Des tours de Babel, di Jacques Derrida

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pubblicato su "aut aut", 189-190, 1982

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aUtAUt ;,,;gio.agosto,eE2rivista bimestrale fondata da Enzo Paci

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amninistrazione: LA NUovA ITALIA EDITRICT, via A. Giacomini 8, 50132 Firenze; ccp 32)50LFirenze; spedizione in abbonamento postale, gruppo IVabbonamenti 7982: annuale (6 numeri): Italia L. 15.000, Estero I . 2^0'000' Un fascicolosebarato L. 2.800. Per annatè e fascicoli atretrati chiedere preventivi. Gli abbonamenti so-il;;r.ti . Àrnno' ài.orr.nr" dal 1" gennaio al 11 dicembie di ogni anno; I'abbonamentonÀo drdia" entio il 11 dicembre si iótende rinnovato pet I'anno successivo' I reclami ri"i"ìa^"ti I Ìascicoli disoersi devono essere comunicati entio due settimane dalla ricezione delFr*i.òio ru..igiuo " qu.Uo non ricevuto. Qualora sia tichiesta la spedizione di singoli fascicolipei iontrassegno postalie si provvederà inviaÀdo il numeto o i numeri di spettanza con la mag-giorazione di L. 1.300.Variazioni di indirizzo: ogni variazione di indirizzo deve essete accompagnata da L' 500 infrancobolli e dalla fascetta con il vecchio indirizzo dell'ultimo numero ricevuto.

Registr. del Trib. di Milano n.2232 in data 11.1.1951. Direttore responsabile: Pier Aldo Rovatti.Proprietà: Francesca Romana Paci. - Stampa Sipiel - Milano

PAESAC.GI BENJAMINIANI.

Ptemessa, 1; G.A., Un importante ritrovamento di manoscritti di \lalter Benia-min, 4; PIERRE KLOSSOWSKI, Lettera su \íalter Benjamin, 8; PETERSZONDI, Speranza nel passato. Su V/alter Benjamin, 10; G'A.' Intoduzio-ne a Friedrich Heinle, 26; FRIEDRICH HEINLE, Poesie, l0; GIANNICARCHIA, Heinle e la "lingua della giovent(r", 42; \7. BENJAMIN, J'SELZ, Carteggio (1932-19)4), 47.

Babele: JACQUES DERRIDA, Des tours de Babel, 67; MAURICE BLANCHOT,Sulla raduzione, 98.

Metaetica: ANTONELLA MOSCATI, Nota su Rosenzweig e Benjamin, 101;FRANZ ROSENZ\íEIG, L'uomo e il suo sé ovvero metaetíca, 114.

La piccola porta: GIORGIO AGAMBEN, 'il/alter Beniamin e il demonico. Feli-cità e iedenzione storica nel pensiero di Benjamin, 143; REMO BODEI, Lemalattie della tradizione. Dimensioni e paradossi del tempo in Walter Be-njamin, 165; ANTONIO PRETE, Un'allegoria d'autunno. Baudelaire e Be-niamin, 185; MASSIMO CACCIARI, Necessità dell'Angelo, 203.

Materiali: \íOLFGANG KEMP, \flalter Benjamin e la scienza estetica. I: i rap-porti tra Benjamin e la Scuola Viennese, 216; VOLFGANG KEMP, \Talterbenjamin e la'scienza estetica. II: \íalter Benjamin 9- Aby \larbug,-234;BARBARA KLEINER, Nota bibliografica. Le fasi della ricezione di Benja-min, 26); EDOARDO GREBLO, Nota bibliografica. Benjamin oggi in Ita-Lia,269.

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Des tours de Babel*di Jacques Denida

Babele: in primo luogo un nome proprio, d'accordo. Ma oggi, quando di-ciamo Babele, sappiamo di che cosa e di dri stiamo parlando? Se conside-riamo la soprawivenza di un testo come un legato, il racconto o il mitodella torre di Babele non forma un'immagine qualsiasi. Affermando quantomeno I'inadeguatezza di una lingua rispetto a un'alúa, di un luogo dell'en-ciclopedia rispetto a un altro, del linguaggio nei confronti di se sresso e delsenso, ecc., afferma anche la necessità della rappresentazione, del mito, deiuopi, degli artifici, della traduzione inadeguat^ pet supplirc a ciò c-he lamolteplícità ci proibisce. In questo senso esso costituirebbe il mito del-I'otigine del mito, la metafora della metafora, il racconto del racconto, latraduzione della traduzione, ecc. Lo sdoppiamento non awemebbe solonella struttura in un modo particolare (anch'esso qaasi intraducibile, comeun nome proprio) e bisognerebbe salvarne l'idioma.

La "torre di Babele" non rappresenta soltanto la molteplicità irtiducibile delle hgo., ma mette in luce un'incompiutezza,l'impossibilità di com-pletare, di totùizzate, di saturare, di finire qualcosa che rinvia allbrdinedell'edificazione, della costtuzione architettonica, del sistema e dell'atchi-tettura. Questa molteplicità degli idiomi limita non solo una taduzioneuveta', una inter-espressione trasparente e adegaata, ma anche un ordinestrutturale, una coerenza del constructurn, Yi è, insomma, come un limiteinterno alla formaJtzzazione, una incompletuza della costruzione. Satebbefacile e fino a un certo punto giustificato, scorgervi la tmduzione di un si-stema in decosttuzione.

Non si dovrebbe mai ttascurare il ptoblema relativo alla lingua in cui sipone la questione della lingua e si raduce un discorso sulla uaduzione.

In primo luogo: in quale lingua fu costruita e decostruita la torre di Ba'bele? In una lingua all'interno della quale il nome ptoptio di Babele po-

* Si preferisce lasciare ril titolo in odginale psr fluntenerc úl gioco di patole ta"des toars" (delle tomi) e "détours" (deviazio'rli) ln.d.t.l.

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teva anche essere ftadotto, con una certa confusione, con iI termine ocon-fusione". Il gome propdo Babele, in quanto nome proprio, dovrebbe ri-Eanerg intraducibile, ma, per una sorta di confusione asiociativa resa pos-sibile da una sola lirgo", si pensò di poterlo tadurre in questa sressa lin-gua, con un nome comune che significava ciò che noi ttaductamo con iltermine confusione. Cosl Voltaire se ne stupiva nel suo Dizionaúo filoso-tico, allavoce "Babele": olo non so perché nel Genesi si dice che Èabelesignifica confusione. Infatti Ba nelle lirgo. orientali significa padre, e Belsignifica Dio; Babele significa la città di Dio, la città sÀta. Gli antichi da-vano questo nome a tutte le loro capitali. Ma è incontestabile che Babeleryol dirg confusione, sia perché gli architetti furono confusi dopo avereelevato lbpera loro fino a ortanturimila piedi giudaici, sia perché le linguesi confusero, ed evidentemente è da allora che i tedeschi non intendooo piii cinesi; perché è chiaro, secondo il dottor Bochart, che il cinese è origina-riamente la stessa lingua che l'alto tedesco". La tranquilla ironia di vol-taire vuol dire che Babele vuol dire: non si Úatta solamente di un nomeproprio, la referenza di un significante puîo a un esistente singolare - ea questo titolo intraducibil. -, ma di un nome comune rapportato alla ge-neralità di un senso. Questo nome comune non significa solo confusione,per quanto "confusioneo abbia abneno due sensi, ciò di cui Voltaire è con-sapevole: si tratta sia della confusione delle lingue, sia dello srato di con-fusione nel quale si ftovano gli architetti davanti alla struttura interrorta,cosicché una certa confusione ha già intziato ad assumere i due sensi deltermine 'confusione". Il significato di "confusione" è confuso, o almenodoppio. Ma Voltaire suggerisce ancora una cosa: Babele non vuole soltan-to dire confusione nel duplice senso della parola, ma anche il nome delpadre, piú precisamente e piú comunemente il nome di Dio come nome dipadre. La città porterebbe il nome di Dio padre, e del padre della città chesi chiama confusione. Dio, il Dio avrebbe segnato con il suo patronimicouno spazio comunitario, questa città in cui non è piú possibile capirsi. Enon è piú possibile capirsi quando c'è solo íl nome proprio, come non èpiú possibile capirsi quando non c'è piú nome proprio. Nel dare il suo no-me, nel dare tutti i nomi, il padre satebbe all'origine del linguaggio, equesto potere appartenebbe di diritto a Dio padre. Il nome di Dio padresarebbe il nome di questa origine delle lingue. Ma è anche quel Dio che,nel movimento della sua ira (come il Dio di Boehme o di Hegel, quelloche esce da se stesso, si determina nella sua finttezza e cosl produce la steria), annulla il dono delle lingue, o almeno lo confonde, semina la confu-sione tra i suoi figli e awelena il presente (GiÍt-GiÍt). È anche I'originedelle lingue, della molteplicità degli idiomi, di ciò che abitualmente chia-miamo madrelingua. Infatti tutta questa storia presenta filiazioni, genera-zioni e genealogie: semitiche. Prima della decostruziqne di Babele, la gran-

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de famiglia semitica stava fondando il suo impero (che voleva universale)e la sua lingor, che tentava di impone ugualmente all'universo. Il momen-to di questo progetto precede immediatamente la decostruzione della tor-re. Cito due traduzioni {rancesi. Il primo ffaduttore si mantiene abbastan-za lontano da ciò che si vonebbe chiamare la "letteralità', vale a dire l,im-magine ebraicl per "lingua", mentre il secondo, piú preoccupato della let-teralità (metaforica o piurtosro metonimica), diceì,labbro,, pàiché in ebrai-co. si de_sigrra con-"labbro" ciò che noi chiamiamo, corì un'aiffa metonimia,"lingua". Per indícare la confusione babelica bisognerà quindi dire molte-plicità di labbra e non di lirgo.. A quesro propotito, il primo radumore,Lorris segond, autore della Bibbia segond pubblicara nel 1910, scrivei"Queslr lono i figli di Sem, secondo le loro famiglie, le loro lingue, i loropaesi, le loro nazioni. Queste sono le famiglie dei figli di Noè, iecondo leloro generazioni e le loro nazioni. Da loro sono t"ti i popoli che si spar-sero srila t-erra dopo il diluvio. Tutta la terra aveva una-sola lingua e lestesse parole. Poiché erano partiti dallbrigine trovarono una pianura nelpaese di Schinear, e vi si srabilirono, dicendosi l,un l,altro: Su! Fabbd-chiamo dei mattoni e cuociamoli al fuoco. E il mattone servl loro da pietrae il bitume servl loro da calce. Dissero ancora: orsú! costruiamo una cit-tà e una torre la cui cima toccli il cielo, e facciamoci un flome, per nonvenire dispersi su tutta la laccia della terra...".

Non'so come interpretare questa allusione alla sostituzione o alla ffasmu-tazione dei matedali, il mattone che diventa pieÚa e il bitume che serve damalta. Assomiglia già a una maduzione, a una traduzione della uaduzione.Ma prcccdiamo- e sostituiamo alla prima una seconda traduzione. È quelladi Chouraqui, È recente e cerca di essere piú letterale, quasi aerbum prooerbo, proprio come cicerone (in uno dei suoi primi coniigli al raduttoreche si possono leggere nel suo Libellus de optimo generc oratorum) dicevache non si deve mai farc. Ecco: "Ecco i {igli di Shem / per i loro clan,per le loro lirgo" / nelle loro reme, per i loro popoli. / Eico i clan dei fi-gli di Noah per le loro imprese, nei loro popoli: / da questi si dividono ipopoli sulla terra, dopo il diluvio. / Ed è tutta la rerra: un solo labbro,uniche parole. / Ed è nel momenro della loro paîtetlza dall'oriente: mo-vano una valle sffetta, / nella terra di Shine'ar. / Vi si stabiliscono. / Di-cono, ciascuno al proprio simile: / 'Orsú fabbrichiamo dei mattoni, / ín-fiammiamoli alla {iamma'. / Per loro il matone divenne piera, il bitume,malta. / Dicono: 'Orsú costruiamoci una città e una torîe. f La sua cimaal cielo. / Costruiamoci un nome, / per non essere dispersi su tutta la fac-cia della tetîa".

Ma che cosa succede? In altri termini, per cJre cosa Dio li punisce dandoil suo nome, o piuttosto, poiché non lo dà a niente e a nessuno, proclaman-do il suo nome, il nome proprio fi "6snfu5ione" che sarà il suo segno e il

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suo sigillo? Li punisce per aver voluto costruire fino all'altezza dei cieli?Per aver voluto giungere fino al punto piú alto, fino all'altissimo? È moltoptobabile; ma, senza dubbio, per aver voluto in questo modo larsi an flo-tze, sceglierci il proprio nome, costrilire da sé il proprio nome, dunitsi inesso ("affinché non siamo piú dispersi...') come nell'unità di un luogo cheè al tempo stesso una lingua e una torre, I'una e l'altta. Li punisce per avervoluto cosl assicurarsi autonomamente una genealogia unica e universale.Infatti il testo della Genesi collega immediatamente, come se si nattassedello stesso disegno: innalzarc una toffe, cosffuire una città, farsi un nomein una lingua univetsale che sia anche un idioma, e riunire una filiazione:"Dicono: / 'Orsú costruiamo una città e una torre. f La saa vetta: il cie-lo, / Cosffuiamoci un nome, / per non venire dispersi su tutta la facciadella tera'. YHlÙtrH scende a vedere la città e la totre / che i figli del-l'uomo hanno costruito. / YH'ùíH dice: / 'Sí! un solo popolo, un solo lab-bro pet tutti: / ecco quello che incominciano a Îarcl / Orsú scendiamo!Con{ondiamo le loro labbra, / l'uomo non comprenderà piú il labbro delsuo vicino"'. Poi dissemina la stirpe di Sem, e le disseminazione è in que-stocaso decostruzione: f "Cosi YH\íH I disperde su tutta la faccia dellatera. f Smettono di cosuuire la città. / Sulla quale egli ptoclama il suonome: Bavel, Confusione, / poiché qui YHWH confonde il labbro di tuttalatena, / e di qui YH'WH li disperde su tutta la f.accia della terra".

Non si deve dunque parlare di una gelosia di Dio? Risentito nei con-fronti di questo unico nome e di questo unico labbto degli uomini, egli im-pone il suo nome, il suo nome di padre; con questa imposizione violentaprovoca sia la decostruzione della torre sia quella della lingua universale;egli disperde Ia Íilrazione genealogica. Spezza la discendenza. Impone ecoîttetnporaneaftîente ptoibisce la traduzione. La impone e la proibisce, vici costringe, ma come sotto scacco, dei figli che ormai porteranno il suo no-me, il nome che dà alla città. È a partire da un nome propdo di Dio, ve-nuto da Dio, disceso da Dio o dal padre (ed è ben vero che YIfIÙflH, nomeimpronunciabrle, discende verso la torre), e segnato da lui, che le lingue sidispetdono, si confondono o si moltiplicano, secondo una discendenza chenella sua stessa dispersione viene suggellata dal solo nome che risulterà ilpiú fote, dal solo idioma che avrà avuto successo. Ma proprio questoidioma pona in sé il segno della confusione, vuole dire imptopriamenteI'imptoprio, cioè Bavel, confusione. La traduzione diventa allora necessa-tia e impossibile come I'effetto di una lotta per l'apptopriazione del nome,n cerru.i" e proibita nelf intewallo tra due nomi del tutto ptopri. E il no'me ptoprio di Oio (dato da Dio) già si divide nella lingua, quanto bastap.r ,ignifi""re anche, in modo confuso, "confusione". E la guera che di-chiara esplode innanzi tutto df interno del suo nome: diviso, bifido, am-bivalentg polisemico: Dio decostruisce ("And he 'w'ar", si legge in Fìnne'

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gans Valee, e pottemmo seguire tutta questa storia dal punto di vista diShem e di Shaun. "He war' non si limita a riunire in questo luogo un nu-mero incalcolabile di legami fonetici e semantici nel contesto immediato ein tutto il libro babelico; la drchianzione di guerra (in inglese) di colui chedice "Io sono colui che sono e che fu cosl lwarf", rendendosi intraducibilenella sua stessa realizzazione alnzeno in quanto si enuncia in piú di una lin-gua per volta (come minimo inglese e tedesco). Se anche una traduzione in-finita ne esaurisse il fondo semantico, nadurrebbe ancora in una linguae perderebbe la molteplicità dello be war. Rimandiamo ad un'altra occa-sione una lettura meno affrettata di questo he uar e notiamo uno dei li-miti delle teode della traduzione: esse trattano troppo spesso i passaggida una lirgou alI'altra e non considerano abbastanza Ia possibilità per al-cune lingue di essere implicate in un testo in piú di. due per volta. Cometradurre un testo scritto nello stesso tempo in diverse lingue? Come"rendere" l'effetto di pluralità? E se traduciamo in molte lingue contem-pofaneamente, lo chiameremo ancora tradurre?

Babele: oggi 1o si percepisce come un nome proprio. Certo, ma nomeproprio di che cosa e di chi? Talvolta di un testo narrativo che raccontauna storia (mitica, simbolica, allegorica, al momento importa poco), diuna storia nella quale il nome proprio, che quindi non è piú il titolo delracconto, indica una torre o una città, ma una toffe o una città che ricevonoil loro nome da un awenimento nel corso del quale YIIWH "proclama ilsuo nome". Ota, questo nome propdo che indica almeno tre eventi e trecose diverse, ha anche, e qui sta tutta la questione, come nome proprio lafunzione di un nome comune. Questa questione racconta, ffa le altre cose,I'origine della confusione tra le lingue, la molteplicità imiducibile degliidiomi, il compito necessario e impossibile della traduzione, la sua neces-sità corne impossibilità. Generalmente si presta poca attertzione a questofatto: per lo piú leggiamo questo racconto in ffaduzione. E in questa tra-duzione, il nome ptoptio conserva un destino singolare, in quanto non ètradotto nella sua apparizione di nome proprio. Ma un nome proptio inquanto tale rimane sempre inmaducibile, per cui si può considerare che essonon appartiene tigorosamente, allo stesso titolo delle altre parole, alla lin-gua, d sistema della lingua, tradotta o traducente.

E tuttavia "Babele", evento in una sola lingua, quella in cui appare performare un "testo", ha anche un senso comune, una generalità concettuale.Poco importa che ciò accada pet mùzo di un gioco di parole o di una as-

sociazioni confusa: "Babele" poteva essere compteso in una lingua con ilsenso di "confusione". E allora, nello stesso modo in cui Babele è contem-poraneamente nome proprio e nome comune, Confusione diventa nome pîo-prio e nome comune, I'uno come omonimo dell'al6o, o ancie sinonimo,111r ron equivalente, poiché non si rischia di confonderli nel loro valore'

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Questo vale per il traduttore in aancanza di una soluzione soddisfacente.Il ricorso aiia apposizione e aila maiuscola (*Su cui proclama il suo nome:Bavel, Confusione") non traduce da una lingoa in un'alua. Commenta,spiega, pamÍtasa, ma non ffaduce. Tutt'al piú riproduce con una certa aFprossimazione, e dividendo I'equivoco in due parole là dove la confusionesi radunava in potenza, in tutta la sua potenza, nella traduzione interna (percosl dire) che elabora il nome nella lingua cosiddetta odginale. Infatti nellalingua stessa del racconto originario vi è una traduzione, una specie di tm-slazione che offre immediatamente (in modo un po' confuso) I'equivalentesemantico del nome propdo che, di per sé, in quanto puro nome proprio,non avrebbe. In realtà questa traduzione infralinguistica si rcalizza imme-diatamente; non si tratta neppure di un'operazione in senso stretto. Tut-tavia, colui che pada nella lingua del Genesi poteva prestare attenzione al-I'effetto del nome proprio cancellando l'equivalente concettuale (come"pierre" in "Pierre", e si tratta di due valori o di due funzioni assoluta-mente eterogenee); a questo punto si sarebbe tentati di affermare in primoluogo che un nome proprio, nel senso "proprio" del termine, non appar-tiene propriamente alla lingua; non vi appartiene benché e percbé rl suorichiamo la iende possibile (che cosa sarebbe una lingua senza possibilitàdi chiamate con un nome proprio?); quindi esso non può inscriversi pro-priamente in una lingua se non lasciandosi tradurre, ci&, interpretdre nelsuo equivalente semantico: da quel momento non può essere piú accoltocome nome proptio. Il nome "pierre" appartiene alla lingua francese, e lasua traduzione in una lingua straniera dovrebbe conservrre il senso. Ciònon vale nel caso di "Pierre", la cui appartenenza alla lingua francese nonè assicurata e comunque non è dello stesso tipo.

Peter, in questo senso, non è una Úaduzione di Pierre, piú di quantoLondres non sia una traduzione di London, ecc. In secondo laogo, il sog-getto la cui lingua cosiddetta madre sarebbe Ia lingua della Genesi può bencomprendere Babele come "confusione"l in questo caso opera una tfadu-zione conlusa del nome proprio nel suo equivalente comune senza averbisogno di un'altra patola. È come se qui ci fossero due parole, due omo-nimi di cui uno ha valore di nome proprio e l'altro di nome comune: trai due una traduzione che può essere valutata in modo molto diverso. Essaappartiene, forse, a quel genere dre Jakobson chiama traduzione infralin-guale o dformulazione (reworiling)? Non credo: il "reaording" frgaardarapporti di uasformazione tra nomi comuni e frasi correnti. Il saggio OnTranslation (L959) distingue tre forme di traduzione. La uaduzione infra-linguale interpreta i segni linguistici per mezzo di altri segni della slessalingo". Ciò presuppone evidentemente che in ultima istanza si sappia de-terminare in modo rigoroso l'unità e I'identità di una liogo", la forma de-finibile dei suoi limiti. In seguito si avrebbe quella che Jakobson c-hiama

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felicemente traduzione "propriamente detta', la traduzione inteilinguale$e rnterp-reta i segni linguistici per mezzo di un'altra lingo", il che riman-da al medesimo presupposto della traduzione infralinguaÈ. Infine vi sareb-zn la ttaduzione intersemiotica o trasmutazione c-he Lterpreta i segni lin-cuistici per mezzo di sistemi di segni non linguistici. peile due fo-rme ditraduzione, che non sarebbero taduzioni "própriamente detteo, Jakobsonprcpone un equivalente definizionale e un'al*a parcla. Egli "uàduce" lapriml con un'altra parola: traduzione infralinguale o ùfornurazione, re-uording. E anche la terua: Úaduzione interseniotica o irasmutazione. rnquesti due casi, la taduzione di "traduzione" è un'interpretazione defini-zionale. Ma nel caso della raduzione "propriamente deita", della tradu-zione nel senso corrente, interlinguistico e post-babelico, Jakobson nonúaduce, riprende la stessa parola: "la traduzione interlinguale o ffaduzio-ne ptopriamente detta'. Egli suppone che non sia necessario tfadurre: tutticapiscono ciò che questo vuol dire, perclé tutti ne hanno espedenza; siritiene- che tutti sappiano che cos'è una lingua, il rapporto t"u ,tna lirg.tue un'altra e sopra*utto I'identità o la differenza a pioposito di lingua. Seyi è una trasparenza che Babele non avrebbe intaccato, è proprio questa,l'esperienza della molteplicità delle liogo. e il senso "propriamente detto'idella parola "traduzione". In rapporto a questa parola, quando si tratta ditraduzione "propriamente detta", gli altri usi della parola "traduzioneosarebbero una traduzione infralinguale e inadeguata, metaforica, insom-ma, degli arti{ici (des tours ou tourfiures) e della taduzione in senso pro-prio. Vi sarebbe quindi una Éaduzione in senso proprio e una traduzionein senso figurato. E per nadume I'una nell'alffa, alf interno della stessaliogo, o da una lirgo" all'alua in senso figurato o in senso proprio, ci siinoluerebbe in vie che rivelerebbero ben presto ciò che vi può essere diproblematico in questa uipatizione. In breve: nel medesimo istante in cuipronunciamo Babele, scopriamo I'impossibilita di decidere se quesro nomeappartiene, propriamente e semplicemente, ad una hngaa. Ed è imFortanteche questa indecidibilità provochi una lotta per il nome proprio all'internodi una scena di indebitamento genealogico. Cercando di "farsi un nome",di fondare contemporaneamente una lingua universale e una genealogia uni-ca, i Semiti vogliono ridune il mondo alla ragione, e questa ragione puòsignificare simultaneamente una violenza colonialista (poiché essi universa-lizzerebbero cosl il loro idioma) e una uasparenza pacifica della mmunitàumana. Al conuario, quando Dio impone e oppone loro il proprio nome,rompe la trasparenza nzionale, ma interrompe anche la violenza colonia-lista o l'impetialismo linguistico. ECli Ii destína alla traduzione e Ii assog-getta alla legge di una traduzione necessaria s imFossibile; con un colpo delsuo nome proprio taducibile-inraducibile inaugura una ragione universale(che non sarà piú sottomessa alf impero di una nazione pa*icolare) ma ne

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limita contemporaneamente l'universalità stessa: trasparenza proibita, uni-vocità impossibile. La taduzione divenra la legge, il dovere e il debito, madal debito non ci si può piír liberare. Questa insolvenza risulta direttamentesegnata nel nome di Babele, che si traduce e contemporaneamente non sitraduce, appartiene a una lingua setza appartenervi e s'indebita nei riguar-di di se stesso di un debito insolvibile nei riguardi di se sresso come aluo.Tale satebbe I'esito babelico.

Quest'esempio singolare, insieme archetipico e allegorico, potrebbe in-trodurre tutti i prcblemi cosiddetti teorici della traduzione. Tumavia nes-suna teotizzazione, dal momento che si produce in una lingua, poffà maidominate l'esito babelico. Questa è una delle ragioni per le quali in questasede pteferisco, anzicJré procedere in modo puramente teorico, tentare diúadurre a modo mio la taduzione di un altro testo sulla traduzione.

Ciò che ptecede avrebbe dovuto condurmi piuttosto verso un testo pre-cedente di Benjamin, SaIIa lingua in generale e sulla lingua dell'uomo(1916) r, anch'esso tadotto da Maurice de Gandillac nello stesso volume(Mythe et aiolence, Denoèl, 197L).Il tiferimento a Babele è esplicito ed èaccompagnato da un discorso sul nome proprio e sulla traduzione. Ma difronte al carattere a mio parere mappo enigmatico di questo saggio, alla suaticchezza e alle sue sutdetetminazioni, ho dovuto rinviare questa lettura elimitarmi a Il compito del traduttore. Senza dubbio la difficoltà non dimi-nuisce, ma la sua unità risulta piú evidente, meglio centrata intomo al suotema. Questo testo sulla ffaduzione è anche la prefazione a una traduzio-ne dei Tableaux Parisiens di Baudelaire, e lo leggo dapprima nella ttadu-zione francese di Maurice de Gandillac.Tuttavia, la ttaduzione è veramen-te, per questo testo, soltanto un tema, e soprattutto è il suo primo tema?

Il titolo specifica anche, fin dalla prima patola, il compito lAuÍgabef,la missione alla quale si è (sempre da qualcun altro) destinati, I'impegno,il dovete, il debito, la responsabilità.-Ne emerge già una legge, un'ingiun-none a71a quale il traduttore deve rispondete. Egli deae anche sdebitarsi,e di qualcosa che potrebbg imFlicare una fagha, una caduta, un errore eforse un delitto. Come vedremo, il saggio ha per orizzonte una "ticoncilia-zione". E tutto ciò in un discorso che moltiplica i motivi genealogici e leallusioni - piú o meno metaforiche - alla trasmissione di un seme fami-liare. Il traduttore è indebitato, si rivela come traduttore nella situazionedel debito; e il suo compito è quello direndere, rendere ciò che deve esse-re stato dato. Tn le parole che corrispondono al titolo di Berúann (AuÍ-gabe, ú. dovere, la missione, il compito, il problema, ciò che è assegnato,

t I passi di Benjami" citati irn questo saggio sono stati tradotti dal francese (cft. I'edi-zione citata da Demida). Una traduzione italiana di Renato Solni, con notevoli divet-siÈ dal testo francese è repedbile in \lalter Benjanin, Axgelus Noaas, Einaudi, Tori-no 1981, pp. 39-52 ln.d.t.l.

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dato da fare, dato da rendere), ci sono, fin dall'inizio, Viedergabe, Sìnn-wieilergabe,la restituzione, la testituzione del senso. Come interpretare unatale restituzione, anzi un tale pagamento? Si tratterà soltanto di restituzio-ne del senso, e di quale senso in guesto ambito?

Conserviamo momentaneamente questo lessico del dono e del debito, edi un debito che potrebbe facilmente dichiararsi insolvibile, donde una spe-cie di "ransfert" amore/odio pet chi si trova nella posizione di ttadurre,obbligato a tradurte, riguardo al testo da tradure (non mi riferisco al fir-matatio o all'autore dell'originale), alla lingua e alla scrittura, al legame eall'amote che suggella le noz.ze tra I'autore dell"'originale" e la propria lin-gua. A metà del saggio, Benjamin afferma che la restituzione potrebbe an-che essere impossibile: debito insolvibile alf interno di una scena genea-logica. Uno dei temi essenziali del testo è la "parentela" delle lingue in unsenso che non è piú tributario della linguistica stotica del XIX secolo,senza esserne del tutto estraneo. Fotse qui siamo indotti a pensare la pos-sibilità stessa di una linguistica storica.

Benjamin ha appena citato Mallarmé, 1o cita in francese, dopo aver la-sciato nella propria frase una parola latina, che Maurice de Gandillac ha ri-portato a pié di pagina per far rilevare che con "genio" non traduceva daltedesco ma dallatrno (ingeniurn).Natutalmente non poteva comportarsi inmodo analogo con la teruahngaa di questo saggio, il francese di Mallarmé,di cui Benjamin aveva constatato l'inffaducibilità. Ancora una volta: cometradurre un testo scritto in molte litgo. contemporaneamente? Ecco questopasso sull'insolvibile (cito come sempre la traduzione francese, limitandomía includere qua e 1à il tetmine tedesco che si presta al mio scopo):

"Filosofia e traduzione non sono cose futili come pretendono certi artistisentimentali. Poiché esiste un ingegno filosofico iI cui carattere piú intimoè la nostalgia di quella lingua che si annuncia nella traduzione:

Les langues imparfaites en cela que plusieurs, manque la supÉme: pen-ser étant écrire sàs accessoires, ni-chu-chotement, mais tacite encore I'im'mortelle parole, |a diversité, sur terre, des idiomes empéche petsonne deproférer i"t 111ott qui, sinon, se trouveraient par une fiappe unique, elle'méme matériellement la vénté.

Se la realtà evocata da queste patole di Mallarmé, è rigorosamente ap-

plicabile al filosofo, allon[a ttaduzione, con i germi lKeinenf clee di unai"L littgo" .rr" port" con sé, si pone a metà strada fra la creazione lette-taria e |a teoda. La sua opeta ha un minor rilievo, ma non s'imprime menoprofondamente nella stofia. Se il compito del traduttofe appafe in questa

iuce, le vie della sua tealizzazione rischiano di divenire ancora. piú impene-trabili. Anzi, questo compito cjre consiste nel far maturafe nella traduzioneil seme di una lingua para lden sanen reiner sptacbe zur Reife za brin-

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genJ, sembr^ del tutto insolubile fdiese Aulgabel ... lscbeint niemalslósbar), non definibile da alcuna soluzione lin keiner Iisang bestimmbarf .Non la si priva fome di ogni base se la riproduzione del senso cessa di esse-re I'unità di misura?

Benjamin ha dunque rinunciato a tradurre Mallarmé, I'ha lasciato risplen-dere nel suo testo come l'insegna di un nome proprio; ma questo nome pro-prio non è del tutto insignificante, e si salda a ciò il cui senso non si lasciatraspoffe integralmente in un altro Iinguaggio o in un'altra Ttngua (e Spra-che non si taduce con l'una o con l'altra parola senza una qualche perdita).Nel testo di Mallarmé, I'effetto di proprietà intraducibile si lega meno alnome o alla verità come adeguamento che non all'unica rcahzzazione diuna fotma performativa. Si pone dunque il problema: 1o spazio della tra-duzione non inizia forse a ridutsi a partire dal momento in cui la restitu-zione del senso lViedergabe des Sinnesl cessa di indicarne la misura? Ilconcetto coffente della traduzione diventa problematico. Esso implicavaquesto processo di restituzione; il compito lAafgabef tornava a renderefwiedergebea] ciò che era dato inizialmente, e ciò che era dato era -credevano - il senso. Ma le cose si complicano quando si cerca di conci-liate questo valore di restituzione con quello di matutazione. Su quale base,su quale teffeno avrà luogo la maturazione, se Ia îestituzione del sensodato non costituisce piú la regola?

L'allusione aJTa matutazione di un seme potrebbe assomigliare a unametafora vitalista o genetica,'e potrebbe allora confermare il codice genea-logico e parentale che pare dominate questo testo. fn effetti, qui sembranecessario invertire quest'ordine e riconoscete ciò che alffove ho propostodi chiamare "catastrofe metafotica": lungi dal potet capire che cosa signi-fichino "vita" e "famigln" quando ci serviamo di questi valori familiariper parlare di linguaggio e di traduzione, sarà patendo da un pensiero dellalingua e della sua nsoprawivenza" in traduzione che potremo accedere alconcetto di ciò che vita e famiglia vogliono dire. Quest'inversione è ope-rata intenzionalmente da Benjamin. La sua prefazione (poiché, non dimen-tidriamolo, questo saggio è una prefazione) si muove incessantemente trai valori di seme, di vita e soprattutto di "soprawivenza' (iibeileben ha unrapporto essenziale con iibersetzen). Ma quasi all'inizio Benjamin sembtapfoporre un conffonto o una metafora - dre comincia con "Analoga-mente 2...' - e improwisamente firtto si sposta tta iibersetzen, ùbertra-gen, ilberleben:

"Come le manifestazioni della vita, senza significare nulla pet if vir/ente, so'no intimamente connesse con lui, cosí la traduzione ptocede dall'originale,certam€nte meno dalla sua vita che dalla sua 'soprawivenza' l.Lîbetle-

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ben"f. Infatti la traduzione viene dopo l'originale e caîattetizza, per leopere importanti cJre non trovano mai un traduttore predestinato all'epocadella loro nascita, lo stadio della loro soprawivenza fFortleben, questavolta, la soprawivenza come continuazione della vita piuttosto che comevita post mortenl. È nella loro semplice realtà, senza alcuna metaÍon finoollig unnetapboriscber Sacbli.cltkeitf che si deve intendete I'idea di vitae di soprawivenza lFortlebenf delle opere d'arte".

Secondo uno schema apparcntemente hegeliano, in un passo molto circoscritto, Beljamin ci induce a pensare alla vita dal punto di vista dello spirito o della storia e non solo da quello della "corporalità organica". C'èvita nel momento in cui la "soprawivenza" (1o spirito, la storia, le opere)eccede la vita e la morte biologica: "È solo ticonoscendo la vita a tuttociò di cui si dà storia e che non è soltanto teatro, che si rende gitsúzia aquesto concetto di vita. Poiché è a patire dalla storia e non dalla natura[...] che, in ultima istatua, si deve circoscrivere I'ambito della vita. Coslnasce peî il filosofo iI compito fAafgabel di capire ogni vita natutale inbase a questa vita piú ampia, quella della storia".

A cominciare dal titolo - e per il momento mi limito a questo - Ben-jamin definisce L problema, ne! senso di ciò c}e è precisamente ildaanti dsé come un compito, come quello del ffaduttore e non della traduzione (néd'al6a patte, sia detto di sfuggita, anche se !a questione non è trascurabile,della tràduttrice). Benjamin non si riferisce al mmpito o al problema dellatraduzione. Egli indica il soggetto della gaduzione come soggetto indebi-tato, obbligato da un dovere, già in una situazione di etede, inscritto comesupefstite in una genealogia; come supefstite o agente di soprawivenza.La- soprawivenza àeile opere, non degli autori. Forse la soprawivenza deinomi di auiori e delle firme, ma non degli autoti.

Tale soprawivere è un accrescersi della vita, è piú che una soprawiven-za. Ohte i viverc piú a lungo I'opeta vive di piú e meglio, al di sopra deimezzi delroo aotoi". Il 6aduttore sarebbe dunque un ricevente indebitato,sottomesso al dono e ùl'elatgizione di un originale? Niente affatto. Permolte ragioni tra cui questa: il legame o l'obbligazione del debito nonpassa tra=un donatore e un donatario ma ffa due testi (due "produzioni"-o

due "creazioni"). ciò è chiaro fin dalf inizio della prefazione e, se voles-

simo isolare alcune tesi, potremmo individuare un po' rapidamente quelleche seguono:

1. Il compito del ffaduttore non si annuncia in seguito a{ una ricezìone.La teoria della traduzione non dipende essenzialmente da una qualche

tmria della ticezione, per quanto trrossa invece conffibuirc a renderla pos-

sibile e a renderne conto.

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FilFfÈlil'T

2. Lo scopo essenziale della traduzione non è quello di comunicare. Nonpiú dell'originale. E Benjamin mantiene al riparo da ogni contestazionepossibile o minacciosa la dualità rigorosa fra originale e versione, fra iItradotto e il traducente, ancJre se ne sposta il rapporto. Egli s'interessaalla ttaduzione di testi poetici o saci nei quali si esprimeràbbe tr'essenzastessa della traduzione. Tutto il saggio si svolge tra il poetico e il sacro,pet risalire dal primo al secondo, che indica I'ideale di ogni traduzione, iltraducibile puro: la versione intmlineare del testo saco sarebbe il modelloo l'ideale lUrbildf di ogni rraduzione possibile in generale. Ora, e in ciòconsiste Ia seconda tesi, per un testo poetico o per un testo sacro, la comu-nicazione non è l'essenziale. Questo problema non riguarda direttamentela struttura comunicante del linguaggio, ma piuttosto f ipotesi di un conte-nuto comunicabile che si distinguerebbe rigorosamenre dall'atto linguisticodella comunicazione. Nel 1916, la critica del semiotismo e della "concezio-ne borghese" del linguaggio mirava già a questa disffibuzionei mez,zo, og-getto, destinatano. "Non esiste un contenuto del linguaggio". Ciò che illinguaggio comunica in primo luogo è la sua "comunicabilità" (Sur le lan-gage..., tr. di M. de Gandillac, p. 85). Si dirà dunque che si prelude alladimensione performativa degli enunciati? In ogni caso ciò invita a gu î-darsi da un possibile errore: isolare contenuti e tesi nel "Compito del tra-duttoreD, dimenticandosi di tradudo come una firma o una sorta di nomeproprio destinato ad assicurarne la soprawivenza come opera.

3. Se fra il testo ftadotto e il testo traducente vi è un rapporto da"originaleo a versione, esso non potrebbe esserc ruppresentatiao né ri.pro-duttìao. La traduzione non è né un'immagine né una copia.

Una volta prese queste ffe precauzioni (né ricezione, né comunicazione,né rappresentazione), come si costituiscono il debito e la genealogia deltraduffore? Oppure, anzitutto di ciò che è da+radurre, del da-radume?

Seguiamo il filo di vita o di soprawivenza ovunque esso comunidri conil movimento della parentela. Quando Benjamin rifiuta il punto di vistadella ricezione, non è per negarne ogni pertinenza, anzi senza dubbio egliha contribuito notevolnente alla nascita di una teoria della dcezione inletteratura. Ma, inn412i1stto, egli vuole tornare all'istanza di ciò dre chia-ma l'"otiginale", non tanto perché essa produca i propri ricettori o Íadut-tori, ma in quanto I ricliede, il convoca, li domanda o comanda impo-nendo la legge. È Ia sffuttura di questa domanda che qui appare dawerosingolare. Da dove passa? fn un testo letterario - in questo caso diciamo'poetico" per essere piú rigorosi - essa non passa attraverso il detto,l'enunciato, il comunicato, il contenuto o il tema, E quando, in questo con-testo, Benjamin dice ancora "comunicazione" o "enunciazione" lMítteilung,Aussage'J, visibilmente non parla dell'atto ma del contenuto: "Ma dre cosa

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dice unbpera letteraria? Che cosa comunica? Assai poco a chi la compren-de. Ciò che essa ha di essenziale non è comunicazione né enunciazione".

La domanda sembra dunque passare, anzi essere formulata dalla forna. "Laffaduzione è una forma", e la legge di questa forma sembra avere la sua pri-ma fonte nell'originale. Questa legge si pone dapprima, ripetiamolo, comeuna domanda nel senso forte, un'esigenza che delega, convoca, presiede,assegna. E per quel che riguarda questa legge come domanda, possonosorgeîe due questioni essenzialmente diverse. Prima questione: nel com-plesso dei naduttori può l'opera trovare ogni volta il traduttore che ne siain qualche modo capace? Seconda questione, e, dice Benjamin, "piú pro-priamente"; come se tale questione rendesse la precedente piú appropriata(menffe, come vedremo, la modifica completamente): "...nella sua essen-za ['opera] sopporta, e se è cosl - in conformità alla significazione diquesta f6sp4 -, esige di essere tradotta?o.

La tisposta a queste due domande non dovrebbe essere della stessa na-tura o della stessa forma. Problenatica nel ptimo caso, non necessaria (iltîaduttore adatto allbpera può essere ffovato oppure no, ma anche se nonsi trova, non cambia nulla rispetto alla domanda e alla struttura delf in-giunzione che proviene dall'opera), la risposta è propriamente apoditticanel secondo caso: necessaria, a priori, dimosttabile, assoluta, poiché derivadalla legge interna dell'originale. Quest'ultimo esige la ttaduzione anchese non vi è alcun uaduttore disponibile in modo da rispondere a quest'in-giunzione che è al tempo stesso domanda e desidetio nella struttura stessadell'originale. Tale struttura è il rapporto della vita con la soprawivenza.Benjamin paragona l'esigenza dell'almo come traduttore a un momento in-dimenticabile della propria vita: è vissuto come indimenticabile, è indi-menticabile anche se la dimenticanza finisce per sopraffarlo. Sarà stato in-dimenticabile, è quello il suo significato essenziale, la sua esserza apoditti-ca e solo per caso la dimenticanza accade a questo indimenticabile. L'esi'genza dell'indimenticabile - che qui è costitutiva - non è affatto intac-cata dalla Íinitezza della memoria. Se l'esigenza della traduzione non sof'fue aftatto di non essere soddisfatta, ancor meno ne soffre in qualità distruttura stessa dell'opera. In questo senso la dimensione superstite è un apriori - e la morte non cambierebbe nulla; non piú dell'esigenza lFor-derungf che attraversa I'opera originale e alla quale solo "un pensiero diDio" può rispondere o corrisponderc lentsprecbenf . La raduzione, il desi-derio di traduzione, non è pensabile serìza questa corrispondenzl con unpensiero di Dio. Nel testo del 1916 che attribuiva già il compito del tra'duttore, il. suo Aufgabe, alTa ristrtosta data al dono delle litgo. e al donodel nome fGabe der Sprache, Gebung des Narnens], Benjamin chiamava

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if[lIìI

Dio nel luogo di una co*ispondenza che autotinava, rendeva possibile ogarantiva la corrispondenza tra le lingue impegnate'n"ll. t "i*ione. Inquesto contesto limitato, si trattava anche.dei-mpporti tra il linguaggiodelle cose e-il_linguaggio decL uomini, ma il muto^e'f ;*i;;,I-onimoe il nominabile, ma I'assioma valeva senza dubbi" p.r';;"lri*i-uaduzio-t , "-::: lbggettività di questa taduzione è garantita du Dlio; l;.. di M. deGandillac, !. 91). Inizialmente il debito -ri fo.., n"i "ooi- a questo"pensiero di Dio".

Debito strano, cjre non lega nessuno a ness'no. se la struttura dellbperaè "soprawivenza", il delig nsri imFegna nei confronti di un pr.r,rnto sog-getto-autore del testo originale - morto o mortale, il morto del testo -ma nei confronti di un'al*a cosa che îappresenta la legge formale nell'im-manenza del testo originale.

Inoltre il debito non impone di restituire una copia o una buona im-rygtt9, una rappresentazione fedele allbriginale; quest'ultimo, il super-stite, è anch'esso in fase di trasformazione. Lbriginale si dà modificandosi;questo dono non è un oggetto dato, vive e soprawive mutandosi: "Infatti,nella sua soprawivenza, che non meriterebbe questo nome se non si ffat-tasse di mutamenro e rinnovamento del vivent., lbrigin"L si modifica. An-dre per le parole solidificate cè ancora una post-maturazione".

Post-maturazione fNachreife] di "n organismo vivente o di un seme:non si tratta piú solo di una merafora, per le ragioni già delineate. Nellasua stessa essenza, Ia storia della lingua è determinata come "crescita","santa crescita delle lingue".

4. Se il debito del traduttore non ts imFegna né con l,autore (mortoanche se vivente dal momento che il suo t.rto-hu una struttura d.i soprav,vivenza), né con un modello che bisognerebbe riprodurre o rappresentare,.gl q" c9y lo impegna, con chi? Come chiam"rlo, qo.rto .Jr. o qo.rtochi? Qual è il nome proprio se non è quello dell'auÀre finito, morro omortale del testo? E chi è il uaduttore cre si impepa cosl, c,he si tovaforc9 impegnato àal7'altto prima ancora di essersi iÀp"go"tó egf stesso?Poiché il traduttorc, riguardo alla soprawivenza del tes=to, si iova nellastessa situazione del zuo produttore finito e mortale (il suo "autore"), noriè lui, non è lui stesso in quanto finito e moftale, ad impegnarsi. E cú, at-lora? È senza dubbio lui, ma in nome di chi e di che cosa? La quesrionedei nomi propîi in questo caso è essenziale. Là dove l'atto del vivente mor-tale sembra contarc meno della soprawivenza del testo in traduzione -tradotto e Éaducente -, è necessario che la firma del nome proprio se nedistingua e non scompaia cosl facilnente dal conuatto o dal debito. Nondimentichiamo che Babele indica una lotta per la soprawivenza del nome,della lingua o delle labbra.

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Fi'

II' Dalla sua altsza Babele sorveglia e sorprende costantemente la mia let-tura: io taduco, traduco la uaduzione di Maurice de Gandillac da un testo{i nenjgin che, nella prefazione a una traduzione, cogrie ir pretesto perdire a- cie proposito gcm_ rradurtore è impegnato - Jo*.*i" di passag-gio, elemento essenziale della sua dimostrazióne, cJre non potebbe esiste-re taduzione della traduzione. Bisognerà ricordarsene. -

!'{el ricJrianarmi a questa strana situazione, non voglio soltanto e essen-zialmente ridure la mia funzione a quella di un taghetatore o di un pas-seggero. Nulla è piú serio di una traduzione. Desidero invece far rilevarcche ogni traduttorc si úova nella condizione di parlare della tradunone,in una posizione cjre non risulta per nulla secondaria. Infatti, se la struttura{etlgriginale è contraddistinta dall'esigenza di essere tradoita, ciò dipendedal fatto-che lbriginale, stabilendo la legge, comincia mn-l'indebitarsiancbe nei confronti del traduttore. L'originale è il primo debitore, il primopostnlante; esso comincia a manifestare urur mancanza e a volere la ftadu-zione. Tale pretesa non proviene solamente dai costruttori della torre chevogliono farsi un nome e fondare una lingua universale c.he si autotraduca;essa impegna anche íl decostruttore della tore: dando il suo nome, Dio hapure invitato alla taduzione, non soltanto úa le liogo. diventate improv-visanente molteplici e confuse, ma anzitutto del suo nome, del nomà cheha proclamato, che ha dato, e cJre deve essere tradotto con confusione peressere compreso, per far comprendere che è difficile Úadurlo e qoindicaprdo. Nel momento in cui impone ed oppone la sua legge a quella-dellatibú, diventa anche postulante di traduzione. Ancffegli si ritrova inde-bitato. Non ha ancora smesso di chiedere la uaduzione del proprio nomenel momento in cui lo proibisce. Infatti Babele è inuaducibile. Dio piangesul proprio nome. I1 suo testo è il piú sacro, il piú poetico, il piú originalein quanto egli crea un nome e se lo attribuisce, eppure nella sua foma enella sua stessa ricchezza manca di qualcosa e vuole, quindi, un traduttore.Come in La lolie du ioar,la legge non comand^ senza pretendere di essereletta, decifr^ta, tadotta. Essa chiede rl translert liibertragung, úber-setzung e úberlebenf . Tl double bind è dentro di essa, è in Dio stesso, ebisogna seguirne rigorosamente le conseguenze: nel sao flonte.

Insolvente da una parte e dal7'aLtra, il doppio debito passa tra i nomi.Eccede, a priori, i potatori dei nomi, se con questo termine si indicano icorpi mortali dre svaniscono dietro la sopmwivenza del nome. Ma, comedicevamo, un nome proprio appartiene e non appartiene alla lingua, e,(ora possiamo precisarlo) nemmeno all'insieme del testo da tadure, delda-uadurre.

Il debito non impegna soggetti viventi ma nomi ai margini della linguao, piú rigorosamente, il natto che lega conEattualmente il rappotto di unsoggetto vivente con il suo nome, metrtte quest'ultimo si tiene ai margini

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della lingua. E questa linea sarebbe quella del da-tradurre da una linguaall'altra, da questo limite all'altro del nome proprio. Questo contratto dilingua ma diverse lingue è decisamente strano. Prima di rumo non è quel-1o che viene generalmente chiamato cotrtratto linguistico: ciò che gur"ntisc.l'istituzione di una lingua, I'unità del suo sisrema è il contatto soiiale che,sotto questo riguardo, vincola una comunità. D'altra parte si 4mmette ge-neralnente che, per essere valido o per istituire una realtà qualsiasi, uncontratto debba aver luogo in una sola liogo, o richiamarsi (per esempionel caso di trattati diplomatici o comnerciali) a una taducibilità già datae senza residui: la molteplicità delle liogo. deve esservi completamentepadroneggiata. Qd, invece, un contratto tra due lirgo. straniere in quantotali impegna a rendere possibile una taduzione che in seguito autorizzerà,ogni tipo di contatto nel senso corrente. La hrma di questo singolare con-É4tto non richiede una scdttura documentata o archiviata, ben presentecome traccia o come tratto, e questa circostanza si verifica anche se il suospazio non rinvia ad alcuna oggettività empirica o matematica.

Il topos di questo conuatto è eccezionale, unico, praticamente impen-sabile sotto la forma della categoria corrente del contratto: in un codiceclassico 1o si sarebbe detto mascendentale poiché in realtà rende possibileogni conftatto, in generale, incominciando da ciò c}re viene chiamato il con-tratto di lirgo" nell'ambito di un solo idioma. Altro nome, forse, per lbri-gine delle liogo.. Non l'origine del linguaggio ma delle lirgo" - primadel linguaggio, Ie lirgo..

Il contatto di ffaduzione, in questo senso tîascendentale, sarebbe il con-ttatto stesso, il contratto assoluto, la forma-conffatto del contratto, ciòcJre permette ad un contratto di essere quello c-he è.

Allora si potrà dire che la parentela tra le lingue presuppone questocontratto o che gli dà una sua prima collocazione? Riconosciamo qui unprocedimento circolare classico, che si è sempre presentato nel momentodi intenogarsi sull'origine delle lingue o della società. Benjamin, che parlaspesso di parentela ffa le lingue, non lo fa mai da comparatista o da storicodelle lingue. Egli si interessa meno alle f"-iCli. delle lingue che a un'a{fi-nità piú essenziale e piú enigmatica, senza peraltro essere certo che essapreceda il tratto o il conffatto del da-tradurre. Forse questa parentela, que-sta affinità fVeruandscbaîtl, è una specie di alTearza, peî mezzo del con-tratto di traduzione, in quanto le soprawivenze che essa associa non sonovite naturali, legami di sangue o simbiosi empiricle. "Questo sviluppo cheè proprio di una vita originale ed elevata, è determinato da una finalità ori-ginale ed elevata. Vita e finalità - il loro rapporto in apparenza evidentee che quasi sfugge alla conoscenza, si rivela solo quando 1o scopo in vistadel quale agiscono tutte le singole finalità della vita viene cercato non nellasfera stessa della vita, ma piuttosto in una sfera superiore. Tutti i fenomeni

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fnalizzati della vita, come prre la loro stessa finalità, in ultima analisi nonsono finalizzati verso la tita, ma verso l'espressione della sua essenza, ver-so la rappresentazione fDarstellang] del suo significato. Cosl, in definiti-va,la ttaduzione ha per scopo ltspressione del rapporto piú intimo dellelingue fta loro".

La ttaduzione non aspira a dire questo o quello, a Úasferire tale otalaltro contenuto, a comunicare una certa quantità di senso, ma a ri-mar-care I'affinità tra le lingue, ad esibire la propria possibilità. E questo, chevale sia per il testo letterario che per il testo sacro, definisce forse ltssen-za del letterario e del sacro, sulla base della loro radice comune. Ho dettori-marcare l'affinità tra le lingue per indicare il carattere insolito di una"espressione" ("esprimere il rapporto piú intimo tra le lingue") che nonè una semplice "presentazione" né semplicemente un'alffa cosa. La tradu-zione rende presente in un modo solamente "anticipatorio", annunciatore,quasi-profetico, un'affinità che non è mai presente in tale presentazione.Viene da pensare al modo in cui Kant definisce talvolta il rapporto con ilsublime: una present^zione inadeguata a ciò che tuttavia si esptime. Quiil discorso di Benjamin procede attraverso dei cavilli: "È impossibile cheessa lla traduzione] possa rivelare questo rappofto nascosto, che trrossarestituirlo lberstellenf; ma può rappresentarlo fdarstellenj realizzandoloin forma embrionale o intensiva. E questa rappresentazione di un signifi-cato lDarstellung eines Bedeutetenf mediante il tentativo, il germe dellasua restituzione è un modo di rappresentazione del tutto originale, che nonha equivalenti nell'ambito della vita non-linguistica. Infatti quest'ultimaconosce, nelle analogie e nei segni, altri tipi di refetenza fHìndeutang-loltre alla rcalizzazione intensiva e cioè anticipatoria e annunciativa fuor-greifend, andeutendT. Ma il rapporto cui facciamo riferimento, rapportointímo fta le lingue, è quello di una conveÌgenza del tutto particolare. Essaconsiste nel fatto che le lingue non sono estranee fra loro, ma, a priori, aprescindere da ogni rapporto storico, affini I'una aJ7'altra in ciò che vo-gliono díre".

Tutto l'enigma di questa parentela si concentra qui. Che cosa vuol dire"ciò c.he vogliono dire'? E che ne è di questa presentazione nella qualeniente si presenta secondo la modalità corrente della presenza?

Ne va del nome, del simbolo, della vetità, della lettem.Uno dei fondamenti del saggio, come del testo del 1916, è una teotia

del nome. Il linguaggio vi è determinato a partire dalla parola e dal pri'vilegio della nominazione. Si tratta dt un'affermazione assai decisa ma an'cle estremamente dimosÍativa: "l'elemento originario del traduttore" è laparola e non la proposizione, l'a*icolazione sintattica. Per rendere I'idea,Èeniamin propone'un'"immagine" curiosa: la proposizione fSatzi sarebbe"il muro davànti alla lingua dell'originale', mentfe la parola, la corrispon-

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denza parola per parola, la letteralità fViirtlícltkeìl], ne sarebbe l'natca-ta". Mentre il muro sostiene nascondendo (è dauanti allbriginale), l'arcatasostiene lasciando passare la luce e facendo vedere l'originale (non siamolontani du Passages parigini). Questo privilegio della parola sosriene evi-dentemente quello del nome e con questo la proprietà del nome proprio,posta e possibilità del contratto di traduzione. Esso si rivolge al problemaecononico della traduzione, che si tratti dell'economia come legge del pro-prio o dell'economia come îaplrorto quantitativo (tradurre è forse traspor-îe un nome proprio in molte parole, ín una frase o in una descrizione,ecc.?).

C'è qualcosa da-tradurte. Esso assegna e contratta da due lati. Impegnaai margini della lingua piú i nomi propri che gli autoril non impegna es-senzialmente né a comunicare né a rappresentare, né a mantenere un im-pegno già firmato, quanto piuttosto a stabilire il contratto e a dar vita alpatto, in alfti termini synbolon, in un senso clre Benjamin non indicacon questo termine ma senza dubbio sugSerisce, attraverso la metafota del-I'anfora; poiché, fin dall'inizio, abbiamo sospettato attraverso I'ammetaforail significato coffente della metafora.

Se il traduttore non restituisce né copia un originale è perché questo so-prawive e si ttasfotma. La traduzione sarà dunque un momento della pro-pria crcscita in cui lbriginale si completerà ampliandosi. Questa logica"seminale" si è probabilmente imposta a Benjamin ptoprio attraverso ilfatto che la crescita non dà luogo a una qualsiasi forma in una qualsiasidirczione. La ctescita deve rcalízzare, tiempire, completare (Ergànzang èqui la parola piú ricorrente). E se l'originale tichiede un complemento, ciòderiva dal fatto che in origine non era setza colpa, pieno, completo, totale,identico a se stesso. Caduta ed esilio si presentano fin dall'origine dell'ori-ginale da ttadurre. Il raduttore deve tiscattare lerl\senl, assolvete, risol-vere cercando di assolvere se stesso dal proprio debito, che in fondo è 1o

stesso e senza fondo. nRiscattare rìella propria lingua questo puro linguag-gio esiliato nella lingua stranieta, Iiberare questo puro linguaggio pngio-niero nellbpera con un atto di uasposizione, questo è il compito del tra-duttore". La traduzione è una trastrnsizione poetica lUmdichtung]. Co-munque, dobbiamo interrogare l'essenza di questo "puro linguaggio", ciòche la traduzione libera. Ma notiamo, per adesso, che questa liberazioneimplica essa stessa una libertà del traduttore, che non è altro che un rap-porto con questo "puro linguaggio"; e la libetazione c-he essa opera, tra-sgedendo seentualmente i limiti della lingua cJ:e uaduce, tasformandolaa sua volta, deve estendere, ingrandire, far crescere il linguaggio. Poichéquesta crescita mira a completare, poiché è "simbolo", essa non riproducema collega aggíungendo. Di qui questo doppio confronto lVergleichT, wttiquesti giri e supplementi metafodci: 1. "Come la tangente tocca la circon-

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fetenza di sfuggita e in un solo punto, e come è questo contatto e non ilpunto dre determina la legge secondo cui la tangente prosegue il suo cam-mino in linea retta all'infinito, cosl la traduzione tocca l'originale di sfug-gita, e solo in un punto infinitamente piccolo del senso, per poi continuarela propria s*ada secondo la legge della fedeltà nella libertà del movimentodel linguaggio". Benjamin usa il termine "fuggitivo" lÍIiicbti7\ ogni voltacJre parla del contatto fBeriihrungf tra i corpi di due testi nel corso dellatraduzione.

Questo carattere "fuggitivo" è sottolineato almeno in tre riprese, e sem-pre per situare iI contatto con il senso, il punto infinitamente piccolo delsenso che le lingue sfiorano appena ("L'armonia fra le lingue è tanto pro.fonda lsi tratta delle traduzioni di Sofocle da parte di Hólderlin] che ilsenso è toccato dal vento del linguaggio come da un'arpa eolia").

Che cosa può essere un punto infinitamente piccolo del senso? In chemodo valutatlo? La metafora stessa è contemporaneamente la domanda ela risposta.

Ed ecco I'dra metafora, la metamfora, che non riguarda piú l'estensio-ne in linea retta e infinita, ma I'ingtandimento per mezzo di una congiun-zione, secondo le linee spezzate del frammento, 2. "Inf.atti come i fram-menti di un'anfora, senza esseîe identici fra loro, debbono combaciare neipiú piccoli dettagli perché il tutto possa essere ricostruito, cosí la tradu-zione, invece di rendersi simile al senso originale, deve piuttosto, in unmovimento d'amore e fin nei minimi dettagli, far passate il modo di in-tendere dell'originale nella propria lingua: cosl, come i cocci sono ricono-scibili come frammenti della stessa anÍora, odginale e raduzione sono rico-noscibili come frammenti di un linguaggio piú vasto".

Accompagnamo questo movimento d'amore, il gesto di questo amarefliebendJ che opera nella traduzione. Non riproduce, non restituisce, nonrappresenta e, nell'essenziale, non rende tl senso dellbriginale uanne chein questo punto di contatto o di catezza, infinitamente piccolo, del senso.Esso accresce il corpo delle lingue, pone la littgo" in espansione simbolica;e sebbene vi sia ben poca restituzione da compiere, simbolíco qui vuol direche il piú grande, il nuovo insieme piú vasto deve ancota ricostituire qual'cosa. Forse non è un tutto, ma un insieme la cui apertura non deve con-traddire I'unità. Come la brocca che dà il suo lopos poetico a tante medi-tazioni sull'oggetto e sulla liogo", da Hdlderlin a Rilke e ad Heidegget,l'anfota è una con se stessa pur aprendosi al di fuori - e quest'apetturaapre I'unità, la rende possibile e ne vieta la totalità. Le permette di riceveree dí dare. Se la 6escita del linguaggio deve cosl ricostituire senza rappfe-sentafe, se qui si trova il simbolo, la traduzione può forse aspirare alla ve-dtà? "Verità', safà ancor4 questo il nome di ciò che costituisce il ctiterioper valutare una 6aduzione? Giungiamo qui - in un punto infinitamente

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iiip.w€E.i:Èa.1.?:I:!t:ao::e:i. -. : : : .

pictolo - ai limiti della traduzione. L'intraducibile puro e il traducibilepuro passano l'uno nell'altro, ed è la verità, "nel senso materialeo.

La parola "verità" compare piú di una volta nel Conpito del tradutto-rei non bisogna interpretarla affrettatamente. Non si tratta della verità diuna traduzione in quanto conforme o fedele al suo modello: lbriginale.Né, a maggior ragione, si trata del punto di vista dellbriginale o anchedelTa traduzione, di qualche adeguamento della lingua al senso o alla real-tà, vale a dne a77a rappresentazione di qualcosa. Allora che cosa si vuoleintendere con il nome di verità? E sarà qualcosa di veramente nuovo?

Ripartiamo dal "simbolico". Riprendiamo la metamfora o l'ammetafora:una traduzione sposa l'originale quando i due frammenti collegati, benchéestremamente diversi, si completano per formaîe una lingua piú grande,nel corso di una soprawivenza che li modifica entambi. Infatti la linguamadre del traduttore, come abbiamo già osservato, vi si altera egualmente.Questa è pedomeno la mia interprctazione, la mia traduzione, il mio "com-pito del traduttore". Si tatta di ciò che ho chiamato conrratto di tradu-zione: imene o contratto di matrimonio con promessa di produrre un bam-bino il cui seme darà luogo a una storia " " *, crescita. Contratto di ma-trimonio come seminario. Secondo Benjamin, nella ffaduzione I'originalesi amplia, cresce piuttosto che riprodursi, e, aggiungerei, cfesce come unbambino, il proprio, senza dubbio, ma con la forua di parlare da solo, chefa di un bambino qualcosa di diverso da un prodotto assoggettato alla leg-ge della riproduzione. Questa promessa si riferisce ad un regno contempo-taneamente "promesso e proibito, dove le lingue si riconcilieranno e si rea-Ezzetanrrc",

Questa è I'osservazione piú babelica di un'analisi della scittura sacracome modello e limite di ogni scrittura, in ogni caso di ogni Dichtung nelsuo essete-da-tradure. Il sacro e I'essere-da-Úadurre non possono esserepensati separatamente. Si producono l'un I'altro lungo lo stesso limite.

Questo regno non viene mai raggiunto, toccato o calpestato dalla tta-duzione. Vi è dell'intoccabile e in questo senso la riconciliazione è soltantopromessa. Ma una promessa non è nulla, non è solamente indicata da ciòclre le manca grct teoTir"atsi. In quanto promessa, la traduzione è già un av-venimento, la krma decisiva di un contratto. Il fatto che esso sia onoratoo meno non impedisce all'impegno di aver luogo e di venir atchiviato.Una ttaduzione c,he grong., che giunge a promettefe la ticonciliazione, aparlame, a desideratla o a f.at desiderare, una tale traduzione è un aweni-mento fafo e considerevole.

Ancora due domande prima di awicinarci ulteriotmente alla verità. Inche cosa consiste l'intoccabile, se c'è? E petché questa metafora o amme-tafora di Beniamin mi fa pensare all'ímene, o piú chiaramente al vestitonuziale?

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1.. Il sempre intatto, l'intangibile, f intoccabile lunberiihrbar], è ciò cheaffascina e orienta il lavoro del traduttote. Vuole toccare I'intoccabile, ciòche rimane del testo quando se ne è estratto il senso comunicabile (puntodi contatto, si ricordi, infinitamente piccolo), quando si è trasmesso ciò chesi può trasmettere, ossia insegnare: ed è quello che sto facendo qui, a pani-re da - e grazie a - Mautice de Gandillac, sapendo che un resto intoc-cabile del testo di Benjamin rimarrà intatto, anch'esso, al tetmine dell'ope-razione. Intatto e vetgine malgrado la fatica della raduzione, ed e{ficientee pertinente il piú possibile. Qui la pertinenza non ha alcun potere. Si po-Úebbe dire, per quanto questa proposizione possa sembrare del tutto as-surda, che i.l testo sarà ancora piú vergine dopo il passaggio del traduttore,e f imene, segno di verginità, sarà ancora piú geloso di esso dopo che I'altroimene, il conttatto, sarà stato firmato e il matrimonio consumato. Lacompletezza simbolica non si sarà rcahzzata fino in fondo e tuttavia la pro-messa di matrimonio satà stata mantenuta, e questo è il compito del tra-duttore, in ciò che ha di esuemamente acuto e di insostituibile.

E poi? In che cosa consiste l'intoccabile? Riesaminiamo le metafore ole ammetafote, le Ilbertragungen, cioè traduzioni e metaforc della uadu-zione, traduzion ftJbersetzangenf di traduzione o metafore di metafote.Riesaminiamo tutti questi passi di Benjamin. La prima figura che incon-triamo è quella del frutto e della buccia, del nocciolo e della scotza lKern,Frucbt, Scbalef . In ultima istanza essa descrive la distinzione alla qualeBenjamin non vorrà mai rinunciare né del resto dedicare qualche domanda.Vi si ticonosce un nocciolo (lbriginale in quanto tale) per I f.atto che losi può di nuovo ffadurte e ritradutte. Una traduzione, in quanto tale,non è in grado di farlo. Solo un nocciolo, poiché rcsiste alla traduzione cheesso magnetizza, può offrirsi ad una nuova operazione ffaduttrice senzalasciarsi esaurire. Infatti il rapporto del contenuto con la lingua, o, percosl dire, del fondo con la forma, del significato con il significante, ha quipoca importanza (tn questo contesto Benjamin oppone contenuto, Gehalt,à littg" o linguaggio, Sprache\; differisce dal testo otiginale alla tadu-zione. Nel ptimo, l unità è cosl serrata, stretta, aderente, come tra il frut'to e la buccia, la scorza o la pelle. Non che siano inseparabili: bisogna po-terle distinguere esternamente, ma appartengono ad un tutto organico e

non è privo di senso il fatto che qui la metafora sia vegetale e naturale, onaturalista: "Esso [l'originale in tmduzione] non raggiunge mai comple-tamente questo fegno, ma ptoptio qui si 6ova ciò che fa in modo che tra-durre sia piú c,he iomunicare. Questo nocciolo essenziale può essete defi-nito piú piecisamente come cíò che nella traduzione non è a sua volta tra-ducibile. Infatti, pef quanto si possa estfarfe ciò che è comunicazione petÚadurlo, resterà t"*pr" I'intoccabile vetso cui si otienta il lavoto del verotraduttore. Esso non si può trasmettefe come la parola creanice dellbrigi-

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nale (iibertragbay uie das Dicbteruofi des originals),poiché il rapporto trail cgnlenuto_: I tiogrqgro è completament" -dio.tro o.llbri;i"ft e nellatraduzione. Nellbriginale contenuó e finguaggio formano .ri'orri a a.r.r-minata simile a quella t"a il frutto e la scorza;. scortecciamo un po, di piúf1 rytorica di questa sequenza. Non è sicuro che il "nocciolo" erlsenziaL eil "frutto" indichino la stessa cosa. Il nocciolo essenziale, qo.uo .h. ,ronè nella traduzione, ancorl traducibile, non è il contenuto Àa q.resta ade-tenza tî^ il contenuto e la lingua, tÎa il frutto e la buccia. Tutto ciò puòsembrare strano o incoerente lcome potrebbe un nocciolo trovarsi tri ilfrutto e la buccia?). Senza dubbio è nicessario pensare al nocciolo come adun'unità fo*e e centrale che tiene il frutto uniio alla buccia e a se stesso;e soprattutto è necessario pensare che al centro del frutto il nocciolo è"intoccabile", fuori portata e invisibile. Il nocciolo sarebbe la prima me-tafora di ciò che costituisce I'unità dei due termini nella ,econàa. Ma venè una tetz^, e questa volta non è di provenienza naturale. Riguarda ilrapporto tra contenuto e lingua nella ffaduzione e non piú nell,originale.Questo rapporto è diverso e non credo di cedere a un artificio insiitendosu questa differenza per dire che è esattamente quella tra I'artificio e lanatura. Ma che cosa nota Benjamin, come di sfuggita, per comodità reto-dca o pedagogica? che "il linguaggio della traduzione àwolge il suo con-tenuto come un manrello dalle ampie pieghe. Poiché esso significa un lin-guaggio superiore a se stesso e cosl, in rapporto al proprio contenuto, restainadeguato, forzato, estraneo". È una bellissima tràd.rrion , bianco ermel-lino, incoronazione, scetfto e andatura maestosa. Il re ha veramente un cor-po (e qui non è il testo originale, ma ciò che costituisce il contenuto deltesto tradotto), ma questo corpo è solamente promesso, annunciato e dissi-mulato dalla traduzione. L'abito calza ma non serra abbastattza snettamen-te la persona regale. Non è una debolezza: la miglior traduzione ass66iglixa questo manto regale. Essa dmane separata dal corpo al quale tuttavia siunisce, sposandolo senza sposado. Indubbiamente si può ricamare su que-sto manto, 5 'lla riecessità di questa tJbertragung, di questa traduzione me-taforica della traduzione. Ad esempio si può oppome questa merafora aquella della scolza e del nocciolo come si potrebbe opporre la tecnica allan4tuîa. Un indumento non è naturale, è utr tessuto e perfino, alÚa meta-fora della metafora, un testo; e questo testo artificiale appare per l,appun-to dal lato del contatto simbolico. Se il testo originale è una domanda ditraduzi.one, il frutto, a meno che non si tratti del nocciolo, esige qui di di-ventare il re, o f imperatore che indosserà gli abiti nuovi: sotto le ampiepieghe, in weiten Falten, si indovinerà che è nudo. Senza dubbio il mantoe le pieghe pîoteggono il rc dal freddo e dalle intemperie; ma sono primadi tutto, come il suo scettro, la visibilità insigne della legge. Sono l'indiziodel potere e del potere di fare la legge. Tuttavia se ne deduce c.he ciò che

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conta è quello che succede sotto il manto, cioè il corpo del re (non diteimmerliafamente il fallo), intorno al quale una traduzione otganina la lin-gua, forma pieghe, modella forme, ctrce odi, trapunta e ricama. Ma sem-pte flutnrante a qualche distanza dal contenutoz.

2. In modo piú o meno stretto il manto sposa il corpo del re, ma perciò che succede sotto il manto, è difficile separare il re dalla coppia reale.È ptoprio questa coppia di sposi (il corpo del re e il suo vestito, il conte-nuto e la lingua, il re e la regina) che fa la legge e garantisce ogni contrattoa partire da questo primo contratto. Per questo ho pensato ad una vestenuziale. Benjamin, comè noto, non spinge le cose nel senso in cui le tra-duco io,leggendo sempre già in taduzione. Piú o meno fedelmente mi sonopreso qualche libertà con il contenuto dell'originale, e con la sua litgo",e poi con lbdginale cJre ora, per me, è ancrhe la taduzione di Maurice deGandillac. Ho aggiunto un manto all'altro e questo fluttua ancoîa di piú;ma non è questo il destino di ogni traduzione? Sempre che una traduzioneintenda amivare da qualche parte.

Malgrado la distinzione ra le due metafore,la scorza e il manto (il man-to regale, poiché I'ha chiamato "regale" mentre altd avrebbero potuto li-mitarsi a dire manto), malgrado I'opposizione fia natufa e arte, emerge neidue casi I'unità di contenuto e lingua, unità naturale in un caso, unità sim-bolica nell'almo. Solo che nella traduzione I'unità si riferisce ad un'unità(metaforicamente) piú "natutaleol essa promette una lingua o un linguag-gio piú otiginali e quasi sublimi, sublimi nella misuta smisutata in cui lapromessa stessa, cioè la traduzione, vi rimane inadeguata lanangemessenl,violenta e forzata lgeualtigf e smaniera ltrenilJ. Questa "tottura" rendeinutile, " impedisce " addirittura ogw lJ b ertragun g, ogni trasmissione, comeindica chiaramente la traduzione francese: anche la patola, come la tra-smissione, gioca con lo spostamento transfetenziale o metaforico. E la pa-rcla ubertragang titoma di nuovo nelle frasi seguenti: se la traduzione"ttapianta" I'originale su un altro teffeno di lingua, "ironicamente" piúdefinitivo, ciò awiene in quanto non si riqsciîebbe piú a spostarlo di làcon un altto " transfert" ltlbertragungl ma soltanto ad "erigerlo" lerbo-benf ót nuovo sul posto "con altte componenti". Non esiste traduzionedella traduzione: ecco I'assioma senza il quale non esisterebbe nll compi-to del traduttore".

Se vi pervenisse vi pervertebbe, e questo non deve accadete df intocca-bile delf intoccabile, vale a dire a ciò che garantisce all'originale che rcsteràin ogni modo lbdginale.

2 Nel testo francese, tenear, cjrrè I'idea goggiacente dolla metafota, ciò che viene ve!oolato dalla espressione metaforica tn'd.t.l'

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Questo fatto nsn è privo di rapporti con Ia verità. Essa va al di là diognt tJbertragang e dt ogttr iJbersetz*ng possrbili. Non è la corrispondenzarappresentativa úa I'originale e la traduzione e neppure I'adeguaminto pri-mario ffa l'originale e qualche oggetto o significazione esterna ad esso. Laverità sarebbe piuttosto úlinguaggio p*ro nel quale il senso e la lettera nonsi dissociano piú. se un tale luogo, l'aver-luogò di tale evento fosse into-vabile, non si poÚebbe píú, neanche teoricamente, distinguere tra un ori-ginale e una traduzione. Mantenendo questa distinzione ad ogni costo, co-me il dato originario di ogni contrarto di traduzione (nel seÀo quasi ma-scendentalc di cui parlavamo precedentemenre), Benjamin ripete il fonda-mento del diritto. Cosl {acendo, egli esprime la possibilità di un diritto del.le opere e di un diritto d'aurore, possibilità su cui il diritto positivo pre-tende di fondarsi. Quest'ultimo crolla di fronte alla minima contestazionedi una frontiera rigorosa tra I'originale e la versione, o meglio ua l'identitàa sé e l'integrità dell'originale. Ciò che Benjamin dice di quesro rapporrotra originale e traduzione può essere rintracciato, tradotto in una lingua dilegno, ma semanticamente riprodotto con grande fedeltà, in tutti i trattatigiuridici riguardanti il diritto positivo delle traduzioni. Ciò si verifica siacJre si tratti dei pdncipi generali della differenza oúginale/traduzione (laseconda essendo "derivata" dal primo), sia delle traduzioni di traduzioni.Si dice che la traduzione di una naduzione è "derivata' dall'originale enon dalla prima traduzione. Ecco ora alcuni estîatti dal diritto francege;ma, sotto questo aspetto, non pafe esistere alcuna opposizione tra esso ealti diritti occidentali (rimane il fatto che uno studio di diritto comparatodovrebbe conceînere anche la traduzione dei testi di diritto). Come ve-dremo, queste proposizioni fanno riferimento alla polarità espressione/espresso, significante/significato, forma/fondo.

All'inizio Benjamin affermava anche che la ttadtzione è una forma, e laseparazione simbolizzantef simbolnzato organizza tutto il suo saggio. Dun-que, in che cosa questo sistema di opposizioni è indispensabile a tale dirit-to? Petché, a partire dalla distinzione tra I'originale e la traduzione, soloesso permette di riconoscere una qualche originalità alTa traduzione. Que-stbriginalità è determinata come odginalità delT'espressioae, e questo è unodei frequenti filosofemi classici alla base di questo diritto. Senza dubbiol'esptessione è opposta al contenuto, e la traduzione, che si ritiene non in-tervenga sul contenuto, dwe essere originale soltanto attraverso la linguacone espressionel ma I'espressione viene anche opposta a ciò che i giuristifrancesi chiamano conposizione dell'odginale. In genetale la composizioneè posta dal lato della forma; qui, tuttavia, la forma d'espressione nella qua-le si può riconoscere al traduttore una certa otiginalità e a questo titolo undiritto d'autore-uaduttore, è soltanto la forma di espressione linguistica, lascelta delle parole nella lingua ecc. Cito il testo di Claude Colombet, Pro-

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priété littéraire et artistique3, da cui estraggo solo poche righe, in confor-mità alla legge dell'L1 matzo t957, ricordara all'inizio del libro. Questalegge " autorizza analisi e brevi citazior.i soltanto a scopo di esempio o d'il-lusttazione", poiché "ogni rappresentazione o riproduzione integrale o par-ziale, fatta senza il consenso dell'autore o degli aventi diîitto o aventi cau-sa, è illecita", costituendo "quindi una contraffazione sanzianata dagli arti-coh 425 e seguenti del Codice Penale" (p. 5a). Le traduzioni sono opereoriginali solamente nell'espressione. Restrizione dawero paradossale: la pie-Úa angolare dei diritti d'autore è che in realtà soltanto la forma può essereoggetto di proprietà e non le idee, i temi, i contenuti, che sono proprietàcomune e universale a. Una prima conseguenza è positiva, dal momento cheproprio questa forma definisce I'originalità della taduzione; un'altra con-seguenza potrebbe risultare però disasffosa, poicJré condurrebbe all'aboli-zione di ciò che distingue l'originale dalla traduúone se, ad esclusione del-l'espressione, si ri{à ad una distinzione di fondo. A meno che il valore dicomposizione, per quanto poco rigoroso, non imanga come indice del fattoche Úa originale e traduzione il rapporto non è né di espressione, né dicontenuto, ma di qualcosa al di là di queste opposizioni. Se consideriamoil disagio - talvolta comico nella sua casistica - che i giuristi incontranonel ttarre conseguenze da assiomi del tipo "Il diritto d'autore non proteggele idee; ma queste possono essere protette, talvolta indirettamente, da altrimuzí oltte che dalla legge dell'l.l. marzo 1957", op. cit., p. 21, si può va-lutare meglio la storicità e la fragilità concettuale di questa assiomatica.L'articolo 4 della legge pone le traduzioni tra le opere protette; infatti èsempre stata riconosciuta I'originalità del traduttore nella scelta delle espres-sioni per rendere nel miglior modo possibile in una lingua il senso di untesto in un'altra lingua. Come dice M. Savatier "I1 genio di ogni lingua dàall'opem tradotta una fisionomia propria; e il traduttore non è un sempliceoperaio. Egli partecipa direttamente a una creazione derivata dí cui è te-sponsabile". Effettivamentela tradtzione non è il risultato di un processoautomatico: attraverso le scelte che'opera tra molte parole e molte espres-sioni, il traduttorc compie un'opera dello spirito; ma, evidentemente, eglinon dovrebbe modificare la composizione dell'opera tadotta, poiché è te-nuto al dspetto di quest'opem.

IJtiJizzando altri termini, Desbois dice la stessa cosa con qualche ulte-riore precisazione: "Le opere deriuate cbe sono originali nell'espressione".Non è necessario che I'opera presa in considerazione, per essere relatiaa-nente originale (il corsivo è di Desbois), porti I'impronta di una pet-

3 F.A. Dalloz, t976.t Cfr, tutto i primo capitolo di queeto kbto, L'absence de protection des ídées parle droit il'atteur,

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sonalità sia nella composizione e nell'espressione, sia negii adattamenti.È sufficiente dre I'aurore, pur seguendo puntualm.nt" "lo wiluppo di

ynbpera ch9 sià esiste, abbia rcalizzato un atto personale nell'espressione:l'articolo 4 1o affesta, poicJré, in un elenco non èsaustivo delle opere deri-vate, pone te traduzionl al posto d'onore. "Traduftore, úaditorC, diconoyolentieri gli italiani, con una boutade che, come ogni medaglia ha il suodiritto e il suo rovescio: se ci sono cattivi taduttoi che mòltipli.ano glietroti, altri sono irtati gtazie alla perfezione del loro compito. Il rischiodi un errore o di un'imperfezione ha come contropartita la prospettiva diuna vetsione autentica, che implica una perfetta conoscerìza delle due lin-gue, un'abbondanza di scelte accorte, e perciò uno sforzo creativo. La con-sultazione di un dizionario può appagrire solo i candidati mediooi all'esamedi maturità: il traduttore coscienzioso e competente ,,mette del suo" ecrea ogm cosa come il pittore dre fa la copia di un modello. La verifica diquesta conclusione ci viene oÍfefia quando paragoniamo piú raduzioni diun solo ed unico testo: ognuna potrà essere diversa dalle alffe senza perquesto contenere un effore; la vadetà dei modi di espressione di uno stessopensiero mostra, atuaverso la possibilità di una scelta, che il compito deltraduttore permette il manifeshrsi della personalità. (Le droit d'auteur enFrunce s). Si può notare, comunque, che il compito del traduttorc, conhna-to nel duello delle lingue.(mai piú di due), si limita a dar luogo a uno 'sfor-zo cteativo" (sforzo e tendenza piuttosto che compimento, lavoro artigia-nale piuttosto che esecuzione artistica), e quando il Úaduttore "creai ècome un pittore che copia il suo modello (pamgone assurdo per piú di unmotivo, come dovrebbe essere evidente). In ogni caso, si noti il ;icorreredella parola "compito" in quanto intteccia tutte le significazioni in unarete, sempre con la stessa interpretazione valutativa: dovere, debito, tassa,canone, imposta, onere ereditario e di successione, obbligo nobiliare, faticapef metà cteativa, compito senza fine, incompiutezza essenziale, come se ilpîesunto creatore dell'originale non fosse anch'egli indebitato, tassato, ob-bligato da un altro testo, come se non fosse un ffaduttore a priori.

Fra il diritto uascendentale (come Beniamin ripete) e il diritto positivoche viene espresso cosl fatimsamente e tdvolta cosl volgarmente nei Úat-tati sui diritti d'autore o sui diritti delle opere, si presenta un'analogiacrhe trova conferma, ad esempio, in ciò c5e riguarda la nozione di deriva-zione e le Úaduzioni di taduzione: queste ultime sono sempre derivate dal-l'odginale e non da uaduzioni preredenti. Ecco unbsservazione di Desbois:"Anche quando an&à a cercaîe consiglio e ispirazione in una maduzioneprecedente, il Úaduttore non rinuncerà ad un apporto personale. Non ri-fiuteremmo Ia qualta d'autore di unbpera derivata, in rapporto a tradu-

I Dalloa, 1978.

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zioni precedenti, a coluí 6ls si limilasse a scegliere, fra le numerose versio-ni già pubblicate, quella secondo lui piú adeguata allbriginale: passandoda una aJl'ùtra, prendendo un passo da questa e uno da quella, egli cree-rebbe unbpera nuova per il fatto stesso di atiTizzarc procedimenti com-binatod, che rendono la sua opem diversa dalle produzioni precedenti.Egli ha compiuto un atto creativo, poiché la sua uaduzione riflette unaforma nuova, deriva da confronti e da scelte- A nostro parere il traduttoreconserva i suoi meriti benché sia srato condo*o dalle sue riflessioni allostesso risultato di un precursore, di cui per ipotesi avrebbe ignorato illavoto: lungi dal costituire un plago, Ia sua replica involontaria potereb-be il segno della sua personalità, presenterebbe una 'novità soggettiva'che richiederebbe protezione. Le due versioni, svolte alfinsaputa I'una del-l'al1u:a, hanno dato luogo separatamente e isolatamente a manifestazioni dipersonalità. La second.e sarà un'opera deriuata direttamente dall'opera tra-dotta e non dalla prirno traduzione" (op. cit., p. 41. I1 corsivo èmio).

Qual è il rapporto fra questo diritto e la verità?La taduzione promette un regno alla riconciliazione delle lingue. Que-

sta promessa, evento propriamente simbolico cJre collega, accoppia, uniscein matrimonio due lingue come le due parti di un tutto piú grande, richiedeut'a lingua della verità fSpraclte der Waltrbeit]. Non una lingua vera, ade-guorta 4 qualche contenuto esterno, ma una vera lingua, una lingua la cuiverità si riferisca solo a se stessa. Si ttatterebbe della verità come auten-ticità, verità di atto o di evento che apparterrebbe all'originale piuttostoche alla taduzione, anche se lbriginale è già in una situazione di domandao di debito. E se ci fosse una tale autenticità e una taLe forza di evento inciò che corrent€mente chiamiamo ftaduzione, sarebbe perché essa si pro-durrebbe in qualche modo come opera originale. Ci satebbe allota un mo-do originale e inaugurale di indebitarsi: sarebbe il luogo e la data di ciòche viene chiamato un originale, un'opera.

Pet tradurre adeguatamente ciò che Benjamin intende quando parla di"lingo. della verità", è forse necessario ascoltare ciò che egli dice normal-mente del "senso intenzionale" o del "modo intenzionale" flntention derMeinung, Art des Meinensf. Come ricorda Maurice de Gandillac, questecategorie provengono (sono ptese a prestito) dalla scolastica di Brentanoe Husserl. Esse svolgono un ruolo imtrnrtante, anche se non sempre cliaro,neL Compito del traduttore.

Che cosa s'intende con il concetto di intenzione fMeìnenf? Riptendiamodal punto della traduzione in cui sembra annunciarsi una parentela tta leliogo., al di là di ogni somiglianza tra un originale e la sua riproduzione,e indipendentemente da ogni filiazione storica. Peraho la parentela nonímplica necessariamente la somiglianza. Ciò detto, talasciando lbrigine

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storica o naturale, Benjamin non esclude la possibilità dell'origine in unsenso completamente diverso, un'origine in generale, nello stesso modo incui lo fanno un Rousseau o un Hussed in contesti e modi analoghi. Ben-jamin lo dice esplicitamenre: "il concetto di origine lAbstannangsbegrilllîrTlane indispensabile" per un accesso veramente rigoroso a qu.ita paren-tela o a quesra afÍimtà tra le lingue. Dove cercare allora questa airinitaoriginaria? La vediamo annunciarsi in un piegamento, in un ripiegamento ein uno spiegamento delle intenzioni. Per muzo di ogni lingo" si intendequalcosa che è la stessa e che tuttavia nessuna lingo" può raggiungere se-paratamente. Esse pretendono e si ripromettono di raggiungerla solo impie-gando e spiegando insieme i loro modi intenzionali, "il turto dei loro modiintenzionali complementari". Questo spiegamento verso il tutto è un ripie-gamento poiché ciò che cerca di raggiungere è "il linguaggio puto" fd.iereine Spracbef o la pura lingua. Ciò che si intende con quesra coopera-zione delle lirgo. e dei modi intenzionali non rrascende la lingua, non èuna realtà che esse investirebbero da ogni lato come una torre che essetenterebbero di accerdriare. No, il loro vero scopo, individuale e comune,nella traduzione, è la lirgo" stessa come awenimento babelico, una linguache non è la lingua universale nel senso di Leibniz, una lingua che non ènemmeno una lingua naturale, ma l'essere lirgou della lingua, die reineSpracbe, la lingua o il linguaggio in qaanto tali, questa unità senza alcunaidentità in sé, la quale fa in modo che vi siano delle lingue e che esse sia-no lingue.

Queste lingue entrano in contatto reciproco nella Úaduzione in una ma-niera inedita. Esse si completano, dice Benjamin; ma non esiste nulla chepossa rappresentaîe questa completezza, o questa complementarità simboli-ca. Tale singolarità (non rappresentabile da alcuna cosa al mondo) deriva,senza dubhio dal modo intenzionale o da ciò che Benjamin cerca di tra-durre nel linguaggio scolastico-fenomenologico. All'interno dello stesso mo-do intenzionale bisogna distinguere rigorosamente ua ciò che è oggetto diintenzione, I'inteso ldas Gemeintef e rI modo dell'inrenzione fdie Art desMeinensf .Il compito del taduttore, dal momento in cui prende visionedel contatto delle lingue e della sperrinza della "pum lingua",esclude o lascia tra parentesi "l'inteso".

Solo il modo dell'intenzione assegna il compito della traduzione. Ogni'cosao, nella sua presunta identità (ad esempio il pane stesso), è intesasecondo modi diversi in ogni lirgo" e in ogni testo di ogni lingua. È traquesti modi che la traduzione deve cercare, produrre o riprcdurre, una com-plementarità o un'"amonia". E dal momento c:he completare o comple-mentare non corrisponde ad alc,una totalità mondana, i1 valore d'armonia siadatta a questa sistemazione, a ciò che qui potremo c-hiamare l'accordo del-le lingue. Tale accordo, annunciandolo piuttosto che presentandolo, lascia

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rizuonate Í1 puro linguaggio e l'essere-lingua della lingo". Finché esso nonha luogo, il puro linguaggio rimane nascosto, celato laerborgenl, mufatonell intimità nottuma del nnocciolo". Solo una taduzione può farlo venitealla luce.

Venfue alla luce e soprattutto sviluppare, far crescere. Sempre attenen-dosi allo stesso motivo (rn apparcnza organicista o vitalista), si direbbe al-lora clre ogni lingua è come attoÍnzata nella sua solitudine, magta, bloccatanella sua crescita, inferma. Gnzie alla Úaduzione, in altre parole a questazupplementarita finguistica pet mezzo della quale una lingua dà all'altraciò cl:e le manca, e in modo armonioso, quest'incrocio delle lingue assicurala crescita delle lingue, e anche la "santa crescita delle lingue" fino alla"fine messianica della storia". Tutto ciò è annunciato nel processo di tm-duzione, attraveîso l"'etema soprawivenza delle lirgn." lan ewigen Fort-leben der Sprachenf o la "dnascita lAafleben] infinita delle lingue". Qo.-sta perpetua reviviscenza, questa costante rigenerazione lFort- e AufJebeniper mezzo della ffaduzione, non è tanto una rivelazione, la rivelazione stes-sa, quanto un'annunciazione, un'alleafiza e una pfomessa.

Qui il codice religioso è essenziale. I1 testo sacro indica il limite, il mo-dello puro, anche se inaccessibile, della traducibilità pura, I'ideale a partiredal quale si pouà pensare, valutare, misurare la raduzione essenziale, cioèla traduzione poetica. La traduzione, in quanto santa ctescita delle hgr.,annuncia sicuramente la fine messianica; ma il segno di questa fine e diquesta crescita non è "presente" fgegenuàrtìg] che nella "consapevolezzadi questa distanza" nell'Entfernang, l'allontanamento che ci mette in rela-zione con essa. Possiamo conoscere questo allontanamento, esserne a co-noscenza o presentirlo, ma non possiamo vincetlo. Eppure esso ci mette incontatto con questa "lingua della vetità" che è il "vero linguaggio" [so isldìese Sprache der'Wahrbeit- die uabre Spracbe]. E questo contatto awie-ne per mezzo di un "presentimento", in un modo "intenso" che rcnde pte-sente ciò che è assente, cJre lascia venire la separazione come separazione,fort: da, PoÚemmo dire che la *aduzione è esperienza, ciò che viene tra-dotto come ciò che viene provato: l'esperienza è traduzione'

Il da-tradurre del testo saco, la sua pura traducibilità, ecco ciò che daràin ultina istanza la misura ideale di ogni traduzione. Il testo sacto assegnail suo compito al maduttote, ed è sacro in quanto si annuncia come ttasfe-ribile, semplicemente trasferibile, da-6adurre; e ciò non sempre vuol diretraducibile nel senso comune che abbiamo scaftato fin dall'inizio. Forse quisi dowebbe distinguere ta il tasferibile e il ttaducibile. La tmsfetibilitàpura e semplice è quella del testo sacro nel quale il senso e la letterditànon si distinguono piú in quanto formano il corpo di un evento unico, in-sostituibile, non tasfetibile, "materialmente la verità". Mai l'appello alla6aduzione, al debito, al compito, all'assegnazione sono píú utgenti' Non

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c'è piú nulla di trasfetibile, fiu a causa di questa indistinzione del senso edella letteralirà ÍlViiîtlicbkeitl, í rasferibile puro può annunciarsi, darsi,presentarsi, lasciarsi tradurre in quanto intraducibile. Da questo limite, altempo stesso intemo ed esterno, il traduttore riceve tutti i segni dell'al-lontanamento fEntfernung] che 1o guidano nel suo percorso infinito, albordo dell'abisso, della follia e del silenzio - le ultime opere di Hólderlincome taduzioni di Sofocle, il crollo del senso "da abisso in abisso"; e que-sto pericolo non è quello dell'incidente, ma la trasferibilità, la legge dellaraduzione, il da-tradurre come legge, I'ordine dato, lbrdine ricevuto -e la follia attende dai due lati. Ed essendo impossibile I'approccio al tesrosaco clre pure Io ordina, la colpevolezza infinrta vi assolve immediata-mente.

È ciò che ormai porta il nome di Babele: la legge imposta dal nome diDio che al tempo stesso vi ordina e vi proibisce di tradune mostandovi esottraendovi íl limite. Ma non si ttatta soltanto della sítuazione babelica,né soltanto di una scena o di una struttura. È anche 1o statuto e l'eventodel testo babelico, del testo del Genesi (testo unico sotto questo aspetto)come testo sacro. Esso deriva dalla legge che racconta e traduce in modoesemplare. Esso istituisce la legge di cui parla, e d'abisso in abisso deco-struisce la torre, e ogni tour, i tours di ogni genere, con un ritmo costante.

Ciò che succede in un testo sacro, è I'evento di un pas de sens, E que-st'evento è anche quello a partire dal quale si può pensare il testo poeticoo letterario che tende a riscattaîe il sacro petduto e a ftadurvisi come nelsuo modello. Pas-de-sens non significa povertà ma un non-senso che sia essostesso senso, al di fuod di una "letteralità". Ed è qui che si tova il saco.Esso si afÍida alla traduzíone che a sua volta si abbandona al sacro. Il sa-cro non sarebbe nulla senza di essa ed essa non esisterebbe senza di lui inquanto sono inseparabili. Nel testo sacîo "il senso ha smesso di essere lalinea di divisione fta il flusso del linguaggio e il flusso della rivelazione".Esso è il testo assoluto poicJré nel suo accadere non comunica niente, nondice nulla che abbia un senso al di fuori di quest'evento stesso, il qualesi confonde perfettamente con I'atto di linguagio, per esempio con la pro-fezía. Esso è letteralmente la lettetarità della sua lingua, il "puro lingo"g-gio". E poiché nessun senso come tale si lascia staccate, Úasferire, ffaspor-tare, tradume in un'altra lirgo", esso esige immediatamente la ffaduzioneche sembra rifiutare. Vi è soltanto la lettera, ed è la verità del linguaggioputo, la vetità come linguaggio puto.

Questa legge non sarebbe una costrizione esterna; essa accorda una Ii-bertà alla letterarità. Nello stesso evento, la lettera cessa di opprimere dalmomento che non è piú il corpo esterno o il coîsetto del senso. Essa sinaduce andre da sé, ed è in questo rapporto del corpo sacro con se stessoc-he si trova impegnato il compito del ttaduttore. Tale situazione, pet quan-

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to radicale, non esclude i gradi, la virtualità, f intervallo e 1o spazio inter-medio, lafatica infinita pet raggiungere ciò dre è tuttavia passato, già dato,anche qui, tra le righe, già firmato.

Come tradurreste una firma? E come ve ne asteneste, sia che si ffatti diIaweh, di Babele o di Benjamin quando firma vicino alla sua ultima paro-la? Ma alTalettera, e tra le righe, è di nuovo la firma di Maurice de Gan-dillac che cito infine ponendo Ia nia ultima domanda: si può citare unafirma? "Infatti, a un ceîto livello, tutte le grandi scritture, ma sopmttuttola Scrittura santa, contengono tîa le righe la loro 6aduzione virtuale. Laversione interlineare del testo sacto è il modello o f ideale di ogni tradu-zione".

neduzione di Stefano Rosso

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