento del progetto.Nel corso del workshop gli studenti hanno inoltre frequentato diver-se lezioni inerenti alle tematiche portuali, eseguito una sperimenta-zione in laboratorio (“Wave Flume Test”), partecipato ad incontri e conferenze con brillanti professio-nisti e a visite tecniche nelle loca-lità di Cherbourg, Le Havre e Hon-fleur, nonché a un’uscita turistica a Mont Saint Michel.Al termine delle quattro settimane, di fronte ad una giuria composta da insegnanti ed esperti, i grup-

pi hanno consegnato un report presentando le fasi essenziali del lavoro svolto. La giuria ha quin-di valutato il progetto migliore e, estrapolando le parti meglio tratta-te dai diversi gruppi, ha dato l’op-portunità ad alcuni partecipanti di esporle di fronte a professionisti di diverse aziende nell’ultimo giorno di permanenza a Caen.L’esperienza ha arricchito gli stu-denti di Genova, i quali, da un punto di vista tecnico, hanno potu-to mettere in pratica quanto impa-rato durante le lezioni all’universi-tà. Le visite in cantiere hanno poi consentito ai ragazzi, finalmente, di “vedere” quanto studiato sui li-bri. Inoltre durante il workshop è risultato significativo comprendere cosa significhi lavorare in gruppo con persone provenienti da diversi Paesi e con esperienze differenti. Un’esperienza di tal genere costi-tuisce quindi un passo pratico e costruttivo durante il percorso uni-versitario di uno studente.

Sara Zani

Workshop à l’ESITC

TECNOLOGIA E SCIENZA

Uno dei quattro gruppi al lavoro

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3TECNOLOGIA E SCIENZA

Scuola Politecnica

Nel 2015 la Scuola Politecnica ha deciso di formare un “Gruppo di Monitoraggio e Valutazione” costituito da alcuni professori della scuola stessa al fine di valutare oggettivamente il lavoro svolto dai vari dipartimenti negli ultimi anni. I temi indagati sono: studenti e laureati, organico, stato della ricerca e analisi del bilancio globale a livello di Scuola.Per quanto riguarda gli “Studenti e laureati” si è innanzitutto distinta l’area di ingegneria da quella di architettura. Entrambe, in base al numero di studenti iscritti, si collocano in zona mediana con un numero di studenti compresi tra 1400 e 2000. L’Ateneo genovese nel complesso rientra invece nella categoria dei grandi atenei. Le aree di ingegneria e architettura si classificano rispettivamente quattordicesima su 41 atenei e nona su 21 atenei.Un altro dato interessante e da considerare positivo per la Scuola consiste nel fatto che, mentre a livello nazionale il numero di iscritti all’università al primo anno post diploma è caratterizzato da un calo a partire dal 2010, per l’inge-gneria genovese l’andamento risulta nel complesso positivo e simile a quello del Politecnico di Milano, unica struttura a staccarsi dalla media nazionale.

Analisi delle Performance 2013-2015

Confronto tra le varie tipologie di laurea in architettura

In questo senso l’area di ingegneria si distingue da quella di architettura: quest’ultima è caratterizzata da un andamento che non si distacca da quello della media nazionale e quindi tendenzialmente negativo. Non si può però trascurare il cambio di ordinamento avvenuto negli scorsi anni, quando la laurea quinquennale è stata divisa in laurea triennale seguita da corsi biennali: la variabilità prodotta a seguito di ciò deve ancora andare a regime.

Confronto tra le varie tipologie di laurea in ingegneria

Nel complesso quindi si può dire che la Scuola Politecnica e in particolare ingegneria non ha sofferto di quel calo di studenti che caratterizza invece molte altre facoltà e atenei. Considerando anzi il numero totale degli iscritti in corso si manifesta un lento ma costante avvicinamento di Genova ai grandi atenei.

Pietro Manica

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Nei giorni 11 e 12 luglio si è svolto, nella prestigiosa cornice genovese della Sala dei Chierici della Biblioteca Berio, il convegno dal titolo “La mobilità come elemento connettivo delle scelte di riqualificazione, rivitalizzazione culturale, sociale ed economica – Il caso di Genova”. L’evento è stato promosso dalla Commissione Mobilità e Traffico composta da ACI (Automobile Club d’I-talia - Sezione di Genova), AIIT (Associazione Italiana per l’Ingegneria del Traffico e dei Trasporti – Sez. Liguria), AMT (Azien-da Mobilità e Trasporti), Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale, Camera di Commercio di Genova, Comune di Genova e Università di Genova – Scuola Politecnica – DICCA (Dipartimento di Ingegneria, Chimica, Civile e Ambientale).

La mobilità è il modo attraverso cui si concretizzano le azioni e le scelte individuali. In ogni istan-te dell’esistenza siamo costretti a fare i conti con l’insieme di in-frastrutture e mezzi che rendono possibile la fruizione dei servizi. Non siamo solo noi a spostarci: le merci compiono viaggi inter-continentali, attraverso acqua ed aria, per venirci incontro, affin-ché possiamo trovarle sugli scaf-fali dei negozi. L’acqua, il gas e l’elettricità giungono fino nelle nostre case viaggiando in con-dotte che rimarcano i tracciati delle strade triplicando e qua-

druplicando nel mondo sotter-raneo la rete viaria superficiale.Con un’unica parola, mobilità, si rappresenta quindi un mondo infinito e variegato che abbrac-cia e comprende le più diverse tipologie connettive, dagli oscuri cunicoli alle strade arse dal sole estivo. Lungo le infrastrutture corrono i mezzi più disparati, dal-la leggera bicicletta di alluminio riciclato, capace di ospitare un solo passeggero, a possenti treni e autobus in grado di trasformar-si in incandescenti scatole di sar-dine nelle ore di punta.Immaginiamo inoltre che tutto

Mobilità… Superba!

ciò avvenga in una città dotata di un enorme cuore antico che deve dialogare con una periferia scon-finata e con un porto in cui appro-dano quelle merci destinate agli scaffali dei negozi e quei turisti che rendono eterogeneo il suono delle lingue per le strade. Sup-poniamo in più che la morfologia del territorio alterni valli e colline modulando secondo la forma di un grande anfiteatro le fattezze del tessuto urbano. No, non stia-mo parlando della Coketown di Charles Dickens, protagonista di “Hard Times” (1854), bensì della nostra superba Genova.

Palazzo Giustiniani nell’omonima piazza del centro storico genovese

TECNOLOGIA E SCIENZA

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Tanto superba quanto problematica: ventisei proposte progettuali

Le righe precedenti tentano di trasmettere, anche a chi non abbia alcuna esperienza della vita nella Città superba, le stra-ordinarie dimensioni delle pro-blematiche legate alla mobilità genovese. Il convegno promos-so dalla Commissione Mobilità e Traffico ha avuto come sco-po la presentazione, da parte degli studenti universitari che li hanno elaborati, di ventisei progetti volti alla risoluzione di alcune problematiche della mo-bilità genovese. Il lavoro degli universitari, appartenenti agli anni IV e V dei Corsi di Laurea in Ingegneria Edile-Architettu-ra e in Ingegneria Civile e Am-bientale della Scuola Politecni-ca di Genova, è stato oggetto della supervisione e della guida sapiente del Prof. Pietro Ugoli-ni, della Prof.ssa Francesca Pir-lone, della Prof.ssa Emanuela Nan e dell’Ing. Francesca Lasa-landra.In particolare i ventisei lavori sono suddivisi in cinque cate-gorie corrispondenti alle altret-tante tematiche trattate (tra parentesi è indicato il numero di lavori per categoria):- la riqualificazione del centro storico attraverso interventi in-terni di mobilità sostenibile, ac-cessibilità, turismo e food con una digressione tematica sui rifiuti (10);- la riqualificazione del centro storico attraverso i collega-menti verdi, la Circonvalmonte e i Forti di Genova (5);- i nuovi collegamenti del cen-tro cittadino con Manin e la Val-bisagno (5);- i nuovi collegamenti del cen-tro cittadino con la periferia di Ponente (5);- non dimentichiamoci del porto (1).La giornata dell’undici luglio è stata suddivida in due momen-ti: il primo, nella mattinata, de-dicato alla presentazione degli

Enti e delle Istituzioni coinvol-te; il secondo, al pomeriggio, incentrato sulla presentazione vera e propria dei progetti. Il dodici luglio l’équipe docente e i membri della Commissione hanno approfondito aspetti le-gati alla metodologia di lavoro e al rapporto tra Istituzioni e Università, presupposti fonda-mentali per la concretizzazione delle proposte degli studen-ti. Infine, nel pomeriggio dello stesso giorno, è stato elabora-to, presso la sede ACI, un pro-tocollo di intenti della Commis-sione.

Accessibilità e fruizione del centro storico di Genova - Proposte

per via dei Giustiniani

Tra i progetti di riqualificazione del centro storico rientra quel-lo dedicato a via dei Giustinia-ni. Per comprenderne le pro-blematiche si deve recuperare l’origine storica del tessuto ur-bano. Le città che si affacciano sul “Mare Nostrum” nascono da una matrice che possiamo battezzare con il nome di “me-diterranea”. Essa ha generato, nel corso della storia, la cit-tà romana, quella greca e, tra Medioevo e Rinascimento, le città cristiano-razionale delle coste europee settentrionali e islamico-labirintica delle coste meridionali e medio-orientali. Genova, in quanto antico cro-cevia di popoli, si è sviluppata seguendo entrambi i modelli: le vie dei Palazzi dei Rolli sono impostate secondo lo stampo cristiano-razionale, i vicoli mo-strano la struttura islamico-la-birintica. Via dei Giustiniani si colloca a metà tra queste due impostazioni: si avvicina alle vie dei Rolli presentando mo-numenti di pregio storico-ar-chitettonico, ma è immersa nel labirinto dei vicoli.Il progetto si articola in tre fasi:- analisi dello stato di fatto: va-lutazione delle condizioni strut-turali e ambientali (pavimen-

tazione, illuminazione e arredo urbano), individuazione degli edifici di pregio storico, iden-tificazione delle risorse com-merciali (circa trenta esercizi attivi su una settantina di locali disponibili). I dati raccolti sono confluiti nell’analisi SWOT, stru-mento che permette di indivi-duare punti di forza (Strengths) di debolezza (Weaknesses), opportunità (Opportunities) e minacce (Threats) riguardanti il sistema. Sono stati impiega-ti inoltre indicatori oggettivi (di accessibilità, sicurezza e condi-zioni ambientali) per classifica-re i diversi problemi;- proposte: sono stati elaborati gli interventi volti alla risoluzio-ne delle problematiche. Quelli di tipo strutturale consistono nel potenziamento dell’illumi-nazione e degli elementi di ar-redo urbano, nonché nel rag-giungimento di condizioni di pulizia e sicurezza idonee. Un percorso turistico, con l’intro-duzione di pannelli illustrativi, consente di valorizzare il patri-monio monumentale, mentre un itinerario gastronomico e dei prodotti tipici favorisce l’in-serimento di attività di ristoro e botteghe legate alle tradizioni culinarie e artigianali mediter-ranee;- strumenti di pianificazione: si individua nel Patto d’Area lo strumento ideale per l’attuazio-ne delle proposte. Il Patto coin-volge enti e istituzioni (Regione, Comune, Università, Commis-sione Mobilità e Traffico, privati cittadini proprietari dei locali, ecc.) che si impegnano nelle azioni di riqualificazione e rivi-talizzazione. In un’ottica di più ampio respiro si possono inte-grare Patti d’Area relativi ad al-tre zone del centro storico e co-ordinare le attività previste dai vari strumenti di pianificazione in un Piano Regolatore Sociale. Interpretando gli obiettivi eco-nomici e ambientali nell’ottica sociale si realizza la sostenibili-tà degli interventi previsti.

Luca PalazzoTECNOLOGIA E SCIENZA

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Paul Karl Feyerabend (1924-94)

Nella rubrica dedicata al meto-do della scienza ho presentato sette illustri menti della filosofia occidentale ripercorrendo an-che alcune tappe dello svilup-po scientifico moderno. Galileo, Cartesio e Newton sono infatti gli iniziatori del dibattito sulla conoscenza umana che trova in Popper, ma anche in Kant, Comte e Russell gli estremi e più acuti sviluppi. Tutti i filosofi citati, nonostante i diversi esiti delle loro riflessioni, sono per-suasi dalla convinzione che deb-ba esistere un metodo su cui si fondi la genesi del sapere uma-no. A fronte della folta schiera di personaggi che hanno preso le mosse da tale convinzione esistono autori, probabilmente meno noti, che si sono mostrati più critici verso l’esistenza di un metodo universale.Concludo pertanto la rubrica con una voce “fuori dal coro”, appartenente proprio a questo secondo gruppo di pensatori: Paul Karl Feyerabend. In “Con-tro il metodo” (1975) egli so-stiene proprio l’inesistenza di un metodo scientifico applicabi-le a tutte le discipline e a tutte le epoche. Ciò non significa che la scienza non applichi rego-le, ma che il suo modo di pro-cedere debba essere libero da ogni schema prefissato fino allo scontro e alla violazione dell’ap-parentemente certo.Ancora più stravolgente è l’idea secondo cui la descrizione scien-tifica dei fatti non esista oggetti-vamente, ma solo all’interno di una teoria, al punto che i primi coincidono con quest’ultima. Non è quindi possibile confron-tare teorie diverse (la fisica di Newton con quella di Einstein) giacché elaborate da presuppo-sti differenti. La scienza non è né accumulazione di conoscenze né, come invece voleva Popper, approssimazione della verità.

Rappresenta semplicemente uno dei modi che l’uomo possie-de per sondare il mondo e non deve godere di maggiore digni-tà rispetto agli altri strumenti di indagine: i miti, la metafisica, la teologia.Idee che cozzano con la nostra sensibilità galileiana e popperia-na: siamo perplessi dinanzi alle parole del filosofo e rifiutiamo l’assenza di metodo. Tuttavia per comprendere davvero è ne-cessario considerare la ricaduta sociale della strana imposta-zione scientifica. Feyerabend progetta non solo una società aperta, in senso popperiano, ma anche completamente libe-ra. Libera nel senso di equilibra-ta, in cui la scienza non abbia più “strapotere”, in cui non vi sia una tradizione che possieda il sopravvento sulle altre.In un certo senso è possibile vedere nella concezione equili-brata la responsabilità dell’uo-mo definita da Sartre ne “L’e-sistenzialismo è un umanismo” (1946). Secondo il filosofo fran-cese, benché l’individuo debba obbligatoriamente essere libero sia che “si ubriachi in solitudine

o conduca i popoli”, la responsa-bilità lo spinge all’impegno. Un impegno strettamente imparen-tato con la società libera.Una società in cui non sia ne-cessario, per poter partecipare alle decisioni collettive, unifor-marsi ai modelli dominanti; in cui l’uomo di colore non sia co-stretto ad accettare la tradizio-ne dell’uomo bianco e la donna non debba “maschilizzarsi” per contare socialmente.Feyerabend esprimeva queste idee molti decenni fa, prima an-cora della fine della Guerra Fred-da. Molto è cambiato dagli anni in cui pubblicò le sue opere, ma il cammino verso la vera liber-tà è ancora lungo. Kant, a fine Settecento, in “Che cos’è l’Illu-minismo?” (1784), si chiede-va: “Viviamo noi attualmente in un’età rischiarata?”. Rispondeva che l’epoca non era rischiarata, ma di rischiaramento. Oggi pos-siamo solo chiederci: “Siamo in un’età di rischiaramento?”. Vi lascio con questo interrogativo e con la consueta esortazione kantiana: “Sapere aude!”.

Luca Palazzo

Paul Karl Feyerabend

FILOSOFIA E STORIA

Il Metodo della Scienza

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Origini dell’Ingegneria

L’ingegneria del vento e il progetto “Thunderr”

Immerso in un ambiente a lui ostile e costretto dalla neces-sità di sopravvivenza, l’uomo ha da sempre ricercato l’otti-mizzazione del rapporto tra la propria esistenza e quella dei fenomeni naturali a lui circo-stanti. Potenti, improvvisi e ingovernabili, condizionarono fin dall’antichità i primordiali approcci costruttivi, rendendoli il più possibile volti alla ricerca della sicurezza e dello sfrutta-mento delle risorse naturali di-sponibili. La disposizione della città egizia di Kahun, costruita nel 2000 a.C. in modo tale da garantire al quartiere ricco un riparo dai venti caldi del deser-to e la possibilità di godere delle piacevoli brezze provenienti da settentrione, si configura come emblema di tale tendenza. Allo stesso modo le città della Cina del VI secolo a.C. venivano erette rispettando il principio dello “Feng Shui”, razionaliz-zando l’ingresso di aria e luce all’interno delle abitazioni. Un acerbo ma interessante studio meteorologico provie-ne da Aristotele, all’interno di “Meteorologia”. L’autore distin-gue l’esalazione umida che ge-nera pioggia e neve da quella secca, infiammabile, che dà vita alle comete e ai venti.Solo durante il Rinascimento lo studio della disciplina assume un carattere più razionalistico in seguito all’introduzione dei mulini a vento in ogni parte del mondo e di alcuni strumenti per la valutazione delle cor-renti d’aria. Sarà l’italiano Le-onardo da Vinci a studiare per primo il movimento dei volatili e a scrivere il primo trattato sulla meccanica dei fluidi: “Del moto e misura dell’acqua”. Se-

guono, negli anni successivi, le invenzioni del termoscopio di Galilei e del barometro di Tor-ricelli. Saranno poi gli studiosi da Pascal a Stokes a fornire formulazioni più rigorose e ap-profondite.Parallelamente al delineamen-to di una sempre più accura-ta base teorica, il XIX secolo segna l’utilizzo di nuovi mate-riali, caratterizzati da elevate prestazioni meccaniche che permisero il concepimento di opere strutturali via via più leggere e snelle. Tuttavia la sempre più totale padronanza del fenomeno fisico non riuscì a garantire, paradossalmen-te, la sicurezza nei confronti di un nuovo problema, in quel tempo inaspettato e che segnò radicalmente la concezione dell’ingegneria civile: l’intera-zione fluido-struttura. La grande deformabilità e leg-gerezza degli impalcati con-dusse numerose opere verso un tragico destino: il collasso del ponte di Tacoma nel 1940 per fenomeni di flutter rap-presenta uno dei drammatici esempi.Presa coscienza dell’impotenza e della necessità di studiare a fondo la dinamica di tali feno-meni la disciplina vide raggiun-ti importanti risultati nel secolo scorso, sfocianti nell’emblema-tica pubblicazione di Alan Gar-nett Davenport “The applica-tion of statistical concepts to the wind loading of structures”, datata 1961 e divenuta il sim-bolo della moderna ingegneria del vento. Tra i suoi enormi contributi alla disciplina spicca la “Davenport Chain”, efficace schematizzazione che riassu-me le relazioni che intercor-

rono, nel dominio del tempo e delle frequenze, tra le caratte-ristiche del campo di velocità, di pressione e di risposta strut-turale.Note le caratteristiche e la fenomenologia del vento ordinario correlato ai ciclo-ni extra-tropicali, la ricer-ca degli ultimi decenni si è avvicinata ad un fenomeno ancora largamente inesplo-rato e oggi oggetto di intensi studi: i temporali. Intenso, localizzato e di breve durata, il temporale si configura come il fenomeno naturale più di-struttivo. Infatti, nonostante l’evento sismico sia considera-to come il più temibile nell’im-maginario comune, il 70% dei danni e dei morti dovuti ad eventi naturali sono opera del vento. Il professor Giovanni Solari, ordinario presso l’U-niversità degli Studi di Geno-va, leader nell’ingegneria del vento ed ex presidente della International Association for Wind Engineering (IAWE), viene premiato dall’European Research Council con fondi eu-ropei e con l’Advanced Grant. Il suo progetto, “Thunderr”, si pone l’obiettivo di formulare un modello relativo al vento temporalesco e alle sue azio-ni, avvalendosi di un’ampia e avanzata rete di monitorag-gio. In collaborazione con gli atenei di Eindhoven e Berlino sarà possibile effettuare simu-lazioni a grande scala e, in un futuro ormai prossimo, inseri-re il nuovo modello all’interno di un formato di calcolo rivolu-zionario, estendibile a qualun-que tipo di vento ed esporta-bile in ogni parte del mondo.

Alberto VicentiniFILOSOFIA E STORIA

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Giochi

Diffi cile Titanico

SudokuSoluzioni sudoku

della scorsa uscita

CruciverbaA cura di Valentino Lerzo

Medio

Diffi cile

ORIZZONTALI1.Bevanda calda 3.Oggetto spaziale molto luminoso 8.Antichi can-tori di imprese 12.Una capitale asiatica 14.Articolo indeterminativo 15.Elemento aerodinamico delle macchine da corsa 18.Manifesta-zione che si tiene a Potenza il 29 Maggio 21.Al centro del coro 22.Il Johnson famoso giocatore dei Lakers di fi ne anni ‘90 23.Pre-fi sso che indica metà 24.Circondano il centro storico di Lucca 26.Città costiera messicana 29.Regnava in Russia 30.Il pianeta rosso 31.Profondo 32.Sono pari nei giri 33.Antico impero dell’A-merica Latina 35.Indica il livello di sviluppo di una nazione 37.Bri-tish Airlines 38.Piccolo coccodrillo del Sudamerica 40.Introduce il periodo ipotetico 41.La piazza della polis dell’antica Grecia 43.Il “cream” che si mangia freddo 44.Il famoso preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts 46.Divinità egizia 47.L’insieme degli attrezzi 49.Memoria ad accesso casuale 50.Catania sulle auto 51.Un sindacato 53.Strada delle antiche città romane che correva in direzione est-ovest 54.Si può combattere per esso

VERTICALI1.Varietà di rosa 2.Quartiere di Roma 3.Le sue uova sono spesso usate in cucina 4.Il numero di giocatori che compon-gono una squadra di calcio 5.Abiti monastici 6.Sinonimo di statura 7.Disturbi articolari 8.Lo dice chi non sa 9.La par-te spirituale di una persona 10.Sovrano 11.Stato del Medio Oriente 12.Lo è 007 13.Anticipa il tuono 16.Navi da guer-ra dell’antichità 17.Iniziali della Cagnotto 19.Lettera greca 20.Fenomeno di rifl essione acustica 21.Comune della Val Gardena 25.Uffi cio per le relazioni con il pubblico 27.A noi 28.Si premia nella tombola 30.Viene coniata 33.Albero dal quale può essere estratto un dolce sciroppo 34.Così è cono-sciuto l’ossido di calcio 36.Vi si può fare ricorso 37.Capitale dell’Azerbaigian che dal 2016 ospita un nuovo circuito del-la Formula Uno 39.Opposto ad Off 42.Il Lerner giornalista 43.Suffi sso da participio passato 45.Né mie né sue 48.Mi allo specchio 52.Non qui

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9BIOMEDICINA E SPORT

“Coccinelle!!!” - “ECCOMI”; “Estote semper” - “PARATI”

Chi non ha mai visto per la strada gruppi di ragazzi che qualsiasi gior-no dell’anno sono in giro per la città o in montagna con un pantaloncino corto blu? Quante volte si commenta “Scout” con una aria di rassegnazione e sufficienza? Perché? Che c’è di male in questo movimento?Preferisco domandarmi: “Cosa c’è di bene?”. E se lo stereotipo dello scout è il ragazzo che aiuta ad attraversare la strada o a portare la spesa ci deve essere più di qualcosa di buono.Questo tema è a me molto caro… Ho 24 anni e frequento l’associazione F.S.E. (Federazione Scout D’Europa, una delle tante presenti ormai in Ita-lia e nel mondo) da quando ne ho 7 e ciò mi ha dato tanto. È stata un espe-rienza fondamentale della mia vita e

se fino a qualche anno fa ciò che pen-savo mi facesse amare lo scoutismo era l’avventura, ho scoperto solo ora, in comunità capi, che è molto di più. “Ciò che manca ai giovani è un am-biente. Ebbene lo scoutismo e il gui-dismo sono un ambiente da proporre loro. Ed è quello che Dio ha messo a disposizione di tutti: l’aria aperta, la felicità, l’essere utili gli uni agli altri” (R. Baden-Powell, “Il libro dei capi”, 1919): questo mi ha fatto amare lo scoutismo, facendolo diventare una scelta di vita.Per descrivere la mia esperienza scou-tistica non posso far riferimento ad una sola delle mille avventure, ma neppure raccontarle tutte. È l’intera Esperienza Scout a cambiare l’approccio alla vita: quella serie di incontri che ha portato a

stabilire dei legami nel tempo, legami fortissimi con persone che non avevi mai visto prima, ma con cui hai con-diviso una settimana di cammino, il sudore della salita, il peso dello zaino sulle spalle, il riposo in una tenda dopo la conquista di una vetta.Cos’è lo scoutismo? “Lo scoutismo è un gioco per ragazzi, diretto dai ra-gazzi, in cui i fratelli maggiori posso-no dare ai loro fratelli più giovani un ambiente sereno, incoraggiandoli ad attività sane che li aiuteranno a svilup-pare il loro civismo” (C. Zamprioli, “Lo scout. Ideali e valori”, 2008), dove la carta vincente diventa l’attenzione al singolo, alla persona e non alla mas-sa, curando sia le doti intellettuali che quelle fisiche e morali.

Verdiana Verdiglione

Momenti di vita Scout

Scoutismo

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L’avvento della VAR in serie A

Erano anni che si invocava l’utilizzo della “moviola” sui campi di Serie A. Dopo innumerevoli stagioni di attesa è sbarcata nel Bel Paese la tecnologia VAR, ovvero Video Assi-stant Referee. Come funziona? Che casi può analizzare? Quali sono sta-te le reazioni degli addetti ai lavori?Prima di tutto una nota linguistica: se utilizzata con il genere femminile il termine VAR indica la tecnologia, con il maschile invece uno dei due veri e propri assistenti nella Video Operation Room, una stanza all’in-terno dello stadio oppure all’ester-no. Due persone che andranno a sostituire gli assistenti addizionali, ovvero coloro che fi no alla passa-ta stagione stazionavano sulla linea di fondo in prossimità delle aree di gioco.L’utilizzo di tale tecnologia è tutto sommato semplice da spiegare. Due assistenti, obbligatoriamente

arbitri, sono posti nell’apposita area a visionare la partita con un siste-ma di dodici telecamere, pronti a segnalare eventuali errori ed omis-sioni dell’arbitrio, oppure semplice-mente situazioni non viste o impos-sibili da vedere. L’arbitro, una volta ricevute le indicazioni, può decidere se fi darsi ciecamente oppure se vo-ler visionare nuovamente in prima persona la situazione in questione. In questo caso il fi schietto si diri-gerà nell’opportuna Referee Review Area, ovvero una postazione tra le due panchine con un monitor che permette al direttore di gara di ri-vedere tutto per poi decidere.Quali sono le situazioni che pos-sono essere valutare con la VAR? Esse sono quattro: per stabilire la regolarità di un goal, per decidere su una situazione da calcio di rigo-re, per l’espulsione di un giocatore e per eventuali scambi d’identità in

campo. Quindi l’arbitro perderà di autorità in campo? Il rischio c’è, ma non sulla carta. La decisione fi nale, infatti, spetta sempre al direttore di gara senza alcuna possibile interfe-renza forzata. Aspetto che ha tutta-via generato opinioni contrastanti. «Non vogliamo stravolgere il gioco del calcio, riducendo la sua spetta-colarità e fl uidità, cerchiamo solo di dare un supporto», ha dichiarato Nicola Rizzoli, designatore degli ar-bitri di Serie A. «Siamo tutti molto curiosi», aff ermava Marcello Nicchi, presidente dell’Associazione Italia-na Arbitri (AIA). Di tutt’altra idea Gianluigi Buff on, portiere della Juventus e della Na-zionale, che al termine della sfi da contro il Genoa nella seconda gior-nata di campionato ha rilasciato un importante monito circa l’evolu-zione del calcio. Al termine di una partita che ha visto ben due rigori

BIOMEDICINA E SPORT

Banti durante Genoa vs Juve

Tecnologia e calcio

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assegnati tramite VAR Gigi aff er-mava. «In questo modo non co-nosceremo mai l’eff ettivo valore di un arbitro», aggiungendo che «se fossimo tutti più sereni, obiettivi e accettassimo gli errori vivremmo con più umanità tutti i risultati». Uno strumento quindi inutile? «È uno strumento che, adoperato con parsimonia, può dare ottimi risultati e fare il bene del calcio». Chiusura secca: «Così non mi piace, è brut-to». Sono seguite polemiche a cui lo stesso portiere ha risposto qualche giorno più tardi. «Dopo le mie con-siderazioni sulla VAR ho assistito a polemiche da cortile che non fanno bene a nessuno, tantomeno al cal-cio», rispondeva il Bianconero, ag-giungendo che «non ho mai detto di essere contrario» e che «volevano essere esternazioni costruttive».Rimangono comunque zone grigie nell’utilizzo di tale tecnologia, come accaduto in occasione della quarta

giornata di campionato allo Stadio Friuli tra Udinese e Genoa. Inter-vento duro al limite dell’area del rossoblù Andrea Bertolacci e arbi-tro che non ferma il gioco. Poi, una volta che la palla termina in fallo la-terale, arriva la decisione di consul-tare le immagini e l’espulsione del Genoano. Cosa sarebbe successo se, prima che la palla fosse usci-ta, un giocatore rossoblù avesse segnato su ribaltamento di fronte? La questione di fondo è che, posta la giustezza di questa specifi ca de-cisione, alla fi ne a decidere è pur sempre un essere umano. Capita infatti, come in occasione dei Mon-diali U20 di Corea del Sud 2017, che l’arbitro ecuadoriano Roddy Zambrano punisca Giuseppe Pez-zella con un cartellino rosso diret-to per fallo su chiara occasione da goal di Edward Chilufya, il tutto nel-la sfi da tra Italia e Zambia. Un fallo che, a giudicare dalle immagini, è

con ogni probabilità inesistente in quanto il tocco è leggerissimo, se non del tutto assente.Come capita anche, invece, che una decisione giusta e perentoria venga presa grazie a questa nuova tecnologia, nonostante una situa-zione ambientale diffi cile. Nella Su-percoppa d’Olanda ad inizio agosto tra Vitesse e Feyenoord è capitato infatti che il fi schietto Danny Ma-kkelie concedesse un calcio di rigo-re ai primi su assistenza del VAR a quasi un minuto e mezzo dall’inter-vento del difensore e dopo che, su ribaltamento di fronte, gli avversari avevano segnato. Risultato? Goal annullato e calcio di rigore. Una de-cisione giusta ma che ha fatto di-scutere.Sia benedetta dunque la tecnolo-gia, ricordando però che il margi-ne di errore non si elimina, bensì si restringe. Siamo umani, d’altronde.

Matteo Calautti

Makkelie durante Vitesse vs Feyenoord

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Intervista al Prof. Felice Rossello

Chi è Felice Rossello? Savone-se, sodale di Fabio Fazio, auto-re a “Quelli che il Calcio”, per molti un prof che “ha vissuto il meglio dei due mondi”: quello reale, la cattedra di liceo, e la TV, l’eldorado. Ma fa di lui una persona veramente unica sco-prire che in realtà il suo mon-do «è uno solo». Professore, autore: poco cambia: «Fonda-mentalmente si tratta di tra-smettere idee. Sono stato un insegnante-autore: gestire ed appassionare dei ragazzi non è così diverso da guidare un team di autori ed intrattenere un pubblico. La cattedra è stata il mio palcoscenico, come la TV è stata la mia palestra di cul-tura. Il cast televisivo è anche squadra: fare per tanti anni anche l’allenatore di basket, in questo senso, mi ha spianato la strada». Profonde verità che, oggi, racconta nel suo libro “Il lato B della Cultura: la TV”.Fabio Fazio è stato la sua “chiamata all’avventura”.

Che cosa lo ha visto diven-tare?«Conobbi un Fazio studente di liceo. Gli fornivo ripetizioni di latino, in realtà appuntamenti fi ssi con letteratura, fi losofi a, cinema. Condivise con me il suo talento per le imitazioni, e ben presto entrò in televisione. Mi propose di aiutarlo con i te-sti: accettai questa sfi da. Esor-dì a “Loretta Goggi in Quiz”, in sola voce. Da quel momento abbiamo proposto ed ascoltato idee. Ho trasmesso a Fabio il mio metodo: studiavamo poco per volta, ma con costanza. All’inizio facevamo sedute di brainstorming due sere a setti-mana. L’iter televisivo di Fabio ha convissuto con due gran-di handicap: era brutto e non piaceva. Così ha rimediato di-ventando quello che è oggi: un professionista della TV».Lei è legato a diversi for-mat. Di quali conserva i ri-cordi migliori? Nel libro cita diversi aneddoti.

«Risponderò con ironia, come si addice ad un autore di va-rietà. Che dire, fare l’autore è pericoloso? Può caderti in testa del vetro fuso, puoi rovinare in un dirupo con un calesse. Una volta sono quasi annegato du-rante una ripresa. Diciamocelo, non più rischioso della vita di tutti i giorni: fare TV è bello e divertente. I format in cui sono stato più coinvolto sono “Diritto di Replica”, “Quelli che il Calcio” e “Porca Miseria”. Ho lavorato con Fazio, ma anche con altri grandi professionisti: Simona Ventura, Alba Parietti, Paolo Brosio. Ho conosciuto perso-nalità quali il deliziosissimo in-tellettuale Bruno Gambarotta e Bruno Voglino, impareggiabile esperto di TV quanto in disser-tazioni calcistiche sul suo Tori-no. Ho avuto esperienze anche in trasmissioni che non hanno fatto la storia: ma io non ero lì con quello scopo, ho sempre ritenuto più importante dare il massimo con i miei mezzi».La TV “dal di dentro” cos’ha da insegnare a noi al di fuori?«Che non tutt’è oro quel che luccica, e non tutta coca quel che è bianco. La TV non merita questo alone mistico. È un la-voro come un altro: ritmi ser-rati senza, per altro, alcuna stabilità. Fazio ne è il chiaro esempio: lavoratore indefesso, è un impiegato della TV, specia-lizzato nel comunicare. Il picco-lo schermo insegna anche che nulla è per caso. La diretta na-sce da brainstorming lunghissi-mi, si studia nei minimi dettagli. Ancora di più: richiede prepara-

Il Prof. Felice Rossello e “Il lato B della cultura: la TV’’

ARTE E LETTERATURA

Il lato B della Cultura: la TV

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zione, ma anche grande flessi-bilità nel gestire gli imprevisti, nel dare una interpretazione originale e nel coordinarsi con la troupe. Infine il dono della sintesi, l’importanza di comu-nicare in maniera semplice, ma non semplicistica, è forse la sua lezione più importante. Il “Lato B della Cultura: la TV” è il mio lascito a chi si affaccia alla pro-fessione, ma anche un lume, per chi la vive da pubblico, su-gli aneddoti, la mole di lavoro e le strategie che stanno dietro al mondo dello spettacolo».“Il lato B della cultura”: quanto hanno influito gli studi classici sul vostro per-corso? Cosa consiglia agli aspiranti autori?«Una laurea in lettere non si-gnifica nulla: la cultura non è appannaggio esclusivo degli accademici. Le lettere ti danno un metodo, quello sì. Il segreto d’altronde è non smettere mai di porsi delle domande, metter-si in gioco. Ma sopra ogni cosa studiare, studiare, studiare. Fa-zio si è fatto strada così. La no-stra stessa società si è evoluta così: grazie alle biblioteche im-provvisate, ai focolai di sapere che i lavoratori del boom eco-nomico allestivano per affer-mare il proprio diritto alla cono-

scenza e allo studio. Se posso lasciare un comandamento ai giovani: lottate per l’accessibi-lità agli studi, per un’Università alla portata di tutti e gratuita. Perché sta nella conoscenza e nella capacità d’imparare la chiave per la crescita personale e collettiva. Questo libro è frut-to della mia esperienza all’U-niversità, al campus di Savo-na. Insegnare ancora, stavolta della mia competenza diretta, mi ha reso più consapevole del mio lavoro d’autore».Lei, Fazio, Freccero, il cam-pus. Savona e la TV hanno una connessione?«Ai tempi di “Quelli che il Cal-cio” eravamo la “Cupola del Priamar”. Il campus è nato per dare seguito a questa espe-rienza, nella speranza di coin-volgere altre giovani promesse. Certo, la tragedia è che auto-re fa rima con precario: si vive a contratto. Una condanna al dare il 100% senza certezze di fondo. Il prezzo da pagare per un mestiere appassionante e che dà soddisfazioni è l’ansia nel leggere i risultati di share, che possono decidere la so-pravvivenza, il successo o la morte di uno show. E quindi del proprio lavoro. Ma è vero che in Liguria la tradizione è im-

portante - a partire da Antonio Ricci - ed anche questo non è trascurabile. Senza contare che giovani autori ,come Antonio Bergero di “Che tempo che fa”, provengono proprio dal “vivaio” di Legino».Lei ha visto e vissuto la TV lungo tutta la sua evoluzio-ne. Quali caratteri dei suoi esordi lasciano tracce oggi?«La televisione ha avuto i suoi buoni e i “cattivi”. Il Servizio Pubblico ha contribuito all’u-nificazione, anche culturale, dell’Italia. “Carosello” e “Lascia o Raddoppia” hanno invece in-trodotto il pubblico al consumo e al culto del denaro. La TV commerciale prometteva liber-tà, ma col senno di poi l’uni-ca sua libertà è quella di fare pubblicità. Mike Bongiorno ne è stato il modello per eccellenza: il pubblico vi si identificava e i suoi format erano legati al l’i-dea del successo, della fortuna. Specchio di una tv più distacca-ta, seria, super partes è stato d’altra parte Pippo Baudo. Per un vero servizio pubblico non è mai troppo tardi, in televisione le idee non muoiono mai: an-che il varietà può veicolare mo-delli positivi».

Sebastiano Tarditi

Il Campus universitario di Savona

ARTE E LETTERATURA

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Breve storia di un eterno conflitto

Il sopraggiungere della stagione autunnale porta ormai diffusa-mente con sé un velo di timore che si risveglia ogni qualvolta ci si at-tenda un brusco e repentino peg-gioramento delle condizioni mete-orologiche: davanti agli occhi di tutti sono ancora vive le immagini di devastazione, purtroppo assai frequenti, che la furia delle acque periodicamente lascia al suo pas-saggio nel nostro Paese. È curioso notare, tuttavia, che ciò che appa-re quasi come un segnale di rivolta della natura contro un modello di sviluppo economico incontrollato e in larga parte incurante del territo-rio non sia in realtà peculiarità esclusiva dell’epoca moderna. In modo particolare tra quanti, nel mondo antico, hanno sviluppato nella riflessione filosofica e scienti-fica l’idea di natura, e percepito, nella sua drammaticità, l’originaria tensione dialettica che contrappo-ne questa e la società umana, Pli-nio il Vecchio ha fornito un contri-buto notevole e, sotto certi aspetti, ancora molto attuale. Pensatore, scienziato, scrittore, Plinio dedicò la sua vita interamente alla cultura e alla ricerca a tal punto che nel 79 d.C., nel tentativo di documentare in modo ravvicinato l’eruzione del Vesuvio che distrusse Ercolano e Pompei, perse la vita. Autore della “Naturalis Historia”, opera in cui raccolse dettagliatamente tutte le sue riflessioni scientifiche nonché i risultati ottenuti, egli affrontò, ap-profondendolo, il tema, già lucre-ziano, della Natura matrigna, la cui ostilità si mostra, all’atto stesso della nascita, nelle condizioni di fragilità e indigenza dell’essere umano, per poi farsi palese a mez-zo di una rovinosa catena di terre-moti, inondazioni e catastrofi natu-rali. L’idea di Plinio in quest’ottica è semplice e diretta: spendersi nella

ricerca scientifica e tecnologica senza alterare in modo anomalo e irreversibile il territorio. Egli infatti concepisce la natura come un es-sere animato di cui ogni singola parte è finalizzata al bene dell’uo-mo fintanto che questi non ne stravolga il regolare equilibrio. Nel-la fattispecie Plinio mette sotto ac-cusa l’arroganza e la superficialità con cui i governanti dell’epoca at-tuavano i loro progetti, richiaman-do l’attenzione sugli effetti di de-formazione ambientale implicati dal lavoro umano e, dunque, sui vincoli che sarebbe stato auspica-bile porre a tali attività. Ciò lo portò a una attenta classificazione delle opere che, a partire dalla tarda Età repubblicana, e poi in Età giu-lio-claudia, furono realizzate sul suolo italico: drenaggi, disbosca-menti, alterazioni dell’equilibrio ge-omorfologico del terreno (lo scavo di numerose “fossae”, canali navi-gabili utili sia come vie di comuni-cazione che per uso irriguo, già avviato in epoca pre-romana dagli Etruschi). Cantieri che, in nome del progresso e della crescita

dell’Impero, non si arrestavano, talora, neppure di fronte alla sa-cralità di luoghi legati a remotissi-me tradizioni religiose, un esempio su tutti il disboscamento del lago d’Averno in area cumana operato dall’edile Marco Vipsanio Agrippa. L’assenza di logica che Plinio vi at-tribuisce appare ancora più marca-ta quando si consideri che a tale devastazione ambientale era chia-mata a cooperare la più raffinata tecnologia del tempo. È questo il caso delle grandi opere idrauliche, che proprio in quell’epoca conob-bero l’apice della crescita: soffer-mandosi in particolar modo sulle tecniche costruttive e cantieristi-che adoperate, lo scrittore punta l’attenzione su alcune tra le più in-novative in uso, quali le “arrugiae” (N.H., XXXIII, 70-73) e i “corrugi” (N.H., XXXIII, 74-78). Largamente utilizzate in ambito estrattivo, le prime erano finalizzate a creare un gigantesco cumulo di macerie sventrando una montagna e pro-vocandone il crollo per poi ricavare l’oro in essa contenuto attraverso il lavaggio con un sistema di acque

Apollodoro di Damasco, Colonna Traiana, 113 d.C.: scena (CXVII secondo la nume-razione di Conrad Cichorius) in cui i legionari romani abbattono alberi per costruire

le macchine d’assedio nella campagna militare contro i Daci tra il 105 e il 106ARTE E LETTERATURA

Uomo e ambiente

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forzate. Le seconde si basavano sul trasporto solido generato dallo scorrimento impetuoso delle ac-que raccolte in bacini artificiali al di sopra dei cantieri di scavo. Nono-stante l’ingegno dovutamente ri-conosciuto ai progettisti, per Plinio il risultato finale a cui concorre la messa in atto di tali opere è la di-struzione parziale, se non totale, del contesto originario del com-plesso minerario al quale si appli-cano. La descrizione delle miniere accosta infatti l’elogio della tecnica e dei successi alla condanna mora-listica dell’“auri fames” (la fame dell’oro) che induce gli uomini non solo a mettere a rischio la propria vita, ma a violare le viscere della terra per strappare alla natura quanto essa non intende mettere spontaneamente a disposizione dell’uomo, infrangendone addirit-tura le leggi universali (nel caso dei corrugi, infatti, la creazione dei ba-cini da cui liberare l’acqua per ca-duta necessitava canali di risalita con pendenze innaturali, di gran lunga superiori alla pendenza mas-sima del 10%, rilevata a Priene, delle tradizionali condotte roma-ne). È fondamentale tenere in con-siderazione che, in tal contesto, Plinio non condanna la tecnologia, quanto il suo uso sociale e le sue finalità: egli, come del resto si evince in modo evidente dalla let-tura del testo, nutre per le realizza-zioni di ingegneria idraulica un’am-

mirazione viva, fondata proprio sul suo interesse personale per la tec-nica e la scienza. Se per un attimo dimenticassimo l’epoca in cui il no-stro scrittore e ricercatore è vissu-to, concentrandoci esclusivamente sui contenuti da lui presentati, le sue parole potrebbero essere inse-rite senza dubbio alcuno nell’attua-le dibattito sul dissesto idrogeolo-gico. Del resto le cause a monte del problema, benché si presenti-no in termini differenti, hanno lo stesso denominatore comune, da identificarsi con l’incapacità dell’uo-mo di stabilire il corretto rapporto tra il proprio ingegno e l’ambiente. Un contemporaneo esempio lam-pante di quanto appena detto, per restare nell’ambito delle opere idrauliche, è il tristemente famoso disastro del Vajont, al confine tra Friuli e Veneto, alle pendici del Monte Toc: nella notte del 9 otto-bre 1963 circa 260 milioni di metri cubi di roccia (un volume più che doppio rispetto a quello dell’acqua contenuta nell’invaso) scivolarono, alla velocità di 30 m/s (108 km/h), nel bacino artificiale sottostante (che conteneva circa 115 milioni di metri cubi d’acqua al momento del distacco), provocando un’onda di piena tricuspide di oltre 250 metri superiore al coronamento della diga. Una parte dell’acqua, insie-me ai sedimenti che trasportava, risalì il versante opposto distrug-gendo tutti gli abitati lungo le

sponde del lago nel comune di Erto e Casso, un’altra parte ricadde sul-la frana stessa (creando un laghet-to) e l’ultima parte (circa 25-30 milioni di metri cubi) scavalcò il manufatto e si riversò nella Valle del Piave, distruggendo quasi com-pletamente il paese di Longarone e i comuni limitrofi, causando 1917 vittime. Le cause della tragedia, dopo numerosi dibattiti, processi e opere di letteratura, furono ricon-dotte alla negligenza dei progettisti e dell’ente gestore dell’opera, i quali occultarono e coprirono la non idoneità dei versanti del baci-no: dopo la costruzione della diga si scoprì, infatti, che essi avevano caratteristiche morfologiche (inco-erenza e fragilità) tali da non ren-derli adatti ad essere lambiti da un serbatoio idroelettrico. Nel corso degli anni l’ente gestore e i loro di-rigenti, pur a conoscenza della pe-ricolosità, peraltro supposta infe-riore a quella effettivamente rivelatasi, coprirono con dolosità i dati a loro noti, con beneplacito di vari enti locali e nazionali, dai picco-li comuni interessati fino al Ministe-ro dei Lavori Pubblici. La vergogna dettata dall’avidità di chi sperava di trarre ingenti guadagni da quest’o-pera (si rammenti, a riprova di quanto detto in precedenza, ciò che sosteneva Plinio a riguardo dell’“au-ri fames”) si contrappone, per quanto poco utile a scongiurare il disastro, alla progettistica e alla re-alizzazione della diga stessa, che rimase sostanzialmente intatta su-bendo forze 20 volte superiori a quelle per cui era stata progettata. L’unico danno fu la distruzione della strada carrozzabile posta nella par-te sommitale. Alla luce di ciò quan-to sostenuto da Plinio, se estrapola-to dal contesto, potrebbe essere assunto come un monito universa-le, che trascende il tempo e va a configurarsi come una considera-zione dal valore assoluto: conosce-re e rispettare il territorio non è sol-tanto una forma di azione fine a se stessa, ma il primo passo che l’uo-mo deve fare per rispettare la pro-pria vita, nonché quella dell’intero ecosistema.

Luca Ghizolfi

La diga del Vajont progettata tra il 1926 e il 1958 dall’ingegner Carlo Semenza e costruita tra il 1957 e il 1960 nel territorio del comune di Erto e Casso

ARTE E LETTERATURA

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Redazione

Coordinatore: Luca Palazzo (Civ-Amb).Vice Coordinatore: Pietro Manica (Civ-Amb).

Collaboratori degli ambiti

Tecnico-scientifico: Gianluca Caviglione (Civ-Amb), Xhuliano Guri (Civ-Amb), Fadi Hasweh (Civ-Amb), Pietro Manica (Civ-Amb), Francesco Massoletti (Me), Ottavio Mattia Mazzaretto (Civ-Amb), Luca Roncallo (Civ-Amb), Ivan Rosciano (Me), Cristiano Visciotti (Nav), Sara Zani (Civ-Amb).Filosofico-storico: Elisa Bernardi (Inf), Marco de Caro (Civ-Amb), Valentina Fassi (Civ-Amb), Luca Palazzo (Civ-Amb), Christian Varlese (Me), Alberto Vicentini (Civ-Amb).Fotografia, disegno e progettazione: Enrico Chinchella (Civ-Amb), Elena Cosso (Saf), Riccardo Gelmini (Arch), Adrian Mihai Irimia (Arch), Matteo Luzzi (Me), Matteo Nebiacolombo (Civ-Amb), Rodolfo Siccardi (Arch).Biomedico-sportivo: Matteo Calautti (Sc. Dipl.), Enrico Macchiavello (Saf), Lorenzo Pozzi (Nav), Verdiana Verdi-glione (Civ-Amb).Artistico-letterario: Yousef Benezzine (Civ-Amb), Alberto Cattaneo (Civ-Amb), Giacomo Fruzzetti (Arch), Luca Ghizolfi (Civ-Amb), Mary Iannuzzi (Bi), Veronica Palazzoli (Civ-Amb), Sebastiano Tarditi (Sc. della Com.).

Giochi: Valentino Lerzo (Civ-Amb).

Segreteria: Sergio Scalise (Civ-Amb), Mattia Vanni (Civ-Amb).Impaginazione e grafica: Sonia Mazzarello.

Distribuzione: Alvise Bonelli (Civ-Amb), Alessandro Iacopino (Civ-Amb), Paolo Mazzitelli (Civ-Amb), Federico Mi-gnone (Civ-Amb), Tiziano Merletti (Gest), Chiara Tacconi (Civ-Amb).

Sostenitori dell’iniziativa “Il Cannocchiale”

Chimica: Manuel Bonfiglio, Damiano Lanzarotto.Civile e ambientale: Elisa Ambrassa, Veronica Anania, Davide Astigiano, Luca Barraco, Alessia Bellomo, Se-bastiano Bertagnon, Simona Boffelli, Ivano Canepa, Fabio Cereseto, Chiara Cevasco, Federico Ciotti, Loren-zo Crocco, Annalisa De Leo, Paolo di Lorenzo, Alberto Fossa, Augusto Gesso, Beatrice Giustiniani, Sofia Giusto, Linda Guido, Giulio Malatesta, Simone Merlo, Alice Monti, Alessio Naef, Edoardo Nicolini, Beatrice Oberti, Sai-mir Osmani, Luca Ottonello, Elia Perata, Luca Pescia, Sara Pinasco, Giulia Rapallini, Luca Roascio, France-sco Roda, Luca Rovere, Ruben Rovetta, Giovanni Salomone, Federico Schiavi, Francesco Paolo Schiavoni, Nicolò Silvestri, Mauro Spiga, Michela Taruffi, Simone Tridico, Ivana Valcavi, Laura Valle, Silvia Vela, Sabrina Vignolo.Edile-Architettura: Davide Albavera, Giulia Damonte, Maria Parodi, Simone Parodi. Elettrica: Federico Blanco, Federico Cantoni. Informatica: Luca Perazzo.Meccanica: Giulia Beghetto, Francesco Grillo, Luigi Roascio, Chiara Roncallo.Navale: Simone Cavecchia, Niall Grifoni, Riccardo Sercia.

Immagini tratte da: www.studiomodernart.wordpress.com (pag. 1), “Analisi delle Performance 2013-2015” a cura del Gruppo Monitoraggio e Valutazione della Scuola Politecnica (pag. 3), www.giustiniani.info (pag. 4), www.pkfeyerabend.org (pag. 6), www.gazzetta.it (pag. 10), www.calciomercato.com (pag. 11), www.vocinellombra.

com (pag. 12, prof. F. Rossello), www.lampidistampa.it (pag. 12, “Il lato B della cultura: la TV”), www.campus-sa-vona.it (pag. 13), www.wikipedia.org (pagg. 14 e 15). Sono state fornite dagli autori dei rispettivi articoli le imma-

gini alle pagg. 2 e 9. I sudoku sono tratti da www.coniugazione.it.