Camarda-Derrida. Un Pensiero a Vasto Spettro

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Giornale di Metafisica - Nuova Serie - XXXIII (2011), pp. 249-270. Rassegna e note Pietro Camarda DERRIDA. UN PENSIERO A VASTO SPETTRO* “La morte è questa possibilità del dare-prendere che si sottrae a ciò che rende possibile, ovvero precisamente al dare-prendere. Morte è il nome di ciò che sospende ogni esperienza del dare-prendere. Viceversa questo non esclude che solo dopo di essa, e in suo nome, sia possibile dare o prendere”. J. Derrida 1 1. INTERFACCIA Il volume dal quale prenderemo le mosse, raccoglie gli atti del convegno “Spettri di Derrida” tenutosi a Napoli, all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, dal 7 al 10 ottobre 2009, con la collaborazio- ne del Labont (Laboratorio di ontologia, Università di Torino) e della Fondazione Europea del Disegno. Il testo, traccia scritta del convegno, animato dall’intento di commemorare “un grande filoso- fo e un grande amico nel quinto anniversario della morte” 2 , mostra, * Nota a Spettri di Derrida, Annali Fondazione Europea del Disegno (Fondation Adami), a cura di C. Barbero, S. Ragazzoni, A. Valtolina, il melangolo, Genova 2009. 1 J. Derrida, Donare la morte, Jaca Book, Milano 2002, p. 81. 2 Così introducono gli interventi del suddetto volume Valerio Adami e Maurizio Ferraris, cfr. Spettri di Derrida, cit., p. 11.

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Giornale di Metafisica - Nuova Serie - XXXIII (2011), pp. 249-270.

Rassegna e note

Pietro Camarda

DERRIDA. UN PENSIERO A VASTO SPETTRO*

“La morte è questa possibilità del dare-prendereche si sottrae a ciò che rende possibile,ovvero precisamente al dare-prendere.Morte è il nome di ciò che sospende ogni esperienza deldare-prendere.Viceversa questo non esclude che solo dopo di essa,e in suo nome, sia possibile dare o prendere”.

J. Derrida1

1. INTERFACCIA

Il volume dal quale prenderemo le mosse, raccoglie gli atti delconvegno “Spettri di Derrida” tenutosi a Napoli, all’Istituto Italianoper gli Studi Filosofici, dal 7 al 10 ottobre 2009, con la collaborazio-ne del Labont (Laboratorio di ontologia, Università di Torino) edella Fondazione Europea del Disegno. Il testo, traccia scritta delconvegno, animato dall’intento di commemorare “un grande filoso-fo e un grande amico nel quinto anniversario della morte”2, mostra,

* Nota a Spettri di Derrida, Annali Fondazione Europea del Disegno (FondationAdami), a cura di C. Barbero, S. Ragazzoni, A. Valtolina, il melangolo, Genova 2009.

1 J. Derrida, Donare la morte, Jaca Book, Milano 2002, p. 81.2 Così introducono gli interventi del suddetto volume Valerio Adami e Maurizio

Ferraris, cfr. Spettri di Derrida, cit., p. 11.

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intessuto da e su una rete di rimandi (interni ed esterni al pensierodi Derrida), il movimento sempre vivo delle sue idee.

“Sono passati cinque anni e non è scomparso niente”3. Lo spet-tro di Derrida, che leggerei nel doppio senso di fantasma, spirito chepermane dopo la morte e irradiazione di pensiero che mostra le suesfumature, impone un insieme di tecniche che siano in grado di re-gistrare e riprodurre spettri, e modificazioni di essi, facendone uninventario4.

Si tratta di scendere nei più profondi meandri del pensieroderridiano per tentare di comprenderne le tracce che, intessendo iltesto di un pensiero unico, si configurano secondo una rete (posta-le)5 telematica in un continuo movimento che si rivela indefinibile.

Diventa necessario mettere alla prova se stessi come interpreti delpensiero di Derrida nella sua declinazione spettrale, per una ridefini-zione senza fine che non prevede destinazione ma che viene decisa inun lavorio en souffrance. Difficile ripercorrere il pensiero di Derrida:struttura senza centro, senza arché, eccede ogni chiusura e produceaperture e spostamenti in virtù della différance che lo anima. Lospettro di Derrida impone ancora la possibilità di un pensiero che,privo di ogni forma, che non sia quella della traccia scritta, indicae crea lo spazio della decostruzione, sgomitando tra le definizionie mostrando la forza del movimento di ricerca proprio della filoso-fia.

La riflessione filosofica di Derrida impone pertanto ai suoi inter-preti6 un lavoro di ricomprensione che, tanto inatteso quanto inat-

3 Così ricorda il suo amico-maestro Maurizio Ferraris nel primo degli interventi alconvegno. Cfr. M. Ferraris, “Spettri di Derrida”, in Spettri di Derrida, cit.

4 Come suggerisce l’operazione ermeneutica già tentata da Francesco Vitale a propo-sito di una lettura “spettrografica” del pensiero di Derrida, cfr. F. Vitale, Spettrografie.Jacques Derrida tra singolarità e scrittura, il melangolo, Genova 2008.

5 “Cette lettre, je te cite, est interminabile puisqu’elle te demande l’impossible”, cfr.J. Derrida, “Envois”, in La carte postale, Flammarion, Paris 1980, p. 31.

6 Pochi giorni dopo la morte di Derrida (9 ottobre 2004), il quotidiano Le Monde(martedì 12 ottobre 2004) dedicava l’intero numero alla vita-morte del filosofo. Sulpensiero di Derrida in Italia: G. Dalmasso (a cura di), A partire da Jacques Derrida.Scrittura, decostruzione, ospitalità, responsabilità, Jaca Book, Milano 2007; P. D’Alessan-dro e A. Potestio (a cura di), Jacques Derrida. Scrittura filosofica e pratica di decostruzione,LED Edizioni Universitarie, Milano 2008.

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tuale, ma solo a venire, tenta, ricordandone il genio, di seguirne lesfumature.

S’impone l’apertura di uno spazio interpretativo che, affrontandoi problemi interni (ed esterni) al pensiero di Derrida, si modellerà suuna struttura suggerita dagli stessi temi del volume: una struttura in-terpretativa costituita dalla rete (postale) telematica che, tentando direstituire l’intelaiatura del volume, raccoglie e dissemina elementi dialtri testi, creando così lo spazio dell’interpretazione.

Tale struttura interpretativa, o meglio sarebbe dire tale interfaccia,mette in evidenza il pensiero di Derrida che, per sua natura, senzastruttura, sfugge ad ogni strutturazione.

Nel tentativo di comprendere i temi che orientano l’intero volu-me (politica, etica, tecnica, biografia, irradiazioni), da intendere quicome work in progress di una pagina web sul pensiero di Derrida, sitratterà di dare luogo ad uno spazio scandito da cinque link intrate-stuali (politica, etica, tecnica, biografia, irradiazioni) che, attraversol’irriducibilità referenziale al tema spettrale, tracciano una rete direlazioni e ripropongono la difficoltà della riflessione derridiana, ria-prendone l’interpretazione e rilanciandone ulteriori aspetti nel pano-rama ermeneutico contemporaneo.

Nel seguire la rete di rimandi da una traccia all’altra, emergonovariazioni, trasformazioni di forma e di funzione dei concetti dellametafisica che, per quanto logori, impongono una ripetizione e alte-razione delle tracce stesse, fino ad esporre il pensiero alla rete dellepossibilità.

Tenendo conto del tessuto interattivo che anima il pensiero diDerrida, e che ci induce ad una rielaborazione continua dei temi dalui trattati, la riproduzione in generale, le tecniche di registrazione ela tecnica come registrazione faranno da temi guida suggerendo aquesta nota un regime di posta elettronica.

S’impone l’interfaccia perché si tratta di interpretare componentio circuiti della riflessione derridiana facendoli comunicare con altrisistemi o sottosistemi tramite l’invio e la ricezione di segnali.

Infatti, se l’iscrizione e la registrazione generano tracce destinatead assicurare, volontariamente o involontariamente, una sopravvi-venza post-mortem, nei libri (Proust), nel web (siti inattivi, indirizzi

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inutilizzati), dando vita ad un universo funerario (la poste restante, diLa carte postale, 1980), le tracce del ritorno del fantasma di Derridaavranno luogo in uno spazio postale (telematico).

In una lotta continua con gli spiriti della tradizione metafisica,sospendendo la differenza tra argomentazione e finzione, Derridaimposta la Carte Postale “nella forma sempre diveniente della non-soluzione”7: si tratta di una corrispondenza senza limiti, di una ri-proposizione del logos che, scrivendosi, sopporta l’iperbole delle sueripetizioni in un gioco che mette in questione la metafisica occiden-tale, riscrivendone le possibilità.

In una trama ritessuta di legami e nodi, incessante circolazione dilettere, invii, riapertura senza fine dei relais, tensione al dirottamen-to, l’irreparabile del pensiero è lo spazio ignoto, desolato, della scrit-tura, come segno dell’iterabilità del soggetto, del suo fuori.

Le impronte telematiche che vogliamo prendere in considerazio-ne costituiscono “un corpo a-fisico che si potrebbe chiamare, se ci sifidasse di queste opposizioni, un corpo tecnico”8, forse il fantasma diun’idealità originaria, quindi la meccanica iscrizione in forma ogget-tiva che assicura permanenza e trasmissione, intesa da Derrida comepossibilità che conferisce all’oggetto vita autonoma, articolazioneoggettiva delle condizioni irriducibili dell’esperienza stessa.

È necessario fare i conti con il materiale di supporto di taleinterfaccia di rete: la scrittura in forma di posta elettronica. La diffe-renza è (in)posta:

come una lettera, una cartolina, un contratto o un testamento che cis’invierebbe a se stessi prima di partire per un lungo viaggio, viaggiopiù o meno lungo, […] con la speranza che il messaggio resti comeun monumento imperituro dell’essere in cammino interrotto9.

7 Così si esprime Sloterdijk in merito alla pratica decostruttiva derridiana, cfr. “Ilpensatore nel castello degli spettri. A proposito dell’interpretazione dei sogni di Derri-da”, in Spettri di Derrida, cit., p. 40.

8 J. Derrida, Spettri di Marx, trad. it. di G. Chiurazzi, Cortina, Milano 1994, p.160.

9 J. Derrida, Speculare – su “Freud”, a cura di G. Berto, Cortina, Milano 2000, p.98. Derrida tenta, attraverso la dinamica postale dell’invio, di restituire alla scrittura ilsuo carattere di movimento originario che la lega al logos, sebbene essa, quasi contrad-dittoriamente, si manifesti immobile. È infatti il logos che si dialettizza, dando vita alledinamiche di deviazione e percorrendo il cammino ininterrotto e imperituro della dif-

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La scrittura, infatti, massimo produttore di spettralità e mediatez-za, tale per cui ogni annotazione risulterebbe postuma e a margine,avendo il potere di disancorarsi dalla fattualità di un soggetto parlan-te, virtualizza la comunicazione e istituisce la storia della ragione at-traverso la pratica della sua stessa deviazione. Essa mostra il motivodell’eteron nel logos, come impossibilità di un puro raccoglimento insé, effettuando una sortita nel fuori che fa emergere, pur mantenen-dosi all’interno della stessa filosofia, l’originarietà della mediazione,del rapporto all’altro, della differenza. La différance postale, fatta direlais che producono effetti frammentari e ripetibili, dà vita a devia-zioni (tradizioni, traduzioni e tradimenti) dal testo provocate dallaricerca del senso e della destinazione. Facendo giocare l’irruzionedell’altro e del radicalmente impossibile come origine, gli envois (delpensiero) si espongono agli smarrimenti e alle perdite del sistemadelle poste.

Si impone una dinamica postale che, nel tentativo di dare contodella vita del pensiero, e di quello della différance, si confronta con iproblemi interni ad un sistema di poste.

Presi nel vivo della realtà e della possibilità della rete che si è ve-nuta a configurare, il gioco cui dà luogo il movimento della differen-za è analogo al relais postale, alla dinamica dell’invio: invio, intesocome la possibilità intrinseca di un’origine, nello stesso tempo auten-tica e ripetuta, che esprime il carattere differante della filosofia.

Nella rete della dinamica dell’invio, bisogna comprendere cometale dinamismo funzioni in modo ritardato, il più delle volte obliato.È necessaria un’interfaccia per entrare all’interno del pensiero diDerrida: “l’interfaccia, per genesi e struttura, costituisce un meccani-smo di esonero, una sorta di servosterzo. Possiamo fare funzionare lamacchina senza per questo conoscere come funziona”10.

Avvalendosi, nell’interpretazione del volume in questione, dellametafora interattiva, nella fattispecie postale, si tratta di creare uno

ferenza che si configura come l’origine degli invii. Ma è la differenza che, essendo al-l’opera sotto forma di invii, si pluralizza, rispondendo così ad una sovrabbondanza distrade da potere percorrere che si moltiplicano differentemente fino a così l’intreccio chesarà la struttura del relais.

10 R. De Benedetti, “Estetica dell’interfaccia”, Aut Aut 289-290 (gennaio-aprile1999); p. 38.

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spazio di interpretazione del pensiero di Derrida in forma di posta:“al cominciamento, in principio era la posta”11. In relazione al mo-vimento della différance, come invio, dispositivo (e non principio)tanto semplice, quanto oscuro, osceno e irresistibile, cercheremo diritornare alla riflessione di Derrida: “il ritorno mi fa paura e ancheho paura di dirlo”12.

Infatti nell’accezione derridiana lo spettro è essenzialmente reve-nant:

benché non sia più qui (presente, vivente, reale, ecc.), il suo essere-sta-to-qui attualmente fa parte della struttura referenziale o intenzionaledel mio rapporto al fotogramma, il ritorno del referente ha precisa-mente la forma dell’ossessione spettrale (hantise). È un “ritorno delmorto” il cui arrivo spettrale nello spazio stesso del fotogramma ras-somiglia proprio a quello di un’emissione o di un’emanazione. Giàuna specie di metonimia allucinante13.

Dal momento che hantise indica il carattere ossessivo (di un pen-siero, di un ricordo), un’idea fissa, ma anche la frequentazione dicerti luoghi da parte dei fantasmi, la mia hantise di Derrida saràorientata dall’invio. Il gioco si complica ed esprimerlo significa segui-re da vicino le possibili implicazioni, per comprendere quanto siaserio. Non sottrarsi è il modo migliore per sperimentarne gli effettie l’inquietudine delle direzioni.

1.1 Link 1: Immagini-visioni della politica

Intanto la politica. Perché la politica, quindi il diritto in Derrida?Perché “senza il diritto non sarebbe possibile la giustizia (e vicever-sa)”14. Tra i due elementi c’è una continuità eterogenea e non oppo-sitiva tale per cui il diritto si decostruisce (dall’interno) senza che ladecostruzione venga applicata ad esso e la giustizia, possibilità di

11 J. Derrida, “Envois”, cit., p. 34.12 Ivi, p. 33.13 J. Derrida, “Le morti di Roland Barthes”, in Psyché. Invenzioni dell’altro, vol. I,

Jaca Book, Milano 2008, p. 328.14 A. Andronico, “Ciò che resta nel diritto. Come i giuristi (non) hanno letto Der-

rida”, in Spettri di Derrida, cit., p. 76.

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complicazione e rovesciamento-sovversione, lascia aperto l’avvenirecome attesa di un origine altra, differente.

Un sistema giuridico, “si trasforma perché si conserva”15 quindi,colto in una inesauribile fonte di trasformazione, si rigenera da sé.Lo spazio del politico si ridefinisce di volta in volta mediante la di-mensione del fantasmatico, attraverso la logica dell’Unheimlichkeit, odella virtualizzazione dello spazio pubblico ad opera dei media. Ilrapporto tra tecnica e politica, come ripensamento di diritto e giusti-zia nello spazio di una virtualizzazione del reale e di una espropria-zione del locale, si imposta ad opera delle teletecnologie per unaridefinizione dello spazio pubblico. Lo spettro di tale ridefinizione sifa notare a partire da un orizzonte non solo di difesa ma anche di af-fermazione: la “vita biologica nei suoi rapporti con la politica”16

traccia una curva ascensionale che, descrivendosi o a partire dal rife-rimento alla morte (Heidegger, Freud e lo stesso Derrida) o alla vita(Nietzsche, Bergson e Foucault), tenta di rintracciare lo spettro ditale dialettica.

Lo spazio del proprio si de-localizza, si sposta di continuo facen-dosi “spazio aperto all’accoglienza senza riserva di ogni altro cometotalmente altro, senza necessità di passaporto”17.

La politica si impone come responsabilità rivelandosi piano diconfronto con il pensiero di Derrida, che ci riporta al problema del-l’origine polemica, conflittuale della quale “l’amitié può ancora esse-re, in quanto luogo d’accoglienza, orizzonte di senso, e quindi fon-damento, ragion d’essere, Grund delle molte, indefinite, forme delvivere politico”18.

Crescendo l’impegno politico di Derrida, cresce l’impatto del suopensiero sui temi politici. Potremmo riassumere la sua riflessionepolitica nella formula delle “politiche dell’ex-appropriazione”. La de-costruzione della metafisica del proprio con l’elaborazione di un

15 Ivi, p. 107.16 R. Esposito, “Comunità, immunità, biopolitica”, in Spettri di Derrida, cit., p.

142.17 C. Resta, “Mondializzazione e Nuova Internazionale, per un’altra cosmopolitica

a-venire”, in Spettri di Derrida, cit., p. 199.18 V. Vitiello, “De Amicizia. Alla radice della teologia politica. Derrida tra Schmitt

e Nietzsche”, in Spettri di Derrida, cit., p. 229.

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pensiero dell’eccedenza e della venuta dell’altro rifiutano una politicadell’inclusione/esclusione e propongono un movimento di ex-appropriazione, cioè di “forclusione”19 degli spazi istituzionali.

Si tratta di un’accentuata tonalità politica della decostruzione che,rispetto alla generale crisi delle istituzioni, è orientata verso una de-mocrazia a venire, intesa come evento impossibile, inatteso e impro-grammabile. La critica politica è senza fine, mira a sovvertire conti-nuamente, trasformandolo, il diritto per una sua reinvenzione radi-cale, aperta alla invenzione dell’altro.

Il doppio ossessiona (hantise) l’unità, né vivo né morto, fantasmache ritorna come altro.

Lo spettro di Derrida, il fantasma del suo pensiero si irradia sullequestioni politiche,

non è soltanto il redivivo (revenant), ciò che ritorna nel momentomeno opportuno a ricordarci un’eredità, ma anche ciò che non è némorto né vivo, né reale né irreale, che reintroduce la questione delfantasmatico nel politico, e ci aiuta anche a comprendere strutturedello spazio pubblico attuale, i media, la virtualizzazione degli scam-bi, ecc.20.

1.2 Link 2: L’indecostruibile, l’etica

La questione politica diventa questione di diritto, problema dellimite. Abitare il limite significa esporsi alla venuta dell’altro, comecontaminazione originaria che destabilizza il limite del diritto delproprio, in vista di una chance che riordini i territori.

Se s’intende per etica un sistema di regole, di norme morali, allo-ra Derrida non propone affatto un’etica. Ciò che lo interessa sono leaporie dell’etica, i suoi limiti, segnatamente intorno alla questionedel dono, del perdono, del segreto, della testimonianza, dell’ospita-lità, del vivente (animale o no): questi limiti implicano un pensierodella decisione. La decisione responsabile deve sostenere (porter sur)e non solo attraversare o oltrepassare un’esperienza dell’indecidibile.

19 M. Vergani, Jacques Derrida, Bruno Mondadori, Milano 2000, p. 144.20 J. Derrida, Sulla parola, Nottetempo, Roma 2004, pp. 141-142.

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Si tratta di concepire un momento an-etico, il momento in cuinon si sa affatto cosa fare, in cui non si dispone di norme, ma in cuic’è bisogno di agire, di assumersi le proprie responsabilità.

L’impossibilità diventa possibilità dell’etica: l’ospitalità incondi-zionata è impossibile, nel campo del diritto o della politica, dell’eticastessa in senso stretto. Tuttavia è questo che bisogna fare: l’im-pos-sibile. Ecco perché l’etica è l’indecostruibile, la sua condizione è lapossibilità dell’impossibilità.

Ma dal momento che la trasformazione tecnologica sembra essereuno dei fattori dell’accelerazione politica che scuote l’etica e dato chel’illimitata estensione della rete ci impone il confronto con l’altrocome termine del nostro agire etico, ci si chiede quale sia l’impattodelle teletecnologie sulla dimensione etica.

Si impone al pensiero un percorso etico a zig zag che, in seguitoalle “sconvolgenti modificazioni”21 cui è sottoposto dalla rete e dallesue diramazioni, faccia i conti con l’impossibilità di sottrarsi a talemovimento del quale non controlla tutte le direzioni possibili.

Lo spettro (politico) di Derrida chiede giustizia e lo fa “treman-do”. Si tratta di sradicare l’idea o il pensiero dal loro substrato fino afarne emergere gli spettri, in un “corpo plurispettrale poiché più spet-tri, mostruosamente, vi coabitano e altri, probabilmente, se ne ag-giungeranno giacché, avverte Derrida, ciò che ha fatto tremare con-tinua o minaccia di continuare a farci tremare”22.

L’io non è completo e sicuro di sé, ma è preso dall’“irrefrenabiletremito” che lo rivolge “all’impossibile”. Perciò “molti è a-venire dell’ioe quello che è da venire è l’io straniero”23. L’altro prende il mio po-sto, lo richiede e lo occupa, in quanto eccesso, indefinibile eevenemenziale, mi destabilizza sempre di nuovo: inquietante figuradel sé stesso (je est un autre). L’immediatezza, la trasparenza non èmai data, non c’è spontaneità: siamo presi in una rete di mediazioni,dobbiamo ulteriormente fare i conti con l’altro, con l’infinito riman-do. Nel suo significato etico-politico, tale impostazione, risultato

21 P. De Luca, “Lo straniero che noi siamo. Etica ed estetica dell’ospitalità”, in Spet-tri di Derrida, cit., p. 237.

22 Ivi, p. 239.23 Ivi, p. 243.

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teorico e metodologico della decostruzione, rivelando l’impossibilitàdi un pensiero monolitico, richiede uno spazio (o elemento) di me-diazione, una facoltà produttiva24.

I temi etici sono frutto dell’esperienza del pensiero di Derridacome scrittura, come operazione attiva di chi, essendo all’opera,

raccoglie al proprio interno le due condizioni che definiscono la pos-sibilità o se si preferisce la “vita” stessa della differenza: l’identificazio-ne (la posizione, il luogo, la permanenza: il singolo tratto) e il suosuperamento (la catena significante, il testo, il tessuto dello scritto)25.

L’esperienza della scrittura, l’esperienza come scrittura, del soggetto,marca un gioco che implica un accesso coinvolto26 al mondo.

Comprendere Derrida significa attraversare anche il suo punto divista etico e quindi gustare le prospettive che orientano verso l’altro“quale limite dell’inassimilabile”27. I tentativi di incorporazione, as-similazione, digestione dell’altro, creano problemi di ridefinizionedell’idea stessa di soggetto: un soggetto a-venire si staglia all’orizzon-te della decostruzione non più come “concetto cotto”28, ma alterato,il concetto di soggetto viene insaporito dalle derive empiriche chenon sono altro dall’essenziale.

La problematica etica in Derrida si lega a quella dei modi del-l’evento: il resto, lo scarto, lo spazio che si crea, in quanto intervallo,rivelano il carattere differenziale dell’evento che, ripetendo, altera,“travolge la nostra capacità di comprensione”29.

L’evento rimane incomprensibile, si differenzia per la sua originesconnessa, rivelandosi come oscillazione continua tra il momentooggettuale, positivo (il fatto, la cosa che non comprendo) e il mo-mento trascendentale, negativo (il limite della mia comprensione)30.

24 Come l’immaginazione trascendentale kantiana, cfr. C. Ocone, “Derrida illumi-nista”, in Spettri di Derrida, cit., p. 256.

25 S. Petrosino, “Testualità ed esperienza”, in Spettri di Derrida, cit., p. 265.26 Coinvolto nel senso di “essere implicati nel gioco, di essere presi nel gioco, di es-

sere fin dal principio dentro il gioco”, J. Derrida, La scrittura e la differenza, Einaudi,Torino 2002, p. 360.

27 N. Perullo, “Mangerida”, in Spettri di Derrida, cit., p. 277.28 Cfr. ivi, p. 281.29 G. Chiurazzi, “‘Il fatto che non comprendo’. Etica ed estetica della traccia”, in

Spettri di Derrida, cit., p. 298.30 Ibidem.

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1.3 Link 3: Tracce di tecnica

Istituendosi e cominciando con la possibilità della traccia di farsistrumento, la tecnica, medium di una trasmissione potenzialmenteinfinita, rivoluziona ogni teoria della scrittura e ogni scrittura cometeoria.

Il livello di indagine che si viene a proporre, a questo punto, in-teressa principalmente gli esiti del segno, quindi della sua destinazio-ne. Si apre un varco che produce disseminazione, dispersione di se-gno e quindi di senso, si istituisce una trama di rinvii, una rete ditesti e parole (lettere) che, configurandosi come gli incontri dei pos-sibili e differenti movimenti di destinazione, è riprodotta dalla stessascrittura.

È il segno31 che ci renderà esperibile, nella forma dell’invio e delladestinazione della lettera, il pensiero come scrittura, “appena c’è, ap-pena si dà (es gibt), ecco che vi è destinazione, tensione verso… equindi appena c’è il destinare, c’è il tendere…”32.

Sarà quindi necessario immettersi in un gioco di lettere, segni,tracce, marche (marches, marce, direzioni, percorsi), che restituiscanol’imprevedibile movimento del segno negli intervalli del testo, sarànecessario

inventare il segno per questo “mentre” (être-en-train-de), per un mo-vimento al tempo stesso ininterrotto e spezzato, una continuità dirotture che tuttavia non si appiattirebbe sulla superficie di un presen-te omogeneo ed evidente33.

Un tale gioco rinvia ad una impostazione completamente diffe-rente dell’origine del pensare: da un lato c’è sempre stata l’imposta-zione trascendentale che trova il suo fulcro nella domanda “com’èpossibile l’esperienza?”, dall’altro Derrida propone una trasformazio-ne funzionale, più che sostanziale, infatti fa della différance il trascen-

31 “Quel che ci costringe a pensare è il segno. Il segno è l’oggetto di un incontro”,G. Deleuze, Marcel Proust e i segni, Einaudi, Torino 1967, p. 92.

32 J. Derrida, “Envois”, cit., p. 72.33 J. Derrida, La dissémination, Éditions du Seuil, Paris 1972; trad. it. di S. Petrosi-

no e M. Odorici, a cura di S. Petrosino, La disseminazione, Jaca Book, Milano 1989, p.322.

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dentale, intendendola come il dispositivo che produce gli invii, anzicome la stessa configurazione dell’invio.

Sin da Kant è il soggetto a ricoprire il ruolo del trascendentaledella conoscenza, “perché la facoltà del giudicare rappresenta la con-dizione di possibilità dell’apparire di qualcosa in quanto qualcosa,cioè delle cose in quanto dotate di significato”34.

Prima della concettualizzazione del pensiero l’esperienza sarebbeun caos disorganizzato data l’opposizione originaria di sensibilità eintelletto. Ma, poiché il differenziare viene prima dei differenziati,saremmo portati a pensare ad un movimento attivo del differire,prima di ogni opposizione possibile, anche se non vi è un prodursidi differenze ma l’accadere della differenza: “traccia che si riscrive inquanto trascendentale”35.

“Il soggetto decostruente, secondo questo movimento di pensieroè perciò spiazzato, dislocato originariamente: introvabile”36.

Nel legame originario tra testo e soggetto, la différance si mostrasotto le spoglie della struttura del rimando postale: non può esseresoppressa ed allo stesso tempo rappresenta l’indice del movimentodel pensiero, alludendo così ad una essenziale (e non solo funziona-le) impossibilità di riempimento. Derrida tenta di esprimere, attra-verso l’effetto di posta, la storia della metafisica e le dinamiche che laintessono, tentando di mostrarne l’impercorribilità di fondo, chedenota la contaminazione della origine.

Nell’invio la différance è all’opera,

distrugge il regno, distrugge l’origine, la riporta all’immensità errantedell’eternità sviata. L’opera dice la parola cominciamento a partiredall’arte che è compromessa nel ricominciamento. Essa dice l’essere[…] ma ci trattiene ancora in un Sì e No primordiale in cui gronda,al di qua di ogni inizio, l’oscuro flusso e riflusso della dissimulazione.Tale è la questione. Essa esige di non essere oltrepassata37,

ma interrogata en retour.34 V. Costa, “Differenza e trascendentalità in Derrida”, in Spettri di Derrida, cit., p.

312.35 Ivi, p. 322.36 G. Dalmasso, “Niente altro che testo”, in Spettri di Derrida, cit., p. 334.37 M. Blanchot, Lo spazio letterario, con un saggio di J. Pfeiffer e una nota di G.

Neri, Einaudi, Torino 1967, pp. 213-214.

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Si ripropone il problema dell’origine38: l’archivio39, il principiostatico e conserv-ato/-ante della tradizione filosofica occidentale. Ladifficoltà di risalire la china del pensiero fino all’origine, mostrandosinelle diverse strade intraprese dagli invii, produce lo smistamento diquesti, per cui

mi dirai che questa destinazione apparentemente equivoca (non èquesta) contraddice il mio culto delle cartoline, e ciò che dichiarodell’impossibilità per un destinatario unico di non identificarsi mai,non è dunque una destinazione40.

Gli elementi di un archivio (nel caso di Derrida un archivio po-stale), non si piegano ad un dominio unitario ed unico, ma piutto-sto, sfaccettandosi all’infinito, danno prova della sua naturale incom-pletezza.

Il soggetto, assalito da questi movimenti destabilizzanti, è in ritar-do su se stesso, non ha più un suo luogo proprio e, soppiantato dalmeccanismo del ri-invio, dal rischio tragico della destinazione man-cata, è preso nella rete dello scritto.

Si impone, se c’è scrittura al di là del testo, un pensamento delsupporto, che

si configura come composizione di fogli-mondo: scritture che sonoimmagini dell’evento del mondo, registrazioni della vita in transito,auto-bio-grafie genealogiche del soggetto, aperte al futuro della lorodissoluzione41.

38 “La questione del segreto, in altri termini, riguarda una imprendibilità ed unanon trasparenza dell’origine, l’impurità dell’origine come struttura del discorso in gene-rale e di quella forma del discorso che è la filosofia”, G. Dalmasso, “Niente altro chetesto”, in Spettri di Derrida, cit., p. 339.

39 J. Derrida, Mal d’archive. Une impression freudienne, Éditions Galilée, Paris 1995;trad. it. di G. Scibilia, Mal d’archivio. Un’impressione freudiana, Filema, Napoli 1996, p.11: “Archè indica sia il cominciamento sia il comando: il principio secondo la natura e lastoria, là dove le cose cominciano – principio fisico, storico o ontologico –, ma anche ilprincipio secondo la legge, là dove uomini e dèi comandano, là dove si esercita l’autorità,l’ordine sociale, in quel luogo a partire da cui l’ordine è dato – principio nomologico”. Laquestione del nominare investe il luogo della coscienza di sé spiazzando il soggetto: ilsoggetto nominante si genera nella fenditura tra il luogo della nominazione e la coscien-za.

40 J. Derrida, “Envois”, cit., p. 89.41 S. Petrosino, “Al di là del testo”, in Spettri di Derrida, cit., p. 353.

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Questa forza di rottura è espressa nella e dalla spaziatura del testoche ne evidenzia i luoghi di non-presenza, tanto da non essere “lasemplice negatività d’una lacuna, ma il sorgere della marca”42.

La tecnica, fantasma dell’operazione derridiana (topologia dellalettera), genera e governa gli spostamenti del problema-domanda(question) dell’origine che, reinventata poiché mai pura, darà vita adun corpo artificiale e quindi ad un fantasma del fantasma dell’unici-tà di un invio.

Se la posta (tecnica, posizione, “metafisica”) s’annuncia al “primo”invio, allora non c’è più LA metafisica, ecc. (tenterò di dirlo una voltaancora e altrimenti) neanche L’invio, ma degli invii senza destinazio-ne. Poiché ordinare le diverse epoche, soste, determinazioni, insom-ma tutta la storia dell’essere, a una destinazione dell’essere, è forse l’il-lusione postale più inaudita. Non c’è nemmeno la posta o l’invio, cisono le poste e gli invii43.

1.4 Link 4: Scrittura di vita

Nel doppio senso del genitivo, la scrittura può avere come ogget-to la vita, che può essere anche il soggetto di tale operazione. La vita,nel suo crescere inatteso e inattendibile, eccede i margini di ogni diredi essa: la biografia che “si costruisce anche a partire dagli ostacoli edai rifiuti, o se lo si preferisce dalle resistenze”44.

Tracciare la storia di un soggetto, nelle essenziali linee che costi-tuiscono una sorta di archivio personale, significa esplorare un cam-po d’azione nel quale la vita, quanto di più empirico si possa pensa-re, prende le vesti del trascendentale: l’empirico è il trascendentaledel trascendentale.

Nell’ultima fase di attività filosofica di Derrida, riflessione teore-tica e testimonianza di vita sembrano fondersi, diventa impossibileaffrontare le questioni teoriche senza prenderne in considerazioneanche il vissuto del filosofo.

42 S. Petrosino, “Del segno (Disseminario)”, in J. Derrida, La dissémination, cit., p. 26.43 J. Derrida, “Envois”, cit., pp. 73-74.44 B. Peeters, “Une vie de Jacques Derrida”, in Spettri di Derrida, cit., p. 419.

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Il soggetto si costituisce in virtù della scrittura (con la quale Der-rida intende fare la verità45), in quanto responsabile di un pensieroche lo descrive (e lo ricorda) non solo come individuo che “nacque,scrisse e morì”46, definizione troppo povera per una vita e un pensie-ro, ma anche e soprattutto in quanto rinvio inarrestabile di relazionitessute e tenute assieme da condizioni di possibilità che operanosempre come condizioni di impossibilità.

Ciò che rende possibile rende impossibile, o più precisamente com-promette contemporaneamente la purezza rigorosa, l’identità a sé, lasemplicità ontologica di ciò che diventa così possibile47.

Politica, etica e biografia hanno nella tecnica della scrittura il lorofondamento comune. Se nel segno c’è disseminazione, cioè allonta-namento dal presente (soggetto, intenzionalità del soggetto) e quindiesposizione al campo della possibilità (fino alla distruzione), la scrit-tura si costituisce secondo una sua propria “deriva essenziale”, sfuggea qualsiasi possibilità di dominio, non ritorna mai a sé perdendosinella moltiplicazione: non è se non numerosa, ha vita, ogni volta,nella morte.

Se vi è segno, afferma Derrida, allora vi è destinazione, cioè unatrama di rinvii che, secondo un incontrollabile movimento di a-de-stinazione (o destinerrance), si fa apertura dell’evento dell’essere e del-l’essere come evento. Infatti, come la lettera (luogo del confrontoderridiano con la psicoanalisi)

può sempre non arrivare a destinazione sia perché in quanto “incisio-ne” può sempre distruggersi e andare in pezzi (l’istituzione può cade-re ed essere distrutta: istanza della finitezza e della materialità relativaad un soggetto che è sempre “finito e mortale”), sia perché in quanto“missiva” può sempre essere deviata da un destinatario errato, illeggi-bile o che ha cambiato indirizzo48,

la destinazione, come forma della disseminazione, avviene perché ci45 Cfr. M. Ferraris, “Spettri di Derrida”, in Spettri di Derrida, cit., p. 25.46 Frase pronunciata da Heidegger su Aristotele che Derrida critica nel film di Kof-

man e Dick.47 J. Derrida, La scommessa, una prefazione, forse una trappola, prefazione a S. Petro-

sino, Jacques Derrida e la legge del possibile, Jaka Book, Milano 1997, p. 12.48 S. Petrosino, Jacques Derrida. Per un avvenire al di là del futuro, Edizioni Stu-

dium, Roma 2009, p. 47.

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si rivolge all’altro, quindi si è già, da sempre e per sempre, secondoil modo d’essere dell’altro, presi in un’eccedenza del logos, tessutadalla scrittura come istituzione, disseminazione e destinazione, allaquale non si può sfuggire.

Leggendo la storia della metafisica come logocentrismo, ovvero inquanto contraffazione cosciente e chiusura forzata da parte del sog-getto della scena della scrittura secondo la determinazione dell’esseredell’ente come presenza, Derrida denuncia ogni forma di controllo edominio (politico) da parte del soggetto su questo ente fino a ren-derlo un oggetto.

Il logocentrismo sarebbe quella posizione di pensiero che pensa e pra-tica il logos solo come centro, che pone al centro il logos solo perché(per dominare l’angoscia ed esercitare un controllo) pensa e praticaanticipatamente il logos stesso come centro49.

Ecco apparire la différance ovvero “una specie di dispositivo strategi-co aperto, sul suo proprio abisso, un insieme non chiuso, nonchiudibile e non totalmente formalizzabile”50, che istituisce lo spaziodi un “tra” all’interno dell’identità mettendola in movimento. Der-rida desedimenta così la questione della differenza ontologica hei-deggeriana, facendone la tracciatura del suo stesso differire, fino a di-struggere il toglimento hegeliano, disarticolando il movimento in-globante e rilevante della dialettica. In virtù di questa operazione, il(non) termine e il (non) concetto di différance non possono che rica-dere all’interno dei termini/concetti che il filosofo francese qualificacome “indecidibili”, in quanto possono essere intesi secondo modidiversi, non per difetto, ma per l’impossibilità di una loro determi-nazione certa. Si giunge così al rilancio proprio della riflessionederridiana: la decostruzione che “non coincide mai con una ‘distru-zione’, semmai con un processo di smontaggio finalizzato ad unacomprensione più profonda e consapevole della costruzione stes-sa”51. Tale atteggiamento di pensiero implica sempre un doppiogesto: da un lato la fase del rovesciamento e dall’altro quella dell’ir-rompente emergenza di un nuovo concetto che non si lascia com-

49 Ivi, p. 52.50 Ivi, pp. 55-56.51 Ivi, p. 65.

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prendere nel regime anteriore. Non è un metodo, ma una praticapropria del pensiero che se è, lo è solo operativamente.

1.5 Link 5: Irradiazioni o invio e destinerrance52

Il mondo della decostruzione è esattamente questa non esclusionedegli aspetti formali, residuali, marginali – del discorso, della formanarrante – di ogni narrazione, comprese ovviamente quelle filosofi-che, e di cui la principale rimozione è la materialità della scrittura53.

I fantasmi del pensiero di Derrida, Derrida stesso in quanto fan-tasma di se stesso e del suo pensiero, riportano alla luce tutti i restinascosti e tenuti in disparte che, facendo i conti con la realtà, intac-cano la verità sottoponendola a decostruzione.

Scendere fino agli inferi del pensiero di Derrida significa fare iconti con una pratica di pensiero enigmatica che, in virtù della suapluridimensionalità, elabora condizioni sempre (im)possibili dell’av-venire.

La forma ibrida, dell’indecidibile che è la lettera, come esempioprovocatorio, di ciò che, preso sempre in una frontiera mobile traorale e scritto, tra privato e pubblico, tra presenza e assenza, contattoe lontananza (come lo spettro), scrive la storia, sempre a-venire, di

52 Con l’accostamento di questi due termini si tenta di evidenziare l’intreccio tra ilpensiero derridiano dell’envoi e quello heideggeriano del Geschick. Infatti secondo Der-rida “tra l’invio e il destino, ma già tra l’invio e la destinazione, c’è uno scarto necessario.Ed è per evidenziare questo scarto che egli mette in gioco la sua interpretazione postaledel destino dell’essere” (P. Maratti-Guénoun, La genèse et la trace. Derrida lecteur deHusserl et Heidegger, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht 1998, p. 117). Il terminedestinerrance, se analizzato mette in relazione le sue due facce: destin (in tedesco Ge-schick, dove il prefisso ge-, corrispondente al prefisso latino con-, contrassegna nei sostan-tivi l’essere raccolto) ed errance (che invece fa parte della catena semantica propria delladisseminazione). Destino ed erranza si legano differentemente tra loro (destino dell’er-ranza oppure erranza del destino), ma rinviano al principio postale con cui Derrida sot-tolinea il gioco della lettera che travaglia la metafisica: “il principio postale non è più unprincipio, né una categoria trascendentale; ciò che si annuncia o si invia sotto questonome (in mezzo ad altri nomi possibili, come per te) non appartengono più all’epocadell’essere per sottomettersi a qualche trascendentalizzazione, “al di là di ogni genere”.La posta non è che una piccola piega, tutto sommato buona. Un relais, per marcare chenon c’è mai che relais”, J. Derrida, “Envois”, cit., p. 206.

53 B. Sebaste, “Il corpo del fantasma”, in Spettri di Derrida, cit., p. 446.

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un lavorio ininterrotto che ci inoltra sempre più in profondità.Derrida esibisce ne La Carte Postale la tragedia della destinazione:

ma la disseminazione, che dà vita all’a-destinazione, non è riconduci-bile ad una trama di differenze, essa stessa piuttosto produce diffe-renze, inviate, spedite, destinate, tanto che la a- dell’a-destination èleggibile sia come privazione, in quanto impossibilità di destinazionesuccessiva, ma anche, sia come proiezione della stessa destinazioneverso un termine che non è decidibile, né afferrabile, quindi sempreri-inviato.

Si tratta non della storia dell’invio (Geschick)54, ma di una plura-lità di invii, di una serie di differimenti senza centro; è la storia diuna corrispondenza disseminata nella quale gli invii tessono un testocome percorso possibile55.

In Envois, il gioco disseminante della scrittura si traduce nell’in-vio di lettere, di brandelli di lettere senza destinatario. Il testo, rap-presenta la riorganizzazione della teoria sul segno e sulla scritturaproposta in Della grammatologia, ma al tempo stesso ne costituisce lasua più esplicita messa in pratica.

La lettera è la forma che iscrive nel testo la situazione del destinatore,del destinatario e del contesto, la vita reale, privata di chi scrive, laconsapevolezza e l’esplicitazione dell’indirizzo e dell’adresse, delle date,dei nomi propri e dei deittici in generale56.

La différance postale è fatta di relais, di fattori (in francese, facteursignifica sia “fattore”, sia “fattorino”, quasi il fattore sia il concetto-agente che si è susseguito nella storia della metafisica, e il fattorino,il pensatore che ha dato vita a quel concetto) che mediano, senza che“mai si sostituirà ad essi l’immediato, ma altri dispositivi e altre for-

54 “Ne approfitterò per chiarire un po’ la storia dell’indirizzo, insomma delGeschick”, J. Derrida, “Envois”, cit., p. 71.

55 “Quanto agli Envois stessi, non so se la lettura ne è sostenibile. Potreste conside-rarli, se il cuore ve lo suggerisce, come i resti di una corrispondenza recentemente di-strutta. Dal fuoco o da ciò che di una figura ne prende il posto, più sicuro di non lascia-re niente fuori portata per ciò che amo chiamare lingua di fuoco, neanche la cenere sec’è la cenere. Forse – una opportunità. Una corrispondenza, è ancora troppo dire, otroppo poco. Può essere che essa non fu una (ma più o meno) né molto corrispondente.Ciò resta ancora da decidere”, ivi, p. 7.

56 B. Sebaste, “Il corpo del fantasma”, in Spettri di Derrida, cit., pp. 448-449.

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57 J. Derrida, “Envois”, cit., p. 209.58 Cfr. M. Telmon, La differenza praticata. Saggio su Derrida, Jaca Book, Milano

1997, p. 195.59 B. Sebaste, “Il corpo del fantasma”, in Spettri di Derrida, cit., p. 450.

ze”57. Le poste del pensiero si muovono a partire dalla forza dirom-pente della différance che, producendo i suoi effetti, frammentari eripetibili, mette all’opera deviazioni che aprono buchi, aperti dasempre, tra la verità e la parola.

Nel gioco dell’irruzione dell’altro e del radicalmente impossibilecome origine, la danza della penna mette in opera, nella scritturadegli invii, gli enigmi del pensiero, facendo ripetere da un lato lostesso messaggio da Socrate a Derrida (e oltre): il messaggio della fi-losofia; dall’altro gioca di ambiguità, è immagine e testo, recto everso. La scrittura di Envois espone gli smarrimenti e le perdite delsistema delle poste58 e definisce la filosofia un “dialogo tra fantasmi[…], la filosofia appare come una grande centrale telefonica, o me-glio, una grande Posta Centrale”59.

Ma la tragedia, così la chiama Derrida, della posta è l’impossibi-lità dell’arrivo a destinazione che produce scarti molteplici (irradia-zioni dello spettro), determinando l’eccedenza del destinatario unico(effetti di rifrazione dell’irradiazione spettrale). Si delinea una tragi-cità di fondo che, governata e connessa all’impossibilità di controlla-re la distanza, di prenderla o perderla, si impone a partire dalla stessanatura del testo, assume l’evanescenza del fantasma.

Questa è la tragedia (del fantasma) della metafisica, quella delladestinazione: testo o trama continuamente ritessuta di legami e nodi,incessante circolazione di lettere, invii, riapertura senza fine delrelais, tensione al dirottamento.

La metafora della posta, così insistente nei testi di Derrida, si im-pone definitivamente: inviare, affidare qualcosa alla rete delle poste,significa abbandonarlo, rinunciare a controllarlo, consegnarlo a per-corsi inconoscibili, a deviazioni e a ritardi, alla possibilità di alterarsi,di perdersi.

La cartolina mi è sembrata subito, come dire, oscena. Oscena, capisci,in ogni suo tratto. Il tratto in se stesso è indiscreto; qualunque cosaesso tracci o rappresenti, è indecente (amore mio, liberami dal tratto).

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E di questi tratti osceni ho subito avuto voglia d’innalzare un monu-mento, o un castello di carta, sontuoso e fragile, anche poco durevole,anche leggero, tanto che mi è stato necessario lasciarlo sovvenire tal-volta per farti ridere (i migliori ricordi nostri, della mia vita cioè, trale estasi, ciò di cui sono stupidamente più fiero, come di una grazia,la sola, che avrei ben meritato). Lo spettacolo è troppo sbalorditivo emi resta ancora inaccessibile. Non posso né guardare né non guarda-re, solamente speculare, tu diresti ancora delirare60.

I fantasmi che popolano i testi di Derrida, il suo stesso fantasma,forniscono una testimonianza inemendabile, un’indelebile traccia delsuo pensiero, segno di un suo avvenire: al suo funerale, Pierre, il fi-glio maggiore di Derrida, ha estratto un foglio e ha letto: “Amicimiei, vi ringrazio di essere venuti. Vi ringrazio per la fortuna dellavostra amicizia. Non piangete: sorridete come avrei sorriso. Vi bene-dico. Vi amo. Vi sorrido, ovunque io sia”. Quasi come un invio,tanto ultimo e testamentario, quanto a-venire, le tracce di Derridaresistono e

se la posta (tecnica, posizione, “metafisica”) s’annuncia al “primo”invio, allora non c’è più LA metafisica, ecc. (tenterò di dirlo una voltaancora e altrimenti) neanche L’invio, ma degli invii senza destinazio-ne. Poiché ordinare le diverse epoche, soste, determinazioni, insom-ma tutta la storia dell’essere, a una destinazione dell’essere, è forse l’il-lusione postale più inaudita. Non c’è nemmeno la posta o l’invio, cisono le poste e gli invii61.

La cornice che abbiamo usato per reintessere i links intra/iper-testuali della riflessione di Derrida, è fagocitata da un pensiero che siconfigura quindi come una rete di invii, cioè come una serie diframmenti di un’esposizione ancora in corso, che consegna al lettorela possibilità di ritesserli secondo differenti invii62.

Se la cartolina postale è una sorta di lettera aperta (come tutte le let-tere), si può sempre, in tempo di pace e sotto un certo regime, tenta-

60 J. Derrida, “Envois”, cit., p. 22.61 Ivi, pp. 73-74.62 Infatti Rorty, interpretando il pensiero di Derrida, mettendo in risalto il carattere

ironico che ne contraddistingue la seconda parte, afferma che “col secondo Derrida nonsi sa mai cosa aspettarsi, a Derrida non interessa lo splendore del semplice ma la licen-ziosità dell’ingarbugliato”, R. Rorty, La filosofia dopo la filosofia, Laterza, Roma-Bari2008, p. 151.

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re di renderla indecifrabile senza compromettere il suo cammino.Indecifrabile, mia unica, alla destinataria stessa. E pertanto non cisono che cartoline postali, è spaventoso63.

Un pensiero a vasto spettro quello di Derrida che, non potendoessere slegato dalla simultaneità dei suoi links, fa della scrittura loscenario del gioco e del dramma del soggetto.

Il pensiero di Derrida, in una continua e irriducibile tensione eripetizione del groviglio tra teorico e pratico, rispondendo alla re-sponsabilità del pensare, esige una singolarità insostituibile che, av-venendo in forma spettrale, rilancia il più d’uno64.

Pietro Camarda

DERRIDA. BROAD-SPECTRUM THOUGHT

Abstract

This note, starting from the text “Derrida’s Spectra”, interprets thethought of Derrida, on the traces of the (postal) telematic network, in itscontinuous and indefinable movement.

In the writing game, the telematic structure shows the movement ofsearch of thought in Derrida that, in its “spectral” working out, contem-plates no destination but the articulation of its own dynamics.

63 J. Derrida, “Envois”, cit., p. 41.64 Il sintagma “plus qu’en”, che significa letteralmente “più d’uno”, può essere impie-

gato in espressioni che intendono invece sottolineare l’unicità, come ad esempio “il n’yen a plus qu’en”, che significa “ne è rimasto solo uno”. Derrida gioca nell’ambiguità diquesto sintagma la compresenza di unicità e pluralità.

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