CADUTE persistente cronica disturbi della motilità...

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File corretto e sistemato da Giorgio Sforza GIANNI SINDROME DELLE 3-C CACARELLA (diarrea) / CATARRO (espettorato) / CADUTE Cacarella (diarrea) Frequenza dell’alvo maggiore di 3 volte/die - Peso fecale maggiore di 200g/die - Urgenza ed emissioni di feci liquide Si distingue in: acuta (durata inferiore a 2 settimane), persistente (durata è tra 2 e 4 settimane) e cronica (dura + di 4 settimane) Gli anziani presentano un alto rischio di diarrea perché sono soggetti a: disturbi della motilità intestinale, invecchiamento del sistema immunitario, assunzione di + farmaci, ecc. Nei soggetti geriatrici le cause possono essere: infettive, farmacologiche, neoplastiche e metaboliche. Il Clostridium difficile è la causa infettiva più comune. Catarro (espettorato) Il muco è importante perché: umidifica il tratto respiratorio e cattura i microorganismi. Una iperproduzione può essere dovuta a patologie come: bronchite, BPCO, pertosse, raffreddore ecc. L’eccesso di muco ostacola la circolazione dell’aria e l’organismo tenta di espellerlo tramite la tosse o per via nasale. Il muco può essere: Sieroso: è tipico dell’edema polmonare, è schiumoso e di colore rosaceo. Se è biancastro potrebbe essere segno di adenomatosi polmonare o di carcinoma bronchiolo-alveolare. Mucoso: è costituito prevalentemente da muco e lo si riscontra comunemente nelle bronchiti e nell’asma bronchiale. Purulento: viene riscontrato generalmente nella bronchite putrida, nell’ascesso e nella gangrena polmonare. Emorragico: è caratterizzato dalla commistione di sangue, muco, siero o pus. Può essere dovuto da neoplasie polmonari, broncopneumopatie ecc. In questo caso non si parla di emottisi che è dovuta ad una vera e propria emorragia. Fibrinoso: è raro lo si può riscontrare soltanto, e comunque non sempre, in caso di polmonite fibrinosa. Cadute Rappresentano uno dei primari problemi di sanità e di spesa pubblica e sono una delle principali cause di morbilità, disabilità e morte. Nel 60% dei casi i pazienti riportano disabilità / nel 40% dei casi i pazienti presentano morbilità. Di questi pazienti (40%), il 95% viene ricoverato in seguito a fratture, soprattutto del femore. Inoltre Il 50% degli ultra75enni che viene ricoverato per caduta muore entro 1 anno. La senescenza (invecchiamento) influisce su: •stato mentale •apparato locomotore e visivo •sistema nervoso ecc. Le cadute si possono verificare in seguito a diversi fattori: Intrinseci: Patologie del sistema nervoso: ictus, morbo di Parkinson, demenze ecc. Patologie del sistema cardiovascolare: ipotensione ortostatica, aritmie ecc. Patologie del sistema osteoarticolare: artriti, artrosi ecc. Altre problematiche: incontinenza urinaria, diabete ecc. Ambientali: Più del 70% delle cadute avvengono in casa e circa la metà sono causate da un fattore ambientale come: tappeti, ostacoli, pavimenti scivolosi ecc. Farmaci Vi è una relazione direttamente proporzionale tra il numero dei farmaci assunti ed il numero delle cadute (3 o più farmaci) Maggiore è il numero dei farmaci assunti, maggiore è il rischio di sviluppare un avvento avverso da farmaci Conseguenze possono essere: Immediate: ferite, contusioni, abrasioni, TVP, emboli grassi ecc. / Tardive: paura di cadere, ansia e depressione, ridotta mobilità, isolamento sociale ecc. Valutazione - È fondamentale riconoscere al più presto i fattori di rischio per effettuare idonei interventi di prevenzione. È possibile utilizzare scale come: La Scala Conley - in base all’analisi di una serie di variabili, vengono assegnati dei punteggi ed esprimere il grado di rischio di caduta del paziente. Ad ogni quesito si attribuisce un punteggio da 0 a 3. Valori tra 0 e 1 = rischio min. / tra 2 e 10 = rischio medio alto

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File corretto e sistemato da Giorgio Sforza GIANNI

SINDROME DELLE 3-C CACARELLA (diarrea) / CATARRO (espettorato) / CADUTE

• Cacarella (diarrea) Frequenza dell’alvo maggiore di 3 volte/die - Peso fecale maggiore di 200g/die - Urgenza ed emissioni di feci liquide Si distingue in: acuta (durata inferiore a 2 settimane), persistente (durata è tra 2 e 4 settimane) e cronica (dura + di 4 settimane) Gli anziani presentano un alto rischio di diarrea perché sono soggetti a:

disturbi della motilità intestinale, invecchiamento del sistema immunitario, assunzione di + farmaci, ecc. Nei soggetti geriatrici le cause possono essere: infettive, farmacologiche, neoplastiche e metaboliche. Il Clostridium difficile è la causa infettiva più comune.

• Catarro (espettorato) Il muco è importante perché: umidifica il tratto respiratorio e cattura i microorganismi. Una iperproduzione può essere dovuta a patologie come: bronchite, BPCO, pertosse, raffreddore ecc. L’eccesso di muco ostacola la circolazione dell’aria e l’organismo tenta di espellerlo tramite la tosse o per via nasale. Il muco può essere:

Sieroso: è tipico dell’edema polmonare, è schiumoso e di colore rosaceo. Se è biancastro potrebbe essere segno di adenomatosi polmonare o di carcinoma bronchiolo-alveolare.

Mucoso: è costituito prevalentemente da muco e lo si riscontra comunemente nelle bronchiti e nell’asma bronchiale.

Purulento: viene riscontrato generalmente nella bronchite putrida, nell’ascesso e nella gangrena polmonare.

Emorragico: è caratterizzato dalla commistione di sangue, muco, siero o pus. Può essere dovuto da neoplasie polmonari, broncopneumopatie ecc. In questo caso non si parla di emottisi che è dovuta ad una vera e propria emorragia.

Fibrinoso: è raro lo si può riscontrare soltanto, e comunque non sempre, in caso di polmonite fibrinosa.

• Cadute Rappresentano uno dei primari problemi di sanità e di spesa pubblica e sono una delle principali cause di morbilità, disabilità e morte. Nel 60% dei casi i pazienti riportano disabilità / nel 40% dei casi i pazienti presentano morbilità. Di questi pazienti (40%), il 95% viene ricoverato in seguito a fratture, soprattutto del femore. Inoltre Il 50% degli ultra75enni che viene ricoverato per caduta muore entro 1 anno. La senescenza (invecchiamento) influisce su: •stato mentale •apparato locomotore e visivo •sistema nervoso ecc. Le cadute si possono verificare in seguito a diversi fattori:

Intrinseci: ➢ Patologie del sistema nervoso: ictus, morbo di Parkinson, demenze ecc. ➢ Patologie del sistema cardiovascolare: ipotensione ortostatica, aritmie ecc. ➢ Patologie del sistema osteoarticolare: artriti, artrosi ecc. ➢ Altre problematiche: incontinenza urinaria, diabete ecc.

Ambientali: Più del 70% delle cadute avvengono in casa e circa la metà sono causate da un fattore ambientale come: tappeti, ostacoli, pavimenti scivolosi ecc.

Farmaci Vi è una relazione direttamente proporzionale tra il numero dei farmaci assunti ed il numero delle cadute (3 o più farmaci) Maggiore è il numero dei farmaci assunti, maggiore è il rischio di sviluppare un avvento avverso da farmaci

Conseguenze possono essere: Immediate: ferite, contusioni, abrasioni, TVP, emboli grassi ecc. / Tardive: paura di cadere, ansia e depressione, ridotta mobilità, isolamento sociale ecc. Valutazione - È fondamentale riconoscere al più presto i fattori di rischio per effettuare idonei interventi di prevenzione. È possibile utilizzare scale come:

La Scala Conley - in base all’analisi di una serie di variabili, vengono assegnati dei punteggi ed esprimere il grado di rischio di caduta del paziente. Ad ogni quesito si attribuisce un punteggio da 0 a 3. Valori tra 0 e 1 = rischio min. / tra 2 e 10 = rischio medio alto

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POLI-FARMACOLOGIA È fondamentale per curare pazienti che presentano patologie concomitanti, però, ottenere un adeguato bilanciamento tra benefici e rischi, spesso è complicato.

• Da un lato è stato rilevato che gli anziani sono spesso sotto-trattati per le patologie croniche per paura di eccedere nella prescrizione di farmaci;

• dall'altro, l'associazione di più farmaci, aumenta i rischi di: sovra-utilizzo, interazioni ed insorgenza di reazioni avverse anche gravi.

• Inoltre, con l'aumentare del numero di prescrizioni, spesso diminuisce l'aderenza del paziente alla terapia. VALUTAZIONE DELLE FUNZIONI COGNITIVE Gli strumenti per la valutazione delle funzioni cognitive sono degli screening e in quanto tali, non esauriscono la valutazione neuropsicologica:

• L’MMSE (Mini Mental State Examination) è lo strumento di screening e di valutazione basale più utile e diffuso: ✓ La somministrazione richiede 10-15 minuti. Il punteggio va da 0 (max deficit cognitivo) a 30 (nessun deficit

cognitivo). ✓ Il punteggio soglia è 23-24 e la maggior parte delle persone anziane non dementi, raramente ottiene punteggi

al di sotto di 24.

• Il MODA è ottimo sia per lo screening sia per il follow-up: ✓ È più completo del MMSE e presenta un tempo di somministrazione più lungo. ✓ Riguarda soprattutto soggetti affetti da una demenza d'esordio, ma può essere applicato anche a pazienti gravi ✓ Il punteggio max è di 35 punti x gli orientamenti (personale, temporale, spaziale, familiare) e di 15 punti x

l’autonomia (prevalentemente motoria). Il punteggio complessivo è pari a 100. ✓ L'interpretazione è incerta in soggetti con: gravi difetti neurologici motori, gravi deficit sensoriali e poco

collaboranti, perché il MODA è stato modellata sul comportamento del paziente affetto da Alzheimer.

• L’ADAS-COG è utilizzato soprattutto nei trials clinici e raramente in ambiti strettamente clinici: ✓ È uno strumento di rating più che di diagnosi e l'uso corretto prevede la somministrazione solo nei casi di

Alzheimer già clinicamente accertata. ✓ È più informativo del MMSE, anche se più lungo e complesso da somministrare.

COMPLIANCE

• Si ha quando il paziente aderisce alle prescrizioni mediche e ai trattamenti di forma morbosa.

• Esprime la volontà di collaborazione con le varie strutture dell’organizzazione sanitaria

• I fattori critici della compliance sono: il tipo di malattia, la struttura culturale del paziente, il ruolo del medico e l’interferenza ambientale.

DIFFERENZA TRA DELIRIO E DELIRIUM

• Il delirio è un disturbo psichico caratterizzato da costruzioni mentali che non hanno alcun nesso con i fatti reali. Il delirio si può riscontrare in diverse patologie come: schizofrenia, psicosi maniaco-depressiva, quadri psicorganici, stati tossici.

• Il delirium è uno stato confusionale acuto che non va scambiato per demenza, soprattutto nel paziente anziano. Non esistono esami di laboratorio in grado di distinguere le 2 manifestazioni, quindi è fondamentale: un accurato studio della storia clinica del pz e delle sue capacità fisiche e mentali. Il Delirium è un comune nei pz anziani ospedalizzati e in quelli presenti nelle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali).

ANTIPSICOTICI (neurolettici) sono utilizzati per: 1) Psicosi (Schizofrenia è la più importante Depressione severa) 2) Potenziano l’azione di: • analgesici • anestetici • sedativi 3) Singhiozzo ostinato che è una patologia neurologica

Il trattamento della SCHIZOFRENIA può essere: • ANTIPSICOTICO o • SEDATIVO in questo caso si BLOCCANO, cioè si antagonizzano I RECETTORI (tipo2) DELLA DOPAMINA NEL SNC, ma gli antipsicotici agiscono anche su altri recettori come: Acetilcolina, Istamina, Noradrenalina, Serotonina quindi ci si deve aspettare anche effetti collaterali da parte di questi recettori. I più IMPORTANTI Farmaci Antipsicotici sono di 2 tipi:

• Quelli di PRIMA GENERAZIONE, così detti TIPICI e sono: CLOR-PROMAZINA ha una MAGGIORE AZIONE SEDATIVA. È usato per:

il trattamento dell’AGITAZIONE PSICOMOTORIA ALOPERIDOLO (Serenase) – ha una MAGGIORE AZIONE ANTIPSICOTICA. È usato per:

il trattamento delle ALLUCINAZIONI + Singhiozzo irrefrenabile, Astinenza da Alcool, ecc…

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EFFETTI INDESIDERATI

• Blocco i recettori: DOPAMINERGICI D2, SEROTONINERGICI, ISTAMINERGICI, NORADRENERGICI, COLINERGICI (recettori muscarinici)

• Si possono verificare: ✓ REAZIONI DI IPERSENSIBILITÀ come: leucocitosi, rash cutanei, ecc. ✓ REAZIONI TOSSICHE GRAVI che portano ad: aritmie, prolungamento tratto QT, ecc.

I più IMPORTANTI Farmaci Antipsicotici ATIPICI sono: CLOZA-PINA e OLANZE-PINA, poi ci sono anche ARIPI-PRAZOLO, QUETIAPINA e RISPERIDONE. Questi farmaci, nascono per evitare effetti che inducono i farmaci tipici, infatti danno minori effetti Extrapiramidali ed Iperprolattinemia. EFFETTI COLLATERALI: Agranulocitosi (in particolare Clozapina), Disfunzioni sessuali, Insonnia, Sindrome metabolica, ecc. DOLORE – può essere:

• Acuto inizio rapido e di breve durata. Es fratture, post-partum e post-chirurgico. L’intensità varia da media a severa e la comparsa è improvvisa.

• Cronico insorgenza lenta e persistente. Si associa a cancro e può persistere anche dopo la risoluzione del problema. Fisiopatologia Il dolore da cancro inizialmente è un segnale di una lesione ed è legato alla malattia neoplastica ed è classificato in:

• Nocicettivo (somatico o viscerale) ✓ Somatico origina da: tessuti superficiali e profondi. Il dolore è riferito, ben localizzato, tagliente e risponde

agli antinfiammatori e gli oppioidi. ✓ Viscerale origina da lesioni primarie o metastatiche dei visceri addominali e pelvici. Spesso è descritto come

crampiforme.

• Neuropatico È causato da modificazioni della risposta neuronale del sistema somato-sensoriale centrale o periferico. È simile ad una pugnalata. La risposta agli oppiacei è variabile.

• Idiopatico – Dolore di origine sconosciuta. Valutazione del dolore Siccome il dolore è soggettivo, possiamo rilevarlo solo come ci viene descritto dal paziente, con l’aiuto di scale di valutazione uni-dimensionali e multi-dimensionali. Uni-dimensionali

• Scala numerica (NRS) si chiede al paziente di valutare il proprio dolore da 0 (assenza di dolore) a 10 (dolore massimo) 1-3 debole / 4-6 medio / 7-10 forte.

• Scala analogica visiva (VAS) – è una linea lunga 10 cm e al pz si chiede di indicare, sulla linea, il punto in cui si colloca il dolore.

• Scala variabile (VRS) – è costituita da aggettivi che rappresentano differenti livelli di dolore. Multi-dimensionali Le più conosciute sono:

McGill Pain Questionari (MPQ) si basa su 78 descrittori del dolore che comprendono 3 dimensioni (sensoriale, affettiva e valutativa) e 20 sottoclassi

Brief Pain Inventory (BPI) che si basa su scale da 0 a 10 e valutano l’intensità e l’interferenza del dolore con le attività psicosociali e fisiche.

TRATTAMENTO DEL DOLORE Analgesici Gli antiinfiammatori non steroidei (FANS), sono farmaci analgesici per il dolore lieve (da 1 a 3 nella scala numerica). La loro attività è antinfiammatoria, analgesica ed antipiretica. Agiscono inibendo la ciclossigenasi (enzimi COX) che trasforma l’acido arachidonico in prostaglandine. L’enzima COX si distingue in:

• COX 1 presente nella maggior parte dei tessuti e regola la sintesi delle prostaglandine in condizioni fisiologiche.

• COX 2 sopprime il dolore e l’infiammazione, ma produce una serie di effetti dannosi come una ridotta protezione della mucosa gastrica.

Effetti collaterali I più comuni sono disturbi a carico dell’apparato digerente (ulcere gastriche). A livello renale blocca la sintesi delle PGE2 (vasodilatatori renali), il rene riceve un’insufficiente irrorazione sanguigna che, nel tempo, può portare ad insufficienza renale. A livello epatico c’è un aumento delle transaminasi. Oppiacei Vanno somministrati ad orari fissi e non al bisogno e i dosaggi vanno personalizzati. Gli effetti biologici dipendono dall’interazione con i recettori µ (mi), δ (delta) e κ (cappa). In base all’interazione recettoriale, si distinguono in agonisti puri o parziali ed agonisti-antagonisti.

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Oppiacei deboli

• Codeina usata x il dolore lieve-moderato. La sua potenza è 1/10 rispetto alla morfina Ha un effetto maggiore se associata al paracetamolo.

• Tramadolo è un agonista dei recettori µ e inibisce la ricaptazione della serotonina e della noradrenalina e l’emivita è di circa 6 ore.

Oppiacei forti Morfina è di prima scelta nel trattamento del dolore moderato-severo. È presente in 2 forme:

Ad azione pronta da somministrare ogni 4 ore. È indicata per controllare le esacerbazioni acute del dolore. A lento rilascio da somministrare ogni 8-12 ore. È indicata nella fase di mantenimento. Può causare: nausea, vomito e

depressione respiratoria. Se somministrata in singole dosi, non possiede una spiccata azione analgesica a causa della sua scarsa biodisponibilità. Le interazioni con i farmaci adiuvanti ne potenziano l’effetto analgesico. Metadone Oppiaceo a lunga durata d’azione e può essere somministrato come: sciroppo, compresse, via rettale, ev, ecc. Fentanyl È 75-100 volte più potente della morfina, viene metabolizzato dal fegato e i suoi metaboliti non sono tossici. È possibile l’interazione con altri farmaci come: antibiotici, ansiolitici ecc. e il succo di pompelmo che può portare ad un aumento delle sue concentrazioni plasmatiche. AUMENTO INCIDENZA DEI TUMORI NELL’ANZIANO Il 60% di tutte le neoplasie è riscontrato nella popolazione di età superiore a 65 anni. Dipende da 3 principali fattori:

1. aumento dell'età media della popolazione ed il miglioramento del controllo di molte patologie non oncologiche; 2. il rischio di tumore cresce con l'aumentare dell'età; 3. l’effetto positivo della terapia antitumorale, e la tendenza alla "cronicizzazione" dei tumori determina un fenomeno di

"accumulo" dei soggetti. In Italia nella popolazione ultra65enne si constatano rischi non trascurabili e questo comporta un impiego consistente di risorse per questa fascia d’età. Quindi bisogna adottare, al più presto, criteri standardizzati e razionali, per erogare un’assistenza adeguata alle crescenti esigenze di una popolazione sempre più anziana. Infatti deve essere garantita la stessa equità nel diritto alla salute riconosciuta al resto della popolazione. (collegarsi all’ageismo) AGEISMO È qualunque forma di discriminazione contro o a favore di qualsiasi gruppo d’età, quindi categorizza le persone sulla base della loro età. Oggi risulta essere una forma di discriminazione in rapida espansione, perpetrata sia dalle istituzioni come: sistema sanitario e previdenziale, sia dal sistema formativo e professionale. PRIMA LEZIONE GIANNI – DOLORE Indagine 2004 in Italia, intervistante 30.000 persone e la prevalenza del dolore cronico era 22,8 %. ¾ di loro pensano che il dolore sia scarsamente controllato mentre ½ pensa durerà a vita.

1. DOLORE NOCICETTIVO: Muscoli, ossa, facilmente localizzabile. 2. DOLORE NEUROPATICO: Causato da danni o disfunzione dei nervi. Descritto come bruciore e difficilmente localizzabile. 3. DOLORE MISTO: Entrambe le cose. Può essere un tumore come una sindrome vascolare.

L’NRS è una scala di valutazione unidimensionale che misura il dolore acuto e cronico. È una scala con un minimo di 1 e un massimo di 10. Trabucchi nel 2004 dice che quando il soggetto non è più in grado di comunicare il dolore da sintomo ri-diventa segno. Il dolore in alcuni pazienti che non riescono ad esprimersi verbalmente può essere espresso con:

• segni facciali: smorfie, occhi chiusi, fronte corrugata, sbattere le palpebre…

• verbalizzazioni: sospirare, gemere, lamentarsi, gridare... Il dolore cronico è spesso trattato in modo inadeguato In un tot del 65% dei pazienti (40 oncologici e 25 non oncologici) non ricevono analgesici per il dolore. Il farmaco più usato è il paracetamolo. I FANS sono usati a dosi alte e continue. Gli Oppioidi poco usati e a dosi troppo basse. Le linee guida dell’american geriatric society dicono che bisogna somministrare FANS ai geriatrici con cautela.

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Il motivo per il quale non vengono somministrati oppioidi (a parte i pregiudizi) è a causa della STIPSI o delle INTERAZIONI FARMACOLOGICHE. Tutti i FANS hanno parecchi effetti collaterali (ulcerazioni gastro-intestinali, compromissione renale) I 4 PASSI PER IL SOLLIEVO DEL DOLORE: PRIMO: Le linee guida dell’american geriatric society dicono che la somministrazione di FANS a lungo termine ha più effetti collaterali di somministrazione di oppioidi a lungo termine. Proprio per questo hanno introdotto l’uso di analgesici oppioidi sin dall’insorgenza del dolore legato al cancro. SECONDO: Alcuni dicono di saltare questo passaggio poiché si dice di trattare il dolore con Coideina e Tramadolo i quali danno parecchi effetti collaterali (stipsi e non metabolizzazione). TERZO: Un approccio prudente per la somministrazione di oppioidi negli anziani è quello di iniziare con oppioide di rilascio immediato e modularlo in base all’analgesia e gli effetti collaterali. Se ci sono effetti collaterali utilizzare un altro oppioide. Inoltre è possibile aggiungere analgesici adiuvanti o non oppioidi riducendo la somministrazione di oppioidi, ma non l’efficacia analgesica. QUARTO: Si utilizza se inefficacie il punto 3. Prevede l’uso di somministrazione spinale di analgesici locali/oppioidi. Si utilizza anche la Chetamina via OS. Solitamente l’applicazione di queste linee guida funziona nel 90% dei casi, però si deve ricordare che la terapia analgesica

• Riduce la funzionalità epatica/renale

• Cambia il volume di distribuzione che aumenta l’assorbimento dei farmaci idrofili

• Diminuisce la produzione di saliva rendendo più difficile l’assorbimento sub-linguale.

• Diminuisce la peristalsi e aumenta la costipazione. Il targin dà sollievo dal dolore come l’ossicodone, ma ne riduce il grado di costipazione. La sua durata d’azione si prolunga per 12 ore sin dalla prima somministrazione. OSSICODONE: Agonista dei recettori µ, δ e κ. Esso agisce sui recettori degli oppioidi e questi recettori alleviano il dolore legato ai recettori degli oppioidi del SNC. Come effetto collaterale ha quello di causare costipazione. NALOXONE: È un antagonista puro. Contrasta la costipazione causata dagli oppioidi. A causa dell’effetto del primo passaggio (somministrazione OS) la biodisponibilità del Naloxone è minore del 3% dunque l’effetto sistemico non è lo stesso. IDROMORFONE: Agonista puro dei recettori µ. Una somministrazione al giorno per OS (a rilascio prolungato con tecnologia Push & Pull) Dosaggi: 4-8-16-32 mg. Viene assorbito nel Colon. Risposta analgesica efficacie nelle 6 ore e costante nelle 24. LEZIONE GIANNI/PIZZOLO SUL DIABETE Circa il 25% della popolazione over 60 è diabetica. Alcuni di essi però sono “IATROGENI” (ovvero diabete indotto da farmaci): CAUSE °Poco movimento °Insulino-Resistenza Dunque sono SARCOPENICI (aumento massa grassa, diminuzione massa magra) La prima causa di diabete è: la ridotta disponibilità di insulina. Sapere sintomi di ipo/iperglicemia e diagnosi di diabete (che sappiamo a memoria)

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Ipoglicemia: Complicanza del diabete trattato (con insulina o alcuni farmaci antidiabetici orale) ed è definita da glicemia plasmatica minore o uguale a 70 mg/dl. Sintomi:

• sudorazione

• tremore

• nervosismo

• tachicardia o aritmia

• fame eccessiva ed improvvisa

• pallore

• capogiro e vertigini

• stanchezza e debolezza

Iperglicemia:

Il tasso di glucosio nel sangue sconfina per eccesso, cioè: i livelli glicemici misurati su un piccolo campione ematico venoso, prelevato dopo un digiuno da almeno 8 ore risultano superiori o uguali ai 110 mg/dL, ma comunque inferiori ai 126 mg/dL Sintomi:

• secchezza delle fauci

• sete

• mal di testa

• minzione (bisogno di fare pipì) frequente

• visione offuscata

• affaticamento o sonnolenza

Diagnosi di diabete In assenza dei sintomi tipici della malattia come: poliuria, polidipsia e calo ponderale, il riscontro deve essere confermato in almeno due diverse occasioni di:

• Glicemia a digiuno, maggiore o uguale a 126 mg/dl (prelievo al mattino dopo 8 ore di digiuno)

• Glicemia maggiore o uguale a 200 mg/dl 2 ore dopo carico orale di glucosio (eseguito con 75 g)

• HbA1c (emoglobina glicata) maggiore o uguale al 6.5%

Se la Glicemia supera i 500 seguire il protocollo -500 -50 -50 È importante comunque osservare sempre il paziente. Un paziente con -Fronte sudata -Pallore Tipico paziente in IPOGLICEMIA -Freddo INSULINA: Perché metterla al frigo? Perché va conservata tra 2 e 8 gradi centigradi. Una volta aperta non c’è più bisogno di metterla al frigo, l’importante è che si trovi in una zona riparata a temperatura ambiente. Vedere comunque sempre la data di scadenza di insulina PRIMA DI APRIRLA E DOPO AVERLA APERTA (dopo averla aperta in media un mese) Assorbimento rallentato L’insulina prima dell’utilizzo va tolta dal frigorifero 30’ min. prima SE FREDDA Dolorosa sottocute IPERPOTASSIEMIA: In caso di iperpotassiemia si utilizza INSULINA + GLUCOSATA e.v Questo metodo di utilizza se 6< K <7 Utilizzare: -10 U.I di INSULINA REGOLARE in 500 ml di GLUCOSATA 10% in 60 min. -10 U.I di INSULINA REGOLARE in 20 ml di GLUCOSATA 50% e.v. in 5 min In entrambi i casi, se la glicemia è molto elevata NON SOMMINISTRARE GLUCOSIO.

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TIPI DI INSULINA Insulina Rapida Actrapid, Humulin Insulina ad Azione intermedia Protaphane Humulin I Insulina Lenta Lantus, Levemir Insulina Ultralenta Tresiba PREPARAZIONE TERAPIA Per terapia E.V Si usa prevalentemente per: -Emergenze -In Ospedale -Alta variabilità (per adattare la somministrazione) Importante conoscere: -Concentrazione Insulina (100 U.I x 1ml le classiche. Alcune anche >di 100 U.I x 1ml. -Stabilità -Compatibilità (MAI mettere in sacche parenterali) -In qualsiasi sostanza venga miscelata, essa deve essere STERILE e aggiunta in condizioni ASETTICHE Per terapia SOTTOCUTE Bisogna vedere il tipo di paziente- La somministrazione varia a seconda del tipo di ago utilizzato. Le siringhe da insulina sono lunghe 12,7 mm Introdurre l’ago a 45/60° prendendo una grande plica della pelle. Le penne da insulina sono lunghe 6 mm Va bene introdurre l’ago a 90° senza prendere la plica della pelle. Una volta somministrata l’insulina, rimanere con l’ago inserito per 6-10 secondi. Non utilizzare mai il batuffolo dopo aver bucato il paziente, utilizzarlo solo prima. Legge 19 del 2014: Non rincappucciare mai l’ago. Smaltire l’ago in appositi rifiuti Istruire adeguatamente il personale Per iniziare la “terapia basale” (Terapia iniziale del diabetico) Bisogna somministrare 10 U.I di insulina basale seguendo il seguente schema 3(matt)/4(pom)/4(notte) La terapia Basale comunque varia a seconda del peso del paziente. La somministrazione di RAPIDA: solo per le emergenze e quando c’è una soglia glicemica prefissata (non previene MAI l’iperglicemia).

• Può comportare un’ipoglicemia successiva.

• Si somministra 30 min prima del pasto (actrapid). Più pratiche Novorapid e Humalog che si somministra in corrispondenza del pasto.

La somministrazione di RITARDATA: sopprimono produzione di glucosio tra i pasti e durante il periodo notturno. Devono avere un effetto costante e continuativo nelle 24 h.

• Si somministra alla stessa ora ogni giorno. L’ultralenta invece si somministra in qualsiasi momento della giornata. IPOGLICEMIA MODERATA REGOLA DEL 15

• Somministrare 15gr di zuccheri semplici per OS (meglio se in soluzione)

• Misurare la glicemia ogni 15 min. Somministrare finché non si raggiungono i 110mg/dl IPOGLICEMIA GRAVE

• Somministrare Glucosata e.v

• 5 fiale da 10ml al 33% o 30/40 ml di soluzione al 50% in 1/3 min

• Proseguire con glucosata al 10% o bevande zuccherate fino a 110 mg/dl Percentuale zucchero a ogni glucosata Glucosata al 50% 5 g in 10 ml Glucosata al 33%: 3,3 g in 10 ml Glucosata al 10%: 1 g in 10 ml Glucosata al 5%: 5 g in 100 ml

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SECONDA LEZIONE GIANNI – COMORBILITA’ Fragilità Intesa tale se presente ALMENO 1 di 4 criteri:

1. Età >85 2. Dipendenza in >1 di ADL (attività vita quotidiana) 3. >3 patologie associate 4. >1 sindromi geriatriche (A, osteoporosi, delirio)

Invecchiamento: processo per il quale l’organismo sano si indebolisce. Come insorge la malattia nell’anziano?

1. I disturbi non vengono segnalati, 2. Le caratteristiche della malattia vengono modificate 3. Si altera la risposta alla malattia 4. La patologia si presenza in maniera atipica

Classificazione di patologie dell’anziano

• Malattie appannaggio dell’invecchiamento in sé (compaiono in modo progressivo e irreversibile)

• Malattie la cui incidenza aumenta con l’età(neoplasie)

• Malattie analoghe a quelle che si verificano nel soggetto adulto (presentano conseguenze più gravi nell’anziano) Polipatologia Più malattie che interferiscono tra loro e aumentano il rischio di disabilità/mortalità Esempi possono essere: ipertensione arteriosa (più comune) artriti (molto comune) BPCO (molto comune) ecc.. COMORBILITA’ APPARATO CARDIOVASCOLARE modifiche morfologiche

• Peso assoluto aumenta fino ai 400g

• Ispessimento parete ventricolo sx e setto

• Aumentano le dimensioni delle valvole

• Aumento del grasso subepicardico

• Aumento lipidi (stenosi aortica)

• Rami coronarici tortuosi, aterosclerotici modifiche funzionali

• < FC e tempo conduzione seno-atriale

• > pressione sistolica e plateau della diastolica nel decennio

• > Contributo atriale (dal 15/20% fino al 45%) INOLTRE: Presenza di cardiopatie ischemiche (>50% cause di morte) a causa di età, fumo, dislipidemia e ipertensione Valvulopatie Aortiche/Mitralica Cardiomiopatie (congestizia/ipertrofiche/restrittive) Aritmie (a causa dell’insufficienza delle cellule P, sostituzione tessuto Fibroso e alterazione sistema His (Purkinje) con FIBRILLAZIONE ATRIALE APPARATO RESPIRATORIO

➢ Riduzione riflesso deglutizione/tosse ➢ Riduzione capacità elastica del parenchima polmonare ➢ Ispessimento pareti arteriose/venose

Tossecompromette gli scambi gassosi Bronchite Cronica che comporta IpossiemiaPolicitemiaVasocostrizione PolmonareIpertensione PolmonareInsuffienza Cardiaca dx Polmoniti e Infezioni Tubercolari

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APPARATO DIGERENTE -CAVITA’ ORALE- Si riduce la masticazione a causa dell’osso mandibolare (osteoporosi) e riduzione saliva. Le gengive si riducono. Possibili carie, gengiviti, mucositi… -STOMACO- MRGE, < produzione acida, > produzione gastrina, lesione da farmaci (per il troppo quantitativo) -COLON RETTO- Stipsi primaria e secondaria (per farmaci, neurologica, ostruttiva o lesioni) con le varie complicanze della stipsi (fecalomi/colite, ulcere/abuso lassativi) Inoltre: diverticolite, colite ulcerosa, polipi, appendicite acuta -FEGATO- Riduzione metabolizzazione farmaci, riduzione flusso ematico, riduzione ossidazione e idrossilazione microsomiale -RENE- Alterazione morfologica del rene (< volume e < glomeruli (anche fino a <40%) con < secrezione Aldosterone/renina) Alterazioni importanti perché influiscono sull’eliminazione dei farmaci. SNC Il peso del cervello si riduce del 15%, i grossi neuroni muoiono e si perde la sostanza bianca. Nella corteccia centrale il numero delle sinapsi si riduce e si stima una perdita pari al 10% della perdita di neuroni (soprattutto nella corteccia e aree sottocorticali) Quadro istologico tipico: degenerazione neurofibrillare, placche neuritiche, amiloidi, corpi Lewy Marker biochimici: riduzione sistema colinergico, riduzione secrezione e metabolizzazione serotonina e dopamina (collegare il discorso delle demenze: se corticale Alzheimer/Pick, demenza vascolare, se sottocorticale encefalopatia di Binswanger o Parkinson) III Lezione GIANNI: DEMENZA La demenza di Alzheimer(AD): È una lenta malattia che inizia con un lieve problema di memoria e finisce con gravi danni al cervello. Il corso della malattia varia di persona in persona. Alcuni vivono fino a 10 anni dalla diagnosi iniziali, altri anche fino a 20. Ci sono 2 continuum (che spesso vanno di pari passo)

• Continuum Clinico Fibrille β-Mieloidi

• Continuum Neurobiologico (invecchiamento cerebrale) delle: Neofibrille proteina TAU DEFINIZIONE DEMENZA

Deficit cognitivo con disturbo dell’autosufficienza. 3 tipi di INTERVENTI: Prevenzione Primaria; Prevenzione Secondaria; Terapia 3 stadi CLINICI: AD PRE-SINTOMATICO (SCI) ; MCI ; AD (Alzheimer) Alterazioni cerebrali iniziali Alterazioni cerebrali Avanzate Sintomi moderati/severi Nessun sintomo Sintomi moderati MCI Sindrome clinica con criteri diagnostici ben stabiliti che determina nel paziente un più alto rischio di sviluppare demenza. Deficit Memoria ma il PAZIENTE È AUTOSUFFICIENTE. Nel 12% dei casi l’anno cronicizza in demenza. Importante prevenire con la prevenzione primaria, soprattutto con l’attività fisica e stili di vita adeguati.

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CLASSIFICAZIONE PRATICA DELLE DEMENZE

Alzheimer DEGENERATIVE Fronto-Temporale Corpi di Lewy IPERTENSIONE DEMENZE: VASCOLARI PURE DIABETE ATEROSCLEROSI (e altre…) MISTE entrambe ALZHEIMER Malattia scoperta nel 1986, dal 2007 è considerata una malattia cerebrale dove il primo problema si trova nell’ippocampo. Perché l’ippocampo? Perché è il traduttore di segnali per il cervello che trasforma il segnale elettrico in neuronale con fine di memorizzarlo. PROTEINA TAU IPERFOSFORILATA con formazione ammassi Neofribrillari Con l’Alzheimer c’è l’alterazione di enzimi pancreatici: β-PROTEINA-AMILOIDE Placche senili (accumulo di questa proteina attorno ai neuroni)

Esse danneggiano la corteccia cerebrale depositandosi nel tessuto cerebrale e “uccidendo” i neuroni per apoptosi. Dunque l’Alzheimer è una malattia degenerativa del SNC che si manifesta con demenza caratterizzata dalla presenza a livello della corteccia e dei centri grigi sottocorticali di placche senili e degenerazione neuro-fibrillare. L’esordio è insidioso con progressione cronica e progressiva. APOLIPOPROTEINA E(APOE): Gene coinvolto nel metabolismo della β-amiloide localizzato sul cromosoma 19. Regola il metabolismo di trigliceridi e colesterolo. Sintetizzata nel SNC è stata osservata nelle placche senili dei pazienti affetti da Alzheimer IL 40% dei pazienti con Alzheimer sono APOE POSITIVI. L’APOE favorisce il deposito di β-amiloide nelle placche e ha ruolo di clearance di β-amiloide. CONCETTO DI NEUROINFIAMMAZIONE: Gli anziani hanno i livelli sierici di citochine pro-infiammatorie più alti. Alcune sono associate all’Alzheimer (come le Interleuchine 1 e 6; TNF-α), altri sono associati semplicemente con infezioni (es: vie urinarie) RIDUZIONE DEL TONO COLINERGICO Il tono colinergico a causa dell’Alzheimer si abbassa. I farmaci somministrati per l’Alzheimer hanno lo scopo di aumentare il tono colinergico riducendo l’azione degli enzimi che degradano l’acetilcolina. QUADRO CLINICO

• Declino cognitivo

o Funzioni Mnesiche

o Funzioni Prassiche

o Funzioni Linguistiche

o Funzioni Gnosiche

o Disorientamento spazio-temporale

• Disturbi non cognitivi

o Oscillazione umore

o Alterazione personalità

o Psicosi (deliri e allucinazioni)

o Agitazione

o Disturbi comportamentali

• Compromissione funzionale

o IADL (attività della vita quotidiana strumentali)

o ADL (attività della vita quotidiana non strumentali)

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BPSD ➢ Insieme di disturbi psicologici, comportamentali e sintomi psichiatrici

➢ Comune a tutti i tipi di demenza, soprattutto Alzheimer

➢ Causa disagio a paziente e caregiver

APPROCCIO FARMACOLOGICO Acetilcolina Glutammato: Memantina (soprattutto per corpi di Lewy, vedi dopo) Beta-Amiloide: Inibisce e blocca la formazione di β-amiloide. Estrogeni/Antiossidanti DEMENZA FRONTO-TEMPORALE Il disturbo comportamentale si verifica solo all’esordio e progredisce lentamente (a differenza delle altre).

3 CLASSIFICAZIONI:

• Degenerazione lobare frontotemporale (alterazione personalità e comportamento, colpisce l’area orbito-frontale

bilaterale)

• Afasia Progressiva non fluente (difficoltà ad esprimersi a parole, ma comprensione conservata, colpisce l’area

perisilviana sinistra)

• Demenza semantica (progressiva alterazione del linguaggio) Perdita significato parole, agnosia associativa (deficit

riconoscimento oggetto) (colpisce lobi temporali)

La malattia è caratterizzata dalla presenza di corpi e cellule di Pick con assenza di grovigli neurofibrillari e placche. Disturbi comportamentali:

1. Trascuratezza propria persona

2. Perdita delle competenze sociali (mancanza di “tatto”)

3. Segni di disinibizione comportamentale

4. Impulsività e Distraibilità

5. Rigidità mentale e inflessibilità

6. Inconsapevolezza dello stato di Malattia

Per quanto riguarda la demenza semantica, nonostante si abbia difficoltà a parlare, la DIAGNOSI si effettua facendo una NEUROIMMAGINE Evidenza l’atrofia nella corteccia fronto-temporale Per la terapia non bisogna dare anti-psicotici nonostante i disturbi comportamentali siano quelli di una psicosi, infatti si rivelerebbero INUTILI. DEMENZA a corpi di Lewy Collegata alla malattia di Parkinson, ma ne sono affetti tra il 20 e il 25% dei pazienti a cui è stato diagnosticato l’Alzheimer. C’è la presenza dei corpi del Lewy (piccole inclusioni di strutture sferiche contenti proteine) che si possono trovare nelle cellule nervose dei nuclei del tronco del cervello e della corteccia ippocampale. I corpi di Lewy sono i corpi di una proteina maldigerita α-sinucleina responsabile del morbo di Parkinson(che precede la demenza). Importante è non dare farmaci per il Parkinson si deve dare la MEMANTINA (che agisce sui canali del glutammato). CLASSICI Si trovano nella substantia Nigra CORPI DI LEWY DIFFUSI Si trovano nella corteccia temporale superiore, amigdala e giro para ippocampale. CLINICA

• 90% allucinazioni visive, movimenti scoordinati e tremori (simil Parkinson)

• Disturbo memoria con progressione della malattia

• DLB (diagnosticata con neuroimaging)

Per quanto riguarda la DLBD (Malattia dei corpi di Lewy diffusi) abbiamo le seguenti caratteristiche:

• Sindrome dementigena di lieve entità all’esordio con marcati deficit visuo-spaziali(100%)

• Episodi di delirium (80%)

• Parkinsonismo (90%)

o All’esordio (20%)

o Rigidità muscolare (80%)

o Tremore (50%)

o Disturbi equilibrio (50%)

o Bradicinesia (40%)

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• Sintomi Neuropsichiatrici (30-50%)

o Allucinazioni visive (25%)

o Depressione (15%)

o Ideazioni Paranoidi (10%)

AFASIA PROGRESSIVA PRIMARIA Lento e progressivo deterioramento delle funzioni linguistiche con conservazione funzioni cognitive A volte si associa a anartria (deficit articolazione suoni del linguaggio) e parkinsonismo. La comprensione è ben conservata. C’è una lieve ANOMIA (errori fonologici: casa/cada) Non c’è deficit di ADL Riguarda metà dei casi con le seguenti patologie: Alzheimer; patologia Pick (senza corpi e cellule di Pick) DEPRESSIONE Alterazione cognitiva (perché a livello dell’ippocampo c’è lo sfiancamento dei neuroni). È reversibile(pseudodemenza) SINTOMI:

1. Ritiro sociale

2. Disturbi muscolari / cardiocircolatori / gastrointestinali / sessuali / endocrini

3. Ansia

4. Agitazione

5. Insonnia

6. Deliri e allucinazioni

DEMENZE VASCOLARI Causate principalmente da IPERTENSIONE e DIABETE portano alla demenza per ICTUS ISCHEMIE MICROVASCOLARI (+ frequenti) Mentre l’Alzheimer declina in maniera costante, la demenza vascolare declina a scalini. Si può diagnosticare con apposite scale, ma per avere una certezza bisogna fare una risonanza (mentre per diagnosticare l’Alzheimer è più difficile) L’insorgenza è rapida (soprattutto se ictus) mentre nell’Alzheimer è graduale. Malattia di Binswanger: Demenza vascolare che porta ad: apatia, agitazione e segni cortico-spinali/bulbari. Ha esordio subacuto con evoluzione lenta e progressiva. Ha un’incidenza del 7% nei soggetti con malattie cerebrovascolari. C’è la demielinizzazione della sostanza bianca peri ventricolare a distribuzione simmetrica a livello frontale, parietale e occipitale. Dilatazione dei ventricoli.

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GERIATRIA PROF. PIZZOLO

PAZIENTE GERIATRICO

• Presenta un alto rischio di invalidità, se non è già parzialmente o totalmente DISABILE

• Soggetto sano che supera i 65 anni di età e su cui è possibile intervenire per ottenere un buon invecchiamento

LINEE GUIDA DEL NURSING GERIATRICO

• È necessario cogliere la condizione di disagio dell’anziano e coinvolgere la famiglia e i servizi sociali

• Informare i medici dei vissuti del paziente riguardanti l’ambiente e la famiglia

• Integrare il paziente con i servizi territoriali

• Informarsi sulla presenza di eventuali barriere architettoniche per facilitarne l’inserimento nella comunità

SCALE DI VALUTAZIONE MULTIDIMENSIONALE – valutano:

• Salute fisica riguarda: L’elenco dei problemi medici e gli indicatori di severità della malattia

• Stato di salute riguarda: ADL (attività di vita quotidiana), valutazione del cammino e dell’equilibrio e performance fisica

• Stato cognitivo-affettivo Vengono effettuati test psicometrici per valutare le capacità cognitive e lo stato affettivo

• Stato socio-economico Si valutano risorse e necessità sociali e situazione ambientale.

SCALE:

Mini mental state examination è utile per le modificazioni nel tempo e il punteggio va da 0 a 30. o Da 0 a 20 – il paziente presenta una ELEVATA probabilità di compromissione cognitiva.

o Da 21 a 26 – il paziente presenta un BORDER-LINE (è su una linea di confine).

o Da 27 a 30 – il paziente presenta una BASSA probabilità di compromissione cognitiva.

Scala di depressione geriatrica di Yesavage è una scala che misura la depressione nel paziente e il punteggio va da 0 a 15. o Da 0 a 5 – paziente normale o Da 6 a 10 – paziente presenta BASSA probabilità di depressione o Da 11 a 15 – il paziente presenta ALTA probabilità di depressione

COMORBILITA’ Il paziente presenta contemporaneamente 2 o più malattie, inoltre può presentare altre condizioni morbose, non riconosciute, perché silenti.

FRAGILITÀ

È un elevato rischio di eventi avversi che comportano un significativo deterioramento della qualità di vita del paziente. • Rischio elevato: disabilità, quindi dipendenza / cadute e traumi / problemi cognitivi ecc.

• Sintomi: astenia / anoressia / debolezza muscolare / inattività / perdita di peso

• Processi involutivi: malnutrizione / turbe dell’equilibrio / rallentamento della marcia ecc.

DISABILITA’

• Difficoltà o incapacità a compiere attività per essere indipendenti

• Prevede l’attuazione di specifici protocolli e appositi modelli assistenziali

Patologie disabilitanti

Osteoartrosi e osteoporosi (portano a fratture in oltre il 50 % dei pazienti con + di 65 anni) / ictus cerebrale / Parkinson / demenza e depressione / scompenso cardiaco e BPCO Malattie più comuni riscontrate nel paziente anziano

Diabete mellito / cancro (colon, prostata, polmone ecc.) / ulcere da decubito / cataratta e glaucoma / stipsi o incontinenza / sordità / depressioni / ipotermia ecc.

IMMOBILITA’

Sindrome ipocinetica cioè è presente una ridotta o assente autonomia del movimento. Può essere ad insorgenza acuta o progressiva. È dovuta a problemi legati al SNC. Gli eventi correlati sono: ipotrofia muscolare, rigidità osteo-articolare, osteoporosi, rischio di cadute e fratture, rischio tromboembolitico. Porta anche a sedentarietà e scorretta alimentazione e questo coinvolge tutti gli apparati. Gli anziani instabili presentano un alto rischio di CADUTE che riguardano 1/3 degli anziani oltre i 65 anni e ½ (la metà) degli anziani oltre gli 80anni.

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Le conseguenze possono essere: • Immediate come: decesso / traumi cerebrali / fratture soprattutto femorali (richiedono una lunga ospedalizzazione) / lesioni

organi ecc.

• tardive come: depressione (dovuta all’immobilità) / timore di nuove cadute / diminuzione dell’autostima e quindi spostamenti

ridotti ecc.

Valutazione dell’anziano con storie di cadute

➢ Fare attenzione a: anamnesi patologica / valutare i farmaci in relazione con i pasti / valutare apparato cardiovascolare, muscolo scheletrico e SNC

➢ È essenziale: misurare PA in clino ed in ortostatismo per verificare la presenza di ipotensione ortostatica ➢ Utilizzare scale di valutazione per l’equilibrio e l’andatura Prevenzione delle cadute: controllo ipotensione ortostatica / uso di farmaci sedativi e di almeno 4 farmaci / ridotta forza muscolare, anche solo ad un arto ecc. Per prevenirle è necessario: correggere i difetti oculari e/o acustici – programma differenziato di esercizio fisico – intervento su fattori ambientali (scale, arredo stanze da bagno, pavimentazione ecc.)

INCONTINENZA URINARIA - l’acronimo è DRIP

D delirio o disidratazione R ridotta mobilità o ristagno I infiammazione o infezione P prodotti farmaceutici o poliuria (aumento della quantità di urina escreta) L’anziano non riferisce incontinenza urinaria se non gli viene chiesto direttamente Tipi di incontinenza urinaria: • Transitoria può essere dovuta da: infezioni come uretriti e vaginiti, farmaci, fattori psicologici, ridotta mobilità

• Da urgenza è dovuta ad un involontario passaggio di urina, successivo ad un forte stimolo di urinare

• Da stress dovuta dall’aumento della pressione addominale, da tosse, sternuti ecc.

• Mista dovuta da stress ed urgenza

• Funzionale dovuta da barriere architettoniche ambientali (Es impossibilità di accesso al bagno)

• Da reflusso iperdistensione vescicale

• Totale avviene una continua ed imprevedibile perdita di urina

Gli uomini presentano un rischio maggiore, di incontinenza urinaria Raccomandazioni

• Raccogliere note anamnestiche correlate all’insufficienza urinaria come: diabete, ictus, Parkinson, infezioni

urinarie ecc.

• Controllare i farmaci assunti dal paziente

• Identificare capacità cognitive e funzionali del paziente

• Esaminare le urine per verificare se è presente un’infezione

• Verificare se occorre uno svuotamento guidato

• Assicurare un’assunzione di liquidi di circa 1500/2000 ml/die e minimizzare caffeina e bevande alcoliche

CATETERISMO

È un drenaggio che entra dal meato, passa per l’uretra e arriva in vescica. Presentano diverse forme, dimensioni e lunghezze e le punte presentano diverse aperture. Possono essere composti da materiali rigidi, semirigidi o morbidi. Uso del catetere Un paziente viene cateterizzato solo in caso di assoluta necessità perché causa di infezioni urinarie. L’80% sono dovute ai cateterismi o a strumenti diagnostici Le infezioni da catetere sono dovute principalmente da batteri come: escherichia coli, klebsiella, pseudomonas, e candida e si

localizzano soprattutto a livello vescicale e uretrale.

Il cateterismo viene effettuato per:

• Determinare la quantità residua di urina, dopo che il paziente ha svuotato la vescica

• Superare un ostacolo meccanico

• Mantenere il drenaggio post-operatorio

• Misurare la diuresi oraria in pazienti gravi

È importante osservare: una rigorosa sterilità, pulire adeguatamente il meato urinario, scegliere un catetere di piccolo calibro,

lubrificare, rimuoverlo il più presto possibile.

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MALNUTRIZIONE

La capacità di sopportare una malattia debilitante dipende dallo stato nutrizionale del soggetto, quindi più il paziente è malnutrito, più ha difficoltà ad affrontare la malattia. Cause della malnutrizione:

• Diminuito apporto di nutrienti / aumentate perdite / alterato metabolismo

Altre cause possono essere dovute a:

• Lesioni ostruttive del tratto gastrointestinale / sindromi da malassorbimento / neoplasie / anoressia / patologie che includono un elevato metabolismo glucidico e proteico (traumi)

Conseguenze: • Ritardata guarigione delle ferite / diminuita risposta immunitaria / aumentata risposta ventilatoria e rischio d’infezione

Per un adeguato apporto nutrizionale VALUTARE:

• Stato nutrizionale del paziente / effettuare misure antropometriche / valutare patologia in atto / dosaggio delle

proteine plasmatiche / test immunologici

Cosa avviene nel digiuno

L’organismo mette in atto processi di compenso per mantenere costante il rifornimento energetico. Il cervello e gli eritrociti richiedono un apporto fisso giornaliero 180 gr/die di glucosio, indipendentemente da situazioni fisiologiche o patologiche, di digiuno o no. Le riserve energetiche dell’organismo sono:

• Lipidi (tessuto adiposo) / Proteine (tessuto muscolare) / Glicogeno (muscoli e fegato)

Per valutare lo stato nutrizionale del paziente bisogna valutare i PARAMETRI:

• ANTROPOMETRICI peso, altezza, circonferenze corporee ecc.

• BIO-UMORALI albuminemia, transferrinemia, creatinuria ecc.

• IMMUNOLOGICI conta dei linfociti e delle immunoglobuline

• ALIMENTARI diario alimentare, ritmo delle assunzioni, abitudini antecedenti ecc.

Rischio nutrizionale

La CAUSE possono essere: • Ridotto introito di alimenti o Carenza nutrizionale IMPUTABILI a: Anoressia, Depressione, Alcolismo

• Diminuito assorbimento o Alterato metabolismo IMPUTABILI a: Malattie corniche come: diabete, IRC ed epatopatie

• Aumentato fabbisogno IMPUTABILE a: Infezioni, Traumi, Neoplasie

• Aumentate perdite IMPUTABILE a: Emorragie, Ustioni, Decubiti

NUTRIZIONE ARTIFICIALE

L’obiettivo della nutrizione artificiale è: contenere le perdite proteico-energetiche / ripristinare le scorte energetiche / controllare il catabolismo è utilizzata per: o Pazienti malnutriti: che non riescono ad alimentarsi correttamente entro 5-7 giorni o Pazienti normo-nutriti: che sono a rischio di malnutrizione e che nell’arco di 5-7 giorni non riescono ad introdurre almeno il 50% degli apporti necessari La nutrizione artificiale NON viene utilizzata in: o Pazienti con instabilità emodinamica o in scompenso respiratorio acuto o Pazienti che si alimentano per OS entro 5-7 giorni o Pazienti terminali

Nutrizione ENTERALE

Viene utilizzata quando non è possibile alimentare il paziente x OS o quando il canale alimentare non è in grado di funzionare normalmente. Vengono introdotte soluzioni alimentari nel tubo digerente attraverso apposite sonde. Può essere:

o A LUNGO TERMINE viene effettuata tramite: gastrostomia, PEG e digiunostomia

o A BREVE TERMINE viene effettuata tramite: alimentazione naso-gastrica, alimentazione naso-duodenale e

alimentazione naso digiunale

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Nutrizione PARENTERALE può essere di 2 tipi:

TOTALE (NPT)

• I nutrienti vengono assunti direttamente nel sangue.

• Viene posizionato un catetere che consente di raggiungere una grossa vena centrale.

• Le vene del braccio non sono adatte per alcuni tipi di NPT perché non tollerano le elevate concentrazioni delle soluzioni

utilizzate.

• Le vene periferiche possono essere utilizzate solo per brevi periodi e in questo caso si somministrano soluzioni adatte a coprire fabbisogni nutrizionali completi

Questo tipo di somministrazione viene utilizzata:

• Quando il canale alimentare non è in grado di funzionare normalmente

• Per aumentare il fabbisogno nutrizionale

• In pazienti che presentano: cachessia, atrofia muscolare, perdita di peso ecc.

Come viene somministrata l’NPT? Può essere somministrata tramite: CVP (catetere venoso periferico)

• Ha una durata di 15 giorni circa / possono essere somministrati farmaci a bassa concentrazione / può essere utilizzato per

integrare la nutrizione orale o enterale

• Vene utilizzate: cefalica e basilica (mantengono una somministrazione massima di 250 ml/die)

CVC (catetere venoso centrale)

• È un presidio che consente l’infusione dei nutrienti in vena cava superiore, inferiore o in prossimità dell’atrio destro

• Viene inserito mediante venipuntura percutanea nella vena giugulare interna, o nella succlavia o nella vena femorale.

• Viene utilizzato per lunghi periodi e per farmaci ad alte concentrazioni.

Alcuni pazienti presentano infezioni o infiammazioni dei vasi venosi, quindi è indispensabile una corretta gestione sia dei CVP che dei CVC. Raccomandazioni

Evitare le zone di flessione / evitare la parte interna del polso (è possibile danneggiare i nervi radiali, ulnari o mediani) / evitare di utilizzare le vene delle basse estremità perché il rischio di embolia o infezione è più alto Per evitare infezioni nosocomiali bisogna effettuare il lavaggio delle mani ed utilizzare i DPI.

Disinfezione • Pulire la pelle da polvere e da materiale organico prima di applicare l’antisettico • Non utilizzare acetone perché irrita e danneggia il catetere • Utilizzare clorexidina gluconata al 2% è più efficace dello iodio povidone al 10% perché offre un vasto spettro antimicrobico e battericida Tipi di catetere – può essere: Esterno / Parzialmente impiantato (tunnelizzato) / Totalmente impiantato (PORT) Medicazione

Bisogna considerare i seguenti fattori:

• Conoscere il tipo di cerotto da utilizzare. Solitamente si usa il saturless, che non deve essere utilizzato se la zona

d’inserzione presenta un sanguinamento.

Se si presenta un sanguinamento, utilizzare garze sterili.

• Cambiare il cerotto periodicamente

Somministrazione NPT

È possibile utilizzare Fleboclisi a CADUTA con regolazione manuale, regolate tramite pompa o con micro-gocciolatore (è molto sicuro) La velocità varia a seconda delle esigenze del paziente. Le sacche devono essere conservate in un luogo fresco ed asciutto che non superi i 25°C. Se le sacche sono personalizzate vanno mantenute in frigo

ASSISTENZA RESPIRATORIA

• Individuare se il paziente ha avuto crisi asmatiche, dispnea o sibili

• Capire se è presente tosse di tipo produttivo o secca ed individuarne: quantità / colore / densità

• Capire lo stile di vita del paziente (ad esempio se è stato fumatore, che tipo di lavoro ha svolto ecc.)

• Capire se è presente dolore, quindi effettuare: discrezione, localizzazione, la tempistica ecc.

• Capire la storia farmacologica del paziente, quindi che farmaci utilizza, i dosaggi, da quanto tempo ecc.

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Effettuare: ispezione, palpazione, percussione ed auscultazione

Ispezione:

• Capire il tipo, la frequenza e la profondità del respiro e annotare eventuale iper/ipoventilazione, tachipnea, bradipnea, dispnea ecc.

• Posizioni assunte se è presente BPCO

• Colorito della pelle (rileva ipossia o anossia) Palpazione: Fornisce informazioni sull’ampiezza degli atti respiratori e fremito vocale tattile Percussione: Fornisce informazioni sulla motilità diaframmatica e sui suoni del torace Auscultazione: Fornisce informazioni sui suoni respiratori che possono essere: normale, accidentale o assente

Alcune definizioni:

➢ Eupnea: Respiro fisiologico, di normale frequenza 12-20 resp/min

➢ Dispnea: Esperienza soggettiva di discomfort respiratorio caratterizzato da sensazione di difficoltà respiratoria

➢ Tachipnea: Aumento della frequenza respiratoria > 20 resp/min

➢ Bradipnea: Diminuita frequenza degli atti respiratori < 12 resp/min

Esami diagnostici da effettuare:

Analisi dell’espettorato / campione di sangue venoso / EGA / test funzionalità polmonare / percentuale saturazione di ossigeno

Ossigeno terapia

In caso di emergenza deve essere prescritta dal medico. Si possono utilizzare: occhialini e sonde nasali o maschere a basso ed alto flusso. Valori emogasanalisi (EGA) ➢ pH tra 7.35 e 7.45 Indica l’equilibrio acido-base ➢ PaCO2 tra 35 e 45 mmHg La pressione parziale di anidride carbonica ➢ HCO3 tra 22 e 26 mMol/L Sono i bicarbonati ematici ➢ P/F circa 450 Il rapporto P/F = PaO2 / FiO2 (Frazione inspiratoria O2) è indice della respirazione alveolare. Se <200 è indice

di insufficienza respiratoria. ➢ PaO2 tra 80 e 100 mmHg La pressione parziale arteriosa di ossigeno nel sangue ➢ Na tra 135 e 145 Natriemia // Ipernatriemia // Iponatriemia ➢ K tra 3,5 e 5 Kaliemia // Ipokaliemia // Iperkaliemia ➢ Ca tra 8,5 e 10,5 Calcemia // Ipocalcemia // Ipercalcemia ➢ Lattati < 4 L’acido lattico è prodotto dal metabolismo cellulare, un aumento è indice di ipoperfusione periferica ➢ Glucosio tra 60 e 110 Glicemia a digiuno // Ipoglicemia // Iperglicemia pH Acidosi < 7.35 Acidosi < 7.35 Alcalosi > 7.45 Alcalosi > 7.45 Pco2 Ipocapnia < 35 Ipocapnia < 35 Ipercapnia > 45 Ipercapnia > 45 HCO3 < 22 < 22 > 26 > 26 Verde = Alcalosi respiratoria Rosso = Acidosi respiratoria Blu = Acidosi metabolica Arancione = Alcalosi metabolica

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Acidosi respiratoria

• Polmonite

• BPCO

• Depressione dei centri respiratori

• Ostruzioni vie aeree (PNX) Il paziente può presentare bradipnea, disorientamento, cefalea

Alcalosi respiratoria

• Esercizio fisico severo, ipossia, anossia

• Iperventilazione

• Patologie polmonari Il paziente può presentarsi con tachipnea, stato di coscienza alterato e convulsioni

Acidosi metabolica

• Diabete

• Insufficienza renale

• Intossicazione da alcool Il paziente si presenta soporoso fino allo stato di coma, iperventilazione per compensazione

Alcalosi metabolica

• Ipocaliemia

• Vomito protratto

• Cirrosi epatica Il paziente si presenta bradipnoico e con un respiro superficiale. Ha vertigini, ipertono muscolare, è irritabile e

disorientato.

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NEUROLOGIA PROF. FATTAPPOSTA PRIMA LEZIONE Per Leonardo da Vinci “La pratica deve essere edificata sopra una buona teoria” Per Luigi Condorelli “Osservazione e Ragionamento sono 2 atti del dramma clinico.” Semeiotica È lo studio di SEGNI e SINTOMI ad esempio il Rash è un segno, il Prurito è un sintomo. Inoltre il sintomo è riferito e lo si può intuire dal segno. Le varie disfunzioni del cervello sono a carico del neurone (cellula nobile del SN). Per capire la realtà del neurone, dobbiamo parlare in termini di funzione (cioè come funziona il sistema) Struttura dell’ENCEFALO Il cranio è tondo e non quadrato perché, se fosse quadrato, sarebbe fragile. Quindi il cranio è tondo perché è RESISTENTE, inoltre è INESTENSIBILE. Il SN si divide in SNC e SN Periferico.

• SNC: encefalo, tronco dell’encefalo (parte di transizione) e midollo spinale

• SN Periferico: è rappresentato da ciò che esce dal midollo spinale, cioè i nervi spinali e dal SN Autonomo che a sua volta si divide in:

• parasimpatico craniale (SN Autonomo superiore), parasimpatico sacrale (SN Autonomo inferiore) e ortosimpatico (SN Autonomo centrale)

MIDOLLO SPINALE Si estende dal FORAME MAGNUM al MARGINE SUPERIORE DELLA 2° VERTEBRA LOMBARE. Si distinguono i tratti: cervicale, dorsale, lombare e sacrale. Inoltre sono presenti 2 rigonfiamenti: cervicale (C4 a T1) e lombo-sacrale (L5 a S1-S2) questo tratto è detto EPICONO, il tratto che va da S1 a S4-S5 + il 1° e il 2° segmento coccigeo è detto CONO TERMINALE. Al di sotto del cono terminale c’è il CANALE VERTEBRALE che contiene solo le radici dei nervi spinali e l’insieme di queste radici è detto CAUDA EQUINA. (RIEPILOGANDO: midollo spinale – epicono – cono terminale – canale vertebrale – cauda equina) Per prelevare il liquor, che scorre nel canale midollare della colonna vertebrale, è necessario effettuare una rachicentesi (puntura lombare) e viene prelavato tra le vertebre L3-L4 o L4-L5. Questo liquido ci permette di avere informazioni che riguardano le infezioni cerebrali come: meningiti, sclerosi multipla, encefalite ecc. La SOSTANZA GRIGIA riveste la materia bianca dell’ENCEFALO (1), al centro presenta delle strutture di sostanza grigia cioè: i nuclei della base (l’alterazione di questi nuclei porta ad Es al Parkinson) Al di sotto dell’encefalo, cioè nel TRONCO dell’ENCEFALO, composto da: mesencefalo, ponte e bulbo (2), si nota che la sostanza grigia comincia a frammentarsi e non circonda più la struttura. Ancora più giù, cioè lungo il MIDOLLO (3), la sostanza grigia è presente al centro, mentre la sostanza bianca è all’esterno. Quindi, mano a mano che si scende, la sostanza grigia dall’esterno passa all’interno e forma delle strutture dette CORNA ANTERIORI e CORNA POSTERIORI. A differenza degli altri organi, il cervello presenta 3 membrane, cioè le MENINGI. Hanno un’azione protettiva. Quella più esterna è la DURA MADRE, è presente nella parte interna dell’osso, la zona intermedia è detta ARACNOIDE ed ha vasi sanguigni (arterie e vene e trabecole) infine quella più interna è la PIA MADRE che è a diretto contatto con il cervello. Quindi, in base a dove si localizza un ematoma, avremo segni diversi.

• Ematoma epi-durale si forma tra a l’osso e la dura madre

• Ematoma sub-durale si forma tra la dura madre e l’aracnoide

• Emorragia sub-aracnoidea si forma sotto l’aracnoide (il danno riportato è importante) Liquor Il cervello non è pieno. Se lo fosse, in seguito ad ogni sollecitazione, riporterebbe delle contusioni. Invece al suo interno presenta delle cavità dette VENTRICOLI che contengono il LIQUOR. Questo liquido è STERILE e funge da SOSTEGNO e PROTEZIONE MECCANICA. I ventricoli sono 4: ventricolo laterale dx e ventricolo laterale sx, questi comunicano con il 3° ventricolo tramite 2 fori e il 3° ventricolo comunica con il 4° ventricolo tramite il l’acquedotto di Silvio. I ventricoli presentano i PLESSI CORIOIDEI che producono il liquor il quale, quando arriva nel 4° ventricolo, esce e riveste tutto il midollo ed il cervello ed infine confluisce nel torrente venoso. Quindi il liquor che si preleva dalla 2° vertebra lombare, è lo stesso che si trova intorno al cervello.

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Il volume del liquor varia tra i 100 e i 150 ml, vengono prodotti 0,35 ml al min. e viene rinnovato 3 volte al giorno, In 24 ore si ha una produzione totale di 500 ml. L’encefalo ed il liquor sono isolati dalla circolazione generale grazie alla BARRIERA EMATO-ENCEFALICA che è inesistente a livello anatomico, ma è un’unità funzionale. Questa struttura è composta dai villi aracnoidei. Ogni villo, al suo interno, presenta: il capillare e la membrana basale (tra il capillare e la membrana basale c’è la cavità basale, cioè uno spazio vuoto). Sulla membrana sono presenti delle cellule a cuneo, tenute tra loro dalle tight junction (sono cellule) e sono rivestite da un’altra membrana. Lo scopo è quello di proteggere il tessuto cerebrale da elementi nocivi presenti nel sangue, ma comunque permette il passaggio delle sostanze che sono necessarie per le funzioni metaboliche. Quindi non deve passare il sangue, altrimenti crea danni. Normalmente il liquor deve presentare un aspetto limpido, detto anche ad acqua di roccia, ma può presentare variazioni importanti che ne cambiano l’aspetto. Significa che c’è un’alterazione della barriera emato-encefalica che ha permesso il passaggio di queste cellule, quindi il liquor può essere:

• Opalescente sono presenti + di 500 cellule.

• Torbido e Purulento sono presenti almeno 10mila polinucleati (è presente pus, cioè cellule deteriorate)

• Ematico c’è stato un sanguinamento a carico dell’aracnoide o della pia madre e l’emorragia più frequente è quella sub-aracnoidea, dovuta da un aneurisma che è più frequente nei giovani perché presentano un’attività fisica più intensa.

• Xanto-cromico c’è la lisi dei globuli rossi, l’emoglobina è metabolizzata e si trasforma in ossiemoglobina. Teoria di Monro-Kellie (meccanismo di compenso) L’encefalo è composto da 3 volumi: 80% dal parenchima, 10% dal liquor e 10% dai vasi sanguigni. Qualsiasi causa che porta ad un aumento di 1 dei 3 volumi, comporta la riduzione degli altri 2 e causa la sindrome dell’ipertensione endocranica. I segni sono: cefalea, vomito (il vomito cerebrale avviene a digiuno ed è a getto) e papilla da stasi. Idrocefalo È un aumento abnorme del volume liquorale a spese del parenchima cerebrale. Questo determina un aumento della pressione cerebrale e si presenta la sindrome dell’ipertensione endocranica. Se si verifica nel Primo anno di età: le strutture sono aperte e l’idrocefalo distende il manto emisferico e la parete cranica. Questo porta ad una macro-cranìa con una fontanella tesa o sub-tesa. Se si verifica OLTRE il Primo anno di età: le suture e la fontanella sono chiuse, quindi non sono presenti elementi visibili per definire la presenza di una ipertensione intracranica in atto, però il bambino presenterà: inappetenza, disturbi del comportamento, lamentosità ecc. Trattamento Si effettua una derivazione liquorale interna (DLI), è permanente e può essere di 3 tipi: derivazione ventricolo-peritoneale, derivazione ventricolo-atriale o derivazione lombo-peritoneale. La derivazione liquorale esterna (DLE) è una procedura temporanea e serve a drenare i ventricoli solo per un periodo di tempo limitato. Negli ANZIANI la sostanza grigia si assottiglia e l’idrocefalo può essere: Normoteso c’è l’aumento del liquor nei ventricoli cerebrali (aumento della pressione intracranica) e il cervello all’interno è dilatato, ma intorno il volume del liquor è ridotto. La pressione interna spinge il cervello contro le ossa del cranio e porta a sintomi come:

• demenza, atassia (scoordinazione motoria di braccia e gambe), perdita di controllo sfinteriale ecc. Può essere trattato chirurgicamente impiantando un shunt ventricolo peritoneale. Il liquor in eccesso viene drenato nell’addome dove viene assorbito. In questo caso il cervello dell’anziano presenta dei picchi di aumento di pressione ed impiega più tempo a ritornare allo stato iniziale perché è meno elastico rispetto a quello di una persona giovane. Iperteso i sintomi sono: cefalea, vomito e disturbi del comportamento.

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SECONDA LEZIONE MENINGITI Si classificano in base:

• agente eziologico, quindi possono essere: batteriche, virali, micotiche ed elmintiche.

• alla modalità d’insorgenza e possono essere: ✓ fulminanti sono le più pericolose perché si sviluppano in poche ore e portano a coma e a shock (Es le

meningococciche) ✓ acute si sviluppa in pochi giorni ✓ sub-acute sono insidiose perché il decorso è lento e subdolo. (Es le micotiche) ✓ ricorrenti episodi che si ripetono anche a distanza (Es trauma cranici o immunodeficienze dovute ad es

dall’HIV) ✓ decapitate decorso modificato da terapia antibiotica non sufficiente ad eradicazione

Presentano pochi segni e sintomi, ma se individuati è possibile intervenire precocemente e in alcuni casi salvare la vita del paziente. Segni: febbre alta, rigidità nucale e alterazione della coscienza (il paziente non ha la consapevolezza di sé e dell’ambiente) Se è presente solo alterazione di coscienza, è possibile che il paziente presenti un ictus Meningismo è la reazione delle meningi in corso di malattie infettive Questi disturbi (febbre alta, rigidità nucale e alterazione della coscienza) avvengono perché l’agente infettante supera la barriera emato-encefalica, si altera, le meningi vengono invase e i plessi corioidei vengono infettati. Meningite purulenta I microorganismi patogeni invadono le meningi e lo spazio sub-aracnoideo C’è ipertensione endocranica cioè: aumenta la pressione del liquor, quindi c’è edema cerebrale e alterazione del flusso vasale. Fisiopatologia dei sintomi della sindrome meningea

1. ipertensione endocranica porta a: cefalea, vomito, bradicardia e papilla da stasi 2. irritazione delle terminazioni nervose porta a: dolore, proveniente dalle meningi, segni ipertonico antalgici come il

segno di BRUD-ZINSCHI, segno del tripode ➢ Segno di BRUD-ZINSCHI è di 2 tipi:

✓ Tipo 1 se posizioniamo una mano sotto la nuca del paziente e flettiamo il capo in avanti, si flettono anche gli arti inferiori. Questo avviene perché le meningi quando vengono stirate si accorciano, quindi è una risposta al dolore che è provocato dalla flessione.

✓ Tipo 2 se viene tirata su la gamba sx del paziente, si flette anche quella dx. Questo è dovuto al riflesso controlaterale

➢ Segno del tripode Si ha rigidità nel dorso, quindi per assumere la posizione seduta, si ha la necessità di un triplice appoggio cioè arti superiori e bacino

3. irritazione del SNC porta ad alterazioni sensitivo-sensoriali che causano: agitazione psico-motoria, obnubilamento (paziente è in delirio o è confuso) ecc.

4. manifestazioni neuro vegetative portano a: respiro di Biot, alterazioni del ritmo cardiaco e paralisi degli sfinteri Le meningiti possiamo distinguerle anche in base alle caratteristiche del liquor Meningiti a Liquor Torbido sono meningiti purulente (c’è pus) e sono presenti + di 500 cellule, la pressione è elevata e sono BATTERICHE Meningiti a Liquor Limpido sono meningiti di tipo VIRALE sono le più frequenti. Nel 70-90% dei casi ci è data dagli enterovirus (Es Herpes Simplex di tipo 2) Meningiti batteriche acute l’eziologia dipende dall’età e dai fattori di rischio del paziente, è dovuta soprattutto dallo streptococcus agalactiae Meningiti tubercolari sono BATTERICHE SUB ACUTE E CRONICHE

• Il batterio tubercolare, assunto per inalazione, invade il polmone e dissemina i linfonodi regionali.

• Durante la disseminazione ematogena, i bacilli si localizzano a livello delle meningi o del parenchima

• Le foci di Rich possono aumentare di dimensioni e se avviene una rottura dei tubercoli nello spazio sub-aracnoideo, questo determina meningite.

• Queste meningiti o non avvengono, anche se il batterio è presente, ma non è stato attivato o possono presentarsi anche a distanza di tempo dall’avvenuta inalazione del batterio tubercolare e questa riattivazione può essere dovuta da: abbassamento difese immunitarie, herpes, scarsa alimentazione ecc.

Queste meningiti vengono anche dette meningiti della base perché quest’infiammazione colpisce la base cranica che presenta un essudato gelatinoso che può occludere lo spazio sub-aracnoideo Clinica Inizio subdolo, porta a: irritabilità, stanchezza, febbricola, cefalea e vomito / è letale nel 100% dei casi / decorso medio è di 6 settimane / i presenta come meningite a liquor limpido. Tubercolosi spinale il batterio tubercolare può colpire anche il midollo e può causare, ad esempio, una compressione midollare

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TRAUMI DELL’ENCEFALO Sono danni funzionali o strutturali del SNC, causati da forze fisiche meccaniche. Le lesioni tendono a localizzarsi soprattutto a livello delle regioni sub-frontali e temporali. Si distinguono in traumi aperti e chiusi, in base alla presenza o meno, di una comunicazione fra gli spazi liquorali e l’esterno.

• Aperti sono caratterizzati dallo sfondamento, più o meno circoscritto del cranio e della dura madre e comportano: ➢ Distruzione parenchimale massiva / lacerazioni meningo-vascolari con emorragie e liquorrea ecc.

• Chiusi il danno può variare da lievi disturbi funzionali fino al coma. In seguito al danno, cioè dopo il colpo subito, si possono creare delle lesioni focali o generalizzate, ma il vero problema è l’EDEMA che si è formato, che crea una sofferenza nel neurone. L’edema può essere:

Vasogenico è dovuto ad una genesi vasale, in questo caso l’edema comprime i neuroni, ma è meno grave dell’edema citotossico.

Citotossico in questo caso i neuroni si gonfiano e crea tossicità ai neuroni stessi. Si può intervenire somministrando del MANNITOLO per via EV in modo da riassorbire l’edema che si è venuto a creare. Quadri clinici: Commozione cerebrale / Contusione cerebrale / Ematoma extradurale o epidurale / Ematoma sub-durale / Emorragia sub-aracnoidea / Ematoma intra-parenchimale Commozione cerebrale La perdita di coscienza è breve e transitoria, dura pochi secondi o minuti e non ci sono alterazioni strutturali del SNC, neuro-radiologicamente dimostrabili. Contusione cerebrale In seguito ad un contraccolpo traumatico, il tessuto cerebrale subisce una lesione e le regioni più frequentemente interessate sono i lobi frontali, occipitali e temporali. Inoltre un colpo subito in una zona della scatola cranica, può portare ad una contusione che si forma dall’altra parte della scatola cranica. Questo è il contraccolpo cioè il rimbalzo dell’urto. Differenza tra commozione e contusione La commozione dura pochi secondi e non è presente nessuna lesione. È presente un edema vasogenico nelle strutture del ponte (posizionato tra mesencefalo e bulbo) Nella contusione è presente una lesione e in questo caso il soggetto può vederci doppio, camminare male ecc. Circolo o Poligono di Willis Permette al sangue proveniente da dx, di confluire anche a sx e viceversa e al sangue proveniente dalla regione anteriore, di confluire in quella posteriore e viceversa. Questo è possibile grazie alla confluenza di 3 arterie principali: arteria basilare, formata dalla confluenza delle arterie vertebrali dx e sx e dalle 2 arterie carotidi interne di dx e sx. L’arteria carotidea si collega con: l’arteria cerebrale posteriore tramite l’arteria comunicante posteriore (ACP) e con l’arteria cerebrale anteriore tramite l’arteria comunicante anteriore (ACA). Le arterie comunicanti anteriori e posteriori, sono le sedi preferite degli aneurismi (emorragia sub-aracnoidea) i segni sono: rigidità nucale e cefalea, però il paziente NON presenta febbre. Molte volte gli aneurismi si formano in 2 tempi cioè in un primo momento l’arteria si sfibra e fuoriescono pochi globuli rossi, in un secondo momento avviene la rottura totale dell’arteria. Ematoma epi-durale o extradurale

• Nella maggior parte dei casi è di origine ARTERIOSA, cioè si rompe l’ARTERIA MENINGEA MEDIA ed è più frequente nei giovani

• Si forma tra la teca cranica interna e la superficie esterna della dura madre che si scolla dall’osso e crea una pressione sul cervello.

• Si verifica spesso negli incidenti stradali.

• Si sviluppa rapidamente (15-30 min) e può portare a segni di ipertensione endocranica. Però il soggetto può presentare anche un rapido deterioramento neurologico che può portare il soggetto in coma e la tempestività dell’evacuazione chirurgica dell’ematoma è fondamentale.

• Se quest’ematoma è di natura VENOSA, quindi c’è una pressione ridotta rispetto all’emorragia arteriosa, in molti casi non è necessario ricorrere a procedure evacuative.

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Ematoma sub-durale

• Si forma tra la superficie interna della dura madre e l’aracnoide

• È più frequente negli anziani perché il cervello è meno elastico, quindi le trabecole e i vasi sanguigni (soprattutto le vene) presenti nell’aracnoide, si stirano e sono meno resistenti.

• Questa emorragia è anche detta demenza curabile, perché basta effettuare un’evacuazione chirurgica per risolvere il problema.

• In molti casi si sviluppa nell’arco di mesi e il soggetto può presentare: irrequietezza, cefalea, sonnolenza e crisi epilettiche.

Emorragia sub-aracnoidea

• Si forma tra la superfice inferiore dell’aracnoide e la superficie superiore della pia madre e in seguito a questo versamento di sangue il liquor diventa ematico

• Può verificarsi in seguito ad un aneurisma conseguente ad un trauma cranico. I segni più importanti sono: cefalea e rigidità nucale

• Questa forma di ictus può portare a morte (nel 50% dei casi circa) o a gravi disabilità, soprattutto se non viene riconosciuta e trattata precocemente.

Ematoma intra-parenchimale

• Raccolta ematica circoscritta alla sostanza bianca, causata dalla rottura di vasi arteriosi o venosi

• I soggetti maggiormente a rischio sono coloro che presentano arterie vulnerabili come: gli ipertesi, i diabetici, gli alcolisti ecc.

• I segni sono: rigidità nucale, deficit motorio ecc. non è presente febbre.

• L’ictus si distingue in: ➢ Ischemico: è dovuto alla mancanza di flusso sanguigno causato da un’ostruzione di un vaso che impedisce al

sangue di irrorare la zona colpita. Può essere causato da un trombo o da un embolo

➢ Emorragico: è dovuto alla mancanza del flusso sanguigno, causato alla rottura di un vaso Sincope precoce e ritardata Quelle precoci possono svilupparsi in seguito ad un trauma cranico, quelle tardive a distanza di tempo. Possono essere causate da: dolore contusivo, abnorme risposta emotiva o da violenta stimolazione di particolari aree riflessogene come quelle oculari o seno-carotidee Cecità e Paraplegie transitorie Fenomeni infrequenti, dovuti a modesti traumi frontali o al vertice. Durano pochi minuti e regrediscono completamente. TERZA LEZIONE Osservando il modo di camminare del paziente è possibile capire se ha riportato lesioni all’interno o all’esterno del SNC. PARALISI possono essere di 3 tipi:

• Paralisi da lesione Centrale dovuta dalla lesione del moto-neurone centrale

• Paralisi da lesione Periferica dovuta alla lesione del moto-neurone periferico

• Paralisi da lesione Muscolari dovute da miopatie Sono accomunate dal DEFICIT DI FORZA. Di solito queste lesioni sono a carico del primo o del secondo motoneurone. Solo una malattia compromette contemporaneamente sia il primo che il secondo motoneurone, la SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA Per effettuare qualsiasi movimento sono indispensabili 2 neuroni cioè: il primo neurone origina dall’encefalo e arriva nel tronco encefalico fino alle corna anteriori del midollo, da qui origina il secondo neurone che arriva al muscolo interessato. Paralisi lesione Centrale

• Interessa grandi gruppi muscolari

• Nei muscoli antigravitari il tono è AUMENTATO e RIGIDO. Negli arti inferiori è a carico degli estensori, in quelli superiori è a carico dei flessori.

• C’è la presenza di riflessi patologici come i segni di: Babinschi, Gordon ecc. e un’atrofia modesta da non uso Quindi una persona che ha avuto un ictus presenta un’andatura di tipo falciante perché uno degli arti inferiori è rigido, e il braccio corrispondente è in semi flessione.

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Paralisi lesione Periferica Interessa muscoli isolati o piccoli gruppi di muscoli Il tono muscolare è RIDOTTO e FLACCIDO È presente: atrofia marcata localizzata, fascicolazioni, fenomeni vasomotori e una completa o parziale denervazione

Il paziente presenta un’andatura equina Sindrome di GUILLAIN-BARRE’ (neuropatia infiammatoria) È una patologia del SN Periferico ad eziologia sconosciuta, però 2/3 dei casi i pazienti hanno avuto una malattia infettiva virale (EBV, HIV ecc.) o di tipo batterico (Campylobacter) In seguito a queste infezioni vengono attivati i linfociti T e B che degradano la mielina cioè la guaina che riveste i nervi. Se questa sindrome è particolarmente aggressiva anche il nervo verrà degradato e sarà isolato dal muscolo. Sintomatologia All’Esordio: si presenta dapprima un’ipostenia simmetrica agli arti inferiori, poi si estende al tronco e agli arti superiori (è raro negli arti superiori e nei nervi cranici) Può estendersi rapidamente ai muscoli intercostali e diaframmatici, quindi è possibile la comparsa di un’insufficienza respiratoria, dovuta ad Es da una polmonite ab ingestis. In questo caso il paziente necessiterà di una ventilazione assistita. Il quadro clinico si completa in 2-4 settimane e segue un periodo di stazionarietà clinica per giorni o settimane. Inoltre possono presentarsi disturbi vegetativi come: aritmie cardiache, ipotensione, disturbi sfinterici ecc. Sclerosi laterale amiotrofica

• È il peggior tipo di sclerosi che esiste perché vengono compromessi sia i motoneuroni centrali che quelli periferici e il picco di esordio si ha tra i 50 e i 60 anni.

• L’eziologia è una forma sporadica e sconosciuta e nel 20% dei casi avviene una mutazione del gene del superossido dismutasi rame-zinco citosoliche.

• Il paziente presenta: fascicolazioni, perdita di massa muscolare e marcata astenia.

• Progressivamente vengono colpiti i muscoli degli arti, del tronco e del distretto cranico.

• I segni sono: atrofia, grave ipostenia e in seguito a denervazione ci saranno fibrillazioni o fascicolazioni e sensibilità indenni.

• Inizialmente saranno interessati piccoli gruppi muscolari, progressivamente si avrà una perdita della funzione motoria e il paziente necessita di un’assistenza continua per la cura e le attività quotidiane.

• È presente anche un’alterazione del linguaggio quindi i pazienti dovranno utilizzare sintetizzatori vocali.

• In seguito a difficoltà respiratorie si ricorre ad una tracheostomia e all’utilizzo di ventilatori meccanici.

• La diagnosi di SLA è esclusa per la presenza di: disfunzioni sfinteriche, alterazioni dei movimenti oculari o deterioramento cognitivo.

• Il decorso medio è di 2-5 anni e solo il 25% dei pazienti sopravvive oltre i 5 anni.

• Il riluzolo è l’unico farmaco approvato per il trattamento, ne rallenta la progressione solo se somministrato nelle prime fasi.

Miastenia (è una malattia autoimmune)

È una patologia della placca neuromuscolare. C’è un’alterazione della trasmissione dell’impulso nervoso, perché gli anticorpi aggrediscono i recettori post-sinaptici

dell’acetilcolina. Questi anticorpi sono prodotti dal timo. È una ghiandola mediastinica che si atrofizza durante la crescita, però può

capitare che resti qualche cellula attiva. Questa impazzisce, quindi avviene la timite, poi il timoma (tumore benigno) che può trasformarsi in carcinoma.

Il segno primario è la FATICABILITÀ, cioè il paziente si affatica velocemente, c’è una riduzione della resistenza muscolare. Questo segno è pericoloso perché può interessare anche il diaframma, quindi il paziente avrà un affaticamento respiratorio e necessiterà di una ventilazione assistita.

Malattia di Parkinson

È una patologia neuro-degenerativa cronica e progressiva del SNC. L’esordio è asimmetrico e avviene prima a livello dell’arto superiore.

Si manifesta in seguito ad una ridotta produzione di dopamina dovuta alla degenerazione dei neuroni della sostanza nigra contenuta nel nucleo subtalamico presente nei nuclei della base.

I principali segni cardinali (sintomi) sono: BRADICINESIA (rallentamento), RIGIDITÀ PLASTICA (sono interessati i muscoli antigravitari sia flessori che estensori) e TREMORE A RIPOSO (il paziente più si distrae più il tremore aumenta, in seguito a qualsiasi movimento il tremore scompare) I sintomi non motori come: stipsi, disturbo del sonno REM, depressione ecc., possono precedere e anche di molti anni, i sintomi motori. Possono comparire difficoltà di deambulazione, instabilità posturale e deterioramento cognitivo. NB l’instabilità posturale non è considerata un segno cardinale perché è presente solo nel 37% dei casi circa.

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Alcuni pazienti presentano CAPTOCORMIA. Il tronco del paziente è flesso in avanti almeno di 45° e spesso peggiora durante la marcia. Il paziente segue il proprio centro di gravità. Scompare se il paziente assume una posizione supina. I sintomi o parkinsonismi atipici Instabilità posturale precoce (entro 3 anni dall’esordio) / decadimento intellettivo / movimenti involontari patologici atipici precoci ecc. Non essendo nessun parametro clinico sufficientemente sensibile e specifico, sono stati proposti vari parametri clinici per avere differenti livelli di diagnosi Terapia Ad oggi non esiste un trattamento risolutivo e un farmaco utilizzato è il LEVODOPA. È un precursore della dopamina che ripristina i livelli di quest’ultima nel SNC. Attraversa la barriera emato-encefalica e poi viene metabolizzata a dopamina. Il maggior catabolismo del farmaco avviene a livello periferico, determinando diversi eventi avversi e riducendo la quota di farmaco disponibile a livello centrale. La LEVODOPA viene somministrata in associazione alla dopa-decarbossilasi che è un enzima di degradazione e riduce il metabolismo periferico e aumenta la biodisponibilità a livello centrale. La terapia prolungata può dar luogo a complicazioni come: discinesie e riduzione o fluttuazione della risposta al trattamento Diagnosi Differenziale – si suddivide in:

• Paralisi sopranucleare progressiva (PSP) / Atrofia multi-sistemica (MSA) / Degenerazione cortico-basale (DCB) / Malattia dei corpi di Lewy diffusi (DLBD)

Paralisi sopranucleare progressiva (PSP)Malattia neuro degenerativa con componenti motorie e cognitive. I neuroni coinvolti sono responsabili del controllo del movimento oculare, dell’equilibrio, della parola e della deglutizione. Sintomi: Sindrome acinetico-rigida simmetrica, paralisi sopranucleare dello sguardo verticale, marcata instabilità posturale con cadute Quello più precoce ed invalidante è il disturbo dell’andatura e dell’equilibrio (causa cadute all’indietro) La marcata instabilità dipende da 3 fattori: deficit visivo, rigidità assiale e bradicinesia. L’oftalmoplegia sopranucleare, crea prima difficoltà nei movimenti saccadici volontari (movimenti volontari e normali dell’occhio) prima nello sguardo verticale verso il basso, poi verso l’alto e in seguito anche nello sguardo orizzontale. Nelle fasi più avanzate è possibile riscontrare una disfunzione cognitiva, disturbi psichiatrici e una relativa conservazione della memoria a breve termine. Il paziente presenta un tempo di sopravvivenza medio, dalla diagnosi, di circa 8,5 anni. Ad oggi non c’è una cura sintomatica, né un efficacie trattamento neuro-protettivo per la PSP. La LEVODOPA se utilizzata nella fase iniziale, può portare ad un lieve miglioramento.

Malattia neuro degenerativa progressiva caratterizzata da: insufficienza autonomica / parkinsonismo non responsivo alla LEVODOPA / atassia cerebellare / segni piramidali C’è una perdita di neuroni a livello dei nuclei della base, dei nuclei olivari inferiori, del cervelletto e del ponte. La MSA si distingue in 2 sottogruppi:

• MSA-P

prevalgono disturbi parkinsoniani ed è caratterizzata da: bradicinesia, rigidità, tremore posturale irregolare a scatti ecc.

I pazienti possono sviluppare distonia cranio cervicale indotta dal LEVO-DOPA

È raro il tremore a riposo tipo Pill Rolling

• MSA-C ➢ prevalgono disturbi cerebellari come: l’atassia, disfunzione oculo-motoria e disartria ➢ questi pazienti in seguito possono sviluppare segni parkinsoniani ingravescenti che andranno a dominare il

quadro clinico.

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Patologia neurodegenerativa ereditaria autosomica dominante. È dovuta a grave perdita dei neuroni dei nuclei della base e della corteccia cerebrale. È dovuta alla ripetizione CAG sul braccio corto del cromosoma 4 nel gene HTT. Più è estesa la ripetizione CAG, più precoce è l’esordio. In genere si manifesta tra i 30 e i 50 anni, ma può esordire anche nell’infanzia, nell’adolescenza oppure oltre i 60 anni. È caratterizzata da: movimenti involontari di tipo coreico, disturbi psichici e demenza. Spesso, i disturbi psichici minori come irritabilità o depressione, possono indicare i primi segni evidenti della malattia. I sintomi variano da persona a persona, anche all’interno della stessa famiglia. Le cause più frequenti di morte sono dovute a complicazioni cardiache, polmonite ab ingestis, traumi cranici e il suicidio rappresenta un alto rischio di morte. Per il controllo dei movimenti coreici, sono stati utilizzati neurolettici tipici come: aloperidolo e pimozide e neurolettici atipici come: clozapina e aripiprazolo. Dal 2008 è disponibile la tetrabenazina (potente inibitore) che ha una maggiore efficacia e minori effetti collaterali. QUARTA LEZIONE Sclerosi multipla Patologia infiammatoria demielizzante (scomparsa della guaina mielinica che riveste le fibre nervose), su base autoimmune che causa progressiva disabilità Presenta: lesioni caratteristiche dette placche / sedi preferenziali / disseminazione spazio temporale Le placche focali di demielizzazione sono situate nella sostanza bianca con particolare predilezione per:

• aree peri-ventricolari / cervelletto / corpo calloso / nervo ottico / midollo spinale / tronco encefalico Forme cliniche Il decorso della malattia può assumere varie forme:

• forma CIS (sindrome clinicamente isolata) caratterizzata da un singolo episodio neurologico suggestivo di SM e dura almeno 24h.

• forma RIS (sindrome radiologicamente isolata) si verifica quando una persona non presenta sintomi di SM, ma alla RM, mostra anomalie suggestive di SM

• RR (recidivante-remittente) costituisce l’85% dei casi di SM. Si caratterizza dalla presenza di ricadute ed esacerbazioni dei sintomi, poi nella fase di remissioni i sintomi scompaiono

• SP (secondariamente progressiva) è l’evoluzione della forma RR e la disabilità progredisce nel tempo.

• PP (primariamente progressiva) interessa circa il 10% dei casi e si ha un peggioramento progressivo dei sintomi, però c’è l’assenza di ricadute e remissioni.

• PR (progressivamente-recidivante) è rara, interessa meno del 5% dei casi. il decorso è progressivo e si possono presentare episodi acuti.

Epidemiologia Esordisce tra i 20 e i 40 anni / il rapporto donna/uomo è da 2:1 a 3:1 / il 3-5% dei casi sono forme pediatriche (al di sotto dei 16 anni) Prevalenza ed incidenza Nel mondo si registrano circa 2milioni-300mila casi, in Europa circa 700mila casi e in Italia circa 110mila casi (3400casi ogni anno) Studi epidemiologici dimostrano che correlazione tra prevalenza di malattia e latitudine. Cioè: ai tropici è molto rara, mentre più ci si avvicina ai poli e + aumenta. Si ritiene che sia dovuta a fattori sia genetici che ambientali. SM e società

• È la seconda causa di disabilità nel giovane adulto e il 39% dei pazienti dichiara una diminuzione delle relazioni sociali.

• Il costo medio anno diretto, per paziente, è di circa 45mila euro, mentre il costo indiretto è il 40% in più, rispetto a quello diretto.

• Il 40% dei caregiver dedicano circa 1100 ore di assistenza

• Al paziente causa una perdita economica di circa 13mila euro l’anno. Il 30% dei pz diminuisce il lavoro, il 27% cambia lavoro e il 5% dei familiari lascia o limita il lavoro.

Fattori prognostici negativi

• Nel sesso maschile l’esordio è tradivo e plurisintomatico

• È presente un interessamento cerebellare o piramidale precoce

• C’è un’elevata frequenza di ricadute, con alta disabilità residua nei primi 5 anni Fattori prognostici positivi

• L’Esordio giovanile con sintomi mono-focali / c’è il recupero completo del deficit nel tempo che intercorre tra i primi 2 anni

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Diagnosi Si basa sui criteri di McDonald, introdotti nel 2001, modificati nel 2005 e revisionati nel 2010. Ci deve essere

• La presenza di almeno un attacco altamente suggestivo di SM, che duri almeno 24h

• Evidenza di lesioni del SNC, disseminate nel tempo e nello spazio, quindi si effettuano test come: RMI, analisi del liquor cerebro-spinale e potenziali evocati

• Bisogna escludere altre patologie in grado di spiegare le caratteristiche cliniche Sintomi comuni della SM Disturbi visivi: sono comuni nell’80% dei casi e nel 25-50% dei casi è un sintomo d’esordio / causa: diminuita acuità visiva, visione doppia, dolore oculare ecc. Mobilità ed equilibrio: sono compromesse fino al 90%, questo influenza l’autonomia e le competenze sia fisiche che mentali della qualità di vita Tremore: è presente in circa il 30% dei casi ed è fortemente invalidante. Può interessare: arti, tronco, vista e linguaggio. Può essere posturale o intenzionale. Fatica: è presente nel 75-90% dei casi ed altera la qualità di vita. Non essendo visibile, porta ad incomprensioni e ad isolamento sociale. Può essere primaria o secondaria. Spasticità: è correlata a: durata della malattia, grado di disabilità e ricadute. È segno di danno del motoneurone superiore centrale. Causa: dolore, fatica, depressione ecc. Disturbi del sonno: causa; sonnolenza diurna, difficoltà di concentrazione ecc. Può potenziare sintomi come la fatica e può causare ansia, crampi ecc. Disturbi sessuali: negli uomini variano tra il 50-90% e portano a: disfunzione erettile e di eiaculazione, nelle donne variano tra il 40-80% e causano: anorgasmia, ridotta lubrificazione vaginale ecc. Disfunzione vescicale: è presente in circa il 75% dei casi. Nel 25-50% dei casi porta a: pollachiuria, incontinenza, nicturia ecc. Nel 20-40% dei casi porta a: sgocciolamento, incontinenza, infezioni ecc. Disfunzione intestinale: costipazione ed incontinenza (possono anche coesistere) Funzioni cognitive: quelle più interessate sono: memoria recente, concentrazione, elaborazione delle info ecc. C’è la riduzione delle attività quotidiane, delle relazioni sociali ecc. e questo è fonte di sofferenza per il paziente. Dolore: prevale nel 30-70% dei casi è correlato all’ansia e alla depressione e influenza le componenti fisiche e mentali. Può essere: primario, secondario, neuropatico, muscolo-scheletrico ecc. Depressione: per almeno 2 settimane l’umore è triste ed irritabile e ci deve essere la presenza di almeno 4 sintomi come: fatica, istinti suicidi, sensi di colpa, disfunzioni sessuali ecc. Difficoltà di linguaggio: si può verificare la riduzione del volume vocale o farfugliamento che avviene per stanchezza Difficoltà nella deglutizione: la disfagia è presente nel 34% dei casi. Ci può essere difficoltà nella deglutizione, scolo di liquidi ecc. Trattamenti È necessario individuare trattamenti che agiscono sia sul processo infiammatorio che si quello neurodegenerativo. Oggi, quelli disponibili, hanno come target primario la componente infiammatoria della SM C’è la necessità di nuovi preparati che agiscono, oltre che sui processi infiammatori, anche direttamente sui processi riparativi e sulla neuroprotezione Terapia prevede: 1 il trattamento delle recidive in fase acuta / 2 ci deve essere una prevenzione a lungo termine sia delle ricadute che delle lesioni / 3 trattare i sintomi Terapia in fase acuta Si utilizzano alte dosi di corticosteroidi nel trattamento acuto e nelle riacutizzazioni, perché accelerano il recupero della fase acuta. Es metil-predni-solone, seguito da predni-sone, da scalare in 12 giorni Terapia preventiva – si utilizzano:

• Farmaci di prima linea (INF, GA, ecc.) – Farmaci di seconda linea (anticorpi monoclonali, immunosoppressori ecc.) – Trapianto cellule staminali o midollo osseo

Basi di relazione con il paziente: attenzione / accoglienza / osservazione / vicinanza Responsabilità infermieristica Informare ed educare i pazienti sulla malattia, sulla gestione e sulle risorse della comunità. Inoltre un nursing qualitativamente accettabile può essere di aiuto per il paziente e per il caregiver. Ruolo del nursing nel trattamento Capire in quale fase della malattia si trova il paziente / stabilire una relazione di fiducia / rassicurarlo ed essere disponibili / fornire informazioni adeguate ecc. La IOMSN (organizzazione internazionale), definisce l’infermiere di SM come: “un professionista esperto e competente che collabora con il pz di SM e con loro condivide: conoscenze, forza e speranza”

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Neurologia Sbobine di Costanza Marsella Prima lezione

Coscienza significa avere consapevolezza. Chi non ha la consapevolezza non può avere coscienza in quanto la consapevolezza si basa su due livelli:

• Consapevolezza

• Vigilanza

espressiva. Tale sintomo era stato già osservato alla fine dell’ottocento da Charcot. Può indicare ad esempio

una malattia muscolare, come la malattia di Steinert, dunque in tal caso l’ipomimia è legata alla

ipofunzionalità dei muscoli. Una facies ipomimica può presentarsi in soggetti depressi, affetti dunque da

una patologia psichiatrica, schizofrenici di antica data oppure da un danno del sistema nervoso piramidale

(morbo di Parkinson). L’ipomimia può coinvolgere soltanto metà volto in una paralisi del VII nervo cranico.

La parte destra del corpo generalmente è uguale alla sinistra, ma non nella funzionalità cerebrale. Il mancino

non è il contrario del destrimano: si tratta di due mondi diversi.

Il neurone ha una struttura estremamente particolare. Ha un corpo da cui si dipartono i dendriti ed un

assone. L’assone è ricoperto da guaina mielinica. La mielina non costituisce un rivestimento continuo, è

così distribuita nel nervo periferico, nel quale la conduzione del segnale nervoso avviene in maniera

saltatoria che è più veloce.

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Malattie come la sclerosi multipla sono malattie in cui la mielina si altera e tale alterazione comporta un

rallentamento nella conduzione dell’impulso nervoso. Questo è il motivo per cui le patologie demielinizzanti

creano un rallentamento dell’impulso. Se il danno interessa la via motoria, la marcia sarà alterata, se sarà

alterata la via percettiva, la percezione verrà alterata, se l’impulso viene ad alterarsi nelle funzioni cognitive,

la mia funzione associativa non funzionerà, dando luogo a demenze.

Il sistema nervoso deve essere compreso nella sua funzionalità. Il cranio è una struttura sferica e non, ad

esempio, cubica, poiché in tal modo è maggiormente resistente agli insulti. L’handicap del cubo è difatti la

fragilità: è più semplice distruggere un cubo rispetto ad una sfera. Il nostro cranio è inestensibile, lo diventa

a seguito della saldatura delle fontanelle bregmatiche, che avviene verso i 2-3 anni. Nel cranio non è

presente solo la componente parenchimatosa, altrimenti, date le asperità dell’interno del cranio, dovremmo

ferirci ad ogni torsione. Abbiamo dunque tre componenti:

• Parenchima: 80%

• Sangue: 10%

• Liquor: 10%

La legge di Monro-Kellie afferma che il volume all’interno del sistema craniospinale deve rimanere

costante. Se una di queste componenti viene alterata – pensiamo ad esempio ad un tumore, un’emorragia o

un idrocefalo che fanno salire rispettivamente parenchima, sangue e liquor- aumenta la Pressione

Intracrancica (PIC), che preme lungo una superficie inestensibile. Quando aumenta la pressione intracranica

si verifica la sindrome da ipertensione endocranica, i cui sintomi sono:

• Cefalea;

• Vomito a getto, senza nausea -anche a digiuno;

• Papilla da stasi

La papilla da stasi è osservabile guardando il fondo della pupilla, dalla quale è possibile osservare il fondo

dell’occhio. Dal fondo oculare è visibile l’emergenza del nervo ottico, che deve essere rosea e piatta. In caso

di sindrome da ipertensione endocranica, il nervo ottico si mostra come una sorta di vulcano. Quello è il

punto in cui è presente il forame ottico. La pressione in tal caso sospinge dall’interno formando una

estroflessione, ergo osservo quel che esce al di fuori con una sorta di effetto a vulcano.

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Il sistema nervoso centrale comprende:

• Encefalo;

• Tronco dell’encefalo: struttura che raccoglie le vie dei due emisferi e prosegue centralmente nel

• Midollo

Una lesione del midollo, una mielite, è una lesione del sistema nervoso centrale. Il sistema nervoso

periferico inizia da dentro il midollo. Da ogni metamero, dalla parte cervicale alla lombare fuoriescono le

radici che formano i nervi spinali.

• Cervicale

• Dorsale

• Lombare

• Sacrale

Il midollo termina a livello della seconda vertebra lombare (L2). Finito il midollo vi sono le radici, la cauda

equina. Le punture lombari vengono effettuate tra L3-L4 o L4-L5.

Avrete sentito parlare della sostanza bianca e della sostanza grigia. La sostanza bianca comprende la

mielina.

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Troviamo dunque, a partire dalla pelle, periostio, osso e tre meningi:

• Dura madre, una sorta di plastica molto attaccata all’interno dell’osso;

• Aracnoide

• Pia madre, riveste il cervello in ogni suo punto come se fosse la pelle che riveste il nostro corpo.

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Il nostro cervello non è pieno e compatto, vi sono delle camere vuote, ma ripiene di liquido che si chiamano

ventricoli. Vi è un ventricolo a destra ed uno a sinistra, denominati laterali, abbiamo poi il III ventricolo al

centro e quello in basso è il IV. I ventricoli comunicano tra di loro attraverso dei forami:

• Forame interventricolare del Monro;

• Acquedotto del Silvio, che unisce il III ed il IV;

• Orifizio laterale (o foro del Luschka), Orifizio mediano (o foro del Magendie) dai quali il liquor esce per confluire

nel midollo.

In ogni ventricolo vi sono delle vegetazioni che si chiamano plessi, dai quali nasce il liquor, in ogni istante.

Il liquor viene ricambiato quasi continuamente. Anzitutto si produce ad una velocità molto elevata. Una

volta prodotto, esce dal IV ventricolo e circonda il midollo. Il motivo per cui facciamo la puntura lombare a

L2, è che il liquor che si trova lì è lo stesso che riveste il cervello quindi un’infezione di quel liquor indica

un’infezione anche a livello dell’encefalo. Abbiamo circa 150 ml di liquor, in tutto. Siccome ne produciamo

0.35ml al minuto, ne produciamo 500ml in una giornata. Dunque, cambiamo il liquor ogni 8 ore

Il liquor viene riassorbito nelle granulazioni aracnoidali di Pacchioni e poi raccolto nel sistema venoso. Le

strutture in cui viene prodotto vengono denominate villi. Vi è il vaso, degli spazi, una membrana con delle

cellule strettamente adese e saldate tra di loro. Sono junction, serrature, che formano la barriera

ematoencefalica. Essa è una struttura funzionale anche denominata complesso glio capillare. La barriera è

insuperabile se non a determinate sostanze. Le due componenti fondamentali per la funzionalità del neurone

sono:

• Ossigeno

• Glucosio

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Gli scambi che avvengono mediante il complesso glio capillare comprendono:

• Diffusione (per gradiente di concentrazione): gas, molecole

• Trasporto transcellulare facilitato(trasportatore): trasporto attivo ATPasi- dipendente, ovvero

necessitante pompe che consumano ATP

Il glucosio è trasportato con dei carrier particolari, lo stesso gli amminoacidi. Dobbiamo ricordare:

• Il liquor prelevato deve essere limpido ed incolore, ad acqua di Roccia. Se il liquor non è limpido, vi

è presenza di cellule che non devono esservi. Tolleriamo al massimo 5 cellule (leucociti, monociti,

eritrociti). Se queste cellule divengono tante il liquor diventa opalescente, se aumentano lattiginoso,

poi torbido, ed infine purulento che è indice di meningite meningococcica con pus attorno al cervello.

• Il liquor non deve presentare neanche un globulo rosso o si avrebbe una reazione di irritazione delle

meningi.

• Se ho infezione è una meningite, se

ho sangue un’emorragia, se ho preso il sole

ho soltanto un’irritazione (colpo di sole).

Per la legge di Monro-Kellie, se vi è uno

squilibrio tra parenchima, liquor e sangue

ho dei segni ben precisi. Prima si

verificano i cosiddetti idrocefali infantili,

nei quali si verificava un aumento della

pressione per cui il cervello veniva a

dilatarsi, si dilatavano le fossette e non

avveniva la saldatura. Non avvenendo la

saldatura il cranio continuava a crescere ma il corpo no. Ciò comportava dei traumi enormi.

Oggigiorno è facile risolvere questi problemi mediante una valvola sottocute e si versa nel peritoneo o

nel pericardio il liquor in eccesso.

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Non esistono le demenze acute. Una persona può avere piccoli e graduali disturbi di memoria ed attenzione,

ma in presenza di deterioramento cognitivo improvviso, dobbiamo cominciare a sospettare un idrocefalo

normoteso, soprattutto in presenza di altri due sintomi:

• Disturbi dell’andatura;

• Incontinenza urinaria

Gli Alzheimer hanno grande deterioramento mentale, ma camminano benissimo sino al peggioramento, non

hanno disturbi della marcia. Queste persone hanno invece oltre al deterioramento cognitivo alterazione della

marcia1 e, sintomo più importante, incontinenza urinaria. Questi problemi sono dunque collegati

all’aumento del liquor, risolvibili con la valvola che abbiamo visto precedentemente. Tre segni dunque, tre

sintomi, una patologia.

Funzioni associative

Mentre io spiego, io mi impegno per farmi comprendere e voi vi impegnate per capire. Dobbiamo capire

ogni volta se il paziente ha una funzione associativa conservata o meno. Come facciamo a capire questo? In

principio si pensava che il cervello fosse fatto a comparti (frenologia). Eccetto per alcune attività speciali, le

zone cerebrali funzionano in concerto.

1 Le alterazioni della marcia, in generale, possono essere: periferica, centrale, spastica, extrapiramidale da Parkinson.

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Tra noi e gli animali, le strutture del cervello e del tronco non sono radicalmente differenti. La differenza

evolutiva è determinata dall’estensione dell’encefalo, in particolare dalla neocortex che, se distesa,

occuperebbe 6 fogli A4. Questa area è la differenza che ci ha permesso sostanzialmente di esser scesi

dall’albero.

Quando nasciamo il nostro cervello pesa 300gr. A partire da 12-13 anni pesa 1.3kg-1.4kg. Ciò che fa

crescere il cervello sono i collegamenti, le sinapsi, tra cellula e cellula. Questo tipo di attività è quella che ha

permesso che non vi sia alcun cervello uguale all’altro nel mondo. Questa evidenza deriva anche dallo

studio su gemelli monozigoti. Gli esperimenti dimostrano infatti che facendo le stesse cose -schiacciare un

pulsante all’udire di un suono- i cervelli lavorano in modo diverso l’uno dall’altro.

La funzione più importante che possediamo è l’attenzione.

Se sono attento, discrimino. L’attenzione serve per focalizzare e memorizzare. Facciamo qualche esempio di

attenzione. Se guardate la prima figura a sinistra, guardando il bianco vediamo due volti, guardando la parte

nera un vaso. Le due linee al centro sono identiche anche se sembrano diverse. L’ultima immagine può

essere interpreta o come un volto o come la parola “Liar” scritta a mano cambiando la direzione. Vedo

dunque dei segni e dò un’interpretazione. Si tratta di illusioni ottiche, sono gli stessi elementi visivi che

però vengono percepiti in modo diverso. Se io abbasso l’attenzione, posso creder di vedere qualcosa che non

c’è. L’attenzione permette di categorizzare.

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Seconda lezione 01/06/2018

Le nostre funzioni associative sono divise sostanzialmente in tre grosse aree. Il nostro cervello ha delle

connessioni molto veloci da lobo a lobo. Ci sono nel nostro cervello delle zone che ricevono solo un

segnale una funzione:

• Corteccia occipitale: stimoli visivi

• Corteccia temporale: stimoli uditivi

• Zona somato-sensoriale: stimoli tattili

• Area motoria

In questa immagine potete apprezzare la differenza

tra un neurone normale ed un neurone con Alzheimer. Il

cervello neurone ha molte connessioni, in quello

dell’Alzheimer resta ben poco, l’assone è stato distrutto.

Questi dipinti sono stati prodotto da un noto pittore tedesco,

William Utermolhen, che iniziò a cogliere i segni del

proprio decadimento cognitivo. Dal 1996 cominciò a fare

propri autoritratti che mostravano il disegno progredire

verso una massa informe. Questo per dirvi che la persona

con l’Alzheimer mostra alterazione della percezione di ciò

che gli sta intorno. La persona con Alzheimer non organizza

nemmeno delle attività finalizzate.

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I segni possono essere molti. Durante un processo di invecchiamento normale, si cominciano a perdere

circa 100mila neuroni al giorno. Non si perdono ovviamente cose che alterano la qualità della vita. Si

perde la capacità di essere veloci di elaborare le situazioni, nel riconoscere, si avranno riflessi meno pronti.

Si avrà un’elaborazione rallentata, ma non

deficitaria. Si può avere una capienza

mnemonica ridotta ma non del tutto assente.

Se dico sette parole per verificare lo span di

memoria, dovreste essere in grado di

ricordarne almeno più della metà, se non tutte.

La riduzione della capienza è fisiologica, ed

avviene con l’invecchiamento.

L’invecchiamento comporta anche una

aumentata vulnerabilità alle interferenze:

le persone molto anziane sono infastidite

dagli elementi di distrazione e dal

multitasking. Se ad un anziano invece fate fare

una cosa per volta, dovrebbe riuscire

perfettamente. Infine, nel processo di

invecchiamento vi è l’alterazione del

riprendere in memoria, cioè nel richiamare alla

memoria.

Nell’anziano dunque i tempi di reazione

si allungano, gli atti della vita quotidiana

restano normali, ma non deve esservi deficit.

Avrete sentito parlare di plasticità cerebrale.

Nonostante la morte di 100mila neuroni, vi

sono cellule di riserva. Quando vi è un ictus,

ed una zona del nostro tessuto cerebrale non

funziona, vi sono delle cellule che non sono

all’inizio specializzate ma stimolate da una

serie di processi, diventano capaci di fare

quello che facevano le altre. Il neurone che

resta isolato cerca di aver contatto con le

cellule superstiti in virtù di un adattamento

funzionale.

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Circolazione cerebrale

La perfusione cerebrale è garantita da:

• Carotidi (destra e sinistra);

• Arterie vertebrali del collo.

Queste arterie si fondono a formare una grande arteria che si chiama basilare. L’arteria basilare decorre

lungo tutto il tronco dell’encefalo fino a biforcarsi in:

• Arteria cerebrale posteriore sinistra;

• Arteria cerebrale posteriore destra.

La carotide, quando entra nel cervello, si divide. Un pezzo resta dritto e diviene l’arteria cerebrale media.

Un altro ramo diviene l’arteria cerebrale anteriore. Il circolo delle carotidi è collegato con quello delle

vertebrali: la cerebrale posteriore ha un collegamento con la comunicante, che si chiama comunicante

posteriore. La cerebrale anteriore comunica con l’altro emisfero con un’altra arteria che si chiama

comunicante anteriore. Ciò crea il poligono di Willis. Il sangue che arriva dalla cerebrale posteriore, nel

caso in cui avessi un’ostruzione, può arrivare tranquillamente dall’altra parte poiché c’è la

comunicazione. Si chiama dunque poligono per via della sua forma, è quasi un esagono. Molte volte vi

potreste trovare difronte a situazioni in cui il soggetto ha totalmente chiusa una delle arterie, ma non ha

nessuna paralisi: quando si chiudono queste arterie lentamente, il circolo si adatta a far si che il sangue

arrivi dall’altra parte. Non vi stupide se un soggetto non ha nessuna paresi poiché vuol dire che il sangue

viene dall’altro emisfero. Posso avere una occlusione della carotide completa senza alcun deficit.

Questi sono i punti in cui facilmente si formano gli aneurismi (comunicante anteriore, comunicante

posteriore), soprattutto nei giovani. L’aneurisma si manifesta maggiormente nei giovani. Si tratta di uno

sfiancamento di un’arteria e trovare un aneurisma ad anni 99 è più raro che trovarlo a 20. Lo sfiancamento

dell’arteria comporta una zona che ha minore resistenza quindi siccome il giovane ha una vita più attiva, è

più facile che esploda.

Meningiti

Possono essere classificate in base alla modalità di insorgenza:

• Fulminanti: in poche ore si ha l’evoluzione in coma e shock

• Acute: l’evoluzione si sviluppa in un numero di giorni variabile

• Subacute: decorso lento e subdolo (micobatteriche, micotiche, immunodepressione)

• Ricorrenti: episodi che si ripetono anche a distanza (es. traumi cranici, immunodeficienze)

• Decapitate: decorso modificato da terapia antibiotica non sufficiente a eradicazione

O in base all’agente eziologico:

• Batteriche

• Virali

• Micotiche

• Elmintiche

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Sono causate in particolar modo da:

• H.influenzae b;

• S.pneumoniae;

• N.meningitidis

Le meningiti sono caratterizzate da tre segni:

• Febbre alta

• Rigidità nucale

• Alterazione dello stato di coscienza

Quando manca uno di questi tre segni, dobbiamo pensare esattamente ad un’altra cosa. La rigidità nucale è

facilmente riconoscibile. Si tratta della resistenza che notiamo alla torsione e flessione del collo

accompagnata da dolore. Ciò avviene poiché si tratta dell’atteggiamento di reazione del corpo che cerca di

non far stendere le meningi.

Durante la meningite ci possono essere delle situazioni premonitrici. Uno dei segni fondamentali è

l’irritazione. Ho un amento della pressione del liquor, dunque ho un aumento della pressione che comporta

una distensione delle meningi. Il dolore, dunque, inizia dalle meningi.

Si hanno segni da aumento del tono del collo, di conseguenza la rigidità e segni che vedete nella figura

successiva. Questi segni hanno lo stesso significato della rigidità nucale.

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Riscontriamo il segno di Brudzinski di tipo 1 quando piegando il collo, il paziente piega anche le gambe.

Per aumento del tono c’è una reazione di piegare a cane di fucile le gambe. L’altro segno si può ottenere

piegando una gamba: si piegherà anche l’arto controlaterale (Brudzinski di tipo 2). Il Brudzinski del capo è

ottenibile anche spingendo sul pube: si avrà la stessa reazione di piegamento come se si spingesse il capo

(Brudzinski del pube).

Segno di Binda: rotando il capo da una parte ruota anche la spalla opposta.

Se muovo il capo, comunque stiro le meningi, dunque il corpo automaticamente accompagnerà il

movimento cercando di evitare la distensione.

Questo è l’aspetto del liquor in caso di meningite, come vedete è torbido: avrà più di

500 cellule. La pressione sarà elevata poiché il liquor non viene riassorbito e crea

ostacolo alla circolazione. Per questa ragione inizia la cefalea.

Chi ha avuto una tubercolosi magari vent’anni fa, potrebbe avere qualche sintomo tra

cui febbre, vomito, rigidità. Potrebbe avere in tal caso una meningite tubercolare.

Quando vi è la diffusione della TBC dal polmone ad altre zone, questa diffusione

avviene per via ematica. Nel cervello, vicino alle meningi, si vengono a formare

degli aggregati denominati tubercoli. Avrete sentito parlare di tubercolomi: la

diffusione della TBC dalla sede principale può colonizzare delle zone senza dare sintomi ma restando

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quiescente. I tubercolomi possono collocarsi nello spazio subaracnoideo e restare

quiescenti per anni. Per un abbassamento delle difese immunitarie o altri motivi, quel

silente tubercoloma può tornare attivo. Se dunque il tubercoloma è collocato nei pressi

delle meningi, vi penetra suscitando una meningite. Queste zone vengono chiamate Rich

focus. Molte volte non si collocano nelle meningi e dunque si hanno delle encefaliti,

piuttosto. Nell’immagine potete notare tutto il pus che si trova intorno al cervello. Quelli

che vedete emergere sono i nervi cranici. Basta anche una risonanza per fare la diagnosi

molto precocemente. Il tubercoloma può localizzarsi anche nell’osso vertebrale e comprimere il midollo

oppure può formare delle cavità nel midollo stesso.

La tubercolosi può anche

manifestarsi attorno alle radici che, di

conseguenza, si appiattiscono.

Traumi

Quando un paziente ha avuto un trauma, non dobbiamo esser superficiali poiché il trauma può dare segni

immediati, piccoli segni di allarme ed anche segni a distanza di tutto l’organismo.

Queste sono le percentuali di eventi causanti traumi:

• Incidenti stradali 48%

• Cadute accidentali ed incidenti domestici 25%

• Attività sportive 10%

• Incidenti sul lavoro 8%

• Aggressioni 4%

• Altro 5%

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Un trauma del sistema nervoso può essere:

• Aperto, con fratture sull’osso.

• Chiuso

Nell’immagine successiva possiamo vedere la

ricostruzione di dove avvengono più facilmente

i danni in caso di trauma del trauma del cranio:

soprattutto nella zona frontale e temporale.

Questo avviene poiché il cranio dispone di una

fossa in cui alloggia il cervello e di una zona

frontale direttamente a contatto con l’osso,

quindi qualsiasi trauma incontra immediatamente il parenchima.

Posteriormente abbiamo il cervelletto, diviso dal cervello dal tentorio. La struttura che tiene divisi i due

emisferi si chiama invece falce cerebrale. Ogni trauma crea un danno nel cervello che potrebbe essere:

• Edema Vasogenico: si verifica un problema negli spazi intorno alla cellula, meno grave.

• Edema Citotossico: danno all’interno della cellula, che muore.

La commozione cerebrale è una situazione in cui si ha una brevissima e transitoria perdita di coscienza che

insorge dopo il trauma -può durare qualche secondo o minuto- ma non crea danni all’interno del sistema

nervoso. Il colpo in questo caso crea una situazione di sofferenza vasogenica a carico del tronco

dell’encefalo -centro del respiro, zone importanti per la vigilanza-, per cui si perde la coscienza. La

commozione cerebrale è anche intesa come sincope, che avviene per paura. Tutto deve rientrare in un

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tempo breve. Se troviamo una persona a terra incosciente che comunque ha polso, dobbiamo chiederci se è

stata una sincope, una crisi epilettica, se ha battuto la testa da qualche parte e si rialza velocemente.

Diverso è il caso della contusione cerebrale in cui vi è invece un danno dei lobi frontale, occipitale o

temporale. Dopo una contusione, bisogna valutare se vi sono segni che dipendono dalla zona colpita. Uno

dei segni più facili da individuare è la nausea.

Nell’immagine sopra vediamo anche i danni da contraccolpo. Un trauma frontale può creare danni nella

direzione dell’impatto un danno occipitale, ad esempio.

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Ematomi

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Gli ematomi possono essere:

• Nel parenchima

• Fuori dalla dura madre

• Sotto la dura madre

Ematoma epidurale. L’ematoma più temibile è quello extradurale (o epidurale). Con un ematoma epidurale

si può arrivare all’exitus in poco tempo (da qualche minuto a qualche ora).

Nell’ematoma epidurale si rompe difatti un’arteria

(frequentemente l’arteria meningea media), dunque ad ogni sistole fuoriesce una grande quantità di sangue.

L’arteria meningea media scorre in zona temporale, è molto superficiale per cui un trauma in questa zona, se

si rompe l’osso, può lederla. Soprattutto nelle persone giovani, in cui il cervello è consistente e turgido,

appena vi è un ematoma spinge il parenchima e si arriva all’exitus.

Se non si interviene tempestivamente chiudendo l’arteria, la pressione spinge il cervello ed avviene

un’erniazione ed iniziano i problemi del respiro poiché encefalo va a spingere contro il contro dell’encefalo.

Posso avere anche un sanguinamento a dorso d’asino in cui, seppure i sintomi non sono velocissimi, si

lacera il seno meningeo superiore (vena in cui si va a scaricare il liquor) sia su un emisfero destro che

sinistro. I sintomi sono meno gravi poiché non si tratta di un’arteria, ma una vena.

Ematoma subdurale. Si origina sotto la dura madre. Si ha origine venosa, a sviluppo lento, dopo un

intervallo libero di alcuni giorni compaiono i segni neurologici, accompagnati da irrequietezza, cefalea,

sonnolenza, crisi epilettiche.

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L’ematoma subdurale, insieme all’idrocefalo normoteso, viene inserito tra le “demenze curabili”, per

dir così. La vena non è un’arteria, non esce sangue ad ogni sistole, non vi è la forza contrattile dell’arteria.

I segni possono verificarsi quindi a distanza di 2-3 mesi. I segni dipendono dalla sede in cui si forma

l’ematoma.

Dal momento che negli anziani vi è più spazio tra teca cranica, meningi ed encefalo stesso, un’emorragia

sarà più silente. Se in un giovane si fa sentire in diversi giorni, in un anziano potrebbe impiegare mesi.

Nell’ematoma subdurale la dura madre resta intatta, vi è un sanguinamento venoso che spinge e crea segni

laddove si rompe: se frontale vi saranno disturbi della marcia. Se ho un problema di deambulazione a

destra del cervelletto, sbanderò a destra. Se ho un problema frontale sbando indietro.

Per risolvere l’ematoma subdurale basta impiantare una derivazione, un drenaggio chiamato di Jackson-

Pratt e si aspetta che il cervello si riespanda. Il cervello di un giovane si riespande immediatamente, quello

di un anziano meno.

Emorragia subaracnoidea. Prima avevamo parlato delle meningiti, elencato tra i sintomi febbre, alterazione

della coscienza e rigidità nucale. Immaginate ora che di questi tre segni ne manchi uno, la febbre. Se una

persona all’improvviso perde coscienza, ha rigidità nucale ed al posto della febbre ha cefalea (acuta, a

colpo di pugnale, cioè improvvisa ed importante), non vi è meningite bensì emorragia subaracnoidea che

nel 90% dei casi è legata alla rottura di un aneurisma, localizzato nel circolo di Willis. L’emorragia

subaracnoidea in virtù di aneurismi è più frequente nelle persone giovani poiché l’aneurisma crea una

dilazione nell’arteria, generando una zona di meno resistenza, dunque ha meno possibilità di durare nel

tempo e far raggiungere al soggetto età avanzate. Se si forma un aneurisma, la parete dell’arteria viene

sfiancata quindi si forma un sacchetto senza tutte le tuniche dell’arteria ed è dunque meno resistente. Per

questo motivo con la pressione si rompe. È un po’ come l’aneurisma che avviene nell’aorta.

I segni dell’emorragia subaracnoidea sono come quelli di una meningite, ma invece della febbre vi è la

cefalea. Vi sono anche gli altri sintomi della sindrome meningea, tra cui il Brudzinski. L’emorragia

subaracnoidea è improvvisa, può avvenire in qualsiasi momento.

Ematoma intraparenchimale. Raccolta ematica circoscritta alla

sostanza bianca sottocorticale, causata da rottura di vasi arteriosi o

venosi.

Non è drammatico, a meno che non si versi nel liquor. In tal caso si

verifica un emoventricolo e si hanno i sintomi sia dell’ipertensione

endocranica poiché il cervello si gonfia sia dall’interno che dall’esterno

– si tenta di aspirare il sangue per ridurre la pressione. Può essere

dovuto a malformazioni artero venose, che sono una specie di

ragnatele. In genere c’è l’arteria, arteriola, capillare arterioso, scambio,

capillare venoso, venule etc. Quando vi è una malformazione artero

venosa si formano degli shunt cioè si saltano questi passaggi e si forma

un groviglio di vasi. Queste alterazioni della continuità tra arteria e

vena rendono la struttura molto fragile sicché può rompersi e dar luogo

ad ematoma.

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Terza lezione 06-06-2018

Deficit di forza

Un sintomo importante da rilevare è il deficit di forza. In presenza di questo sintomo, il problema può

essere legato a:

• Lesione di tipo centrale (ictus)

• Una lesione di tipo periferico, come ad esempio la nevrite;

• Un motivo miopatico, muscolare.

Dietro ogni nostro movimento volontario vi è un progetto di movimento. Più il movimento compiuto è

inusuale, più il paziente è costretto a pensare e riusciamo ad individuarne le problematiche. Vi sono

movimenti semplici ed immediati che riusciamo a fare in maniera automatica ma se dico di toccare con

il pollice quarto, primo e secondo dito debbo riflettere sul movimento che vado a compiere. Basta fare

un movimento più difficile nella progettualità per renderci in grado di capire se il paziente ha un deficit.

La paralisi centrale è esattamente il contrario di quello che vediamo nella periferica.

N.B. La malattia che coinvolge sia prima che secondo motoneurone è una sola, ovvero la SLA.

Paralisi centrale. Abbiamo un motoneurone centrale ed un motoneurone periferico.

La via nervosa che induce il movimento volontario è costituita infatti da:

• Primo motoneurone: è presente a livello della corteccia cerebrale. I suoi prolungamenti (assoni)

scendono verso la parte inferiore del corpo formando un fascio di fibre, il cosiddetto fascio

piramidale. Queste fibre raggiungono il secondo motoneurone trasmettendogli l'impulso elettrico.

• Il secondo motoneurone, che si trova a livello del tronco dell’encefalo e del midollo spinale, una

volta attivato genera anche esso un impulso elettrico che percorre il suo prolungamento (assone) e

raggiunge la fibra muscolare. Qui tramite la cosiddetta giunzione neuro-muscolare il segnale viene

trasmesso al muscolo che si contrae.

Il primo è il motoneurone centrale, il secondo il periferico. Una lesione di tipo centrale, quella che

abbiamo per emorragie, degenerazioni, tumori ecc è una lesione con caratteristiche ben precise.

L’impulso, infatti, parte, si concentra verso la via corticospinale, che è la via piramidale, arriva a livello

del bulbo dell’encefalo, si incrocia e per questo se ho la lesione a destra ho il danno a sinistra, scende

lungo il midollo, corna del midollo e nasce la seconda strada, oppure il secondo motoneurone. La

lesione della via centrale presenta dunque tre caratteristiche:

• Interessa grossi gruppi muscolari (braccio, gamba, volto). Per questo si parla anche di sindromi

FACIO-BRACHIO-CRURALI.

• Il tono muscolare è aumentato e rigido

• Atrofia del muscolo. Nella fase iniziale non c’è atrofia se non dopo mesi. L’ictus che interessa

una via centrale, non dà atrofia dopo una settimana, le atrofie vengono dopo molto tempo.

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La lesione periferica, che significa dalle corna anteriore. Questa radice nasce dal corno anteriore. Nella

lesione periferica ad esser coinvolta è solo quel tipo di via che porta a quel tipo di muscolo (quindi il

secondo motoneurone). L’atrofia non sarà di tutto il corpo, ma solo di segmenti di corpo. Al contrario di

quanto avviene in una lesione centrale, qui il tono è flaccido, abbandonato. Possiamo comprendere ciò

rapportando l’atrofia a ciò che succede in caso di frattura: a causa del gesso non muovo più il muscolo e

dunque quest’ultimo si atrofizza.

La lesione di tipo di periferico comporta dunque:

• Paralisi di tipo selettivo;

• Tono diminuito e flaccido;

• Atrofia marcata nel territorio di innervazione colpito.

Cosa succede quando vi è una lesione di tipo periferico? Quando solleviamo la

punta del piede mantenendo il tallone a terra, utilizziamo il muscolo tibiale. Se

quel muscolo non funziona per una lesione di tipo periferico, non potremo

contrarlo per tirar su la punta e dunque avere un’andatura normale. In tal caso

dovremmo sollevare esageratamente la gamba per evitare lo strisciamento

della punta che non si alza. Questa andatura quindi viene denominata di tipo

steppante (lo steppante ha una marcia simil equina, come se fosse un cavallo

per intenderci). L’andatura steppante è il segno patognomonico di una

polinevrite.

Quando ci sediamo accovacciati con le gambe incrociate o in altre posizioni

particolari, causiamo l’insorgenza di una neuroaprassia: il nervo viene

schiacciato perché dietro il ginocchio passa una diramazione del nervo sciatico

che passa nella parte posteriore. Lo sciatico decorre da sotto la fine del gluteo, scende e quando

arriva nella parte laterale sinistra del ginocchio un pezzo gira, si divide e va ad innervare questo

muscolo davanti. Se lo studente resta accovacciato a lungo, il nervo viene schiacciato. Quindi ricade

il piede come se fosse atrofizzato: in questo caso nel giro di qualche giorno la situazione torna alla

normalità.

Ci sono malattie che sono degenerative in cui c’è un’atrofia. Quando troviamo delle atrofie dalle

ginocchia in giù, si tratta di patologie che iniziano in età adolescenziale, tra cui la malattia di Charcot.

Questa patologia comporta un’atrofia genetica dai due terzi della coscia in giù e forma le cosiddette

“gambe a cicogna”, resta solo il quadricipite. Questa atrofia con il tempo passa anche alle mani, è una

neuropatia che si dice con andamento disto prossimale, inizia dalla parte distale per poi diventare

prossimale dunque procede fino alle gambe ed ai due terzi del territorio successivo quindi, nel caso degli

arti superiori, fino alle mani. Questo stesso disturbo lo troviamo anche nel diabetico che può avere

disturbi di tipo periferico perché il nervo soffre a causa della presenza dell’arteriopatia diabetica le

arterie sono rigide. Molte vestibolopatie si verificano dunque nei diabetici.

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Sindrome di Guillain-Barrè

Questa patologia è diventata una emergenza neurologica. Si tratta di una sindrome dove il nervo in un

primo momento perde la mielina – se la mielina si

deteriora siamo più lenti – funziona male il muscolo quindi

si ha una sindrome periferica. Si tratta di una patologia di

tipo infiammatorio autoimmune. Nella mielina come

sapete è contenuto l’assone, che viene distrutto, e dunque

diventa una neuropatia mielinica ed assonale. In tal modo

resta il muscolo da una parte e l’assone dall’altra. Il

meccanismo di questa patologia è autoimmune, con un

innesco di tipo infiammatore. Molte volte i pazienti affetti

hanno avuto influenza, tonsillite, sinusite, otite e così via.

Dopo 10-15 giorni inizia la patologia autoimmune. Perché

è pericolosa questa situazione? È abbastanza subdola

perché prima inizia con le parestesie -formicolii alle gambe

ed ai piedi- velocemente il paziente, nel giro anche di tipo ore, non sarà magari più in grado di alzarsi

dalla sedia. Questa patologia si chiama poliradiculopatia poiché vi è l’infiammazione delle radici e

dunque non arriva il segnale dalla via sensitiva -parestesia- ed in seguito affetta oltre alla via sensitiva

anche la via motoria, il risultato di questa situazione è l’insufficienza respiratoria.

Risalendo lungo le radici, dopo le lombo sacrali la patologia giunge alle toraciche che servono per

respirare. A questo punto il paziente resta in apnea fissa e necessita di ventilazione.

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Dobbiamo imparare a distinguere le diverse andature dei pazienti e correlarle alle relative patologie.

Abbiamo andature:

• Paretica

• Steppante

• Miopatico

• Parkinson

• Paresi spastica, quella dell’ictus

SLA

Bisogna fare attenzione ai pazienti cui cade la testa. In tal caso siamo dinanzi a SLA. Sospettiamo la

presenza di questa patologia a partire da sintomi inequivocabili. Questa malattia è l’unica malattia nella

quale abbiamo sia i segni di una lesione periferica che i segni di una patologia centrale: non vi è un

motoneurone che funzioni, resta un muscolo che non ha i nervi e di conseguenza si atrofizza. Il segno

fondamentale è il deficit di forza di un distretto. Il primo segno della malattia e quindi l’atrofia di un

solo distretto che può essere il deltoide -muscolo che fa portare la mano fino a 90 gradi, per salire su

lo scaleno- ed inizia come un’atrofia solo del deltoide. Possono esservi dei segni molto precoci e molto

veloci. Sono pazienti che iniziano ad avere questi segni alla mano o al tibiale anteriore ed in seguito

cominciano a non avere la forza. Non riescono a tenere la presa sugli oggetti, a girare la chiave nella

toppa. L’atrofia è dunque il primo segno. Abbiamo dunque deficit di forza in selettivi muscoli atrofici.

Questi sono i segni del secondo motoneurone che comprende atrofia e deficit di forza. Il primo

motoneurone cosa comporta? Se mi dovessi aspettare in un paziente che ha un deficit di forza alla mano

dove vi è atrofia, e non tutto il braccio, come mi aspetto di trovare i riflessi? Aumentati o diminuiti?

Abbiamo detto riflessi diminuiti nel caso di lesioni periferiche. Invece in questi pazienti il tono ed il

riflesso sono aumentati. Quando vi è una lesione di tipo periferico c’è atrofia, tono diminuito e riflessi

assenti. Nella lesione centrale c’è tono aumentato e riflesso aumentato. Quando ho deficit di forza con

atrofia e riflesso aumentato (che è segno del primo motoneurone) si ha la SLA.

Essendo una patologia del primo e del secondo motoneurone non devono essere alterate le sensibilità.

Può presentarsi in due forme:

• Spinale

• Bulbare: incominciano ad avere problemi all’origine dei nuclei dei nervi nel bulbo (VIII, IX che

serve per la deglutizione, X, che serve per la fonazione). Sono dunque pazienti che presentano

disfagia e disfonia. XII nervo cranico: ipoglosso che permette di tirar fuori la lingua e muoverla

a destra ed a sinistra. Determina la prima parte della deglutizione volontaria dunque se è affetto

abbiamo una lingua atrofica.

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Un altro segno è la split hand, un’atrofia dell’eminenza tenar ed ipotenar che non

permette di chiudere a pinza pollice e indice.

Il respiro ha una componente volontaria. Nella respirazione per alzare la gabbia

toracica sono necessari anche i muscoli accessori che nella SLA non sono

innervati. La conseguenza è la riduzione della respirazione al minimo

indispensabile, poiché si riduce alla parte automatica. Queste persone dunque vanno incontro a

difficoltà respiratorie dunque vanno intubate ed anche se sopravvivono non potranno più muoversi –

con conseguenti risvolti etici.

Miastenia

Il miastenico è costretto dopo un po’ di cammino ad interrompere la marcia, per poi riprenderla, così

come a riposarsi 5-10 minuti mentre mastica del cibo, poiché non si sente in grado di farlo in maniera

continuativa. Infine, può perdere la voce mentre parla, e tacere 5-10 minuti prima di ricominciare a

parlare. Altro esempio: può svegliarsi la mattina e nel

anticorpi. Si tratta di una risposta autoimmune o disimmune. Si tratta dunque di una disfunzione di

placca. Il nervo e il muscolo non comunicano tra di loro. Questi pazienti vanno incontro a polmonite ab

ingestis. Gli anticorpi vengono prodotti da una ghiandola, il timo, che serve nel corso dello sviluppo. In

età adulta si atrofizza e resta un residuo fibro adiposo. Può però scatenarsi una timite o un carcinoma. I

miastenici possono andare incontro ad insufficienza respiratoria. Per questo motivo tale pazienti non

devono affaticarsi.

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Parkinson

Questa patologia ha dei segni particolari non difficili da individuare. È una malattia del movimento in

cui vi sono sintomi fondamentali e semplice:

• Non è mai simmetrica

• Tremore a riposo che con il movimento scompare. Il tremore che compare con il movimento è

un tremore cinetico. Il tremore cinetico non è parkinsoniano;

• Rallentamento motorio. Camminerà dunque lentamente, atteggiamento in avanti del tronco,

aumento del tono che possiamo sentire facilmente dal polso che se lo flettiamo delicatamente va a

scatti (troclea dentata). Questo è il segno della rigidità.

I pazienti parkinsoniani “corrono dietro sé

stessi”, e fanno fatica a fermarsi. Se diamo

un peso, si incurvano di più.

Più precisamente, l’atteggiamento

posturale dei soggetti parkinsoniani è

chiamato Camptocormia ed è caratterizzato

da:

• tronco e capo in lieve flessione;

• arti superiori addotti, con spalle

anteposte e avambracci in

semiflessione e intrarotazione;

• arti inferiori addotti, con cosce in

semiflessione sul tronco, gambe in leggera

flessione e piedi in atteggiamento di iniziale varismo.

I sintomi migliorano notevolmente somministrando Levodopa (es. Duodopa, Sinemet)

Se viene chiesto ai pazienti di sollevarsi con il tronco, ci provano. Se si trattasse di un’artrosi non si

muoverebbero. Il segno per sapere che è un Parkinson è che la deformità tenta di tornare normale. Per

girare il paziente non gira spalle bacino e gambe, ma deve girare su sé stesso girando sui piedi per

via della rigidità. Se notiamo questa scomposizione del movimento dobbiamo prestare attenzione. Se

noi correndo cadiamo, generalmente ci fratturiamo il braccio poiché cerchiamo di ripararci dalla caduta.

Il parkinsoniano, non avendo questo riflesso, si romperà il femore. Dobbiamo quindi insegnare ai

soggetti a girare l’angolo come se camminasse intorno ad una sedia. Se difatti lo facessimo girare a 90

gradi cadrebbe rompendosi il femore.

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Parkinsonismi atipici

Non tutti coloro che hanno tremori hanno il Parkinson. Molto spesso sussistono i cosiddetti

parkinsonismi atipici. Il parkinsonismo atipico è il peggiore poiché si tratta di pazienti che muoiono in

4-5 anni mentre i Parkinsoniani vivono fino a 20 anni. I parkinsonismi atipici comportano paralisi

sopranucleare progressiva. Si ha bradicinesia. I segni a cui dobbiamo prestare attenzione sono questi:

• Sintomatologia assiale: vertigini, difficoltà nella deglutizione.

• Degenerazione sopranucleare: dal momento che i nuclei sono nel tronco, se è interessata la

porzione sopra di essi, si tratta delle vie che arrivano al tronco: primo motoneurone.

• Rigidità assiale: dalla testa fino agli arti. Un po’ come la sindrome meningea.

• Paralisi dello sguardo verso l’alto. Se diciamo a questo paziente di guardare in alto il soffitto, in

tal caso dobbiamo vedere il bianco delle sclere. Se vi è più bianco, la paralisi dello sguardo non

c’è.

• Segno del procero. Il procero è un muscolo, quello con il quale assumiamo un’espressione

arrabbiata.

• Disfagia

• Disartria

• Disfonia: andatura di tipo miopatico

Il miopatico ha un problema del muscolo. Quello che vedete è un bambino di otto mesi che non riesce

a sollevarsi. Quello successivo ha tre anni, per salire si deve tenere e sollevare il sedere. Quando

camminiamo per salire le scale si contrae il gluteo. Per sollevare la gamba non interviene il quadricipite,

ma il gluteo poiché il primo movimento implica l’andare su: si utilizza quindi il cingolo pelvico.

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In questo caso vi è l’andatura anserina. Più la patologia è grave più io mi devo piegare per portare su

la gamba. Per non cadere incomincio ad avere un’andatura basculante. Si cerca dunque di compensare

con la pancia in fuori per tentare di avere il gluteo più in alto. In breve: ventre proteso verso l’esterno,

zona lombare della schiena molto arcuata a indicare un’importante lordosi, passi “allargati” come se i

piedi avessero bisogno di più spazio per poggiarsi a terra e dondolio delle anche a ogni passo.

Esempi fatti a lezione

Una malattia che dovete conoscere è la poliradiculopatia infiammatoria demielinizzante acuta.

Il nervo perde la mielina, quindi funziona male il muscolo e si ha una sindrome periferica.

Vi arriva un signore che la mattina si è ricoverato perché gli formicolano i piedi, nel giro di poche ore il

signore non è più in grado di alzarsi. Andando avanti diventa un problema perché generalmente queste

radici, succede che in questi signori c’è una poliradicolopatia, c’è un’infiammazione delle radici, non arriva

al segnale della parestesia, ma non c’è nemmeno quello motorio.

Un signore se lo vedete camminare, vi rendete conto se ha un’andatura paretica, stemmatica, miopatico,

parkinson, paresi spastica.

Signori che arrivano che gli cade la testa.

Split hand, si atrofizza tenar e ipotenar, muscolo della mano che ci permette di prendere a pinza con

l’indice e pollice.

Lingua atrofica da sapere, atrofia del dodicesimo nervo cranico, l’ipoglosso!

Miastenia, malattia da conoscere, non è che vi chiederò mi parli della miastenia.

Vi dirò: un signore che dopo un po’ che cammino, pure un km, 5 km, ma se dopo un po’ è costretto a

fermarsi perché non ce la fa, si riposa e poi riparte.

Se un signore sta a pranzo e mastica, mentre mastica ad un certo punto non ce la fa più rimane con il cibo in

bocca, sta fermo 5-10 minuti poi ricomincia a mangiare.

Se un signore parla e man mano che parla dopo un po’ gli va via la voce, sta zitto 15 minuti e poi

ricomincia.

Se un signore si alza la mattina, si fa la doccia subito perché altrimenti dopo un po’ gli casca la testa in

avanti, poi si riposa e si rimette in piedi.

Un signore si sveglia la mattina e nel corso della giornata gli si abbassano le palpebre o comincia a vedere

doppio, si riposa, si sdraia… poi torna normale. Se vedi doppio = diplopia

Quindi bisogna chiedergli se si affatica.

Questa malattia è una malattia dove non è più il nervo il problema, ma la giunzione tra nervo e muscolo

che si chiama placca neuromuscolare. Perché succede? La trasmissione avviene dal nervo al muscolo, alla

fine del nervo vi sono delle vescicoline che escono e vanno in un punto del muscolo preciso, questa è

l’acetilcolina. Perché non funziona? Perché il sito dove deve andare l’acetilcolina è occupato da

anticorpi impazziti.

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CURE PALLIATIVE Cap. 1 VALUTAZIONE DEI BISOGNI ASSISTENZIALI DEL MALATO Elle Fox su Jama (rivista medica), individua 2 modelli di assistenza: curativo e palliativo

• Curativo avviene nell’ambito ospedaliero e nella formazione

• Palliativo è ancora minoritario. NON MIRA ALLA CURA DELLA MALATTIA, MA AL SOLLIEVO DELLA SOFFERENZA. Secondo l’OMS mira al controllo del dolore, dei sintomi, dei problemi psicologici, sociali e spirituali. Rinuncia alla cura e si concentra sul sollievo della sofferenza, attenuazione della disabilità, assistenza agli inguaribili ed una morte serena. È centrato sul malato e non sulla malattia e mira a raggiungere la migliore qualità di vita possibile.

Per riconoscere alle cure palliative un ambito clinico, l’approccio è orientato verso 3 direttrici: 1. Individuare e farsi carico dei problemi fisici, psicologici, sociali, spirituali e pratici, ma anche delle aspettative, delle

speranze e delle paure dei pazienti 2. Preparare ed accompagnare i pazienti ed i loro familiari alla fine della vita, promuovendo l’autodeterminazione 3. Accompagnarli nelle fasi di distacco e separazione

Secondo il CANADIAN HOSPICE PALLIATIVE CARE ASSOCIATION, le cure palliative presentano le seguenti caratteristiche:

Cura di tutta la persona Assicurare un’assistenza rispettosa della dignità umana Modellare la pianificazione della cura per raggiungere gli obiettivi individuali Riconoscono:

✓ l’individuo con malattia potenzialmente mortale e la sua famiglia come UNITÀ DI CURA ✓ l’individuo come soggetto autonomo, che ha diritto alle cure di fine vita ed a prendere decisioni riguardo la sua

cura ✓ l’importanza di un approccio collaborativo interprofessionale del team di cura

Rispettare i valori: personali, culturali e religiosi degli individui Supportare la famiglia nell’affrontare la perdita ed il dolore Valorizzare i principi etici di: autonomia, beneficenza, di non malvagità, di giustizia, sincerità e riservatezza

I pazienti e i sintomi A livello fisico manifestano sintomi come: ansia / depressione / dolore / malessere generalizzato ecc. I 5 domini per sviluppare cure palliative di qualità sono: 1. Adeguata gestione del dolore e dei sintomi 2. Evitare il prolungare del morire 3. Raggiungere un controllo 4. Alleviare il peso 5. Rafforzare i rapporti con i propri cari La buona morte è una condizione libera da: sofferenze evitabili, distress (forma acuta di stress) per il paziente, la famiglia e il caregiver Inoltre per una buona qualità del fine vita, gli interventi farmacologici sono importanti e diversi studi hanno dimostrato che: se queste cure vengono integrate con la medicina non tradizionale e approcci non convenzionati, forniscono la percezione di un maggior senso di controllo Chi valutare? Valutare ogni paziente che accede alle cure palliative, ma anche coloro che sono in fase di peggioramento. Non bisogna valutare la malattia, ma la persona malata e quanto la malattia incide sulla qualità della vita. L’esperienza del paziente può offrire molte informazioni all’infermiere Quando valutare La valutazione è un processo continuo, deve essere effettuata:

alla diagnosi

quando iniziano o si modificano i trattamenti

completato il piano di trattamento primario

recidiva della malattia

riconoscimento di inguaribilità

all’inizio di fine vita e nelle ultime ore di vita

qualsiasi modificazione o richiesta da parte del paziente, del familiare o del caregiver La valutazione può essere effettuata in qualsiasi ambito in cui si trova l’ammalato, l’importante è che assicuri comfort e privacy. Il valutatore deve tener presente che:

• I tempi ed i ritmi di valutazione devono essere misurati dal paziente

• Le esigenze prioritarie devono essere individuate in fase iniziale

• La valutazione complessiva deve essere effettuata entro 48/72 h

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Chi deve effettuare la valutazione? Il valutatore deve essere:

• un professionista clinico, con un adeguato livello di conoscenza: della malattia, dei sintomi e del trattamento assistenziale

• l’individuazione deve essere in accordo con le preferenze del paziente Secondo l’NCN (National Cancer Action Team) la valutazione olistica è costituita da 5 settori:

1. Informazione di base 2. Esigenze fisiche 3. Bisogni sociali e professionali 4. Benessere psicologico 5. Benessere spirituale

Per registrare la valutazione si utilizza un supporto cartaceo o informatico Pianificazione anticipata del CARING (CURA) Nell’ultimo periodo di vita, l’orizzonte di vita del paziente cambia Gli infermieri devono dotarsi di un ragionamento proattivo (evolutivo) in modo da non affrontare l’assistenza come se l’ambiente di lavoro fosse l’emergenza. La pianificazione anticipata consente un processo continuo e finalizzato a:

• chiarire: la comprensione che il paziente ha della propria malattia

• comprendere: i valori del paziente e la priorità di cura

• identificare: e documentare i desideri del paziente

• favorire: la nomina di un sostituto decisore, quando il paziente non sarà più in grado di prendere decisioni Questa pianificazione migliora il fine vita e la soddisfazione dei familiari, riduce lo stress, l’ansia e la depressione sia nei familiari che nei pazienti. Gli infermieri non debbono far riferimento solo a standard di valutazione dei bisogni, ma debbono anche integrare la propria azione con i propri valori propria deontologici. La pianificazione anticipata prende in considerazione le volontà del paziente e le sue aspettative. Quando le aspettative del paziente sono molto distanti dalla realtà, generano una pessima qualità di vita quindi i bisogni del paziente devono focalizzarsi su: dati Soggettivi del paziente (S) / dati Oggettivi rilevati dall’infermiere (O) / dati provenienti da Altri (A) Inoltre vanno considerati i fattori che aiutano i pazienti ed i familiari nell’applicare i processi decisionali, volti allo sviluppo dell’autodeterminazione

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Cap. 2 VALUTAZIONE DEI BISOGNI ASSISTENZIALI DELLA FAMIGLIA La famiglia è fondamentale nella cura e nell’assistenza perché nel fine vita, avviene un’onda d’urto emozionale che porta ad una riorganizzazione degli assetti familiari e la ricerca di nuovi equilibri. Le linee guida elaborate dal NATIONAL CONPREHENSIVE CANCER NETWORCH, considerano l’assistenza ai familiari, prima e dopo la morte del congiunto, una parte essenziale del processo di cura. In Italia la legge 38 del 2010 definisce le cure palliative come: l’insieme di interventi terapeutici, diagnostici ed essenziali, rivolti sia al paziente che al suo nucleo familiare. Sono finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti, la cui malattia è caratterizzata da: un’evoluzione inarrestabile, da una prognosi infausta e non risponde più ai trattamenti. Tipologie familiari e malattia La morte è un evento prevedibile nell’età senile, ma nelle altre fasi della vita è inattesa, questo genera crisi di identità familiare ed individuale e modifica l’equilibrio della famiglia che può essere:

• Supportativa c’è molta intimità tra i membri

• In grado di risolvere conflitti alto livello di coesione

• Ostile conflittualità tra i membri e scorsa coesione

• Scontrosa poco socievole ed affidabile

• Classica intermedia tra le altre tipologie La famiglia, difronte alla malattia, può ristrutturarsi secondo i 3 modelli di Rolland (1994):

1. Riorganizzazione evolutiva i familiari collaborano seguendo il paziente nei suoi bisogni e si sostengono a vicenda 2. Disorganizzazione e Disgregazione familiare i legami affettivi non sono riconosciuti e vissuti 3. Blocco statico in seguito a conflitti i familiari non sono in grado di trovare strategie per affrontare la morte

Con l’aggravarsi della malattia i familiari assolvono nuovi compiti. C’è un ampliamento delle funzioni e la modifica dei ruoli come:

➢ Familiare caregiver è una singola persona ed è colui che si prende cura del malato. Anche bambini o adolescenti possono ricoprire questo ruolo. Questa figura porta il carico affettivo, materiale e psicologico dell’assistenza e sono potenziali pazienti nascosti, perché possono risentire dell’impatto dell’assistenza.

➢ Familiare leader rappresenta la famiglia nei contatti con l’esterno e gestisce l’organizzazione delle risorse familiari. ➢ Familiare outsider si mantiene a distanza, perché non è in grado di gestire il rapporto con l’ammalato ➢ Familiare debole a causa del dolore e delle difficoltà della famiglia, si ammala fisicamente o psicologicamente.

Reazioni della famiglia in seguito alla perdita, i familiari compiono un percorso interiore suddiviso in 4 fasi: 1° fase: shock e rifiuto iniziale della morte 2° fase: reazione aggressiva ed iperattiva 3° fase: depressione reattiva difronte all’impotenza e sensi di colpa 4° fase: elaborazione, porta alla resa ed all’accettazione della morte della persona cara. La malattia di un familiare, nel 30-40% dei casi, ha un impatto psicologico sulla famiglia e porta a sofferenza psichiatrica. Il leader familiare è quello maggiormente esposto e può presentare disturbi di ansia e depressione. Nel 1997 Susan Folkman studia lo stress-coping dei familiari dei pazienti terminali ed evidenzia delle variabili che agiscono da mediatori o da moderatori nelle risposte dei familiari, alla malattia terminale.

• I familiari che si sentono preparati a fornire assistenza al proprio caro, presentano livelli di depressione più bassi

• I familiari che si sentono impreparati presentano un aumento di tensione emotiva e di stress Un altro aspetto fondamentale è l’autostima e la padronanza della situazione. Se il familiare ritiene di avere il controllo della situazione, sarà più forte e motivato. Essere coinvolti attivamente nella cura, migliore l’autostima nel caregiver. L’aspetto più critico per i familiari è la comunicazione della prognosi. Assumersi la responsabilità di dire la verità al malato, incute timore e stress emotivo. Nel 2001, Andersen e Tern-stedt basandosi sulla teoria di Antonovsky, descrivono come i familiari vivono la malattia terminale del congiunto. Secondo Antonovsky le persone possono avere una forte coerenza interna, anche nei momenti più stressanti ed individua 3 componenti:

➢ comprensibilità, gestibilità e significatività. Andersen e Tern-stedt individuano dei fattori che descrivono come è vissuto il lutto dalla famiglia:

• Il primo fattore viene descritto tramite le metafore “avvolti dalla luce” e “avvolti dalle tenebre” ✓ “avvolti dalla luce” significa conoscere ciò che il congiunto sta vivendo ✓ “avvolti dalle tenebre” significa essere isolati, non partecipare alla cura cioè essere tenuti all’oscuro.

• Il secondo fattore è rappresentato da: “sapere, esserci e fare”, cioè essere: ✓ sempre informati sulle condizioni del congiunto / presente in ogni fase della malattia / partecipare attivamente

alla cura e supportare il pz. I familiari se sono informati, acquisiscono maggiore confidenza con le proprie capacità, quindi è importante il supporto dello staff curante che, attraverso l’informazione ed il coinvolgimento, rende la situazione comprensibile e gestibile.

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Coniugi e Figli difronte alla malattia Se una malattia grave interessa uno dei coniugi, può provocare nell’altro un’angoscia da separazione, abbandono e cambiamenti di ruolo. La reazione del coniuge caregiver sono conosciute, ma c’è poca attenzione sull’impatto che la malattia provoca sui figli. Sia i bambini che gli adolescenti vengono lasciati ai margini dell’esperienza, perché si è convinti che non sono in grado di comprendere la situazione. Circa un terzo dei figli reagisce con disturbi nell’alimentazione e di comportamento e presentano difficoltà di sonno e di relazione con i propri compagni (sono aggressivi).

• Nella fase pre-adolescenziale (10-13 anni) si può presentare auto-responsabilità o rabbia

• Nella fase adolescenziale (13-18 anni) c’è ambivalenza tra i bisogni di autonomia ed indipendenza e sostenere la famiglia in crisi.

Famiglia e lutto La morte rompe un legame affettivo importante e nell’adulto è molto doloroso perché minaccia il sentimento vitale. Inoltre l’elaborazione del lutto presenta un tempo variabile, di solito dai 6 ai 12 mesi. Un lutto può rivoluzionare l’intero assetto familiare e le relazioni tra i membri. Alcune famiglie lo affrontano in modo responsabile, altre si indeboliscono o si degradano. per un’elaborazione positiva è importante la comunicazione. Il supporto al lutto è parte delle cure palliative. Quando il rapporto operatore-famiglia è emotivamente valido ed adeguato, l’intera equipe, più spesso un singolo operatore, diventa un riferimento per i familiari. Prendersi cura della famiglia Per gli operatori è indispensabile:

• capire quale fase della malattia sta vivendo la famiglia, perché ogni fase presenta bisogni differenti.

• ascoltare i familiari del paziente e favorire l’adattamento alla situazione che stanno vivendo. I familiari ritengono indispensabili le informazioni sui trattamenti. La SICP (società italiana di cure palliative) ritiene importante la relazione e la comunicazione verso la famiglia, quindi gli operatori dovrebbero informarli sulle reali condizioni del paziente e sull’imminenza della morte, rassicurarli e fargli esprimere le proprie emozioni. Bisogna tenere conto anche dell’età dei familiari, perché la situazione viene vissuta in modo differente, in base all’età.

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Cap. 3 STRUMENTI DI VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ DELLA VITA Valutazione nelle cure palliative La valutazione è indispensabile per il miglioramento di servizi, interventi, risultati e ricerca. Gli elementi di valutazione sono: I valori e gli orizzonti politico-sociali della cultura del servizio / I risultati e gli elementi oggettivi Per gli strumenti valutativi e livelli di misurazione è necessario uno strumento che misura un concetto o una variabile ed una scala di misurazione Gli strumenti di raccolta possono essere:

• Strutturati sono questionari formati da domande standardizzate e formulate sulla base di un modello di riferimento

• Non Strutturati sono interviste e diari Livelli di misura La misura è l’assegnazione di numeri, secondo determinate regole. I livelli di misurazione sono le scale: nominali, ordinali, ad intervalli e di rapporti e la misurazione può essere quotidiana o quantitativa. Peculiarità della valutazione in cure palliative Le valutazioni più appropriate indagano le percezioni e le esperienze direttamente dai pazienti, i quali spesso non sono in grado di rispondere alle domande, perché sono vulnerabili. Gli strumenti per valutare tali esperienze sono multidimensionali e misurano vari aspetti: stato funzionale / sintomi fisici / problemi psicosociali. Gli infermieri possono scegliere gli strumenti da utilizzare per valutare i bisogni del paziente e della famiglia. La scelta deve essere valutata in base ad: appropriatezza / economia / semplicità e deve essere condivisa con l’equipe Valutazione degli out-come - È la valutazione dei risultati ed è essenziale per valutare: la qualità dell’assistenza, aumentare le conoscenze e stabilire l’efficacia degli interventi per migliorare i sintomi e la qualità della vita. Qualità della vita (Q O L) È un concetto soggettivo influenzato da diversi fattori: aspettative, aspetti fisici, credenze ed esperienze passate. Gli strumenti che misurano la qualità della vita sono classificati come strumenti generici o associati alla patologia.

• Gli strumenti generici: indagano sulle dimensioni che riguardano la vita in generale

• Gli strumenti associati alla patologia: indagano sugli aspetti tipici della patologia La scelta degli strumenti dipende dal caso clinico e da quello che si ritiene prioritario valutare. La valutazione ADL

• Misura l’indipendenza funzionale nelle attività della vita quotidiana

• È utilizzata per i malati di cancro in fase avanzata per valutarne l’autonomia

• Si compone di 26 sintomi che vengono valutati settimanalmente.

• In base alla valutazione si definisce il grado ECOG (Eastern Cooperative Oncology Group). Presenta 4 stadi da 1 a 4, oppure da A a D.

Valutazione prognostica Una prognosi accurata permette di migliorare le strategie terapeutiche ed assistenziali e riduce il rischio di sottostimare o sovrastimare il trattamento terapeutico. Sovrastimare un trattamento significa dare meno importanza alle cure palliative ed uno degli strumenti più utilizzati è il KPS (Karnofsky Performance Status). Questo esprime il grado di autonomia fisica del paziente, dalle funzioni vitali e una normale attività fisica. Il punteggio va da 100 (non c’è evidenza di malattia) a 0 (morte) In Italia uno degli strumenti più utilizzati è il PAP-SCORE. Suddivide i pazienti in 3 classi di rischio e permette una quantificazione della sopravvivenza attesa.

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Cap. 4 TRAIETTORIE EVOLUTIVE DELLE MALATTIE IN RELAZIONE ALLE CURE PALLIATIVE Un secolo fa, la morte era dovuta da: infezioni, incidenti, problemi di gravidanza o del parto. Nei paesi industrializzati la morte improvvisa è meno frequente, ma l’aumento della vita media spesso è accompagnata da malattie cardiovascolari, tumorali e respiratorie. Traiettoria legata a patologia tumorale Le nuove tecnologie hanno allungato il decorso clinico delle patologie tumorali. Però negli ultimi mesi di vita c’è: una riduzione nelle abilità di self-care (cura di sé) / limitazioni nelle attività di vita quotidiana / mancanza di appetito. Questo porta ad una perdita di peso e alla morte. Traiettoria con lunghi decorsi, intervallati da peggioramenti I pazienti con insufficienza cardiaca e malattie polmonari, possono avere un peggioramento dello stato funzionale che ne causa la morte. Traiettoria legata a progressivo peggioramento È legata alle demenze come l’Alzheimer oppure ad un indebolimento che riguarda più organi. I pazienti non riescono più a far fronte alla quotidianità e spesso la morte avviene in seguito ad un evento acuto (Es. frattura o polmonite). Implicazioni delle teorie evolutive Storicamente le cure palliative sono state offerte solo a pazienti oncologici e negli anni che trascorrono, dalla diagnosi alla morte, i pazienti e le famiglie, affrontano criticità che generano bisogni complessi e globali. Ad Es. la chemio-terapia, da un lato porta ad un allungamento della vita, dall’altro porta a sintomi importanti. Generalmente i pazienti pretendono i trattamenti anche difronte a improbabili benefici, però una visione realistica delle aspettative, può ridurre l’accanimento terapeutico e prevenire ricoveri non necessari. Patologia tumorale I pazienti sottoposti a chemio-terapia, presentano vari sintomi: fatica, dolore, astenia, insonnia ecc. e in media ogni paziente oncologico sperimenta 10 sintomi differenti. Con il progredire della malattia, la prevalenza e l’intensità dei sintomi tende ad aumentare. Negli ultimi anni di vita la medicalizzazione è massima ed i costi sanitari aumentano, quindi bisognerebbe effettuare una pianificazione anticipata degli interventi per affrontare queste problematiche. Il piano di trattamento deve bilanciare le migliori evidenze scientifiche, con le aspettative dei pazienti e dei familiari, mantenendo una coerenza tra l’oggettività delle evidenze e la soggettività della persona. Patologie progressive I pazienti affetti da patologie cardio-respiratorie ed ischemiche, spesso necessitano di trattamenti supplementari che difficilmente vengono soddisfatti nelle strutture ospedaliere. Le patologie cronico-degenerative, rispetto a quelle tumorali, influenzano precocemente il benessere fisico e psicologico, attività lavorativa, vita sociale e autostima dei pazienti. Anche le famiglie sono consumate da un caregiving prolungato, inoltre un lento deterioramento dello stato di salute, aumenta:

• la dipendenza, l’isolamento sociale, difficoltà economiche e all’accesso dei servizi socio-sanitari.

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Cap. 5 BISOGNI ASSISTENZIALI E PRINCIPI DI TRATTAMENTO DEI SINTOMI Le persone affette da malattia evolutiva, affrontano problematiche, correlate non solo alla malattia, ma anche a situazioni psicologiche, sociali ed affettive. Quindi gli infermieri offrono cure complesse, caratterizzate: dai bisogni e dai sintomi mutevoli dei pazienti e delle famiglie, dalla variabilità dei contesti in cui si svolge l’assistenza, dai colleghi con cui si collabora e dalla dimensione temporale. L’evolutività della situazione clinica rende centrale il concetto di rimodulazione continua degli interventi, sia terapeutici che assistenziali. Infatti con la progressione della malattia, possono comparire molti sintomi, oppure i sintomi possono aggravarsi e trasformarsi, quindi alcuni interventi diventano prioritari e vanno intensificati. Questa continua rimodulazione è alla base della pianificazione infermieristica nelle cure palliative. Principi di trattamento dei sintomi Il controllo dei sintomi è un obiettivo fondamentale. Quelli + comuni sono: dispnea, depressione, nausea, vomito ecc. e l’obiettivo primario è la riduzione dei sintomi che riguardano: autonomia, attività e relazioni quotidiane, attraverso un controllo della sintomatologia. Dispnea È un disagio soggettivo durante la respirazione. Nel paziente crea angoscia e paura di morire e tutto ciò porta ad un aumento della dispnea. Si analizzano le cause e si prosegue con la risoluzione di queste, senza aggiungere altre sofferenze. La terapia può essere: farmacologica, radioterapia ed endobronchiale. Depressione Disturbo dell’umore primario. Le manifestazioni per una valutazione sono: tono dell’umore basso, pianto, irritabilità, stress ecc. La terapia farmacologica e psicologica deve essere tempestiva. Inoltre l’uso degli anti depressivi deve basarsi anche sulla prognosi del paziente, perché iniziano ad agire mediamente dopo 2-4 settimane. È importante l’ascolto e la comunicazione. Nausea e vomito Nausea sensazione soggettiva sgradevole, dovuta alla stimolazione vagale della mucosa gastrointestinale Vomito è un riflesso neuromuscolare. Il primo intervento è individuarne le cause e trattare almeno quelle reversibili. Gli antiemetici vanno somministrati con regolarità e non al bisogno e se il vomito ne impedisce l’assunzione, si utilizzano vie di somministrazione alternative. Sintomi nelle cure palliative

• Sintomi maggiori confusone, dolore, dispnea, stipsi e vomito

• Sintomi minori spesso sono sottovalutati e sono: tenesmo, prurito e singhiozzo

• Sintomi di fine vita occlusione intestinale, rantolo terminale e delirium

• Quadri clinici particolari ascite, febbre e infezioni, ipercalcemia

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Cap. 6 IL DOLORE NELLE SUE FORME Nel 1996, la IASP definì il dolore come “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale”. La sofferenza separa chi soffre dal mondo, è soggettiva ed è il modo in cui ognuno di noi vive e recepisce il dolore, sia fisico che psicologico. Dolore:

• Acuto inizio rapido e di breve durata. Es fratture, post-partum e post-chirurgico. L’intensità varia da media a severa e la comparsa è improvvisa.

• Cronico insorgenza lenta e persistente. Si associa a cancro e può persistere anche dopo la risoluzione del problema. Fisiopatologia Il dolore da cancro inizialmente è un segnale di una lesione ed è legato alla malattia neoplastica ed è classificato in:

• Nocicettivo (somatico o viscerale) ✓ Somatico origina da: tessuti superficiali e profondi. Il dolore è riferito, ben localizzato, tagliente e risponde

agli antinfiammatori e gli oppioidi. ✓ Viscerale origina da lesioni primarie o metastatiche dei visceri addominali e pelvici. Spesso è descritto come

crampiforme.

• Neuropatico È causato da modificazioni della risposta neuronale del sistema somato-sensoriale centrale o periferico. È simile ad una pugnalata. La risposta agli oppiacei è variabile.

• Idiopatico – Dolore di origine sconosciuta. Valutazione del dolore Siccome il dolore è soggettivo, possiamo rilevarlo solo come ci viene descritto dal paziente, con l’aiuto di scale di valutazione uni-dimensionali e multi-dimensionali. Uni-dimensionali

• Scala numerica (NRS) si chiede al paziente di valutare il proprio dolore da 0 (assenza di dolore) a 10 (dolore massimo) 1-3 debole / 4-6 medio / 7-10 forte.

• Scala analogica visiva (VAS) – è una linea lunga 10 cm e al pz si chiede di indicare, sulla linea, il punto in cui si colloca il dolore.

• Scala variabile (VRS) – è costituita da aggettivi che rappresentano differenti livelli di dolore. Multi-dimensionali Le più conosciute sono:

McGill Pain Questionari (MPQ) si basa su 78 descrittori del dolore che comprendono 3 dimensioni (sensoriale, affettiva e valutativa) e 20 sottoclassi

Brief Pain Inventory (BPI) che si basa su scale da 0 a 10 e valutano l’intensità e l’interferenza del dolore con le attività psicosociali e fisiche.

Sindromi dolorose neoplastiche Sono dovute: alla progressione locale di un tumore non asportabile chirurgicamente, alla recidiva locale o alla metastatizzazione ad ossa, visceri e SNC e periferico. Le più frequenti sono l’infiltrazione tumorale di: ossa e articolazioni, visceri e dei tessuti molli, compressione dei tessuti nervosi, ecc. Dolore negli anziani con deficit cognitivo Le persone anziane riportano il dolore con meno frequenza ed intensità, per questo motivo sono a rischio di una sottovalutazione del dolore. Gli anziani che non presentano demenza utilizzano correttamente la VAS, la NRS e la VRS, le quali sono inutilizzabili da parte dei pazienti che presentano demenza. In questo tipo di paziente non si modifica la soglia di dolore, ma è aumentata la tolleranza. Barriere ad un corretto trattamento del dolore Queste barriere sono state identificate nel corso degli anni e sono classificate in 3 categorie: Barriere di sistema presentano: bassa priorità nel trattare il cancro / ostacoli normativi e regolatori degli oppiacei per gestire il dolore oncologico / oppiofobia ecc. Barriere legate ai professionisti molti studi evidenziano la tendenza degli operatori sanitari a sottostimare il dolore. C’è carenza di formazione nell’uso degli oppiacei / assenza di conoscenza delle linee guide / falsi miti della morfina / inesperienza sulla gestione del dolore ecc. Barriere correlate ai pazienti e alle loro famiglie C’è riluttanza a riferire dolore, perché c’è la paura che gli operatori sanitari distolgano l’attenzione dalla malattia neoplastica, riluttanza ad assumere farmaci, in particolare gli oppioidi e si pensa che riferendo un dolore più elevato, questo corrisponda ad una progressione della patologia oncologica, quindi il paziente cerca di rimuovere questo pensiero.

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Cap. 7 TRATTAMENTO DEL DOLORE Analgesici NON oppiacei Gli antiinfiammatori non steroidei (FANS), sono farmaci analgesici per il dolore lieve (da 1 a 3 nella scala numerica). La loro attività è antinfiammatoria, analgesica ed antipiretica. Agiscono inibendo la ciclossigenasi (enzimi COX) che trasforma l’acido arachidonico in prostaglandine. L’enzima COX si distingue in:

• COX 1 presente nella maggior parte dei tessuti e regola la sintesi delle prostaglandine in condizioni fisiologiche.

• COX 2 sopprime il dolore e l’infiammazione, ma produce una serie di effetti dannosi come una ridotta protezione della mucosa gastrica.

Effetti collaterali I più comuni sono disturbi a carico dell’apparato digerente (ulcere gastriche). A livello renale blocca la sintesi delle PGE2 (vasodilatatori renali), il rene riceve un’insufficiente irrorazione sanguigna che, nel tempo, può portare ad insufficienza renale. A livello epatico c’è un aumento delle transaminasi. Indicazioni La somministrazione OS è indicata per trattare patologie reumatiche sia acute che croniche, stati infiammatori, cefalee, dolori mestruali ecc. In caso di affezioni dolorose muscolo scheletriche acute, moderate o severe, è prevista la somministrazione parenterale a breve termine. Paracetamolo È uno dei farmaci di prima scelta per la terapia del dolore, soprattutto cronico. Anch’esso inibisce la produzione di PG agendo a livello del sistema dolorifico centrale. Per OS raggiunge la sua concentrazione massima dopo 30-60min., presenta un’emivita di 2 ore e non provoca irritazione gastrica. Oppiacei Per la somministrazione la via preferita è quella OS, anno somministrati ad orari fissi e non al bisogno e i dosaggi vanno personalizzati. Gli effetti biologici dipendono dall’interazione con i recettori µ (mi), δ (delta) e κ (cappa). In base all’interazione recettoriale, si distinguono in agonisti puri o parziali ed agonisti-antagonisti. Riducono la trasmissione degli impulsi nocicettivi perché agiscono a livello sopra-spinale, spinale e periferico. Gli antagonisti come il NALOXONE, hanno un uso riservato al trattamento degli effetti di sovradosaggio. Gli agonisti puri, inducono effetti simili alla morfina, mentre quelli parziali evidenziano un’attività intrinseca sul recettore µ, minore rispetto alla morfina. Oppiacei deboli

• Codeina usata per il dolore lieve-moderato. La sua potenza è 1/10 rispetto alla morfina e si esaurisce oltre i 120-240mg. Ha un effetto maggiore se associata al paracetamolo. Il paracetamolo agisce sui meccanismi biochimici centrali e periferici del dolore, la codeina agisce come agonista dei recettori µ. Tramadolo è un agonista dei recettori µ e inibisce la ricaptazione della serotonina e della noradrenalina e l’emivita è di circa 6 ore. L’eliminazione è soprattutto a carico dei reni e nei pazienti con insufficienza renale bisogna aumentare l’intervallo tra una dose e l’altra.

Oppiacei forti Morfina è di prima scelta nel trattamento del dolore moderato-severo. È presente in 2 forme:

Ad azione pronta da somministrare ogni 4 ore. È indicata per controllare le esacerbazioni acute del dolore. A lento rilascio da somministrare ogni 8-12 ore. È indicata nella fase di mantenimento. La soluzione orale (1 ml)

contiene 20mg di morfina solfato, mentre lo sciroppo (1ml) contiene 2mg di morfina solfato. Viene assorbita nell’arco di 20-90 min. Può causare: nausea, vomito e depressione respiratoria inoltre è importante un’adeguata idratazione del paziente, in modo da eliminare i metaboliti attivi, quindi evitare effetti indesiderati, soprattutto a carico del SNC.

Se somministrata in singole dosi, non possiede una spiccata azione analgesica a causa della sua scarsa biodisponibilità. Le interazioni con i farmaci adiuvanti ne potenziano l’effetto analgesico e le dosi efficaci variano da paziente a paziente. Inoltre non possiede un effetto tetto per questo non c’è una dose standard né un limite, ma solo una dose individuale. Le interazioni tra morfina e farmaci adiuvanti come ad esempio alcuni antidepressivi triciclici, ne potenziano l’effetto analgesico, le benzodiazepine, sia da sole che associate alla morfina producono alterazioni dello stato cognitivo e la ranitidina, nei pazienti con insufficienza renale, ne provoca l’aumento. Può essere somministrata per via OS, rettale, sottocutanea, epidurale ed intratecale. Per la via sottocutanea, spesso si utilizzano le pompe-siringa e la dose deve avere un rapporto di 1:2 o 1:3 della dose orale. Quando questa via non è praticabile si utilizza la via EV, raramente è somministrata per via intramuscolare perché è più dolorosa rispetto a quella sottocutanea.

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Ossicodone Se somministrato er OS presenta proprietà simili alla morfina, strutturalmente è simile alla codeina, ma ha una potenza 10 volte maggiore. Il 10% viene eliminato dalle urine, il resto subisce vari processi metabolici. Il picco di massima concentrazione plasmatica si raggiunge in 25 min, se somministrato per via EV differisce dalla morfina perché ha una biodisponibilità più elevata di circa il 60%. Deve essere utilizzato con cautela nei pazienti che assumono farmaci che deprimono il SNC. La concentrazione plasmatica aumenta se il paziente presenta insufficienza renale o alterazioni epatiche. Idromorfone È un agonista oppiaceo, disponibile per OS sotto forma di mono-somministrazione. È assorbito dal tratto superiore dell’intestino e metabolizzato a livello epatico. L’azione analgesica inizia dopo 30 min e dura circa 4 ore. In caso di insufficienza renale può portare a tossicità, mentre in caso di malattia epatica, la sua biodisponibilità è variabile e questo è importante in caso di insufficienza cardiaca, cirrosi e shock. Può essere somministrato per via OS, rettale, sottocutanea, EV e spinale. Metadone È il solo oppiaceo a lunga durata d’azione e può essere somministrato sotto forma di sciroppo, compresse, via rettale, EV, intramuscolare e sottocutanea. Non si accumula nel caso di insufficienza renale e la maggior parte è escreta dall’intestino. Fentanyl È 75-100 volte più potente della morfina, viene metabolizzato dal fegato e i suoi metaboliti non sono tossici. Può essere somministrato per via transdermica, EV, OS, sottocutaneo, epidurale e intratecale. Nella via transdermica, il filtro epatico viene saltato e i livelli ematici sono abbastanza costanti. È possibile l’interazione con altri farmaci come: antibiotici, ansiolitici ecc. e il succo di pompelmo che può portare ad un aumento delle sue concentrazioni plasmatiche. Se viene inalato, salta il primo passaggio epatico e viene immesso immediatamente nella circolazione sistemica, portando sollievo dopo 7-10 min. Buprenorfina Possiede proprietà agoniste ed antagoniste. Gli effetti centrali sono simili alla morfina, ma può aggravare sintomi di astinenza. Per via transdermica, la sua concentrazione plasmatica aumenta gradualmente e i livelli minimi efficaci si raggiungono in 12-24h, il suo picco massimo è raggiunto in 57-59h, È sicura nei pazienti con insufficienza renale e nei pazienti dializzati, mentre quelli con insufficienza epatica devo essere monitorizzati. Tapentadolo È ad azione centrale, le concentrazioni massime si hanno in 3-6 ore dalla somministrazione di compresse a rilascio prolungato. L’escrezione avviene al 99% per via renale e presenta un’emivita di circa 4 ore. È efficace in caso di dolore nocicettivo, viscerale, infiammatorio e neuropatico. Ricerca della giusta dose giornaliera La quantità giornaliera dipende dal tipo di dolore e dalla risposta del paziente. Occorre distinguere il paziente che ha già fatto uso di oppiacei dal paziente che non ne ha mai fatto uso. Il metodo raccomandato dall’ EACP, è quello di utilizzare un oppiaceo che ha un rapido effetto. In caso di dolore moderato, si inizia con una dose saggio e se ne valuta l’efficacia nei giorni successivi, aumentando del 30-50% la dose precedente. In caso di dolore forte, si utilizza la morfina e l’ossicodone in soluzione pronta. Si inizia con 5g di morfina ogni 4 ore e c’è bisogno di alcuni giorni per conoscere la dosa giornaliera in grado di controllare il dolore. A domicilio il caregiver non è in grado di gestire la terapia ogni 4 ore, quindi si può somministrare un farmaco a lento rilascio ogni 12 ore e si spiega al paziente che in caso di dolore, può utilizzare la morfina o l’ossicodone a pronto rilascio (5mg). Dopo 2-3 giorni la somma delle dosi degli oppiacei, assunte giornalmente dal paziente, costituiscono la nuova dose giornaliera. Invece i pazienti che già stanno assumendo un oppiaceo, necessitano di una dose di partenza diversa rispetto ai pazienti che assumono gli oppiacei per la prima volta. Dose di salvataggio Nel caso di forte dolore il paziente dovrebbe avere a disposizione una dose aggiuntiva di farmaco detta dose di salvataggio che dipende dal tipo di oppiaceo. Ad esempio per quanto riguarda la morfina, la dose corrisponde ad 1/5 - 1/6 della dose giornaliera. Ricerca della via efficace di somministrazione La scelta della via di somministrazione è condizionata dalle preferenze del paziente e dalle sue condizioni cliniche. Altri elementi di condizionamento sono: la disfagia parziale o assoluta o edemi periferici. Come ridurre gli effetti collaterali Gli effetti collaterali migliorano con: la riduzione della dose, adeguata idratazione, cambio della via di somministrazione, rotazione degli oppiacei (cambio di un oppiaceo con un altro).

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Trattamento degli effetti collaterali Costipazione aumentare la dose dei lassativi e modificare la dieta per aumentare la peristalsi intestinale Nausea e vomito sono effetti che devono essere trattati tempestivamente. Si possono utilizzare farmaci come

metoclopramide e aloperidolo Sedazione l’incidenza varia dal 20-60% Prurito in questo caso si suggerisce la rotazione dell’oppiaceo Sonnolenza di solito si riduce in pochi giorni dall’inizio della terapia. L’intensità della sedazione può essere ridotta

cambiando farmaco o via di somministrazione. Rotazione degli oppiacei Si ricorre a questa rotazione in seguito a: effetti collaterali non trattabili / analgesia inadeguata, nonostante l’incremento del dosaggio / tolleranza al farmaco. Inoltre deve essere considerata l’equi-analgesia tra i diversi oppiacei, in questo caso si utilizzano delle apposite tabelle per evitare errori di sotto o sovradosaggio. Farmaci adiuvanti Sono farmaci che migliorano l’analgesia dei farmaci oppiacei e non oppiacei, pur non essendo antidolorifici. Vengono prescritti insieme agli oppiacei perché: presentano attività analgesica intrinseca e consentono la riduzione della dose degli oppiacei.

• Steroidi sono utilizzati come adiuvanti in caso di metastasi ossee, infiltrazione e compressione delle strutture nervose, ipertensione endocranica ecc.

• Antidepressivi sono molteplici i meccanismi d’azione che svolgono un’azione analgesica.

• Anticonvulsivanti sono farmaci che: ✓ Agiscono in seguito a modifiche della fibra nervosa periferica come i triciclici e gli anestetici locali (lidocaina). ✓ Agiscono in seguito alla sensibilizzazione dei neuroni spinali ✓ Agiscono in presenza di flogosi delle vie nervose come i corticosteroidi.

Gestione del BTP (Breakthrough pain Dolore intenso) È apparso nella letteratura circa 18 anni fa ed è definito come “un’esacerbazione transitoria del dolore, di intensità moderata-severa”. La sua prevalenza è variabile (30-90%) ed è condizionata dalle fasi della malattia, dai diversi setting e dal trattamento del dolore di base. Esistono diverse forme di BTP, la più comune è il dolore incidente, dovuto al movimento e causato da metastasi ossee. La maggior parte hanno in comune: rapidità d’insorgenza (pochi min), breve durata (30-60 min) ed intensità (moderata-severa). La Valutazione del BTP Prevede l’analisi di: eziologia, durata, intensità e meccanismi fisiopatologici. Trattamento Prima di identificare la presenza di BTP, è fondamentale IL TRATTAMENTO. La radioterapia generalmente è il trattamento di scelta per metastasi ossee che producono dolore nei movimenti. Nel caso di dolore spontaneo o non volontario, il farmaco va prescritto all’inizio dell’episodio, nel caso di un dolore prevedibile o procedurale, il farmaco va somministrato prima che si verifichi l’evento. Dolore da metastasi ossee Questo tipo di dolore è difficile da controllare, rappresenta circa la metà dei casi di dolore neoplastico e il rachide è la sede più colpita. Il quadro clinico è complesso, visto le frequenti complicanze legate alle localizzazioni scheletriche del tumore. Il dolore osseo è causato più frequentemente da metastasi da carcinoma alla mammella, al rene, alla prostata, polmone o da localizzazioni di mieloma multiplo.

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Cap 8 PROBLEMI DI NATURA ASSISTENZIALE NELLE CURE PALLIATIVE Funzionamento del cavo orale Nei pazienti in fase avanzata di malattia, spesso sono presenti problemi al cavo orale come: alterazione del flusso salivare, stomatite, mucosite ecc. Queste alterazioni sono provocate da fattori locali (Es. protesi dentarie) e sistemici (Es diabete). Per effettuare valutazione e pianificazione degli interventi, le scale più usate sono quella della NCI (National Cancer Istitut) e dell’OMS, entrambe presentano 5 gradi. NCI: 0 = stomatite / 1 =ulcere non dolenti / 2 = eritema doloroso, con possibilità di mangiare / 3 = eritema doloroso, impedisce di mangiare / 4 = supporto enterale o parenterale OMS: 0 = assenza di sintomi / 1 = dolore senza ulcere / 2 = dolore con ulcere / 3 = assunzione solo liquidi / 4 = supporto enterale o parenterale L’infermiere durante l’accertamento dovrà rilevare: disfagia, piaghe nella cavità buccale, sanguinamento ecc. e porre attenzione ad odori e respiro, screpolature, ferite ecc. Pianificazione dell’assistenza Accertate le alterazioni della mucosa, si devono pianificare gli interventi di: prevenzione, educazione, alimentazione corretta, idratazione e monitoraggio delle mucose. Per rimuovere detriti dai denti, effettuare degli sciacqui con perossido di idrogeno o sodio bicarbonato. Evitare cibi piccanti o acidi e privilegiare cibi soffici e poco salati. Di solito è necessario il trattamento con analgesici (oppiacei deboli o forti). Ai pazienti portatori di protesi dentarie (o al caregiver), deve essere spiegato che le protesi vanno trattate con la massima cura igienica. Nutrizione L’iporessia (diminuzione della fame) e la difficoltà a nutrirsi, fino ad arrivare alla cachessia, causano sofferenza nel paziente e nei familiari. La cachessia, spesso si presenta nella fase avanzata della malattia ed è contraddistinta da: astenia, perdita di peso, riduzione della massa muscolare ecc. La sindrome anoressia-cachessia, non è riscontrabile solo nel paziente oncologico, ma anche in tutte le fasi terminali delle patologie croniche. Il tumore della faringe, esofago e stomaco, interferiscono con l’introduzione dei cibi e facilitano la malnutrizione. L’anoressia, il malassorbimento e una compromissione metabolica, sono i principali fattori che favoriscono la comparsa della cachessia. L’anoressia spesso è favorita dall’insorgenza di ansia, depressione, e sofferenza e può essere determinata anche da: nausea, vomito, dolore e mucositi orali. Pianificazione dell’assistenza L’infermiere, spiega le motivazioni ai pazienti e ai loro familiari e fissa degli obiettivi minimi. Si possono effettuare misure semplici come:

• il trattamento delle infezioni e delle lesioni orali / utilizzare prodotti che neutralizzano l’alitosi / reidratazione orale Nel paziente anoressico, è importante prendere in considerazione un’alimentazione non convenzionale. Un elemento importante è l’adesione del paziente al programma terapeutico ed il coinvolgimento dei suoi familiari. Se la nutrizione è impedita da fattori meccanici o funzionali, si ricorre all’alimentazione enterale (sonda naso-gastrica o gastrostomia) o parenterale (endovenosa). Idratazione La disidratazione severa può essere dovuta da: diarrea, vomito, febbre o eccessiva sudorazione. L’assenza della fame e della sete, non sempre è legata alla patologia e può essere trattata e corretta anche nel paziente terminale. Nella maggior parte dei casi i pazienti a fine vita presentano secchezza delle fauci che quasi mai può essere corretta con l’idratazione parenterale, quindi si può prospettare un processo decisionale in 3 fasi: Valutazione al bisogno / individuazione delle scelte terapeutiche / conseguente attuazione. Pianificazione dell’assistenza La sete o la sensazione di bocca asciutta può essere dovuta dai farmaci, quindi è improbabile che l’idratazione artificiale allevi questi sintomi. Un trattamento adeguato è: una buona igiene del cavo orale ed una revisione del trattamento farmacologico. I sondini nasogastrici sono molto fastidiosi e hanno un impatto sia sul paziente che sui familiari, quindi devono essere riservati a casi selezionati, ed utilizzati ma per 2 settimane. Per quanto riguarda la somministrazione per via parenterale, la presenza della cannula, può limitare la mobilità del paziente e creare altri problemi, quindi sarebbe meglio un accesso venoso tipo port-a-cath, questa è un utile via di somministrazione per farmaci e liquidi. Un’altra via di somministrazione è quella ipodermica (infusione sottocutanea) che permette di somministrare i liquidi in modo semplice e poco traumatico e in ambiente domiciliare, questa è la via da preferire, perché è priva di complicanze.

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Eliminazione I pazienti con età superiore a 65 anni, nel 30% dei casi presentano incontinenza fecale. Le emissioni involontarie di feci possono essere correlate alla:

• compromissione dello sfintere: può essere secondaria a malattie del colon, del retto o dell’ano

• compromissione delle funzioni cognitive: può essere secondaria a stipsi cronica e al mancato controllo dello sfintere dovuta ad esempio da ictus.

Le cause più comuni di incontinenza fecale sono: effetti dei farmaci, demenza, dieta povera di fibre, immobilità e scarsa idratazione. Per una corretta valutazione dell’incontinenza fecale, è importante precisare: frequenza, entità e conseguenza delle fughe, quindi classificare l’incontinenza per gravità. Si deve far attenzione all’alimentazione, quindi bisogna segnalare la presenza di altri sintomi a livello ano-rettale e va considerato anche l’aspetto psicologico. Per quanto riguarda l’incontinenza urinaria, nel 27% dei casi, questa è associata a demenza e inc. fecale. Le cause + comuni sono:

• delirium / farmaci / infezione vie urinarie / fattori psicologici ecc. Pianificazione dell’assistenza L’infermiere sviluppa un programma di rieducazione o di ricondizionamento vescicale che comprende:

• comunicazione, accertamento del modello minzionale, orario per assunzione dei liquidi e per le minzioni. Per prima cosa si accertano le funzionalità cognitive e poi quelle di cooperazione. I programmi di rieducazione alla continenza possono essere diretti o autodiretti (riguardano i pazienti con funzioni cognitive integre). I programmi etero-diretti di minzione ad orario programmato o di addestramento ad acquisire abitudine adeguate, sono indicati per i caregiver. In alcuni casi di incontinenza urinaria nell’uomo, si può utilizzare l’urocondom che evita l’utilizzo di pannoloni e quindi c’è un minor rischio di lesioni cutanee. Per quanto riguarda il catetere vescicale, questo deve essere utilizzato nei casi in cui non può essere utilizzato l‘urocondom. Riposo e sonno Nei pazienti terminali, uno dei disturbi più comuni è l’insonnia. Questa è una sensazione soggettiva di sonno insufficiente e può indurre a disturbi diurni come: sonnolenza, ansia, deficit di concentrazione e di memoria. Le cause principali del disturbo del sonno sono: stress psicosociali, disturbi psichici, apnee notturne ecc. Per trattare questi disturbi si può ricorrere: all’educazione ed igiene del sonno, ad intervento psicologico e terapia psico-farmacologica. Pianificazione dell’assistenza Alcuni studi hanno evidenziato l’efficacia dei trattamenti psicologici non farmacologici per curare l’insonnia. Oggi è trattata con benzodiazepine ipnotiche o ansiolitiche, antidepressivi e neurolettici. Nella fase terminale, in alcuni pazienti, può insorgere la paura di dormire, il paziente teme che possa sopraggiungere la morte e questa condizione determina uno stato di veglia autoimposta. Un altro fattore che determina il disturbo del sonno, è un ambiente non idoneo. Le attività di vita quotidiana Qualsiasi fattore che: compromette il trasporto di ossigeno, provoca un condizionamento fisico o che causa una eccessiva richiesta energetica, può determinare un’intolleranza all’attività fisica. L’obiettivo è quello di aumentarla, sottoponendo il paziente a trattamenti che aumentano la forza e la resistenza, mentre nel caso di fatigue, è consigliabile il riposo e l’obiettivo è aiutare il paziente ad adattarsi a questa condizione e non di aumentare la resistenza. La diagnosi di intolleranza all’attività fisica, richiede un coinvolgimento multidisciplinare, perché un peggioramento o un miglioramento di tale intolleranza, può avere ricadute sull’intero percorso clinico-assistenziale. La valutazione infermieristica deve essere finalizzata a rilevare la resistenza del paziente nello svolgere le attività necessarie, per soddisfare i bisogni primari quotidiani. Nel paziente terminale, le condizioni fisiopatologiche, correlate ad una compromissione sistemica, generano fatigue ed intolleranza all’attività fisica. Pianificazione dell’assistenza L’accertamento deve essere mirato ad individuare i fattori che indeboliscono la fiducia della persona come paura di cadere o demotivazione. Gli interventi attuati devono promuovere la partecipazione all’attività fisica, in modo che il paziente raggiunga il miglior livello del regime terapeutico. I familiari e soprattutto il caregiver, hanno un ruolo rilevante, per cui ogni fase del processo di assistenza infermieristica, deve includere il loro coinvolgimento. Integrità cutanea Le lesioni cutanee si riscontrano frequentemente nei pazienti in fase terminale. Sono comuni soprattutto nei pazienti affetti da cronicità, associate ad immobilità e malnutrizione.

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Lesioni da pressione Quelle da pressione, neoplastiche e vascolari, sono le più comuni. La scelta degli interventi deve essere coerente con gli obiettivi assistenziali per la gestione di: dolore / odore / essudato / infezione / necrosi / sanguinamento. Le ferite croniche non guariscono in breve tempo, questo determina nel paziente ripercussioni sia sul piano emotivo che su quello dell’adattamento e della percezione di sé. L’obiettivo, non è la guarigione di queste lesioni, ma la prevenzione. Il primo passo è identificare i soggetti a rischio e le scale di valutazione, come quella di Braden o la Norton permettono un’attenta valutazione.

• La Braden presenta 6 indicatori: percezione sensoriale / umidità cutanea / attività fisica / mobilità / nutrizione / frizione sfregamento cutaneo. Un punteggio uguale o inferiore a 16 indica il rischio di sviluppare una lesione da pressione. La prevenzione deve essere pianificata tramite interventi di: alimentazione, igiene e cura della cute e mobilizzazione.

Pianificazione dell’assistenza La pulizia della cute deve essere fatta con acqua tiepida e detergenti che rispettino il pH della cute, quella intima deve essere effettuata ogni volta che il paziente urina o defeca. Bisogna ridurre le forze di attrito e mobilizzare il paziente ogni 2 ore alternando la posizione supina a quella obliqua (30°) ed utilizzare materassi antidecubito. L’alimentazione deve garantire il giusto apporto di calorie, vitamine, sali minerali, proteine ecc. Il trattamento delle lesioni deve prevenire la colonizzazione batterica locale e della sepsi. Per la medicazione deve essere utilizzato un antisettico a lento rilascio, evitando il dolore da medicazione. Lesioni vascolari Riguardano il 3-5% dei pazienti con più di 65 anni. Presentano un’implicazione di carattere: fisico, psicologico e sociale e sono a carico sia del paziente che della famiglia. Pianificazione dell’assistenza L’effetto terapeutico non si limita solo all’ulcera, alla rimozione dell’essudato ecc., ma si riflette anche sul benessere del paziente e la presenza di bendaggi compressivi limita il paziente nel fare la doccia o il bagno. Se queste forme igieniche non possono essere praticate è consigliata la detersione con soluzione fisiologica. Lesioni neoplastiche L’impatto di queste lesioni coinvolge la sfera fisica, psicologica e sociale. La gestione di queste lesioni comprende:

• il trattamento della patologia di base, la gestione locale della lesione, il controllo dei sintomi, il supporto psicologico per il paziente e la famiglia.

Queste ulcere, in genere, sono considerate non guaribili e peggiorano nel tempo. Pianificazione dell’assistenza L’approccio è palliativo e mira al controllo dei sintomi, al confort e il miglioramento o mantenimento della qualità della vita. La detersione dell’ulcera è necessaria e deve essere effettuata tramite irrigazione con soluzione fisiologica a bassa pressione ed evitando lo sfregamento. Se le condizioni del paziente lo consentono, lavare la lesione sotto la doccia per rimuovere l’essudato in eccesso. Non usare soluzioni antisettiche per pulire l’ulcera, questa deve essere usata solo in caso in cui c’è un aumento della carica batterica. La toilette chirurgica deve essere valutata attentamente, perché in alcuni casi è utile per rimuovere l’escara che è fonte di cattivo odore, però in molti casi può portare a sanguinamenti cospicui. Prodotti come gli idrogel promuovono lo sbrigliamento autolitico, però aumentano la produzione dell’essudato. Un’alternativa è il debri-dement enzimatico che non influisce sulla produzione dell’essudato. Le infezioni I fattori predisponenti sono:

• la caduta delle difese immunitarie, alterazione delle barriere anatomiche dovuta ai trattamenti radio e chemio-terapici, gravi lesioni da decubito ecc.

Pianificazione dell’assistenza Nella gestione del rischio infettivo, l’infermiere deve attuare una corretta prevenzione tramite:

• il riconoscimento di segni e sintomi di sepsi, valutando la compromissione respiratoria o emodinamica e collaborando con i componenti dell’equipe.

Nell’assistenza domiciliare bisogna istruire il caregiver nel riconoscere i principali sintomi di infezione come: febbre o brividi. Le competenze infermieristiche nell’assistenza ai pazienti terminali sono: adesione alle linee guida per ridurre il rischio, monitoraggio emodinamico, valutazione di segni e sintomi Il paziente in fase avanzata in cure palliative, spesso è polisintomatico e politrattato, quindi si deve porre attenzione alla scelta di una terapia efficacie e il meno invasiva possibile Cura di sé Il deficit di autocura, può essere valutato in termini biofisici. I fattori che influenzano la cura di sé sono:

• funzionalità neuromuscolare, energia, cognizione, integrità sensoriale, cultura e valori, ambiente sano ecc. Questo deficit è un insieme di comportamenti che provengono da una situazione familiare, abitativa e socio-economica carente. La cura di sé comprende le attività quotidiane necessarie per soddisfare dei bisogni chiamati ADL.

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Queste attività sono influenzate dall’ambiente culturale e dagli insegnamenti di persone significative per il paziente. Una delle scale di valutazione della cura di sé e il BARTHEL INDEX.

• Permette di valutare le reali capacità della persona, nello svolgimento delle ADL

• È efficace per la descrizione, la valutazione e il monitoraggio delle abilità che analizza

• Prevede un punteggio tra 0 (totale dipendenza) e 100 (autosufficienza). Il deficit di autocura è presente, con severità variabile, in tutti i pazienti in fase avanzata della malattia In assistenza domiciliare, la diagnosi della cura di sé, deve prevedere una pianificazione assistenziale che includa l’istruzione del caregiver. Prima degli interventi devono essere fissati gli obiettivi insieme al paziente (quando è possibile), al caregiver e all’operatore socio-sanitario. Gli obiettivi devono essere di breve durata e mirare al benessere. Reazioni ai trattamenti Nel 65% dei pazienti terminali, la non conformità della terapia, rappresenta una delle diagnosi infermieristiche sempre presenti nel processo assistenziale. La non conformità della terapia è la mancata aderenza, da parte del paziente, alle raccomandazioni dell’equipe, che riguardano i trattamenti prescritti. La valutazione della conformità alla terapia deve essere estesa anche al caregiver, perché anch’esso è oggetto di cure. I fattori che possono portare alla non conformità della terapia posso essere:

• legati alla persona, variabili ambientali, alla qualità e alla quantità di informazioni riguardanti la malattia ecc. Il problema di non conformità è molto diffuso tra i pazienti: sottoposti a politerapia, affetti da malattie croniche e nei soggetti anziani. Spesso il percorso di cure dura molti anni e quando l’equipe prende in cura il paziente, eredita problemi generati da:

• informazioni parziali o contradittorie, che il paziente ha ricevuto e questo porta alla divergenza di obiettivi tra equipe e la famiglia del paziente. L’equipe, finalizza ogni trattamento per migliorare la qualità di vita del paziente, la famiglia ha aspettative di intervento sulla sopravvivenza.

Per l’equipe, la mancata adesione alle terapie, causate dalle aspettative non realistiche della famiglia, resta la problematica più difficile di approccio. Pianificazione dell’assistenza È utile un diario del dolore, con alcuni suggerimenti da seguire, questo consente al paziente e al caregiver di rispettare la terapia antidolorifica. Occorre sospendere i farmaci non appropriati e mantenere solo quelli che veramente sono utili al paziente, inoltre è importante considerare la via e l’orario di somministrazione per creare il minor disagio possibile. Un buon metodo di non conformità ai trattamenti è quello di spiegare l’attuale quadro clinico e il probabile decorso, in modo che il verificarsi di un nuovo evento, possa divenire atteso. Inoltre il coinvolgimento del paziente, se è lucido e del caregiver, è anche determinato nel prevenire la “sindrome dell’abbandono terapeutico”, come nel caso delle procedure diagnostiche, soprattutto invasive, che vanno limitate, se non c’è una reale necessità e creano un inutile sofferenza al paziente. Cap 13 LA FAMIGLIA DEL PAZIENTE: NECESSITA’, SUPPORTO E FUNZIONE È importante considerare la famiglia come: Entità super-individuale / Sistema di relazioni / Nucleo socio-culturale Entità super-individuale La famiglia è in continua evoluzione e può essere conosciuta tenendo conto:

• del suo percorso evolutivo, della sua storia e delle sue mete e presenta un’identità simile a quella individuale. La famiglia tende alla stabilità fondata sulla condivisione di valori, aspettative, problemi ecc., ma anche in seguito a comportamenti che definiscono i ruoli dei vari membri. La famiglia giunge alla reciprocità, solidarietà ed integrazione attraverso varie fasi evolutive e la morte ne mette in crisi l’identità e la stabilità, quindi si attivano difese e comportamenti, simili a quelli della persona morente ed emergono comportamenti di: protesta, angoscia e rabbia. Il compito dell’equipe delle cure palliative, è quello di coinvolgere maggiormente i familiari, in modo che il carico assistenziale e di responsabilità venga distribuito su + persone, in modo da non creare un sovraccarico fisico ed emozionale ad un unico familiare. Può accadere che la famiglia eviti l’angoscia attraverso il fare, quindi si tende a tenersi a distanza di sicurezza attraverso:

• la richiesta di ricoveri, rivolgendosi a più centri o scelte di percorsi non convenzionali. Il rischio è creare uno squilibrio nelle difese della famiglia.

• È importante individuare il soggetto che è in grado di collaborare in modo proficuo con l’equipe per evitare reazioni di rifiuto e chiusura definitiva.

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Un’altra reazione è la rabbia che si ha per:

• le occasioni perse, non aver fatto abbastanza ecc. e la rabbia può trasformarsi in iper-coinvolgimento.

• Spesso gli operatori sanitari sono investiti di aspettative, con inevitabili atteggiamenti aggressivi ad ogni frustrazione delle attese

• La rabbia può sfociare in depressione, però nelle famiglie che hanno delle relazioni solide, questo può migliorare la qualità della vita del paziente terminale

• L’equipe deve tendere alla circolarità delle comunicazioni. La famiglia può essere funzionale, disfunzionale e invischiata.

• Funzionale gestisce stress, conflitti e problemi con efficacia e continua ad adempire le sue funzioni

• Disfunzionale non è in grado di provvedere alla crescita dei suoi componenti. I membri, interagendo tra loro, generano un ambiente di conflitto e scontro.

• Famiglie invischiate la famiglia sembra chiusa in sé stessa e c’è un basso livello di differenziazione individuale e di autonomia.

Sistema di relazioni All’interno della famiglia è importante la caratterizzazione dei ruoli dei vari membri. Nell’assistenza, tramite l’ascolto attivo è importante individuare chi ricopre i vari ruoli e come questi evolvono difronte alla morte. Il leader è il punto di riferimento, il dipendente, soprattutto psicologicamente, inconsciamente chiede agli altri di fargli da genitori. La malattia può scombinare i ruoli e possono emergere nuovi leader. L’operatore rischia di vedersi assegnare ruoli affettivi all’interno della famiglia. L’infermiere diviene così il fratello buono, quando risponde positivamente alle attese o fratello cattivo, quando le aspettative sono frustrate. Il medico ha il ruolo di genitore, contiene ed accoglie paure e dà sollievo a dolori e sentimenti. L’equipe è lo strumento per esaminare questi vissuti, che se lasciati liberi, possono portare ad un sovraccarico emozionale e quindi al burn-out dell’operatore. Gli operatori di cure palliative instaurano rapporti molto intimi con pazienti e i loro familiari, ma bisogna saper fare un passo indietro ed attivare meccanismi efficaci perché il paziente riservi le relazioni più significative ai suoi familiari. Nucleo socio-culturale Nella cultura occidentale si riscontrano 2 elementi che caratterizzano le relazioni, nei comportamenti e nelle espressioni legate alla morte: rimozione ed imbarazzo.

• Rimozione Ancora oggi le famiglie affrontano la morte con molta solitudine. L’equipe si inserisce in questo vuoto recuperando la dimensione sociale della morte e far riscoprire relazioni e reti di supporto inaspettate.

• Imbarazzo È una sorta di pudore, che non fa trovare parole o gesti di conforto da rivolgere al morente o ai suoi familiari. Questo porta ad un isolamento della famiglia nel periodo di assenza. L’equipe si inserisce in questa dinamica portando avanti l’assistenza con competenza e solidarietà emotiva. L’isolamento della famiglia può essere superato se l’equipe fa breccia, dimostrando:

✓ Partecipazione, assenza di pregiudizievoli stereotipi e avendo una curiosità costruttiva. Gli obiettivi che equipe, famiglia e gruppo sociale devono avere in comune, come elementi di unificazione e di integrazione sono:

✓ la migliore qualità della vita, fino alla morte e la salvaguardia della dignità del morente Cap 14 IL TEMPO DEL LUTTO Il tempo del lutto non coincide con il post-mortem e gli operatori hanno un ruolo determinante per i familiari. Prima che avvenga la morte, paziente e familiari si confrontano con la perdita, la morte e con la percezione di un cambiamento radicale e complesso. Il sistema famiglia determina come il lutto viene affrontato, cioè in modo funzionale o disfunzionale. Alcune famiglie vivono il lutto in modo intuitivo, cioè più marcato, altre lo esprimono in modo più strumentale, cioè somatizzato. Pereira sintetizza 4 tappe del lutto familiare e i compiti da svolgere:

1. accettazione della perdita, favorendo l’espressione della tristezza, in ogni membro della famiglia 2. raggruppamento e chiusura della famiglia per permettere la sua riorganizzazione 3. riorganizzare la relazione con il mondo esterno 4. riaffermare l’appartenenza al nuovo sistema familiare

Il tempo del lutto è soggettivo e risente, oltre che della storia personale e familiare, anche del contesto socio-culturale. Il lutto assolve 2 funzioni: soggettiva e collettiva. Entrambe dovrebbero facilitare i linguaggi emotivi, simbolici e rituali, con cui chi resta può manifestare il suo dolore.

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Attaccamenti e separazioni Bowlby parte dalla sua teoria dell’attaccamento per descrivere l’elaborazione del lutto che si articola in 4 fasi:

1. Di stordimento/shock può durare ore o anche una settimana 2. Ricerca e struggimento può durare mesi o anni. Il soggetto reagisce con angoscia e disperazione e appare la collera,

rivolta a chi è considerato responsabile dell’evento come: familiari, caregiver ed amici 3. Disorganizzazione e disperazione sono conseguenti al proprio modo di sentire, pensare ed agire, dovuta all’assenza

definitiva dell’altro. La confusione e lo smarrimento preludono alla normale elaborazione della perdita. Un’accettazione graduale permette di passare all’ultima fase.

4. Riorganizzazione può durare uno o più anni. Queste fasi non sono nette, ma sono sfumate tra loro. S’intrecciano e si sovrappongono continuamente Lutto È una reazione naturale e soggettiva, dovuta a qualsiasi cambiamento o perdita significativa. È un processo normale, segno di buon funzionamento mentale. Può essere:

• Anticipatorio insieme di manifestazioni comportamentali, emotive e psicologiche che consentono la preparazione e l’elaborazione di un evento atteso

• Complicato assenza/ritardo di insorgenza del lutto. Oppure è in lutto molto intenso e prolungato che può interferire con il funzionamento psicologico e sociale

• Elaborazione del lutto processo cognitivo ed emotivo. Conduce ad una consapevole accettazione della perdita Raffigurazioni del lutto È possibile raffigurare il processo del lutto con 3 immagini:

• Sciogliersi della mano nella mano dopo la perdita, viene meno la mano che tenevamo stretta. Questa mano è quella ✓ dell’adulto che ci aveva fatto sentire forti e ci aveva permesso di superare le difficoltà ✓ della propria compagna con cui abbiamo condiviso la vita adulta ✓ del bambino che ci ha riportato al senso di affidamento spontaneo ed ingenuo. La reazione è lo sbandamento.

• Mondo spezzato sensazione che si prova al momento della perdita e ci si rende conto che il mondo va avanti anche senza il nostro caro, ignaro della sofferenza

• Immagine di sé spezzata si ha la sensazione che niente dentro di te possa funzionare come prima.

Cap 15 ACCOMPAGNAMENTO ALLA FINE DELLA VITA Accompagnare: slancio a voler comprendere tutto il contesto. Le cure palliative affermano il valore della vita e considerano la morte come un evento naturale, non prolungano, né abbreviano l’esistenza dell’ammalato. Non è possibile parlare di lutto, senza parlare di attaccamento ad un’oggetto d’amore, quindi se non c’è attaccamento ad una persona, non c’è lutto per la perdita. Il lutto lo si affronta partendo dall’attaccamento. Il paziente mano a mano perde parte della sua autonomia, vita, relazioni ecc. ed è in questo frangente che avviene il processo di accompagnamento, fino alla fine della vita. Allora c’è da porsi un interrogativo: nell’assistenza infermieristica è necessario creare un legame oppure è meglio evitarlo? Prima di tutto va precisato cosa s’intende per attaccamento. Attaccamento e separazione sono fondamentali nella vita di ogni essere umano e l’incapacità o l’impossibilità di attaccarsi porta ad effetti negativi come: angoscia di separazione dal mondo e dalle relazioni affettive / paura di essere abbandonati / senso di minaccia e frammentazione del sé corporeo e dell’identità dell’io. Processo di attaccamento Secondo lo psicologo inglese Bowlby l’attaccamento è un comportamento volto a mantenere una vicinanza fisica e psicologica con un altro essere. Lo scopo è procurare sufficiente sicurezza. Quando c’è il bisogno di sicurezza, si ritorna verso l’oggetto dell’attaccamento e questo è chiamato da Bowlby “base sicura” ed i genitori hanno un ruolo fondamentale. L’assenza di una base sicura, di stabilità, cambiamenti troppo frequenti ecc., possono portare all’incapacità di attaccarsi e separarsi in modo sano. Accompagnare nella separazione e il processo di lutto nel malato Ogni attaccamento ha una fine e porta ad una separazione. Il contatto con i limiti e le perdite, nella quotidianità, sono i momenti di maggior impatto emotivo sia per il paziente che per i familiari egli infermieri che assistono. Quasi tutti i pazienti hanno bisogno di tempo per prendere una decisione di vita o di morte, molti cambiano opinione durante il corso della malattia, quindi optano per la terapia, per la gestione della cura o per la morte. In alcuni casi la separazione è così traumatizzante, che la persona non trova la forza necessaria per entrare nel processo di lutto, quindi possono subentrare 4 strategie negative: violenza su di sé o sugli altri / depressione / malattie psicosomatiche / dipendenze. La cicatrizzazione della ferita emotiva avviene attraverso un certo numero di tappe.

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Modello a 5 fasi di Ross I meccanismi difensivi producono dei comportamenti. In seguito all’osservazione e all’analisi di questi comportamenti, Ross descrive il processo del morire come un succedersi di fasi, attraversate sia dai pazienti che dai familiari. Queste fasi si possono manifestare in qualsiasi ordine e ripresentarsi successivamente, ma possono essere anche sovrapposte.

1. Fase della negazione o del rifiuto Il paziente rifiuta la verità. Questo processo di negazione serve al paziente per proteggersi dall’eccessiva ansia della consapevolezza della propria morte. Questo meccanismo evita l’allagamento dall’angoscia, per questo motivo la negazione non va mai contrastata. La forzatura della negazione, da parte di un operatore sanitario, porta il paziente ad una fuga emotiva ed alla fuga dalla relazione.

2. Fase della rabbia Rabbia e paura esplodono in tutte le direzioni, investendo: familiari, operatori sanitari e Dio. La frase più frequente è: perché proprio a me. Questa fase rappresenta il massimo momento di richiesta d’aiuto, ma anche il momento di rifiuto. Il paziente adotta la rabbia e l’aggressività come strumento relazionale per attirare l’attenzione delle persone da lui ritenute importanti. Infatti l’aggressività non è rivolta a soggetti a caso, i bersagli sono le persone in cui il paziente ripone fiducia.

3. Fase del patteggiamento In questa fase il paziente verifica che cosa è in grado di fare e in quali progetti può investire la sua speranza.

4. Fase di depressione Il paziente inizia a prendere consapevolezza delle perdite che sta subendo. Questo avviene quando la malattia progredisce e la sofferenza aumenta. Questa fase si distingue in 2 tipi di depressione:

✓ Reattiva il paziente prende coscienza che sono andati persi il suo potere decisionale, relazioni sociali e aspetti della propria identità

✓ Preparatoria il paziente non può più negare la sua condizione di salute, quindi negazione e rabbia vengono sostituite da un forte senso di sconfitta.

Un altro rischio sta nel fatto che se la fase di rabbia non è stata superata adeguatamente, trasformandosi in aggressività, ci può essere un’introflessione e il paziente può rivolgerla verso sé stesso. È importante saper stare accanto al paziente anche nelle sue espressioni di rabbia, per evitare un aggravamento della depressione.

5. Fase dell’accettazione Il paziente, dopo aver elaborato quello che gli sta succedendo, accetta la propria condizione e ha consapevolezza di quello che gli sta per accadere. Tende ad essere silenzioso e a raccogliersi e sono frequenti i momenti di profonda comunicazione con i familiari. Questo è il momento del testamento. In alcuni casi non si può parlare di accettazione, ma di rassegnazione che può essere:

✓ Attiva la persona non vorrebbe morire, ma decide e sceglie cosa ritiene più consono al suo morire, per sé e per l’immagine di sé che vuole lasciare

✓ Passiva la persona è consapevole di cosa sta per succedere, se ne fa una ragione e delega decisioni e scelte agli altri.

Conclusioni Attraverso percorsi di conoscenze, si può sviluppare un atteggiamento costruttivo e di aiuto nell’accompagnamento alla morte. Quindi è necessario lavorare con il morente e non per il morente. Cap 16 I BISOGNI SOCIALI Quando la malattia entra in fase terminale, paziente, familiari e operatori sanitari, oltre la sofferenza affrontano una serie di problemi complessi. Secondo Saunders il paziente terminale è afflitto da dolore totale cioè coinvolge la sfera fisica, psichica, socio-economica e spirituale. Oltre ai bisogni del paziente è importante considerare anche quelli dei familiari, soprattutto di chi presta assistenza. Una buona riuscita per la cura è anche condizionata: dal contesto familiare / dalle dinamiche psicologiche e relazionali all’interno della famiglia / dai bisogni del caregiver e da tutti coloro che prestano assistenza al paziente quindi è necessario un intervento integrato, pianificato in equipe come: interventi in relazione all’utenza, cioè: sostegno relazionale al paziente / valutazione e valorizzazione delle risorse familiari / aiuto nella risoluzione concreta dei problemi ecc. interventi in relazione all’equipe, cioè: elaborazione dei PAI (piano di assistenza individualizzato) / analisi dell’audit assistenziale (capire cosa e perché lo si sta facendo) ecc. interventi in relazione alla rete dei servizi formali e informali, cioè: integrazione socio-sanitaria con gli operatori delle altre unità presente sul territorio.

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Lavoro di rete Il concetto di rete è utilizzato per definire sistemi in connessione. Questo lavoro fa riferimento a:

• Reti primarie costituite da relazioni familiari, amicali ecc. non possono essere prodotte, ma sono create nel tempo

• Reti secondarie INFORMALI si formano intorno ad un bisogno emergente e si caratterizzano per scambi di sostegno e servizi

• Reti secondarie FORMALI sono scambi fondati sul diritto, il primo è quello di cittadinanza. Hanno la retribuzione come metodo e la legge come mezzo

• Reti di terzo settore sono organizzazioni no-profit e presentano un quadro misto tra sfera statuale e mondo sociale

• Lavoro/intervento di rete pone le reti sociali al centro dell’azione Ruolo degli assistenti sociali L’assistente sociale è in grado di intervenire ed agire nell’equipe socio-sanitaria, con il paziente e la sua famiglia. La sua funzione è quella di pensare e proporre un progetto sociale per facilitare il riconoscimento dei problemi e per promuovere un atteggiamento di ricerca. Il suo compito è rimuovere gli ostacoli ambientali e relazionali che possono interferire con l’assistenza, ed interviene ricorrendo ad un insieme di criteri e norme. Il suo intervento offre supporto ai pazienti e alle famiglie, collabora con l’equipe e attiva processi di integrazione con i servizi di rete territoriale in cui risiede il paziente. Cap 17 PROBLEMATICHE SPIRITUALI Spesso la dimensione spirituale viene erroneamente associata al concetto di religiosità. È una dimensione intima che ha bisogno di essere indagata, osservando ed ascoltando il paziente. La diagnosi spirituale, può essere fatta attraverso l’ascolto ed è necessario trovare modalità e luoghi per creare occasioni di ascolto del paziente e occorre andare incontro al paziente disarmati di risposte e soluzioni. Dei bisogni della dimensione spirituale, è responsabile l’intera equipe curante. Quindi per offrire un accompagnamento competente, è importante che gli operatori in primis si interroghino sulla propria dimensione spirituale, esplorando i significati attribuiti a: vita, morte, dolore e sofferenza. Approccio olistico Per facilitare le soddisfazioni dei bisogni spirituali del paziente, sono necessari:

• Setting adeguato creare tempo e luogo accoglienti, mostrando un atteggiamento calmo e non di fretta. La privacy è fondamentale

• Ascolto attivo, empatia e sospensione del giudizio ascoltare il paziente guardandolo negli occhi e facendo domande aperte. Restituire feedback e frasi di rinforzo

• Silenzio essere capaci di stare nel silenzio dell’altro e capire cosa quel silenzio ci sta dicendo

• Condividere il proprio vissuto in equipe confronto continuo tra i membri dell’equipe per trovare il modo migliore per assistere il paziente e crescere professionalmente

• Conoscenze e formazione buona conoscenza di sé stessi e dei propri valori, ma anche la conoscenza delle diverse religioni e culture permette all’operatore di confrontarsi con il paziente. La formazione continua su perdita, morte e lutto, ha l’obiettivo di potersi dotare di tecniche e strategie che poi permettono di gestire i vissuti emotivi del paziente e dei suoi familiari.

Cap 18 TRATTAMENTI COMPLEMENTARI IN CURE PALLIATIVE In ogni Paese, ampi gruppi di popolazione usano approcci tradizionali e complementari e in molti luoghi gli infermieri sono stati innovatori di questo movimento. L’OMS ha elaborato il documento WHO TRADITIONAL MEDICINE STRATEGY per rispondere ai problemi di disponibilità, sicurezza, efficacia, qualità e regolamentazione di tali approcci.

• Medicina tradizionale (TM) sono conoscenze, competenze e pratiche che si poggiano su teorie, credenze ed esperienze delle diverse culture

• Medicina complementare o alternativa (CM) sono pratiche che non fanno parte della tradizione e della medicina convenzionale

• Medicina tradizionale e complementare (TM e CM) comprende rimedi, pratiche e professionisti di entrambe le medicine

I rimedi di TM e CM includono piante e derivati che hanno come principi attivi ingredienti organici o inorganici di origine vegetale e non Le pratiche di TM e CM sono terapie che si basano su rimedi e cure che poggiano su procedure come: agopuntura, naturo-terapia, chiropratica ecc. I professionisti di TM e CM possono essere anche professionisti della medicina convenzionale e operatori sanitari come: infermieri, medici, dentisti, farmacisti ecc. Queste cure complementari, sono incentrate sul mantenimento o recupero di interezza della persona e della cura.

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Aromaterapia È l’impiego di essenze aromatiche estratte da piante. Possono essere utilizzati per diffusione, per via inalatoria, cutanea ecc. vanno sempre diluiti perché allo stato puro presentano diversi livelli di tossicità. L’assunzione orale deve essere prescritta dal medico. Le proprietà cambiano in base alla composizione chimica e possono essere utilizzati per alleviare l’ansia, ridurre la depressione, facilitare il rilassamento ecc. Arteterapia Il principale canale comunicativo è quello non verbale. Si creano opere grafiche, plastiche o pittoriche che esprimono il mondo interiore e la realtà esterna. Le immagini e gli oggetti parlano delle emozioni del paziente e sono un importante strumento comunicativo. Il paziente è a proprio agio perché non giudicato e questo è favorevole per una relazione di fiducia basata sull’empatia. Nelle cure palliative l’arteterapia trova applicazione con i pazienti, i familiari e con gli stessi operatori perché aiuta a prevenire il burn-out. Caring massage = “tocco-massaggio” Le sue radici si basano sul tocco delicato della madre che accarezza, per tranquillizzare, rassicurare e consolare il proprio bambino. L’obiettivo è di riunificare ciò che la malattia ha interrotto o spezzato. Studi recenti effettuati tramite RM, dimostrano che un massaggio a pressione moderata, può ridurre ansia e depressione. Infatti si è visto che vengono stimolate alcune aree del cervello come amigdala, ipotalamo ecc., però sono necessari ulteriori studi per dimostrare quali sono i meccanismi neurofisiologici e biochimici che riducono stress e depressione. Fiori di Bach Edward Bach, omeopata inglese, individuò 38 stati emotivi che divise in 7 gruppi di pazienti: paura / incertezza / non provare interesse per il presente / solitudine / ipersensibile a influenze esterne / scoraggiamento e depressione / preoccuparsi eccessivamente del benessere altrui. L’azione dei rimedi non è diretta al problema fisico, ma agli aspetti psico-emozionali. I preparati sono in soluzione alcolica, sia in gocce che in crema e sono composti da 5 fiori. Sono privi di effetti collaterali e possono essere usati anche nei bambini, evitando la preparazione alcolica. Musico terapia Il paziente o il caregiver hanno la possibilità di contattare parti profonde di sé. Ci sono 2 modalità d’intervento: recettiva: è l’ascolto di messaggi sonori, ritmici e musicali attiva: si crea musica concretamente utilizzando strumenti musicali, oggetti o parti del corpo. In seguito a studi di neurologia, emerge che la musico-terapia ha un impatto positivo su: ansia, dolore, disturbi umorali e qualità di vita. Reichi – in giapponese significa “energia vitale universale” Il fondatore si rifece ad antiche arti mediche tibetane e a guarire il dolore attraverso le mani. Le mani dell’operatore sono poggiate o leggermente discoste dalla persona e sono un canale attraverso il quale viene fruita energia vitale nelle aree del corpo che necessitano di ristabilire un equilibrio. Riflessologia olistica Già 5000 anni fa, in India e in Cina, si effettuavano trattamenti basati sulla pressione di pinti del corpo. È lo studio e la pratica del massaggio eseguito con digitopressione su specifiche aree di mani e piedi le quali corrispondono ad altre regioni corporee. Gli effetti terapeutici comprendono: il sostegno dei processi fisiologici, agevolazione della circolazione energetica, profondo rilassamento ecc. In ambito oncologico aiuta a ridurre la nausea e il vomito in corso di chemio e premette di entrare in profonda empatia con la persona. Il meccanismo di funzionamento è da verificare. Tocco terapeutico Trae origine dall’arte dell’imposizione delle mani. il fondamento teorico fa riferimento al modello concettuale di Marta Rogers, cioè alla sua concezione di campo energetico ed avviene attraverso 4 step:

1. Centratura equilibrarsi sul piano fisico e psicologico 2. Assessment del campo energetico della persona viene esercitata la sensibilità naturale della mano 3. Attivazione delle aree del campo energetico, in cui si avverte interruzione di flusso 4. Direzione e regolazione del tranfert di energia

Lo scopo è riequilibrare il campo energetico del paziente promuovendo il rilassamento e alleviando il dolore. Negli USA è una pratica molto diffusa fra le infermiere. Visualizzazione È l’utilizzo guidato dell’immaginazione, modificando la percezione di condizioni vissute come sgradevoli e negative. Si cerca di far rilassare il paziente, aiutandolo ad affrontare situazioni stressanti come: ansia, dolore, dispnea ecc. Queste tecniche risalgono ad oltre 20.000 anni fa.

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Cap 19 RAGIONAMENTO ETICO COME RICONOSCIMENTO DELLA VOLONTÀ DEL PAZIENTE La disponibilità delle opzioni terapeutiche e assistenziali e la volontà del paziente e dei familiari, incidono sul percorso di cura. Il paziente diventa terminale non solo perché c’è una progressione della malattia, ma anche per le decisioni terapeutiche assunte. Paziente o famiglia al centro? Le cure palliative mettono il paziente al centro, dichiarando che anche la famiglia è oggetto di cura. Questo crea un problema sul piano etico quando: le volontà del paziente NON coincidono con quelle della famiglia. Questo crea un distress morale nell’equipe e nel nucleo familiare. Il primo orientamento per compiere scelte etiche è il rispetto dei principi etici che guidano l’esercizio della medicina e sono alla base dei codici deontologici.

• Principi etici Molti problemi etici derivano dal conflitto di interpretazione fra 4 principi etici:

✓ Principio di Autodeterminazione rispetto per le volontà informate del paziente ✓ Principio di Beneficialità è etico perseguire il bene del paziente ✓ Principio di non Maleficialità non fare del male al paziente ✓ Principio di Giustizia assenza di discriminazioni nell’accesso alle cure palliative

I conflitti più intensi si verificano tra il Principio di Autodeterminazione e quelli di Beneficialità e Giustizia. Fra Autodeterminazione e Beneficialità le cose rimangono a livello micro Fra Autodeterminazione e Giustizia, tende a prevalere la giustizia perché entrano in gioco risorse e regole

istituzionali

• Conflitto fra modelli di medicina: paternalismo o scelte condivise Nel modello delle scelte condivise, il principio di Autodeterminazione prevale su quello della Beneficialità, perché:

il bene da tutelare è quello scelto dal paziente, il quale è informato e consapevole delle scelte che sta compiendo

il rifiuto delle terapie è considerato legittimo se rispetta le decisioni informate del paziente

i familiari o i sanitari non possono prevalere sulle volontà del paziente perché non farebbero il suo bene e violerebbero il Principio di Autodeterminazione

Nel modello paternalista il principio di Beneficialità, prevale su quello Autonomia, perché esiste un bene universale condiviso da tutti. In caso di conflitto fra la volontà del paziente e la concezione del bene oggettivo, prevale il bene oggettivo, quindi il paternalismo medico tende a sottovalutare il consenso informato.

• Criterio di proporzionalità o Criterio di oneri/benefici Per decidere i trattamenti da attivare, il criterio di proporzionalità sancisce se il trattamento è proporzionato e se ha un’alta probabilità di successo. Invece diventa sproporzionato se ha basse possibilità di successo.

Pianificazione anticipata delle cure e le Direttive anticipate La pianificazione anticipata è un processo di condivisione decisionale fra paziente, familiari e sanitari. Si basa sulle volontà del paziente che è informato della diagnosi, delle prognosi e delle alternative terapeutiche. Il pz esprime e conferma nel tempo le sue scelte in merito: ai trattamenti, all’assistenza, al luogo di cura e di morte. Le Direttive anticipate, dette testamento biologico presentano l’esito finale della pianificazione anticipata. Il paziente riassume tutte le sue preferenze e volontà. Queste direttive devono far parte della cartella clinica come informazioni disponibili a tutta l’equipe. Cap 20 APPROPRIATEZZA NELLE CURE PALLIATIVE Un intervento sanitario è appropriato quando riesce a massimizzare il beneficio e a minimizzare il rischio. È considerato inappropriato qualsiasi intervento sanitario quando il rischio è superiore ai benefici attesi. In Italia con la raccomandazione n°17/1997 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa e la L 449/1997, si indica che l’appropriatezza è un criterio da considerare nell’ambito del monitoraggio e dell’attività ospedaliera. L’appropriatezza, introdotta nel Piano Sanitario Nazionale (1998/2000) è distinta in:

• clinica implica l’erogazione di trattamenti ed interventi di provata efficacia (evidence-based)

• organizzativa racchiude le modalità di erogazione più idonee con il fine di massimizzare la sicurezza e il benessere della persona ottimizzandone l’efficacia

L’obiettivo è migliorare l’esperienza dei pazienti in fase terminale, attraverso un approccio orientato a migliorare il controllo dei sintomi. Solo pochi Paesi hanno programmi di cure palliative integrati nei loro sistemi sanitari. Questo porta ad un ritardo nella presa in carico dei pazienti i quali, insieme alle loro famiglie, ricevono interventi inappropriati. Uno degli elementi efficaci nei programmi di queste cure è il case management che valuta e risponde ai bisogni delle cure palliative, ai bisogni legati delle attività di vita quotidiana e al benessere sociale.

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Un altro elemento è l’assistenza condivisa le cui caratteristiche sono: l’identificazione di un coordinatore clinico, attenzione alla comunicazione e una risposta rapida dei bisogni del paziente e nel Regno Unito i modelli di cure palliative sono costituiti proprio da questi 2 elementi che assumono un ruolo guida nel programma assistenziale. Cap 21 STANDARD QUALITATIVI E PROVE DI EFFICACIA Il miglioramento continuo della qualità è caratterizzato dallo sviluppo sistematico delle linee guida, dall’identificazione di indicatori standard e dall’avvio di valutazioni sistematiche dei processi clinico-assistenziali. L’IOM (istitute of medicine) definisce 6 elementi che costituiscono la qualità delle cure: tempestività / centralità del paziente / benefico-efficacia / accessibilità-equità / cura fondate su conoscenze e prove di efficacia / cure efficienti Anche in queste cure, la qualità è oggetto di interesse per tutti coloro che erogano e ricevono assistenza. Se la qualità viene meno, i soggetti sono esposti a cure non appropriate, non efficienti e non efficaci. Le risorse che promuovono cure palliative eccellenti e di qualità sono le linee guida sviluppate nel 2004, aggiornate nel 2009 e prodotte dalla NCP. Esse sono costituite in 8 domini essenziali: 1. Struttura e processo assistenziale 2. Dimensione fisica 3. Dimensione psicologica e psichiatrica 4. Dimensione sociale 5. Dimensione spirituale, religiosa ed assistenziale 6. Dimensione culturale 7. Assistenza al paziente morente 8. Dimensione legale ed etica. Cap 22 APPROCCIO CRITICO ALLE EVIDENZE SCENTIFICHE Per dare risposta ad un problema clinico-assistenziale, è fondamentale che gli infermieri di cure palliative sviluppino competenze specifiche, finalizzate a valutare criticamente la complessità, il disegno e la metodologia degli studi. A questi professionisti è richiesto di saper valutare la validità, l’efficacia e l’applicabilità di uno studio di ricerca. Il punto chiave della valutazione critica sta nel fatto che uno studio valido deve fornire informazioni sufficienti. I 3 concetti centrali di tutte le valutazioni critiche (validità, efficacia e applicabilità), sono trasversali a tutte le valutazioni, indipendentemente che si tratti di uno studio qualitativo, quantitativo o primario.

• Validità è necessario domandarsi se i risultati di uno studio sono validi e bisogna misurarne la capacità

• Affidabilità è necessario domandarsi se i risultati sono affidabili, se lo sono dobbiamo domandarci se l’effetto è significativo. La statistica ci permette di capire tutto ciò

• Applicabilità è necessario domandarsi se i risultati possono essere applicati al proprio contesto

• Valutazione la valutazione degli studi quantitativi avviene utilizzando la check-list disponibili in letteratura. Alcune strategie, come l’abstract, si sono dimostrate utili in letteratura. L’abstract facilita l’identificazione del disegno di studio, la popolazione e l’intervento in studio e pone attenzione nell’identificazione dell’esito principale.

Cap 24 LE EMERGENZE NELLE CURAE PALLIATIVE Le cure palliative sono orientate a migliorare la qualità della vita del paziente e questo è possibile grazie ad un’attenta valutazione che da un lato dà una risposta immediata ai bisogni del paziente, dall’altro individua una strategia che permette la prevenzione ed il controllo dei sintomi che causano sofferenza. Però non sempre è possibile prevenire situazioni che in alcuni casi insorgono in maniera improvvisa Emorragie Sono l’emergenza più emblematica e ne esistono tipologie differenti che necessitano di approcci diversi.

• Le emorragie massive sono rare (6-10% dei casi), ma sono un evento traumatico per i pazienti ed i familiari, in alcuni casi bisogna ricorre ad una sedazione palliativa.

• Le emorragie minori e reversibili possono avvenire con maggior frequenza. I pazienti maggiormente a rischio sono coloro che presentano neoplasie del tratto gastroenterico, del polmone, dell’apparato genito-urinario ecc. Bisogna escludere che ci siano cause legate alla coagulazione quindi è importante sapere se il paziente fa uso di anticoagulanti o presenta ipopiastrinemia. In questi casi è necessario interromperne la somministrazione. È consigliabile: avere a disposizione del materiale da compressione, farmaci topici (Es sucralfato) e farmaci sistemici (Es acido tranexamico), mantenere la calma e tranquillizzare il pz ed i familiari

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Sindrome mediastinica Si verifica quando una massa comprime o ostruisce le strutture del mediastino superiore, in particolare la vena cava superiore. Questa compressione impedisce il drenaggio venoso della testa e della parte alta del tronco e provoca edema, turgore alle vene del collo. I sintomi più frequenti sono cefalea e stridore e la patologia neoplastica è responsabile del 95% dei casi. La conferma diagnostica si ha tramite RX torace e TC L’approccio terapeutico prevede: riposo a letto con testata elevata / somministrazioni di ossigeno / terapia diuretica con furosemide + spironolattone Non costituisce una minaccia di morte immediata tranne se sono coinvolte la trachea o il pericardio. È indicata una terapia anticoagulante in caso di trombosi da catetere Delirium È un disturbo della coscienza caratterizzato da un’alterazione della sfera cognitiva. Bisogna distinguere il delirium associato a demenza o malattia cerebrovascolare, dal delirium a rapida insorgenza, associata alla fase avanzata della patologia. È reversibile nel 50% dei casi circa, anche in fase di malattia avanzata. Il delirium che insorge nelle ultime 24-48h di vita, di solito è irreversibile e il paziente necessita di una sedazione palliativa continua. Inoltre non bisogna lasciare mai da solo il paziente, e aiutarlo nell’orientamento spazio-temporale, spiegare ai familiari che i sintomi sono causati dalla malattia, In caso di confusione o allucinazione somministrare aloperidolo 2,5-5 mg ogni 4h, in caso di agitazione psico-motoria somministrare promazina 25-50 mg per os/im, in caso di agitazione somministrare midazolam 2,5-5 mg via sotto cutanea (sc) Crisi epilettiche Sono generate da un improvviso e transitorio disturbo delle attività cerebrali. I meccanismi della membrana neuronale sono alterati da lesioni primitive o secondarie. In alcuni casi sono dovute a fattori metabolici, farmacologici o tossici. Le crisi generalizzate tonico-cloniche rappresentano un’emergenza. C’è un’improvvisa perdita di coscienza, rigidità e cianosi. Al termine della crisi il paziente lamenta cefalea e stato confusionale. Non è necessario un intervento terapeutico, ma è importante rassicurare il paziente. Se le crisi non cessano immediatamente somministrare lorazepam 0,07 mg/kg Compressione midollare È dovuta frequentemente all’estensione di una metastasi nel corpo vertebrale. Spesso i sintomi iniziali sono sfumati e lievi ed il dolore è quello più frequente. Solo se la diagnosi è precoce e la terapia viene iniziata tempestivamente, è possibile evitare un danno neurologico irreversibile. I corpi vertebrali maggiormente coinvolti sono quelli toracici (70% dei casi). Si deve sospettare di compressione midollare quando il paziente presenta dolore stabile ed esacerbato, localizzato alla colonna vertebrale. È necessario iniziare una terapia steroidea ad alte dose nell’arco di 24h, somministrando gastroprotettori e oppiacei Ipercalcemia Si presenta nel 20% dei casi, spesso non è riconosciuta perché è caratterizzata da molti sintomi che possono essere presenti nei pz terminali. Nel 70% dei casi è dovuta da una patologia neoplastica con localizzazioni ossee. L’ipercalcemia grave se non viene trattata porta a morte. Nelle ipercalcemie lievi, può essere sufficiente una iperidratazione orale, o parenterale. Spesso si associano: diuretici dell’ansa, cortisonici e difosfonati. Cap 25 SEDAZIONE TERMINALE O PALLIATIVA La ST/SP è la riduzione intenzionale della vigilanza, tramite farmaci, fino alla perdita di coscienza. La durata è di 2-3gg. Lo scopo è ridurre o abolire la percezione di un sintomo intollerabile il paziente. Questi sintomi inducono gravi sofferenze e resistono ai migliori trattamenti possibili. Sono definiti refrattari e vanno distinti dai sintomi difficili in cui è possibile attuare tentativi terapeutici per controllarli. La ST/SP è attuata mediante una graduale sedazione ed è proporzionale all’aggravarsi del sintomo refrattario. Raramente viene attuata come provvedimento d’emergenza. In seguito ad una sofferenza psico-esistenziale refrattaria è utile una sedazione denominata respite sedation (sedazione di sollievo), è temporanea (24-48h) ed è concordata con il paziente. L’impegno maggiore è gestire la comunicazione del processo decisionale con il paziente ed i familiari. È fondamentale per chiarire l’obiettivo della procedura per acquisire il consenso da parte del paziente, meglio se in anticipo. Durante la ST/SP e nelle fasi precedenti è importante rafforzare, tramite l’ascolto attivo, il supporto emotivo e la comunicazione. È importante che l’infermiere abbia una profonda consapevolezza dell’eticità della procedura che non va confusa con una forma di eutanasia, perché la ST/SP è radicalmente diversa per obiettivi, mezzi e risultati. Inoltre nessuno studio ha dimostrato che porta ad un’accelerazione della morte.

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Farmaci Il midazolam è uno di quelli più utilizzati. Al di là del sedativo utilizzato, è importante rispettare la proporzione tra profondità della sedazione e la gravità del sintomo refrattario. L’obiettivo non è indurre rapidamente una sedazione profonda, ma è quella di ottenere un grado di sedazione che renda tollerabile al paziente la percezione del sintomo refrattario. I farmaci utilizzati per la ST/SP sono: benzodiazepine (midazolam e lorazepam) – neurolettici ( aloperidolo, clorpromazina e promazina) – anestetici (fenobarbital, tipentale) Cap 26 COMUNICAZIONE DELLE CATTIVE NOTIZIE “Cattiva notizia”: è una notizia che altera drammaticamente e negativamente le prospettive future del paziente. La negatività dipende da ciò che il paziente conosce o sospetta riguardo al futuro. L’impatto dipende dallo scarto fra le aspettative del paziente e la realtà clinica della situazione. Non è possibile valutare tale impatto fino al momento della comunicazione. Il dilemma di dire o non dire la verità al paziente, occupa ancora molti dibattiti sia fra gli addetti ai lavori che nella popolazione. Infatti molti pazienti vogliono maggiori informazioni, soprattutto in relazione alle alternative terapeutiche, agli effetti collaterali dei trattamenti e alle prospettive di cura. Sembra che i medici sottostimino il desiderio del paziente di essere informato e sovrastimino le loro capacità. Nella “cattiva notizia” è compresa la comunicazione della diagnosi o della prognosi infausta ed altera le prospettive cliniche, assistenziali e sociali di una persona o di un nucleo familiare. L’importanza della comunicazione La comunicazione partecipativa è centrata su: problemi, aspettative e interpretazione del paziente. L’interesse per l’uomo non può riguardare solo aspetti quantificabili e misurabili, ma è anche importante il modo in cui il suo vissuto viene offerto. Infatti c’è differenza tra curare (to cure) e prendersi cura (to care). Chi cura lo fa in modo oggettivo ed esterno, chi si prende cura si relaziona con l’altro e in questo rapporto è presente la comunicazione esistenziale che va oltre ogni terapia. Come comunicare cattive notizie Ogni individuo entra in contatto con la malattia in modo del tutto personale e con un grado di consapevolezza differente. I modelli di comunicazione delle cattive notizie sono diversi e variano sulla base dei contesti culturali. Questi modelli sono:

• Il modello della non comunicazione è più diffuso nei paesi mediterranei e di cultura latina

• Il modello della comunicazione completa è diffuso nei paesi anglosassoni

• Il modello di comunicazione personalizzata sintetizza i diversi protocolli comparsi in letteratura Raccomandazioni Dalle linee guida e dai protocolli analizzati sulla comunicazione delle cattive notizie, emergono delle raccomandazioni base che sono state pubblicate dall’ISS nel 2007. Essere motivati I professionisti socio-sanitari devono possedere le competenze necessarie per condurre una buona comunicazione. Devono comunicare le cattive notizie tenendo conto dei bisogni e delle capacità dei pazienti e non sulla base delle richieste dei familiari o dei propri convincimenti. Comunicare una cattiva notizia è un processo dinamico e non una meta. Se al primo incontro, il paziente non è in grado di tollerare le informazioni, queste possono essere rimandate a momenti successivi. Preparazione al colloquio Il colloquio deve avvenire in un ambiente tranquillo e riservato e bisogna avere un tempo sufficiente per il colloquio che non ha un tempo determinato. Con l’esperienza medici ed infermieri apprendono quali sono le più importanti strategie da adottare. È importante predisporsi interiormente, sgombrando la mente da tutto ciò che può interferire con i bisogni comunicativi del paziente.

• Bisogna spiegare al paziente il proprio ruolo e approcciarsi con una stretta di mano in modo da ridurre la tensione.

• È importante presentarsi prima al paziente e poi ai familiari per dimostrare che il paziente viene prima

• Chiedere se desidera che sia presente una seconda persona per supportarlo

• Valutare se la persona desidera essere informata e cosa desidera sapere

• Comunicare la cattiva notizia in modo personalizzato, graduale ed onesto, usando un linguaggio semplice e chiaro

• Non interrompere il paziente mentre parla

• Se in seguito alla cattiva notizia il paziente diventa silenzioso, non cercare di colmare immediatamente il silenzio.

• Bisogna tenere conto delle domande inespresse, mantenere viva la speranza senza dire falsità

• Aiutare il paziente ad esprimere le proprie emozioni e al paziente va lasciato il tempo di elaborare ed esprimere le proprie emozioni

• Rispondere empaticamente alle reazioni del paziente ed aiutarlo a ripristinare il controllo della situazione

• Riassumere al paziente il quadro clinico e se lo desidera discutere dei possibili trattamenti

• Fasi carico delle richieste del paziente e sostenerlo attraverso l’ascolto. L’operatore deve accettare il fatto che gli possono essere poste domande a cui non sa rispondere, quindi bisogna sottoporle a che può rispondere. Rendersi portavoce del paziente, gli sarà di grande aiuto.

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Cap 27 I SETTENG DI CURE PALLIATIVE Quando si propongono le cure palliative? Secondo la definizione dell’OMS del 2002 le cure palliative sono: “un approccio che migliora la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie che affrontano, problemi come la prevenzione ed il sollievo del dolore, tramite un’identificazione precocie e un trattamento ottimale del dolore”. Queste cure forniscono: sollievo dal dolore, sono garanti della vita e considerano la morte un processo naturale, che non intendono né affrettare né ritardare. Inoltre aiutano i pazienti a vivere nel modo più attivo possibile, fino alla morte e rispondono ai bisogni delle famiglie supportandole nella fase di elaborazione del lutto. Queste cure dovrebbero essere proposte con gradualità, prima che le problematiche diventino ingestibili ed essere attivate quanto gli altri interventi terapeutici sono stati interrotti. Dove si gestiscono le cure palliative? Per descrivere i diversi setting di assistenza, è importante richiamare la Legge 38 del 2010. Questa legge: Distingue 3 reti: cure palliative / terapia del dolore / cure palliative e terapia del dolore in età pediatrica Definisce la rete di cure come un’aggregazione funzionale ed integrata delle attività di cure palliative, erogate nei vari setting assistenziali. Prevede che la struttura organizzativa di queste cure abbia compiti di coordinamento e garantisca una reale operatività della rete, attraverso:

• l’accoglienza, la valutazione del bisogno e l’avvio di un percorso di cure palliative, assicurando la continuità delle cure. È una legge innovativa, che per la prima volta, garantisce l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore da parte del paziente, nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza. Il fine è: assicurare il rispetto della dignità e l’autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze. Questa legge è tra le prime in Europa e l’art.1 tutela “il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore”. Le strutture sanitarie che erogano cure palliative e terapia del dolore devono assicurare:

• un programma di cura individuale per il malato e per la sua famiglia, nel rispetto della dignità e dell’autonomia del malato, senza alcuna discriminazione;

• la tutela e promozione della qualità della vita in ogni fase della malattia, in particolare in quella terminale;

• un adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona malata e della famiglia. Gli aspetti più rilevanti del testo legislativo (L.38) riguardano:

• L’obbligo e la rilevazione del dolore all’interno della cartella clinica: Devono essere riportate le caratteristiche del dolore e la registrazione del suo decorso, come pure la tecnica antidolorifica e i farmaci utilizzati, i relativi dosaggi e il risultato analgesico conseguito. Un obbligo che va applicato a tutti i pazienti, indipendentemente dalla patologia.

• Reti nazionali per le cure palliative e per la terapia del dolore Per favorire la formazione dei medici e l’applicazione della nuova normativa, il Ministero promuove l’attivazione e l’integrazione di 2 reti: una per le cure palliative, l'altra per la terapia del dolore che garantiscono ai pazienti risposte assistenziali in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.

• Semplificazione delle procedure di accesso ai medicinali impiegati nella terapia del dolore È consentito ai medici del SSN prescrivere farmaci impiegati nella terapia del dolore non più su ricettari speciali, ma utilizzando il semplice ricettario del SSN.

• Formazione Formazione e aggiornamento del personale medico e sanitario in materia di cure palliative e di terapia del dolore. Decreti MIUR per ordinamenti didattici di specifici percorsi formativi universitari e per i criteri di attivazione Master. Formazione continua. Formazione dei volontari.

• L’omogeneità delle tariffe La legge prevede l’omogeneità delle tariffe per le cure palliative su tutto il territorio nazionale.

• Diritto alle cure domiciliare per l’infanzia La legge introduce il diritto per i minori di 18 anni di ricevere a livello domiciliare assistenza relativa alle cure palliative e alla terapia del dolore.

Alcuni articoli di questa legge precisano la tipologia di strutture tramite: requisiti, modalità organizzative, standard strutturali, pianta organica e figure professionali. Le cure palliative, in ospedale e nella rete di assistenza, sono caratterizzate da:

Consulenza palliativa, assicurata da un’equipe medico-infermieristica con specifica competenza ed esperienza Ospedalizzazione in regime diurno Attività ambulatoriale Degenza in hospice: qualora sia presente

Queste cure, in hospice e a domicilio, sono costituite da un complesso integrato di prestazioni sanitarie professionali di tipo:

• medico, infermieristico, riabilitativo, psicologico, sociale, tutelare, alberghiero e sostegno spirituale.

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Assicurano cure e assistenza 24h su 24 e 7 giorni su 7 in hospice. A livello domiciliare sono erogate dall’UCP (unità di cure palliative) e garantiscono sia gli interventi base, coordinati dal medico di medicina generale, sia interventi di equipe specialistiche. In relazione al livello di complessità, vanno garantiti: la continuità assistenziale, interventi programmati ed articolati 7 giorni su 7 e la pronta disponibilità medica sulle 24h Strutture residenziali In queste strutture le cure palliative sono garantite dalla UCP (unità di cure palliative) di cure domiciliari territorialmente competente, attraverso interventi di base o di equipe specialistiche. Le disposizioni per garantire l’accesso a queste cure, è definita da 14 dimensioni strutturali e di processo, quindi si prevede:

1. Una struttura organizzativa che coordina la rete sociale 2. Queste cure devono essere fruibili per tutte le patologie, età e diversi setting di cura 3. L’erogazione deve avvenire tramite equipe specializzata 4. Ci deve essere unitarietà del percorso delle cure palliative domiciliari 5. Continuità nelle cure 6. Formazione continua 7. Supporto psicologico all’equipe 8. Misurazione della qualità di vita 9. Supporto sociale e spirituale 10. Supporto al lutto 11. Utilizzo appropriato dei protocolli 12. Momenti di formazione 13. Informazione 14. Valutazione della qualità delle cure palliative

Il setting operativo, dipende dallo stato di avanzamento della patologia, ma anche e soprattutto dalle aspettative della persona. Ad esempio le cure palliative dei bambini o ragazzi, anche nella fase avanzata della malattia, si hanno aspettative e progettualità diverse rispetto agli adulti. Condividere con il paziente il miglior setting di cura, implica nell’operatore capacità avanzate di: gestione della relazione d’aiuto ed una pianificazione anticipata alle cure. La gestione di queste cure, avviene preferibilmente presso il domicilio del paziente, considerando il desiderio del paziente di stare a casa propria e la disponibilità di uno o più caregiver. Un luogo di cura alternativo è l’hospice che viene utilizzato in situazioni particolari:

• desiderio del paziente / forte instabilità clinica / impossibilità di essere gestiti a domicilio per varie ragioni Tra gli strumenti di integrazione, l’accordo Stato-Regioni, prevede il punto uniforme di accesso per facilitare la gestione della continuità informativa e gestionale. All’equipe di presa in cura, indipendentemente dal setting, è demandata la costante rivalutazione dei bisogni dell’assistito e della sua famiglia, per modulare, secondo le sue esigenze gli obiettivi di cura. Chi ha bisogno di cure palliative? Bisogna far riferimento alla filosofia di queste cure che, per essere attivate devono prevedere:

• malattie inguaribili, non solo oncologiche / possono essere attivate nel bambino, nell’anziano e nell’adulto / in fase precoce della malattia per la gestione dei sintomi

La gestione di queste cure, nell’ambito della malattia cronico-degenerativa, ampli il bacino dei potenziali utenti. Quindi è importante lo studio delle traiettorie della malattia per comprende come e quando è opportuno proporre queste cure. Ad esempio la malattia oncologica, presenta un andamento: a lenta progressione, rapido peggioramento e breve fase terminale, questo rende più semplice individuare la prognosi del paziente. Invece la traiettoria di altre malattie inguaribili, è diversa, come la demenza che presenta un lento declino. La letteratura recente ci suggerisce, soprattutto nella fase avanzata della malattia, alcuni step che ci guidano nella valutazione:

• Ci si pone la domanda: “sarei sorpreso se questa persona fra un anno fosse morta?” questo ci aiuta a riflettere sull’appropriatezza di queste cure e ci suggerisce la valutazione globale del paziente.

• Dobbiamo considerare gli indicatori generali del declino: l’autonomia di vita, la comorbilità, perdita di peso negli ultimi 6 mesi, ricoveri frequenti ecc. Gli strumenti di valutazione di queste variabili sono diversi

• Si valutano: ✓ gli indicatori clinici specifici che variano a seconda della patologia (malattia oncologica, scompenso cardiaco,

disturbi neurologici ecc.) ✓ necessità cliniche e personali del paziente ✓ il contesto ed i bisogni familiari e sociali

Quindi, considerato: i bisogni del paziente e dei suoi familiari, il rapido evolversi di queste necessità e l’esigenza di una risposta flessibile e differenziata, la valutazione del bisogno di cure palliative, non viene effettuata solo da un professionista, ma le modalità utilizzate sono più o meno strutturate tramite:

• colloqui con il paziente e la famiglia / visita ambulatoriale oppure al letto del paziente. È indispensabile un’appropriata valutazione per poter individuare, con l’assistito e la sua famiglia, il setting di cura + appropriato per la gestione delle problematiche e dei bisogni.