CAM- ON - madianorizzonti.it · remo solo un idolo, un pagliaccio frutto di una distorta mente...

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- . 3 | 2013 NOTIZIE Attività e progetti CAM- ON HAITI | GEORGIA | ARMENIA | KENIA | ARGENTINA INDONESIA | INDIA | FILIPPINE

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NOTIZIE Attività e progetti

CAM-ON

HAITI | GEORGIA | ARMENIA | KENIA | ARGENTINAINDONESIA | INDIA | FILIPPINE

EDITORIALE

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Madian Orizzonti Onlus e in particolare la Comunità Madian di Torino da ben 33 anni si oc-cupa di immigrati e quello che è successo quest’anno, i viaggi della morte, i continui “anne-

gamenti” di uomini, donne incinte, bambini, non può non suscitare dubbi sulla capacità umana di saper leggere nel volto di un uomo la presenza di un essere umano, non di un numero (18 morti, 300 morti, 2.000 morti), non di un sacco di spazzatura, non di uno scocciatore in più, non di un clandestino che ci ruba il lavoro e il benessere, ma di un uomo.Questo numero di Cam-on è quello di Natale e a Natale questo celebriamo: un bambino che na-sce! Ma come si fa a celebrare questo bambino e lasciar morire annegati, di fame, di malattia, di malnutrizione migliaia e migliaia di bambini nel mondo?Due fatti accaduti casualmente lo stesso giorno in due diverse parti del mondo hanno scosso tutti noi: il naufragio di un barcone di immigrati con 200 morti il 3 ottobre e sempre il 3 ottobre il linciaggio in Madagascar di tre europei mercanti di organi, procacciatori di bambini per pedofili. Un bambino al quale sono stati tagliati i genitali e la lingua è stato ritrovato morto in un villaggio turistico del Madagascar e per questo i tre colpevoli sono stati, da una folla inferocita e stanca, linciati e uccisi. Vogliamo chiedere a questo Dio bambino che ci aiuti a riposizionare la centralità dell’essere umano, a riconsiderare il nostro valore, ma soprattutto il valore di un bambino, di un solo e singolo bambino. Se abbiamo perso il senso dell’uomo non andiamo a cercare Dio, trove-remo solo un idolo, un pagliaccio frutto di una distorta mente umana.In questo Natale lasciamo stare gli angeli, i pastorelli, i re magi, la stella cometa, tutto questo armamentario sentimental-religioso che serve solo a stordirci, ad alienarci ulteriormente, ad il-luderci di credere in qualche cosa e finalmente incamminarci alla ricerca e scoperta dell’uomo, semplicemente dell’uomo, perché è lui che abbiamo perso di vista e non Dio.Una volta ritrovato l’uomo, solo allora potremo riprendere la nostra ricerca di Dio, celebrare il Suo Natale con spirito di verità e non d’ipocrisia.Un plauso agli abitanti di Lampedusa, un plauso a tutti noi tutte le volte che di fronte alla tragedia, alla morte e alla vita di tanti nostri compagni nella comune umanità sapremo fermarci, soccorrerli, porgere non una mano ma la nostra mano per farli passare dalla morte alla vita, dalla disperazio-ne alla speranza, dalla fame alla sazietà, dalla malattia alla salute, dalla solitudine alla relazione, dall’abbandono all’accoglienza, dall’anonimato all’identità, dal disprezzo all’amore, dalle lacrime al sorriso, dall’avvilimento alla dignità, dalla schiavitù alla libertà, dalla disoccupazione al lavoro.Solo questo è Natale, tutto il resto è fiaba.Ancora una volta Papa Francesco con le sue parole, i suoi gesti, le sue scelte, il suo esempio, ci traccia il cammino e ci invita ad immergerci nell’immensità del dolore umano per ritrovare noi stessi nel rispetto dell’altrui dignità.Nel mondo c’è tanta malvagità e sofferenza, ma anche tanti uomini e donne di buona volontà che nel silenzio e nella quotidianità sanno portare un po’ di luce, di speranza di amore; sono loro la forza del mondo. È questa folla anonima che lavora, lotta, prega, ama e se ne va senza lasciare traccia, che con la semplicità della sua vita ci impedisce di precipitare nel baratro del non senso e costruisce futuri possibili.Questo vuole essere l’augurio di Natale mio e dei collaboratori di Madian Orizzonti Onlus, unito al grazie che viene dal cuore per il vostro coinvolgimento, il sostegno, la forza che ci infondete. Tutti insieme possiamo fare molto per molti, ma soprattutto tutti insieme possiamo prendere co-scienza del nostro essere al mondo, portatori concreti di una nuova rinascita.In questo numero natalizio, così ricco di riflessioni ed esperienze missionarie vissute, troverete due nuovi impegni di Madian Orizzonti Onlus in due nuovi paesi, il Kenia e l’Indonesia. Già nei numeri precedenti abbiamo proposto il progetto “Sostegno ai bambini malati di AIDS della ca-setta Kiboko del Dala Kiye – Karungu” per bambini orfani; a questo si aggiunge la nuova realtà di Flores in Indonesia, dove viene dato sostegno scolastico a 100 alunni della scuola elementare del villaggio di Gere. Proseguendo la parte tematica di riflessione sulle gravi problematiche che investono milioni di

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abitanti del pianeta terra, parleremo dell’attualissimo tema della immigrazione, con un tosto ar-ticolo di Luca Rastello giornalista di Repubblica e autore di diversi libri alcuni dei quali trattano proprio questo argomento. Nel mese di ottobre è arrivato in Italia Padre Emilio Balliana che è stato intervistato da Alessan-dro Battaglino sulla sua esperienza ventennale come missionario in Kenya e in particolare della sua opera di Karungu. A fine Novembre è arrivato in Italia dopo 6 anni di assenza padre Massimo Miraglio, missionario ad Haiti che ha ricevuto il prestigioso riconoscimento della Chiocciola della solidarietà dal comu-ne di Borgo San Dalmazzo.Inoltre, un progetto particolarmente importante arriva da Haiti: la costruzione di un piccolo vil-laggio (12 casette) per i terremotati che vivono ancora all’aperto nelle tendopoli (si fa per dire!); abbiamo già acquistato il terreno e costruito le prime quattro casette.Dalle Filippine, colpite dal tifone Yolanda, e in particolare dall’Ospedale St. Camillus di Cal-bayog che sta diventando il centro sanitario di riferimento per le vittime del tifone, è arrivata la richiesta di aiuto per acquistare cibo, acqua, materiale igienico e vaccini.Dall’India è giunta una richiesta da parte di suor Puspha per l’orfanotrofio femminile di Yella-manchilli. Madian Orizzonti garantirà i pasti alle 40 bambine ospitate che stanno attraversando un momento non facile.Infine Padre Crescenzo ci invia da Haiti un aggiornamento sul Foyer Bethléem cuore della no-stra missione e un nuovo desiderio che presto diventerà un progetto: ristrutturarlo per renderlo più accogliente e funzionale.Tutto questo e altro ancora troverete scorrendo le pagine di questo numero di Cam On. Nel rinnovarvi il nostro grazie e l’augurio di un Natale buono e vero ci prepariamo tutti insieme ad affrontare il nuovo anno che ci attende con una rinnovata capacità di sfidare noi stessi per conti-nuare a vivere, a credere, ad amare e a lottare per un mondo che valga la pena di costruire e per una vita che abbia senso vivere.Auguri Padre Antonio

EDITORIALE

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FOCUS

Naufragidi Luca Giovanni Rastello

Forse sarebbe ora di smetterla con il tormentone consolatorio sui profughi “salvati” e i bar-coni “soccorsi”: affresco illusorio di un mondo di italiani buoni, soprattutto militari, sparsi

per le acque del Mediterraneo e impegnati allo stremo nel dare aiuto a migliaia di disperati. Talmente disperati, si direbbe, da non sapere neanche bene perché si trovano in quelle acque, diretti dove e su che mezzi, destinati dunque per necessità naturale al naufragio e alla disper-sione, a meno di imbattersi nelle salvifiche unità navali italiane.Come se uno che ti spara diffondesse solo la notizia che ti ha poi portato al pronto soccorso. Papa Francesco ha definito quanto accade a sud delle nostre coste, senza possibilità di equivo-co, “una vergogna”. E si tratta di una vergogna che ha assunto i toni del grottesco e dell’insulto nelle immagini dei miserabili “funerali di stato” riservati qualche settimana fa alle vittime di

uno dei tanti (non certo il primo, non l’ultimo, non il più sanguinoso, ma solo il più vistoso) naufragi alle soglie del nostro Paese. A Lampedusa si sono vi-sti politici italiani ed europei in vena di passerella umanitaria schierati davanti alle bare di bambini, donne, uomini i cui parenti sopravvissuti venivano te-nuti lontani “per sicurezza” e, sempre per sicurezza e legalità (quella del no-stro paese, e meditino i feticisti della legalità intesa come valore assoluto), incriminati per il reato di clandestinità. Per colmo di cinismo e burla del desti-no, una classe politica indifferente fino almeno a che non si accendono i riflet-tori, e certamente infinitamente igno-rante, ha pensato bene di invitare alla cerimonia, quale esponente ufficiale, nientemeno che l’ambasciatore eritreo,

cioè il rappresentante legale di una delle più feroci dittature del pianeta, capace di condannare a morte o all’arruolamento perpetuo ai lavori forzati militari chi si rende colpevole di reati non previsti in nessun’altra legislatura al mondo (tranne la Bielorussia) come l’”espatrio illegale”. La dittatura, cioè, da cui fuggiva la stragrande maggioranza delle vittime di quel naufragio, gente che, se riconsegnata nelle mani di quell’ambasciatore invitato dai nostri politici al fune-rale, ne avrebbe avuto in cambio una sentenza di morte o di lavori forzati a vita. Non fosse una tragedia si dovrebbe ridere di chi ha la delicatezza di affidare al gatto la commemorazione dei passerotti. Ma siamo un paese dove non si ride del potere e mai se ne mette in dubbio la retorica.Non si può distogliere lo sguardo, neppure ubriacandosi con i discorsi fintamente critici delle massime cariche dello stato: i morti offesi dalle cerimonie di Lampedusa sono vittime, le enne-sime, di una vera e propria guerra, dichiarata dall’Europa - a dispetto di tutti i principi sacri enunciati nelle sue Carte costitutive - a chi tenta di sfuggire morte, oppressione, guerra, fame.

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FOCUS

A chi tenta di raggiungere il continente dei diritti per definizione, culla di quella Convenzione di Ginevra che, all’articolo 1 sancisce il diritto senza eccezioni di chi fugge dal proprio Paese per motivi di discriminazione e diretto pericolo di vita (come gli eritrei) a godere dello status di Rifugiato Politico, e con esso, concretamente, di tutti i diritti dei cittadini europei. Diritti garantiti sulla carta e negati, fino all’omicidio, nella realtà. Eppure, sia pure in senso paradossale, non si può negare che le carte che enunciano quei diritti non abbiano effetto sulle scelte politiche dei nostri go-verni: non potendo negare lo status di rifugiato a persone che soddisfa-no appieno la definizione di “per-seguitato” data nella convenzione di Ginevra, se queste si presenta-no sul nostro territorio, l’Europa risolve il suo conflitto di coscienza impedendo con ogni mezzo pos-sibile - in primo luogo le armi - a quelle persone di raggiungere que-sto territorio. Chi muore in mare, chi torna indietro, chi si perde ne-gli infiniti viaggi della morte o nelle mani dei trafficanti non infastidirà le autorità occidentali con richieste imbarazzanti. Si chiama Frontex il principale strumento di questa guerra che ha prodotto negli ultimi quindici anni più di 19 mila vittime identificate (e chissà quante in-ghiottite dal nulla), più di quelle, per fare un esempio, provocate dal conflitto in Croazia del 1991-92 (anche se nel caso croato si potè usare il termine “guerra”, imbarazzante invece quando, come nel caso attuale, ci si dovrebbe identificare in una delle due parti combattenti). L’Agenzia Frontex è l’istituzione europea - costosissima per le casse dei singoli stati - volta alla sorveglianza dei confini dell’Unione: la sua struttura e i suoi compiti sono di natura militare. Si tratta un vero e proprio esercito, dotato di navi, aerei, elicotteri, apparati di intelligence e truppe speciali di intervento alle frontiere. La sua prima missione è erigere una barriera e, solo in seconda battuta e a seconda delle scelte contingenti di un governo o di un capitano in mare, soccorrere chi su quella stessa barriera si infrange. La retorica dei soccorsi suona come la vignetta del New York Times in cui un pugno di naufraghi legge un cartello affisso su un muro coperto di filo spinato che impedisce loro di accedere alla battigia: il cartello spiega ai disperati che il muro è stato eretto dalle istituzioni europee per solidarietà e tutela della loro stessa sicurezza. Il principio, invece, appare sempli-ce e antico quanto il mondo: non infastidirmi con la tua malasorte e procura di morire lontano dallo sguardo dei miei concittadini. Con ciò evita fra l’altro che venga messo in discussione un presunto sistema di “legalità” tanto enunciato quanto disatteso (come nel caso dei diritti dei rifugiati nelle convenzioni internazionali) che permette enormità come l’incirminazione delle vittime di naufragio per “immigrazione clandestina” e la chiusura indefinita in attesa di espulsione nei cosiddetti “Centri di Detenzione Amministrativa (è la dizione europea, da noi si chiamano ora Centri di Identificazione ed Espulsione) vere e degradatissime carceri dove si scontano pene senza aver commesso delitti. Centri introdotti in Italia, è bene ricordarlo, dalla legge Turco-Napolitano (proprio lui) di cui la famigerata, vivente, sfilacciata Bossi-Fini co-

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stituisce per molti versi un’attenuazio-ne (sia pure forzata dalla necessità di recepire alcune direttive europee). Come dire che la precedenza data alla repressione rispetto alla solidarietà è politicamente trasversale, patrimonio sciagurato di destra e sinistra (qualun-que cosa queste espressioni vogliano dire). A tutt’oggi, comunque, il nostro paese, e la stessa Unione, non dispon-gono di un sistema legislativo coerente in materia di rifugio politico e diritto di asilo: anche questo è un vuoto che si è finora preteso di colmare con il respin-gimento in mare delle future vittime.Ora, nonostante tutto, l’orrore recen-te ha scosso un poco le coscienze, e anche nel mondo politico si è levata qualche voce. E allora forse è il mo-mento giusto per uno scatto in avanti,

per pensare il problema delle migrazioni con piena coscienza, in pieno realismo, senza i pre-concetti legati a un linguaggio politico e giornalistico in cerca soltanto di un consenso facile e impaurito. Scoprendo magari che, rovesciando la prospettiva corrente e muovendo in dire-zione dell’accoglienza anziché dell’esclusione, si finisce per tutelare meglio non soltanto chi viene da noi in cerca di salvezza, ma la nostra stessa società, la nostra economia e anche la nostra sicurezza. È ciò che propongono Luigi Manconi e Valentina Brinis in un libro recente (Accogliamoli tutti. Una ragionevole proposta per salvare l’Italia, gli Italiani e gli immigrati, Il Saggiatore) in cui la questione è affrontata in termini di solida concretezza senza alcun abbandono a retoriche buoniste e inni alla bellezza della multiculturalità (spesso semplici con-traltari romantici della stessa ignoranza che produce la repressione). Basterebbero un paio di dati per alimentare il dubbio che finora si sia corsi precipitosamenti nella direzione sbagliata. In primo luogo l’Italia è sempre più un paese di vecchi: 13 milioni di cittadini sono sopra i 65 anni di età, e fra le professioni più richieste e indispensabili in questo contesto (già in sé scon-fortante), quella dell’assistenza agli anziani è svolta per il 77,3% dei casi da persone straniere (le cosiddette “badanti”). Persone che però nella maggior parte dei casi sono costrette in stato di clandestinità e con ciò private delle tutele legate al lavoro. Nel 2009, Confindustria Veneto, in un documento pubblico auspicava che l’Italia autorizzasse nel successivo decennio non meno di duecentomila ingressi l’anno, per fornire la manodopera indispensabile a un sistema produttivo sempre più paralizzato e pericolosamente propenso a delocalizzare all’estero le la-vorazioni innescando un processo a spirale di depauperamento dell’economia italiana. Ma la scelta governativa è sempre stata quella dell’esclusione e anche per coloro che già ssi trovano sul nostro territorio, quella di costringerli il più possibile in uno stato di minorità, possibilmen-te in condizioni di illegalità che costituiscono una forma di ricatto permanente ai limiti - come si è visto spesso nel caso del bracciantato a Sud, Rosarno per tutti - della schiavitù. Inermi e disponibili per necessità a ogni forma di sfruttamento, duqnue: dal ruolo di badante sottopa-gata in nero al servizio di manovalanza per la criminalità organizzata. Come se, tacitamente, si trovasse tutti un vantaggio nella quota di disperazione permanente a cui vengono costretti i rifugiati: forza lavoro ma in condizione servile.

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FOCUS

Per non andare lontano, e non dimenticare che l’orrore si annida nei dettagli quotidiani e sul-la soglia di casa, conviene ricordare la sciagurata politica del Comune di Torino nelle ultime quattro legislature, che ha scelto di non concedere la residenza (intendo proprio il certificato) ai rifugiati politici, i quali pure a titolo di legge e convenzioni internazionali ne hanno pieno diritto. Perché? Senza certificato di residenza (che il Comune invece concede senza problemi ai senza fissa dimora) è impossibile cercare lavoro, convertire una patente di guida, ottenere i servizi elementari che un’amministrazione locale mette a disposizione dei cittadini. In poche parole: senza residenza è impossibile costruirsi un’autonomia pur minima di vita, tentare di mantenersi e cessare di essere un peso per la comunità. Ma il timore di proteste semirazziste o razziste da parte degli elettori spinge da vent’anni la “progressista” Torino a una scelta che aumenta il disagio di tutti: dei migranti impossibilitati a costruire la propria vita e della città che si trova addosso un carico di assistenza, laddove potrebbe invece disporre di risorse lavo-rative e creative. Si può notare che da sempre i rifugiati costituiscono in larga parte la parte più attiva della società di provenienza, e che dimostrano con le loro difficili vite una capacità “imprenditoriale” su sé stessi che li distingue anche nella società di arrivo. Come ben sanno civiltà contemporanee costruite sull’immigrazione come gli Stati Uniti, l’Australia e altri Paesi che si trovano oggi ai vertici dello sviluppo. Può sembrare retorica, ma non è inutile tenere a mente che, per fare un nome, Albert Einstein era un rifugiato. Istituzioni locali, nazionali e continentali mostrano la stessa disinvoltura, dunque, nel calpe-stare quegli stessi diritti su cui fondano la propria identità democratica e in nome dei quali sono capaci di impoore sanzioni o addirittura muovere guerra ad altri paesi. Ma, come rile-vano Manconi e Brinis, le società dell’altra sponda del Mediterraneo sono caratterizzate da popolazioni in maggioranza sotto i venticinque anni, oltre che da situazioni instabili, carenze strutturali, che diventano gigantesche in aree pur popolose come l’Africa subsahariana o gran parte dell’Asia. I flussi migratori in questa situazione sono allora un fenomeno strutturale, non un problema contingente: qualcosa da governare con razionalità, non da rimuovere. Qualco-sa che avviene indipendentemente dal mercato dlla paura con cui i nostri politici cercano di guadagnarsi il consenso. Un fenomeno storico di portata planetaria, da affrontare per tutelare gli stessi interessi delle società che ne sono investite. Anche in termini di sicurezza: “Ai fini della sicurezza fanno più i diritti della repressione” dichiara il minstro dell’integrazione Cécile Kyenge. A trarre vantaggio dalla cronicizzazione dell’esclusione e della clandestinità sono soltanto le fasce che pensano di garantire il proprio interesse con violenza e sopraffazione, in primo luogo le organizzazioni criminali. Nessun buonismo o romanticismo allora, ma una concretissima preoccupazione di tutela dei cittadini europei è alla base dell’esigenza di una più razionale politica dell’accoglienza: non ge-nerosità ma, se vogliamo, egoismo. Inteso come intelligente governo dei propri stessi interessi. Già oggi l’Italia non può fare a meno dei 5 milioni di immigrati censiti (8% della popolazione, ad esempio uno dei pilastri dell’edilizia nostrana). È un’assurdo incomprensibile, in questa situazione, che l’Italia che paga un prezzo economico esorbitante per la politica di respingi-mento non possieda una politica di ingresso legale: il paradosso umiliante per cui chi entra nel nostro paese, per regolarizzarsi dovrebbe avere già in tasca un contratto di lavoro firmato chissacome e chissadove e chissà in nome di cosa con una ditta italiana. Eliminare questa beffa e introdurre il visto per ricerca di lavoro, costituirebbe il primo passo in direzione una politica coerente, concreta e lungimirante dell’integrazione, della sicurezza e dello sviluppo. Lontano da sproloqui ideologici o emotivi che rispondono più a una logica di schieramento che a una logica di governo. E assai vicino, invece, alla preoccupazione per un paese come il nostro dove sono sempre più allarmanti i segnali di una paralisi economica, culturale, civile da cui forse soltanto un contributo esterno avrà il potere di scrollarci.

KENIA

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La settima meraviglia d’AfricaIntervista a Padre Emilio Balliana

“Ognuno di noi ha un sogno nella propria vita. Il mio era di realizzare qualcosa in Africa. Questo sogno è diventato una realtà che ha superato ogni aspettativa...con il progetto St. Ca-millus di Karungu.Migliaia sono le persone che hanno preso parte a questa avventura e credo che tutti noi pos-siamo essere orgogliosi del risultato. L’idea di questo progetto nasce dal desiderio di dimostra-re in maniera tangibile il massimo rispetto verso i più poveri ed emarginati. La realizzazione dell’Ospedale, per il centro per orfani DALA KIYE e della scuola dedicata al Beato Tezza è il nostro modo di dare alla gente di Karungu una possibilità di riscatto, di riempire di significato la parola dignità, valorizzando il loro potenziale.” Così parla Padre Emilio, Camilliano da Conegliano Veneto e, soprattutto, da 25 anni in Kenya,

nella regione Nyanza sulle sponde del lago Vittoria, al confine con la Tanzania, considerata la più povera del Kenya.Non è Nairobi. Non sono le spiagge in-vase dai turisti. Non è il Kenya dei safari (fotografici e non). Su quelle sponde è nato, nel 1997, il Saint Camillus Mission Hospital che serve una popolazione di 250 mila abi-tanti: 120 posti letto con reparti di me-dicina, chirurgia, pediatria, maternità, malattie infettive in cui la sezione per i malati di HIV è quella più richiesta. L’o-spedale dispone di una sala operatoria, di un laboratorio di analisi, di una sala parto e incubatrici, uno studio dentisti-co e oculistico e un centro di fisioterapia.Padre Emilio dove si sono concentrati e si concentrano i vostri sforzi? Per quanto riguarda l’Ospedale Saint Camillus sui malati di Aids, senza dub-bio. Vent’anni fa la percentuale di am-malati era pari al 40% della popolazione oggi, anche grazie al lavoro che abbia-mo fatto, è scesa al 18%. Dal 2003 l’O-spedale è impegnato con un programma per la terapia antiretrovirale nel quale

sono impegnati 35 operatori; dal 2006 il programma è stato esteso a cinque ambulatori sparsi in diverse aree della zona dove vengono distribuiti i farmaci alle persone che aderiscono al programma. Attualmente sono 5000 i pazienti che ricevono la cura.Un progetto interessante è quello della prevenzione della trasmissione dell’HIV da madre a figlio con cui si verifica lo stato dell’HIV nelle donne in stato di gravidanza al fine di ridurre la trasmissione del virus dalla madre al bambino.

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KENIA

La lotta all’HIV è uno degli assi portanti dell’attività dell’Ospedale. Con il progetto Awake e con quello Happen si sono messe in atto tutte quelle azioni di prevenzione e informazione per limitare il più possibile la trasmissione del virus; entrambi i progetti hanno come obiettivo le scuole: con il primo ci si è concentrati soprattutto sulle scuole della zona di Karungu men-tre con il secondo ci si è estesi alla diocesi di Homa Bay e sono state coinvolte 26 parrocchie ognuna delle quali ha costituito un gruppo che dopo essere stato adeguatamente formato ha iniziato a girare nelle scuole della diocesi. L’obiettivo è di raggiungere 50 mila giovani.A Kurungu non c’è solo l’Ospedale. Nel 1999 la comunità locale ci ha chiesto di fare qualcosa per i tanti, troppi bambini orfani e allora, proprio di fianco dell’ospedale, abbiamo costruito la casa degli orfani Dala Kiye, un posto dove i bambini possono crescere, studiare, giocare, fare sport. Dala Kiye è un centro nutrizionale che ha lo scopo di provvedere ad una dieta bilancia-ta per i 520 bambini che ogni giorno hanno accesso a due pasti ed è anche una scuola primaria e secondaria che abbiamo dedicato al Beato Luigi Tezza.Questo secondo progetto ha avuto un’altra appendice importante. Gli abitanti dei villaggi vicini, visto il Dala Kiye, ci hanno chiesto di fare qualcosa anche per loro e così nei villaggi di Rabuor, Kopala, God Oloo e Obondi abbiamo costruito o ristrutturato altre scuole. In questo modo si è garantita l’istruzione e il sostegno alimentare a 1600 bambini.Non solo bambini a Dala Kyie: sono 45 gli anziani che si occupano degli orfani, cucinano, puliscono, li assistono e che trovano in questo lavoro il loro sostentamento.All’interno di Dala Kiye in sei casette vivono 60 bambini ammalati di AIDS, seguiti da sei “nuove mamme” e trattati con la terapia antiretrovirale. La cosa più bella è vedere che alcuni di quei ragazzi, entrati nel 2000, frequentare con succes-so l’Università. Una piccola soddisfazione.Quali sono i prossimo obiettivi?Senza dubbio quello di proseguire nella lotta contro l’Aids e diminuire il numero di malati e infetti. Quando siamo arrivati la percentuale era il 40% della popolazione, oggi siamo al 18% l’obiettivo per il prossimo quinquennio è di arrivare al 5%.Il secondo obiettivo è quello di rendere economicamente autonoma la zona. Finanziare con microcredito attività e commerci che possano permettere alla popolazione di avere un reddito, vivere e pagare sia le rette per le scuole sia i servizi dell’ospedale che oggi sono completamente gratuiti … e gratuiti significa a carico nostro.Ma a proposito di carico … come ha fatto a finanziare questi miracoli?La storia è divertente (o disarmante per alcuni versi) ma dà il segno di cosa sia la Provvidenza. Il primo blocco dell’Ospedale lo ha finanziato Madian. Poi mentre doveva partire il secondo blocco Madian ha cominciato a lavorare per Haiti… e io mi sono dovuto aggiustare. Le ri-sorse sono arrivate non più dall’Ordine – che sempre più ci chiede di essere economicamente autonomi - ma da tanti benefattori della mia terra di origine che sollecito, stimolo, provoco affinché mi aiutino. E poi sono andato a cercarmi i bandi e le fonti anche fuori dall’Italia. Il reparto di medicina generale e le casette per gli orfani malati di Aids lo ha finanziato la ONG spagnola Manos Unidas, tutte le attività, le strutture e terapie retrovirali (non dimentichiamo che in 10 anni abbiamo trattato 9 mila persone) le abbiamo finanziate grazie al PEPFAR, il piano per la lotta all’Aids del Presidente degli Stati Uniti.E le difficoltà, le paure?Le difficoltà ci sono. Qui in Kenya, in Africa c’è il bisogno del triplo delle forze, delle energie, delle risorse che si mettono in campo al nord del mondo. Paure non ce ne sono. La paura blocca e noi non ci siamo mai bloccati. I blocchi, gli unici blocchi che abbiamo dovuto affrontare sono quelli ospedalieri.

KENIA

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La zona è sicura?A settembre in un centro commerciale di Nairobi è successo il finimondo.La nostra zona è tranquilla. In 25 anni non è successo mai praticamente nulla. Dieci anni fa siamo stati rapinati e menati da una banda di predoni. 7 anni fa, quando ci sono state le elezio-ni presidenziali (che hanno visto il presidente Kibaki della etnia Kikuyo vincere per un pugno di voti contro Raila Odinga dell’etnia Luo che non ha riconosciuto la vittoria) ci sono stati più di 1500 morti e noi per un mese non abbiamo messo il naso fuori dall’ospedale. Ma a parte questi fatti non è mai successo nulla. Siamo lontani dalla zona di Nairobi dove le tensioni tra mussulmani e cristiani sono forti, esasperate, drammatiche. E se qualcuno volesse venire a lavorare con voi cosa gli fareste fare?Ogni mese arrivano dall’Italia tre o quattro volontari e ognuno fa quello che sa. Arrivano medici, infermieri ma anche persone che sanno stare dietro alle centinaia di bambini che rallegrano le nostre scuole e i nostri doposcuola. L’unico impegno è che chi vuole venire deve stare almeno un mese. Il tempo di acclimatarsi e soprattutto per poter soffrire il mal d’Africa una volta tornato!

La zona in cui lavora Padre Emilio è stata giudicata la settima meraviglia dell’Africa: dal lago Vittoria parte il Nilo e la savana, nel contrasto tra cielo, acqua e terra, toglie il fiato. Ma senza troppa retorica la bellezza non è solo nei paesaggi, perché come sempre non sono solo i luoghi a parlare ma sono i volti a parlare. I volti dei tanti che stanno vivendo una vita migliore ri-spetto a quella che pensavano gli fosse stata data, di quelli che possono curarsi e farsi visitare senza dover fare migliaia di kilometri, dei bambini orfani e malati che in Emilio hanno trovato non solo un padre ma la via per riprendere a sorridere.La nuova sfida di Madian Orizzonti è che questo sorriso non si spenga.

Alessandro Battaglino

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ULTIMA ORA: Emergenza FilippineSITUAZIONE La mattina dell’8 novembre, il Tifone Haiyan (chiamato localmente Yolanda) classificato come numero 5, ha colpito direttamente le Filippine, Paese densamente popolato (92 milioni di abitanti) devastando zone sparse in 36 province. Haiyan è probabilmente il più forte tifone mai registrato nella zona, con raffiche fino a 275 km orari. Mancano ovunque elettricità e acqua pulita, scarseggiano medicinali, cibo e combustibile. La risposta governativa è lenta e scarsa e solo oggi si stanno raggiungendo i comuni più colpiti. Molte città e paesi registra-no una distruzione pressoché totale, con circa il 90% delle abitazioni rase al suolo. Le strade sono bloccate e gli aeroporti e i porti danneggiati: persino navi pesanti sono state arenate sulla terraferma. AREE COLPITE La Provincia dell’Eastern Samar nella Regione VIII (Eastern Visayas), la VI (Western Visayas) e la VII (Central Visayas) sono le più colpite, stando alle informazioni aggiornate. Queste regioni registravano già prima del tifone livelli di povertà e di malnutrizione elevatissimi (i più alti dell’intera nazione). Tacloban City, nella Provincia di Leyte, con una popolazione di oltre 200.000 abitanti, è stata devastata e la maggior parte delle abitazioni distrutte.POPOLAZIONE COLPITASi stima che 11.3 milioni di persone (1.400.000 famiglie), in nove Regioni - oltre il 10% dell’intera popolazione filippina - siano state colpite dall’evento. Di questo numero complessivo, 127.733 famiglie sono state costrette a evacuare e trovare alloggio nei centri di raccolta. Decine di migliaia hanno sofferto ferite e traumi mentre il numero di vittime aumenta man mano che si procede a accedere a zone prima inaccessibili. AZIONI INTRAPRESEDistribuzione di beni d’emergenza e missioni mediche.La Camillian Task Force Filippine (CTF Phi) assieme alla Fondazione PRO.SA Ong di Milano e MADIAN ORIZZONTI Onlus di Torino ha messo in moto un team per una veloce valutazione delle necessità. Un team partito dall’Ospedale di Calbayog, il centro sanitario di riferimento per le vittime del tifone delle Province colpite, ha raggiunto Tacloban, Leyte, Basey e Samar. Sono stati distribuiti acqua, cibo e vestiti, somministrati medici-nali e vaccini e sono iniziate le visite negli ambulatori non distrutti dal tifone. A fronte delle richieste di ricovero provenienti dalle aree devastate si sono predisposti i trasporti e i trasferimenti dei feriti più gravi mentre si sta provvedendo a trovare un riparo sicuro ai tanti orfani. Al dramma del tifone si aggiunge quello della tratta dei bambini: molti quelli scomparsi, vittime di pedofili e di mercanti di uomini. Onde evitare la diffusione di epide-mie l’Ospedale St. Camillus ha intrapreso una campagna di vaccinazioni sia all’interno della struttura sia nei centri più lontani.

COME CONTRIBUIRE: indicando nella causale del versamento “Emergenza Filippine”In ItaliaCon offerte su c/c postale intestato a MADIAN ORIZZONTI ONLUS: 70170733c/c bancario presso UNICREDIT, intestato a MADIAN ORIZZONTI ONLUS: IBAN: IT 22 S 02008 01046 0001 010 96394Nelle FilippineAccount Name: Salute e Sviluppo Philippines, Inc.Account Number: 7-09351997-0Bank Name & Branch: Metrobank – Katipunan Branch (code 093)SwiftCode: MBTCPHMM

   

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HAITI

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Progetto “Casa costruita - Speranza realizzata”VITA VILLE

Il progetto Vita Ville “Casa costruita - speranza realizzata” è in fase di realizzazione e le prime quattro casette sono state costruite e le prime quattro famiglie ne hanno preso possesso. Ma facciamo un passo indietro per spiegare come è nata l’idea e come si sta pian piano realizzando. L’idea è nata dalla constatazione che a 4 anni dal terremoto tante famiglie, ma veramente tan-te, vivono tuttora sotto tende di fortuna, quan-do queste ci sono, e purtroppo altrettante tante vivono all’aperto, lungo i margini delle strade. Lo stimolo di questo progetto nasce dall’enorme desiderio di ridare speranza alle vittime del ter-remoto e permettere a 12 famiglie di affrontare la vita sotto un riparo. È vero che sono tanti i poveri e in questa fascia sociale esistono persone che vivono in situazione di estrema povertà; pro-prio a loro si vuole garantire la dignità umana! Il progetto si propone di creare un nucleo comuni-tario formato da famiglie povere. All’interno del villaggio ogni famiglia beneficerà di una mode-

sta casa e di un piccolo terreno attorno a questa. Le famiglie riceveranno il titolo di proprietà. Realizzando questo progetto si potrà dare una abitazione dignitosa e conforme alle norme igieniche a 12 famiglie povere, offrire alle famiglie beneficiate un piccolo lotto di terreno per migliorare la loro condizione economica, offrire alle famiglie la possibilità di vivere insieme, rispettando i principi base di convivenza fraterna e solidale attraverso la formazione religiosa, morale, professionale e sanitaria. Un punto importante per le famiglie che abiteranno il villag-gio è l’impegno di vivere con il proprio lavoro: qualsiasi lavoro anche il più umile ma onesto. Bisogna lottare contro la mentalità del “vivere di Thank you”, far scoprire a tutti la bellezza della dignità di essere autosufficienti con il proprio lavoro, di portare a casa il pane guadagna-to con “il sudore della fronte”.In questi mesi è stato acquistato il terreno, sono state costruite le prime quattro casette, sono state selezionate le famiglie che ne potranno beneficiare ed è stato insegnato loro come averne cura. Momenti di formazione teorica si alternano a momenti di formazione pratica: insegnia-mo loro le regole del villaggio, a vivere in comunità, a fare le pu-lizie e come avere cura del loro piccolo orto che va recintato per evitare che i prodotti fatico-samente coltivati diventino cibo per animali randagi e affama-ti. Ma il lavoro deve prosegui-re: dobbiamo ancora costruire 8 casette, scavare il pozzo per l’acqua e recintare l’intero vil-laggio.

Avanzamento Lavori

Un momento di formazione

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Ogni casetta è strutturata con una cucina (m 3.5 x m 2.5), due came-re (m 3 x m 3), un piccolo bagno dotato di servizi igienici e un lavan-dino, un piccolo portico davanti e dietro la casa. Il tetto è in lamiera, il soffitto in legno, le porte esterne in ferro, le finestre sono blocchi di mattoni mancanti, la casa poggia su una base a 40 cm da terra; ogni casa ha impianto elettrico e idraulico. Le prime famiglie hanno ricevuto le chiavi e sono entrate nelle loro case. É emozionante vedere il vol-to felice di un papà e di una mam-ma rivolgersi ai loro figli e dir loro:

questa è la nostra casa! E tutti insie-me sono profondamente grati a tutti i fratelli e sorelle lontani che hanno permesso loro di godere di un dono tanto prezioso come la casa.Contiamo ancora sul vostro soste-gno per portare a termine questo piccolo grande sogno e dare così una casa anche se piccola e modesta a tutti i 12 nuclei familiari, aiutarli a riprendere il cammino della vita con più forza, coraggio e fiducia nel futu-ro. Sono veramente tante le famiglie bisognose, con tanti bambini da cre-scere, mantenere e molte volte cura-re e proprio questi bimbi sono il fu-turo non solo delle singole famiglie, ma dell’intero Paese; garantire loro una infanzia e una crescita serena è il primo passo per poter assicurare loro un futuro migliore di quello dei loro genitori e affrancarsi così dalla miseria che devasta la loro vita.Grazie per quanto potrete fare e per quanto avete già fatto in questi mesi; sono piccoli mattoni che aiutano a costruire non solo cose materiali ma una vita più dignitosa, degna di es-seri umani.

Suor Tiphawan Taolim Responsabile del Progetto - Haiti

HAITI

Lavori nell’orto

Consegna delle chiavi

Lavori nell’orto

HAITI

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Foyer Bethléem: una finestra sul mondo

25 marzo del 2004: l’antica casa della comunità dei Camilliani, opportunamente ristrutturata e piena di festose decorazioni, accoglie in processione oltre 50 bimbi disabili e abbandonati – chi in carrozzella, chi in braccio e chi a piedi – provenienti dal reparto “Foyer B” dell’ospedale Foyer Saint Camille, accompagnati dalle suore, dal personale addetto, dai religiosi e dai seminaristi che ne animano il canto. Nel piazzale antistante Padre Piero procede alla benedizione del locale, men-tre Padre Crescenzo, nelle brevi parole di circostanza, sottolinea l’avvenimento come un passag-gio alla vita e alla gioia: “La casa, un tempo proprietà di un signore della guerra, diventa oggi Foyer della vita. I piccoli, con la loro voglia di vivere e con le loro grida, portano speranza e gioia, mentre la guerra porta dolore e morte. Come Maria e Giuseppe hanno accolto con gioia e premura Gesù Bambino, così al Foyer Bethléem ci premureremo di assistere e curare i nostri piccoli ospiti con amore e competenza perché crescano sani, sereni e aperti alla vita.”

Un avvertimento, questo, soprattutto per il personale sanitario e di servizio. Tra le cre-denze e superstizioni esistenti in Haiti c’è anche questa: “l’handicappato è segnato dallo spirito del male e porta male”. Questo spinge i genitori ad abbandonare il figlio di-sabile per non incorrere nella maledizione dello spirito del male. Bisogna dire che i più fifoni o superstiziosi sono gli uomini: appena vedono il figlio anormale, abbandonano non solo il bimbo, ma anche la mamma. Ed è la mamma, che nell’estrema povertà e miseria, suggestionata da parenti e vicini di casa, non sapendo come allevarlo, lo abbandona. Il Foyer Saint Camille era nato proprio per questo: dare accoglienza, cura e calore a di-sabili ed abbandonati, che sono tantissimi nel paese e tanti erano stati ricoverati fin dagli inizi: era l’anno 2002 e il Foyer A e B a poco

a poco si riempiva di bambini, anche malati. Col tempo è nata l’idea di fare del Foyer un centro sanitario, per cui non era più possibile trattenere nei padiglioni gli abbandonati e diversamente abili con i malati, sia bambini che adulti. Ed è così che è nato un reparto completamente separato, ma non segregato, dall’ospedale, chiamato Foyer Bethléem: a Bethléem di Giudea è stato accolto Gesù Bambino con gioia da Maria, Giuseppe e dai pastori; al Bethléem di Haiti vengono accolti amorevolmente quelli nei quali Gesù si è riconosciuto ed identificato di più, perché i più bisogno-si, i più deboli, i più esposti: “Chi accoglie uno di questi piccoli, accoglie me”.Il lavoro di “curare con amore e tenerezza materna” questi piccoli è iniziato fin da subito e si è sviluppato nel tempo nella casa appositamente preparata per loro, dove una suora Ministra degli Infermi ed un religioso Camilliano sono una presenza costante e rassicurante, di incoraggiamen-to e di sostegno al personale: non è semplice e neanche gratificante essere sempre a contatto dei disabili, e lo stress e la demotivazione sono sempre alle porte se non c’è ricarica, se mancano supporti e incentivi giusti: un premio all’uno che si è dimostrato più motivato, giornate di disten-sione e socializzazione per il personale fuori dal solito ambiente; giornate di distensione per quei

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HAITI

bimbi in grado di essere trasportati per respirare altra aria fuori le mura, accompagnati dalla suora e da un re-ligioso assieme al personale. E se agli inizi si vedeva qualcuna del personale riluttante, perché figlia della sua terra con tutte le sue credenze, non ci è vo-luto tanto perché anche le più riottose si appassionassero a questi bimbi fino a coccolarli per dare loro quello che la natura avara ha loro negato: l’affetto. Interessante e commovente allo stesso tempo vedere quei volti, che sembra-vano senza espressione, assumere i li-neamenti del sorriso: bimbi che hanno conosciuto solo abbandono e privazio-ni – privazione anche di una carezza, di un bacio, di una coccola – acquista-no ora, con un gesto di tenerezza, un volto più umano anche se sfigurato dalle prove. Affetto che è stato trasmesso anche dai seminaristi, che nel loro programma di formazione stanno vicino agli handicappati, soprattutto al momento dei pasti, con la tenerezza di madre, come inse-gna San Camillo. Sovente qualche seminarista si ritirava scoraggiato perché il bimbo non vuole mangiare e piange: “Non ha fame” dice; ma presto si è accorto che i suoi gesti, quantunque lode-voli, non rispondono alle esigenze del bambino. E ora, mentre i bimbi sistemati amorevolmente nei loro lettini, fanno beati un sonnellino, dopo essere stati coccolati durante e dopo il pasto, i seminaristi lasciano il Foyer ricaricati e contenti di avere aggiunto al loro bagaglio – preghiera, studio e lavoro – una pietra miliare: un cuore di carne per amare.Non tutto è dato per scontato: sia il personale che i seminaristi hanno bisogno di continui stimoli. È facile cadere nella routine. Ed è così che il personale rivelatosi non idoneo, viene trasferito o addirittura dimesso, i seminaristi che non riescono a sintonizzarsi, rivelandosi chiusi al carisma della tenerezza di Cristo verso gli ultimi, cambiano strada. Per servire Cristo non servono persone senza cuore: ci vuole anima, ci vuole “più cuore in quelle mani” perché i piccoli siano e rimangano “pupilla e cuore” di Cristo. Questo è lo spirito di San Camillo che con i suoi figli si è attendato ad Haiti e ai suoi figli tocca irradiarlo. La gestione del Foyer Bethléem passata in questi giorni alla suore Ministre degli Infermi di San Camillo, idealmente e umanamente più idonee a trasmettere la “tenerezza materna” secondo il desiderio di San Camillo, è una conferma che l’ideale iniziale perdura e si rinnova nel tempo: con loro, le suore, è partita l’idea di ristrutturare il Foyer, di trovare alcuni accorgimenti per togliere le barriere ai disabili e rendere più accogliente l’ambiente, aggiungendo personale maggiormente preparato di mente, di cuore e di spirito: formato e guidato a dar il meglio per accudire Gesù che soffre nel bambino sfortunato e svantaggiato; il personale addetto diventa creativo ed organizza-tivo, amante del bello, dell’ordine e del pulito, in sintonia col cuore e la mente di San Camillo che vede nei piccoli e nei sofferenti “i nostri signori e padroni”. Padre Crescenzo Mazzella Missionario ad Haiti

INDIA

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Riceviamo e pubblichiamo l’appello che Suor Pushpa ha scritto a Padre Adolfo Porro

Caro Padre Adolfo, ti scrivo perché l’orfanotrofio in cui lavoro è in grande difficoltà e ho pensato a te e alla tua comunità per chiedere un aiuto.Come sai le Suore di San Luigi, hanno iniziato il loro lavoro nello diocesi di Visakhapatnam nello Stato di Andhra Pradesh a nel 1986. É un villaggio isolato e la maggior parte dei suoi abitanti (che lavorano la terra o nelle miniere di carbone della zona) sono analfabeti.

Le suore hanno una scuola primaria e secondaria e provvedono alle esigenze delle ragazze fino ai 15 anni. Dopo essere arrivate Yellamanchilli e aver studiato la situazione del luogo e, soprattutto, le esigenze prima-rie delle persone che ci vivono abbiamo deciso di aprire un orfanotrofio femminile che potesse dare alle ragazze ospiti istruzione, cibo e protezione. La maggior parte delle ragazze sono orfane e le poche che non lo sono hanno famiglie che non sono assoluta-mente in grado di provvedere al loro nutrimento o alla loro educazione. Il nostro lavoro è di accoglierle, sfamar-le, proteggerle dai tanti pericoli che le ragazze orfane, e non solo, indiane corrono (penso sia arrivata anche da voi la notizia dell’ondata di stupri che hanno sconvolto e stanno sconvolgendo l’India) , dar loro una istruzione in modo da garanti loro un futuro decente.Molte sono le studentesse che hanno terminato i loro stu-

di da noi e che adesso o lavorano o stanno continuando gli studi nelle scuole superiori della regione. Al momento nell’orfanotrofio sono ospitate 40 bambine e ragazze.Purtroppo la situazione non è facile e stiamo incontrando molte difficoltà: stanno cominciando a scarseggia-re le risorse per dar loro da mangiare. Due suore lavorano in una scuola della zona – oltre che nella nostra – e io in Ospedale ma con il nostro modesto stipendio non riusciamo più a mantenere la comunità e le ospiti e rischiamo il tracollo.Mi auguro che il tuo cuore generoso ci possa aiutare e, soprattutto, possa aiutare le “nostre” ragazze. Suor Puspha Rani

Suor Puspha Rani, indiana apparte-nente all’ordine di San Luigi, si è lau-reata in Medicina e si è specializzata in Ginecologia a Torino. Ha conosciuto Madian e Madian Orizzonti tramite Padre Massimo Miraglio e, poi, Padre Adolfo Porro quando era ospite di una casa della sua congregazione in Pro-vincia di Cuneo. Una volta terminati gli studi è tornata in India dove lavora come ginecologa in un ospedale dello Stato di Andhra Pradesh.

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INDONESIA

I bambini dell’isola di Flores

I Missionari Camilliani, giunti nell’isola Flores quattro anni fa, hanno dato vita ad una nuova realtà missionaria. L’iso-la è tra le più povere delle 17 mila che formano l’arcipelago indonesiano ed è in gran parte montagnosa. Sulla sua su-perficie di 14 mila km2 vive circa 1.3 milione di abitanti dediti principalmen-te all’agricoltura e alla pesca.La povertà è visibile un po’ ovunque con abitazioni fatte di legno, canne di bambù o altro materiale di scarso va-lore. Poche le fabbriche ed industrie, per cui molti sono i giovani che migra-no nelle isole più grandi o all’estero per studiare o per lavorare. In campo sanitario, l’assistenza è offerta solo agli impiegati governativi, mentre la maggior parte delle famiglie è lasciata a se stessa quando nasce il bisogno di cura. La malnutrizione è una delle principali piaghe e colpisce soprattutto i bambini. La zona dove sono giunti i Missionari Camilliani è situata ad una decina di chilometri dalla cittadina di Maumere, tra il mare e la zona collinosa. Lì vivono centinaia di famiglie di con-tadini impegnati nella coltivazione di ciò che la terra offre: banane, cocco, riso, granoturco e verdure varie. L’accesso all’acqua potabile è particolarmente limitato: è fotografia ordinaria vedere lunghe file di variopinti contenitori davanti all’unico deposito di acqua del villaggio. La mancanza di fognature e di igiene favorisce la presenza di insetti e specialmente di zanzare che sono la causa di molti casi di malaria e di altre malattie. Fortunatamente nella zona esiste un picco-lo centro sanitario dove vengono offerti i servizi di primo soccorso, mentre i casi più gravi vengono dirottati all’ospedale della città.La presenza dei Missionari Camilliani ha creato un clima di familiarità e simpatia tra le famiglie della zona che hanno visto in loro i “buoni samaritani” e i promotori di iniziative

sociali e caritative. Infatti, sono bastati solo alcuni mesi per far nascere alcune iniziative, come: • un programma nutrizionale • il sostegno scolastico per i 100 alunni della scuola elementare del villaggio di Gere.Per la prima iniziativa, con la collaborazione di una assistente sociale, è stato possibile radunare una sessantina di bambini dai 2 ai 5 anni fisicamente molto deboli e malnutriti. Così, ogni prima settima-na del mese, viene distribuito a ciascun bambino latte in povere, vitamine, biscotti e anche qualche pezzo di sapone in quantità sufficienti fino al mese successivo.

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INDONESIA

L’assistente sociale poi visita le famiglie e or-ganizza incontri con le mamme educandole alla preparazione del cibo e ai principi basi di igiene. Dopo quasi un anno i primi risultati si vedono sui volti dei bambini, divenuti più belli, sorridenti e allegri. Un “piccolo miracolo” reso possibile grazie alla generosità e dall’amore di tanti cuori lontani.

Il secondo piccolo “ponte d’amore” è stato rea-lizzato con i 100 alunni della scuola elementare del villaggio di Gere. A loro è stato distribu-ito tanto materiale scolastico (libri, quaderni, penne, colori ecc), decine di ombrelli durante la stagione delle piogge, divise scolastiche e un consistente numero di paia di scarpe. Queste ultime, per molti di loro, sono state il regalo

più bello, e alcuni di loro, ritornando a casa dal-la scuola, preferiscono metterle nella borsetta scolastica per non sciuparle e così farle durare più a lungo. Spettacolo commovente che ci fa ricordare come San Pio X, da bambino, facesse la stessa cosa. Potranno questi “piccoli miracoli” continuare?

Ce lo auguriamo veramente se la solidarietà e l’a-micizia di tanti generosi cuori lontani continuerà ancora a sostenere le nostre iniziative e ad aiu-tarci a scrivere altre storie di “vero amore.” P. Luigi Galvani Missionario Camilliano

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SPORT

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Madian sotto canestro

Anche quest’anno, e per la terza sta-gione consecutiva, il logo di Madian Orizzonti è sulle maglie della PMS Torino che sta disputando il campio-nato di Lega Gold (A2) di basket.

Dopo 18 anni il grande basket è fi-nalmente tornato a Torino (è infatti dalla stagione 1994/1995 che non si vedeva una squadra torinese calcare i parquet del basket professionisti-co) e il Palasport del Parco Ruffini (dove hanno giocato campioni del calibro di Caglieris, Morandotti, Ab-bio, Della Valle, Dawkins, Pessina, Scott May) di nuovo gremito.

Il capitano della nazionale italia-na di Basket, Stefano Mancinelli, il nazionale polacco “Kuba” Wojcie-chowski, l’ala grande Valerio Amo-roso, il nazionale under 19 Matteo Trovato, l’americano Ronald Steele, Daniele Sandri, Lorenzo Gergati, Marco Evangelisti, Kenneth Vigliani-si, Massimo Chessa, Stevan Stojkov, Lorenzo Baldasso, guidati dal mister Stefano Pillastrini, stanno portando Madian Orizzonti nei palazzetti di

tutta l’Italia; da Biella a capo d’Or-lando, da Verona a Napoli, da Forlì a Trieste passando per Brescia, Jesi, Imola, l’Aquila, Ferentino, Veroli, Tra-pani e Barcellona.La sponsorizzazione sulle maglie gialloblu è un “dono” di Paolo Ter-zolo patron della PMS e ammini-stratore dell’Elettrogruppo ZeroUno,

storico sponsor della squadra, che da anni sta aiutando la costruzione dell’ospedale di Jérémie fornendo materiale elettrico e idraulico.

Per chi volesse sapere come, dove e quando si gioca: www.pmsbasketaball.com

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EVENTI 2013: settembre/dicembreCosa abbiamo fatto? Il mese di settembre ha segnato la ripartenza dell’attività di Madian Orizzonti.

• L’8 in collaborazione con la On-lus Svau (Soccorritori Volontari Aiuti Umanitari) si è organizzato a Pianez-za un torneo di calcio per esordien-ti misti 2002 cui hanno partecipato diverse squadre di Torino e della provincia tra cui Giaveno, Lascaris, Alpignano, Pianezza, Borgaro, Cara-

magnese e Bacigalupo. Al torneo è stata abbinata una lotteria il cui ri-cavato è stato donato per l’Ospedale Saint Camille di Jérémie.• Il 16 abbiamo organizzato alla Reale Società Canottieri Cerea, con il patrocinio del Rotary Club Torino Crocetta, una cena per raccogliere fondi per il centro per i disabili di Tbilisi in Georgia. Splendidamente preparata dallo Chef del Ristorante del Circolo dei Lettori Stefano Fanti, ormai diventato un “fedelissimo” di Madian Orizzonti, e alla presenza di Padre Pawel Dyl si è battuto il record di persone al coperto nei locali del-lo storico circolo (107 commensali!) ma soprattutto si è presentato il progetto delle sessioni di fisiotera-pia per le ragazze e i ragazzi disabili del centro Lasha San Camillo, inau-

gurato nel luglio 2012.• Ad Ottobre abbiamo potu-to ascoltare ottima musica in due splendidi concerti: • il primo, giovedì 17, nella Sala Puccini del Piccolo Regio, ideato e organizzato da Elisabetta Chiusano, voce dei Five Steps, il cui repertorio

spazia dal soul, al blues, al R’n’B al rock, ha reso omaggio a personag-gi quali Aretha Franklin, Marvin Gay, Creedence Clearwater Revival, Blues Brothers, Beatles, James Brown, Tina Turner, The Commitments, Dia-ne Schuur e molti altri. I Five Steps hanno suonato e cantato davanti al gremitissimo teatro di Piazza Ca-stello per il Foyer Bethléem di Port au Prince in cui vivono 50 bambini disabili fisici e mentali abbandonati dalle loro famiglie d’origine.

• il secondo, domenica 20, al Tea-tro Nuovo di Torino, magistralmen-te organizzato da Silvia Chave e Cristiana Pensa, ha portato sul pal-coscenico il Sunshine Gospel Choir che per la quarta volta ha cantato, davanti a oltre 800 persone, per l’O-spedale per la cura delle lesioni cu-tanee Saint Camille di Jérémie.

Gli eventi 2013 realizzatida settembre

EVENTI

EVENTI

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Dopo il premio di “torinese dell’anno” a Madian Orizzonti è stato attribuito un altro riconoscimento. Il 1 dicembre la Onlus nella persona di Padre Massimo MIRAGLIO ha, infatti, ricevuto il pre-mio della Chiocciola della Solidarietà istituito nel 2001 dal Comune di Borgo San Dalmazzo “in favore di persone fisiche, associazioni, fondazioni, enti ed ogni altra istituzione di carattere pubblico o privato che, in coerenza ed attuazione della Dichiarazione Uni-versale dei diritti dell’Uomo, si siano particolarmente distinte nell’attività di promozione della dignità umana, nella realizzazione del valore della solida-rietà e nella difesa dei diritti umani, in

special modo verso persone in condi-zioni di forte debolezza sociale”.La motivazione con cui è stato attri-buito il premio è la seguente: “per aver condiviso in questi dieci anni la quotidiana fatica di vivere del popolo di Haiti provato da miseria, malattia, calamità naturali; per aver costruito, con loro e per loro, nuove speranze di futuro guardando particolarmente ai più piccoli con l’attenzione rivolta al rispetto della dignità umana, alla tutela della salute, all’apprendimento scolastico;per essere stato pungolo

alla sua, e nostra, città a guardare oltre gli stretti confini del nostro terri-torio per condividere e sostenere i pro-getti sognati e realizzati con il popolo di Haiti; per essere testimone entusia-sta e credibile di quell’ Amore cristia-no che fa di ogni uomo un fratello.”Il premio, nelle edizioni passate, è stato attribuito a istituzioni come Emergency, Libera, Terra Madre, l’As-sociazione Città Futura di Don Puglisi, l’Associazione Casa Memoria di Pep-pino Impastato, Senza Frontiere Onlus, il villaggio di Nevè Shalom e persona-lità come il Mago Sales, Ernesto Olive-ro e Dominique Lapierre.La serata è stata molto intensa (un po’ perché Borgo San Dalmazzo è la città natale di padre Massimo un po’ perché mancava da casa da 6 anni) e ha visto oltre alla consegna della Chiocciola della solidarietà, la proiezione dell’ul-timo video arrivato pochi giorni prima da Haiti e si è conclusa con il concerto della “Yellow and Green blues band”, composta da 16 elementi, militari della Guardia di Finanza, band che si esibisce in pubblico esclusivamente a titolo gratuito, in occasione di raccol-te di fondi organizzate da Associazio-ni di Volontariato. Ancora nel mese di dicembre le volontarie di Madian-

corner hanno realizzato degli splendidi cappellini di lana per sostenere le atti-vità delle missioni di Madian Orizzonti Onlus. Si possono acquistare a Torino presso Chave Arredamenti 1890 in via Pietro Micca 15/a, presso Tweed Donna in Via Santa Teresa 24 g, presso Vanoli in Corso Re Umberto 14, presso Vanoli Espace in Via Pastrengo 1 e a Milano presso l’Atelier Pièces Uniques di Via Nirone 2.

Dell’asta dei Tartufi che si è tenuta il 16 novembre al Circolo dei lettori e della V Edizione dell’Asta per Haiti che si è tenuta il 30 novembre all’Acca-demia Albertina di Belle Arti Vi rac-conteremo più compiutamente nel prossimo numero di Cam On.

PORT AU PRINCE – FOYER SAINT CAMILLE

PROGETTI

In seguito al terremoto del 2010 l’ospedale Foyer Saint Camille di Port au Prince che accoglieva prevalentemente bambini è diven-tato ospedale di zona e per questo è stato necessario ampliare i servizi, in particolare: il laboratorio di analisi, il pronto soccorso e la parte di diagnostica radiologica.

In questi mesi sono proseguiti i lavori di costruzione dell’amplia-mento dell’ospedale. La costru-zione, iniziata a seguito delle esi-genze post terremoto del 2010, prevedeva due nuovi reparti e in corso d’opera, con piccoli accor-gimenti, siamo riusciti a ricavare tre reparti per un totale di 60

camere a due letti e nuove sale per la riabilitazione. In totale la struttura è di 3500 mq. La co-struzione è finalmente arrivata al tetto e proseguono i lavori all’in-terno. Fino ad ora sono stati spesi € 1000.000; per il completa-mento dell’opera necessitano an-cora € 500.000.

AMPLIAMENTO OSPEDALE Euro 1.500.000,00

Dopo il terremoto del genna-io 2010 la popolazione di Haiti utilizzava acque sporche e con-taminate dal colera cosicché l’e-pidemia si è diffusa velocemente e non ha ancora abbandonato l’isola. Dopo il primo intervento realizzato con grandi tende per

offrire le prime cure ai colpiti dall’infezione, si è acquistato un terreno adiacente all’ospedale Foyer Saint Camille di Port au Prince e sono state costruite le prime strutture in muratura per accogliere i malati di colera che si rivolgono al centro ospedaliero.

NUOVO CENTRO PER LA CURA DEL COLERA Euro 65.000,00

26Prosegue il progetto attivato in se-guito al terremoto del 12 gennaio 2010, di sostegno a distanza di un infermiere dell’ospedale Foyer Saint Camille di Port au Prince. Dopo la tragedia è stato necessa-rio incrementare il numero degli operatori sanitari: ausiliari, infer-mieri, fisioterapisti e medici. La

gestione ordinaria dell’ospedale si è intensificata e la spesa più consistente è per gli stipendi degli operatori sanitari. Ecco perché, con il sostegno a distanza di un infer-miere dell’ospedale, è possibile assicurare ad alcune famiglie hai-tiane uno stipendio fisso mensile.

ADOTTA UN INFERMIERE

PORT AU PRINCE – FOYER SAINT CAMILLE

Euro 600,00

Euro 1.700.000,00

È terminata la costruzione dei blocchi A e B. Sono terminati gli scavi delle fondamenta e sono iniziate le opere murarie dell’o-spedale vero e proprio dove verranno curate le malattie della

pelle, le ulcere da pressione, ar-teriose, diabetiche e da stasi e le ustioni gravi. Fino ad ora sono stati spesi € 800.000.; per il completamento dell’opera ne-cessitano ancora € 900.000.

CENTRO OSPEDALIERO SPECIALIZZATO “SAN CAMILLO” PER LA CURA DELLE LESIONI CUTANEE (CLC)

JEREMIE

Costo annuale

PORT AU PRINCE – FOYER SAINT CAMILLE

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PROGETTI HAITI

PORT AU PRINCE – FOYER SAINT CAMILLE

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Il progetto prevede la costruzione di un piccolo villaggio con 12 casette per offrire una dignitosa abitazione ed un piccolo terreno da adibire a orto a 12 famiglie che con il terremoto del 2010 hanno perso tutto. Ogni casetta è strutturata con una cucina (m 3.5 x m 2.5), due camere (m 3 x m 3), un bagno dotato di servizi

igienici e un lavandino, un piccolo portico davanti e dietro la casa. Il tetto è in lamiera, il soffitto in legno, le porte esterne in ferro, le finestre sono blocchi di mattoni mancanti, la casa poggia su una base a 40 cm da terra; ogni casa ha impianto elettrico e idraulico.

VITA VILLE “CASA COSTRUITA – SPERANZA REALIZZATAEuro 10.000,00Costo di ogni casetta

PROGETTI

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PORT AU PRINCE – FOYER SAINT CAMILLE

La casetta Kiboko con i suoi 10 bambini orfani e malati di AIDS, fa parte del progetto Dala Kiye, una struttura che ospita in to-tale 60 bambini seguiti da 6 figure materne. I bambini, oltre a ricevere la terapia antiretrovi-rale, vengono seguiti nella loro crescita umana, educativa e religiosa rendendoli, una volta terminato il percorso, persone in-

dipendenti. I piccoli partecipano alle attività del Centro e frequen-tano la Scuola B.L.Tezza che sor-ge all’interno del complesso, ma mantengono un costante contat-to con la comunità circostante e le famiglie di origine. La loro educazione è affidata ad educa-tori qualificati che li accompa-gnano nella loro crescita umana, religiosa e socioeducativa.

SOSTEGNO AI BAMBINI MALATI DI AIDS DELLA CASETTA KIBOKO DEL DALA KIYE – KARUNGU

KENIA

Euro 10.000,00

Il nostro nuovo centro dispone degli spazi necessari per ospitare bambini disabili con le loro mam-me e garantire loro la terapia adeguata che viene effettuata in

cicli di 15 giorni almeno 4 volte ogni anno. Sostieni le spese per 4 cicli di riabilitazione di 15 giorni cadauno. Costo: € 250,00 per ogni ciclo

AIUTA UN BAMBINO A CAMMINARE

GEORGIA - TBLISI

Acquisto di un terreno e costruzione di un salone comunitario per aiutare i giovani e le famiglie di Villa Urquiza (villa miseria) ad usci-re dalla droga, dall’alcolismo e dalle violenze familiari.

LOTTA ALLA DROGA E ALL’ALCOLISMO

ARGENTINA - VILLA URQUIZA

Euro 25.000,00

ALTRI PROGETTI

Euro 250,00Costo ogni ciclo

Sito nella diocesi di Visakhapatnam nello Stato di Andhra Pradesh, dal 1986 offre alle ragazze sino a 15 anni istruzione, cibo e protezione. Oggi l’orfanatrofio accoglie 40 ragazze. Suor Pushpa lancia un appello per poter proseguire la sua importante missione.

ORFANATROFIO DI SUOR PUSHPA

INDIA

Euro 300,00Costo individuale/annuo

Padre Luigi Galvani da quattro anni in Indo-nesia, a pochi chilometri da Maumere, ha re-alizzato una nuova realtà missionaria creando un programma nutrizionale e un sostegno scolastico per contrastare l’enorme povertà, le malattie e la malnutrizione infantile.

I BAMBINI DELL’ISOLA DI FLORES

INDONESIA

Euro 300,00Costo individuale/annuo

L’EMERGENZA CONTINUA - AIUTACI ORA!

SE VUOI SOSTENERE LE NOSTRE INIZIATIVE

• Puoi versare il tuo contributo sui nostri conti correnti indicando nella causale il titolo del progetto (ad esempio: ampliamento ospedale Foyer Saint Camille di Port Au Prince o costruzione del Centro Lesioni Cutanee di Jérémie)

• Contattando Madian Orizzonti, puoi:– proseguire con i sostegni a distanza adottando un bambino ad Haiti– sostenere a distanza un Infermiere o un Operatore Sanitario– festeggiare insieme a noi un momento importante della tua vita

(nascita, matrimonio, laurea)

• Scopri come poter effettuare un lascito testamentario chiamandoci al numero di telefono 011 539045 oppure scrivendo all’indirizzo e-mail [email protected]

• Puoi sostenerci con il tuo 5 per mille indicando nella dichiarazione dei redditi il codice fiscale 97661540019

VERSAMENTI INTESTATI A ASSOCIAZIONE MADIAN-ORIZZONTI ONLUSc/c postale: 70170733

c/c bancario IBAN: IT 22 S 02008 01046 0001 010 96394 - c/o UNICREDIT

Si può beneficiare di agevolazioni fiscali previste per le donazioni:• per le persone fisiche detrazione dell’imposta lorda del 19% degli importi donati fino ad un massimo

di Euro 2.065,83 (art.15, comma 1 lettera i-bis, D.P.R. 917/86)• per le imprese deduzione degli importi donati dal reddito d’impresa per un importo non superiore a Euro

2.065,83 o al 2% del reddito d’impresa dichiarato (art. 100, comma 2 lettera h, D.P.R. 917/86).

Gli importi versati sono detraibili dalle tasse. È necessario conservare la ricevuta di bollettino postale o la copia della ricevuta contabile che saranno da allegare al modello di dichiarazione dei redditi per la relativa detrazione.

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