C ENTI ANNI DOPO UN BILANCIO NEGATIVO - - Critica Sociale · Soprattutto sono venute meno molte...

40
Ugo Finetti L a “celebrazione” del Ventennale di Mani Pulite è stata molto dimessa: qualche rimpatriata, più nostalgica e piagnucolosa che non trionfalistica e bellicosa. “Les heros sont fatigués” - gli eroi sono stanchi - direbbe Anatole France. Tutto il popolo “manipulitista”, da destra a sinistra, oggi vede suoi esponenti di primo piano accusati per tangenti. Il Parlamento è schernito per “i costi della politica” ed umiliato da un governo interamente extraparlamentare. Non c’è più Craxi, non c’è più Berlusconi, ma da un lato con il governo Monti non c’è stato “ribaltone” e dall’altro è diffuso un bilancio molto critico sui risultati e gli assetti poli- tico-istituzionali partoriti dalla “Seconda Repubblica”. Nessuno sa con quale sistema, con quali partiti e con quali candidati premier si voterà nel prossimo anno ed ipotesi di alternativa globale o unità nazionale convivono nei vertici dei principali partiti. Soprattutto sono venute meno molte ipotesi dominanti negli anni novanta che avevano se- minato molte certezze che si sono però rivelate del tutto superficiali ed illusorie. Che senso ha, infatti discutere di “Mani Pulite” prescindendo dalla “casa che brucia”? Che ci sia un nesso tra il modo in cui è stata abbattuta la “Prima Repubblica” e la crisi attuale della “Seconda” sembra evidente ed è forse su ciò che converrebbe riflettere. Non molto convincenti sono stati infatti i tentativi di esibizioni muscolari. Ad esempio: si getta sul tavolo la tabella degli arresti e condanne. Per l’80 – se non 90 – per cento i giudici hanno dato ragione ai pubblici ministeri. E allora? È la prova che la Procura di Milano è stata infallibile. Certamente l’argomento è solido, ma è facile rovesciarlo a favore della tesi opposta. Una simile percentuale dimostra solo – si può obiettare – che Procura e Tribunale sono stati un’entità unica. Il principale punto di dissidio è appunto l’accusa secondo cui du- rante Mani Pulite pm, gip, gup, tribunale e corte d’appello si sono mossi in modo “parami- litare” come un uomo solo. L’identificazione tra Procura e Tribunale era tale che all’epoca i pubblici ministeri erano comunemente chiamati “giudici”. L’ex coordinatore del ‘pool’ diventato senatore, Gerardo D’Ambrosio, dichiara: “Tangen- topoli è esplosa perché avevamo in mano le registrazioni di Mario Chiesa e quindi lui ha ca- pitolato. Senza di quelle non sarebbe cominciato nulla”. E chi le ha mai viste? Non sono nemmeno menzionate nei verbali di interrogatorio. Lasciamo allora stare il Palazzo di Giustizia su cui le opinioni – positive e negative – sono irreversibilmente cristallizzate e riflettiamo invece su ciò che avvenne al di fuori di esso. Il punto di partenza è stato il prevalere tra la caduta del Muro di Berlino del 1989 ed il crollo dell’Urss del 1991 di un diffuso e superficiale ottimismo. Si è pensato che il comuni- smo si fosse autoriformato e che quindi si dischiudeva un’era di riconciliazione sulla base di un unico modello di economia e di democrazia secondo uno sviluppo unidirezionale ed omogeneo. Insomma la cosiddetta “fine della storia”. Le scadenze che si avevano di fronte – privatizzazioni, moneta unica, allargamento dell’Unione europea – si sarebbero meglio af- frontate con meno partiti, meno Stato, meno politica. Certamente il potere politico italiano non era l’interlocutore malleabile per procedere alle privatizzazioni nel modo con cui sono state fatte successivamente ed aveva come “tallone d’Achille” l’incapacità di autoriformarsi nel contesto di un finanziamento dei partiti politici che era sempre stato “parassitario” sin dalla Resistenza. In particolare Milano, capitale del potere economico privato e del sociali- smo riformista, dopo averne celebrato il matrimonio ne sancì il divorzio. Man mano all’inizio degli anni novanta è cresciuto un “austriacante” tumulto di “ombrelli DIREZIONE Ugo Finetti - Stefano Carluccio (direttore responsabile) Email: [email protected] Grafica: Gianluca Quartuccio Giordano GIORNALISTI EDITORI scarl Via Benefattori dell’Ospedale, 24 - Milano Tel. +39 02 6070789 / 02 683984 Fax +39 02 89692452 Email: [email protected] FONDATA DA FILIPPO TURATI NEL 1891 Rivista di Cultura Politica, Storica e Letteraria Anno CXXI – N. 3-4 / 2012 Registrazione Tribunale di Milano n. 646 / 8 ottobre 1948 e n. 537 / 15 ottobre 1994 – Stampa: Telestampa Centro Italia - Srl - Località Casale Marcangeli - 67063 Oricola (L’Aquila) - Abbonamento annuo: Euro 50,00 Euro - 10,00 CRISI DEI PARTITI E LIQUEFAZIONE DELLA SECONDA REPUBBLICA, CRISI ECONOMICA E SOCIALE, RITORNO DEL TERRORISMO VENTI ANNI DOPO, UN BILANCIO NEGATIVO Continua a pagina 3 POSTE ITALIANE S.p.A. Spedizione in a.p.D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) Art. 1 comma 1, DCB Milano - Mens. 9 7 7 8 0 0 0 0 5 7 0 0 3 1 2 0 0 3 ISSN 1827-4501 PER ABBONARSI Abbonamento annuo Euro 50,00 c/c postale 30516207 intestato a Giornalisti editori scarl Banco Posta: IBAN IT 64 A 0760101600000030516207 Banca Intesa: IBAN IT 06 O 0306901626100000066270 E-mail: [email protected] Editore - Stefano Carluccio La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7/08/1990 n.250 L e analogie della situazione in- terna col 1993 (vent’anni fa, nascendo la seconda repubbli- ca sulle ceneri violentate della prima) sono: - la liquefazione dei partiti politici. Sorti per essere “bipolari”, i nuovi partiti sono oggi accatastati, senza governo e senza maggio- ranza degli elettori. La teoria del carisma ha lasciato le istituzioni repubblicane in mano al notabilato e ha allontanato il popolo dalle istituzioni rappresentative. - le elezioni contestuali nel 2013 delle Ca- mere e del nuovo Presidente della Repubbli- ca, che oggi è l’unico caposaldo costituzio- nale che impedisce all’intero sistema di crol- lare e ripiegarsi su se stesso soffocando chi è sotto, come un tendone che si afflosci. Coincidenze politico-simboliche in un criti- co quadro economico-istituzionale, danno una lettura politica e non mafiosa della bom- ba di Brindisi. La criminalità potrebbe essere stata strumento, ma non è neppure detto che questo sia avvenuto. La mafia cerca consen- so nel territorio. Sono mani segrete che non lasciano impronte, probabilmente non italia- ne. Colpire i giovani meridionali è come get- tare un fiammifero nella benzina, sulla spon- da europea opposta a quella della primavera araba. L’attentato di Brindisi lancia segnali politici e minaccia la prospettiva di un anno di de- stabilizzazione e di eccitazione della conflit- tualità sociale (e della repressione), per crea- re un clima da guerra civile che inghiotta, paralizzandolo, uno Stato che i terroristi vo- gliono sia percepito come “esigente” e “in- fedele”, non capace cioè di difendere la vita dei suoi cittadini, ma duro per far tornare i conti “europei” di una crisi che ha radici nel- la speculazione finanziaria. La conflittualità sociale e la liquefazione istituzionale, sem- bra essere la promessa di Brindisi. Una pro- vocazione che colpisce il punto debole, la gioventù del Sud, perchè esploda un messag- gio internazionale di default italiano, politico e quindi finanziario, che renda sempre più affannosa e inutile la rincorsa, con l’austeri- ty, ai “mercati”. I poteri forti hanno necessità di Stati deboli. s (s.car) L’ATTENTATO TERRORISTICO ALLA SCUOLA DI BRINDISI F AR ESPLODERE IL SUD PER SPACCARE L ’ITALIA GIULIO TREMONTI pag. 6 La “nuova fabbrica globale” Nella Sala Conferenze della Biblioteca storica di Critica Sociale, dibattito tra Giulio Tremon- ti e Oscar Giannino dibattono sulla crisi fi- nanziaria e politica europea. La chiave per comprendere la natura della cri- si è nella sostituzione compiuta con la globa- lizzazione del reddito prodotto dal lavoro con il reddito prodotto dalla speculazione finan- ziaria. OSCAR GIANNINO pag. 8 Perché la crisi è sfuggita di mano La situazione precipita quando il duo franco- tedesco prende il sopravvento sull’Europa e decide “i Paesi dell’Unione possono fallire”. La crisi Greca diventa contagiosa. FORMICA E TUTINO pag. 10 Un’analisi della proposta Capaldo Finanziamento ai partiti. Pellegrino Capaldo ha depositato in Cassazione una legge di ini- ziativa popolare che prevede siano i cittadini a decidere quanti soldi dare ai partiti. In cam- bio di un vantaggio fiscale. Questo però non deve superare la parte “volontaria” del contri- buto destinato al proprio partito. Pubblichiamo come documento il disegno di legge sui soldi ai partiti presentato nel 1958 da Don Sturzo. EBERT STITFUNG (SPD) pag. 27 I socialisti e la crisi europea Pubblichiamo un ampio studio della fonda- zione socialdemocratica tedesca per l’analisi della crisi economica e le proposte per supe- rarla. SOMMARIO

Transcript of C ENTI ANNI DOPO UN BILANCIO NEGATIVO - - Critica Sociale · Soprattutto sono venute meno molte...

Ugo Finetti

L a “celebrazione” del Ventennale di Mani Pulite è stata molto dimessa: qualcherimpatriata, più nostalgica e piagnucolosa che non trionfalistica e bellicosa.“Les heros sont fatigués” - gli eroi sono stanchi - direbbe Anatole France.

Tutto il popolo “manipulitista”, da destra a sinistra, oggi vede suoi esponenti di primopiano accusati per tangenti. Il Parlamento è schernito per “i costi della politica” ed umiliatoda un governo interamente extraparlamentare.

Non c’è più Craxi, non c’è più Berlusconi, ma da un lato con il governo Monti non c’èstato “ribaltone” e dall’altro è diffuso un bilancio molto critico sui risultati e gli assetti poli-tico-istituzionali partoriti dalla “Seconda Repubblica”. Nessuno sa con quale sistema, conquali partiti e con quali candidati premier si voterà nel prossimo anno ed ipotesi di alternativaglobale o unità nazionale convivono nei vertici dei principali partiti.

Soprattutto sono venute meno molte ipotesi dominanti negli anni novanta che avevano se-minato molte certezze che si sono però rivelate del tutto superficiali ed illusorie.

Che senso ha, infatti discutere di “Mani Pulite” prescindendo dalla “casa che brucia”? Checi sia un nesso tra il modo in cui è stata abbattuta la “Prima Repubblica” e la crisi attualedella “Seconda” sembra evidente ed è forse su ciò che converrebbe riflettere.

Non molto convincenti sono stati infatti i tentativi di esibizioni muscolari. Ad esempio: sigetta sul tavolo la tabella degli arresti e condanne. Per l’80 – se non 90 – per cento i giudicihanno dato ragione ai pubblici ministeri. E allora? È la prova che la Procura di Milano èstata infallibile. Certamente l’argomento è solido, ma è facile rovesciarlo a favore della tesiopposta. Una simile percentuale dimostra solo – si può obiettare – che Procura e Tribunalesono stati un’entità unica. Il principale punto di dissidio è appunto l’accusa secondo cui du-rante Mani Pulite pm, gip, gup, tribunale e corte d’appello si sono mossi in modo “parami-litare” come un uomo solo. L’identificazione tra Procura e Tribunale era tale che all’epoca ipubblici ministeri erano comunemente chiamati “giudici”.

L’ex coordinatore del ‘pool’ diventato senatore, Gerardo D’Ambrosio, dichiara: “Tangen-topoli è esplosa perché avevamo in mano le registrazioni di Mario Chiesa e quindi lui ha ca-pitolato. Senza di quelle non sarebbe cominciato nulla”. E chi le ha mai viste? Non sononemmeno menzionate nei verbali di interrogatorio.

Lasciamo allora stare il Palazzo di Giustizia su cui le opinioni – positive e negative – sonoirreversibilmente cristallizzate e riflettiamo invece su ciò che avvenne al di fuori di esso.

Il punto di partenza è stato il prevalere tra la caduta del Muro di Berlino del 1989 ed ilcrollo dell’Urss del 1991 di un diffuso e superficiale ottimismo. Si è pensato che il comuni-smo si fosse autoriformato e che quindi si dischiudeva un’era di riconciliazione sulla basedi un unico modello di economia e di democrazia secondo uno sviluppo unidirezionale edomogeneo. Insomma la cosiddetta “fine della storia”. Le scadenze che si avevano di fronte– privatizzazioni, moneta unica, allargamento dell’Unione europea – si sarebbero meglio af-frontate con meno partiti, meno Stato, meno politica. Certamente il potere politico italianonon era l’interlocutore malleabile per procedere alle privatizzazioni nel modo con cui sonostate fatte successivamente ed aveva come “tallone d’Achille” l’incapacità di autoriformarsinel contesto di un finanziamento dei partiti politici che era sempre stato “parassitario” sindalla Resistenza. In particolare Milano, capitale del potere economico privato e del sociali-smo riformista, dopo averne celebrato il matrimonio ne sancì il divorzio.

Man mano all’inizio degli anni novanta è cresciuto un “austriacante” tumulto di “ombrelli

DIREZIONEUgo Finetti - Stefano Carluccio

(direttore responsabile)Email: [email protected]

Grafica: Gianluca Quartuccio Giordano

GIORNALISTI EDITORI scarlVia Benefattori dell’Ospedale, 24 - Milano

Tel. +39 02 6070789 / 02 683984Fax +39 02 89692452

Email: [email protected]

FONDATA DA FILIPPO TURATI NEL 1891

Rivista di Cultura Politica, Storica e LetterariaAnno CXXI – N. 3-4 / 2012

Registrazione Tribunale di Milano n. 646 / 8 ottobre 1948 e n. 537 / 15 ottobre 1994 – Stampa: Telestampa Centro Italia - Srl - Località Casale Marcangeli - 67063 Oricola (L’Aquila) - Abbonamento annuo: Euro 50,00 Euro - 10,00

■ CRISI DEI PARTITI E LIQUEFAZIONE DELLA SECONDA REPUBBLICA, CRISI ECONOMICA E SOCIALE, RITORNO DEL TERRORISMO

VENTI ANNI DOPO, UN BILANCIO NEGATIVO

Continua a pagina 3

POST

E IT

ALI

AN

E S.

p.A

. Spe

dizi

one

in a

.p.D

.L. 3

53/0

3 (c

onv.

L. 4

6/04

) Art

. 1co

mm

a 1,

DC

B M

ilano

- M

ens.

9778000057003

12003

ISS

N 1

827-

4501

PER ABBONARSIAbbonamento annuo Euro 50,00c/c postale 30516207 intestato a Giornalisti editori scarlBanco Posta: IBAN IT 64 A 0760101600000030516207Banca Intesa: IBAN IT 06 O 0306901626100000066270E-mail: [email protected]

Editore - Stefano Carluccio

La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7/08/1990 n.250

L e analogie della situazione in-terna col 1993 (vent’anni fa,nascendo la seconda repubbli-

ca sulle ceneri violentate della prima) sono:- la liquefazione dei partiti politici. Sorti peressere “bipolari”, i nuovi partiti sono oggiaccatastati, senza governo e senza maggio-ranza degli elettori. La teoria del carisma halasciato le istituzioni repubblicane in manoal notabilato e ha allontanato il popolo dalleistituzioni rappresentative.- le elezioni contestuali nel 2013 delle Ca-mere e del nuovo Presidente della Repubbli-ca, che oggi è l’unico caposaldo costituzio-nale che impedisce all’intero sistema di crol-lare e ripiegarsi su se stesso soffocando chiè sotto, come un tendone che si afflosci.Coincidenze politico-simboliche in un criti-co quadro economico-istituzionale, dannouna lettura politica e non mafiosa della bom-ba di Brindisi. La criminalità potrebbe esserestata strumento, ma non è neppure detto chequesto sia avvenuto. La mafia cerca consen-so nel territorio. Sono mani segrete che nonlasciano impronte, probabilmente non italia-

ne. Colpire i giovani meridionali è come get-tare un fiammifero nella benzina, sulla spon-da europea opposta a quella della primaveraaraba.L’attentato di Brindisi lancia segnali politicie minaccia la prospettiva di un anno di de-stabilizzazione e di eccitazione della conflit-tualità sociale (e della repressione), per crea-re un clima da guerra civile che inghiotta,paralizzandolo, uno Stato che i terroristi vo-gliono sia percepito come “esigente” e “in-fedele”, non capace cioè di difendere la vitadei suoi cittadini, ma duro per far tornare iconti “europei” di una crisi che ha radici nel-la speculazione finanziaria. La conflittualitàsociale e la liquefazione istituzionale, sem-bra essere la promessa di Brindisi. Una pro-vocazione che colpisce il punto debole, lagioventù del Sud, perchè esploda un messag-gio internazionale di default italiano, politicoe quindi finanziario, che renda sempre piùaffannosa e inutile la rincorsa, con l’austeri-ty, ai “mercati”. I poteri forti hanno necessitàdi Stati deboli. s

(s.car)

■ L’ATTENTATO TERRORISTICO ALLA SCUOLA DI BRINDISI

FAR ESPLODERE IL SUDPER SPACCARE L’ITALIA

GIULIO TREMONTI pag. 6

La “nuova fabbrica globale”

Nella Sala Conferenze della Biblioteca storicadi Critica Sociale, dibattito tra Giulio Tremon-ti e Oscar Giannino dibattono sulla crisi fi-nanziaria e politica europea.

La chiave per comprendere la natura della cri-si è nella sostituzione compiuta con la globa-lizzazione del reddito prodotto dal lavoro conil reddito prodotto dalla speculazione finan-ziaria.

OSCAR GIANNINO pag. 8

Perché la crisi è sfuggita di mano

La situazione precipita quando il duo franco-tedesco prende il sopravvento sull’Europa edecide “i Paesi dell’Unione possono fallire”. Lacrisi Greca diventa contagiosa.

FORMICA E TUTINO pag. 10

Un’analisi della proposta Capaldo

Finanziamento ai partiti. Pellegrino Capaldoha depositato in Cassazione una legge di ini-ziativa popolare che prevede siano i cittadinia decidere quanti soldi dare ai partiti. In cam-bio di un vantaggio fiscale. Questo però nondeve superare la parte “volontaria” del contri-buto destinato al proprio partito.Pubblichiamo come documento il disegno dilegge sui soldi ai partiti presentato nel 1958da Don Sturzo.

EBERT STITFUNG (SPD) pag. 27

I socialisti e la crisi europea

Pubblichiamo un ampio studio della fonda-zione socialdemocratica tedesca per l’analisidella crisi economica e le proposte per supe-rarla.

SOMMARIO

di seta” di manzoniana memoria. “Grisaglie edoppiopetti al banco dei referendum” titolavaRepubblica per raccontare la raccolta di firmeper il referendum Segni presso il Palazzo del-l’Assolombarda. Era il 10 novembre 1991. Nel-le settimane precedenti, il 2 ottobre, l’anatemapiù solenne era stato pronunciato a nove colon-ne sul Corriere della Sera dall’ArcivescovoCarlo Maria Martini che denunciava “affarismocorruzione e tangenti” e paragonava Milano allabiblica Ninive. E il 15 novembre Achille Oc-chetto veniva a Milano per rompere l’alleanzatra socialisti e comunisti nata nel 1975. 

Le gabbie erano quindi già aperte e il fuocogià acceso quando in Procura si aprì il fasci-colo. A guidare la piazza, come “truppe di ter-ra”, furono comunisti, missini e leghisti.

La criminalizzazione fu generalizzata e lacondanna immediata. Quel che a distanza im-pressiona non è tanto l’attacco indiscriminatoai leader politici, ma l’aggressione che ha vistocome vittime chi non era sfiorato da alcun so-spetto giudiziario. Vi è stata soprattutto a Mi-lano e in Lombardia l’aggressione indiscrimi-nata – quasi razzista – verso comunità non so-lo socialiste oggetto di scherno e discrimina-zione nei luoghi di lavoro, di studio, di vita so-ciale. Persone di assoluta probità, mai lonta-namente oggetto di alcun risvolto giudiziario,furono costrette a cambiare residenza o a per-dere il lavoro. Ragazzini improvvisamenteemarginati e insultati e cerimonie religiose, co-me i funerali, oltraggiate.

In quella stagione molte cosiddette autoritàmorali milanesi hanno perso l’“innocenza”rendendosi parte attiva di un clima di persecu-zione verso persone oneste, più deboli e disar-mate e coltivando l’odio come categoria sal-vifica e purificatrice. Fu il trionfo della “que-stione morale” inventata da Enrico Berlinguer“seduto” sui fondi neri illegalmente raccoltidall’“amministrazione straordinaria” del Pci.Mani Pulite ne seguì le orme.

Impressiona oggi la riflessione che svolsenel maggio 1994 il comunista Carlo Galluzzi(come responsabile esteri del Pci nel 1968 fucolui che nel vertice del Partito maggiormentesi espose nella polemica con il Pcus dopo l’in-vasione della Cecoslovacchia e fu dirigentenazionale e parlamentare italiano ed europeodel Pci dal 1963 al 1989). Nel suo libro Il Pae-se dei Gattopardi stabilisce una inquietanteanalogia: da un lato osserva che l’intervista“moralizzatrice” di Berlinguer del 1981 “sem-bra la copia di una requisitoria del pubblicoministero Antonio Di Pietro” e dall’altro rilevacome “Berlinguer facesse proprie le analisi deiterroristi”. Il riferimento ai testi brigatisti ècertamente esagerato, ma è indubbio un cock-tail di “sessantottismo” e di “giustizialismo”.

Nel segno della “questione morale” e poi diMani Pulite i comunisti passavano nel campodegli “ombrelli di seta” e da allora è maturatoa Milano e poi in Italia un bipolarismo anoma-lo: pezzi significativi e rilevanti di destra nellasinistra e di sinistra nella destra. Dalla Milanodi Mani pulite è nata una dialettica abortiva chevede protagonisti, secondo un comune passatodi dominazione “spagnola”, una destra “bona-partista” ed una sinistra “austriacante”.

Oggi ci troviamo così nel quadro di una crisiinternazionale ad essere però gli unici a vedereil Parlamento farsi guidare da un governo ex-traparlamentare. Il cosiddetto “deficit di de-mocrazia” è conseguenza di una scelta non so-lo giudiziaria, ma culturale – della principaleintellettualità – e popolare, di aver costruitol’avvenire accettando come base passata, co-me uniche tradizioni “pulite” dell’Italia repub-blicana, quelle comunista e neofascista. 

Su questa base si è edificato su sabbie mobili

– e cioè avendo come categorie centrali l’odioed il falso – un bipolarismo che ha visto i leaderdi entrambi i campi continuare a cambiare rego-le elettorali e nome di partito, ma sempre ostaggidelle componenti estremiste che hanno come“nuovista” Altare della Patria Mani Pulite.

I MAGISTRATI

“Il giudice per privare un uomo innocente ditutti i suoi diritti civili e condannarlo ai lavoriforzati, ha bisogno di una cosa sola: di tempo”:così Anton Cechov nella Russia del 1892. Il“volto demoniaco” del potere giudiziario nelsistema totalitario ha un suo orrore specifico,ma non circoscrivibile alle dittature. E’ peròda chiedersi come una mentalità reazionaria -o comunque arbitraria e repressiva - sia potutaentrare in modo organico nella cultura di unmovimento di sinistra, di emancipazione delleclassi subalterne, come quello comunista ed inparticolare come abbia potuto radicarsi e svi-lupparsi persino nel comunismo all’opposizio-ne in un paese democratico.

Il punto di partenza è che la via comunistaal totalitarismo si basa sulla tesi che la libertàè un bene che può essere sospeso, messo traparentesi e sacrificato. Prevale su di essa il pri-mato della giustizia sociale. E’ così che nascela teoria della “dittatura del proletariato”. E’nel quadro di questa cultura che quindi innalza

il Partito come motore della Storia e del Pro-gresso e sacrifica la persona umana che il co-munismo si trasforma in una “macchina daguerra” che vive in una continua caccia al ne-mico, al sabotatore, al soggetto inutile e dan-noso per la collettività. Il magistrato-inquisi-tore diventa (e si sente) protagonista della cul-tura comunista che criminalizza l’avversario edisprezza la libertà.

Certamente l’uso politico della magistraturada parte comunista in un quadro di regime de-mocratico occidentale si pone in modo radi-calmente diverso da quel che è avvenuto neiregimi di dittatura comunista.

Ma le premesse culturali risalgono a questaconsiderazione della libertà come bene sacri-ficabile in nome della conquista di sempremaggior potere in un paese capitalista.

Di ciò è concreta espressione la “scelta divita” che compie ogni comunista nel momentoin cui iscrivendosi accetta di sacrificare la pro-pria libertà personale mettendosi a disposizio-ne di un potere superiore insindacabile e cheha sempre ragione – il vertice del Partito – im-pegnandosi a subire il regime del “centralismodemocratico”, prefigurazione della “dittaturadel proletariato” nella società socialista.

La diversità dell’uso politico della magistra-tura da parte comunista in un paese democra-tico rispetto a quello in cui i comunisti sono algoverno è che in Italia il movimento nasce “dalbasso” e come “contropotere”. Come si coniu-

ga in questo caso l’aspetto reazionario della re-pressione illiberale con l’essere di sinistra eall’opposizione? Facendo leva su un elemento,appunto “demoniaco”, sempre incombente nel-la figura del magistrato. Leggiamo ancora laletteratura russa all’epoca degli zar. Il giudice“di sinistra”, contro i potenti è ben descritto daTolstoj nel 1845: “Come giudice istruttore,Ivan Il’ic sentiva che tutti, ma proprio tutti,senza eccezione, i più superbi, gli altezzosi, tut-ti erano in mano sua, e che gli bastava scrivereun paio di paroline ben note su un foglio di car-ta intestata per vedersi recapitare questa gentesuperba e altezzosa, in qualità di accusato o ditestimone, costretta a starsene in piedi davantia lui a rispondere alle sue domande, se non glisaltava in testa di metterla al fresco”.

In concreto l’uso comunista della magistra-tura è ben ritratto in testi come la relazione te-nuta da Luciano Violante il 17 ottobre 1983 al-la II Commissione del Comitato Centrale delPci, quella appunto dedicata all’attività giudi-ziaria, presieduta all’epoca da Pietro Ingrao.Ad essa partecipava un certo Caselli ringrazia-to da Ingrao tra “i 27 compagni intervenuti”.Siamo sull’onda delle indagini contro il terro-rismo che volgono al termine, quando EnricoBerlinguer ritiene che si possa ora passare dal-l’attacco giudiziario sulla propria sinistra aiterroristi a quello sulla propria destra contro ipartiti avversari: dalla “fermezza” alla “que-stione morale” promettendo ai magistrati gra-tificazione sociale e impunità.

“Per la prima volta – afferma Violante rife-rendosi all’impegno militante sviluppatosi ne-gli anni precedenti – i magistrati sono entraticon i poliziotti sui luoghi di lavoro, in fabbri-ca, a discutere del terrorismo, delle libertà mi-nacciate, delle riforme istituzionali e politicheper le quali era necessario battersi. Lo Stato –proseguiva Violante – mostra, forse per la pri-ma volta, una faccia diversa da quella che pur-troppo la classe operaia nella sua storia eraabituata a vedere”. E quindi il leader della po-litica giudiziaria comunista può concludere:“Sulla base di queste esperienze è maturatauna concezione nuova del proprio ruolo, sonoemersi coraggi individuali e collettivi, capacitàprofessionali di altissimo livello, si sono ma-nifestate grandi lealtà costituzionali”.

Questa “faccia diversa dello Stato”, questaemersione di “coraggi individuali e collettivi”,questa apologia dell’ingresso dei “magistraticon i poliziotti” a parlare di riforme istituzio-nali e politiche sui luoghi di lavoro celebra una“presa del potere” particolarmente illuminantesu questioni essenziali.

La prima breccia si apre nel momento in cui– in nome dell’emergenza –si introduce nel-l’azione giudiziaria la categoria di “lotta”.“Lotta” significa che la magistratura viene mi-litarizzata e che come corpo paramilitare devemuoversi in modo solidale. Quelli che sonoconsiderati controlli e verifiche saltano. Comeebbe a sbottare un magistrato di fronte a con-testazioni “garantiste”: “Quando lo Stato pren-de impegni, bisogna mantenerli”. E cioè? Seun alto ufficiale dei carabinieri ha trattato conun pentito, poi – logicamente – pm, giudiceistruttore, tribunale e corte d’appello devono“timbrare”, ratificare, come un uomo soloquanto pattuito. Lo spiraglio totalitario in unademocrazia occidentale è rappresentato dal-l’instaurazione a livello giudiziario di un siste-ma di “catena di montaggio”. E’ in questo cli-ma che il Pci come protagonista del “partitodella fermezza” è cresciuto nella magistraturapromettendo alla categoria una visibilità so-ciale – gratificazione e assenza di controlli -in un quadro illiberale. Anche nel contrastareil “terrorismo rosso”, il Pci è riuscito a conse-guire il suo principale obiettivo,

Il successo dell’azione comunista nella ma-

CRITICAsociale ■ 33-4 / 2012

■ DOPO IL VOTO DEL 6 E 7 MAGGIO

IL FRULLATO DEI PARTITINEL 2013 PARLAMENTO SENZA MAGGIORANZA?

Rino Formica

L’ alternativa di società divise nel ‘900 la destra e la sinistra europea. Il puntodi equilibrio fu il compromesso socialdemocratico. La destra era dedita allaaccumulazione tra diseguali, la sinistra si impegnava sulla distribuzione per

correggere le diseguaglianze. Tutto ciò avveniva nell’ambito dello Stato nazionale.Destra e sinistra convergevano nel reperire i margini di riformismo insufficienti in due

modi: trasferendo parte del peso o alle nuove generazioni (debito pubblico) o ai Paesi più de-boli (prezzi delle materie prime, manovre monetarie).

Oggi, i due schieramenti che per comodità di espressione continuiamo a chiamare destrae sinistra, si devono misurare sul terreno di una alternativa di equità e non su visioni diversedi società per definire il peso del sacrificio nazionale nel quadro di un equilibrio globale.

Non tutti i sistemi politici nazionali sono omogenei.Anzi i sistemi politici, che dopo la seconda guerra mondiale hanno esaltato la loro speci-

ficità o la loro diversità, sono i più penalizzati, mentre i sistemi politici più simili fronteggianomeglio le difficoltà per uscire dalla crisi sovranazionale.

Le elezioni di domenica ci hanno offerto tre test. Germania e Francia hanno sistemi politicifondati su concezioni e regole dell’alternativa di società ed hanno resistito bene: la Franciatrova una guida socialista, la Germania conferma a denti stretti una guida conservatrice.

La Grecia, paese diverso nell’affrontare il tema dell’alternativa di società, si è incagliatanella crisi globale a seguito dell’uso smodato delle astuzie levantine. Il voto della Grecia si èfrantumato e segnala più disastri: inconsistenza dei grandi partiti-guida e nascita di partiti rea-zionari ed anti-sistema.

L’Italia nel ‘900 ha coltivato l’illusione delle diversità, ed ha piegato l’alternativa di societàalla logica della organicità della società (compromesso storico). Quella diversità ( soluzioneunitaria del conflitto) è stata applicata all’attuale fase della crisi globale con la soluzione delgoverno dei tecnici (il governo diverso di Berlinguer).

Oggi l’Italia è più vicina alla soluzione politica greca (frantumazione del sistema politico)che a quella tedesca o francese (passaggio dall’alternativa di società all’alternativa delle so-luzioni della crisi sovranazionale).

In Italia il deficit di alternativa ha travolto i partiti di governo della I° Repubblica ed oratravolgerà la cosiddetta II° Repubblica dopo l’illusoria soluzione tecnico-burocratico-conso-ciativo.

Il voto amministrativo ci dice che la somma dei voti di ABC è inferiore al 50% del paesereale. La prospettiva politica greca è vicina. Non saranno le tecnicalità elettorali a salvare ilPDL imploso, il PD in declino, il 3° polo evaporato.

Presto si capirà quanto devastante sia stato l’errore di non aver consultato il popolo durantela grande crisi di sistema esplosa tra l’estate e l’autunno del 2011. s

Segue da pagina 1

4 ■ CRITICAsociale3-4 / 2012

gistratura italiana è stato infatti coronato dal-l’essere riuscito nel corso degli ultimi decennidella “guerra fredda” a spostare l’attenzionedelle indagini giudiziarie tutte sul “fronte oc-cidentale”. La “guerra fredda” in Italia dalpunto di vista degli atti giudiziari vede l’ine-sistenza di pericoli sul “fronte orientale”. Lastoria della “guerra fredda” in Italia secondola letteratura giudiziaria (confortata dai prin-cipali storici, umoristi, romanzieri e cineasti)è diventata una storia di attacchi al nostro pae-se tutti provenienti dagli americani e dai filoa-mericani con il Pci che sembra l’unico partitoche abbia difeso la democrazia occidentale.L’Unione Sovietica e i paesi dell’est non sem-brano aver in alcun modo partecipato alla“guerra fredda” in Italia sia dal punto di vistadei manuali di storia sia dal punto di vista dellarilevanza penale: nessuna spia, nessun atten-tato, nessuna illegalità. L’Urss e i suoi “satel-liti” per storici, scrittori, grandi giornali e ma-gistrati risultano essere per l’Italia entità paci-fiche e pacifiste. “Nulla di nuovo sul fronteorientale”: la mafia è conseguenza dello sbar-co americano, il terrorismo dell’adesione allaNato, la corruzione dell’estromissione del Pcidal governo.

E’ così che si determina lo scenario del crol-lo della Prima Repubblica dove sullo sfondodella “Fine della Storia” che assicura un mon-do spoliticizzato, la “guerra fredda” in Italia siconclude con la messa sotto accusa del “cam-po occidentale” e la messa sull’altare del co-munismo come “altro” sia dai partiti italianisia dai partiti comunisti dell’Est.

Il crollo del comunismo nel mondo determi-nerà quindi l’esplodere anche del Pci in diversedirezioni: dai neocomunisti ai neo liberali e so-cialisti riformisti. Nella magistratura il postco-munismo si traduce nel prevalere della venareazionaria della ideologia comunista sotto for-ma di giustizialismo. E’ così che i magistratimarxisti in Italia sono mandati in soffitta, maper ridiscenderne con la maschera polverosa erattoppata dell’ex Partito d’Azione. E’ un azio-nismo giustizialista che in nome della “societàcivile” delegittima la costruzione democraticadal dopoguerra in poi come “tradimento” dellaResistenza e della Costituzione. In un’Italia incui la maggior parte dell’elettorato - orfano delpentapartito criminalizzato e sciolto - confluiscenel centro-destra, l’azionismo giustizialista rea-gisce inventando un’entità autoreferenziale ca-pace di mettere sotto accusa le maggioranzeparlamentari: inventa il “Partito della Costitu-zione” che impallina “il principio maggiorita-rio”. Il “Partito della Costituzione” in nome del-la difesa della Costituzione predica la sospen-sione delle garanzie costituzionali e disegna unacostellazione di “contropoteri” – novelle “case-matte” di gramsciana memoria - che ridimen-sioni i risultati elettorali dato che quando il po-polo non vota a sinistra significa che è manipo-lato e pericoloso ed è necessario un interventodi surroga attraverso, appunto, la magistratura.

Leggiamo uno dei più rappresentativi espo-nenti di questo neoazionismo giustizialista, l’expresidente della Corte costituzionale GustavoZagrebelsky. Se chi ha vinto le elezioni non èespressione del “partito della Costituzione”, oc-corre svolgere – egli scrive - una “funzione antimaggioritaria”. La giustizia costituzionale, se-condo il giudice di sinistra, “protegge la Repub-blica” e quindi “limita la democrazia”(sic) inquanto se gli italiani hanno votato in modo sba-gliato, il magistrato, a partire dalla Corte Costi-tuzionale, “limita, per così dire, la quantità dellademocrazia per preservarne la qualità”.

Questa ultima forma di “Partito della Costi-tuzione” si delinea come quel “ritorno a Rous-seau” da cui Luigi Einaudi in una sua “predicainutile” metteva in guardia e cioè il prevaleredemagogico e antidemocratico dell’idea se-

condo cui “l’uomo è veramente libero solo sesi sottomette a quella volontà generale che eglinon ha voluto, ma ha semplicemente ricono-sciuto perché illuminato da coloro che sanno”.

L’azione giudiziaria è quindi usata comefonte di legittimazione alternativa rispetto aquella che viene direttamente dal popolo. Que-sto azionismo giustizialista - di “quelli chesanno” - è alla base di un clima di contrappo-sizione e di divisione che non solo non ha pariin altro paese occidentale, ma che l’Italia nonaveva mai conosciuto in forme così acute e de-vastanti nemmeno durante la “guerra fredda”.

I COMUNISTI

“Ci sono allusioni a compagni che passereb-bero per ladri consentendo così ad altri di pas-sare per puri. La verità è che, nell’insieme, siè consentito al partito di vivere!”. Dove sia-mo? Perché si alza la voce sui soldi al partito?Non è una riunione ristretta in casa socialistao democristiana ‘al tempo del Caf’. Siamo nel-la sala della Direzione del Pci del 3 giugno1974 (v. Archivio Fondazione Istituto Gram-sci, APC 077, 750/776). Chi secondo “ManiPulite” è stato il “dominus” del sistema delletangenti in Italia, Bettino Craxi, non era ancora“nato” (era all’epoca in minoranza nel Psi) edil vertice del Partito che, sempre secondo “Ma-ni Pulite”, è stato estraneo alle tangenti in re-altà, sin da vent’anni prima del 1992, era giàparte integrante di quel sistema con il 67, 7 percento delle entrate derivanti dalla cosiddetta“amministrazione straordinaria”: “Molte en-trate straordinarie – si legge nei verbali - deri-vano da attività malsane. Nelle amministrazio-ni pubbliche prendiamo soldi per far passarecerte cose. In questi passaggi qualcuno rimanecon le mani sporche” (v. discussione sul bilan-cio 1972 in APC 041, 1° trimestre-1° volume).

Quando anni dopo una delle più austere figuredel comunismo italiano venne a mancare avevain casa, in un cassetto, duecento milioni di lirein contanti. La provenienza venne attribuita aidiritti d’autore versatigli da una casa editrice.

Né va dimenticato che quando l’inviato diEnrico Berlinguer comunicò al presidente delPartito, Luigi Longo, che la segreteria del Pciaveva deciso di fare a meno dei soldi del Pcus,l’anziano leader commentò con due sole paro-le: “Fate bene”. Non aveva dubbi sulle fontialternative da cui il Pci poteva trarre alimentoin territorio italiano.

A Mosca Boris Ponomariov , che si occupavadel fondo di “solidarietà internazionale” delPcus, nell’apprendere che il Pci rinunciava ai fi-nanziamenti sovietici si mise a ridere e accom-pagnando alla porta l’emissario di Berlingueraggiunse che sapeva bene che i comunisti italia-ni “potevano sentirsi tranquilli” grazie alla “quo-ta proveniente dal contratto sul gas naturale”.

A sua volta l’ex segretario del Pci, Alessan-dro Natta, di fronte agli arresti di “Mani puli-te” esclamava: “Hanno permesso che personeintegerrime finissero in prigione. Li hanno ac-cusati di cose che se erano state commesse nonera comunque certo per colpa loro. Anche ioho dato, nel tempo degli ordini. Forse, traquella gente finita in prigione, potrebbe ancheesserci qualcuno che avrebbe potuto prendereordini da me”.

Vedere il Pci al di fuori del sistema delle tan-genti della Prima Repubblica è una tesi ampia-mente smentita dalla documentazione storica acominciare dagli stessi archivi degli organismie dei dirigenti del Pci. Ma sarebbe anche sba-gliato non vederne la specificità e soprattutto ba-nalizzare questo fatto in termini scandalistici.

Il punto di partenza è una valutazione com-plessiva delle “vite parallele” – evitando lostereotipo unilaterale di un ossessivo “duello

a sinistra” – del Psi e del Pci, di Craxi e Ber-linguer. La sinistra italiana è diventata una si-nistra di governo credibile in campo nazionaleed internazionale grazie a Craxi e a Berlinguer.E in questo l’uno ha avuto bisogno dell’altro.E’ con Craxi e Berlinguer che Psi e Pci sonodiventati interlocutori affidabili e soggetti po-litici credibili in un’economia di mercato enella comunità occidentale.

Per raggiungere tale risultato è stata per en-trambi decisiva l’arma della autonomia finan-ziaria, un’autonomia finanziaria che ha con-sentito ai socialisti con Craxi di non essere su-balterni alla Dc ed ai comunisti con Berlinguerdi non essere subalterni al Pcus. Ed entrambilo hanno fatto nell’unica direzione all’epocapossibile.

Si tratta di un tema che anche a livello distorici è stato troppo spesso trattato come let-teratura poliziesca o di genere pornografico.Ne è un esempio lo storico Guido Crainz a cuipur si deve la prima indicazione di verbali del-la Direzione del Pci in cui si parla esplicita-mente di tangenti. Ma anche questo autorevolestorico di sinistra rimane a livello “pornogra-fico” e quindi di fronte a ciò che considera una“oscenità” distorce la verità, utilizza cioè al-cune citazioni omettendo i fatti più rilevanti,al fine di sostenere la tesi di una “criminaliz-zazione” della cosiddetta “destra” comunista“salvando” invece Berlinguer: “Segnali espli-citi di pericolo – scrive commentando un in-tervento milanese - vengono dalle aree in cuiil partito risulterà poi coinvolto dalle indaginidi Mani Pulite”.

Ma dal complesso della documentazionepresso la Fondazione dell’Istituto Gramsciemerge esattamente l’opposto. Per prima cosacolpisce il fatto che (v. APC 041 pag. 419) pro-prio Enrico Berlinguer, armeggia per non es-sere presente quando si discute il bilancio delpartito imponendo l’inversione dei punti al-l’ordine del giorno e rinviando così l’argomen-to ad una seduta che si svolge la mattina doponon alle Botteghe Oscure (dove egli rimane),ma presso il gruppo parlamentare con una ge-nerale diserzione (solo 22 presenti rispetto ai32 iniziali). La “destra” non è sotto accusa,ma, al contrario, all’attacco con GiorgioAmendola che interviene per primo sottoline-ando la non veridicità del bilancio ed il pesosproporzionato delle “entrate straordinarie”.Dai verbali vediamo emergere soprattutto co-me fenomeno “malsano” il fatto che tutta lastampa filocomunista (dal quotidiano siciliano“Le Ore” al settimanale “Vie Nuove”) è soste-nuta con “entrate straordinarie” non dichiaratenel bilancio (un miliardo solo per “Paese Se-ra”) e che quando, dopo la legge del ’74, si do-vranno mettere fuori bilancio le “entrate stra-ordinarie” le regioni con “problemi” – preci-serà Cossutta – sono l’Emilia e la Toscana.

Ma se si esce dalla lettura poliziesco-porno-grafica vediamo come i dibattiti della Direzio-ne del Pci sui soldi e le entrate “malsane” di-segnano qualcosa di ben più serio, da seguiree ricostruire in modo attento e rispettoso: lastoria della progressiva emancipazione del Pcidai finanziamenti sovietici. Un itinerario checoincide con la stessa ascesa di Berlinguer alvertice del Partito sin da quando all’indomanidell’aver espresso nell’agosto 1968 “riprova-zione” per l’invasione della Cecoslovacchia ilPci subisce una pesante ritorsione sovietica sulpiano finanziario. Lo stesso Longo è quindicostretto ad inviare in ottobre Armando Cos-sutta, che si occupa dell’amministrazione delPci, a ricucire il rapporto con i cassieri delPcus incontrando Suslov e Ponomariov.

Ma proprio l’umiliazione della rappresagliafinanziaria spinge Longo e Berlinguer a cer-care progressivamente fonti alternative: nonper una rottura radicale con i sovietici, ma per

avere autonomia e autorevolezza in seno allastessa comunità comunista.

Dopo l’approvazione nel 1974 della leggesul finanziamento pubblico Berlinguer riuni-sce quindi la Direzione del Partito insieme aisegretari regionali per concertare come faruscire dai bilanci del partito, a livello nazio-nale e locale, la voce “entrate straordinarie”(APC 077, IV vol., III trimestre 1974).

L’”amministrazione straordinaria” del Pcicontinua però illegalmente coinvolgendo Ber-linguer in prima persona. La rendicontazionedei “fondi neri” veniva fatta da chi li gestiva aquattr’occhi con Berlinguer e riassunta in unfoglietto che poi il leader del Pci immediata-mente stracciava. Nel corso degli anni in cuiil Pci è nella maggioranza che sostiene i go-verni Andreotti la “riserva” illegale di Berlin-guer raddoppia passando dai 4 miliardi del1975 ai 7 miliardi e 912 milioni di lire alla finedell’esercizio 1978 per poi raggiungere gli 8miliardi e mezzo nel 1979.

Nel valutare il ricorso a tangenti e comunquea finanziamenti illegali da parte comunista bi-sogna quindi aver presente due dati storici: laricerca di maggiore autonomia dal Pcus ed il re-gime interno del “centralismo democratico” cheha comunque contenuto maggiormente, rispettoa Psi e Dc travagliati da correnti e preferenze, icasi di arricchimento e corruzione personale.Quando esplode lo scandalo di Parma che nel’75 coinvolge direttamente il Pci, Berlinguer sidifende appunto sostenendo questa tesi: “Oc-corre ammettere – afferma nella riunione con-vocata d’urgenza della segreteria nazionale -che ci distinguiamo dagli altri partiti non perchénon siamo ricorsi a finanziamenti deprecabili,ma perché nel ricorrervi il disinteresse persona-le dei nostri compagni è stato assoluto”.

Riconosciuto che il “centralismo democra-tico” è stato un ammortizzatore, va anche ri-levato però come esso sia andato negli annismorzandosi: al momento dell’esplodere di“Mani Pulite” a filosofeggiare di “amministra-zione straordinaria” nella dirigenza comunistasi contavano almeno tre “correnti di pensiero”.

Va poi tenuto presente che persone integer-rime a occuparsi di “amministrazione straor-dinaria” vi erano anche nella Dc e nel Psi – daSeverino Citarristi a Sergio Moroni – così co-me, d’altra parte, anche nel Pci non mancava-no casi di approfittamento personale. Il “boss”della stampa comunista, ad esempio, in senoalla stessa segreteria del Partito era considera-to “un faccendiere intrigante”, “un po’ imbro-glione e soprattutto arruffone”. Ma, nonostanteciò, fu inamovibile.

Il finanziamento illecito ai partiti fino al1992 - a vicenda giudiziaria ormai conclusa elontana - dovrebbe quindi essere affrontato inmodo non concitato, con semplificazioni stru-mentali e manipolando la verità, ma attraversouna più obiettiva disamina.

Conosciamo tutto circa l’avvicendamentodelle responsabilità in materia in seno al Psi ealla Dc, ma per il Pci siamo ancora fermi al1979 e si è addossata al “tesoriere” di turnoquella che è invece sempre stata la responsabi-lità di una figura di primo piano nel vertice delPartito. Sappiamo infatti che in seno alla segre-teria del Pci la “sovrintendenza” dell’ammini-strazione fu inizialmente di Pietro Secchia daldopoguerra fino al 1954, poi di Luigi Longo fi-no al 1966, quindi di Armando Cossutta fino al1975 quando lo sostituì Gianni Cervetti. In que-sti ultimi anni sia Armando Cossutta sia GianniCervetti con esemplare onestà hanno dato im-portanti contributi di verità. Purtroppo nessunodei dirigenti del Pci-Pds-Ds ha avuto finora ilcoraggio di dire chi di loro si sia occupato deisoldi del Pci tra il 1979 ed il 1991. s

Ugo Finetti

Vivi ogni giorno i tuoi programmi preferiticon lo spettacolo dell’Alta Definizione.

Solo con Sky puoi avere oltre 50 canali HD inclusi nel tuo abbonamento senza spendere un euro in più.

I canali sono fruibili in alta definizione dagli abbonati Sky con servizio HD attivo e/o in funzione dei pacchetti sottoscritti.

6 ■ CRITICAsociale3-4 / 2012

Giulio Tremonti

I o ho pensato di dividere il miointervento in due parti, nella pri-ma vorrei parlare del libro e nella

seconda vorrei parlare di altro.Il libro non contiene la parola Italia ma è un

espediente letterario che col passare del tempocede. In fondo ho scritto il libro nel dicembredell’anno scorso, allora l’epicentro era sullaGrecia, ex post mi sembra di avere utilizzatol’espediente delle lettere persiane per cui i par-la della Persia per non parlare della Francia.

Il libro. Il libro è stato detto e ringrazio perle presentazioni non è una tantum, è l’ultimodi una serie di libri che vanno indietro. Se de-vo dire il primo quello a cui sono più legato èdel principio degli anni ’90 ed è intitolato “Na-zioni senza ricchezza e ricchezza senza Nazio-ni”. Mi pare di capire che la realtà presentenon sia molto diversa da quella prefigurata etraguardata allora. Poi il fantasma della pover-tà quando si pensava che la globalizzazionefosse solo positiva e non anche negativa e poigli altri libri.

Questo è un libro che tenta di mettere insie-me materiali diversi: materiali economici, giu-ridici, tecnici, politici, materiali di vita vissutanella logica di scrivere una rappresentazionegenerale di quello che è successo negli ultimicinque anni, gli anni della crisi, dal 2007-2008a oggi. Il libro per quanto mi risulta è ancorain questi termini abbastanza unico. Esistono bi-blioteche specifiche sui rischi, sul suprime, sualcuni aspetti della crisi, ma non mi risulta checi sia una rappresentazione complessiva dellacrisi, può essere che questa del libro sia sba-gliata ma alla cifra dello scenario complessivo.

Perché credo che sia importante lo scenariocomplessivo? Perché non si capisce quello chesuccede in Italia o in Europa se non si capiscequello che è successo e succede nel resto delmondo. C’è un meccanismo che procede dalgenerale al particolare: è sbagliato pensare chesia il particolare che spiega il generale. Puoifare delle polemiche, puoi fare degli interventidialettici più o meno efficaci ma se non capisciil generale non capisci il passaggio verso ilparticolare, se non capisci il globale l’Europanon capisce l’Italia.

Naturalmente le chiavi di interpretazionepossono essere diverse, non è che questa miain assoluto per definizione è quella giusta macredo che il metodo sia quello giusto.

Sono stati i venti anni che hanno cambiatola struttura e la velocità del mondo. Credo chemai nella storia nota dell’umanità un cambia-mento così intenso è avvenuto in un tempo co-sì breve ed è una rivoluzione nel senso dellarotazione dei paradigmi che si muove sui tremotori che sono stati citati.

Una nuova geografia. Caduto il Muro diBerlino nel novembre a Marrakesh in Maroccoviene definito un nuovo ordine mondiale, unanuova geografia piana mercantile. Tanto ilvecchio mondo era diviso in base a categoriepolitiche, così il nuovo mondo sarà unificatoda un unico codice di commercio e di scambiolibero e globale. Diciamo che la scoperta diquesta visione e la definizione di questa visio-ne è il Wto Trade che è un grande Trattato po-litico non solo commerciale e non solo mer-cantile che porta all’apertura della globalizza-zione. Il Wto Trade del 1995 l’Asia entra nella

globalizzazione la crisi inizia nel 2007 e oggi.Diciamo il primo grande fatto, la scoperta

geografica dell’Asia. La scoperta geograficain America ha prodotto effetti rivoluzionari mala cascata dei fenomeni è lunga due secoli; lascoperta economica dell’Asia, la rotazionedell’asse dall’Atlantico al Pacifico ha impie-gato pochi anni e sono anni che hanno cam-biato la struttura e la vita di tutti noi.

Quella è stata una grande scelta politica. Iocredo che la scelta di forzare i tempi della glo-balizzazione sia stata una scelta forzata, hannopreso la storia e l’hanno fatta esplodere maquella fu una grande scelta politica ispirata dacriteri di evangelizzazione del mondo e in baseai criteri del mercato, ma anche una scelta for-temente dominata da interessi e da specificheconvenienze multinazionali. Quella fu l’ultima

delle grandi scelte politiche poi la politica èscomparsa, ha aperto il vaso di Pandora ne so-no uscite forze che hanno dominato in pro-gressione la politica.

La seconda meccanica, il secondo motore èla nuova tecnologia. La rete è la patria dellanuova ricchezza. Capitalismo deriva da caput,caput è capo di bestiame e sulle vecchie mo-nete l’effige del caput è la misura della ric-chezza che è fisica. Per secoli la ricchezza èstata rappresentata da quanto acciaio avevi,quanto carbone avevi, quanto petrolio avevi equanto di cose fisiche avevi. La rivoluzione stanel fatto che coi computer sulla rete in un nuo-vo mondo globale tu la ricchezza non la fai cir-colare. Non la crei e la fai circolare, la crei esi avvera la profezia dell’uomo creatore.

C’è un grande banchiere americano che da-

vanti al congresso ha detto senza saperlo: “Noifacciamo il lavoro di Dio”. Esattamente. Conmagie alchemiche impressionanti la ricchezzasi è liberata dagli antichi vincoli territoriali, fi-sici, reali, ed è diventata dieci-dodici volte laricchezza del mondo e questo modifica radi-calmente i rapporti. Credo che sia questa ca-pacità di creare ricchezza quella che ha portatoalla posizione di dominio della repubblicatransazionale del denaro e poi una nuova ideo-logia.

Tutto questo non poteva avvenire se non cifosse stata una ideologia basata sul mercato, ilmercatismo che ha definito i criteri di compor-tamento, i rapporti di forza, il mondo di pen-sare standardizzato su un pensiero unico cheancora domina o cerca di dominare.

Ci dicono: “Dobbiamo avere la fiducia deimercati”. Uno normale direbbe ma è giustoche noi diamo fiducia ai mercati? Non è che ilmotore di inferenza dovrebbe essere ancheall’incontrario?

Questa rivoluzione mossa dai tre motori nonha avuto effetti limitati al dominio economicoma estesi al dominio sociale e al dominio giu-ridico, si è perso il criterio del diritto come re-golatore reale e infine a quello politico.

Sono stati abrogati due pilastri letterali ideo-logici civili su cui si è basato il mondo comel’abbiamo visto costruito finora: la ricchezzadelle Nazioni di Smith e il capitale di Marx.La ricchezza delle nazioni, la ricchezza ma an-che le Nazioni. Adesso vediamo che la ric-chezza nella forma finanziaria si pone sopra leNazioni, soverchia le Nazioni e i popoli, svi-luppa la sua meccanica di potere fino a divo-rare se stessa se non la fermiamo.

Cosa c’è dietro questo processo? Non sta nellibro, è una riflessione che faccio con voi oraper la prima volta. Questa follia della ricchez-za che domina tutto deriva dal fatto che si èimmaginato di poter creare una fabbrica sosti-tutiva dopo la globalizzazione. E’ anche moltosemplice: se la produzione va in Asia tu do-vresti avere una sostituzione dei redditi o unariduzione dei redditi, e siccome la riduzionedei redditi non era poi così gradevole si è in-ventata la sostituzione dei redditi con la finan-za, e questo è tipico nella meccanica dei sappyamericani. Sappy vuol dire che tu non sei altobiondo con gli occhi azzurri, sei uno che lavo-ra tre-quattro mesi, sei protestato ti chiama labanca e ti da lo stesso un finanziamento. Suquella casa ti richiamano e ti dicono “ho unabuona notizia, la sua casa è salita di valore equindi le diamo un ulteriore mutuo su queldelta di valore” e lei ci può comprare la scuolaper i bambini, le vacanze, il Suv eccetera. C’èstata in questa meccanica la sostituzione delreddito da manifattura con il reddito da finan-za; diversamente le cose sarebbero state diver-se, sono andate diverse quando poi tutto è crol-lato.

Poi è stato abrogato il capitale di Marx.Questione di grande interesse, io venerdì sonoa Chatamaus (?) per un seminario sul futurodel capitalismo e il fatto che ci si ponga unaquestione di questo tipo è curiosa; alcuni an-dranno per visitare la tomba di Marx comepellegrini altri andranno lì per assicurarsi chesia ancora sotto e non sia risorto. In ogni casoil fatto che è venuta meno la pressione delleideologie di masse ha consentito la formazionedi un’altra ideologia. Ha consentito la sostitu-

■ NELLA SALA CONFERENZE DELLA BIBLIOTECA STORICA DI CRITICA SOCIALE, DIBATTITO SULL’EUROPA TRA GIULIO TREMONTI E OSCAR GIANNINO

LA “NUOVA FABBRICA GLOBALE” HA SOSTITUTOREDDITO DA LAVORO CON DEBITI FINANZIARI

■ L’ AVANTI! E LA CRITICA NELLA NUOVA SEDE A MILANO

AL TEATRO DEL BORGO IN BRERABIBLIOTECA, ARCHIVI, CONFERENZE, GALLERIE

Pastone

N ella nuova sede della Biblioteca Storica di Critica Sociale e dell’Avanti!, nel“Teatro del Borgo in Brera” a Milano, Giulio Tremonti ed Oscar Gianninohanno dibattuto su “L’Europa nella crisi economica - Riforme o declino” in

occasione della presentazione del libro “Uscita di Sicurezza”. La manifestazione, promossa in collaborazione con il Centro Studi Grande Milano, è

stata introdotta da Ugo Finetti, direttore della Critica e da Daniela Mainini, presidente delCentro Studi. Fitta la presenza di operatori delle imprese e delle professioni, del mondo del-l’economia e del lavoro. Presenti, tra gli altri, i sindaci socialisti di Milano, Carlo Tognoli,Paolo Pillitteri, Piero Borghini e il direttore del Nuovo Avanti! Rino Formica.

“Grazie a Giulio Tremonti, che ha accolto l’invito di Critica Sociale a partecipare a unevento importante, soprattutto nell’ambito dei 120 anni della testata socialista”. ha esorditoUgo Finetti, che ha proseguito con un’analisi dell’attuale situazione italiana ed europea. “Intempi di governo tecnico, viviamo una surreale auto-sospensione del Parlamento, dove i partitipensano soltanto a una ricostruzione di vecchie coalizioni senza fare autocritica su ciò chenon ha funzionato; da una parte, il prevalere di una lettura classista dei problemi della societàitaliana e, dall’altra, un agitare fantomatico del cosiddetto spirito del ’94. “

Davanti alla paralisi delle politica, la lettura della crisi economica proposta da Tremontiin Uscita di sicurezza declina il difficile momento italiano in un contesto internazionale in-stabile, dove le inefficienze degli Stati si intrecciano con il profondo declino dell’Unione Eu-ropea.

“Questa Europa senza radici e senza identità sembra scordarsi da dove viene e rischiapertanto di non sapere dove andare, ammoniscono le pagine di Tremonti, che richiamano op-portunamente la stagione di Jacques Delors alla Commissione Europea e il suo programmadi crescita, sviluppo e competitività. Una strada ora smarrita, che rende quanto mai necessarionon solo rifare l’Italia – dal titolo di un celebre intervento di Filippo Turati nell’ottantesimoanno della scomparsa – ma rifare l’Unione Europea nel suo complesso. Nel libro, le propostenon mancano, a cominciare dalla revisione dei Trattati”.

Per Daniela Mainini è ora “interessante ripercorrere le tappe del pensiero di Tremonti at-traverso le sue precedenti pubblicazioni. Ne Il fantasma della povertà (1995) si osservava conpreoccupazione come l’Europa (che viveva all’epoca un periodo di relativa prosperità) espor-tasse ricchezza e importasse povertà, suggerendo i rischi intrinseci del processo di globalizza-zione in corso. Ne La paura e la speranza (2008), davanti all’aumento della disoccupazione,alla svalutazione dei salari e all’inizio della crisi finanziaria globale, si auspicava che l’econo-mia venisse ricondotta sui binari della morale e dei principi. Ora - sostiene Daniela Mainini -in Uscita di sicurezza, a fronte della speculazione che ha cancellato il ruolo della politica so-vradimensionando il ruolo della finanza, Tremonti spiega come la conseguenza di venticinqueanni di delocalizzazione sia stata la perdita di competitività in Europa. Come riacquistarla?Con le riforme, quelle che la politica non ha completato lasciando campo libero, come in Italia,al governo dei tecnici. Il fallimento delle politica in Italia come in Europa è dovuto a un deficitdi liberalismo a destra e di riformismo a sinistra”. Soprattutto di quel riformismo che BenedettoCroce – ha concluso - definiva la versione liberale del socialismo”. s

CRITICAsociale ■ 73-4 / 2012

zione delle vecchie ideologie sociali, dialetti-che, di rapporto, di tutela, di equilibrio tra illavoro e il capitale che era il mestiere fatto dal-le grandi socialdemocrazie ma non c’è più sta-to bisogno perché il comunismo non facevapiù paura essendosi addirittura i comunisticonvertiti come i più fedeli e feticisti custodidell’ideologia mercatista. E’ cambiata la strut-tura della ricchezza ed è cambiata la dialetticatra i poteri. Quello che era un potere che face-va paura avevi o sentivi il bisogno morale so-ciale e anche politico di andare incontro allemasse non c’era più bisogno perché tutto an-dava per conto suo.

Io credo che ci sia un solo libro che sostitui-sce per ora in attesa di altro i due grandi vecchilibri: la Caritas in Veritate. Credo che nell’En-ciclica Caritas ci sia una rappresentazione nonsolo di fede ma anche di costruzione politicadi enorme interesse, ed è uno dei libri che ciporteranno verso il futuro.

La politica che ha fatto la globalizzazionenon evitabile ma in tempi tragicamente con-centrati… ma poi era difficile pensare che tuttoandasse bene e che tutto fosse positivo e pro-gressivo: l’acqua sale e si alzano tutte le bar-che, non è esattamente così. Da noi in Europanel vecchio mondo occidentale il processo nonè stato e non è tutto solo positivo, pensare cheun cambiamento della struttura del mondo po-tesse avvenire in questi termini senza trauma esenza squilibri era pensare l’impossibile e in-fatti è venuta la crisi e ci siamo dentro.

Mi è stato detto sul libro un rilievo criticoche a volte sento (poco per la verità) e soprat-tutto in contesti polemici e politici: se tu haivisto tutte quelle robe lì perché non hai cam-biato? La domanda la dovrebbero girare alPresidente Obama perché esattamente i feno-meni si sono presentati per tutti i governi e ma-gari non esattamente qualcuno aveva più po-tere degli altri. Io mi sono limitato a rappre-sentare in tutti i documenti politici tutte le po-sizioni che mi sembravano corrette dal miopunto di vista e dal punto di vista del governoitaliano. Se vedete gli allegati al libro sonoesattamente quello che poi è nel libro.

Pensare che al G20 uno riesce a convinceregli altri 19 o in Europa uno riesce a convinceregli altri 26 è….. Ma quello che è al di là dellepolemiche che considero normali, il fatto veroche è cambiata la struttura e la velocità delmondo e allora prima devi capire cosa è suc-cesso poi devi cominciare a cambiare ma nonsarà mai l’opera di uno se non ciascuno devecominciare a capire come si è rappresentato ecambiato il mondo.

In questa logica del capire e tentare di cam-biare vorrei parlare dell’altro e cioè della se-conda parte dell’intervento che vorrei fare an-che in nome dello spiritus loci che ci circonda.Io credo che ci siano due modi per interpretarela storia: un modo istantaneo e un modo stori-co. Il modo istantaneo è che la storia ricomin-cia sempre da ogni circostanza ogni giorno. Lastoria è un punto di partenza. C’è un altro mo-do che è più organico e più storico, esiste lapartenza ma il punto storico in cui sei è unpunto di arrivo ed è arrivo delle tradizioni, ar-rivo delle culture e arrivo delle esperienze chesono fatte dietro di te nel corso dei decenni.

Credo che proprio l’intensità del cambia-mento… c’è una frase molto bella che dice:“Quando il passato non illumina più il futurolo spirito cammina nel buio” per evitare tuttoquesto devi guardare anche quello del passatoche è ancora utilizzabile.

Un’altra cosa che si dice: “Gli alberi noncrescono dai rami, gli alberi crescono sempredalle radici”.

Nel tentativo di rispondere un po’ ancheobliquamente a Oscar provo a dirvi come vedola realtà che abbiamo davanti in questo mo-

mento e non solo in Italia, credo sia utile que-sta analisi e questo esercizio perché la politicadeve basarsi anche su criteri e ideali di princi-pio. Uno può dire che la crisi ha accentuato icaratteri negativi e le distorsioni personali del-la politica, può dire che è umano e a volte tisembra troppo umano. Forse è sempre statocosì ma c’erano anche i grandi ideali e i prin-cipi. Io credo che non ci sia futuro per la de-mocrazia senza politica e non c’è futuro per lapolitica nella democrazia se non si cerca tuttiinsieme di ricostruire un patrimonio di idealie di principi. Naturalmente è una grande dia-lettica che io cerco di rappresentare stressan-dola tra due polarità opposte. Mancherannomolti pezzi, alcuni sono discutibili altri appun-to aggiungibili, ma credo che la grande que-stione in questo momento sia la questione del-la democrazia. Io non credo che la democraziasi riduca nel mercato e invece c’è ed è crescen-te la forza di un blocco di interessi, di pensie-ro, di forza che si unisce nella identità del mer-cato. Io credo che il mercato sia una cosa ne-cessaria ma non è tutto.

Per questa sorta di blocco culturale e ideo-logico che prende anche forza nei Paesi chehanno un grande debito pubblico – diceva Nit-ti: “Duro è dipendere dall’oro alieno” – tutta-via questo blocco che vuole determinare la no-

stra vita, ci rappresenta il mercato come lo sta-to dionisiaco dell’umanità. Io non credo che ilmercato sia il fine ma solo il mezzo su cui dob-biamo organizzare la nostra vita.

Secondo punto. Questo blocco che si stapresentando in tutta Europa (nel più c’è ancheil meno naturalmente) c’è una identità tra unliberalismo economico e un apriorismo asso-luto per cui la realtà deve conformarsi al para-digma astratto. Non può la realtà essere diver-sa da quello stampo e da quello schema, inve-ce io credo che sia giusto pensare che non tuttoè materia e che non tutto è merce, che ci sonopezzi della realtà che non coincidono con lemerci del mercato. Per questo blocco sopratutto c’è la tecnica. Io credo che oltre alla tec-nica c’è anche l’etica politica, quello che sipresenta è un meccanismo che è dall’alto ver-so il basso, è un meccanismo rigido estrema-mente verticale essendo a priori.

Io non credo che la politica possa essere fat-ta solo in questo modo. La politica come la co-nosciamo è stata federale, comunitaria, coope-rativa, sociale, flessibile e non solo rigida everticale dall’alto, come è coerente con loschema del pensiero unico pensato come l’uni-ca forma del pensiero politico possibile, inve-ce io credo che la politica sia anche fatta daicasi della vita, dalle persone, dalle circostanze,

dal cuore e dalla mente delle persone che cicircondano. Secondo questo schema di pensie-ro la tecnocrazia viene prima della democraziae io invece credo che comunque la democraziaviene prima della tecnocrazia. Questo è unoschema per cui di fatto alla fine in un nuovoassolutismo, il mercato è il padrone dello Statoe non credo che noi tutti siamo ansiosi di averenuovi padroni rispetto a quelli che abbiamoavuto nei secoli passati.

Per questo blocco, Egel: “Il popolo è quellaparte della Nazione che non sa quello che vuo-le” invece credo che ci sia nel popolo un sa-pere collettivo che non può essere ignorato,puoi tentare di guidarlo su alcuni tracciati manon puoi sostituirlo. Non credo che Egel, am-messo che qualcuno abbia letto Egel non divoi ma di quell’altro mondo, sappia che cos’èquello che vuole il popolo.

Il popolo per quel blocco è un legno stortoche deve essere raddrizzato con tecniche orto-pediche. Io so quello che è giusto e voglio chetu adatti le tue forme di vita al paradigma cheio avendolo acquisito dall’alto considero quel-lo adatto e quindi il popolo deve essere corret-to, curato, raddrizzato dalle sue deviazioni.

Per essere chiari io non mi sento né arci-ita-liano né anti-italiano ma io voglio bene al mioPaese e non credo che queste forme di terapia

dogmatica siano quelle adatte a un Paese cheha millenni di storia.

Per questo tipo di blocco il voto è un rischioe la formula ideale per la soluzione politica delproblema è sciogliere il popolo ed eleggerneun altro. Io credo che invece la politica, la de-mocrazia, l’etica, non siano altro se non la vec-chia formula del governo del popolo da partedel popolo e a favore del popolo.

La democrazia non è una variabile che di-pende dall’economia e invece per come ci rap-presentano, la democrazia è una variabile chedipende dall’economia. Se i meccanismi del-l’economia sono diversi la democrazia deveentrare in una specie di stato di eccezione, edè impressionante sullo stato di eccezionequanto ha scritto – impressionante il rapportoche c’è tra Turati e Giolitti ma nelle memoriedi Giolitti nell’ultimo volume c’è scritto il ri-torno al governo dopo la grande guerra: “Dopoanni di stato d’eccezione il Parlamento nonesiste più e anzi inizia una parabola di dege-nerazione”. Scritto da un parlamentarista comeGiolitti.

Io non credo che lo stato di eccezione chediventa più Stato che eccezione perché diventala regola sia la formula giusta per investire sulfuturo di un Paese come il nostro. Per esserechiari io non credo al governo dei migliori per

innata modestia ma soprattutto perché io nonconosco meglio che non sia il popolo e noncredo che il massimo della popolarità sia a pre-scindere dal popolo. E’ anche facile in certefasi avere una grande popolarità proprio per-ché prescinde dal popolo, ma alla lunga credoche la popolarità di un governo possa basarsisolo sull’opinione del popolo.

Poi tante altre cose. La ideologia del merca-to ti porta a pensare che la cosa fondamentaleè l’avere. Qualcuno potrebbe dire che è impor-tante l’avere ma è importante anche l’esserecon tutto quello che deriva in termini di eticadi passione e di morale. Io non credo che la fe-licità stia nella concorrenza, nella spinta ver-tiginosa nella competitività verso la concor-renza, è una cosa che puoi considerare impor-tante ma credo che sia più importante non la-sciare indietro nessuno. Poi tante altre coseche ci portano alla grande questione politica,forse questo è un punto di risposta a Oscar.

E’ stato detto che il modello sociale europeoè morto molto autorevolmente e molto banca-riamente è stato detto. Non so se è morto sochi è l’assassino e non credo che per il nostropresente e il nostro futuro la formula dellamorte dello stato sociale sia quella valida. De-vi tenere conto dei fattori che ne hanno ridottola forza forse anche a un certo punto l’illusionefinanziaria, il vecchio continente ha finito lasua rendita coloniale che è durata molto piùdelle colonie, io sono tanto vecchio da ricor-dare il vecchio G7 e tanto giovane d’aver vistoil G20, la rotazione è stata molto importante,la configurazione del mondo ancora fino a po-chi anni fa era verticale, noi piazzavamo i no-stri titoli, i nostri prodotti quando volevamo eai prezzi che volevamo. I rapporti di forza so-no radicalmente cambiati e dobbiamo tenereconto di questo, non possiamo andare avanti aprodurre più deficit che prodotto interno lordoma non possiamo rinunciare al modello socia-le fondamentale dello stato sociale.

Se c’è una formula alternativa molto piùumana ed efficace al mercato tout court èl’economia sociale di mercato che dice: il mer-cato fino a dove è possibile e la comunità doveè necessaria. Tutto insieme nell’insieme.

Io credo che una fase storica si sia aperta.La crisi ha aperto degli scenari di enorme com-plessità ed è anche drammatica. Non è finita èstato detto da Oscar e condivido. Non è cheapplicare il decreto Sindona su più vasta sca-la… Dice le aste di liquidità. Beh sai se troviuno che ti dà i soldi gratis quella non è un’astama è liquidità e basta e se te li dà senza condi-zioni… Mi hanno detto anche tu l’hai fatto. Ivecchi bond omonimi erano all’8% avevano ilvincolo d’impiego nelle piccole e medie im-prese e c’era il divieto di bonus.

Non credo che la crisi sia finita e credo chel’enorme quantità di liquidità produca effetti di-storsivi e non risolutivi. Oggi si legge sui gior-nali: è stata fatta perché la situazione era cupa.Appunto. Allora la domanda è dove e come eperché era cupa? Agisci su una situazione cupaimmettendo liquidità cioè immettendo droga ocercando di cambiare alla radice le cause?

Io davvero credo che si debba evitare diconfondere la malattia con la cura e i becchinio gli untori con i dottori e si debba ragionaresulle cause e non sugli effetti e poi si arriva esi prepara la prossima e ancora più grave crisi.Proprio per questo perché c’è la crisi perchécontinua perché le formule e la soluzione l’ag-gravano e non la risolvono credo che sia fon-damentale un ragionamento della politica sullapolitica e in questi termini soprattutto sui prin-cipi e sui valori.

Alla ricerca di una formula di chiusura Sha-kespeare in Giulio Cesare dice: “Il vostro de-stino non cercatelo sulle stelle ma cercatelodentro di voi”. s

8 ■ CRITICAsociale3-4 / 2012

Oscar Giannino

R ingrazio tutti coloro che mihanno chiesto di intervenire esono grato del fatto che a Mi-

lano esista un luogo di confronto come il Tea-tro del Borgo; non tanto un pezzo di storia, maun vero e proprio foro di critica intellettuale diciò che avviene nei nostri tempi. Entrando inquesto luogo, ho la stessa sensazione che micoglie tutte le volte che leggo sul Foglio le let-tere di contributi di Rino Formica: mi ricordadi quando ero ragazzino e stavo nell’anticame-ra del Consiglio dei Ministri del governo Spa-dolini e magari qualche volta sentivo Rino, al-lora ministro, che animatamente interveniva.

Tenete conto che quando mi sono cimentatoa livello universitario in Scienza delle Finanze(la mia prima laurea è stata in Giurispruden-za), a darmi gli schiaffi in faccia durante le le-zioni di ripetizione (dicendomi “sei un capro-ne, meglio che ti dai ad attività del tutto di-verse da quelle professionali”) era Bruno Vi-sentini. Quindi, vive in me, è presente il rico-noscimento e la gratitudine per chi sa usare latesta e continua a usarla nei confronti diun’Italia che è cambiata. Sì, è cambiata, peròha bisogno di gente che usi la testa. Questo èil motivo per il quale devo essere grato sem-pre a Giulio Tremonti, che negli anni ha avutola benevolenza di tenere sempre aperto un filodi confronto diretto intellettuale. La mia èsempre stata stima assoluta per quello che hafatto, perché credo che tenere le redini deisuoi compagni di governo che volevano unaspesa in proporzioni molto maggiori di quellache abbiamo visto sia stato un compito diffi-cilissimo.

Inizio sottolineando ciò che mi fa piacerenon sia stato colto dai media di questo libro, eche invece temevo si fosse pronti a utilizzare.Mi riferisco ad alcune espressioni che, se in-dicate come pilastro di questo lavoro, rischie-rebbero di sviarlo, di sviare il lettore che nonconosce l’evoluzione e il pensiero di GiulioTremonti, che non conosce da cosa nasca que-sto libro.

Per esempio, non ci sono stati media chehanno tentato di ridurre questo libro a una spe-cie di attacco alla finanza e alle banche inquanto tali. Vi sono espressioni in questo libroche testualmente lo lasciano presagire, mavanno contestualizzate. Mi ha fatto piacere chequesto libro non sia stato utilizzato per ridurloa uno slogan mistificante.

Alcuni attendevano che il lavoro di Tremon-ti proponesse una specie di cronaca ex post didivisioni interne al governo in carica fino al-l’autunno scorso. Del governo Berlusconi,Tremonti non fa cenno, correttamente, perchéil suo libro discetta del problema della curvastorica in cui stiamo. La curva storica comin-cia nel 2007, la prima parte di una crisi che èquella di insostenibilità di un modello di inter-mediazione finanziaria. Un modello che hacreato per venti anni prodotti e servizi finan-ziari finalizzati ad annullare il rischio dell’im-prenditore e il rischio dell’emittente copertosolo dal rischio del raggio intermedio. I primianni della crisi riguardano l’eccesso dei con-sumi privati, finanziati dal debito del mondoanglosassone. Poi c’è una seconda parte dellacrisi, che riguarda gli eccessi di consumo pub-blico finanziati dal debito ma, in larga misura,

con le stesse tecniche. Non egualmente spre-giudicate a dire la verità, perché le emissionisovrane non possono permettersi neanche lon-tanamente articolazioni di disinvoltura comequelle dei prodotti di debito privato; però sonodue facce della stessa medaglia.

Ciò di cui mi dolgo è che tanti miei colleghi,molto più autorevoli di me e che scrivono sutestate impegnatissime che lasciano un segnoe diventano i battisteri dei governi, non abbia-no capito che nel libro vi è una ricostruzionecronologica dei summit europei di questi anniche dà due chiavi di lettura inedite. Il fatto chele dia chi a quei vertici ci andava rappresentaun grande spunto di riflessione.

Il primo spunto di riflessione si riferisce alpassaggio di un euro-vertice che avviene nelmaggio 2010 rispetto a quello del novembredi quell’anno. Nel maggio del 2010 scopriamola crisi dell’eccesso del debito pubblico euro-peo col caso greco e vi è una risposta comuneeuropea, che Giulio Tremonti indica come unabbozzo di buona risposta, perché vi è l’impe-gno al rigore, alla solidarietà politica e un se-gno d’inizio di riforma costituzionale. A no-vembre le carte cambiano, a novembre i fran-co-tedeschi decidono che i paesi euro-membripossono fallire. Di lì inizia la storia che per ilmomento è arrivata a una prima parziale con-clusione poche settimane fa con il default pi-lotato della Grecia, con un abbattimento delvalore nominale del totale del suo debito pub-blico già emesso del 70%. Tuttavia, il concettoche accelera la crisi della divergenza politicain Europa è il riconoscimento che gli Statimembri dell’Europa possono fallire.

Dietro quella svolta c’è stata una consape-volezza diffusa delle classi dirigenti politicheeuropee? Dal libro sembra di no, io credo che

si possa dire di no. Di sicuro, nel nostro Paesetutto questo non è stato affrontato, dibattuto ecompreso per quello che significava davvero.Di lì balza la divergenza degli spread.

Secondo spunto su cui mi aspettavo invecequalche riflessione, ma evidentemente è ma-teria troppo incandescente rispetto alla cronacapolitica e all’indirizzo che ha preso l’Europain questi mesi: la lettera apostolica, come vie-ne definita nel libro. La lettera apostolica èquella che la BCE indirizza all’Italia il 5 diagosto dell’anno scorso e da cui derivano delleconseguenze decisive: dopo la manovra pre-cedente del governo Berlusconi, la manovrasuccessiva e il cambio di esecutivo in Italia.La lettera apostolica è significativa per chiun-que abbia a cuore l’equilibrio che ci deve es-sere tra politica, governi, sovranità nazionale,delega di sovranità all’Europa e l’architetturaeuropea che abbiamo costruito, che è un’archi-tettura senza banca centrale. Quella lettera è ilcrinale della politica che viviamo oggi: quelloche conta di più, purtroppo e per fortuna, è lacurva di crescita europea non quella italiana.Noi invece viviamo tempi in cui siamo con-vinti che, dopo il fallimento pilotato greco edopo la discesa di 250 punti degli spread, ilpeggio sia alle spalle.

Io condivido l’idea del mio carissimo ami-co, molto più bravo e intelligente di me, che sichiama Willem Buiter, Chief Economist di Ci-tygroup. Willem non è un banchiere, ma è fi-glio di un ex ministro socialista olandese, ungrande economista del lavoro socialdemocra-tico che ha fatto le riforme nell’Olanda del pri-mo dopoguerra. Willem invece è diventato uneconomista liberale, ha servito per anni il co-mitato di politica monetaria di Bank of En-gland, poi se n’è uscito, e, non troppo d’accor-

do sulla disinvoltura delle leve finanziarie del-le banche anglosassoni, ha iniziato a criticarleduramente. Pensate che nel 2009 scriveva cheCitygroup era il più grande conglomerato fi-nanziario, capace di violare tutte le norme diprudenza finanziaria, qualunque fosse lo spet-tro dei suoi prodotti; eppure sei mesi dopo lohanno implorato di diventare il loro ChiefEconomist. Recentemente, Willem Buiter hadetto, riferendosi alla situazione europea, che,dopo il fallimento pilotato greco e dopo la di-scesa degli spread, “il peggio deve ancora av-venire”.

Perché il peggio deve ancora avvenire? Per-ché non siamo intervenuti sul meccanismo elo abbiamo raffreddato con le aste straordina-rie di liquidità della BCE a gennaio-febbraio.Noi teniamo in piedi il paradosso, figlio del ci-tato euro-vertice di novembre 2010, per cui c’èun limite strettissimo e non bisogna dare unamano agli Stati. Tuttavia, il limite è stato ag-girato dopo due anni di quasi crack e ci si è in-ventati un meccanismo per cui la Banca Cen-trale Europea inonda di liquidità tutte le ban-che europee in cambio di garanzie che nonhanno prezzo. Tramite questo meccanismo siaggira il succitato veto, solo formale, perchéle banche hanno i soldi. A quel punto, per ri-capitalizzarsi loro, le banche hanno i soldi perripresentarsi all’asset del debito pubblico, glispread si abbassano, le banche hanno le risorseper coprire la propria necessità obbligazionariaperché l’interbancario non è ripartito. Tuttavia,non è che le banche abbiano ora i soldi persovvenzionare le imprese e le famiglie, e quin-di è chiaro che il meccanismo che ci si è in-ventati rappresenta un’illusione. Così rifletten-do, credo di essere in linea col pensiero di Tre-monti.

Detto tutto questo, abbiamo di fronte a noimesi e anni in cui o si re-interviene sul com-promesso politico europeo, o si unificano imercati e si adotta un diverso Statuto dellaBCE, oppure questo problema resta aperto difronte a noi.

Il libro di Tremonti propone alla fine quattropossibilità di sviluppo dell’attuale fase di stal-lo. Di queste quattro una per il momento nonsi è verificata e speriamo che non si verifichi:è il break-up, l’uscita dall’euro. La seconda èquella di assistere passivamente al fatto che gliavvenimenti ci prendano la mano (ed è stataquella predominante fino a un certo punto);poi c’è la terza, e cioè un compromesso costi-tuzionale nuovo, che deve essere necessaria-mente unita, a mio avviso, alla quarta possibi-lità di sviluppo, ossia una grande alleanza po-litica con i popoli, che si rifaccia alla lezionedi Franklin Delano Roosevelt.

Questa è la conclusione del libro.La prima osservazione che propongo è in-

tesa a imboccare la strada di una riforma e diun’Europa federale capace di solidarietà poli-tica e di cambiare anche lo Statuto della BCE.C’è chi, come Giuliano Ferrara, vuole unaBCE come la FED, cioè un’istituzione che diacopertura illimitata al debito pubblico federa-le. Personalmente, sostengo che, se vogliamouna BCE come la FED, bisogna che gli stessipolitici che imboccano questo modello sianodisposti all’unione dei mercati dei beni e deiservizi europei. Perche? Perché se diamo lapossibilità a un unico tasso di interesse di eser-citare, attraverso il principio dei vasi comuni-

■ LA CRISI SFUGGE DI MANO NEL MOMENTO IN CUI IL DUO FRANCO- TEDESCO PRENDE IL SOPRAVVENTO SULL’EUROPA

SPECULAZIONE È ANDATA A NOZZE DA QUANDO“I PAESI DELLA UE POSSONO FALLIRE”

CRITICAsociale ■ 93-4 / 2012

canti, l’equilibrio di curve e di costi di infla-zione e di produttività diverse – la produttivitàè andata a divergere negli otto primi annidell’Europa, non a convergere – il tasso di in-teresse unico non regge: questo è ciò che ci in-segnano centinaia di esempi di unione mone-taria nella storia. Allora, bisogna che quei po-litici che imboccano la terza strada propostada Tremonti aprano al principio dei vasi co-municanti europei nel settore delle professioni(avvocati, ingegneri, ecc.) e di quelle attivitàeconomiche che sono regolamentate attual-mente a livello nazionale.

E’ disponibile la politica a farlo? Significaper la politica fare un grande passo indietro,significa smontare tutte le autorità nazionalidelle telecomunicazioni, dell’energia ecc., e ariconoscere che il vero ambito è quello euro-peo. Il che non significa non preservare le pro-prie piattaforme di interesse nazionale, ma ri-conoscere la necessità di unire i mercati.

Ricordo il dibattito sulla Direttiva Bolke-stein sull’unificazione dei servizi. L’idraulicopolacco sembrava dovesse entrare nelle casedi tutti a stuprare mogli e fidanzate, ma dietroc’era un’altra logica, che privilegiava i mercatinazionali. Se vogliamo i mercati nazionali,una moneta comune e una banca centrale di-versa non le avremo mai.

Come la pensa Tremonti?La seconda osservazione ha a che vedere

con il quarto punto di Tremonti: la grande al-leanza tra politica, Stati, popoli perché nonpossiamo fare dei popoli, e di chi è a più bassoreddito in particolare, le vittime sacrificali diquesta situazione. Sono loro le vittime sacrifi-cali? Sì, certo che lo sono, lo sono in Europa,in Grecia come in Spagna, in Portogallo comein Olanda e continueranno a esserlo. L’Olandaha scoperto che deve correggere quest’anno di1.8 punti percentuali il suo deficit e, per arri-vare a fare il 4.5 nel 2013 (peggio di noi l’annoscorso), dovrà tagliare di un altro punto e mez-zo l’anno prossimo. Rajoy, appena vinte le ele-zioni, ha scoperto di aver ereditato un deficitda Zapatero dell’ 8.5% (non di 6) e dovrà arri-vare al 4.4. Gli spagnoli faranno la quinta ma-novra in un anno e mezzo, hanno la disoccu-pazione al 23%. Loro sono le vittime, quelli abasso reddito e a bassa qualifica di capitaleumano, quelli che non possono scappare daglieffetti delle strette recessive.

Per evitare questo, dobbiamo fare una rifles-sione su come è cambiato lo Stato e com’è ilsuo debito di paese in paese. Lo Stato, tuttavia,sta cambiando. Non intermedia più il 30% delreddito nazionale, ne intermedia più del 50, il52%. La pressione fiscale è salita a livelli re-cord ed è a livelli record sull’Italia legale ri-spetto a quella grigia e a quella nera.

Mi capita spesso di dover spiegare agli stu-denti che cosa sia il debito pubblico – mi di-spiace dirlo ma arrivano a laurearsi in Econo-mia e Giurisprudenza col 3+2 avendo studiatoniente rispetto alle passate generazioni. Ciòpremesso, quando devo ricordare agli univer-sitari che cosa sia il debito pubblico, propongosempre la medesima sintesi. Ci sono quattroscuole, due keynesiane e altre due dove mi ri-conosco io. Quali sono le due scuole keyne-siane? Una quella di Abba Lerner – uno chedagli anni ’30 fino a che è vissuto alla fine de-gli anni ’80 anticipava Keynes più che seguir-lo. Un grandissimo. Io ho avuto la fortuna diconoscerlo quando ero giovanissimo – AbbaLerner diceva: “Il debito pubblico è il debitodi tutti con tutti nella comunità nazionale”. Seuno la pensa così anche con debiti pubblici del120% del PIL, è ovvio che la risposta per sa-nare un eccesso di debito diventa la patrimo-niale: chi ha di più dà di più, perché il debitoè di tutti con tutti.

Seconda versione keynesiana è quella di

Paul Samuelson. Egli afferma che il debito èasintoticamente sempre sostenibile anche se èal 120%, anche se è al 220%, del PIL. E’ suf-ficiente che il regolatore, d’accordo con la po-litica – ecco che tipo di banca centrale avere –tenga i tassi di interesse nominali più bassi del-la crescita del PIL. In tal modo, il debito saràsempre sostenibile. Noi però abbiamo un altromodello. Abbiamo celebrato il divorzio dellaBanca d’Italia dal Tesoro per consentire di al-zare i tassi, perché la politica non le dava retta:è lo stesso modello della BCE.

Poi ci sono due risposte diverse, quelle of-fertiste. C’è n’è una che deriva dalla tradizioneaustriaca che afferma: no, il debito pubblico èsemplicemente un debito acceso dai politici dioggi e da tanti concittadini di questi politici dioggi che se ne avvalgono e incamerano un belvantaggio e va sulle generazioni future. E’ ir-responsabile e va contenuto.

Quarta definizione sempre offertista, quelladi Ken Arrow che insieme a Franco Modiglia-ni afferma: no, oltre che essere un debito sullefuture generazioni, è un debito che già attual-mente i contribuenti scontano perché, siccomehanno capito che (anche se i politici dicono dino) quel debito si risolverà sempre con tasseaggiuntive, iniziano a risparmiare invece cheinvestire e a consumare.

Se si crede al primo approccio keynesiano,la risposta a debiti così elevati è la patrimonia-le; se si crede alla seconda corrente keynesia-na, bisogna fare nuove emissioni di debitopubblico bypassando gli investitori esteri echiedere agli italiani di sottoscrivere quanto-meno titoli pubblici; se si crede alle altre due– io credo alle altre due – si ritiene che un ec-cesso di stock si risolva con lo stock e non conil conto economico. Quando hai il 120% di de-

bito pubblico, lo Stato per abbatterlo cede robasua. E se credete alla quarta – io credo ancorapiù alla quarta che alla terza – non solo biso-gna abbattere le quote del debito pubblico conquote di patrimonio dello Stato, ma bisognaanche aggirare il conto economico; cioè biso-gna tagliare parecchia spesa corrente per aprireimmediatamente spazio al fatto che la gentecreda che per anni potrà riprendere a investiree a consumare invece che a pagare imposte,tasse e contributi che salgono.

Noi, da venti anni, dai tempi delle manovredi Giuliano Amato, o per entrare nell’euroquando siamo diventati sospetti col centrosi-nistra, con Visco, con Padoa Schioppa fino algoverno Monti, abbiamo sempre seguito lastrada di un debito crescente rispetto al qualebisognava fare avanzi primari del 5-6%, fattial 70-80% solo da più tasse. Dove vogliamoarrivare lungo questa strada? Lo Stato dovrà

attingere ancora dalle tasche della gente? Vor-rei evitarlo, sennò si aggiungono alle vittimedella cattiva Europa le vittime delle strette re-cessive dei Paesi più indebitati a bassa cresci-ta, come appunto l’Italia.

Terza osservazione. Se andiamo a vedere iproblemi dell’Italia, scopriamo che sono ante-cedenti all’euro e alla globalizzazione: crescia-mo poco da quindici anni, non dai dieci del-l’euro, per tante ragioni. Evidentemente, perconcludere quell’alleanza prefigurata da Tre-monti, c’è bisogno di uno Stato capace di farsilo screening e di fare tutto quello che non hafatto in questi venti anni per diventare piùsnello ed efficiente e dare alla gente la vogliadi scommettere sull’Italia, come nel secondodopoguerra. Oltre a questo, vi sono i problemiche riguardano la produttività dei mercati do-mestici. C’è chi lavora al riparo di prezzi e ta-

riffe, di finte gare organizzate dalla pubblicaamministrazione; sono centinaia e centinaia diimprese, sono milioni di lavoratori che in re-altà in questi anni si sono assolutamente auto-organizzati a lavorare con uno Stato inefficien-te. Da ciò deriva la bassa produttività italiana.Chi esporta nel manifatturiero è tornato ai li-velli pre-crisi, anche se i volumi sono di 22punti di produzione industriale inferiori. Ciòvuol dire che c’è un’Italia capace di fare piùvalore aggiunto e ce n’è una che si è acconcia-ta per via dell’intermediazione pubblica a bas-sa produttività.

Tutte le volte che si prova in Italia a direqueste cose la reazione che viene dal corpo diuna società che sta male è la seguente: datoche il reddito disponibile è sceso e scenderàulteriormente viste le pretese dello Stato inquesti tre anni per il Fiscal Compact, la gentenon vuole rinunciare ulteriormente a quel pocoche ha. E’ un punto aperto perché se si mira aun’alleanza con la parte degli italiani presanella morsa nel reddito disponibile e che sisforza di pagare le tasse e i contributi, e se vo-gliamo fare le riforme, le liberalizzazioni nonbastano, soprattutto alla luce delle continuebattute d’arresto sulla riforma del mercato dellavoro.

Quarta osservazione. Poiché stiamo par-lando dell’Europa da costruire e delle sue con-seguenze sull’Italia, chiedo a Tremonti: Dob-biamo sperare che questi problemi venganosollevati alle prossime elezioni continentali, acominciare dalle presidenziali in Francia il 22aprile e il 6 maggio? (Elezioni vinte poi dal so-cialista Francois Hollande). A sollevare le que-stioni sono più i candidati socialisti dei con-servatori, perché l’Europa disegnata dai verticidegli ultimi mesi è un’Europa a prevalenzamoderata e conservatrice. Dobbiamo sperareche vinca Hollande in Francia? Non lo so. Iofrancamente ho qualche remora, perché temoche, nel breve, uno spread di nuovo impazzitodia ancora più forza ai sostenitori del FiscalCompact.

Nel 2013 si rischia di ripiombare nella stes-sa situazione del 2011, con un nuovo innalza-mento degli spread. A PIL contratti, gli italiani,che hanno preso l’impegno di azzerare il defi-cit al 2013, non riusciranno a realizzare le en-trate fiscali con un PIL da -2% quest’anno e -2 l’anno prossimo. Questa è purtroppo unacurva che non si può escludere. Fine delle mieosservazioni.

Il problema non è di alternativa politica, madi misurarsi su ciò che Giulio Tremonti testi-monia in questo libro, parlando di come ècambiata di fatto, nel 2010, la non risposta eu-ropea al problema di una intermediazione fi-nanziaria alla quale non si sono date regolenuove. Non le abbiamo date in Europa e, a miogiudizio, anche la nuova legge bancaria ame-ricana è la classica dimostrazione del regolatoche si compra il regolatore. Un comportamen-to simile a quello che ha alimentato la crisi perdecenni.

Sono molto curioso di registrare la posizio-ne di Tremonti, ma prima voglio concluderecon una nota a un tempo ottimistica sull’Italiae pessimistica sull’Europa. Guardando lastampa europea in questi anni, mi sono resoconto che i mali sono molto più condivisi diquanto si creda. Non pensiamo che il dibattitoin Germania sia elevatissimo e siano i saggi adominarlo! Se voi leggete il Bild tutti i giorni(dieci milioni di lettori), avrete un’idea moltodiversa di come i tedeschi pensano a noi e adaltri Paesi europei. Francamente vi passanoidee a volte molto più rozze delle peggiori roz-zezze a cui pure la politica italiana ci ha abi-tuato in questi anni. Anche da questo punto divista, è necessario un cambio di passo che siadavvero europeo. s

10 ■ CRITICAsociale3-4 / 2012

Abrogazione del rimborso diretto ai partitida parte dello Stato e introduzione di un cred-ito d’ imposta del 95 per cento sui contributiche i cittadini decidono di versare alla politi-ca, fino ad un tetto massimo di 2.000 euro. E’il meccanismo elaborato nel seno della Fon-dazione Don Sturzo dall’ economista Pellegri-no Capaldo e formulato in una proposta dilegge di iniziativa popolare che e’ stata de-positata alla Cassazione per avviare la rac-colta delle firme che in pochi giorni sono reg-istra già’ migliaia di adesioni.

L’ idea di fondo e’ quella di non negare ilcosto pubblico della politica, ma di rovescia-rne l’ attuale logica, togliendo allo Stato ( e aipartiti) la scelta sui finanziamenti per resti-tuire dando ai cittadini - con la possibilità’ didecidere quali partiti sostenere - l’ occasionee lo strumento per tornare a coinvolgerli nellavita dei partiti. Una rivoluzione copernicanache lascia allo Stato l’ onere del peso econom-ico, mentre ai cittadini la libertà di scegliere.

Un piano che prevede, in ogni caso, un forterisparmio per le casse dello Stato, poiché e’improbabile che il versamento “ pubblico” de-ciso dagli elettori possa raggiungere le cifreastronomiche degli attuali rimborsi elettorali.

Fin qui una sommaria illustrazione dellaproposta che ha il grande merito di rimettereal centro della vita politica l elettore. Il sec-ondo grande merito, la vera innovazione dellaproposta, va tuttavia al di la’ del campo de-limitato del finanziamento ai partiti. Infatti in-troduce un concetto nuovo, quello di “elettore-contribuente”, l idea cioè che si amministranoanche a distanza i soldi dati allo Stato, inquesto caso per finanziare i costi dell’ associ-azionismo democratico: ma e’ un criterio chese esteso ad altre sfere della vita pubblica - in-nanzitutto i servizi alla persona, la scuola, lasanità’, investimenti pubblici per le infrastrut-ture utili a sostenere l offerta di lavoro sulmercato - rivoluziona (molto più in profondità’di quanto promesso dal federalismo fiscaleleghista) la natura della rappresentanza polit-ica, che si fa più diretta nel suo esercizio, conuna catena di comando più breve dalla con-tribuzione alla spesa. E che rivoluziona lastessa struttura del bilancio dello Stato, comechiedono i sindaci in occasione dell’ IMU: isoldi relativi alle spese locali restano sul postoe lo Stato, per pari importo e capitolo, non hapiù necessita’ di iscrivere alcuna somma neitrasferimenti ai comuni.

Che questa “rivoluzione copernicana” del-la rappresentanza politica e del suo contenutodi autogoverno parta dalla riforma del fi-nanziamento ai partiti e’ significativo.

La riqualificazione della partecipazione al-la vita politica dei cittadini nei partiti politicie’ il primo passo per riqualificare dal degradodell’ ultimo ventennio di seconda repubblica,la partecipazione piu’ ampia alla vita politicarepubblicana, in modo più’ coinvolgente e di-retto, amministrando in collaborazione con loStato, le private risorse che ciascuno mette adisposizione delle istituzioni pubbliche, nonperché’ “ imposte”, ma da “contribuente” (cioè’ come “contributo” e quindi cogestito)alla vita pubblica.

Qui il nesso tra bene comune ed interesseprivato, tra associazione e libertà.

In queste pagine pubblichiamo uno studiocondotto sulla proposta di Pellegrino Capaldoda Rino Formica e Salvatore Tutino. Si rilevauna necessaria correzione, dall’analisi cheemerge.

Rino FormicaSalvatore Tutino

IL MECCANISMO

La proposta di legge, nell’abolire il rimborsoper le spese elettorali introdotto dalla L.157/1999, prevede che ai cittadini italiani cheerogano contributi volontari in denaro in favo-re di movimenti e partiti politici sia ricono-sciuto un credito di imposta pari al 95 per cen-to dell’ammontare del contributo stesso, finoad un importo massimo di 2.000 euro.

Ne consegue che, a fronte del contributomassimo annualmente agevolabile, l’onere ef-fettivo che resterà a carico del cittadino saràpari a 100 euro.

I “restanti” 1.900 euro daranno invece luogoalla maturazione di un credito, immediatamen-te “spendibile” per saldare un qualunque de-bito con il fisco, configurandosi come una“spesa fiscale” che andrà ad impattare negati-vamente sul livello del gettito Irpef.

DAL VECCHIO E NUOVO SISTEMADI FINANZIAMENTO

Il passaggio dal vecchio al nuovo sistema e’previsto con una gradualità che si estende percinque anni, sia per mettere a punto il mecca-nismo alla luce delle adesioni, sia perché – adetta dei proponenti - ‘’i partiti per recupera-re la credibilità e la fiducia dei cittadini hannobisogno di tempo’’.

Peraltro, “la proposta è stata formulata nelpresupposto di una sostanziale neutralità peril bilancio dello stato nel senso che l’entità deicrediti di imposta derivanti dall’applicazionedel nuovo sistema non dovrebbe essere supe-riore agli importi erogati a partiti e movimentipolitici con il sistema attualmente in vigore”.

LA REGOLAMENTAZIONE AMMINISTRATIVO-CONTABILE

È previsto che i soggetti beneficiari si iscri-vano in un elenco tenuto presso il Ministerodell’Interno e che i contributi vengano versatisu conti correnti e postali specificamente epreventivamente indicati all’Agenzia delle En-trate dai singoli organismi che intendano esse-re destinatari dei contributi agevolati.

E’ altresì previsto che:– la banca, a fronte del versamento del con-

tributo, rilascia al soggetto erogante una di-chiarazione attestante l’avvenuto versamento,con indicazione della persona fisica che lo haeseguito, dell’importo e della data del versa-mento medesimo, senza necessità di indicareil partito o movimento politico beneficiario delcontributo medesimo. Tale dichiarazione, de-nominata “buono d’imposta”, costituisce titoloidoneo per fruire del credito d’imposta;

– il movimento o partito politico beneficiariodel contributo è tenuto a dare evidenza in ap-posito rendiconto annuale, ai sensi dell’articolo8 della legge 2 gennaio 1997, n. 2, delle sommericevute mediante i versamenti certificati.

I SOGGETTI INTERESSATI DAL NUOVO SISTEMA DI FINANZIAMENTO

Teoricamente, tutti i contribuenti-persone fi-siche possono effettuare erogazioni, e senzaalcun limite d’importo, ai sensi della norma-tiva proposta. Si tratterebbe, dunque, dei circa42 milioni di soggetti Irpef.

In realtà, si può ipotizzare che i versamentiriguarderanno soprattutto quei contribuenti chetrovano immediata “capienza” per utilizzare –in abbattimento dell’Irpef dovuta - il creditod’imposta riconosciuto dallo Stato; e che, d’al-tra parte, i versamenti individuali tenderanno a

concentrarsi in prossimità della somma massi-mamente agevolabile (i ricordati 2000 euro).

Ne discende che, dei 42 milioni di contri-buenti Irpef, i potenzialmente interessati dalnuovo sistema di finanziamento della politicasarebbero quelli che evidenziano un’impostadi almeno 2,34 migliaia di euro: ossia i 21 mi-lioni che si collocano oltre i 15 mila euro direddito dichiarato e sui quali si concentra quasitutto l’onere Irpef1 (Tavola 1).

Se tutti questi contribuenti utilizzassero ap-pieno (fino al tetto dei 2000 euro) l’opportu-nità offerta dalla nuova normativa (Tavola 2,ipotesi A), l’importo del finanziamento ai par-titi raggiungerebbe un livello stratosferico: 42miliardi, in parte sostenuto dai medesimi con-tribuenti (2,1 miliardi), ma per la maggior par-te (39,9 miliardi) gravante sull’Erario, che ve-drà ridotto di un pari importo il gettito Irpef.Risultati irrealistici; anche alla luce del pro-cesso di razionalizzazione in corso sul versan-te delle agevolazioni fiscali (tax expenditures).

Si possono, allora, considerare altre due ipo-tesi. L’ipotesi B, sempre sintetizzata nella ta-vola 2, prevede che solo 1 contribuente su 20(il 5%) sia attratto dal nuovo finanziamento“volontario”. Poco più di un milione di sog-getti, dunque, che riverserebbero sui partiti ol-tre 2 miliardi di euro annui, sostenendo unonere effettivo di “appena” 100 milioni. Dietrodi essi il finanziamento resterebbe invece so-stanzialmente pubblico: il credito d’impostache lo Stato dovrà onorare ammonta infatti a2 miliardi annui.“

C’è infine un’ipotesi C, in cui si assumeche l’adesione alla nuova normativa coinvolgasolo (e tutti) i contribuenti con un reddito me-dio-alto (da 50 mila euro in su). Si tratta di 1,9milioni di soggetti che farebbero confluire nel-le casse dei partiti 3,8 miliardi annui. Ma an-che qui, l’onere effettivo sostenuto dai cittadi-ni (0,2 miliardi) sarebbe pari solo a un dician-novesimo di quello che ricadrebbe sull’Erario.

L’AGEVOLAZIONE “POLITICA”NEL SISTEMA DELLE

AGEVOLAZIONI IRPEF

Ma come si colloca l’agevolazione fiscaleaccordata a chi finanzia i partiti nel contestodi un sistema Irpef che riconosce variamenteil merito e la portata di talune spese sostenutedai contribuenti ?

Nella Tavola 3 è richiamata una parte (quel-la più significativa ai nostri fini) dell’ampiacasistica prevista dalle norme vigenti

Si ricavano le seguenti indicazioni:a) il meccanismo del credito d’imposta pre-

visto dalla proposta in esame sarebbe del tuttoinnovativo nel sistema Irpef, che è basato sul ri-conoscimento di deduzioni d’imposta (che van-no ad abbattere l’imponibile) e di detrazionid’imposta (che riducono direttamente l’impostalorda). La differenza non è da poco. Il “creditod’imposta” rappresenta una sorta di assegnoconseguibile e spendibile (magari per pagareun’altra imposta, ad esempio l’IMU) anche daicontribuenti che non devono alcunchè di Irpef.Deduzioni e detrazioni, invece, accordano unvantaggio che si concretizza solo in abbattimen-to dell’Irpef dovuta, verificandosi diversamenteil fenomeno della c.d. incapienza;

b) un recupero di spesa di dimensioni cosìrilevanti come quella accordata al finanzia-mento dei partiti (95%) non ha pari nel regimeIrpef. La quota di detrazione più alta è quella

■ POSITIVA LA PROPOSTA DEL PROFESSOR PELLEGRINO CAPALDO. MA IL CONTRIBUTO VOLONTARIO DEVE SUPERARE IL VANTAGGIO FISCALE

UNA RIFORMA DEL FINANZIAMENTO AI PARTITI

CRITICAsociale ■ 113-4 / 2012

riguardante le spese finalizzate al risparmioenergetico (55%) e alla conservazione del pa-trimonio edilizio (oggi al 36%). Per il resto, lapercentuale di detrazione è fissata al 19%, an-che per tipologie di spese simili, sia pure suimporti più elevati (erogazioni a movimenti epartiti politici, fino a 103.291 euro di spesa);

c) il vigente meccanismo delle deduzioniconsente talora di vedersi fiscalmente ricono-sciute spese di ammontare molto elevato (ero-gazioni alle Onlus, alle ONG, alla ricerca) mail concorso dell’Erario non supera mai il 45%(43% dell’ aliquota massima Irpef + addizio-nali regionale e comunale), incentivando e“premiando” soprattutto i redditi alti;

d) il credito d’imposta per il finanziamentodella politica combina il vantaggio elevatoproprio delle deduzioni (misurato dall’aliquotamarginale di ciascun contribuente) con unadiffusione teoricamente generalizzata propriadelle detrazioni. Sotto tale profilo è suscetti-bile di assicurare un’adesione tendenzialmenteampia e capillare.

Peraltro, questo nuovo sistema di finanzia-mento della politica si differenzierebbe netta-mente dalle soluzioni tecniche adottate per:

– il finanziamento delle confessioni religio-se, il cui ammontare complessivo è predeter-minato (8 per mille del gettito Irpef), rilevandole indicazioni espresse dai cittadini solo ai finidella sua distribuzione fra le diverse confes-sioni;

– il finanziamento delle attività socialmenterilevanti (non profit, ricerca scientifica e sani-taria, …), in cui l’opzione dei contribuenti de-termina sia l’entità del contributo (5 per milledell’Irpef da ciascuno dovuta) sia la sua de-stinazione.

PUNTI DI FORZA E PUNTI DI DEBOLEZZA DELLA PROPOSTA

Il principale punto di forza della proposta èrappresentato dal trattamento fiscale agevolatoche, come si è chiarito, lascia sostanzialmenteindenne il finanziatore, finendo per scaricaresull’Erario la quasi totalità dei costi del finan-ziamento. “In fondo – come sottolineano iproponenti - versare un contributo di 2.000euro «costa» effettivamente al cittadino solo100 euro, perché gli altri 1.900 euro gli saran-no rimborsati dallo Stato con procedure agilie in tempo pressoché reale. E 100 euro costi-tuiscono una cifra più o meno alla portata ditutti.

Ma tale caratteristica – che auspica la mas-simizzazione dell’adesione – presenta il ri-schio di costi tendenzialmente incontrollabiliper l’Erario. L’ipotesi di “neutralità di bilan-cio” assunta nella Relazione all’articolato del-la proposta appare, infatti, incontrollabile, so-prattutto se destinata a confrontarsi con accesee competitive campagne a sostegno della sot-toscrizione.

Da ciò anche il rischio di un secondo inqui-namento (in aggiunta a quello prodotto dallasostanziale traslazione in capo all’Erario del-l’onere dei versamenti individuali) alla “vo-lontarietà” che dovrebbe contrassegnare ilnuovo sistema di finanziamento della politica.

LE CONDIZIONI PER UN FINANZIAMENTO

VOLONTARIO DELLA POLITICA

Coltivare la soluzione di un finanziamentodella politica su basi volontarie presupponeche vi sia chiarezza su almeno tre aspetti:

a) Volontarietà non può fare rima con gra-tuità. Se l’iniziativa dei singoli è a costo (pra-ticamente) uguale a zero, il nuovo sistema fi-

nirebbe per confermare surrettiziamente il fi-nanziamento pubblico della politica, che usci-rebbe dalla porta per rientrare dalla finestra. Eallora il finanziamento complessivo devolutoai partiti e la sua distribuzione dipenderebbeunicamente dalla capacità delle diverse forzepolitiche di “spingere” verso la sottoscrizione,magari facendo leva su una capillare distribu-zione della propria rappresentanza;

b) Ma se non può essere vietata, la “spinta”a sottoscrivere deve almeno essere contenuta,vietando la possibilità di destinare risorse pro-venienti dal finanziamento per coprire spesedestinate ad incentivare il finanziamento me-desimo;

c) Qualunque forma di finanziamento pub-blico alla politica richiede una puntuale coper-tura della relativa spesa. Un’esigenza, questa,tanto più necessaria quanto più l’entità del fi-nanziamento è lasciata alle decisioni (e al cal-colo costi-benefici) dei cittadini;

d) Il controllo del finanziamento deve muo-versi, di pari passo, su due fronti: rigida trac-ciabilità dei versamenti effettuati dai sotto-scrittori e puntuale rendicontazione degli stessida parte delle forze politiche, in un sistema dicontabilità soggetto a controllo di autorità ter-ze. Il tutto onde evitare che – soprattutto inpresenza di un beneficio fiscale elevato – pos-sano determinarsi rischi di collusione basatesulla certificazione di versamenti d’importosuperiore a quello effettivo. s

NOTE

1 Questi dati riflettono la platea e la distri-buzione dei soggetti Irpef che emergono dalledichiarazioni dei redditi presentate nel 2011 (erelative all’anno d’imposta 2010).

Tavola 1 – Soggetti Irpef persone fisiche: anno d’imposta 2010(dichiarazioni 2011)

Platea complessiva- contribuenti (milioni) ................................................................................................. 41,5- imposta netta totale (miliardi €) .............................................................................. 149,4- imposta netta media (migliaia €) .............................................................................. 4,84

Contribuenti con imposta media > 2,34 €- contribuenti (milioni) ................................................................................................. 21,0- imposta netta totale (miliardi €) .............................................................................. 141,0- imposta netta media (migliaia €) ................................................................................ 6,7

Contribuenti con reddito > 50 mila €- contribuenti (milioni) ................................................................................................. 1,91- imposta netta totale (miliardi €) ................................................................................ 56,3- imposta netta media (migliaia €) .............................................................................. 29,4

Fonte: elaborazioni su dati Dipartimento Finanze (MEF)

Tavola 2 – Adesioni, finanziamento e costo per l’Erario

Ipotesi A: adesione platea potenziale (soggetti con imposta > 2,34 €)- numero soggetti (milioni) ......................................................................................... 21,0- versamento individuale annuo (€) ........................................................................... 2.000- finanziamento totale (miliardi €) ................................................................................. 42- credito imposta 95%, onere Erario (miliardi €) ........................................................ 39,9- onere complessivo a carico contribuenti (miliardi €) ................................................. 2,1

Ipotesi B: adesione 5% soggetti platea potenziale- numero soggetti (milioni) .......................................................................................... 1,05- versamento individuale annuo (€) ........................................................................... 2.000- finanziamento totale (miliardi €) ................................................................................ 2,1- credito imposta 95%, onere Erario (miliardi €) .......................................................... 2,0- onere complessivo a carico contribuenti (miliardi €) ................................................. 0,1

Ipotesi C: adesione soggetti con reddito > 50 mila €- numero soggetti (milioni) .......................................................................................... 1,91- versamento individuale annuo (€) ........................................................................... 2.000- finanziamento totale (miliardi €) ................................................................................ 3,8- credito imposta 95%, onere Erario (miliardi €) .......................................................... 3,6- onere complessivo a carico contribuenti (miliardi €) ................................................. 0,2

Tavola 3 – Forme di agevolazioni fiscali vigenti

Agevolazione Tipologia n. beneficiari spesa fiscale(milioni) (miliardi)

Recupero patrimonio edilizio (max 48000€) detrazione 36/41% 5,3 2,2

Risparmio energetico (max da 54.545 a 181.818) detrazione 55% 1,1 1,3

Spese sanitarie detrazione 19% 15 13,6

Interessi mutui 1ª casa (max 4000 €) detrazione 19% 3,8 6,3

Assicurazioni vita/infortuni (max 1291 ) detrazione 19% 6,5 4

Erogazioni liberali Onlus (max 2066 €) detrazione 19% 0,9 0,2

Erogaz. Lib.a soc./assoc. sportive dilettanti (max 1500 €) detrazione 19% (b)

Erogaz. liberali a assoc. promozione sociale (max 2066 €) detrazione 19% (b)

Erogaz. liberali a fondazioni settore musicale (max 2% reddito) detrazione 19%

Erogaz. liberali a movimenti e partiti politici (max 103.291 €) detrazione 19% (a)

Erogazi. liberali in denaro a attività culturali ed artistiche detrazione 19%

Erogaz.liberali a enti dello spettacolo (max 2% reddito) detrazione 19%

Erogaz. liberali a istituti scolastici senza scopo di lucro detrazione 19% (b)

Erogaz. Lib. a soc. Biennale Venezia (max 30% reddito) detrazione 19%

Erogazioni alle ONG (max 2% reddito) deduzione (b)

Erogaz. liberali a enti universitari e di ricerca pubblica deduzione (b)

Erogazioni a istituzioni religiose (fino a max 1033 €) deduzione 0,1 0,3 (b)

Previdenza complementare (max 5165 €) deduzione 0,8 1,9

Erogaz. liber.a ONLUS. (max 10% reddito o 70 mila €) deduzione (b)

(a) Le erogazioni, da effettuare con versamento postale o bancario, possono essere raccolti dai partiti sia in un unico conto corrente na-zionale che in più conti correnti diversi. Le erogazioni possono essere detratte se i loro beneficiari hanno avuto almeno un parlamentare elettoalla Camera o al Senato

(b) Le erogazioni devono essere effettuate con versamento postale o bancario, o con carte di debito, carte di credito, carte prepagate,assegni bancari e circolari. Per le erogazioni liberali effettuate tramite carta di credito è sufficiente la tenuta e l’esibizione, in caso di eventualerichiesta dell’amministrazione finanziaria, dell’estratto conto della società che gestisce la carta.

12 ■ CRITICAsociale3-4 / 2012

Senato della RepubblicaIII LegislaturaDisegno di Legge d’iniziativa del senatoreSturzoComunicato alla presidenza il 16 settem-bre 1958Disposizioni riguardanti i partiti politici e i candidati alle elezioni politiche e am-ministrative

Luigi Sturzo

O norevoli Senatori. – Il disegnodi legge che ho l’onore di pre-sentare è in rapporto al mio di-

scorso fatto al Senato nel luglio scorso, con ilquale, accennando all’esagerato impiego didenaro sia dei partiti che di buona parte deicandidati, si è avuta l’impressione nel Paese diuna specie di fiera aperta per ottenere la rap-presentanza parlamentare.

Se si parla di moralizzare la vita pubblica, eil Governo ne ha preso l’impegno nel suo pro-gramma e nelle dichiarazioni fatte in Parla-mento dal Presidente del Consiglio, il primo eil più importante provvedimento deve esserequello di togliere la grave accusa diretta ai par-titi e ai candidati dell’uso indebito del denaroper la propaganda elettorale.

Il problema è più largo di quel che non siala spesa elettorale; noi abbiamo oramai unastruttura partitica le cui spese aumentano dianno in anno in maniera tale da superare ogniimmaginazione. Tali somme possono venireda fonti impure; non sono mai libere e sponta-nee offerte di soci e di simpatizzanti. Non saròio a dire le vie segrete per il finanziamento aipartiti perché la mia esperienza personale del1919-1924 non ha nulla di simile con l’espe-rienza del 1945-1958.

Che i finanziamenti siano dati da stranieri,da industriali italiani, ovvero, ancora peggio,da enti pubblici, senza iscrizione specifica neiregistri di entrata e uscita, o derivino da per-centuali in affari ben combinati (e non semprepuliti), è il segreto che ne rende sospetta lafonte, anche se non siano state violate le leggimorali e neppure quelle che regolano l’ammi-nistrazione pubblica. Il dubbio sui finanzia-menti dei partiti si riverbera su quelli dei can-didati; e con molta maggiore evidenza se sitratta di persone notoriamente di modesta for-tuna, professionisti di provincia, giovani cheancora debbono trovare una sistemazione fa-miliare conveniente, impiegati a meno di cen-tomila lire mensili, e così di seguito.

Alla fine delle elezioni abbiamo sentito no-tizie sbalorditive, che fanno variare da dieci aduecento milioni le spese di campagna di sin-goli candidati. Naturalmente, la fantasia popo-lare e la maldicenza dei compagni di lista perle elezioni della Camera non hanno per confiniche il risentimento di aver perduto la battagliao quello personale di essere stato scavalcatonell’ordine delle referenze da concorrenti finoa ieri creduti cavalli bolsi. E pur facendo a talisentimenti e risentimenti post-elettorali le fal-cidie che meritano, resta quel margine insop-primibile di verità che, allo stato delle cose, èsufficiente indizio dell’entità di entrate e dispese sproporzionate alle possibilità normalidei candidati stessi. C’è chi accusa l’apparatodei partiti, il quale, discriminando i candidati

della stessa lista, ne determina l’accaparra-mento di voti a favore degli uni con danno de-gli altri. Non mancano indizi circa il patrociniopolitico che enti statali e privati si assicuranoin Parlamento favorendo l’elezione di chi pos-sa sostenere e difendere i propri interessi, im-pegnando a tale scopo somme non lievi nellabattaglia delle preferenze. Quando entrate espese sono circondate dal segreto della loroprovenienza e della loro destinazione, la cor-ruzione diviene impunita; manca la sanzionemorale della pubblica opinione; manca quellalegale del magistrato; si diffonde nel Paese ilsenso di sfiducia nel sistema parlamentare.

Ecco i motivi fondamentali che rendono ur-genti i provvedimenti da me proposti circa i fi-nanziamenti e le spese dei partiti nel loro fun-zionamento normale; dei partiti e dei candidatinelle elezioni politiche e amministrative.

Per ottenere questi scopi di pubblica mora-lizzazione, occorre anzitutto affrontare il pro-blema giuridico della figura e dell’attività deipartiti. La Costituzione contiene in propositodue disposizioni fondamentali. All’articolo 29sta scritto: «Tutti i cittadini hanno diritto diassociarsi liberamente in partiti per concor-rere con metodo democratico a determinare lapolitica nazionale». All’articolo 67 si legge«Ogni membro del Parlamento rappresenta laNazione ed esercita le sue funzioni senza vin-colo di mandato».

Il partito, pertanto, ha per fine di concorrerea determinare la politica nazionale, tale con-corso è attuato con metodo democratico; men-tre i membri del Parlamento, pur eletti conl’organizzazione e l’ausilio dei patiti, rappre-sentano come tali non il partito ma la Nazioneed esercitano il proprio ufficio senza vincolodi mandato. Né l’elettorato che li sceglie, néil partito che aiuta la scelta può vincolare glieletti a deputati e senatori ad una predetermi-nata linea di condotta, perché in tale caso essi

rappresenterebbero una frazione della propriacircoscrizione elettorale ovvero un partito cioèuna sezione di cittadini (spesso assai esigua)al quale han data la propria adesione.

La Costituzione implicitamente contiene tut-to quel che si può esplicitare in leggi per man-tenere puro, alto e indipendente l’ufficio dirappresentante della Nazione, in modo da nonessere mai accusato di aver contratto legamiper finanziamenti di dubbia origine o peggioessere portavoce di gruppi particolari controgl’interessi generali.

Per precisare la responsabilità occorre an-zitutto che il partito, pur conservando la liber-tà che deve avere il cittadino nella propria at-tività politica, sia legalmente riconoscibile adessere posto in grado di assumere anche difronte alla legge le proprie responsabilità. Aquesto scopo con il disegno di legge, che hol’onore di presentare, viene fatto obbligo airappresentanti dei partiti di depositare nellacancelleria del tribunale competente lo statutoe le successive variazioni, firmato dal presi-dente e dal segretario generale. Questo attobasa per potere attribuire al partito la perso-nalità giuridica e in tale veste potere anchepossedere beni stabili e mobili senza alcunaautorizzazione preventiva.

La figura che verrebbe assegnata al partitonon trova completi riferimenti nelle disposi-zioni codificate; invero, il partito non può ri-tenersi, qual’è al presente, una semplice so-cietà di fatto senza personalità giuridica, per-ché mancherebbe di responsabilità; né può es-sere equiparato ad una associazione o fonda-zione privata da essere riconosciuta agli effettilegali con decreto del Presidente della Repub-blica e quindi ricadente sotto la vigilanza mi-nisteriale, la qual cosa lederebbe l’indipen-denza del cittadino nel campo della politica;neppure potrebbe avere la figura di societàcon fine economico, patrimoniale o di qual-siasi interesse materiale da tutelare. Pertanto,

nel sottoporre gli associati non ai singoli macome corpo morale a determinati obblighi, lapersonalità giuridica e i diritti che derivanovengono acquisiti con l’unico atto volontarioquello di darsi uno statuto e di depositarlo informa autentica alla cancelleria del tribunalecompetente. L’atto di volontà collettiva resopubblico, senza interventi di autorità politicao amministrativa e di formalità nelle qualipartecipi un qualsiasi funzionario pubblico(notaio o giudice di tribunale) attua e comple-ta il diritto alla personalità politica del parti-to. Mi è sembrata questa la soluzione più ade-rente allo spirito della legge, soluzione che nelcodice vigente non potrebbe trovare elementiconcreti, mentre la soluzione adottata è daescludere che sia in contrasto con principi ri-tenuti fondamentali.

Non ho previsto il caso che lo statuto conten-ga disposizioni non consoni al metodo demo-cratico prescritto dalla Costituzione, perchémanca fin oggi una definizione che possa giu-ridicamente fare stato per ciò che precisa ilmetodo democratico e quali possano essere glieffetti legali di una violazione od omissione.Ciò nonostante, una volta stabilito l’obbligodel deposito dello statuto con l’effetto dell’ac-quisto della personalità giuridica, la discussio-ne sul metodo democratico dei partiti prenderàaspetto concreto in base ad una elaborazioneteorica e pratica che non mancherà da parte digiuristi e di interessati. Nella fase attuale è me-glio mettere il problema da parte e lasciare chegli studi in merito diano sufficienti indicazioniper un susseguente atto legislativo.

Conseguente al primo articolo è il secondoche prescrive il deposito alla cancelleria deltribunale dei rendiconti annuali. Questa dispo-sizione è completa da quella contenuta all’ar-ticolo terzo, con il quale sono vietati i finan-ziamenti che, per la loro origine e per il lorocarattere particolare, attenuerebbero la libertàpolitica dei partiti, ovvero li renderebbero con-sociati a determinate finalità o renderebbero ipartiti conniventi in atti illeciti o discutibili pergli enti finanziatori e per gli interessi partico-lari che da tali enti si intendono assicurare.

L’elenco dei finanziamenti vietati è di per séevidente e posso dispensarmi dal darne nellarelazione una particolare dimostrazione, purriservandomi di rispondere in Commissione oin Aula a tutte le richieste in merito; qui mi li-mito a chiarire il motivo per avere inclusonell’elenco ogni società o singolo contribuenteche viene tassato in base a bilancio, perché ilbilancio che deve essere presentato dovrebbeindicare come spesa il contributo ad un partito,non potendo questo essere incluso nella som-ma che si mette a disposizione del consiglio diamministrazione o dell’unico gestore per be-neficienza o per spese nell’interesse del-l’azienda. È chiaro che in questo caso il segre-to che si vuole sopprimere nei rapporti fra par-titi e finanziatori resterebbe ancora possibile.

L’articolo 4 riguarda i finanziamenti e le spe-se elettorali dei partiti; per questi si mantienel’obbligo del deposito dei rendiconti nella can-celleria del tribunale competente. È opportunoche si tengano distinte entrate e uscite normaliper il funzionamento dei partiti da quelle stra-ordinarie per le elezioni, anche perché a questesono state assegnate opportune limitazioni fra

■ SOLDI AI PARTITI, LA PROPOSTA DEL LEADER POPOLARE DEL 1958 CONTIENE MOLTE IDEE PER L’ATTUALITÀ

QUANDO STURZO (PRIMA DI CRAXI) DENUNCIAVA I FINANZIAMENTI ILLECITI

CRITICAsociale ■ 133-4 / 2012

le quali importantissimo il divieto di dare con-corsi ai candidati per spese personali.

Con l’articolo 5 si fa obbligo ai partiti cheogni bene mobiliare o immobiliare venga no-minalmente intestato al partito stesso, vietandoqualsiasi acquisto di titoli al portatore, anchetitoli di Stato e la intestazione di comodo a ter-ze persone o a società fittizie.

All’articolo 6 è fatto obbligo ai candidati didepositare alla cancelleria del tribunale i ren-diconti delle entrate ottenute e delle spese per-sonali sopportate per la campagna elettorale, inbase a un limite prestabilito da non potersi su-perare senza incorrere nelle penalità previste.

Il limite delle spese elettorali di ogni singolocandidato è necessario per evitare che coloroche sono ben forniti di reddito proprio e di ami-cizie di persone denarose possano largamenteusare il denaro per attirare ammirazione, sim-patie e voti a danno di coloro che non si trova-no nelle stesse condizioni di agiatezza o di ric-chezza, a parte coloro che sanno procurarsi lar-ghi concorsi con favori non sempre limpidi econfessabili. Il sistema democratico obbliga atrovare un limite basso per le poche spese in-dispensabili a mantenere opportuni contatti colcorpo elettorale. È questo il motivo dei limitidi spese personali fissate all’articolo 6.

L’articolo 7 attribuisce al cittadino la facoltàdi prendere visione degli atti depositati in can-celleria e di fare denunzia al magistrato dellepresunte violazioni di legge. Tali violazioni so-no punite con una serie di multe tenute sullalinea di equità e di rigore insieme.

Una disposizione importante è stata messaall’articolo 8 che i rendiconti presentati sianoequiparati ad atti pubblici e l’occultamentodelle verità per omissione o per variazione dicifre è reputato agli effetti penali come falsoin atto pubblico.

Occorre ridare fiducia al Paese che la leggedovrà essere osservata e che la moralizzazionedella vita pubblica non ammette condiscen-denze riguardo la formazione del principale efondamentale organo statale, il Parlamento, sulquale poggia tutta la struttura politico-giuridi-ca della Repubblica italiana.

Ad illustrare la necessità del provvedimentolegislativo da me proposto, aggiungo brevi ac-cenni sulla vigente legislazione estera. Datempo esistono nei paesi democratici normeriguardanti le spese elettorali, anzitutto perevitare che i candidati forniti di mezzi e dispo-sti a spenderli, potessero prevalere su coloroche non ne dispongono o che reputano scon-veniente usarne. A parte le finalità storiche epratiche delle singole leggi, tutte tendono anormalizzare la lotta elettorale e a regolarel’intervento dello Stato per determinati serviziutili allo scopo.

La Gran Bretagna, che in materia di sistemaparlamentare fa testo e per il rispetto di tradi-zioni ultrasecolari e per lo spirito di adattamen-to ai tempi on le minori scosse possibili, anchein questa materia può darci utili indicazioni.Ogni candidato è obbligato a versare un depo-sito di centocinquanta lire sterline, che si resti-tuisce se il candidato supera la percentualedell’ottavo dei voti validi di tutto il collegio,mentre nel caso contrario viene incamerato dal-l’erario. Ciò serve ad evitare le candidature sen-za sufficiente base elettorale che rendono menochiara la designazione popolare e non conferi-scono alla formazione di una clear majority.Per lo stesso motivo sono esclusi dal cartelloradiofonico e televisivo di propaganda eletto-rale i partiti che presentano meno di cinquantacandidature in tutto i territorio del Regno Unito.Il criterio di formare una maggioranza efficien-te prevale su quello della rappresentanza delleminoranze. Da noi avviene il contrario per laimmaturità della nostra esperienza democrati-ca. Inoltre è proibito l’uso di radiostazioni si-

tuate al di là dei confini del Regno a scopo elet-torale, e la violazione del disposto è penalmenteperseguibile. La propaganda elettorale è con-trollata dallo Stato, sia per il numero dei mani-festi, delle stampe permesse e delle spese auto-rizzate. Le somme che ciascun candidato potràspendere per la campagna elettorale sono fis-sate con rapporto all’ampiezza del collegio e alnumero degli elettori.

In Francia la terza e la quarta Repubblicahanno avuto leggi limitative per la propagandaelettorale a mezzo delle fornitura statale dellacarta a ciascun candidato e con altre limitazio-ni di legge. Il candidato doveva inoltre versareuna cauzione di 20 mila franchi, da essere rim-borsata se il candidato otteneva non meno del5 per cento dei voti validi della circoscrizionealtrimenti andava perduta; inoltre se il candi-dato non superava il 2,50 per cento dovevarimborsare allo Stato le spese fatte per talecandidatura. Anche l’uso della radio e della te-levisione è stato fin oggi limitato a quei partitiche presentavano candidati in non meno ditrenta dipartimenti. Le penalità per i trasgres-sori sono state multe e detenzione carceraria,secondo i casi.

Nella Costituzione tedesca vi è il dispostoanalogo a quello italiano; l’articolo 21 suonacosì: «I partiti politici partecipano alla forma-zione della volontà politica del popolo. La fon-dazione di un partito è libera. Il loro ordine in-terno deve rispondere ai principi democratici.Devono rendere conto al popolo dell’originedei loro mezzi». Nello stesso articolo è stabi-lito che una legge federale preciserà le normeriguardanti le entrate e le spese dei partiti. Talinorme sono in corso di elaborazione.

Dove esiste una legislazione precisa e com-pleta è negli Stati Uniti d’America, sia per ilfinanziamento dei partiti sia per le spese elet-torali. Tanto i candidati che i direttivi dei par-titi debbono in tempo dichiarare per iscritto lespese che a tale scopo intendono sopportare. Icandidati fanno le dichiarazioni alla segreteriadel Senato e i partiti alla segreteria della Ca-mera dei rappresentanti (deputati). La ciframassima per ciascun candidato non può supe-rare i 10 mila dollari; in casi eccezionali di col-legi estesi e con elettori numerosi vi può essereun supplemento che non potrà superare com-plessivamente i 25 mila dollari. Se la spesasembra eccessiva, bisogna pensare quali sianoi costi della vita americana e quale altezza ab-biano raggiunto gli stipendi professionali e isalari di lavoro. La penalità per i trasgressori,multe fino a 10 mila dollari e detenzioni car-cerarie fino a due anni, o l’uno e l’altro insie-me, sono applicate secondo la gravità del rea-to. La stessa pena è comminata al candidatoche promette un posto privato o pubblico incompenso dell’appoggio elettorale. Se si do-manda un contributo ad impiegati federali, lamulta è portata a 15 mila dollari e la detenzio-ne a tre anni. Sono proibite le contribuzionidelle banche, delle corporazioni (società di af-fari e imprese), dei sindacati operai (unions)con quasi le stesse penalità. La lista continuaanche per reati fuori dal periodo elettorale eper attività politiche in contrasto alle leggi disana amministrazione riferentisi a persone sin-gole e associate o a organizzazioni di partiti.

Allo scopo di provare che il mio disegno dilegge non è nuovo e trova consensi negli statidemocratici più qualificati, basta quanto è sta-to già scritto; e ogni altra indicazione sarebbesuperflua. Spero che la presente iniziativa tro-vi il Senato disposto ad un approfondito esa-me, in modo da potere dare al Paese una leggeche riporti la posizione di partiti alla lettera eallo spirito della Costituzione e nel binario disana democrazia, nella quale il Parlamentotenga il suo prestigio intatto e la sua funzionecon piena ed efficiente responsabilità.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1

È fatto obbligo ai cittadini che si associanoin partito per concorrere con metodo democra-tico a determinare la politica nazionale, di de-positare il proprio statuto e le successive va-riazioni con le firme autenticate del presidentee del segretario generale, alla cancelleria deltribunale civile del luogo dove è fissata la sedecentrale. I trasferimenti saranno notificati an-che alla cancelleria del tribunale nella cui cir-coscrizione si trova la nuova sede.

Dalla data del deposito dello statuto il par-tito acquista personalità giuridica.

Art. 2

L’amministrazione del partito dovrà presen-tare alla cancelleria del tribunale dentro ognimese di marzo il rendiconto delle entrate e del-le uscite dell’anno precedente compresevi, inriassunto per provincia, le entrate e le uscitedelle sezioni locali, distinguendo per questeultime i finanziamenti concessi dall’ammini-strazione centrale del partito da quelli ottenutilocalmente.

Il rendiconto annuale sarà controfirmato dalpresidente e dal segretario generale o da cloroche ne fanno le veci.

Art. 3

Nel rendiconto saranno tenuti distinti i con-tributi ordinari dai contributi straordinari do-vuti dagli associati; nonché i cespiti di benimobili e immobili appartenenti al partito o asocietà ed enti dei quali il partito abbia parte-cipazione.

Ogni altra entrata deve essere indicata conil nome e l’indirizzo di chi versa e per contodi chi versa e del motivo del versamento.

È vietato ai partiti accettare contributi di mi-nisteri, enti e gestioni statali; di enti locali ter-ritoriali, enti o banche di diritto pubblico o diinteresse nazionale; di cooperative, federazionidi cooperative, consorzi, enti consortili e rela-tive federazioni, e di ogni altra gestione auto-noma statale e non statale, che per legge è sot-toposta alla vigilanza e al controllo ministeria-le. È vietato, inoltre accettare offerte e finan-ziamenti da confederazioni di lavoratori e didatori di lavoro e da qualsiasi impresa o societàche, come tale, è tassata in base al bilancio.

Il divieto previsto nei due comma precedentisi applica anche ai contributi, sussidi, finan-ziamenti di qualsiasi ente, organizzazione eimpresta stranieri.

Art. 4

L’amministrazione del partito deve tenerespeciale contabilità delle spese elettorali poli-tiche e amministrative dal giorno dell’aperturadel periodo elettorale fino a un mese dopo laproclamazione degli eletti. Il rendiconto delleentrate e delle spese a scopo elettorale, conl’indicazione dei residui attivi e passivi da re-golare, sarà presentato non oltre tre mesi dopola proclamazione degli eletti. È fatto divieto aipartiti di assegnare, sui fondi propri, concorsipersonali alle spese che ciascun candidato in-tende fare a proprio vantaggio.

Art. 5

Le azioni appartenenti al partito debbono es-sere sempre nominative, siano anche titoli diStato o titoli emessi all’estero ovvero nelle re-gioni a statuto speciale dove è consentito perlegge il titolo azionario al portatore.

Anche i beni immobili appartenenti al par-tito debbono essere ad esso intestati.

Art. 6

È fatto obbligo ai candidati elettorali, sianoo no eletti a posti di pubblica rappresentanza,di presentare alla cancelleria del tribunalecompetente un elenco delle offerte ricevute edelle spese sopportate per la propria candida-tura. Tali entrate e spese non possono superarelire 200.000 per le elezioni comunali; lire300.000 per le provinciali; lire 400.000 per leregionali; lire 500.000 per le senatoriali; lire600.000 per elezioni a deputato.

Nel decreto di convocazione dei comizi elet-torali è precisata, dentro i limiti indicati nelprecedente comma, la spesa consentita ai can-didati con riferimento all’ampiezza della cir-coscrizione e al numero degli elettori. Il dispo-sto degli ultimi tre commi dello articolo 3 dellapresente legge è esteso ai finanziamenti, con-tributi e offerte per i singoli candidati.

Art. 7

Ogni cittadino può prendere visione deglistatuti e dei rendiconti annuali ed elettorali deipartiti e dei singoli candidati. Può anche de-nunziare alla magistratura eventuali violazionidi legge.

In caso di accertata violazione delle dispo-sizioni degli articoli precedenti si precederàanche d’ufficio ai sensi di legge.

La omissione del deposito negli atti può es-sere punita con la multa da 500 mila lire finoa due milioni. In caso di recidiva, la multa èraddoppiata.

La violazione delle disposizioni riguardantii finanziamenti e le spese è punita con la multafissa di lire 500.000 oltre l’aggiunta da tre adieci volte la somma riscossa o pagata illeci-tamente.

In tutti i casi previsti sono responsabili dellaviolazione di legge tanto chi versa quanto chiriceve.

Art. 8

Se gli atti depositati nella cancelleria del tri-bunale dai partiti e dai singoli candidati con-tengono tali omissioni e inesattezze da potersidedurre essere stata occultata o alterata la ve-rità, i responsabili sono puniti a norma dell’ar-ticolo 483 del Codice penale, per falsità com-messa dal privato in atto pubblico. s

14 ■ CRITICAsociale3-4 / 2012

SE ESPLODE IL SUD SI SPACCA L’ITALIA

L’attentato alla scuola Morvillo di Brindisiha due contesti coincidenti: la ricorrenza del-l’assassinio di Falcone (celebrato dalla pro-grammata Cavorana della legalità che apparepiù che altro offrire un pretesto agli attentatoriper depistare) e, più seria ma poco rilevata, laapertura del G8 negli Usa in cui si preannunciauno spostamento di baricentro italiano - in unquadro di indebolimento della Merkel - sull’asse USA-Francia-Gran Bretagna (la quale, ri-cordiamo, non firmò l’accordo del fiscal com-pact del duo Merkozy e mentre venne data per“isolata” dalla stampa italiana con miopia in-teressata o conformista, in realtà rompendo lanotte del fiscal compact ruppe l’europa a guidaMerkozy, scavando la fossa al presidente fran-cese, schiacciandolo sulla Germania - e giàcon moglie italiana).

Le concomitanze coincidenti

1. L’Italia ora sembra “scelga di scegliere”dopo la prolungata incertezza di fronte al biviotra la Germania che guarda ad est e gli Usa(perchè questa è la reale posizione di equili-brio geopolitico dell’Italia dopo il Muro, ac-centuata (e causa) dalla fine della Prima repub-blica e succesivamente dall’ 11 settembre:“Atlantico o Eurasia?”. Un dilemma - trasver-sale agli schieramenti - che ha segnato gli annidel bipolarismo), uno spostamento d’asse ver-so la rinnovata triplice della “libertà del mare”(gli “alleati” della seconda guerra mondiale)in alternativa al polo centrale della “continuitànella terraferma”. E alla vigilia, Monti si pre-senta al vertice con il telefono che scotta e ilsuo Paese insanguinato da un attentato terro-ristico. “Terroristico”, una valutazione più am-pia di “mafioso”.

L’Italia non ha un suo specifico ruolo dianello o di mediazione tra Francia e Germania,come la stampa italiana genuflessa e provin-ciale le attribuisce. Nè di ago della bilancia inEuropa, frutto di titoli seduttori della stampaanglosassone.

2. Anche l’attentato al giudice Falcone fuqualcosa di più ampio di un attentato “mafio-so”, fu un attentato terroristico, condotto comeuna operzione di guerra, che determinò il crol-lo nervoso del Parlamento e dei Partiti alla pre-se con una irrisolvibile elezione del Capo delloStato, che il giorno dopo venne scelto in quan-to presidente della Camera, Oscar Luigi Scal-faro, seconda carica dello Stato, al momentol’unica carica istituzionale disponibile per dareil segno di fronteggiare l’emergenza al Paesee tentare di chiudere la partita politica. Unapartita non qualsiasi, ma decisiva, di fase, se-conda per importanza strategica solo al cen-tro-sinistra del 62 voluto da Kennedy quattromesi prima del suo assassinio.

Una partita politica che rifletteva sia la nuo-va situazione europea senza l’URSS, ma - in-ternamente - già interferita dai primi lampi dimani pulite. Era una corsa contro il tempo conuna inchiesta che si preannunciava destabiliz-zante (da pochi però così percepita) ed uncambio di passo (la riconferma di Craxi a Pa-lazzo Chigi col Pci che in attesa di cambiarenome si autodefiniva una “Cosa”, incerto sullasua nuova identità) per creare le basi di unquadro politico nuovo, ma stabile, uno sboccoalla fine della centralità democristiana (riven-

dicata da De Mita), dopo il ciclo della guidasocialista e laica degli anni 80. Ciclo ineditopersino col centro sinistra degli anni 60 e chesembrava potesse aprire prospettive nuove dialternativa politica mai conosciute durante laguerra fredda.

L’attentato a Falcone taglia la strada a tuttoquesto e costringe i partiti e lo Stato sulla di-fensiva. Ma soprattutto il mazzo cambia dimano: d’ora in poi la partita la giocano la pro-cura di Milano, col nuovo Presidente (il “de-putato di Novara” del dossier sul tavolo diBorrelli) e l’ex Pci (al momento salvaguardatodalle inchieste giudiziarie, presente l’inviatospeciale Usa a Roma, l’ambasciatore dei mo-menti di crisi, Reginald Bartholomew).

Gli attentati successivi del ‘93 di Roma, Fi-renze e Milano, in realtà “stabilizzano” questanuova situazione di sospensione della demo-crazia rapresentativa in attesa di un “nuovo re-gime” (la seconda repubblica) ed esattamentecome accadde dopo Falcone, essi intimidisco-no il “Parlamento degli inquisiti” che abban-dona ogni residua resistenza, vota il suo suici-dio con la nuova legge elettorale maggiorita-ria, e “pistola alla testa” si autoscioglie imme-diatamente dopo.

Il contesto interno, dal punto di vista politi-co, è simile al 1993, forse peggiore, perchèl’Italia è stata lasciata allo sbaraglio di frontealla speculazione finanziaria, fino a ridurne laforza economica e, soprattutto, politica in mo-do assai più profondo della speculazione sullalira del ’92. La crisi stavolta morde la carnedella società stessa su cui si esplode anche labomba contro la gioventù di Brindisi. L’atten-tao vuole mettere in una luce di fragilità l’Ita-lia di fronte ai “grandi” tra cui siede al G8 sta-tunitense, il primo ministro italiano. Una fra-gilità tutta politica, di cui la supplenza stessadurante la crisi di un governo divenuto “tecni-co” per assenteismo dei partiti, ne è l’apice.

Le analogie

Le analogie della situazione interna col1993 (vent’anni fa, nascendo la seconda re-pubblica sulle ceneri violentate della prima)sono:

- la liquefazione dei partiti politici. Sorti peressere “bipolari”, i nuovi partiti sono oggi ac-catastati, senza governo e senza maggioranzadegli elettori. La teoria del carisma ha lasciatole istituzioni repubblicane in mano al notabi-lato e ha allontanato il popolo dalle istituzionirappresentative.

- le elezioni contestuali nel 2013 delle Ca-mere e del nuovo Presidente della Republica,che oggi è l’unico caposaldo costituzionaleche impedice all’intero sistema di crollare e ri-piegarsi su se stesso soffocando chi è sotto, co-me un tendone che si afflosci.

Coincidenze politico-simboliche in un criti-co quadro economico-istituzionale, danno unalettura politica e non mafiosa della bomba diBrindisi. La criminalità potrebbe essere statastrumento, ma non è neppiure detto che questosia avvenuto. La nafia cerca consenso nel ter-ritorio. Sono mani segrete che non lascianoimpronte, probabilmente non italiane. Arabe?

Colpire i giovani meridionali è come gettareun fiammifero nella benzina sulla sponda op-posta della “primavera araba”.

Ma poichè il riferimento è a Falcone, sem-bra essere anche un avvertimento a quanto po-

trebbe accadere al sistema politico, poichè lamorte del giudice fu il punto di non ritornodella prima repubblica. L’attentato avviene do-po le elezioni test del 6 maggio che registranola crisi di credibilità dei partiti a livelli ormaiingestibili.

Intrecciando queste osservazioni tra loro, insostanza, l’anno che ci separa dalle elezionipolitiche sarà un anno di destabilizzazione chemira alla conflittualità sociale e alla repressio-ne, a un clima da guerra civile che inghiotta,paralizzandolo, uno Stato che si vuole sia per-cepito come “esigente” e “infedele”, non ca-pace cioè di difendere la vita dei suoi cittadini,ma duro per far tornare conti i “europei”. Laconflittualità sociale e la liquefazione istitu-zionale, sembra essere la profezia di Bridisi.Provocazione all’ interno, ma soprattutto mes-saggio internazionale.

I poteri forti hanno necessità di Stati deboli.Lo Stato è forte solo quando ha con sè una na-zione convinta che la Repubblica - che lo Statogoverna e amministra - sia come cosa propria.E questa percezione più che la crisi economi-co-finanziaria, l’ha fatta perdere la classe po-litica della seconda repubblica, il suo farsi no-tabilato imbelle.

Anche stavolta è una corsa il tempo. s

4.207.056.910 EUROQUESTA L’EVASIONE SUI CONDONI

“L’evasore-condonato è vivo e lotta e votaassieme a noi” è il grido dei grandi partiti, pi-lastri del malato bipolarismo italiano. Il con-dono tombale 2003-2004 è stato oggetto di unaattenta analisi della Corte dei Conti (relazione4 novembre 2008 del magistrato istruttore dott.Luigi Manzillo), e di u successivo controllodella stessa Corte sui risultati ottenuti dall’am-ministrazione finanziaria per il recupero dellerate del condono non riscosse (magistrati rela-tori dott. Stefano Siragusa e dott. Mauro Oli-viero). A seguito di queste indagini la sezionecentrale di controllo della Corte dei Conti il 31maggio 2011 adottava una deliberazione(n°6/2011/G) con la quale si ordinava all’am-ministrazione finanziaria di comunicare entro6 mesi alla stessa Corte i provvedimenti adot-tati per il recupero delle rate non riscosse delcondono 2003-2004 (dati definitici al31.12.2010) pari ad euro 4.207.056.910 (4 mi-liardi e duecento-rotti milioni di euro).Questonon solo fu il condono più vasto e più a buonmercato di tutta la storia dei condoni, ma fu an-che il condono che godette di estensioni e ria-perture di termini mai avvenute in passato. Percarità repubblicana non voglio parlare delle in-qualificabili norme che introducevano il con-dono per le somme non versate dai contribuen-ti per obblighi fiscali già dichiarati, e di quelleche prevedevano la possibilità di poter acqui-sire lo scudo della riservatezza (fu così apertala strada allo Scudo per i capitali esportati al-l’estero).La gestione di questi condoni è stataesercitata da governi di centrodestra e di cen-trosinistra con la stessa tolleranza. Vengono co-sì alla luce tre questioni:1. Le difficoltà strutturali della Pubblica am-ministrazione che non è in condizione di con-trollare il comportamento dei condonati dopola sanatoria;2. La complicità oggettiva dei parlamentari nelfavorire i condonati con rateizzazioni senza al-cuna garanzia;3. L’inerzia dell’Amministrazione nel rilevare,

entro l‘area dei soggetti condonati, la platea dicoloro che avevano beneficiato degli effettidella redistribuzione dei redditi “indotti” dalpassaggio dalla Lira all’Euro. La vasta docu-mentazione prodotta dalla Corte dei Conti fuinviata all’Amministrazione finanziaria, aiPresidenti di Camera e Senato, ai Presidentidelle Commissioni Bilancio dei due rami delParlamento.Vorrà il Senato - che sta esaminan-do il decreto - anticipare il governo che hatempo sino al 30 novembre 2011 di risponderealla Corte dei Conti, e prendere l’iniziativa diinserire nella manovra un “contributo di soli-darietà” almeno per le società di capitale con-donate e per i grandi evasori condonati?Dubitoche ciò possa avvenire perchè gli evasori sonotanti e potenti e votano.Per chi ha il sostitutod’imposta e non ha nulla da condonare non gliresta che scioperare per protestare. Ma a cheserve? Compagna Camusso, sino a quando iSindacati potranno tollerare il prelievo allafonte per il lavoro dipendente e la dichiarazio-ne volontaria e opinabile per gli altri contrinì-buenti? Quando verrà il giorno che i Sindacatichiederanno contratti al netto d’imposta? Co-me i calciatori? Quel giorno anche Marchion-ne, Montezemolo e Mercegaglia dovranno ri-fare i loro conti per calcolare se è convenienteo meno entrare in politica. E sarà un bel pro-blema. Come è diventato per l’ineffabile Ber-lusconi. s

AI COMUNI I SOLDI DELL’EVASIONE

L’ex ministro delle Finanze, Rino Formicaha affidato alla Critica sociale e al Riformistadi Emanuele Macaluso, una sua bozza di pro-posta per correggere la manovra con il recu-pero di soldi dall’evasione, proposta illustratain una lettera al segretario del Partito Demo-cratico, Bersani. D’accordo con l’ex ministrosocialista, la dedichiamo a tutti i Sindaci deiComuni italiani, in particolare ai sindaci deicomuni minori, la fascia della politica più no-bile, disinteressata e soprattutto eletta dalle co-munità, affinché siano informati sulle alterna-tive concrete rispetto ai “tagli ai comuni” cheper la specificità dela società nazionale diven-tano tagli alle radici della convivenza quoti-diana di comunità spesso antiche e alle primerealtà storiche di democrazia sociale. Al Se-gretario del PD Caro compagno Bersani, usola parola compagno perchè penso che tu, conla proposta di tassare con il 20 per cento gliutilizzatori dello “scudo fiscale” sia stato mos-so dall’antico impulso dei vecchi militanti del-la sinistra storica impegnati per un secolo achiedere giustizia ed eguaglianza. Se la tuaproposta non è propaganda, ma è - come iocredo- uno spostamento a sinistra della lineatuo tuo partito, puoi andare molto oltre se timetti a scavare tra gli emersi dei vari condonivarati dai governi di centrodestra e di centrosinistra negli ultimi venti anni.L agenzia delleentrate e tutte le esattorie possiedono gli elen-chi di tutti i condonati: basterebbe prenderequelli di fascia medio alta (società e personefisiche) ed imporre un “contributo di solida-rietà” del 5-10 per cento sull’ultima dichiara-zione dei redditi, con l’esclusione di bottegai,artigiani e piccole imprese.I condoni in Italianon sono popolari perchè la metà dei contri-buenti è “incisa” direttamente alla fonte e vedemale l’altra metà che paga poco e poi vienecondonata.

■ NOTE E APPUNTI SUL CICLO CHE DA AGOSTO AD OGGI HA PORTATO L’ITALIA SULL’ORLO DEL BARATRO

IL GRANDE SLAM

CRITICAsociale ■ 153-4 / 2012

Ma vi è poi anche il caso vasto degli ipocritievasori che si coprono con prediche moralisti-che: nel 1982 il grande “condono tombale” fuun atto legislativo del Governo Spadolini (mi-nistro del Tesoro Andreatta, delle Finanze,Formica, del Bilancio, La Malfa). Anche inquella occasione vi fu un coro di indignati. Maquando nel 1989 tornai al ministero delle Fi-nanze mi procurai l’elenco dei condonati esenza sorpresa lessi i nomi di tutta l’Italia checonta.Vi era la Banca d’Italia, tutte le bancheitaliane, tutte le imprese pubbliche dell’IRI,l’Eni, l’ Efim, tutte le grandi aziende private.Tra queste, in particolare, trovai anche la ri-chiesta della Olivetti con la firma del suo Pre-sidente, prof. Visentini, della Fiat con la firmadel dott. Romiti e persino della Juventus conun’aurea sigla di un Agnelli.Dimenticavo chesempre il condono nell’82 fu richiesto anchedalla Guardia di Finanza per i suoi spacci al-l’interno delle caserme.Aveva ragione il dott.Cuccia che non si fidava dei bilanci delle so-cietà perchè, diceva, “erano tutti falsi”.L’areadei condoni è vasta e sarebbe totale se non vifosse il prelievo alla fonte.Caro CompagnoBersani,se vuoi punire gli evasori, gli elenchisono tutti disponibili. Basta chiederli. Mentreper gli elenchi dei beneficiari dello “scudo fi-scale” vi è qualche complicazione perchè loStato ha garantito l’anonimato che non è assi-curato ai condonati. Il “contributo di solidarie-tà” da applicare ai condonati può avere duratatriennale e può essere rigirato ai Comuni in at-tesa della riforma fiscale e dell’attuazione delfederalismo fiscale. Fraterni saluti, Rino For-mica s

I DISPACCI E LA COSTITUZIONE

Il decreto di Ferragosto è la trascrizione sottodettatura dell’editto “Draghi - Trichet”. Draghinon è nuovo a queste performances che supe-rano i limiti del suggerimento tecnico ed inve-stono con forza il campo trincerato dell’assettoideologico della Carta Costituzionale e dellaforma di Stato democratico-parlamentare, chei Costituenti scelsero per l’Italia repubblicana.

Draghi ebbe parte non secondaria nel ‘92-‘93 nel dare il via alla demolizione della de-mocrazia politica ed economica organizzata. ICostituenti assegnarono ai partiti politici ilruolo di corpo intermedio tra Sato e cittadino,e di parte dello Stato democratico, perché dop-pio era l’ esercizio della sovranità del popolo:nei partiti per rinnovare lo Stato (art.49) e nel-lo Stato per costruire una società tesa alla rea-lizzazione del’eguaglianza reale (art.3). I Co-stituenti furono espliciti nell’indicare unascelta in contrasto con la tradizione liberale incui il legame individuo-Stato era immediatoed estrinseco.

Altrettanto espliciti furono i Costituenti neltenere aperta la prospettiva sociale a  soluzionidi dirigismo pubblico e al riconoscimento de-gli interessi privati, indirizzati e coordinati(art. 41). Questavolta l’editto Draghi non si èlimitato come nel ‘92-‘93 allo smantellamentodell’impresa pubblica, ma  ha chiesto che undecreto di assestamento di bilancio fosse an-che un manifesto di mutamento costituzionalee di retorica liberista.

Ed è così che l’allegra brigata dei costitu-zionalisti, templari dell’Ordine “La Costitu-zione non si tocca”, non hanno alzato un ditoverso chi aggirando le norme di garanzia peril cambiamento costituzionale previste dall’art138, ha trasfuso nel decreto di Ferragosto perquattro volte(art.1,art.3,art.13,art.15) un indi-rizzo di mutamento costituzionale con anticipodi disposizioni tese a rendere operativo il ra-dicale di cambiamento della Costituzione. Con

un decreto si recita per quattro volte   “in attesadella revisione costituzionale” su quattro puntinodali della carta: art. 81 (sovranità parlamen-tare sul bilancio) art. 41 (democrazia econo-mica) e gli articoli relativi alla composizionedella Camere e della composizione del gover-no delle autonomie locali territoriali.

Bisogna tornare al colonialismo per trovaredei mutamenti costituzionali per interventoesterno.

Nella prima repubblica Guido Carli auspi-cava il vincolo esterno per correggere i difettidella politica italiana.

Oggi Draghi utilizza il vincolo esterno percambiare senza assemblea costituente la CartaCostituzionale.

Se in Parlamento non ci sono forze suffi-cienti per cancellare in via preliminare le quat-tro premesse di mutamento costituzionale,vuol dire che le Camere si sono auto-sciolte.In tal caso bisogna approvare la manovra suisaldi di bilancio e fare ricorso al voto popolare,perché il popolo possa pronunciarsi sui limitidel vincolo esterno del nostro assetto costitu-zionale e sulla nuova forma di stato repubbli-cano. s

SOVRANITÀ PIGNORATA

“We have a fiscal compact where the Euro-pean governments are starting to release natio-nal sovereignty for the common intent ofbeing together. The banking system seems lessfragile than it was a year ago. Some bond mar-kets have reopened”.

L’inglese lo sanno tutti (si dice) ma la frasedel Governatore della BCE, Mario Draghi,contenuta nell’intervista al WSJ di ieri, meritain questo caso di essere non solo tradotta macompresa nel suo possibile significato recon-dito.

Dice il Governatore: “Noi abbiamo un con-solidamento fiscale dove i governi europeihanno iniziato a cedere sovranità per il comu-ne intento di stare assieme”. Questo auspicatointento - e la sottostante cessione di sovranità- permettono il fiscal compact, che a sua voltafa sì che “il sistema bancario sembra meno fra-gile di un anno fa” e si riattiva in “alcuni mer-cati di bond obbligazionari” che “si riaprano”.

È un progetto politico che sorge dalla finanza.

- Il debito europeo non è unificato. Il rap-porto debito-credito tra gli Stati è maggiore diquanto lo sarebbe se compensato reciproca-mente.

- In questo quadro di conflittualità tra  Statidebitori-creditori, la BCE non può finanziaredirettamente gli Stati (la Germania non vuole)e finanzia le banche, ovvero pensa ai requisitipatrimoniali indipendentemente da come essesi comportano.

- Le banche, con la nuova liquidità, impie-gano produttivamente i finanziamenti dispo-nibili? No: “Il sistema bancario meno fragiledi un anno fa” compra titoli di Stato e i “mer-cati delle obbligazioni si riaprono”. Ovvero idebitori si indebitano di più.

- Le banche guadagnano due volte: sui ren-dimenti relativamente agli spread (l’Italia è ilPaese ideale per la speculazione internazionaleperchè ha risparmio proprio, più della Fran-cia), e con gli alti tassi per il credito interno.

- Chi vigila e regolamenta in questa fase digrave patologia di sistema? Nessuno: c’è il fi-scal compact e l’austerity per racimolare il pa-trimonio per far fronte  agli impegni.

- La divaricazione tra creditori e debitori siaccentua.

- La cessione di sovranità attraverso il fiscalcompact diventa un cappio al collo per non far

saltare in aria l’euro, ma la sovranità cedutanon diventa partecipata.

- Nelle crisi tra creditori e debitori non c’èla “cessione”. C’è il “pignoramento”. s

AUTONOMIE A RISCHIOUNA LETTERA AI SINDACI

Sono solo quattro articoli, ma la Repubblicaitaliana, come disegnata dalla Costituzionenon sarà più la stessa, con le sue peculiaritàaveva dato origine ad una Forma di Stato, de-finita in dottrina come Stato delle Autonomie,che aveva avuto il suo coronamento con lemodifiche costituzionali della Parte SecondaTitolo V del 2001. Il dibattito è stato polariz-zato soltanto sull’art. 81 Cost., come si trattas-se di definire in Costituzione politiche e teorieeconomiche, che è comunque un errore, a pre-scindere dalle proprie preferenze. Lo Statoperseguirà il pareggio, ma a spese di Regioni,Province e soprattutto dei Comuni.

Dimenticatevi i concetti di autonomia comeenunciati dall’art. 5 della Costituzione, che ap-parentemente non viene toccato, ma svuotatodi significato. Siamo chiari un intervento perridurre i deficit delle pubbliche amministrazio-ni era necessario: la nostra preoccupazione èche nessuna delle cause strutturali è rimossa,in primo luogo l’evasione fiscale e previden-ziale, i costi della corruzione e del clientelismoe del parassitismo della criminalità organizza-ta. Inoltre la discrasia tra le competenze e fun-zioni trasferite, dallo Stato alle Regioni e daqueste o direttamente ai Comuni, e i mezzi fi-nanziari per farvi fronte ha pesato sulla finanzalocale. Il numero dei Comuni potrebbe essereridotto, ma non in modo autoritario e senza te-ner conto che in caso di aggregazione, conl’attuale sistema elettorale maggioritario e conriduzione del numero dei consiglieri, le Comu-nità preesistenti sarebbero tagliate fuori daogni rappresentanza. Le disposizioni di prin-cipio restano formalmente in vigore.

L’art. 119 Cost. recita ancora “I Comuni, leProvince, le Città Metropolitane e le Regionihanno autonomia di entrata e di spesa”, ma siaggiungerà “nel rispetto dell’equilibrio dei re-lativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’os-servanza dei vincoli economici e finanziari de-rivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea”.

I comuni virtuosi non saranno premiati per-ché la loro capacità di “ricorrere all’indebita-mento solo per finanziare spese di investimen-to” con la riforma del sesto comma dell’artico-lo 119 Cost non solo lo potranno fare, giusta-mente, “con la contestuale definizione di pianidi ammortamento”, ma anche “a condizioneche per il complesso degli enti di ciascuna Re-gione sia rispettato l’equilibrio di bilancio”.

La nostra Costituzione, fosse stato rispettatol’ultimo comma dell’art. 81 nel testo vigente (“Ogni altra legge che importi nuove o maggiorispese deve indicare i mezzi per farvifronte”)avrebbe dovuto impedire la formazionedell’ingente debito pubblico, che ora si vuol ri-durre non con virtuose pratiche di finanza pub-blica e politica economica ed industriale, macon l’accetta di parametri stabiliti in sede eu-ropea in vertici di capi di Stato o governo senzadover rispondere né ai propri Parlamenti, né alParlamento Europeo: vi è quindi anche un pro-blema di democrazia e di sovranità nazionale,altrettanto importante dell’affidabilità per imercati finanziari, se non di più per chi poneal centro la persona con i suoi diritti umani, ci-vici e politici, conquista della nostra civiltà. Perdi più le ricette europee non stanno funzionan-do, in Grecia, Portogallo e Spagna il rapporto

deficit/PIL continua a crescere. In uno Stato or-dinato ed efficiente questi vincoli all’autono-mia degli enti locali, cellula base della parteci-pazione cittadina all’amministrazione pubblicae agli affari della propria Comunità, si pongonocon legge ordinaria ed infatti sono già previstii bilanci obbligatoriamente in pareggio e i li-miti di spesa con il famigerato patto di stabilità,nonché la responsabilità erariale personale de-gli amministratori per i debiti fuori bilancio ole spese irragionevoli o illegittime. Bisognavapiuttosto organizzare controlli d’efficienza ed’efficacia della spesa, da accompagnare aquelli di legalità, piuttosto che abolire ognicontrollo tempestivo degli organi regionali dicontrollo, già previsti dall’art. 130 Cost. e abro-gati con la legge costituzionale n. 3/2001. Unamalintesa autonomia sta provocando ora la suatotale abrogazione.

Non è possibile arrestare la macchina, lamodifica costituzionale è già stata licenziatadue volte dalla Camera dei Deputati e una vol-ta dal Senato della Repubblica, le formazioniche appoggiano il Governo l’hanno approvatae anche gruppi parlamentari in dissenso, maper rispetto del popolo sovrano e come antici-pazione delle numerose proposte di modificadell’art. 138 Cost., che prevedono il referen-dum confermativo obbligatorio per ogni mo-difica costituzionale, chiedete con forza, chel’approvazione non avvenga con la maggio-ranza qualificata dei due terzi (2/3) dei com-ponenti della Camere: per lasciare spazio aun’eventuale richiesta di referendum, da partedi 126 Deputati, 64 Senatori, 500.000 elettorio cinque Consigli Regionali.

L’interesse della Nazione prescritto dall’art.67 Cost. è un dovere anche per parlamentarinominati grazie alle liste boccate e non elettie una conferma popolare della modifica costi-tuzionale da loro adottata è un modo per legit-timarsi restituendo l’ultima parola ai cittadinie alle cittadine, gli stessi che hanno eletto i lo-ro Sindaci e che eleggeranno il nuovo Parla-mento. Si spera che le prossime elezioni poli-tiche si facciano con una legge conforme a Co-stituzione, se la Corte d’Appello di Milano, ilprossimo 22 marzo la rinviasse alla Corte Co-stituzionale come richiesto da 27 cittadini elet-tori, ai quali ho l’onore di appartenere. Il gior-no 22 marzo rischia di essere una data tripli-cemente fatidica: è la data finale delle 5 Gior-nate di Milano, dell’invio alla Corte Costitu-zionale della legge elettorale e dell’approva-zione definitiva di una riforma costituzionale,che modifica senza un largo dibattito nella so-cietà la forma di Stato delle Autonomie dise-gnato dai nostri Costituenti nel 1948 e raffor-zato coni il consenso del Popolo nel 2001.

In coscienza fossi ancora in Senato non vo-terei questa riforma, perché sono stato Sindacodi un piccolo paese di 1200 abitanti e mi iden-tifico in gran parte con la tradizione munici-pale del socialismo riformista milanese. Scri-vete ai parlamentari delle vostre circoscrizioneprovinciali, ma soprattutto ai Senatori dellavostra Regione, usate tutti gli strumenti di co-municazione, cui avete acceso per chiederenell’interesse dei vostri concittadini e delle vo-stre concittadine: cari Senatori non approvatele modifiche alla Costituzione con la maggio-ranza dei 2/3, lasciate l’ultima parola a chi stapagando e pagherà il costo del risanamento. s

Con forte solidarietà per la Vostra causa”

Felice C. BesostriSenatore della Repubblica, Commissione

Affari Costituzionali XIII legislaturaSindaco di Borgo San Giovanni (1983-1988)

Pubblichiamo di seguito alcuni stralci delprogramma economico del neo presidentesocialista francese Francois Holland

FRANCOIS HOLLAND

“Voglio rilanciare la produzione, l’occu-pazione e crescita.

Creerò una banca pubblica di investimenti.Attraverso i suoi fondi regionali, promuoveròlo sviluppo delle PMI, il sostegno ai percorsifuturi e la conversione ecologica ed energeticadell’industria. Consentirò alle regioni fulcrodell’economia nazionale di acquisire parteci-pazioni in società strategiche per lo sviluppolocale e la competitività della Francia. Partedei fondi saranno indirizzati verso l’economiasociale e la solidarietà.

Promuoverò la produzione e l’occupazionein Francia, dirigendo i finanziamenti, gli aiutipubblici e gli sgravi fiscali alle aziende che in-vestono nel nostro territorio, che vi localizza-no le loro attività e che si rivolgono all’espor-tazione. A tal fine, modulerò la tassazione del-le imprese locali sulla base degli investimentirealizzati. In parallelo, mi impegnerò con leimprese francesi di grandi dimensioni nel-l’opera di rilocalizzazione delle loro fabbrichenell’ambito di un contratto specifico. Instau-rerò, per le aziende che delocalizzano, il rim-borso degli aiuti pubblici ricevuti. Verrà fattauna distinzione tra gli utili reinvestiti e quellidistribuiti agli azionisti. Metterò tre diversealiquote fiscali sulle società: 35% per le gran-di, 30% per le piccole e medie imprese, 15%per le molto piccole.

Voglio mettere le banche al servizio del-l’economia.

Separerò le attività delle banche che sonoutili per gli investimenti e l’occupazione, dallaloro azione speculativa. Proibirò alle banchefrancesi di agire nei paradisi fiscali. Ciò met-terà fine ai prodotti finanziari tossici che arric-chiscono gli speculatori e minacciano l’econo-mia. Eliminerò le stock options, ad eccezioneche per le start-up, e inquadrerò i bonus. Tas-serò i profitti delle banche, aumentando l’im-posizione del 15%. Proporrò l’istituzione diuna tassa su tutte le transazioni finanziarie,nonché una agenzia pubblica europea di ra-ting. Garantirò i risparmi della gente medianteremunerazioni che tengano conto dell’infla-zione e dell’evoluzione della crescita. Per ab-bassare le spese bancarie, una legge bloccherài costi di servizio applicati dalle banche. Percombattere l’eccessivo indebitamento, il cre-dito al consumo verrà inquadrato.

Voglio riequilibrare le finanze pubbliche.Il deficit sarà ridotto al 3% del PIL nel 2013.

Ripristinerò l’equilibrio di bilancio alla finedel mio mandato. Per raggiungere questoobiettivo, ritornerò sulle agevolazioni fiscali ele tante “scappatoie fiscali” accordate da diecianni alle famiglie più ricche e al grande busi-ness. Questa riforma di giustizia aggiungerà29 miliardi di euro di entrate supplementari.Una battuta d’arresto sarà portata al procedi-mento di revisione generale delle politichepubbliche e all’applicazione meccanica di nonsostituzione di un funzionario su due. A partiredal 2012, aprirò un ciclo di consultazioni conle organizzazioni sindacali della funzione pub-

blica su una serie di questioni: le prospettivesalariali; la lotta contro la insicurezza; le mo-dalità di nomina delle posizioni apicali del ser-vizio civile; lo sviluppo della carriera.

Voglio reindirizzare la costruzione Euro-pea.

Proporrò ai nostri partner un patto di respon-sabilità, di governance e di crescita e per su-perare la spirale di austerità che aggrava la cri-si. Rinegozierò il trattato europeo derivantedall’accordo del 9 dicembre 2011, privilegian-do la crescita e l’occupazione, e riorientandoil ruolo della Banca centrale europea in questadirezione. Propongo di creare gli Eurobond.Difenderò un’adesione piena dei parlamentinazionali a queste decisioni europee. Cinquan-ta anni dopo il trattato dell’Eliseo, proporrò alnostro partner lo sviluppo di un nuovo trattatofranco-tedesco. Difenderò un bilancio UE(2014-2020) al servizio dei grandi piani per ilfuturo. Sosterrò la creazione di nuovi strumen-ti finanziari per lanciare innovativi programmiindustriali, in particolare nei settori della tec-nologia verde e del trasporto merci su rotaia.E collaborerò con i nostri partner per un’Eu-ropa dell’energia.

Vorrei anche proporre una nuova politicacommerciale per ostacolare qualsiasi forma diconcorrenza sleale e per impostare rigide re-gole di reciprocità in materia sociale e ambien-tale. Una contribuzione clima-énergia ai con-fini economici dell’Europa sarà complementodi questa strategia. Agirò, nel quadro del G20,per una parità più equilibrata dell’euro vis-à-vis al dollaro e allo yuan cinese, proponendoun nuovo ordine monetario internazionale.

Voglio impegnarmi in una grande rifor-ma fiscale.

La contribuzione di tutti sarà resa più equa,consentendo una grande riforma che permet-terà la fusione dell’imposta sul reddito e dellaCSG (tassa per l’assistenza pubblica che col-pisce le rendite da patrimonio) nel quadro diuna procedura sui redditi. Una parte di questatassa sarà assegnata alle agenzie di sicurezzasociale. I redditi da capitale saranno tassati co-me quelli da lavoro. Farò sì che il più riccocontribuisca allo sforzo nazionale francese,con la creazione di una tranche fiscale ulterio-re del 45% per i redditi più elevati di 150.000euro per azione. Inoltre, nessuno dovrà esserein grado di usufruire di “scappatoie fiscali” aldi là di una somma di 10.000 euro di sgravioper anno fiscale.

Manterrò tutte le risorse assegnate alla po-litica familiare. Aumenterò del 25% gli stan-ziamenti per il rientro scolare nel prossimo an-no scolastico. Renderò il quoziente familiarepiù equo, abbassando il massimale per le fa-miglie più agiate. Ritornerò sugli sgravi fiscaliistituiti dalla destra nel 201, ri-aumentando lealiquote fiscali delle maggiori aziende. La ri-duzione sull’imposta di successione sarà por-tata a 100 000 euro per bambino e l’esenzioneper il coniuge superstite sarà mantenuta. Raf-forzerò i mezzi per combattere l’evasione fi-scale.

Voglio negoziare una nuova riforma dellepensioni.

Farò in modo che tutti coloro che hanno 60anni e che hanno pagato i loro contributi ab-biano il pieno diritto di andare in pensione a

■ ALCUNI RECENTI INTERVENTI DEI LEADER HELMUT SCHMIDT, FRANCOIS HOLLANDE, FELIPE GONZALEZ, ANDREA NAHLES

I SOCIALISTI E LA CRISI DELL’EUROPA

3-4 / 201216 ■ CRITICAsociale

tariffa intera per quella età: questo principiosarà attuato immediatamente. Una trattativaglobale partirà nell’estate del 2012 con le partisociali per definire, in una maniera sostenibilee finanziariamente equilibrata, l’età legale dipensione, tenendo conto delle difficoltà, del-l’importo delle pensioni e dell’evoluzione del-le entrate necessarie per la sopravvivenza delnostro sistema pensionistico e di solidarietàsociale. Avvierò anche una riforma per accom-pagnare meglio la perdita di autonomia perso-nale.

Voglio combattere la disoccupazione, checolpisce soprattutto i giovani e gli anziani.

Proporrò un contratto generazionale perconsentire l’assunzione da parte delle imprese,con contratto a tempo indeterminato, di giova-ni, accompagnati da un dipendente più esper-to, che a sua volta potrà rimanere al lavoro fi-no al raggiungimento della sua età pensiona-bile. Questo “tutorato” manterrà il know-howe integrerà, in maniera sostenibile, i giovaninella vita professionale. Creerò 150.000 postidi lavoro per facilitare l’integrazione dei gio-vani nel mondo del lavoro e per sostenerel’opera delle associazioni, soprattutto nei quar-tieri. Ritornerò sulle defiscalizzazione e sulleesenzioni fiscali sugli straordinari, ad eccezio-ne che per le imprese molto piccole. Stabilirò,in consultazione con le parti sociali, la forma-lizzazione dei percorsi di carriera, in modo cheogni dipendente possa rimanere in azienda, oavere accesso all’occupazione e alla formazio-ne professionale. Finanziamenti per la forma-zione saranno concentrati sulle fasce più fra-gili, i meno istruiti e i disoccupati. Rafforzeròi mezzi dei centri per l’impiego. Per evitare ilicenziamenti, ne alzeremo il costo per leaziende che pagano dividendi o riscattano leproprie azioni, e daremo l’opportunità aglioperai e agli impiegati che ne sono vittima dirivolgersi a un tribunale nei casi di licenzia-mento palesemente contrari all’interesse del-l’impresa. s

HELMUT SCHMIDT

I. Motivazioni e origini dell’integrazioneeuropea

Anche se in alcuni dei 40 stati d’Europa, lacoscienza nazionale si è sviluppata tardi – co-me in Italia, Grecia e Germania – ci sonnosempre state guerre sanguinose. E qui, nelcuore del continente, questa tragica storia,questa infinita serie di scontri fra centro e pe-riferia è sempre stato il campo di battaglia de-cisivo.

E la memoria va alle due guerre mondialidel ventesimo Secolo, perché l’occupazionetedesca gioca ancora un ruolo dominante, an-che se latente.

Quasi tutti i vicini della Germania – e anchequasi tutti gli ebrei di tutto il mondo – ricor-dano l’Olocausto e le atrocità che sono avve-nute durante l’occupazione tedesca nei paesiperiferici. Noi tedeschi non siamo sufficiente-mente consapevoli del fatto che probabilmentequasi tutti i nostri vicini hanno ancora sfiducianei tedeschi: un fardello storico con il qualedovranno convivere le nostre generazioni. Enon dimentichiamo che c’era sospetto circa losviluppo futuro della Germania anche quandonel 1950 ha avuto inizio l’integrazione euro-pea.

Del resto questa si è realizzata in una visio-ne realistica di sviluppo ritenuta possibile e al-lo stesso tempo per il timore di una futura for-za tedesca. Non si trattava dell’idealismo diVictor Hugo che pensava all’unificazionedell’Europa nel 1849. Gli statisti poi leader inEuropa e in America (George Marshall, Eisen-

hower, Kennedy, Churchill, Jean Monnet,Adenauer ,De Gaulle, De Gasperi e Henri Spa-ak) non hanno agito in base ad un idealismoeuropeo, ma sono stati spinti dalla conoscenzadella storia del continente. Hanno agito in unavisione realistica, nella necessità di evitare lacontinuazione della lotta tra la periferia e ilcentro. Tutto questo è ancora un elemento por-tante per l’integrazione europea e chi non loha compreso manca di un presupposto essen-ziale per la soluzione della crisi attuale in Eu-ropa.

Quanto più nel corso dagli anni 60 agli ‘80,l’allora Repubblica Federale aumentava il pro-prio peso economico e politico, tanto più agliocchi degli statisti dell’Europa occidentalel’integrazione europea è apparsa come una po-lizza assicurativa. La resistenza iniziale diMargaret Thatcher, Mitterand o Andreotti - erail 1989/90 – contro l’unificazione tedesca erachiaramente giustificata dal timore di una forteGermania, al centro del piccolo continente eu-ropeo.

II. L’Unione europea è necessariaDe Gaulle e Pompidou negli anni ‘60 e fino

ai primi anni ‘70 hanno continuato l’integra-zione europea, per integrare la Germania – mahanno anche voluto incorporare il proprio sta-to in meglio o in peggio. Dopo di che, la buonaintesa tra me e Giscard d’Estaing ha portato ad

un periodo di cooperazione franco-tedesca e ilproseguimento dell’integrazione europea, unperiodo che è stato continuato con successodopo la primavera del 1990 tra Mitterrand eKohl. Allo stesso tempo, la Comunità europeaè gradualmente aumentata raggiungendo nel1991 i 12 stati membri.

Grazie al lavoro di preparazione svolto daJacques Delors (allora presidente della Com-missione europea), Mitterrand e Kohl a Maa-stricht hanno dato vita all l’Euro. La preoccu-pazione di fondo era, di nuovo sul fronte fran-

cese, di una potente Germania e - più precisa-mente- di un Marco super potente.

Da quegli anni l’euro è diventato la secondavaluta più importante nell’economia mondiale.Questa moneta europea sia internamente chenelle relazioni esterne è di gran lunga più sta-bile rispetto al dollaro americano – ed è statopiù stabile del marco nei suoi ultimi 10 anni.Tutti parlano e straparlano di una presunta“crisi dell’euro”, ma è un frivolo chiacchieric-cio di giornalisti e politici.

A partire da Maastricht il mondo è cambiatoenormemente. Siamo stati testimoni della li-berazione delle nazioni dell’Europa orientalee l’implosione dell’Unione Sovietica. Stiamoassistendo lo sviluppo prodigioso della Cina,India, Brasile e altri “mercati emergenti” chesono stati precedentemente chiamati “terzomondo”. Allo stesso tempo la parte reale dellemaggiori economie della terra, si è ”globaliz-zata: quasi tutti i paesi del mondo dipendonol’uno dall’altro. E soprattutto è accaduto chegli attori sui mercati finanziari globali abbianoacquisito un potere del tutto incontrollato. Maal tempo stesso – e quasi inosservata – la razzaumana si è moltiplicata e ha superato i 7 mi-liardi di persone. Quando sono nato, ce n’era-no appena 2 miliardi. Tutti questi cambiamentihanno un impatto enorme sui popoli d’Europa,sui loro stati e le loro ricchezze.

D’altra parte tutte le nazioni europee stanno

riducendo i loro cittadini. A metà del 21 ° Se-colo sarà probabile che vivano anche 9 miliar-di di persone sulla Terra, mentre le nazioni eu-ropee insieme costituiranno solo il 7% dellapopolazione mondiale. 7% di 9 miliardi . Perdue secoli e fino al 1950, gli europei hannorappresentato più del 20% della popolazionemondiale. Analogamente, l’Europa vedràscendere il proprio prodotto globale al 10%dal 30 che era nel 1950.

Ognuna delle nazioni europee rappresenterànel 2050 solo una frazione pari all’1% della

popolazione mondiale. Vale a dire: se voglia-mo sperare di avere un ruolo nel mondo, lopossiamo avere solo congiuntamente. Quindigli interessi strategici a lungo termine deglistati-nazione europei è nella loro fusione. Que-sto interesse strategico nella costruzione euro-pea assume sempre maggiore importanza. An-che se la maggior parte degli abitanti non ne èancora consapevole e i governi non ne parlano.Quindi se non si farà una vera ‘Unione euro-pea nei prossimi decenni ciò significherebbeun’auto marginalizzazione dei singoli Stati delcontinente e della civiltà europea nel suo com-plesso. Potrebbe anche accadere. Né si puòescludere che in questa situazione riemerga laconcorrenza e la lotta per il prestigio tra i di-versi Paesi . Il vecchio gioco tra centro e peri-feria potrebbe tornare ad essere una realtà.

Il processo di educazione globale, la diffu-sione dei diritti individuali e della dignità uma-na, lo stato di diritto e la costituzione della de-mocratizzazione dell’Europa non potrebbeavere uno stimolo più efficace. Sotto questiaspetti, la Comunità europea è una necessitàvitale per gli stati del nostro vecchio continen-te. Questa esigenza si estende oltre le ragionidi Churchill e de Gaulle. Si estende ben oltrele motivazioni di Monnet e Adenauer .

Io aggiungo: certo ma occorre una reale in-tegrazione della Germania. Quindi dobbiamochiarirci le idee circa la nostra missione tede-sca, il nostro ruolo nel contesto dell’integra-zione europea.

III. La Germania ha la continuità e l’af-fidabilità necessarie

Se alla fine del 2011 si guarda dal di fuoridella Germania attraverso gli occhi dei nostrivicini diretti e indiretti, emergono notevolidubbi e si dissolve l’immagine di una Germa-nia poi dalla Germania dal cammino sicuro:emergono ombre sulla continuità della politicatedesca . E la fiducia nella affidabilità della po-litica del Paese è sempre meno netta.

Qui i dubbi ei timori sono basati sugli erroridella politica estera e dei governi. Essi si ba-sano in parte sulla forza sorprendente del mon-do economico della Repubblica federale unita.La nostra economia è tecnologicamente e so-cialmente una delle più potenti del mondo. Lanostra forza economica e la nostra pace socialerelativamente stabile, hanno anche innescatoinvidia – soprattutto per il tasso di disoccupa-zione inferiore e il rapporto tra debito e Pil trai migliori.

Tuttavia politici e cittadini non sono suffi-cientemente consapevoli del fatto che la nostraeconomia è altamente integrata sia con il mer-cato comune europeo e sia con l’economiaglobalizzata. Al tempo stesso, però, questo puòportare a un grave squilibrio: il nostro surpluscommerciale è enorme, per anni le eccedenzehanno costituito circa il 5% del Pil. Sono cifresimili a quelle della Cina, anche se la cosa nonemerge con chiarezza per via della sostituzio-ne del marco con l’Euro. Ma sembra che i no-stri politici non siano a conoscenza di questofatto. Le nostre eccedenze sono in realtà i de-ficit di altri. Le affermazioni che abbiamo sen-tito sugli altri, sui loro debiti sono fastidioseviolazioni di un ideale equilibrio esterno. Nonsolo questa disturba i nostri partner , ma sol-leva sospetti ed evoca brutti ricordi.

In questa crisi economica nella reazione del-le istituzioni dell’Unione europea, la Germa-nia ha avuto ancora una volta in un ruolo cen-trale. Insieme con il presidente francese, ilCancelliere ha accettato volentieri questo ruo-lo. Ma ci sono molte capitali europee in cui stacrescendo una preoccupazione crescente diuna dominazione tedesca che per ora si espri-me nei media. Questa volta non si tratta di po-tenza militare e politica, ma economica.

3-4 / 2012CRITICAsociale ■ 17

18 ■ CRITICAsociale3-4 / 2012

A questo punto, è necessario un promemoriaper i politici tedeschi, per i media e la nostraopinione pubblica.

Noi tedeschi di sinistra non dobbiamo farciprendere da illusioni o arci confondere da cor-tine fumogene: se la Germania tenterà di essereil primus inter pares nella politica europea, unacrescente percentuale dei nostri vicini penseràdi doversi difendere efficacemente da questotentativo di primato. Tornerebbe la preoccupa-zione della periferia per un centro troppo forte.E le probabili conseguenze di un tale svilupposarebbero paralizzanti per l’UE, mentre la Ger-mania cadrebbe nell’isolamento. In fondo ab-biamo bisogno di proteggerci da noi stessi.

Quindi nel processo di integrazione europeabisogna partire dall’articolo 23 della Costitu-zione che impone di di partecipare allo svilup-po dell’Unione Europea. E nell’articolo 23 cisi impegna anche al “principio di sussidiarie-tà”. L’attuale crisi del funzionamento delle isti-tuzioni dell’UE non cambia questi principi.

La nostra posizione geopolitica centrale, infondo una sfortuna fino alla metà del 20 ° Se-colo, richiede un alto grado di empatia per gliinteressi dei nostri partner europei. E la nostravolontà di aiuto sarà fondamentale.

Noi tedeschi abbiamo ricostruito la nostragrande potenza, lo abbiamo fatto, certo da soli,ma tutto questo non sarebbe stato possibilesenza l’aiuto delle potenze occidentali, senzala nostra integrazione nella Comunità europea,senza l’aiuto dei nostri vicini, senza gli scon-volgimenti politici in Europa Centro-Orientaleseguiti alla dissoluzione dell’Urss. Abbiamomolti motivi di essere grati. E abbiamo il do-vere di dimostrarci degni della solidarietà ri-cevuta.

Al contrario, la ricerca di un esclusivo ruoloe prestigio nella politica mondiale sarebbe inu-tile e probabilmente anche dannoso. Sono con-vinto che è negli interessi strategici a lungo ter-mine della Germania, non isolarsi. Un isola-mento all’interno dell’Occidente sarebbe peri-coloso. Un isolamento all’interno dell’Unioneeuropea o della zona euro sarebbe catastrofico.

I politici e i media tedeschi hanno il doveree l’obbligo di difendere questo punto di vistae di sostenerlo presso l’opinione pubblica.

Ma se qualcuno ci dice o ci fa capire che ilfuturo d’Europa parla tedesco. Se un ministrodegli esteri tedesco ritiene che le apparizioniin Tv mentre è a Tripoli, al Cairo o a Kabulsiano più importanti dei contatti politici conLisbona, Madrid e Varsavia o Praga, con Du-blino, L’Aia, Copenaghen ed Helsinki e se unaltro pensa di dover impedire trasferimenti diun po’ di sovranità all’Unione, beh tutto que-sto è solo dannoso.

In realtà, la Germania è stata un contributorenetto per molti decenni fin dal tempo di Ade-nauer . E, naturalmente, Grecia, Portogallo eIrlanda sono sempre stati beneficiari netti. Loabbiamo fatto a lungo e possiamo permetter-celo. Il principio si sussidiarietà, anche con-trattualmente richiesto da Lisbona prevede cheche l’Unione faccia ciò che uno stato da solonon può fare.

Konrad Adenauer, a partire dal Piano Schu-mann, ha tentato di correggere istinti politicie resistenze perché sapeva che l’interesse stra-tegico a lungo termine era questo, anche nelquadro della divisione permanente della Ger-mania. E tutti i successori – compreso Brandt,io stesso, Kohl e Schröder – hanno continuatola politica di integrazione concepita da Ade-nauer.

IV. La situazione attuale richiede l’ener-gia dell’UE

Non possiamo in questo momento anticipa-re un futuro lontano. Correzioni a Maastrichtpotrebbero solo in parte eliminare errori ed

omisioni, così come mi sembrano inutili leproposte di modificare l’attuale trattato di Li-sbona che comunque dovrebbe passare attra-verso il vaglio di referendum nazionali. Sonoquindi d’accordo con il Presidente della Re-pubblica Italiana, Napolitano, quando ha dettoalla fine di ottobre in un discorso straordinario,che oggi abbiamo bisogno di concentrarsi suciò che è necessario fare oggi. E che abbiamobisogno di sfruttare le opportunità che l’attualetrattato UE ci dà – in particolare il rafforza-mento delle regole di bilancio e politiche eco-nomiche nell’area dell’euro.

Con l’eccezione della Banca centrale euro-pea, le istituzioni – il Parlamento europeo, ilConsiglio europeo, la Commissione di Bruxel-les e il Consiglio dei ministri – hanno concluso

poco nel superare la grave crisi bancaria del2008 e soprattutto l’attuale a crisi del debito.Per superare l’attuale crisi di leadership del-l’Unione Europea, non esiste una panacea. Sirichiedono diversi passaggi, a volte contem-poranei a volte successivi e ciò richiederàenergia e pazienza. E il contributo tedesco nonpotrà essere limitato a slogan per il mercato te-levisivo.

In un punto importante sono d’accordo conJurgen Habermas, che ha recentemente affer-mato che – cito testualmente – “… Abbiamofatto l’esperienza per la prima volta nella storiadell’Unione europea di un degrado della demo-crazia”. Infatti: non solo il Consiglio europeo,compreso il suo presidente, proprio come laCommissione europea, compreso il suo presi-dente e i vari Consigli dei ministri e tutta la bu-rocrazia di Bruxelles hanno congiuntamentemesso da parte il principio democratico.

Perciò mi appello a Martin Schulz: E ‘orache voi e i vostri democristiani, i vostri omo-

loghi socialisti, liberali e verdi, insieme, por-tiate all’attenzione del pubblico i problemi verie drammatici. Mostrare che alcune migliaia dipersone che operano nella finanza negli StatiUniti e in Europa, più alcune agenzie di ratinghanno preso in ostaggio i governi d’ Europa.E ‘improbabile che Barack Obama farà molto.Lo stesso vale per il governo britannico. I go-verni del mondo nel 2008/2009, hanno salvatole banche, ma dal 2010, il branco di finanzieriha ripreso a svolgere il vecchio gioco di nuovocon profitti e bonus. Una scommessa a spesedi tutti i non-giocatori.

Se nessun altro vuole agire, allora l’eurozo-na devono agire in valuta euro. Questo è il mo-do di interpretare l’articolo 20 del trattato UEdi Lisbona. Vi è espressamente previsto che

uno o più Stati membri dell’Unione europea“… instaurarino una cooperazione rafforzatatra di loro.” In ogni caso, i paesi della zona eu-ro devono mettere in atto regolamenti finan-ziari comuni. Dalla separazione tra normalibanche commerciali e di banche di investi-mento, al divieto di effettuare vendite allo sco-perto di titoli in una data futura, dall’ impedireil commercio di prodotti derivati, se non sonoapprovati ufficialmente dalla Securities andExchange Commission –fino a un sistema diritenute efficaci su determinate operazioni fi-nanziarie. Non voglio infastidirvi, onorevolideputati, con ulteriori dettagli.

Naturalmente, la lobby bancaria globalizza-ta, si è già messa in moto per ostacolare tuttoquesto ed evitare regolamentazioni comuni. Igoverni europei sono stati costretti a dover in-ventare nuovi “paracadute”. E ora di difender-si contro di essa. Quando gli europei avrannoil coraggio di applicare una nuova regolamen-tazione ai mercati finanziari, allora potremo

essere in una zona di stabilità. Almeno a mediotermine. Ma se falliamo qui, allora il pesodell’Europa continuerà a diminuire mentre ilmondo si sta evolvendo verso un duumviratotra Washington e Pechino.

Per l’immediato futuro della zona euro con-tinuano ad essere necessari, e certamente tuttii passi precedentemente annunciati. Questi in-cludono il fondo di salvataggio, i limiti del de-bito e il loro controllo, una politica economicae fiscale comune per avere una estensione diogni politica fiscale nazionale, la politica dellaspesa, politiche sociali e le riforme del merca-to del lavoro. Ma un debito comune sarà ine-vitabile. Noi tedeschi non possiamo rifugiarciin una posizione nazional egoistica.

Ma non dobbiamo propagare in tutta Europauna politica di deflazione estrema. Occorre av-viare progetti e per finanziare la crescita e ilmiglioramento. Senza crescita, senza lavoro,nessuno Stato può ristrutturare il proprio bilan-cio. Chi crede che l’Europa possa essere mae-stra solo nel risparmio, dovrebbe leggere qual-cosa sull’impatto fatale della politica deflazio-nista attuata da Heinrich Brüning nel 1930/32.Ha innescato una depressione e un livello in-tollerabile di disoccupazione e pertanto avviatoalla caduta la prima democrazia tedesca.

V. Ai miei amiciInfine, cari amici. La socialdemocrazia te-

desca è stata per mezzo secolo internazionali-sta, abbiamo lottato per mantenere la libertà ela dignità di ogni essere umano. Abbiamo inol-tre creduto nella rappresentanza della demo-crazia parlamentare. Questi valori ci impegna-no oggi per la solidarietà europea.

Certamente l’Europa è formata anche nel21° Secolo da Stati-nazione, ognuno con unapropria lingua e con la propria storia. Pertanto,non è certamente facile trasformare l’Europain un Unione federale. Ma l’UE non deve de-generare in una semplice confederazione distati, deve rimanere una rete che si evolve inmodo dinamico. Noi socialdemocratici dob-biamo contribuire al dispiegamento gradualedi questo progetto.

Più si invecchia, più si pensa a lunghissimotermine. Anche da vecchio ho ancora stretti frale mani i tre valori fondamentali del Program-ma Godesberg: libertà, giustizia, solidarietà. Ecredo che la giustizia richieda oggi pari oppor-tunità le nuove generazioni.

Quando mi trovo a guardare indietro, aglianni bui dal 1933 al 1945 , i progressi che ab-biamo realizzato sembrano quasi incredibili.Cerchiamo quindi di lavorare e di combattere,perché l’Unione europea che storicamente èsenza precedenti , esca dalla sua attuale debo-lezza. Dobbiamo essere chiari e fiduciosi. s

Traduzione curata da Paolo BorioniTraduzione pressoché integrale

FELIPE GONZÁLEZ

Le riforme che la sinistra deve realizzareQuarto anno di crisi e la prospettiva ci spin-

ge a pensare al famoso decennio perdutodell’America Latina, negli anni ‘80 del secoloscorso. A questi livelli, si tende a dimenticareche l’origine di tutto fu l’implosione di un si-stema finanziario sregolato, colmo d’ingegne-ria finanziaria carica di presunzione, senza al-cun rapporto con l’economia produttiva. Tuttociò causò una recessione mondiale dell’econo-mia reale, particolarmente grave nei Paesi cen-trali, epicentro di questo assurdo sistema.

Oggi, si affronta la situazione dell’enormedebito derivante dalla crisi finanziaria comeun problema di solvibilità, che in realtà non

CRITICAsociale ■ 193-4 / 2012

esiste, benché la cosa più grave sia la mancan-za di liquidità e di crescita economica genera-trice di lavoro. Grave errore di strategia, inparticolare nella zona Euro, che può contrarredrammaticamente l’economia e aggravare lacrisi di debito, oltre a farci dimenticare le cau-se originarie e quindi, non permettere di agiresu di esse. Questo approccio, sta mettendo indubbio la coesione sociale che ha definitol’epoca della ricostruzione e dello sviluppodell’Europa dalla Seconda Guerra Mondiale.

È tutto un gran paradosso: il trionfante mo-dello del neoconservatorismo sregolatore ini-zia negli anni ’80 del XX secolo e domina lascena della globalizzazione fino al botto del2008. In risposta, la stessa corrente ideologica,oggi maggioritaria in Europa, si dimentica del-l’origine della crisi e concentra la risposta sul-le conseguenze della stessa. Le forze rappre-sentative del centro-sinistra progressista sisentono abbandonate e sulla difensiva nel-l’Unione Europea e perseguitate dalle pressio-ni della destra più estrema negli Stati Uniti.

Allo stesso tempo, cresce il nazionalismoantieuropeista, il virus distruttore d’Europa delXX secolo. Ed ecco di nuovo il paradosso: leproposte di amministrazione economica euro-pea, imprescindibili affinché funzioni l’Unio-ne Monetaria, fanno accelerare gli impulsi na-zionalisti in tutti gli angoli d’Europa. Una mi-scela esplosiva che comporta maggiore confu-sione nel dibattito d’idee, rendendo inermi igoverni di fronte all’egemonia dei ‘mercati’.

In tali circostanze, abbiamo bisogno, comenon mai, di una risposta social-democratica edeuropeista, che arrivi da un pensiero rinnovato,in grado di comprendere le implicazioni delcambiamento civilizzatore che viviamo a li-vello globale. Risposte che non si ponganosemplicemente in difesa di ciò che si è ottenu-to finora in quel modello che Lula ha definito“patrimonio democratico dell’umanità”, pernon rischiare di cadere nella denuncia senzaalternativa del pensiero neoconservatore checi condusse alla crisi.

L’Europa non possiede un altro camminoverso la globalizzazione che non sia “più Eu-ropa”, e in particolare più sovranità condivisaper poter avanzare nell’amministrazione eco-nomica dell’Unione e nella sua importanteproiezione verso l’esterno. Questo impulso do-vrebbe escludere dalla nostra agenda le tenta-zioni nazionaliste e protezioniste, che ricerca-no reddito politico a breve termine.

Ma questa proposta di “più Europa” nonpuò e non deve essere originata da una strate-gia sbagliata come quella che domina la realtàattuale, che provoca sconforto di fronte allacontrazione dell’economia, all’aumento delladisoccupazione, alla liquidazione delle reti dicoesione e solidarietà. Si richiedono sacrificireali e si offrono speranze incerte. È l’occasio-ne per una possibilità rinnovata social-demo-cratica ed europeista.

Abbiamo bisogno di riordinare i conti pub-blici, di controllare gli esorbitanti deficit el’aumento del debito. Ma non necessitiamo diuna terapia brutale che dimentichi l’esigenzadi crescita e di generazione del lavoro. Abbia-mo un problema di debito, ma non di solvibi-lità. Servono liquidità affinché il credito arriviall’economia produttiva e generi crescita e la-voro. Possiamo e dobbiamo attivare la Bancae il Fondo Europeo d’Investimento, invitandocoloro che vogliono parteciparvi con i loro ri-sparmi in eccesso - come nel caso della Cinae di altri Paesi emergenti – in un grande fondoche serva ad investire in infrastrutture energe-tiche, di rete, in autostrade del mare..., che dia-no impulso alla modernizzazione e alla cresci-ta, generando lavoro in Europa.

Ma non dobbiamo dimenticare l’origine del-la crisi. L’abilità neo-conservatrice, quella de-

gli attori finanziari, delle agenzie di rating,consiste nel farci dimenticare le correzioni dibase che necessita il modello di economia fi-nanziaria senza regolazioni e piena di presun-zione che ci ha condotti alla castrofe. I governisono condizionati in maniera ossessiva dai“premi di rischio”, dalle valutazioni – senzaalcuna legittimità, né di origine né di eserci-zio-, schiacciati giorno dopo giorno da unasorta di lotta per la sopravvivenza, che nonpermette loro di affrontare le cause di fondodella situazione attuale.

Non si raggiunge nemmeno il consenso mi-nimo per imporre una tassa sulle transazionifinanziarie. La resistenza non è dovuta agli ef-fetti di riscossione di tale tassa, ma piuttostoagli effetti regolatori che permetterebbero di

controllare i movimenti speculativi di breve ebrevissimo termine, che colpiscono in mododrammatico il valore delle imprese e sconvol-gono il funzionamento normale dell’economiareale.

E la sinistra deve proporre, senza timore, leriforme strutturali necessarie per avanzare ver-so un’economia altamente competitiva, chepremi la produttività oraria del lavoro, l’eccel-lenza del prodotto finale, l’innovazione e lospirito imprenditoriale. Un modello sostenibiledal punto di vista economico e medioambien-tale, per competere in un’economia globaliz-zata che ci sta emarginando.

Solo così potremo raggiungere il valore suf-ficiente per difendere, sull’offensiva, la coe-sione sociale che ci identifica, migliorando ilsistema sanitario pubblico, l’educazione e laformazione professionale di qualità, arrivandoa tutti, uniformando le opportunità e compe-tendo in maniera vantaggiosa.

Se vogliamo che ci sia un’alternativa mag-

gioritaria di sinistra, che includa il centro dellospettro sociale e politico, tutti, i giovani e gliadulti, dobbiamo utilizzare i nostri valori perapplicarli alla nuova realtà. Noi socialisti spa-gnoli, lo facemmo negli anni ’80, prima chealtri parlassero della “terza via” della social-democrazia. La società ci capì e ci appoggiò.

Ancora una volta devo ricordare che la sini-stra non può commettere l’errore di confonde-re gli strumenti con i fini, né l’ideologia conla veste delle idee inconsistenti che usiamo perdifenderci. E, in ogni epoca storica, bisognasaper rinnovare le idee e gli strumenti per es-sere fedeli ai valori che ci motivano: la solida-rietà e la libertà. s

Felipe GonzàlezPrimo ministro spagnolo dall’82 al ’96

ANDREA NAHLES

Andrea Nahles è esponente dal 1988 delPartito Socialdemocratico Tedesco, leader dal1995 al 1999 del suo movimento giovanile(Jusos), ne ricopre dal 13 novembre 2009 lacarica diSegretario Generale. L’Intervista adAndrea  Nahles ripresa dal blog della SPD.

La discussione sulla crisi finanziaria è almomento sulla bocca di tutti e sembra quasiche la Merkel adotti gli argomenti e le idee po-litiche dell’ SPD. Perché il partito SPD sta co-stantemente fornendo degli argomenti che sal-vano il “di dietro” di Angela Merkel, per usa-re un linguaggio informale?

“La questione al momento non riguarda néla Merkel né i vantaggi strategici che potrem-mo trarre per le prossime elezioni politiche,che peraltro sono ancora lontane. La cosa più

importante attualmente é l’Europa, la stabilitàdei mercati finanziari in Europa, i posti di la-voro in tutti i paesi dell’Europa,le opportunitàper i giovani in Europa, ed è corretto affermareche noi saremmo disposti a impegnarci per unanno per una soluzione buona e professiona-le/competente nel Bundestag e che l’SPD nonsi tirerebbe indietro per trovare una soluzioneper l’Europa; questa è la nostra linea principa-le. Non significa però che siamo soddisfattidella gestione della crisi della Sig.ra Merkel,che agisce solo in vista delle due settimane avenire e poi non si sa come si andrá avanti. Almomento accade che le persone si sentonosempre piú insicure ogni volta che viene an-nunciato un nuovo vertice;  la situazione èmolto preoccupante, ma noi siamo disposti atendere la mano dove è necessario per rag-giungere una maggiore stabilità in Europa”.

All’inzio l’opinione tra economisti conser-vatori e liberali era quella di respingere for-temente l’idea degli Eurobond, ora peró si faavanti un esperto dopo l’altro che si dichiaraa  favore, dicendo che potrebbe essere una oaddirittura l’unica soluzione. Forse tu ci po-tresti spiegare quale sia il vantaggio e lo sco-po degli Eurobonds?

“La situazione attuale è che i paesi che han-no già difficoltà stanno pagando interessi sem-pre più alti per i crediti che contraggono daimercati finanziarie questo genera nuovi pro-blemi. Finché esisteranno molteplici/diversiprestiti statali, ci sará sempre speculazione ealla fine la crisi continuerá solo ad aggravarsi.Abbiamo visto un vertice d’emergenza dopol’altro senza che ne sia uscita una soluzionevalida; questo sta sgretolando la fiducia deicittadini, sopratutto in Germania. Per questomotivo sarebbe importante ora che si agisseuniti, che ci fosse un’azione congiunta. “Eu-robond” significa semplicemente che tutti ipaesi pagano gli stessi tassi di interesse. E que-sto è il vero grande vantaggio: si mette fine al-le speculazioni, si crea  maggiore sicurezza perla pianificazione dei paesi che si trovano indifficoltà, ma anche per quelli che sono attual-mente ancora forti, ma che potrebbero ancoraessere trascinati nella spirale, come ad esem-pio Francia e Germania.

Significa cioè portare più sicurezza nellapianificazione e maggiore stabilitá per tutti,tassi di interessi più bassi per i paesi piú debolisenza, a mio parere, aumentare i tassi per i cit-tadini tedeschi. Alla fine sarebbe una soluzio-ne buona e sicura.

Il problema che viene avvertito da alcuni èche i paesi a cui vengono imposti tassi inferioriattraverso gli Eurobond potrebbero frainten-dere la situazione come carta bianca per farenuovi debiti. Io credo che sia possibile preve-nire questo comportamento; l’SPD proponeche vengano emanate direttive volte ad impe-dire un tale comportamento.

Sono inoltre convinta che si siano resi contoin Italia, in Spagna e ovunque che sia neces-sario agire in modo responsabile, perchè noitutti ci troveremmo nei pasticci se non lavo-rassimo insieme. Gli Eurobond ci porterannoil progresso necessario. Il ministro delle finan-ze Rösler si rifiuta con tutta la forza, l’interoFDP si rifiuta, ci sono delle liti nel Bundestag,ma adesso è davvero arrivato il momento incui la Cancelliera si mostri determinata e pren-da le sue decisioni con saggezza, per il nostrofuturo. Gli Eurobond verranno introdotti,laquestione di quando accadrá in Europa dipen-de dalla Merkel, e io posso solo consigliareche ciò accada il più presto possibile perchèaltrimenti vedremo un inasprimento della crisiinvece di un sollievo”.

20 ■ CRITICAsociale3-4 / 2012

Ma anche in casa CDU si alzano voci critiche.Mentre la giovane segretaria generale della

SPD trova controproducente per la stessa Ger-mania la politica da borgomastro della Merkel,a poche ore dall’incontro parigino con Sarko-zy, anche in casa CDU si alzano voci critiche.Johann Wadephul, parlamentare dei Cristianodemocratici (Cdu), aveva affermato di non-considerare gli eurobond “opera del diavolo”.A sua volta, Armin Laschet, membro del boardesecutivo del partito della Merkel, aveva chie-sto un dibattito aperto sulla questione. Infine,l’europarlamentare conservatore, BurkhardBalz, aveva definito ingiustificabile il catego-rico rifiuto opposto agli eurbond da molti suoicolleghi di partito e di coalizione.

I critici della Merkel insistono perché si im-pegni con maggiore energia per ricostruire lafiducia dei mercati nell’euro e placare i ventidi crisi che scuotono il Vecchio Continente. Lerimproverano insomma una mancanza di lea-dership. “La Merkel prima tasta gli umoridell’opinione pubblica, poi agisce”, nota IrwinCollier, professore di Economia all’UniversitàLibera di Berlino. “Come la gran parte dei lea-der europei, la Cancelliera sta seguendo le im-pressioni e le paure della pubblica opinionenazionale e dei suoi colleghi in parlamento enell’esecutivo. Dovrebbe invece dirigerli.Consideriamo per un attimo il peso della Ger-mania e la sua enorme influenza nella Ue; èchiaro che se Berlino (come sembra in questesettimane) decide di allontanarsi dal progettoeuropeo, le fondamenta stesse dell’Unione ri-schiano il tracollo”, aggiunge Charles A. Kup-chan, professore di Relazioni Internazionali al-la Georgetown University. “La Merkel devebilanciare le responsabilità tedesche verso ilresto d’Europa con le esigenze domestiche, elo deve fare con grande attenzione”, avverteJan Techau, direttore di Carnegie Europe,think tank con sede a Bruxelles. Impressioniraccolte da Judy Dempsey e Nicholas Kulish,che per l’International Herald Tribune (Iht)indagano le dinamiche interne di un Paese, laGermania, chiamato nei mesi a venire a dareun contributo fondamentale per la salvaguar-

dia dell’eurozona. Ne avrà la volontà?Per certo, nell’estate tedesca non si vivono

le tensioni registrate altrove e questo spiega,in parte, la cautela che la Merkel mostra afronte del senso di urgenza avvertito da moltiin Europa. La Germania è l’unica nazione eu-ropea in grado di “coprire” il debito dei suoipericolanti vicini, ma i suoi cittadini sono ri-luttanti a pagare per il salvataggio delle eco-nomie di altri Stati. Mentre le piazze greche,spagnole e persino britanniche sono in subbu-glio e in gran parte del Continente (Italia in te-sta) si propongono dure misure di austerità, aBerlino si discute di tagli fiscali.

Contraddizioni e incongruenze che fanno sìche la Merkel si trovi tra due fuochi. Da un lato,le sollecitazioni esterne di coloro che, in Europae nel mondo, la accusano di bloccare incisivemisure anti-crisi (come gli eurobond) e di met-tere così a rischio la stabilità finanziaria inter-nazionale e la stessa sopravvivenza dell’euro-zona; dall’altro, le pressioni interne di buonaparte delle forze politiche e sociali tedesche, chenon vogliono pagare un prezzo eccessivo per ilsalvataggio dei vicini in difficoltà.

Evidentemente, le pressioni contrastanti acui è sottoposta devono avere indotto la Can-celliera all’attendismo, notano i commentatoridel Iht, ma è altrettanto evidente che, prose-guono, più la Merkel tarderà a prendere unadecisione netta sulla questione e più la sua lea-dership verrà fiaccata, sia dagli sbandamentidella sua coalizione di governo che dagli scric-chiolii di un’Europa sempre più fragile.

Berlino negli ultimi tempi ha rimarcato lasua posizione di contrarietà agli eurobond. Siala Merkel che il ministro delle Finanze, Wol-fgang Schäuble lo hanno ripetuto ufficialmen-te. Inoltre, i liberali, partner di coalizione deicristiano democratici, non perdono occasioneper minacciare la loro uscita dal governo nelcaso in cui la Cancelliera desse il suo assensoall’emissione degli eurobond. A poco erano si-nora servite le prese di posizione di diverse au-torevoli personalità  europee,convinte dell’ef-ficacia degli eurobond come strumento di di-fesa dagli attacchi speculativi diretti contro i

paesi a elevato debito. Oltre a Giuliano Amatoe a Giulio Tremonti, si sono infatti espressi intal senso il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker e il commissario Ue per gliAffari Economici e Monetari,  Olli Rehn.

E’ lecito attendersi un segnale della dispo-nibilità tedesca ad assumersi le proprie respon-sabilità davanti alla crisi che investe l’Europa?Presto per dirlo. Tuttavia, i sorprendenti datiEurostat sulla stagnazione dell’economia te-desca nell’ultimo trimestre e i crescenti dis-sensi interni sulla linea dat enere rispetto aglieurobond dovrebbero far riflettere la coalizio-ne giallo-nera che regge il Paese. La Germania

ha tutto l’interesse, quantomeno nel lungo pe-riodo, a impedire che l’architettura finanziariaeuropea crolli. Le ripercussioni economiche epolitiche per l’Occidente tutto sarebbero de-vastanti. I socialdemocratici tedeschi ne hannopreso atto e la stessa convinzione va diffon-dendosi nella Cdu. Aldilà della resistenzaideologica del junior partner liberale, gli umoridella coalizione che regge il governo dellaMerkel stanno lentamente cambiando in sensofavorevole agli eurobond. La Cancelliera do-vrà tenerne conto. L’Europa attende. s

(A cura di Fabio Lucchini)

I l FMI ha ultimamente pubblicatonumeri che danno la certezza ma-tematica che l’Italia non può es-

sere risanata e portata nei parametri dell’Euro-sistema: è vero che dal 2008 al 2017 sarà leadernell’avanzo primario, ma questo conta ben po-co rispetto al fatto che il suo pil, in quel perio-do, calerà dell’1,7%, mentre quello USA au-menterà del 20,3, quello francese del 10, quellotedesco dell’8,8, quello cinese del 116. Il rap-porto debito/pil italiano peggiora del 13,2%.

Ciò basta a porre l’Italia fuori del circolo deipaesi del Primo Mondo (già nella precedentefase di crescita era rimasta indietro di moltipunti dall’Eurozona e dall’America) e adescludere che possa rispettare il Fiscal Com-pact (riduzione del 20% all’anno della quotadi debito pubblico eccedente il 60% del pil).

Quindi, a breve termine, l’Italia sarà o fuoridall’Euro, oppure governata direttamente daifinanzieri del Meccanismo Europeo di Stabi-lità, cioè di Berlino, con costi, reazioni sociali,controreazioni repressive, potenzialmenteestremi. Anche in Spagna e Grecia le ricette“europee” (cioè quelle dettate dalla Germaniaa tutela del suo c.d. “modello economico re-nano”), stanno portando l’economia al disa-stro. E continuano a venire imposte.

Le richieste di tasse e sacrifici da parte di ungoverno sono legittime se il governo dimostrache sono necessarie e idonee a un programmarealistico e utile al paese. Quelle del governoMonti non sono necessarie, perché il governodovrebbe prima tagliare spese pubbliche pa-rassitarie e gonfiate, e non lo fa; non sono ido-nee, perché, conti alla mano, non risolvono lacrisi ma paiono aggravarla con l’avvitamentofiscale; inoltre non rientrano in un programmadi interesse nazionale, anzi non si capiscenemmeno che fine stia perseguendo il gover-no, date le grandezze sopra riportate.

I tagli previsti alla spesa pubblica indebita perbeni e servizi sono di 4,2 miliardi su un totaledi 147, quindi è chiaro che non si liberano ri-sorse per investimenti produttivi né per alleg-gerimenti fiscali, ma rimane intatto il sistemadi produzione di consenso e profitto partitico emafioso mediante scialo e appalti gonfiati. Itemper le opere pubbliche, sistematicamente gon-fiate. E per la spesa per un personale elefantiacoe poco efficiente. Tagliare la spesa pubblica pa-rassitaria significherebbe peraltro eliminarequel sistema e i suoi titolari, e ciò è impossibileper un governo che dipenda dai partiti.

Dato quanto sopra, ciò a cui sta lavorando ilgoverno e chi lo appoggia, con tanti tagli e tan-

te tasse, non è, non può essere, un piano di ri-sanamento e rilancio del paese, che essi sannobenissimo essere irrealizzabile; dunque è unpiano con un fine diverso.

Probabilmente è un piano di liquidazionedel paese (ossia di raccolta e distribuzione trapotentati esterni ed esterni dei valori in essopresenti: risparmio, proprietà private e pubbli-che) e al contempo di sua collocazione, in po-sizione subalterna, entro una nuova architettu-ra “europea” di poteri reali e formali, con unampio haircut dei diritti e delle garanzie civili,politici, fiscali, sindacali; e con forte compres-sione fiscale e bancaria delle piccole impreseitaliana, onde far posto nel mercato italiano adimprese straniere.

Remunerando l’appoggio parlamentare deipartiti politici con la conservazione dei loroprivilegi e feudi, si tiene insieme il paese peril tempo necessario a liquidare i suoi assets ea completare il lavoro di ingegneria sociale.Poi, quando il paese salta, lo si fa cadere in unagabbia appositamente predisposta. Questo mipare lo scenario più verosimile, anche se sperodi sbagliarmi.

In tale scenario, è ovvio che i cittadini riten-gano che le tasse siano non solo eccessive, maanche contrarie agli interessi della nazione,perché esse vanno a sostenere un’operazionedi quel tipo. Se uscire dall’Eurosistema è ine-vitabile, tanto vale uscire al più presto, primache il processo di demolizione dell’economianazionale produca ulteriori danni, e con ancoraqualche soldo in tasca. Se ci lasciamo portarvia le ultime risorse, dopo saremo in balia delcapitale dominante sostanzialmente tedesco,mentre anticipando i tempi potremmo ripartirei danni con i paesi amici. Il popolo e le impre-se hanno quindi interesse ad attivarsi per sven-tare il disegno di liquidazione del paese, rove-sciando il tavolo. E a ricordare alla Germaniache il Nazismo e la II GM sono conseguenzadell’austerità imposta ad essa stessa per il pa-gamento dei suoi debiti.

In ogni caso, conviene prepararsi a un cam-biamento valutario, quindi alla probabilità chei depositi bancari e gli altri crediti denominatiin Euro siano convertiti in Lire o altra valuta,con una forte svalutazione rispetto all’Euro econ una perdita di potere d’acquisto. Contro-misure preventive, oltre all’emigrazione, sonoa)spostare i depositi in un idoneo paese estero(Svizzera, per esempio); b)convertire i depo-siti da Euro a valute forti, con scarso debitopubblico; c)investire in valori sganciati dallavaluta italiana. s

■ I CONTI CONTRADDICONO LE DICHIARAZIONI PUBBLICHE

EURO, PREAVVISO DI SFRATTO?Marco Della Luna

CRITICAsociale ■ 213-4 / 2012

U n folto gruppo di socialisti,ha reso omaggio a FilippoTurati nell’80° anniversario

della morte. Hanno preso la parola Carlo To-gnoli a nome della Critica Sociale e FrancoD’Alfonso in rappresentanza del Comune diMilano.

Erano presenti Ugo Finetti, Giovanni Man-zi, Paolo Pillitteri, Stefano Pareti (già sindacodi Piacenza) Giorgio Milani (Piacenza) Lanati(Piacenza) Felice Besostri, Sergio Tremolada,Dario Alamanno, Riccardo Negro per il grup-po di Volpedo, Enzo Collio, Stefano Pillitteri,Nando Vertemati, Stefano Carluccio, ToninoBiondino, Pietro Conti per la fondazione ‘Sa-ragat’, Roberto Caputo consigliere provincialee molti altri compagni.

Franco D’Alfonso, assessore al Commer-cio, Turismo, Attività produttive e

Marketing territoriale del Comune di Mila-no, ha detto:

“E’ una grande emozione essere qui oggi arendere omaggio a Filippo Turati, in occasionedel 74° anniversario della scomparsa di questopadre nobile della sinistra socialista italiana.Oggi siamo qui per ricordare la figura e il pen-siero di un grande socialista riformista le cuiidee rivelano, a quasi un secolo di distanza,una profonda lungimiranza e una puntale at-tualità che si ritrovano come allora nella lungatradizione di sindaci e amministratori che neltempo hanno guidato e guidano lo sviluppo diMilano, tutti figli del grande riformismo so-cialista ispirato da Turati.

Parlo per la prima volta come oratoreuf0iciale ed è un onore farlo in occasione del

ricordo di colui che fu il vero fondatore del ri-formismo italiano.

In un’epoca in cui non mancano i riformistisenza aggettivi e senza contenuti è bene torna-re alle autentiche radici culturali e credo di po-ter affermare senza alcun dubbio che la culturapolitica turatiana è sempre stata aperta ai prin-cipi del relativismo culturale, del rispetto degliavversari, del pluralismo politico, dell’elogiodel dissenso, della difesa del diritto all’erroree dell’amore dell’eresia.

Principi questi ai quali Turati è sempre statofedele e, per questo motivo, riconoscibile‘campione’ di democrazia e di riformismo.

E’ importante in occasione di questa cele-brazione, riportare l’attenzione sull’opera del‘leader’ socialista per la costruzione del socia-lismo riformista italiano, dalla quale emergela grandezza del capo politico, dell’uomo dipensiero, del lottatore contrario all’uso dellaviolenza, ma sempre pronto a battersi per il ri-scatto del mondo del lavoro e per la conquistadegli spazi di libertà e di democrazia che sonoi nutrimenti indispensabili per la crescita delmovimento socialista.

E’ doppiamente emozionante per me esserequi oggi a portare i saluti del sindaco Pisapia,che fin dalla campagna elettorale dello scorsoanno, ha avuto l’intuizione che si dovesse an-dare oltre, superando il contrasto tra le due‘anime’ della sinistra, una contrapposizioneche era ormai caduta nella farsa, per dar vita aun rinnovato riformismo, finalmente inclusivodi tutte le espressioni in cui si declina la nuovasinistra milanese. Pur non provenendo diretta-mente dalla tradizione socialista, Giuliano ha

capito infatti che la rifondazione della sinistramilanese doveva far tesoro dell’esperienzadel‘socialismo municipale’, embrione dellasocietà socialista, con l’utilizzo dei servizipubblici, di una politica fiscale progressiva,che si declinava nella calmierazione dei prezzidei generi di consumo e nella difesa dei dirittidei lavoratori e dei cittadini. Possiamo quindiaffermare con orgoglio che questi primi 10mesi di governo della città rinverdiscono evanno nel solco della tradizione dei sindaci ri-formisti milanesi”.

Carlo Tognoli dopo avere ricordato che Tu-rati morì in casa di Bruno Buozzi, a Parigi, inBoulevard d’Ornano, dove aveva trascorso gliultimi anni dell’esilio – ha letto un breve mes-saggio di Rino Formica:

“Ho un debito con le ceneri di Turati. Nelmaggio del 1947 si tenne a Parigi

(Monterouche) il congresso della Federazio-ne Giovanile Socialista di Francia che deliberòla Costituzione dell’Internazionale GiovanileSocialista di ispirazione trotskista. La delega-zione italiana era composta da Solari, Mura,Ruffolo, Maitan, Formica. A conclusione delCongresso un corteo di giovani socialisti si re-cò al Cimitero di Pere Lachaise per deporre ifiori ai caduti della Comune di Parigi. Noi gio-vani socialisti italiani non rendemmo omaggioa Turati e Treves che riposavano nello stessocimitero, ma deponemmo fiori su la tomba diLargo Caballero, il capo socialista della rivo-luzione spagnola. Quella scelta indica il climaantiriformista che avvolgeva le nuove genera-zioni socialiste.

Presto alcuni di noi ebbero modo di vergo-

gnarsi di quel gesto di ostilità a Turati e Tre-ves. Fraternamente, Rino”

Tognoli ha sottolineato l’importanza dellafigura di Turati nella storia del socialismo ita-liano e per la crescita della democrazia nel no-stro Paese allora molto arretrato. Fermo asser-tore del socialismo riformista e gradualista, fucontrario all’uso della violenza come mezzodi lotta politica.

Dimenticato a lungo anche nell’ambito dellasinistra (eccezion fatta per Giuseppe Saragatche a lui si ispirò e per Bettino Craxi che neglianni ‘80 lo riconobbe come fondatore e prota-gonista del socialismo riformista) è stato con-siderato ingiustamente un perdente.

Gli veniva addebitata la responsabilità dinon avere dato vita a un governo democraticoper sbarrare il passo a Mussolini. Ma Turatiera favorevole a una soluzione di quel tipo.Contraria era la maggioranza dei socialisti, deiliberali e dei cattolici, che avrebbe dovuto es-sere la base di una maggioranza antifascista.La sua sconfitta non era diversa da quella ditutti gli altri democratici non fascisti. Le sueidee sono ancora valide e preziose quanto me-no sul piano del metodo e nella difesa della de-mocrazia.

Fu il principale ‘costruttore’ del partito so-cialista cui diede una funzione politica di azio-ne per le riforme sociali e per le libertà e nonsolo di lotta.

Ebbe grandi intuizioni, quasi profetiche, ri-

■ CERIMONIA AL MONUMENTALE CON UNA CORONA DI GAROFANI DELLA CRITICA SOCIALE

TURATI RICORDATO A MILANO NELL’80° DELLA MORTE

22 ■ CRITICAsociale3-4 / 2012

spetto all’evoluzione delle situazioni storichee politiche.

“…Né si creda che davvero possa esistereuna dittatura di classe. Non esiste una ditta-tura di classe; la maggioranza non ne ha bi-sogno; la minoranza non via ha diritto. Esi-stono dittature di uomini e quindi sopra e con-tro tutte le classi…”

Massimalisti e comunisti ne ostacolarono lapositiva azione in nome del velleitarismo ri-voluzionario.

Togliatti lo insultò dopo la morte: “…la suavita può ben essere presa come un simbolo ecome un simbolo la sua Aine. La insegna sottocui questa vita e questa Aine possono essereposte è la insegna del tradimento e del falli-mento…Nella teoria Turati fu uno zero…unoratore sentimentale, tinto di scetticismo…spi-rito conservatore…organicamente un controrivoluzionario…e bisogna sfatare un’altraleggenda, quella di Turati onesto, diritto, sin-cero e così via…fu uno tra i più disonesti fra icapi riformisti perché fu tra i più corrotti dalparlamentarismo e dall’opportunismo…”

In realtà Filippo Turati aveva già visto conlucidità che cosa era il comunismo al potere,come denunciò nel suo discorso al congressoPSI di Bologna del 1919: “… la miseria, il ter-rore, la mancanza di ogni libero consenso (ba-sti dire che in Russia non esiste libertà distampa, il diritto di riunione è conculcato, illavoro è militarizzato e i più presi di mira dal-la persecuzione governativa sono i socialistidi tutte le scuole) e inAine la pretesa di forzarel’evoluzione economica – tutto ciò ha portatoe porterà ineluttabilmente lo scoraggiamentodi qualsiasi attività produttiva e così, parados-salmente, un Paese così vasto e ricco di risor-se… anziché diventare antesignano di unanuova civiltà, dovrà soffrire decenni di pati-menti e di povertà…mentre Ain d’ora è co-stretto a creare una immensa macchina mili-taristica che è un pericolo permanente…”.

‘L’odio per i riformisti è il pilastro della pe-dagogia dell’intolleranza’, scrive il prof. Orsi-ni nel saggio ‘Gramsci e Turati, le due sinistre’nel quale si mette in luce l’intolleranza gram-sciana e la tolleranza turatiana. Saviano, cheha recensito il libro, fa notare quanto più po-sitiva sia la linea laica e democratica di Turaticontraria al metodo della violenza politica edella demonizzazione degli avversari.

Nell’esilio francese contribuì all’unificazio-ne dei due partiti socialisti formatisi nel 1922:il PSI di Nenni e il Partito socialista unitariodi Matteotti, Turati e Treves.

Nenni aveva evitato che il PSI ammainasse labandiera, nel ’22, per la decisione di Serrati diaderire al Partito comunista d’Italia. Il PSU ri-formista era ancora il più forte elettoralmente.

Nel 1930 Turati e Nenni riuscirono a dar vi-ta ad un partito unico. In una lettera a Nennidel 24 marzo 1930, Turati scriveva:

“Mio caro Nenni, non fui mai il feticista diuna qualsiasi unità: La parola è troppo ambi-gua ed elastica. Seduce i semplici cui fu dettoche l’unione fa la forza e i contabili fanaticidel tesseramento. Ma se è fra contrari ed in-compatibili, crea la babele del pensiero, la pa-ralisi dell’azione. Ogni tattica può avere delbuono purché tenga una linea. Fare del pro-letariato un solo cervello ed un solo cuore èla meta ideale, non può essere il punto di par-tenza ed esige che l’unione sia appunto neicervelli e nei cuori.

Quali dissensi ci tennero così a lungo divisi?- Il dissenso sulla partecipazione o l’appog-

gio a governi demoocratici su eventuali alle-anze elettorali;

- la valutazione delle riforme, della conqui-sta da farne anche prima del miracolo rivolu-zionario, la penetrazione graduale, ma assi-dua, in tutti gli istituti borghesi;

- l’apprezzamento del fenomeno bolscevicoe delle dittature fasciste.

Tre fatti dominano oggi la storia: il ricordodella guerra, la quale può riprodursi più ter-ribile – la tragedia del fascismo, vero brigan-taggio di classe – il fenomeno oscuro del bol-scevismo.

Con questo animo, con questi voti, auspicodi gran cuore l’unità socialista”.

I due tronconi del socialismo si rimettevanoinsieme per imboccare una via che purtroppo,dopo la seconda guerra mondiale, sarà tormen-tata da nuove divisioni e scissioni.

Nenni solo dopo il 1956 riprenderà la stradadel riformismo a lungo contrastata dal massi-malismo inconcludente.

Eppure basta rileggere il cosiddetto ‘pro-gramma minimo’ (elaborato nel 1895, dopo laricostituzione del PSI dopo lo scioglimentodeterminato dalle leggi

‘crispine’) per rendersi conto come i fautoridel ‘programma massimo’ (la rivoluzione, pre-ceduta dal ‘tanto peggio, tanto meglio) fosserofuori dalla realtà. Tra i punti del programmaminimo si leggono: - suffragio universale –abolizione restrizioni della libertà di stampa,di riunione di associazione – eguaglianza giu-ridica tra i due sessi – nazionalizzazione di fer-rovie, miniere, linee di navigazione – espro-priazione terre incolte – riforma tributaria contassa unica progressiva – riduzione degli inte-ressi del debito pubblico –giornata lavorativadi otto ore – cassa pensione per i vecchi, inva-lidi, inabili al lavoro – limitazione del lavorodelle donne e dei fanciulli – igiene nelle fab-briche – scuola obbligatoria – servizi pubbliciai comuni – abolizione dei dazi sui consumitrasformazione delle pubblica beneficenza inassistenza sociale ed economica – aiuti aglistudenti poveri ecc.

Turati era questo: la conquista, giorno dopogiorno, da parte dei lavoratori guidati dal Par-tito socialista dei diritti economici e sociali conle battaglie democratiche, l’elevazione civile eculturale dei proletari, il rispetto per le altreculture politiche nella certezza che solo nellademocrazia si salvano i risultati ottenuti. s

N el 1918, subito dopo la finedella ‘grande guerra’ FilippoTurati, neutralista convinto,

ma non anti-italiano, prosegue nella sua azionepolitica e ideale, il lavoro di una vita, per ten-tare di portare il socialismo italiano fuori dalle‘secche’ del massimalismo inconcludente chene avrebbero determinato la sconfitta.

Il proletariato avrebbe dovuto “…respingeretutte le proposte di giochi d’azzardo sedicentirivoluzionari…per la riconquista delle libertàelementari…il rispetto «postbellico» per l’au-todecisione dei popoli…e per tutte le rivendi-cazioni politiche, economiche, sindacali e cul-turali, inscritte da gran tempo nei programmisocialisti…”. «La scelta è» “…fra pace demo-cratica sincera e definitiva, e rivoluzione uni-versale. Il dilemma, anche pei vincitori, si rias-sume nell’alternativa di due nomi simbolici:Wilson o Lenin.”

Maurizio Punzo - in questo saggio storiconel quale si riporta l’attenzione sull’opera del‘leader’ socialista per la costruzione del socia-lismo riformista italiano – fa parlare Turati.

Emerge la grandezza del capo politico,dell’uomo di pensiero, del lottatore contrarioall’uso della violenza, ma sempre pronto a bat-tersi per il riscatto del mondo del lavoro e perla conquista degli spazi di libertà e di demo-crazia che sono i nutrimenti indispensabili perla crescita del movimento socialista.

Viene seguita, passo dopo passo, l’evoluzio-ne politica e ideale che porta Turati alla fon-dazione del Partito socialista nella netta sepa-razione dall’anarchismo - che mette in rilievola sua posizione ‘intransigente’ nei primi annidi vita del partito rispetto alle possibili allean-ze con i partiti democratici considerati debolie ambigui di fronte alle leggi repressive diFrancesco Crispi e del marchese Di Rudinì –che lo vede rinchiuso nel carcere di Pallanzadopo i fatti del 1898 – che lo trova di nuovonel 1899 alla direzione della ‘Critica Sociale’dopo la forzata assenza.

Con la crisi di fine secolo, com’è noto, siapre un periodo favorevole per il riformismosocialista e per la stessa democrazia italiana.

Turati, affiancato da Anna Kuliscioff, Clau-dio Treves e Leonida Bissolati (direttoredell’Avanti!) comincia a tessere il filo delle ri-forme stabilendo un dialogo, spesso conflit-tuale, con la parte più aperta dello schieramen-to liberale, Zanardelli e Giolitti, ottenendo ri-sultati importanti sul piano della legislazionesociale e delle libertà. Il Partito socialista di-venta un interlocutore per conquistare vantag-gi concreti per il proletariato, per rendere piùdemocratica la politica italiana, in vista, tral’altro, del suffragio universale che potrebbedare più peso al socialismo italiano.

L’autore ripercorre questa strada ‘turatiana’,che si sviluppa raccogliendo vittorie e sconfit-te, anche attraverso compromessi positivi, avantaggio dei lavoratori e senza mai rinunciareall’obbiettivo della costruzione della societàsocialista, da raggiungersi con il metodo de-mocratico.

Questa linea viene contrastata dai ‘rivolu-zionari’ che progressivamente conquistano lamaggioranza del partito e negano la validitàdel gradualismo

Turati difende la sua azione: “…E non tuttele riforme sono d’una stessa famiglia. Ve n’ha

che devono essere sudata conquista dei lavo-ratori…con la loro vigilanza, ma ve n’ha an-che – poniamo le pensioni di vecchiaia, le as-sicurazioni contro gli infortuni ecc. – che, co-munque ottenute, sono benefizi sicuri…”.

Arriva a compimento anche il suffragio uni-versale, malgrado i riformisti siano ormai in mi-noranza nel partito, ma arriva anche la guerra.

Il neutralismo socialista è interpretato dai‘rivoluzionari’ o ‘massimalisti’ (come ormai sichiamano in ossequio al programma ‘massi-mo’ contrapposto al programma ‘minimo’ del-le riforme) in forma aggressiva e talora anti-nazionale anche durante la disfatta di Caporet-to. Invece i riformisti, senza diventare inter-ventisti, si schierano con la maggioranza degliitaliani nel momento in cui è necessaria l’unitàdel Paese.

L’autore dedica diverse pagine a Milano suquesto periodo, mettendo in rilievo le posizio-ni del sindaco Emilio Caldara del tutto corri-spondenti a quelle di Turati per la difesa deiconfini italiani.

Nel testo sono molti i riferimenti al capoluo-go lombardo, nella cui rappresentanza comuna-le era presente il leader socialista prima con laminoranza consigliare e poi con la maggioranzache nel 1914 portò Caldara sindaco. E vengonomessi in evidenza i contrasti con i ‘rivoluziona-ri’ che controllavano il partito e la giunta cheproprio durante la guerra, senza rinunciare alproprio programma socialista, aveva saputo at-tirare il consenso dei milanesi con una ampiaazione di assistenza verso la popolazione, i pro-fughi e i militari di stanza in città.

Naturalmente nel libro altre pagine sono de-dicate al ‘socialismo municipale’, embrionedella società socialista - con l’utilizzo dei ser-vizi pubblici, di una politica fiscale progressi-va, la calmierazione dei prezzi dei generi diconsumo, la difesa dei diritti dei lavoratori co-me strumenti di modificazione del potere avantaggio del proletariato.

Punzo conclude con un commento al discor-so di Turati, ‘Rifare l’Italia’, del 1920, ritenutocomunemente uno dei più avanzati programmiper il rinnovamento in chiave socialista e de-mocratica del nostro Paese. Anzi alcuni hannovisto in quella impostazione, sia pure tenendoconto della differenza epocale, la politica delcentro sinistra PSI, DC, PSDI, PRI dei primianni ’60, con la nazionalizzazione dell’energiaelettrica, la scuola media unica, la riforma del-le pensioni, la grande redistribuzione dei red-diti verso le classi lavoratrici.

Perché Turati è stato in parte dimenticato?Perché ha perso contro il fascismo? Non era ilsolo e si era battuto con lucidità auspicandouna grande coalizione antifascista.

Forse si deve a una parte rilevante della si-nistra italiana (eccezion fatta per Giuseppe Sa-ragat) se fino a Bettino Craxi nessuno avevariconosciuto al fondatore del PSI l’importanzache aveva avuto nella storia del socialismo enella maturazione della democrazia italiana.

Una sinistra a lungo dominata dal massima-lismo e dal comunismo che, quando ha comin-ciato, per necesità, a imboccare la strada delgradualismo e delle riforme, non ha volutoammettere i propri errori e ha ignorato i pro-tagonisti del riformismo. s

(‘L’esercizio e le riforme’, Maurizio Punzo,l’Ornitorinco edizioni, Milano 2011)

■ “L’ESERCIZIO E LE RIFORME”

IL “TURATI” DI MAURIZIO PUNZO

Carlo Tognoli

F in dalla sua nascita il socialismoha avuto due anime: quella og-gettivistica ed evoluzionista e

quella messianica e interventista, entrambeconviventi, sia pure in modo diverso e con fre-quenti contaminazioni reciproche, sotto l’alarassicurante dell’idea di progresso.

Tutto si trova già nel pensiero e nelle operedel padre-padrone del socialismo, Karl Marx,che ha convissuto con geniale consapevolezzacon questa evidente contraddizione, coltivan-dola per tutta la vita nella convinzione che fos-se essa stessa componente essenziale delle sueanalisi e del suo programma rivoluzionario eche la bacchetta magica della dialettica potessefar coesistere queste due istanze inconciliabil-mente contraddittorie.

In questo dualismo è racchiuso un secolo emezzo di storia del movimento operaio, com-preso ovviamente quello italiano, tra la metàdell’800 e la fine del 900, un movimento cheha rappresentato, in questo stesso arco di tem-po, una delle componenti più importanti delladinamica storica complessiva, anche se oggiha lasciato il posto ad altre dinamiche legateal venir meno delle tradizionali contrapposi-zioni di classe e all’insorgere di contrasti po-litici ed economici nuovi, tipici del mondoglobalizzato.

In Italia il Partito Socialista, nato nel 1892come Partito dei lavoratori (il nome PSI è del1895), si forma e si sviluppa all’insegna del ri-formismo, anche se ha fin dall’inizio al suo in-terno una forte corrente massimalista, coltiva-to anche attraverso il rapporto preferenzialecon il movimento sindacale. I leader principalidel riformismo erano Filippo Turati, ClaudioTreves e Leonida Bissolati, uniti sostanzial-mente dal metodo del gradualismo riformatoreal’interno del quadro parlamentare del sistemaliberale, ma destinati a dividersi negli annisuccessivi di fronte ad avvenimenti traumatici,tra i quali spicca in particolare la guerra di Li-bia del 1911.

Questa tendenza si concretizzò in particola-re a partire dal 1901, quando i socialisti deci-sero l’appoggio esterno al governo Zanardel-li-Giolitti e venne teorizzata dallo stesso Turatiin un articolo apparso sulla “Critica sociale “nello stesso anno, dove si legge: “ la trasfor-mazione sociale non può farsi né per decretidall’alto, né per impeti subitanei dal basso, mapresuppone tutta una lenta e graduale trasfor-mazione, anzitutto dell’ossatura industriale…poi coerentemente una trasformazione ed unelevamento del pensiero, delle abitudini, dellecapacità stesse delle masse proletarie. Questoelevamento non avviene per una rivelazionemistica o per trasfusione precettuale: bensìcoll’esercizio che crea le forze e colle riforme,che rendono l’esercizio possibile o ne fissanoi risultati in istituti legali”. E’ la quintessenzadel riformismo, così come lo aveva definitoanni prima il ‘padre’ di tutti i riformisti, il te-desco Eduard Bernstein.

Con alti e bassi questa è la rotta del sociali-smo italiano nel primo decennio del secolo,negli anni d’oro del giolittismo, contrassegnatida una collaborazione di fatto, più o meno di-chiarata nei proclami ufficiali.

La situazione comincia a modificarsi a par-tire dal 1910, e in particolare dal Congresso di

Milano dell’ottobre, quando Bissolati, certa-mente la ‘punta di diamante’ del riformismosocialista, comincia a manifestare la sua insof-ferenza nei confronti dei ripetuti compromessiai quali la direzione del partito è costretta neiconfronti della sua ala sinistra. Proprio in oc-casione del congresso il leader della ‘destra’rivendica l’autonomia dei deputati socialisti ri-spetto alla direzione del partito (autonomia cheavrebbe consentito ovviamente una maggiorefacilità di collaborazione in parlamento con ilgoverno giolittiano) e si dimette, anche perquesto da direttore dell’“Avanti!”.

“Io non credo, afferma Bissolati davanti aidelegati, che il partito socialista abbia finito lasua funzione ; credo che debba trasformarsi: lasua composizione va mutata. Ma oggi, superatala fase della lotta per la libertà, il partito è unramo secco, un organismo vecchio, che develasciare il posto ai germogli della vita proletariaautentica…Deve venire il momento che laclasse lavoratrice deve essa stessa formulare isuoi bisogni e tracciare la via del suo destino”.

Le contraddizioni nel partito esplodono al-l’inizio del 1911 con la caduta del governoguidato da Luigi Luzzatti e l’incarico affidatonuovamente il 20 marzo a Giolitti, il cui pro-gramma prevedeva una riforma elettorale nelsenso del suffragio universale maschile, unariforma dell’istruzione elementare e il mono-polio dello Stato nel settore delle assicurazionisulla vita, ma soprattutto richiedeva la presen-za dei socialisti al governo.

Tre giorni dopo, il 23 Bissolati si recava alQuirinale per riferire al re la posizione dei so-cialisti in merito alla partecipazione al nuovoesecutivo. L’incontro, che non è esagerato de-finire storico, perché vedeva per la prima voltaun socialista a colloquio con il sovrano in unincontro ufficiale, era stato preceduto da unconfronto serrato tra i leader riformisti. In par-ticolare, Bissolati aveva parlato con i suoi di-retti sostenitori, Bonomi e Cabrini, che lo ave-vano incoraggiato, ma soprattutto con Treves,che si era dichiarato possibilista, e con Turati,che aveva respinto l’offerta di Giolitti, veden-do in essa un machiavellismo dello statista diDronero per rendere inoffensivo il movimentooperaio italiano. Svaniva così la possibilità diun governo con la presenza dei socialisti e Bis-solati, durante il colloquio, fu costretto a de-clinare l’invito.

Questi contrasti si riflettono nei diversi tonidegli interventi alla Camera prima del voto fi-nale. Bissolati si dichiarò soddisfatto delleproposte del capo del governo. “L’on. Giolitti,afferma, ci propone col suffragio universalel’unico vero mezzo con cui si possa infrangerel’arma della violenza. Sette o otto milioni dielettori impediranno che i corruttori, i violenti,i mazzieri si facciano valere contro la liberavolontà popolare”. Al contrario, Treves, chepure aveva sempre considerato la riforma elet-torale quale obbiettivo primario, si dichiarava,anche a nome di Turati, insoddisfatto, recla-mando, con una riserva evidentemente prete-stuosa, l’estensione del voto anche alle donne.Per Treves, con l’esclusione dell’elettoratofemminile, Giolitti si era dimostrato “il veroprogressista borghese che sa fare coincidere leriforme necessarie col minore danno delleclassi dominanti e col minimo vantaggio delle

classi proletarie”. In ogni caso il programmaavrebbe poi ottenuto, con due sole defezioni,il voto favorevole dei deputati socialisti.

Nella sua replica finale, Giolitti aveva buongioco a dichiarare comunque che in base allenuove posizioni del Partito socialista, “CarloMarx era stato mandato in soffitta”: un’affer-mazione destinata a diventare celebre e a fa-vorire la nascita di un nuovo periodico dellasinistra socialista (“La Soffitta” ). In partico-lare Benito Mussolini, allora esponente del-l’ala più estremista, attaccò il capo del gover-no in base alla classica logica del ‘tanto peggiotanto meglio’, vale a dire perché il suffragiouniversale avrebbe favorito l’evoluzione de-mocratica del Paese, allontanando così le lottepiù radicali.

Ma in quei mesi stavano maturando novitàsul piano della politica estera destinate a svol-gere un ruolo decisivo sugli equilibri all’inter-no del Partito socialista. Infatti il 28 luglio ilministro degli esteri di San Giuliano presenta-va un promemoria in base al quale, vista l’evo-luzione del quadro geopolitico del Mediterra-neo, si sarebbe reso necessario un interventoitaliano per occupare la Libia e quindi un con-flitto con la Turchia. La situazione sarebbe poiprecipitata nelle settimane successive, portan-do il 26 settembre a un ultimatum dell’Italiaall’Impero ottomano e quindi al conflitto.

Il giorno successivo veniva proclamato unosciopero generale destinato a rivelarsi un cla-moroso insuccesso, tranne nella zona di Forlì,dove la sinistra era maggioritaria e le violentemanifestazioni videro alla testa dei dimostrantiuna coppia inedita formata dal socialista Mus-solini (che avrebbe poi definito i riformisti“ascari di Giolitti”) e dal repubblicano Nenni,che proprio per questo sarebbero poi stati ar-restati il 14 ottobre.

Né Giolitti né i riformisti potevano esseredefiniti dei guerrafondai, ma entrambi aveva-no chiaramente percezione delle necessità im-poste all’Italia dall’evoluzione della politicainternazionale. Sorprende quindi solo fino aun certo punto la definizione coincidente datadell’intervento in Libia dallo stesso Giolitti edal riformista Ivanoe Bonomi: “una necessitàstorica”. Il 5 novembre, con Regio Decreto,

Cirenaica e Tripolitania venivano dichiaratesottoposte alla sovranità italiana.

La guerra di Libia rappresentò per l’opinionepubblica italiana e per i partiti uno spartiacquedestinato a riproporsi quattro anni dopo con laGrande Guerra. D’Annunzio scrive le Canzonidella gente d’oltremare. Pascoli, il 6 aprile1912, poco prima di morire, afferma che “lagrande proletaria si è mossa dopo soli 50 annich’ella rivive”. Il liberale meridionalista Giu-stino Fortunato dichiara l’importanza per lanuova Italia di una vittoria virile che coinvolgaanche i contadini. I partiti si spaccano. I radi-cali e i sindacalisti rivoluzionari a favore; divisii repubblicani e i socialisti, dove emerge per laprima volta clamorosamente la spaccatura trai riformisti: Bissolati, Bonomi e Cabrini possi-bilisti, Turati ( a cui si accoderà poi anche Tre-ves) nettamente contrario. Proprio Turati il 25settembre del 1911 aveva definito “ l’occupa-zione militare di Tripoli non giustificata né daragioni di diritto né da rispettabili interessi ma-teriali della nazione”, protestando “in nome de-gli interessi più profondi e più veri della patriae soprattutto delle classi lavoratrici”.

La formalizzazione della rottura avvenne trail 15 e il 18 ottobre al congresso di Modenadel partito, dove Turati definì la guerra un “tra-dimento del programma di democrazia da par-te del governo”, mentre Bonomi gli rimprove-rava di non capire la necessità per l’Italia diaffermarsi nel mondo, limitandosi a pronun-ciare delle “lamentazioni di Geremia”. Turaticoncludeva con un’affermazione che mettevauna pietra tombale su ogni collaborazione conle forze liberali, ipotecando così il futuro delPaese. Dichiarò infatti che “in nessun tempopuò riporsi fiducia in un governo borghese, perquanto democratico”.

La situazione stava diventando insostenibi-le. Da una parte Bissolati, che aveva sempremanifestato una maggiore attenzione per i pro-blemi di politica estera, riteneva necessaria ladifesa degli interessi nazionali da parte del go-verno nel quadro delle alleanze europee. A suogiudizio, nessuna nazione poteva vivere inmodo autarchico e per il proletariato non eraindifferente che prevalesse una politica esterapiuttosto che un’altra. Per l’occupazione della

■ UN SAGGIO DALLA RIVISTA WEB “STORIA IN RETE”

SOCIALISMO E GUERRA DI LIBIALA CRISI MORTALE DEL RIFORMISMO IN ITALIA

Aldo Giovanni Ricci

CRITICAsociale ■ 233-4 / 2012

24 ■ CRITICAsociale3-4 / 2012

Libia riteneva inoltre che una forma di colo-nizzazione fatta nel modo giusto avrebbe po-tuto rappresentare una buona opportunità siaper gli occupanti che per gli occupati. Dall’al-tra parte, Turati ( a differenza di Treves, cheperò subiva l’autorità del leader) non avevamai mostrato un particolare interesse per la po-litica estera, e soprattutto non aveva nel suoDNA (almeno fino a quel momento) la voca-zione a rotture sulla sua sinistra e quindi conl’ala ‘rivoluzionaria’ del partito.

Lo scontro si ripropose alla riunione con-giunta del gruppo parlamentare e della dire-zione del partito dell’8 febbraio 1912, che pre-ludeva al dibattito alla Camera, del 23 succes-sivo, per la conversione del RD sull’annessio-ne della Tripolitania e della Cirenaica, quandoil gruppo socialista dichiarò il proprio votocontrario, mentre, nel segreto dell’urna, tredicideputati del PSI votarono a favore. Subito do-po Bissolati si dimetteva da deputato. Il 14marzo un altro episodio metteva in evidenzala frattura ormai in atto: lo stesso Bissolati, in-sieme a Bonomi e Cabrini, si recavano al Qui-rinale per congratularsi con il re per esserescampato all’attentato organizzato dall’anar-chico Antonio D’Alba: un gesto che suscitò lareazione violenta di tutta la sinistra, con Mus-solini tra i critici più accesi.

La resa dei conti avvenne al congresso diReggio Emilia, tra il 7 e il 12 luglio, del 1912,dove la sinistra del partito, rafforzata anche daicontrasti in seno ai riformisti, si presentò conil 55% delle deleghe, puntando decisamente al-l’espulsione dei riformisti di Bissolati, accusatida Mussolini di “gravissima offesa allo spiritodella dottrina e della tradizione socialista”.

Pur non risparmiando critiche a Bissolati,Treves tenne una posizione più accomodante,temendo il rischio di una frattura, e allo stessomodo si pronunciò, su sollecitazione dell’ami-co, anche Turati, che si dichiarò contrario al-l’espulsione invocando ragioni di coscienza,ragioni che risultarono deboli di fronte alla vo-lontà della nuova maggioranza.

Si arrivò così all’espulsione del gruppo deiriformisti di ‘destra’ (Bissolati, Bonomi, Cabri-ni e Podrecca), condannando all’isolamento lacomponente di Turati e Treves, che fino a quelmomento aveva conservato l’egemonia nel par-tito e che dimostrò poi di non avere una politicariformista di ricambio. Gli espulsi andarono aformare il Partito socialista riformista italiano,con un suo nuovo giornale : “Azione sociale”.

La scissione ebbe conseguenze tragiche peril socialismo riformista. Nonostante conser-vassero la maggioranza all’interno del sinda-cato, i riformisti, divisi in due tronconi, ven-nero ridotti praticamente all’impotenza,conconseguenze gravi per il futuro del Paese:dall’indebolimento del governo Giolitti all’in-certezza della politica di fronte alla crisi euro-pea del 1914. La guerra di Libia fece quindiprecipitare le contraddizioni del riformismosocialista. Rifiutando le ragioni degli interessinazionali, Turati e Treves rimasero succubidell’ala intransigente, che avrebbe condannatoil socialismo a un’opposizione sterile fino allascissione del PCd’I del 1921, quando il futurodella democrazia in Italia era ormai largamen-te compromesso. Una amara conclusione peruna forza politica e culturale, quella appuntodel riformismo socialista, che negli anni pre-cedenti aveva dato un contributo importante alprogresso materiale e sociale del Paese. Glieventi degli anni successivi avrebbero dimo-strato che le parole di Bissolati, pronunciatenel 1910, erano giuste: il partito era ormai un“ramo secco”, incapace di reggere il confrontocon le drammatiche prove che attendevanol’Italia e il movimento dei lavoratori. s

Aldo Giovanni Ricci

C osì com’è avvenuto per il dibat-tito pubblico, anche la storio-grafia ha continuato fino a que-

sti ultimi anni ad avallare ricostruzioni parzialiquando non ideologicamente viziate. Contem-poraneamente sono stati pubblicati alcuni stu-di circostanziati, ma poco approfonditi.

Diverse ipotesi si sono susseguite nel corsodel tempo, alcune chiaramente funzionali a ne-gare o minimizzare quanto più possibile uncoinvolgimento dei vertici del PCI attribuendola responsabilità dell’eccidio a un’inizia tivapersonale di «Giacca», o identificando neimandanti dell’eccidio i soli sloveni. Per lungotempo sono prevalse versioni tendenziose, pie-ne di omissioni quando non di vere e propriefalsificazioni storiche.

Soprattutto, si è voluto ridurre Porzûs a unepisodio di violenza (ome tanti altri, evitandodi inquadrarlo nella particolare situazione delconfine orientale, che non può essere ricondottanei termini di una contrapposizione tra fasci-smo e antifascismo: qui emerse nel modo piùevidente la triplice contrapposizione tra fascisti,antifa scisti democratici e antifascisti comunistie il carattere internazionalista del PCI, che su-bordinava la liberazione del paese all’obiettivodell’instaurazione di un regime socialista.

Nelle opere di più largo respiro di autori vi-cini al PCI, la scelta è stata quella di ometterel’eccidio di Por zûs o di considerarlo un episo-dio di scarso rilievo. Ab biamo già accennatoalla scelta di Pavone di accennarvi in una nota,ma anche Paolo Spriano nella sua Storia delPartito comunista italiano non ne parla, purricordando la lettera di Togliatti a Bianco. 1

Roberto Battaglia a sua volta nella Storiadella Resi stenza italiana relega in una nota ladescrizione dell’eccidio sostenendo, sulla basedella sentenza della Corte di Assise di Lucca,che «l’omicidio ebbe per causale non il tradi -mento osovano e garibaldino, ma l’odio poli-tico divampato dall’anticomunismo di Bolla»

che si sarebbe scontrato con «l’animosa intol-leranza di fanatici avversari».2 Nello stessotempo accenna solamente al passaggio dellaNatisone al IX Korpus attribuendolo non allapolitica degli sloveni e alla subordinazione delPCI a Tito, ma alla necessità del momento: es-so fu «imposto dalle circostanze, dopo che ilterribile rastrellamento del novembre le [allaNatisone] [aveva] lasciato solo questa via discampos».3

La versione accreditata da Battaglia secondocui la responsabilità ultima dell’ eccidio sareb-be da imputare all’acceso anticomunismo de-gli stessi osovani e al clima di tensione tra ga-ribaldini e autonomi ebbe largo seguito nelleprincipali ricostruzioni successive e su di essasi sa rebbero attestati la maggioranza degli au-tori. Nella sua Storia dell’Italia partigiana,Giorgio Bocca, pur condan nando l’eccidio, neaddossa la colpa a Bolla, reo di aver denuncia-to le «mene slavo-comuniste»:

Gli autonomi della Osoppo hanno commes-so l’imprudenza di mettere a Porzùs un distac-camento comandato da un certo Bolla (Fran-cesco De Gregari) uomo sbagliato nel luogosba gliato. Un piccolo reparto «verde» in mez-zo al mare «rosso» potrebbe sopravvivere soloal prezzo di un’attività militare tale da meritarela stima e da incutere rispetto; purtroppo, Bol-la è un. attendista afflitto da grafomania, ilquale invece di difendere l’italianità del luogosui campi di battaglia, scrive in continua zionerapporti al CLN di Udine sulle mene slavo-co-muniste. L’alleanza fra gli slavi e i garibaldiniè un fatto reale, la poli tica internazionale im-pone al PCI di sacrificare in parte gli in teressinazionali, volenti o nolenti i garibaldini devo-no piegarsi ad accettare una certa supremaziatitina. Ma Porzùs non deriva da un ordine titi-no, Porzùs è una faccenda italiana, le accuse ele denunce di Bolla, ripetute al CLN di Udine,mettono in allarme i rappresentanti comunisti,da essi parte l’avviso al Co mando della Divi-

sione Natisone: risolvete in qualche modo lagrana Bolla. li Comando di divisione esegue:Bolla sarà messo a tacere in quel modo chenon ha rimedio, la morte.4

Al contrario di quanto ha sostenuto Bocca,Por zûs non è una «faccenda italiana». Oltre al-la documen tazione da noi citata altri elementimostrano la rilevanza internazionale dell’ epi-sodio, come i rapporti, che finora non sono sta-ti adeguatamente sottolineati, tra Toffanin«Giacca» e alcuni «elementi del servizio in-formazione e sicurezza dei partigiani sloveni»dopo il 1943, elemento che dovrebbe avereuna certa rilevanza.5

Non solo, ma alcuni autori hanno messo sul-lo stesso piano la subordinazione dei comuni-sti alle tesi jugoslave con l’anticomunismo de-gli osovani, riconducendo l’ecci dio allo scon-tro tra due estremismi entrambi esecrabili.Giampaolo Gallo ad esempio, che pur condan-na netta mente le responsabilità indirette delPartito comunista nell’eccidio, scrive che «dauna parte [...] i comunisti triestini e isontinirompono col CLN e aderiscono alle tesi jugo-slave [...] dall’altra [...] i partiti moderati giu -liani, e anche friulani, cedono a un crescenteinquietante di risentimento antislavo, naziona-lista e anticomunista, in pericolosa assonanzacon quello fascista e tedesco.6

Facendo un passo ulteriore, altri autori si so-no con centrati poi sui contatti tra gli osovanie la X MAS nei mesi precedenti all’eccidio,circostanza che avrebbe se non giustificatoquanto meno reso comprensibile la rea zionedegli uomini di Toffanin. Su questo aspetto hain sistito ad esempio Alberto Buvoli, oggi Di-rettore dell’Isti tuto Friulano per la Storia delMovimento di Liberazione.

Secondo Buvoli, L’efferatezza dell’ eccidio e l’animosità che

ne fu alla base furono probabilmente una co-munque ingiustificata e violenta ri sposta alcomportamento a volte equivoco di alcuni co-mandanti dell’Osoppo, che, nonostante i ripe-tuti richiami degli organi dirigenti della Resi-stenza italiana, non si peritarono di prendercontatti e di dimostrarsi disponibili ad accordicon il nemico, con comandanti tedeschi e conesponenti fascisti locali e della X MAS, con-tatti che avevano come obiettivo anche un ca-povolgi mento di fronte in funzione antislove-na e anticomunista.7

Tali accuse, che arrivano fino ad attribuirealle «Osoppo» la volontà di passare dalla partedei fascisti e dei tedeschi contro i titini, non so-no mai state provate, ma sono riuscite a oscu-rare il carattere antifascista delle formazionidelle «Osoppo» e a delegittimarne l’azione.8

Sulla stessa linea, anche se in tono minore,le valutazioni di Pierluigi Pallante, secondocui l’uccisione fu decisa non dai dirigenti - vi-sto che non c’è alcun ordine scritto che la pro-vi - ma da Giacca e dai suoi, per reazione aicontatti degli osovani con i repubblichini.9

Alessandra Kersevan ha addirittura adombratola responsabilità nell’ eccidio di rappresentatidei servizi segreti americani, che avrebberooperato per dividere al suo interno la Resisten-za italiana in combutta con i membri della«Gladio», che peraltro non era ancora nata.10

Naturalmente, tali considerazioni non si basa-no su alcun solido apparato documentario.

Non sembra innanzitutto ammissibile met-tere sullo stesso piano la connivenza dei co-munisti italiani con un regime dittatoriale co-me quello titino, che mirava a sot trarre all’Ita-lia pezzi importanti del paese, con l’anticomu-nismo che faceva parte del portato idealedell’«Osoppo». Non solo perché tale equipa-razione è moralmente inaccet tabile, ma ancheperché l’anticomunismo dell’«Osoppo», a dif-ferenza di quanto avvenne per i comunisti, non

■ È MOSCA CHE IMPONE AL PCI DI SACRIFICARE GLI INTERESSI NAZIONALI

“PORZUS” NELLA STORIOGRAFIALA OSOPPO E IL MANCATO “ROVESCIAMONETO DI FRONTE”

Elena Aga Rossi

CRITICAsociale ■ 253-4 / 2012

portò mai i suoi membri ad imbracciare le ar-mi contro quelli che erano comunque i loro al-leati nella causa antifascista.

In secondo luogo il tema dei contatti con leformazioni fasciste è assai più complesso dicome si vorrebbe dare a vedere. Rapporti trale forze di resistenza e gli occupanti hanno ca-ratterizzato tutti i teatri europei, e uno dei casipiù clamorosi in questo senso riguarda proprioil campione della resistenza comunista, il ma-resciallo Tito, che arrivò a proporre ai tedeschiun’ alleanza contro i nazionalisti di Mihailo-vié: una soluzione che non si concretizzò soloper intervento diretto di Hitler che impedì aisuoi comandanti di procedere in questo sen-so.11 Nel caso dell’«Osoppo» si trattò soprat-tutto di rapporti incoraggiati dalla Curia perscopi umanitari, o di trattative avviate da uo-mini della X MAS o dei servizi segreti alleatiche, pur se portarono a colloqui tra esponentidelle due parti, non ebbero alcun seguito daparte dei vertici dell’ «Osoppo». Quello che lericostruzioni che insistono su questi aspettinon prendono in considerazione è soprattuttoil fatto che l’ostilità nei confronti degli osovaniaveva ragioni prettamente ideolo giche e pre-scindeva da qualsiasi atteggiamento che questiultimi avessero voluto adottare. Tutt’altra que-stione è rile vare l’inopportunità di questi con-tatti in una situazione già di per sé tesa,12 o ilfatto che la loro conoscenza sia stata utilizzataad arte per confermare le accuse, totalmentein ventate, di una connivenza tra fascisti e oso-vani, e quindi del tradimento di questi ultimi.

Nella metà degli anni Novanta sono statipubblicati alcuni resoconti più bilanciati dell’eccidio. Risale al 1996 un primo tentativo, adopera di una giovane studiosa dell’Universitàdi Pisa, Daiana Franceschini, di elaborare unaricostruzione dei fatti basata su un uso rigorosodella documentazione esistente.13 Nel 1997Sergio Gervasutti pubblicò una nuova edizionedel suo volume su Porzùs, nel quale sostenevache «se il Friuli Venezia Giulia alla fine dellaguerra di liberazione è potuto rimanere italianoe appartenere al mondo occidentale, lo si devein buona parte all’Osoppo, i cui combattenti siopposero alla stra tegia del pcr, che avrebbe vo-luto annetterlo alla Federa zione Jugoslava-va».14 Nel 2004 Ugo Finetti ha dedicato am piospazio all’ eccidio e alla sua memoria nel suovolume sulla «Resistenza cancellata».15

Nonostante decenni di polemiche e ricerche,non è comunque tuttora disponibile un’esau-riente ricostru zione che inquadri l’episodio nelsuo contesto, analiz zando l’eccidio in relazioneal tema più generale non solo dei rapporti in-terni alla Resistenza italiana e della poli tica delpcr, ma anche delle relazioni tra le altre forzein campo, i comunisti sloveni e la X Mas, cheanche in contrasto con i tedeschi era accorsanella Venezia Giulia per difenderne l’italianità.A sessant’anni di distanza da gli eventi, si trattadi una lacuna certamente rilevante, alla qualequesto volume cerca almeno parzialmente diporre rimedio per contribuire a una più chiaraconoscenza di quel periodo. La recente pubbli-cazione di alcuni testi su questo tema fa pen-sare però che il raggiungimento di un consensosulla vicenda sia ancora lontano. Emblematicoa questo proposito il Dizionario della Resisten-za edito da Einaudi nel 2000-2001. Qui, accan-to a un equilibrato contributo su Porzûs di Gal-liano Fogar, se ne può leg gere uno firmato daMarco Puppini secondo il quale il 7 febbraio1945 «l’intero comando della I brigata [Osop-po] è arrestato da uomini dei GAP a Porzûs»,senza che si faccia alcun riferimento all’ecci-dio.16 Ultimo a riprendere la versione dei con-tatti tra osovani da una parte fascisti e tedeschidall’ altra, cui si aggiunge una presunta ucci-sione di garibaldini come causa scatenante del-l’eccidio, è stato invece Joze Pirjevec, in un

saggio pubblicato nel 2010 sempre daEinaudi.17 Il libro di Pirjevec mostra comemolto lavoro sia ancora da fare per restituire aicaduti di Porzùs il ruolo che loro spetta di di-fensori dell’italianità di quelle terre.

Nell’agosto del 1945 Pier Paolo Pasolini, ilcui fra tello cadde nell’ eccidio, così ricordòquel crimine:

essendo stato richiesto a questi giovani, ve-ramente eroici, di militare nelle file garibaldi-no-slave, essi si sono rifiutati dicendo di volercombattere per l’Italia e la libertà; non per Titoe il comunismo. Così sono stati ammazzati tut-ti, barbaramente.18

Questa potrebbe essere un’ epigrafe idealeper ricor dare il loro sacrificio, che aspetta an-cora di essere ricono sciuto come parte del pa-trimonio della nazione. s

“L'eccidio di Porzus e la sua memoria”saggio pubblicato in Tommaso Piffer (a curadi) "Porzus. Violenza e Resistenza sul confineorientale" edito da Il Mulino, 2013, 15 euro.

NOTE

1 P. Spriano, Storia del Partito comunistaitaliano, cit., pp. 437-438.

Anche Wörsdörer, autore di uno studio suirapporti tra Italia e Jugo slavia in cui si soffer-ma sulle vicende delle formazioni comunistee au tonome italiane e sui rapporti con i coman-di sioveni, omette l’eccidio di Porzûs: R. Wör-sdörer, Il confine orientale. Italia e Jugoslaviadal 1915 al 1955, Bologna, Il Mulino, 2009.

2 R. Battaglia, Storia della Resistenza italia-na, Torino, Einaudi, 1964, pp. 442- 443.

3 Ibidem, p. 442. 4 G. Bocca, Storia dell’Italia partigiana, Ba-

ri, Laterza, 1966, p. 441.5 Cfr. G. Fogar, L’antifascismo operaio

monfalconese tra le due guer re, Milano, Van-gelista, 1982, p. 254. Ringrazio Patrick Kar-lsen per la citazione.

6 G. Gallo, La Resistenza in Friuli, Udine,Istituto Friulano per la Storia del Movimentodi Liberazione, 1988, p. 209.

7 A. Buvoli (a cura di), Le formazioni Osop-po Friuli, cit., p. 26.

8 Sull’azione della X Mas in quell’area siveda S. De Felice, La Decima Flottiglia Mase la Venezia Giulia 1943-1945, Roma, Edizio-ni Settimo sigillo, 2000.

9 Cfr. P. Pallante, Il PCI e la questione na-zionale, Friuli- Venezia Giulia 1941-1945,Udine, Del Bianco, 1980, pp. 236 ss. Si vedaanche M. Cesselli, Porzûs, due volti della Re-sistenza, cit., 1975.

10 R. Kersevan, Porzûs, dialoghi sopra unprocesso da rifare, cit.

11 Si questo si veda il racconto di M. Gilas,Wartime, New York London, Harcourt BraceJovanovich, 1977, pp. 229-245, e anche W.Roberts, Tito, Mihailovié and tbe Allies, 1941-1945, II ed., Durham, N.C., Duke UniversityPress, 1987, pp. 106-112.

12 Si veda a questo proposito A. Moretti, Ilproblema delle zone di confine tra Italia e Ju-goslavia nella provincia di Udine nell’ultimafase della Resistenza, in «Storia contempora-nea in Friuli», V, 6, 1975, pp. 121-132, e le os-servazioni dell’agente arruolato in una missio-ne dei servizi segreti americani che favorl talicontatti, Cino Boccazzi (Moven ti e pretesti al-le malghe di Porzûs, in «Storia contemporaneain Friuli», VI, 7,1976, pp. 331-339).

13 D. Franceschini, Porzùs, cit, 14 S. Gervasutti, Il giorno nero di Porzùs,

cit., p. 7.

15 U. Finetti, La Resistenza cancellata, Mi-lano, Ares, 2004, pp. 307 -320.

16 M. Puppini, FriulI; divisione Osoppo, inE. Collotti, R. Sandri e F. Sessi (a cura di), Di-zionario della Resistenza, val. II, Torino, Ei-nau di, 2001, p. 200.

17 J. Pirjevec, Foibe, Una storia d’Italia, To-rino, Einaudi, 2010. Non si può fare a meno dinotare che se tale circostanza fosse vera sareb-be stata certamente utilizzata dalla difesa deigaribaldini accusati dell’ ecci dio nel corso deiprocessi celebrati negli anni ‘50. L’autore noncita al cun documento specifico per sostenerele sue affermazioni, ma indica i me negli ar-chivi di Stato russo (Fond 17, Opis 128, Delos799 and 800). A seguito di nostra specifica ri-chiesta i responsabili dell’archi vio V. Shepeleve S. Rosenthal hanno risposto che in tale col-locazione non sono stati rivenuti documentirelativi a un «conflitto tra partigia ni comunistie partigiani democratici sul confine orientaleitaliano nel 1945». Ringrazio Patrick Karlsenper la consulenza archivistica.

18 Lettera a Luciano Serra, 21 agosto 1945,in P.P. Pasolini, Lettere agli amici, Parma,Guanda, 1976.

Il 10 agosto 1812, duecento anni fa, il luo-gotenente del Regno di sicilia, Francescodi Borbone, firmò la Costituzione che ilParlamento siciliano aveva approvato aconclusione di un lungo braccio di ferro frala monarchia borbonica che intendeva af-fermare anche in Sicilia la propria sovra-nità e i baroni siciliani che non intendevanorinunciare ai propri privilegi. La nuovaCostituzione, il cui impianto risentiva del-l’esperienza inglese, sanciva la fine dellafeudalità, allargava la base del potere ma,a nostro avviso, non determinava un realemutamento dei rapporti economico-sociali

nell’isola. Il possesso feudale si trasformòinfatti in proprietà latifondista e i baroni,per di più, aggiunsero una nuova legittima-zione di diritto a quella fondata sulla con-suetudine e, soprattutto, vennero ricono-sciuti nell’antica pretesa di essere l’incar-nazione stessa della nazione siciliana.

L a Costituzione del 1812 apre laporta della Sicilia alla moder-nità, nel senso che offre spazio

di libera discussione a tutte quelle novità cul-turali diffuse nel resto d’Europa, anche per

■ UN PEZZO DI CULTURA INGLESE NELLA STORIA ITALIANA

LA NAZIONE SICILIANA DEL 1812LA PRIMA COSTITUZIONE FU NEL REGNO BORBONE

Pasquale Hamel

26 ■ CRITICAsociale3-4 / 2012

merito del ciclone napoleonico, che in Siciliastentavano a diffondersi. Idee illuministe, giu-risnaturaliste e fisiocratiche, ormai patrimonioconsolidato della civiltà occidentale e fino al-lora considerate eretiche, inconciliabili cioècon la storia e le tradizioni dell’isola – non sidimentichi la triste vicenda dell’illuministaFrancesco Paolo Di Blasi che sognava la rivo-luzione giacobina e finì i suoi giorni sul pati-bolo - potevano, naturalmente con i limiti am-bientali pur sempre presenti, essere adottate odiscusse dagli intellettuali più avvertiti senzail timore di incappare nelle maglie della cen-sura poliziesca. Uomini come Gioacchino DeCosmi, Paolo Balsamo, che peraltro ebbe mo-do di approfondirle nel corso dei suoi soggior-ni all’estero, o Tommaso Natale potevano, in-fatti, gettare lo sguardo oltre i tradizionali re-cinti della cultura siciliana e discutere delle“nuove dottrine” dei vari Voltaire, D’Alam-bert, Montesquieu, Locke o Hume, rielaboran-done le conclusione alla luce del contesto cul-turale nel quale vivevano.

“Les Siciliens – scriveva il contemporaneoGiovanni Aceto, evidentemente riferendosi aiceti dominanti visto che il popolo ben pocoaveva capito di quanto accadeva - éprouverèntune joie inexprimable de ces changements; ilscrurent voire, avec l’anné 1812, commencerpour eux une nouvelle èra qui allait enfin fixerle sort de la Sicile et faire renaître les beauxjours de son ancienne gloire”.

E di queste idee, di queste sensibilità si nutreil testo costituzionale, “aderendo alle propostedel parlamento, ed in conseguenza del votodella nazione” - materialmente è l’anglofilo“abate” Paolo Balsamo a redigerla -, che vieneimposto, non si tratta infatti di costituzione ot-triata, a Ferdinando III di Sicilia il cui poco ac-corto comportamento, indirettamente e ingiu-stificatamente se ne reputò anche responsabileil suo ministro Luigi de’ Medici che non neaveva colpa, aveva scatenato il temporale po-litico che portò a quell’esito. La stagione co-stituente, favorita e, sicuramente, voluta dagliinglesi del “juste e illustre” lord Bentick – cosìlo definisce Nicolò Palmeri nell’Appel des si-ciliens a la nation anglais garante de la costi-tution violèe par le roi de Naples” - non ebbe,come è noto, la sanzione personale dello stessosovrano, il quale si era autosospeso dalle fun-zioni, forse addirittura era stato costretto a so-spendersi dagli stessi inglesi, ritirandosi “of-feso e umiliato” nella sua tenuta della Ficuzza,ma del figlio Francesco, investito della funzio-ne di Luogotenente del regno con l’autorizza-zione all’alterego.

Ma pur nutrendosi di quelle idee “nuove”,lo stesso testo costituzionale non si astenne dalmanifestare la sua pesante impronta politica distampo conservatore, cioè di essere l’espres-sione del sistema di potere che in Sicilia - par-tiamo dal 1296, data decisiva per quanto ri-guarda gli assetti politici del Regno di Sicilia,anno in cui il Parlamento siciliano dichiara de-caduto re Giacomo e incorona al suo posto ilgiovane fratello Federico d’Aragona, che perdistinguerlo dall’omonimo imperatore svevoviene indicato nella pubblicistica corrente co-me III mentre andrebbe individuato più corret-tamente come II di Sicilia, come primo vero eproprio sovrano costituzionale – da almenocinque secoli non aveva subito mutamenti.

Federico III, per la cronaca, viene conside-rato il fondatore o l’iniziatore della cosiddettanazione siciliana.

Il segno sicuramente più importante di que-sti caratteri conservatori è quello, appunto, chesi compendia nella formula nazione sicilianache, troppo, spesso ricorre, offrendo il campoa interpretazioni, a nostro avviso, poco corret-

te, sia da parte della pubblicistica storiograficache nel linguaggio corrente.

Scrive a questo proposito la studiosa CettinaLaudani - che ha dedicato un interessante vo-lume all’argomento - che da allora, si parla del1296, “cominciò a formarsi nell’isola un modonuovo di concepire la propria storia, la propriaidentità, la propria cultura...conti e baroni, inquanto componenti delle assemblee, comin-ciarono per primi a sviluppare il senso di co-munità, a sentirsi spiritualmente parte di essae ad assurgere col tempo al ruolo di nazione.”

Riflettere su questa formula ci porta a evi-denziare un’ulteriore originalità che avevacontraddistinto il sistema siciliano e cioè lanon identificazione fra nazione e Stato, una

non identificazione che, in taluni passaggi sto-rici, diviene perfino contrapposizione fra na-zione e Stato. Non può meravigliare dunqueche si elabori la concezione, che gli storici si-ciliani fanno spesso propria, di una “Sicilia,sotto tutte le dominazioni...sempre una nazio-ne a se stante ‘protagonista della sua storia epertanto distinta dalle altre nazioni d’Europa”.

Una concezione e un’idea di nazione che, aben vedere, non coincide con la idea di nazio-ne che nel resto del mondo occidentale, pro-prio alla fine del settecento, trova piena e con-solidata evoluzione.

L’idea di nazione cui fanno riferimento i Si-ciliani, è infatti lontana da quella intesa comecorpo unitario di cittadini – anima e principio

spirituale di un popolo scriveva Ernest Renan- che trascende la volontà individuale e delegal’Assemblea dei rappresentanti, il Parlamento,ad esercitare il potere legislativo, così come laimmaginava, ad esempio, J.J. Rousseau nelsuo Contratto sociale, ed invece si potevacompendiare in quella che, criticando la Co-stituzione “come ogni altra semente fuor disua regione e per ciò stesso fatalmente desti-nata a far mala prova”, aveva elaborato il filo-sofo Tommaso Natale, nel suo Memoriale in-torno alla nuova costituzione del 1812. In po-che parole per nazione siciliana veniva intesolo stesso baronaggio. Dunque, quella Costitu-zione, pur con le sue innovazioni, in taluneparti perfino provocatorie, voleva e doveva es-

sere l’affermazione, il consolidamento e la le-gittimazione dell’unica classe interprete dellospirito comunitario siciliano, della nazione si-ciliana, cioè la classe baronale.

Significativo, a questo proposito, è un’intel-ligente resoconto che il 26 agosto del 1812 ilcorrispondente del Morning Cronicle, l’intel-lettuale scozzese Francis Leckie pubblicò sulsuo quotidiano. Liquidando gli avvenimenti si-ciliani come una farsa, egli evidenziò il ruoloperverso del baronaggio che, dietro la coper-tura fornitagli dall’adozione per sommi capidel modello inglese, si ripropose, senza mezzitermini come classe dirigente e classe di rife-rimento esclusiva ribadendo il modello di po-tere storicamente presente nell’isola. Quanto

scriveva Leckie l’aveva già stigmatizzato lostesso Luigi de’ Medici nel suo diario dove, al-la data 22 dicembre 1811, fra l’altro, si puòleggere: “…veramente tutt’i baroni che di li-bertà e costituzione parlano da sera a mattina,sapete voi cosa celano queste sante parole ?Non contribuire ai pesi pubblici; conservarsinel possesso dei ditti angarici usurpati…far ca-dere le imposizioni sulle spalle de’ poveri…”

Riprendo, a questo proposito, un eloquentebrano dal volume di Cettina Laudani dove lastudiosa scrive :” …il baronaggio, nonostantele apparenze, uscì rafforzato nel suo potereeconomico e politico, a scapito della monar-chia e di quell’embrione di classe media, laquale trovava nella permanenza della strutturapolitica feudale un’insormontabile barriera chesoffocava di fatto le aspirazioni per un inseri-mento nell’apparato politico”. Coglie l’autrice,in questo scritto, anche un elemento spesso sot-tovalutato, quello relativo alla posizione dellaborghesia delle professioni e della borghesia fi-nanziaria, si tratta di poco meno che usurai - ilricordo va alla stupenda pagina del Gattopardocon la descrizione dell’ascesa fisica ma soprat-tutto politica di don Calogero Sedara, intelli-gente è il soffermarsi dell’autore sul simboli-smo del frac di cattiva fattura, fra coloro cheavevano fino ad allora detenuto il potere inesclusiva in Sicilia – la quale, piuttosto che af-fermare un’autonomia di classe, aspira ad es-sere accolta, il termine corretto sarebbe “coop-tata”, fra coloro che incarnano la nazione sici-liana assumendone, a rischio di degradarli e ri-dicolizzarli come appunto fa il Sedara del Lam-pedusa, le liturgie e gli stili di vita.

In questo senso, proprio la Costituzioneconsentì, a nostro avviso, il realizzarsi di quel-la che indichiamo come forma deviata mobi-lità sociale, un falso cambiamento, che ha avu-to in Sicilia un significativo precedente storiconelle rivolte palermitane che insanguinarono iprimi anni del cinquecento, rivolte conclusesicon la sussunzione del ceto dei mercanti nellacerchia dei titoli del Regno.

Se è vero, dunque, che la Costituzione ac-colse molte novità del costituzionalismo dellafine del settecento, è però opportuno sottoli-neare che la sua peculiarità consistette nelmantenere intatto il vantaggio dell’aristocraziaisolana che si vedeva riconoscere, grazie alfatto che sedeva tra i Pari, la rappresentanzapolitica perpetua, alla quale la concomitanteabolizione della feudalità – “che non vi saran-no più feudi, recita al punto XI la premessadella Costituzione, e tutte le terre si possede-ranno in Sicilia come in allodi, conservandoperò nelle rispettive famiglie l’ordine di suc-cessione che attualmente si gode” - garantivaenormi opportunità con la trasformazione delpossesso in piena e “libera” proprietà della ter-ra. In fondo quelli che erano padroni feudalidivennero padroni latifondisti senza i proble-mi, i limiti che il diritto feudale prevedeva algodimento del feudo-beneficio, che nello sta-tus precedente potevano avere.

Senza, dunque, volerne sminuire la portatainnovativa – non si dimentichi che fu la primacostituzione approvata nella penisola nell’800che precedette di ben 36 anni lo Statuto alber-tino -che sarebbe scorretto disconoscere, cipreme, in conclusione, e sinteticamente, sot-tolineare come, attraverso lo strumento costi-tuzionale adottato, i baroni siciliani, che incar-navano l’essenza della nazione siciliana, riu-scirono a superare la crisi che attraversaval’assetto di potere e a riproporre e, perfino, arafforzare, in forme più moderne ed accettabilii consolidati equilibri economici e sociali pre-senti nell’isola. s

Pasquale Hamel

CRITICAsociale ■ 273-4 /2012

I l concetto di «crescita sociale» presentato in queste pagine rappresenta la pro-posta della Friedrich Ebert Stiftung (Fes) per un modello di politica economicaprogressista. L’obiettivo è sviluppare un modello di crescita che combini la

prosperità per tutti con la sostenibilità e la giustizia. Il target principale dell’analisi è la Ger-mania, ma è chiaro che l’orizzonte è europeo e globale.

Sebbene la politica economica progressista qui delineata sia indirizzata direttamente alsuperamento dell’attuale crisi socio-economica per mezzo di una crescita sociale, strutturataequamente, il suo obiettivo indiretto è alleviare la crisi politica e ambientale che sta coin-volgendo la Germania, l’Europa e il resto del mondo.

La crescita sociale, focalizzandosi su istruzione, salute e protezione ambientale, allentala pressione sulle risorse naturali più di quanto faccia il modello convenzionale di crescitafondato sul mercato. Essa consente inoltre i risultati che i cittadini si aspettano dalle politichedemocratiche, in particolar modo l’occupazione e la maggiore condivisione della prosperitàche il lavoro permette.

In questo modello, le crescita sociale conferisce legittimità a una democrazia che sembraaver perso vigore, non tanto a causa dell’opacità delle sue procedure quanto piuttosto per ri-sultati socialmente poco accettabili – in altre parole, a causa dell’incapacità degli Stati digovernare il mercato nell’interesse della società.

CONSIDERAZIONI PRELIMINARI

Il concetto di «crescita sociale» presentato in queste pagine rappresenta la proposta dellaFriedrich Ebert Stiftung (Fes) per un modello di politica economica progressista. L’obiettivoè sviluppare un modello di crescita che combini la prosperità per tutti con la sostenibilità ela giustizia. Il target principale dell’analisi è la Germania, ma è chiaro che l’orizzonte è eu-ropeo e globale.

Sebbene la politica economica progressista qui delineata sia indirizzata direttamente alsuperamento dell’attuale crisi socio-economica per mezzo di una crescita sociale, strutturataequamente, il suo obiettivo indiretto è alleviare la crisi politica e ambientale che sta coin-volgendo la Germania, l’Europa e il resto del mondo. La crescita sociale, focalizzandosi suistruzione, salute e protezione ambientale, allenta la pressione sulle risorse naturali più diquanto faccia il modello convenzionale di crescita fondato sul mercato. Essa consente inoltrei risultati che i cittadini si aspettano dalle politiche democratiche, in particolar modo l’occu-pazione e la maggiore condivisione della prosperità che il lavoro permette. In questo modello,le crescita sociale conferisce legittimità a una democrazia che sembra aver perso vigore, nontanto a causa dell’opacità delle sue procedure quanto piuttosto per risultati socialmente pocoaccettabili – in altre parole, a causa dell’incapacità degli Stati di governare il mercato nel-l’interesse della società.

Questo testo è basato su di una pluralità di studi e riflessioni che sono emersi in anni re-centi o all’interno della Fes o commissionati dall’organizzazione stessa - in parte nell’ambito

del progetto “Germania 2020” (2007-2009), in parte nel quadro del progetto che ne è statala continuazione, “Crescita Sociale”. La lunga bibliografia include le suddette pubblicazioni,ma riflette anche i diversi contributi di eminenti esperti. All’interno della Fes, René Bormann,Michael Dauderstädt, Philipp Fink, Sarah Ganter, Sergio Grassi, Björn Hacker, Marei John-Ohnesorg, Gero Maaß, Christoph Pohlmann, Markus Schreyer, Hubert Schillinger e JochenSteinhilber, hanno collaborato nell’ambito di una task force.

SUMMARY

La crisi economica e finanziaria ha evidenziato senza mezze misure la debolezza del mo-dello di crescita attualmente dominante. Evidentemente, quel tipo crescita, ampiamente ab-bandonata alle forze di mercato, non era sostenibile. Spinta dal generale ripiegamento delloStato e dalla liberalizzazione del mercato del lavoro, in Germania, e in realtà nel resto delmondo, l’ineguaglianza reddituale si è accresciuta. Una situazione esacerbata da uno sviluppoeconomico squilibrato, mosso da una globalizzazione dei mercati finanziari che ha portatoall’esplosione degli asset finanziare dei corrispondenti debiti.

A livello internazionale, questo sviluppo ha preso la forma di un grosso squilibrio neicommerci e nei movimenti di capitale. A oggi, al notevole surplus di alcuni paesi fa da con-traltare il deficit di altri. Negli anni, avanzi e disavanzi hanno generato un alto livello diesposizione e debiti esteri, che, combinati con il debito pubblico che è cresciuto bruscamentedall’inizio della crisi, hanno raggiunto un livello alla lunga insostenibile. Le strategie di ri-duzione del debito richiedono ora un capovolgimento degli attuali flussi di capitale. Ad ognimodo, il peso dell’aggiustamento non può essere sostenuto unicamente dai paesi in deficit;i paesi che contano su di un surplus – e la Germania in particolare – devono partecipareanch’essi.

Un semplice ritorno alla situazione ante-crisi pare poco convincente. Se si vuole imboc-care il sentiero di una crescita più bilanciata e sociale, è tempo di dire addio all’idea di mercatifinanziari «efficienti». La crisi ha mostrato come i mercati siano caratterizzati piuttosto dalripetersi regolare di comportamenti azzardati e cambiamenti d’umore. Devolvere l’alloca-zione del capitale ai mercati finanziari ha condotto a errori colossali. Alla luce di tali enormifallimenti del mercato, sono richiesti sia l’effettiva regolazione delle banche e dei mercatifinanziari, sia l’impegno degli Stati per una più decisa politica sociale e industriale.

Obiettivi del modello di crescita sociale qui proposto sono il cambiamento del corso dellapolitica economica e il rafforzamento della domanda domestica. La futura crescita in Ger-mania riguarderà primariamente i servizi, non l’industria. C’è una grande questione da af-frontare, soprattutto nei servizi pubblici come istruzione, salute e previdenza. Molti bisogni,in particolar modo avvertiti dalle fasce economiche medio-basse della popolazione, non pos-sono essere soddisfatti a causa della carenza di potere d’acquisto. Questo è il motivo per cuiun nuovo modello di crescita economica, che sia sociale, macroeconomicamente realizzabile,strutturalmente coerente ed equo è necessario per assorbire, con un lavoro decente, la disoc-

International Policy Analysis – Friedrich Ebert Stiftung

DOCUMENTO ■ ANALISI E PROPOSTE DEI SOCIALDEMOCRATICI TEDESCHI SULLA CRISI IN EUROPA

MODELLO PER UNA POLITICA ECONOMICA PROGRESSISTA

cupazione o la sottoccupazione in un settore dei servizi in crescita; per accrescere l’occupa-zione e la produttività complessive; per migliorare la distribuzione del reddito.

Per ridurre l’ineguaglianza, che è una delle cause della crisi fiscale, la politica deve essereusata più vigorosamente, ad esempio innalzando l’aliquota massima e reintroducendo l’im-posta sulla ricchezza. Per ridurre gli squilibri nell’Eurozona, il coordinamento delle politichesalariali ha un senso, allo stesso modo di una più stretta coordinazione delle politiche eco-nomiche, includendo la sorveglianza degli avanzi e disavanzi delle partite correnti. Eurobondcondivisi potrebbero rappresentare l’inizio di una genuina integrazione, anche fiscale, al-l’interno dell’Eurozona.

La crescita sociale deve guidare i mercati, non solo in Europa ma anche globalmente,mantenendo i loro effetti lungo un sentiero socialmente desiderabile. Ciò include standardminimi in riferimento alle condizioni lavorative, salvaguardando il welfare state e una politicamonetaria globale che controlli le turbolenze dei tassi di cambio, che risultano tanto dannoseper l’economia reale. Una politica economica progressista che implementi questo modellodovrebbe pertanto essere basata sul seguente programma in dieci punti:

1) Garantire un’offerta di credito stabile con una effettiva regolazione del mercato finan-ziario; 2) Utilizzare la politica dell’istruzione per stimolare le forze della crescita ed espan-dere le opportunità per tutti; 3) Aprire nuove aree di crescita con la politica industriale; 4)Rafforzare la posizione dei lavoratori per mezzo del salario minimo e della codeterminazione;5) Finanziare il settore pubblico adeguatamente ed equamente riformando la politica fiscale;6) Stabilizzare l’economia e la situazione debitoria per mezzo di una politica fiscale anti-ci-clica; 7) Rafforzare le forze della crescita in Europa tramite una robusta architettura di finanzapubblica; 8) Operare per una maggiore stabilità nell’Eurozona tramite il coordinamento po-litico-economico; 9) Assicurare un lavoro decente per tutti per mezzo di standard europei eglobali; 10) Gestire la globalizzazione attraverso un nuovo ordine economico e monetario.

1. Il Problema: Crescita Sbilanciata

La crisi globale economica e finanziaria scoppiata nel 2007, che aveva appena iniziato amostrare segni di essere - almeno in parte – superata, è tornata in tutta la sua intensità. Mentrein alcuni Stati gli enormi patrimoni finanziari e il prodotto interno lordo (Pil) del periodopre-crisi sono stati più o meno restaurati, altri purtroppo continuano a soffrire le conseguenzedella crisi in termini di bassa crescita, alta disoccupazione e debito pubblico. L’allarmantelivello del debito pubblico, quanto meno, non è il risultato delle politiche anti-crisi che, inprimo luogo, per mezzo di salvataggi bancari e pacchetti di stimolo economico, hanno per-messo il rapido superamento della crisi. Ora la crisi dei mercati finanziari si è trasformata inuna crisi del debito pubblico che, dal canto suo, minaccia di innescare una nuova crisi ban-caria.

La crisi economica dimostra che il modello prevalente di crescita economica ha puntideboli fondamentali. Un semplice ritorno alla situazione pre-crisi sembra irrealistica. In lineacon questo, recentemente si è aperto un ampio dibattito sui vantaggi e gli svantaggi dellacrescita economica. Questo va di pari passo con un altro dibattito sui fallimenti dello Statoe del mercato, causati dalla crisi economica e finanziaria. Dobbiamo capire gli errori risultantida processi di crescita non guidati, in modo da essere in grado di sviluppare strategie alter-native. Il modello di «crescita sociale» serve a questo scopo. Un modello di crescita deveessere socialmente equilibrato e quindi anche meno soggetto a crisi. Ciò comporta un ruolopiù attivo per lo Stato, non solo a livello nazionale, ma anche a livello internazionale nelquadro della cooperazione tra i paesi nel coordinamento della politica economica e sociale.

La crisi non è nata dal nulla. Le sue cause si rintracciano in un lungo periodo di crescitaglobale sbilanciata, accompagnato da una sempre più iniqua distribuzione del reddito che, asua volta, ha portato a un’esplosione delle attività finanziarie. Tali attività hanno avuto illoro rovescio della medaglia nell’accumulo di enormi debiti derivanti dal bilancio dello Statoe dai disavanzi delle partite correnti. In molti paesi, questo è stato aggravato dall’iper-inde-bitamento delle famiglie, per esempio, negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Grecia, Spagnae Irlanda. In alcuni paesi - per esempio, Stati Uniti, Giappone e Grecia - le autorità pubblichehanno fatto ricorso profondamente al debito, finanziando la domanda necessaria per la cre-scita. Il rapido sviluppo parallelo dei debiti e del mercato degli asset fino allo scoppio dellacrisi è stato reso possibile dalla mancanza di regolamentazione dei mercati finanziari globalie dalla avventata distribuzione del rischio senza adeguata trasparenza e controllo.

In questo modo, si sono consolidati grandi squilibri accumulati nel commercio interna-zionale che non potevano essere riequilibrati attraverso meccanismi di mercato o di prezzo.Nell’Eurozona, nonostante la forte crescita, le divergenze tra gli Stati membri negli ultimianni sono aumentate. La politica monetaria unica della Banca centrale europea (Bce) ha in-coraggiato una crescita asimmetrica sospinta dal debito nei paesi dell’Europa meridionale(caratterizzati in passato da alti tassi d’interesse), con marcati squilibri delle partite correnti,crollate nella crisi dei mercati finanziari.

Questa crescita asimmetrica è stata resa possibile dalle seguenti tendenze a lungo termineche, a loro volta, hanno avuto - e continuano ad avere - ripercussioni per la crescita globale(Dauderstädt 2011b):

• Globalizzazione: L’internazionalizzazione dei mercati per quanto riguarda informazioni,capitali, beni, servizi e lavoro ha favorito la crescita a partire dall’inizio degli anni novanta.La trasformazione delle economie ex comuniste - soprattutto della Cina - e il coinvolgimentocrescente dei paesi emergenti e in via di sviluppo nell’economia globale hanno permessouna divisione internazionale del lavoro e degli utili derivanti dalla specializzazione, aumen-tando così la produttività. In termini globali, questo ha portato a una maggiore prosperità.D’altra parte, questo modello di globalizzazione, orientato esclusivamente al mercato e allaconcorrenza, ha costretto tutti i paesi interessati a subire grandi sconvolgimenti al fine diadattarsi alle nuove circostanze.

• Aumento delle disuguaglianze: L’aumento dei redditi si è tradotto nell’aumento dellediseguaglianze, poiché il potere distributivo degli Stati, dei sindacati o dei dipendenti è statoindebolito dalla concorrenza globale per le entrate fiscali, gli investimenti e l’occupazione afavore delle corporation, dei detentori di asset e investitori. In pratica, uno scenario caratte-

rizzato da utili in aumento e caduta dei salari può essere colto in tutti i paesi, così come undivario crescente tra ricchi e poveri, come conseguenza della distribuzione estremamentediseguale dei frutti della globalizzazione.

• Mercati finanziari soggetti a crisi: la liberalizzazione dei mercati globali dei capitali haanche fatto sì che il settore finanziario oggi operi in gran parte isolato e scollegato dall’eco-nomia reale. A breve termine, i movimenti di capitali speculativi spesso minacciano la sta-bilità dei sistemi finanziari ed economici. Negli ultimi anni e decadi dunque, l’economiaglobale è sempre più soggetta a crisi.

A prima vista, l’economia della Germania - in particolare la sua economia di esportazione- ha beneficiato di questi sviluppi. Offre una gamma di prodotti - beni strumentali e di lusso- per i quali, grazie alla disuguaglianza di crescita globale, la domanda dall’estero è forte.La Germania ha internazionalizzato i suoi processi produttivi, il cui esito è - nel confrontointernazionale - forte e relativamente elevato nel settore industriale, a fianco di un settoredei servizi relativamente piccolo.

A un esame più attento, tuttavia, possono essere individuati una serie di sviluppo pro-blematici in Germania. Per esempio, a causa della sua forte dipendenza dalle esportazioni,l’industria e l’economia tedesche sono molto sensibili alle crisi all’estero. Ciò condizionanon solo il settore bancario, che sulla scia della crisi finanziaria globale è stato portato sul-l’orlo del disastro e ha dovuto essere salvato dallo Stato, ma anche l’economia reale. A unlivello di circa meno 5%, il crollo della crescita in Germania nel 2009 è stato tra i peggiorisulla scena internazionale. Sebbene la disoccupazione fosse aumentata moderatamente, queldato nascondeva un calo massiccio di ore lavorate a causa di riduzioni del lavoro continuatonel tempo e del lavoro di breve durata.

In una prospettiva a lungo termine, anche la crescita della Germania e la dinamica del-l’occupazione sono deludenti nel confronto internazionale. La crescita è stata piuttosto debolefino al 2005 a causa della dipendenza predominante dalle eccedenze di esportazione a scapitodella domanda interna. E’ anche allarmante, nel confronto internazionale, la bassa, e in rapidocalo, crescita della produttività aggregata (van Ark et al. 2009). Le cifre della disoccupazionein Germania sono state elevate per un considerevole periodo, anche prima della crisi. Grazieall’avanzata del capitalismo dei mercati finanziari e a una politica del mercato del lavoroche ha promosso il lavoro precario, i salari reali hanno ristagnato. Le disuguaglianze del red-dito e della ricchezza sono aumentate più rapidamente che in qualsiasi altro paese Ocse (Bon-trup 2010). I lavoratori con qualifiche basse continuano in particolare ad avere grandi diffi-coltà a entrare nel mercato del lavoro. Di conseguenza, già nel corso degli anni precedentila crisi, sempre meno persone hanno beneficiato dello sviluppo economico; le opportunitàdi mobilità economica e sociale si sono deteriorate e il rischio di povertà (soprattutto in etàavanzata) è aumentato. Questi gravi problemi sociali minacciano non solo un ulteriore svi-luppo economico, ma anche la coesione sociale.

Lo Stato in Germania si è inoltre ritirato da molti settori della vita economica e socialenegli ultimi anni. Ciò si riflette, da un lato, nello sviluppo delle spese di governo in rapportoal Pil, che, poco prima che scoppiasse la crisi, è sceso al valore più basso dalla riunificazionein poi. Come conseguenza di ciò, nel settore pubblico in Germania si ha ora uno dei più bassirapporti di investimento e di spese per la formazione iniziale e continua, così come per leinfrastrutture pubbliche. Ciò ha frenato la crescita economica negli ultimi anni e minato lebasi della crescita futura.

Il gettito fiscale è sceso drasticamente a seguito di ampi tagli fiscali, in virtù dei quali loStato, negli ultimi dieci anni, ha rinunciato a un fatturato di circa 350 miliardi di euro e sitrova ora a un livello molto basso nel confronto internazionale. L’obiettivo di utilizzare taglifiscali per stimolare l’attività di investimento tra le aziende private non è stato tuttavia rag-giunto. Invece, i tagli fiscali hanno ridotto la capacità redistributiva del sistema fiscale tede-sco. Capitali e asset sono poco tassati, una circostanza che finisce per accelerare la disugua-glianza del reddito e della ricchezza. Al contrario, i beneficiari di redditi da lavoro, in parti-colare il ceto medio - come anche i consumatori – stanno effettivamente portando semprepiù sulle proprie spalle il peso complessivo delle imposte e l’onere contributivo. Di conse-guenza, lo Stato e principalmente i Länder e le municipalità, che gestiscono la maggior partedegli investimenti pubblici, non hanno la forza finanziaria di cui hanno bisogno per affrontarei compiti che si presentano. Nemmeno l’obiettivo di ridurre il debito pubblico potrebbe essereraggiunto. Il debito pubblico tedesco è cresciuto a causa del lungo periodo di debole crescitaeconomica e di disoccupazione elevata anche prima della crisi ed è fortemente aumentatosulla scia dei salvataggi di politica fiscale necessari per superare la crisi attuale (Priewe /Rietzler 2010).

A causa del suo forte orientamento alle esportazioni, la crescita in Germania è crollatadrasticamente (meno 5%). D’altra parte, è stata in grado di recuperare molto più velocementedi altri paesi dal momento che ha beneficiato in modo sproporzionato dalla recente ripresaglobale. Una ripresa aiutata dai pacchetti di stimolo economico del governo e dalle politichemonetarie espansive delle banche centrali applicate in maniera massiccia a livello mondiale.Le agevolazioni al mercato del lavoro hanno consentito modesti aumenti dei salari nominali.Tuttavia, l’economia tedesca è tornata al suo modello di crescita squilibrata, legato alle espor-tazioni. Gli attuali tassi di interesse reali, davvero molto bassi - a causa dei bassi tassi di in-teresse nominali e di un’inflazione leggermente superiore – hanno anch’essi rafforzato lacrescita. «Il miracolo economico post-crisi», tuttavia, dipende dalla domanda europea e glo-bale, come è stato prima della crisi. I paesi in via di sviluppo ed emergenti che attualmentestanno sostenendo la ripresa dell’economia mondiale si trovano a dover lottare contro il sur-riscaldamento delle loro economie, l’afflusso di capitali speculativi e il profilarsi di bolle suiprezzi. Ci sono considerevoli rischi macroeconomici e le carenze di politica pubblica, sia inEuropa che nel mondo, rendono fragile la base della ripresa e iniqua la distribuzione dei suoivantaggi.

Le crisi economiche sono destinate a peggiorare se le loro cause non vengono affrontatee le loro manifestazioni non sono adeguatamente regolamentate e gestite. Una crescita eco-nomica non guidata aumenta ulteriormente rischiosi sviluppi a livello mondiale: per esempio,in passato, la crescita economica ha determinato un aumento dei gas serra (CO2) e causato

28 ■ CRITICAsociale3-4 / 2012

l’aumento del prezzo delle materie prime. La protezione del clima rappresenta una sfida im-portante per l’azione collettiva globale, dal momento che gli inquinatori - le famiglie, le so-cietà e i paesi – si comportano come free-rider rispetto a coloro che fanno economie. Lacompetizione per l’accesso alle materie prime condurrà - nel migliore dei casi - a una mag-giore concorrenza tra gli importatori di materie prime per i mercati dei paesi esportatori (inmodo che siano in grado di pagare per quelle materie prime) e a una competizione per mi-gliorare l’efficienza delle risorse, ma potrebbe anche trasformarsi in conflitti per il controlloterritoriale ed economico delle risorse naturali.

L’aumento della popolazione mondiale sta inoltre progressivamente diventando una mi-naccia per la crescita, anche se in passato il fattore demografico è stato fondamentale per so-stenere la crescita economica. La transizione demografica da popolazioni stabili o in calo auna situazione in cui la vita media si prolunga sta modificando radicalmente la struttura ana-grafica delle società. L’offerta di lavoro tenderà a diminuire, mentre i bisogni e le aspettativedella popolazione anziana aumenteranno. I disagi legati a questa transizione demograficacominceranno a farsi sentire in Germania solo a partire dal 2020, anche se probabilmenteavranno l’effetto positivo collaterale di ridurre la disoccupazione.

2. Il Dibattito intricato tra Liberali di Mercato e Scettici della Crescita

Le interpretazioni correnti delle crisi tendenziali dei modelli di crescita dominanti varianoampiamente. Da un lato, vi sono quelle che sostengono, per quanto possibile, approcci mi-ranti a soluzioni giuridicamente codificate sulla base di consenso politico e democraticamentelegittimate. Queste dovrebbero essere globali o almeno multilaterali, europee o nazionali.D’altra parte, vi sono coloro che sono convinti che grazie a un ruolo statale minimo la com-petizione tra nazioni, imprese e singoli individui porterà alla soluzione dei problemi attualia livello nazionale, europeo e mondiale. Per gli stati creditori, i titolari di asset e la maggio-ranza dei datori di lavoro il fascino di questa opzione è che simili soluzioni tendono a riflet-tere le loro attitudini e interessi.

Un contesto caratterizzato da una frattura tra coloro che sostengono la globalizzazione,l’europeizzazione e la crescita e coloro che si oppongono frontalmente. Questi ultimi vo-gliono frenare la globalizzazione a favore della circolazione nazionale, regionale e localedelle merci e delle finanze e rinunciare alla crescita; i primi ritengono invece positivi gli svi-luppi legati alla globalizzazione, anche se vorrebbero organizzarla in modo diverso. Coloroche abiurano la crescita si posizionano sullo spettro politico dalle destre alle sinistre radicali:le frange della destra cercano la salvezza nello smantellamento della globalizzazione a favoredella circolazione nazionale, regionale o locale delle merci e della finanza e del ritorno allapolitica populista-nazionalista; le frange della sinistra sognano di costruire un eco-socialismoin un paese liberato dai dettami del mercato mondiale e della crescita e chiedono inoltre lacontrazione della crescita («decrescita») al fine di consentire ai paesi in via di sviluppo edemergenti, tenendo conto dei limiti ambientali, di crescere ulteriormente.

PERCHÉ LA CRESCITA?

I critici alla crescita, conservatori (Miegel 2010), verdi (Seidl/Zahrnt 2010) e di si-nistra (Passadakis/Schmelzer 2011) che siano, fondamentalmente mettono in discussionel’opportunità di un’ulteriore crescita. L’ambiente non è in grado sostenerla, essa nonsoddisfa più le esigenze «genuine», non rende più felice la gente e si basa sullo sfrutta-mento di natura e persone, specialmente nei paesi più poveri. La compulsione per unamaggiore crescita si manifesta, da un lato, come il risultato della necessità di finanziaree mantenere i sistemi di sicurezza sociale e, dall’altro, è legata alla necessità di soddisfaregli interessi commerciali del capitale.

Questa critica non regge. La crescita è importante al fine di soddisfare importantiesigenze sociali che non sono ancora state soddisfatte. La crescita ha senso anche neisettori che rimangono sottosviluppati, quali l’istruzione, la salute e la protezione del cli-ma. La crescita economica non è necessario che consumi più materie prime ed energia.Ad esempio, può anche derivare dalla trasformazione delle attività domestiche in im-pieghi correlati al mercato del lavoro. La crescita non è pertanto da respingere a tutti ilivelli. E’ piuttosto una questione di quali beni reali e servizi dovrebbero essere fornitie di quali redditi dovrebbero crescere. Più istruzione, più energia, più previdenza, piùsalute e più rinnovabili sono socialmente desiderabili. I redditi delle persone più poverein Germania, e non solo, dovrebbero inoltre aumentare nel prossimo futuro.

Tuttavia, la crescita non è affatto una panacea automatica. Ad esempio, sebbene isostenitori acritici della crescita siano ansiosi di sottolineare che, senza di essa, la pienaoccupazione e la più equa distribuzione mai saranno raggiunte, questa è solo una mezzaverità. In primo luogo, la piena occupazione potrebbe anche essere raggiunta attraversola redistribuzione del lavoro necessario e del reddito, anche se sarebbe molto più difficilepoliticamente senza crescita. In secondo luogo, come il passato ha dimostrato, la crescitanon è garanzia di piena occupazione e di distribuzione del reddito più equa. Al fine diraggiungere o mantenere la piena occupazione, la crescita deve essere superiore alla so-glia di occupazione garantita da un aumento della produttività aggregata. Ma questi gua-dagni di produttività possono essere convertiti - come è spesso avvenuto in passato -anche in più tempo libero. Questo dovrebbe essere distribuito in modo tale che grandigruppi di lavoratori non diventino disoccupati di lunga durata, offrendo loro la riduzionedell’orario di lavoro settimanale, più vacanze o più opportunità di pensionamento in etàavanzata.

In ultima analisi, la crescita continua ad avere un senso dove esistono ancora grandibisogni insoddisfatti: che sia tra la povera gente a basso reddito o in settori con bassopotere d’acquisto quel che conta è che vi siano esigenze sostanziali da soddisfare (Dau-derstädt 2010a). Al contrario, non vi dovrebbe essere alcun aumento dei beni di lussoche difficilmente migliorano la prosperità sociale.

In Germania, le posizioni politiche più radicali hanno finora svolto un ruolo relativamentemarginale e si esprimono quasi esclusivamente fuori dal parlamento. Anche se critiche allacrescita, alla globalizzazione e l’euroscetticismo si incontrano spesso nel dibattito pubblico,bisogna constatare che - almeno finora - non si sono coagulate in un punto di vista politicoserio. Tuttavia, in fondo vi sono anche notevoli differenze tra coloro che sostengono la crescitae credono che sia necessaria l’estensione della disponibilità a cercare soluzioni sovranazionalie ad assumersi la responsabilità globale ed europea per iniziative solidali in tal senso.

Queste differenze si manifestano in particolare con riguarda a:La gestione/governance democratica e sociale della globalizzazione;Il rapporto tra gli orientamenti relativi al lato dell’offerta e al lato della domanda in po-

litica economica;L’importanza della cooperazione e competizione tra Stati;La questione del contenimento dei mercati globali - specialmente dei mercati finanziari

- per mezzo di standard e regolamenti concordati a livello internazionale.

Il dibattito di politica economica tedesca è dominato dalla tradizionale scissione tra coloroche attribuiscono maggiore importanza alle forze di mercato, all’iniziativa privata e alla «re-sponsabilità personale» e coloro che desiderano instaurare relazioni sociali, o anche ecolo-giche, più egualitarie tramite l’intervento statale nel, e contro, il mercato. Il ruolo di governodello Stato non è in discussione. Nel primo «campo» l’accento viene posto sulle forze dellato dell’offerta, che sono ostacolate da un’eccessiva regolamentazione del governo, da tassetroppo alte e da forti sindacati; nell’altro campo tutto ciò è considerato come una correzionenecessaria ai fallimenti del mercato. Se la prima fazione ritiene le disuguaglianze fattori na-turali e importanti per la crescita che devono essere pertanto accettati, la seconda sostieneche esse siano il risultato del potere del mercato e che, anche nell’interesse della crescita alungo termine, debbano essere livellate.

3. Il Concetto di «Crescita Sociale»

Il concetto di «crescita sociale» è inteso per definire un paradigma che offra un’alternativaal discorso dominante basato su una crescita guidata dal mercato, ma anche allo scetticismoattualmente in voga rispetto alla crescita stessa. L’idea è ridefinire nozioni chiave quali la-voro, creazione di valore, produttività, investimento e debito e di istituire una politica eco-nomica rivitalizzata. Il punto focale sta nel riconoscimento che i mercati in generale – e, inparticolare, i mercati finanziari – si sono dimostrati inadatti a garantire l’allocazione razionaledelle risorse e la distribuzione del reddito. I bisogni sociali si distinguono fondamentalmentea causa di un’ineguale distribuzione del potere d’acquisto. L’approccio verrà espresso in ter-mini di concrete raccomandazioni di politica economica, il cui inserimento nel paradigmadella «crescita sociale» conferirà loro una più forte giustificazione e consistenza.

La «crescita sociale» è intesa per offrire al maggior numero possibile di persone l’op-portunità di un lavoro decente e la condivisione della prosperità sociale. E’ inutile dire cheè possibile distribuire solo ciò che viene prodotto – ma le persone dovrebbero poter riceverela loro legittima quota di benessere. Una distribuzione volta ad aumentare l’occupazione ela produttività dovrebbe sostanziarsi in un aumento del consumo privato e pubblico, maanche in più tempo libero. Ciò include settimane lavorative più brevi, più periodi di vacanzae un più lungo, e garantito, periodo di pensionamento. L’aumento di lavoro e produttività ri-chiede investimenti in stock di capitale tangibili e intangibili, incluso il capitale umano. Que-sti investimenti sociali devono essere promossi, incanalati e liberati dai rischi dei mercati fi-nanziari (Dauderstädt 2010d).

3.1 Lavoro, Produttività, InvestimentiSul lato dell’offerta, la crescita economica è la risultante di più lavoro e/o di una maggiore

produttività (vedi la Figura 1). Entrambi scaturiscono primariamente da maggiori investi-menti, che creano nuovi posti di lavoro, o dalla modernizzazione degli stock di capitale, ingrado di rendere il mercato del lavoro più produttivo. Comunque, i tre fattori chiave dellacrescita richiedono una definizione più precisa per avere la patente di «buoni» o «sociali».

• Un lavoro decente è un’occupazione decentemente pagata che consente ai lavoratori dibadare a sé stessi e alle proprie famiglie in modo adeguato. Esso consente anche ai lavoratoridi avere un ruolo nella propria azienda. Queste condizioni vengono raggiunte al meglio inuna situazione di piena occupazione, poiché questa conferisce sostanziale potere di mercatoai salariati. Deve essere notato, comunque, che il lavoro addizionale rimpiazza il lavoro nondichiarato («nero»), quello domestico e quello volontario, e crea nuova prosperità in quanto,e se, più produttivo.

• La produttività sociale si differenzia dalla produttività tradizionalmente intesa e misuratapoiché essa tiene in considerazione (negativamente) le esternalità ed esclude gli incrementiproduttivi raggiunti a spese dei lavoratori. Il valore di un prodotto – bene o servizio – esprimeun bisogno sociale. La creazione di valore può anche risultare da miglioramenti nella qualitàdal punto di vista dei consumatori. Gli apparenti incrementi di produttività, ottenuti solamenteper mezzo di un maggiore output o di un minore input di prezzo, di una intensificazione dellavoro (in altre parole, più lavoro nello stesso tempo), di una riduzione nascosta della qualitào di un orientamento verso una struttura di domanda elitaria, sono il risultato di una distri-buzione ineguale del reddito che non accresce il benessere sociale aggregato.

• Gli investimenti sociali sono spese che generano crescita sia creando lavoro si accre-scendo la produttività. La ristrutturazione degli asset tra differenti modalità di investimentofinanziario non conta. Oltre ai tradizionali investimenti del settore privato in migliori stockdi capitale e dunque in nuovi e più produttivi lavori, le spese governative non dovrebberoconcentrarsi solo su «mattoni e malta» (in altre parole, infrastrutture), ma anche in istruzione,ricerca e salute. Le spese dei privati in abitazioni, istruzione e simili contribuiscono ad ac-crescere la prosperità nel lungo periodo.

Vi sono investimenti nell’economia privata solo se gli investitori possono attendersi unritorno che giustifichi la loro spesa iniziale, spesso finanziata con prestiti. Le imprese si at-

CRITICAsociale ■ 293-4 /2012

tendono una domanda per i loro prodotti; lo Stato si attende più elevate entrate fiscali; iprivati si attendono redditi in crescita e/o costi in discesa (ad esempio, gli affitti). I redditiaumentano solo se altri attori sostengono le spese corrispondenti. Motivo per cui essi hannobisogno di accedere al reddito o al credito (vedi la Sezione 3.2).

Se da un lato, non tutti gli investimenti economici privati sono utili per la crescita socialein se stessa, dall’altro l’economia privata ignora sistematicamente gli investimenti ad altovalore sociale. Questi fallimenti del mercato sollevano la questione di cosa dovrebbe crescerein futuro. Sebbene il settore industriale continui a occupare un’importante posizione nel-l’economia della Germania, non può essere assunto che la sua crescita porterà nel lungo ter-mine a un maggiore impiego. Infatti, la quota di Pil detenuta dal settore industriale sta de-clinando da diverse decadi nei paesi più sviluppati, anche se in Germania tale trend si sta di-mostrando meno accentuato. In diretto contrasto, l’impiego nel settore dei servizi è in cre-scita. In questo settore esiste un considerevole potenziale di crescita, in particolar modo neiservizi sociali.

La crescita sociale avrà anche luogo in modo predominante attraverso l’espansione dellafornitura di servizi, specialmente in aree quali istruzione, previdenza e salute.

Grafico 1: Il Lato dell’Offerta della Crescita Sociale

Pieno impiego - Crescita Sociale - Valore = bisogno sociale

Codeterminazione - Lavoro decente - Produttività sociale - Sostenibilità

Lavoro »Sociale«: lavoro da casa, lavoro volontario, lavoro non dichiaratoInvestimenti sociali - Qualità (per i consumatori)

Qui, inoltre, la crescita si concretizzerà, d’altro canto, in impiego addizionale e, dall’altro,in più alta produttività. I nuovi lavori stanno in parte assorbendo gli inoccupati o coloro cheinvolontariamente lavorano solo part time e, in parte, i servizi svolti all’interno delle famigliestanno mutando in servizi offerti sul mercato. Questo accresce il Pil, sebbene la prosperitàsociale si accresca solo quando il lavoro orientato al mercato diventa più professionale, piùproduttivo e di migliore qualità. Si è a lungo temuto che la produttività dei servizi non potesserealmente aumentare (un fenomeno conosciuto come «morbo di Baumol»). Ad ogni modo,questa tesi sottostima importanti componenti della produttività, come la qualità e il capitaleintangibile.

3.2 Domanda e DistribuzioneLa crescita sociale richiede – come ogni stabile e sostenibile processo di crescita – uno

sviluppo adeguato della domanda aggregata. La domanda sociale è condizionata dai valoriaggregati di redditi, trasferimenti statali e prestiti addizionali (vedi il Grafico 2). I redditihanno un impatto sulla domanda solo se vengono spesi direttamente o vengono sottratti dalloStato – mediante tasse e contributi – o dal sistema finanziario a coloro che li dovrebberospendere. Come regola generale, il denaro deviato attraverso lo Stato viene speso dal mo-mento che sia i destinatari di trasferimenti che lo Stato come fornitore di beni pubblici fati-cano a risparmiare. Per quanto riguarda i risparmi messi a disposizione del settore finanziario,le cose si fanno ancora più problematiche in quanto essi vengono convogliati in strumenti diinvestimento che a malapena riescono a stimolare l’economia reale, almeno direttamente.Tuttavia, il settore finanziario - specialmente quando la politica monetaria della banca cen-trale è accomodante – può anche creare i prestiti aldilà dei risparmi di altri attori (soprattuttole famiglie, ma anche imprese e, raramente, lo Stato). Solo questi prestiti, che superano il ri-sparmio, alimentano la crescita.

La crescita in realtà richiede che i settori o gli attori siano disponibili a contrarre debitiin modo da assorbire i risparmi di altri attori e settori. Senza questa disponibilità a contrarredebiti, la crescita si arresterebbe sin quando una crescente offerta non trovasse una sufficientedomanda, ma non alimentata dalla caduta dei prezzi. Questa disponibilità dipende dal tassodi interesse. I tassi devono essere inferiori ai rendimenti attesi. Con riferimento all’economianel suo insieme, comunque, la banca di emissione deve scegliere il tasso di interesse in modotale che il prestito risultante totale e la corrispondente domanda non eccedano di troppo lereali opportunità di offerta, evitando dunque di generare un effetto puramente inflattivo. Inpassato la Bundesbank tedesca e la Banca Centrale Europea, dal punto di vista della Germa-nia, hanno agito in maniera troppo restrittiva, determinando una caduta della domanda al disotto dell’offerta potenziale e generando disoccupazione e crescita debole.

Per un periodo, comunque, i prestiti possono compensare la mancanza di domanda dovutaai bassi salari, come è successo negli Stati Uniti negli anni prima dello scoppio della crisi fi-nanziari del 2007. L’esempio americano mostra, comunque, che un debito galoppante nonpuò essere un sostenibile sostituto per redditi troppo bassi e non equamente distribuiti.

Grafico 2: Circolazione del Reddito

Reddito familiare da salari e altri redditi, come i trasferimenti sociali

Tasse e contributi - Risparmi - Spese dei consumatori

Trasferimenti - Produzione di beni pubblici e servizi - Prestiti del settore finanziarioProduzione per il mercato

Reddito familiare da salari e altri redditi, come pure i trasferimenti sociali più nuova rete del debito

Alti redditi conducono a un elevato tasso di risparmio. In Germania e in molti altri paesila distribuzione dei redditi negli ultimi venti anni è diventata marcatamente iniqua. I redditidelle fasce più ricche della popolazione sono cresciuti molto più rapidamente di quelli deglistrati più poveri. Questo non solo ha frenato la domanda, ma ha causato l’emergere di unastruttura della domanda sempre più orientata verso gli interessi delle famiglie più ricche(beni di lusso e posizionali). Questa tendenza è stata rafforzata dalla diminuzione della pres-sione fiscale sulle famiglie più ricche. Questi sgravi fiscali hanno anche limitato la capacitàdello Stato di soddisfare i bisogni sociali di beni e servizi pubblici. In futuro, quindi, è ne-cessario garantire che la creazione di valore aggiunto venga anche condivisa dai dipendenti.Solo in questo modo si eviterà che la debolezza della domanda sia di ostacolo alla crescita.

3.3 Stato e MercatoPer cominciare, la circolazione del reddito tra offerta e domanda opera a prescindere dal

fatto che i bisogni sociali siano soddisfatti pubblicamente e collettivamente o privatamentetramite il mercato. L’assunzione frequentemente espressa secondo cui le tasse e i contributiabbasserebbero la domanda è sbagliata, come già spiegato. Al contrario, quando lo Stato sisobbarca tutte le spese non sostenute dal settore privato, la domanda e la crescita vengonocreate e ne consegue un aumento dell’impiego e della crescita. Rimane una giustificazioneper lo scetticismo nei confronti dello Stato nell’assunto per cui lo Stato stesso potrebbe essereun fornitore meno efficiente rispetto al mercato e all’impresa privata. Solo in questo caso cisi potrebbe attendere una maggiore crescita dalla privatizzazione.

Un possibile vantaggio del mercato è il miglior aggiustamento dell’offerta alla domandaattraverso meccanismi di prezzo. Idealmente, i prezzi dovrebbero riflettere le preferenze so-ciali e guidare i fattori della produzione verso quelle attività che forniscono l’offerta corri-spondente a quelle preferenze. La realtà, comunque, è differente:

• Vi sono marcate differenze di reddito e ricchezza e il potere d’acquisto è distribuito ini-quamente. Ciò distorce la relazione tra i prezzi e le preferenze e i bisogni sociali.

• Il meccanismo di prezzo esclude costi esterni – come le emissioni inquinanti – e beneficie funziona male rispetto ai beni pubblici (ad esempio, sicurezza sociale, stabilità dei mercatifinanziari e via dicendo).

• A causa delle asimmetrie informative i benefici per i consumatori sono significativa-mente più piccoli. Ad esempio, un consumatore compra un bene e in tal modo accresce ilPil, ma più tardi si rende conto che il prodotto acquistato lo soddisfa poco (o per nulla).

• I mercati dei capitali rispetto ai quali i prezzi degli asset si suppone riflettano i rendi-menti attesi – contrariamente alla vecchia ipotesi popolare sui mercati efficienti – non sonocosì efficienti, ma operano piuttosto condizionati “dall’istinto del gregge”. In tal modo essiguidano gli investimenti verso segmenti – ad esempio, l’edilizia negli Usa, in Spagna e Ir-landa – nei quali i bisogni sociali possono, in ultima analisi, essere meno significativi diquanto i mercati si aspettano.

Per tutte queste ragioni, che riflettono fallimenti di mercato, la regolazione dei mercatiè necessaria e lo Stato deve occuparsi di determinati bisogni sociali. Comunque, l’efficienzapotrebbe migliorare se l’offerta fosse soddisfatta da imprese private in vece dello Stato. Adogni modo, efficienza e produttività non devono essere confuse con la riduzione dei costi.Questi ultimi possono risultare dall’affievolimento della pressione sui salari o su altri prezzidi input, che significa mera ridistribuzione della prosperità.

A un’analisi più attenta, la domanda spesso esprime il fatto che lo Stato dovrebbe ac-compagnare i cambiamenti strutturali in economia, consentendo alla forze di mercato di agirecon una certa libertà. Lo Stato ha sempre sviluppato politiche industriali, sia direttamenteattraverso l’aperto sostegno a settori ben precisi o aree, sia indirettamente, promuovendo,ad esempio, la competitività internazionale tramite la pubblica istruzione e il sistema forma-tivo/addestrativo o, ancora, per mezzo di stimoli economici, come la compensazione perbrevi periodi lavorativi, che hanno reso più semplice al settore edilizio e manifatturiero af-frontare la crisi economica e finanziaria, evitando la perdita di potenziale produttivo, di po-tenziale di crescita e know-how.

Inoltre, vi sono numerosi esempi storici che confermano che il mercato non funzionasempre meglio dello Stato nell’aprire nuove aree di crescita in maniera effettiva e sostenibile(microprocessori, internet, energie rinnovabili). La crisi economico-finanziaria, per giunta,ha dimostrato che consentire alle forze di mercato di determinare troppo liberamente il giocodei mercati non sempre apporta benefici alla società. Lo Stato dovrebbe insomma tentare,nel quadro di una politica industriale e strutturale sostenibile, di guidare gli investimenti e iflussi di capitale verso utilizzi lungimiranti e progressisti che beneficino la società nel com-plesso. Allo stesso tempo, non dovrebbe tentare di sovvertire inevitabili cambiamenti strut-turali, ma sostenere politiche sociali per i necessari aggiustamenti ai processi ambientali,economici e sociali. Non c’è alternativa all’organizzare la produzione e il consumo futurisecondo modalità in grado di conservare le risorse e di preservare clima e ambiente.

3.4 Integrazione Europea e GlobalizzazioneNei mercati transazionali la circolazione dei redditi (vedi Grafico 2) ha luogo lungo i

confini nazionali e non può essere regolata e bilanciata da uno Stato sovranazionale se gliattori privati o i singoli Stati generano squilibri. Sulla base di differenti livelli di redditi na-zionali la competizione globale – o europea – tra forza lavoro ostacola lo sviluppo dei salariin molti paesi, slegandoli in maniera crescente dall’evoluzione della produttività. L’inegua-glianza dei redditi sta crescendo in molti paesi. Ad ogni modo, l’ascesa di alcuni attori, comela Cina, sta riducendo la disuguaglianza globale tra paesi. La relativa crescita dei risparmi,comunque, stimola la speculazione sui mercati degli asset.

La crescita sociale al livello globale ed europeo auspica un pieno impiego, legato a in-crementi della produttività tramite investimenti nell’economia reale. La domanda deve essereconsentita grazie a una migliore distribuzione, in particolare per mezzo di salari orientatidalla produttività.

• Globalmente, questo significa che, specialmente nei paesi poveri, la disoccupazionedeve essere ridotta, le condizioni di lavoro migliorate e i salari alzati. Le strategie basate suisurplus di esportazione e sui bassi salari dovrebbero essere bilanciate da strategie mirate alla

30 ■ CRITICAsociale3-4 / 2012

domanda interna e alla lotta alla povertà. Finanziare i necessari investimenti non dovrebbeessere prerogativa di un mercato dei capitali scarsamente regolato e soggetto agli istinti delgregge, alle manie e agli attacchi di panico degli attori che vi operano.

• Vi è anche un alto livello di ineguaglianza in Europa, che prende innanzi tutto la formadi grandi differenziali di reddito tra paesi, sebbene l’ineguaglianza all’interno della granparte degli Stati sia aumentato negli anni recenti. Gli ultimi progressi a livello regionale, chehanno ridotto il gap tra i paesi (e che la crisi del debito ha bruscamente interrotto), devonoessere rivitalizzati nel quadro di una strategia di crescita europea. Nell’Unione Europea, inol-tre, i requisiti per gli investimenti non dovrebbero essere abbandonati al libero mercato. Trop-po è stato investito – e avventatamente – nell’immobiliare spagnolo e irlandese; scelta sba-gliata con gravi conseguenze. L’occupazione a condizioni decenti in un singolo mercato deveessere protetta per mezzo di alti standard minimi relativi a orario di lavoro, condizioni e re-munerazione. Offerta e domanda in Europa devono essere gestite da una politica economicacoordinata che promuova uno sviluppo compatibile, a livello ambientale e sociale, che con-senta di raggiungere obiettivi solidi in termini di crescita e impiego e che limiti gli squilibri.

Uno dei problemi chiave dell’attuale sistema monetario internazionale discende dal fattoche una valuta nazionale – al momento, il dollaro statunitense – viene utilizzata come monetaglobale e come principale valuta di riserva. Al fine di rendere disponibile liquidità sufficienteper l’economia globale, il paese che emette la valuta di riserva globale deve avere un deficit.La stabilità dell’economia globale e del sistema monetario internazionale, comunque, dipen-de dal livello di fiducia dei mercati dei capitali sulla stabilità della principale moneta di ri-serva. I deficit scuotono questa fiducia, e ciò si è riflesso in rapide fluttuazioni del valorereale del dollaro. Grazie alla posizione dominante economico-politica degli Stati Uniti e inmancanza di alternative, questa fiducia – almeno sino a tempi recenti – mai è andata persainteramente.

Dato che le riserve internazionali di valuta sono state detenute tradizionalmente in dollari,gli Usa sono stati in grado di perseguire una politica domestica espansiva, che ha favoritoun insostenibile livello dei prezzi degli asset e un boom dei consumi. Nell’attuale sistemamonetario globale, l’accumulazione di riserve da parte della Cina, combinata con politichemonetarie e fiscali espansive negli Usa, si è tradotta in un « sym metrical maladjustment »:sin quando i paesi in surplus sono disponibili a mantenere le loro riserve in dollari, nessunosarà sottoposto ad alcuna pressione per l’aggiustamento. Le politiche monetarie e fiscali delpaese detentore della valuta di riserva dominante (gli Usa) sono orientate prioritariamenteverso obiettivi economici domestici e pertanto, più o meno, accettano gli effetti negativi (intermini di eccesso o di carenza di offerta) della liquidità globale. In un contesto di deregola-mentazione dei mercati finanziari, un sistema monetario mondiale strutturato in tal mododetermina cicli di « boom and bust», in altre parole alla periodica creazione ed esplosione dibolle sui prezzi degli asset. Fin quando non verranno intrapresi seri passi per ridurre gli squi-libri globali e per ristabilire un certo equilibrio nell’economia mondiale, si verificherannonuove crisi finanziarie ed economiche, dannose per la crescita globale e quindi anche per laprosperità di tutti i paesi.

4. «Una Traiettoria per il Futuro»: Una Politica Economica Progressista

Come dovrebbe essere il nuovo modello di crescita sociale e quali strumenti di politicaeconomica potrebbero essere utilizzati per implementarlo? Nel breve periodo, dobbiamo su-perare la crisi del debito, che deve essere accompagnata da una ri-regolazione strutturale deimercati finanziari. Nel medio e lungo termine abbiamo bisogno di un modello di crescitache consenta e garantisca più equilibrio sociale e sostenibilità ambientale. Dato che è irrea-listico attendersi tutto ciò dalle forze di mercato – anche se queste forze fossero dispiegatesulla base di un’ingegnosa politica economica per raggiungere tali obiettivi –, il successodipende più che mai dalle politiche governative. In un’economia globalmente interdipen-dente, un’effettiva politica economica sovranazionale richiede la stretta cooperazione deigoverni nazionali e lo stabilimento di strutture regolatorie e di governance.

4.1 Superare la Crisi del DebitoLa crisi del debito ha le sue radici nell’economia reale e nel sistema finanziario. Nell’eco-

nomia reale l’ineguaglianza di reddito all’interno dei paesi e – in parte causati da quella – glisquilibri macroeconomici tra i paesi si sono accresciuti (Busch 2009). Senza il crescente in-debitamento dei settori e il deficit di quei paesi che, nell’attesa di crescere nel lungo termine,siano disponibili a consumare e a investire oltre i propri redditi, la crescita della quale i paesiin surplus avevano beneficiato sarebbe collassata ben prima della crisi finanziaria. Il sistemafinanziario, da un lato, ha creato le condizioni per consentire a una crescita guidata dal debitodi mantenersi funzionante per tanto tempo, dall’altro, ha procrastinato un processo di crescitainsostenibile, accantonando momentaneamente ed eludendo i rischi. Peggio ancora: la perce-zione del rischio ha fluttuato in modo caotico tra falso ottimismo e attacchi di panico, deter-minando un approfondimento della crisi con gravi conseguenze per l’economia reale.

Soltanto un intervento massiccio di politica fiscale e monetaria da parte delle banchecentrali e dei governi è stato in grado di limitare e mitigare gli effetti di questa crisi dei mer-cati finanziari sull’economia reale. Come risultato, i valori degli asset hanno recuperato bene,ma a scapito di una ristrutturazione dal lato del passivo dagli Stati, che ha ormai assunto unaproporzione molto più grande di debiti e di rischio (Dullien/von Hardenberg 2011; Dullien2010a; McKinsey 2011 ). Per spianare la strada a una crescita nuova e sostenibile, la sostan-ziale riduzione del debito è inevitabile. Ciò può essere realizzato in tre modi - che possonoessere combinati – (Dauderstädt 2009b):

1. Un « taglio» al debito (e alla ricchezza), che ha già avuto luogo con riguardo ai debitiprivati (ad esempio, i mutui americani). La cancellazione del debito nei confronti degli Statiha meno senso, anche perché in molti casi si colpiscono le banche che devono poi esserericapitalizzate o salvate. In questo modo non ci sarebbe alcun taglio, ma solo un cambia-mento di debitore; lo Stato rimarrebbe seduto sul debito (come una sorta di debitore di ul-tima «istanza»).

2. Le eccedenze di spesa da parte dei creditori portano a eccedenze delle entrate da partedei debitori. A tal fine, i paesi in surplus dovrebbero essere disposti ad accettare disavanzidelle partite correnti; i detentori di asset dovrebbero investire e/o consumare pesantementeo essere tassati di più (tasse sulla ricchezza, prelievi sul patrimonio, imposte di successione).

3. Un’inflazione molto più alta ma controllata – tra il 4 e il 6% annui – per diversi annisvaluterebbe il debito in termini reali. Le banche centrali dovrebbero fare i conti con questiaumenti di prezzo e non rispondere con aumenti dei tassi di interesse. In particolare, i più po-veri percettori di redditi regolari – pensioni, benefit sociali, bassi salari – dovrebbero essereprotetti dalla caduta dei loro standard di vita e dalla diminuzione del loro potere d’acquistoda una sorta di aggiustamento inflattivo nella forma di aumenti di reddito o sgravi finanziari.

La via d’uscita dalla crisi coinvolge tutti e tre queste componenti. Dal punto di vista diuna politica economica progressista, comunque, la seconda componente sarà dominante.Essa riduce il rischio distributivo per i poveri e riduce gli squilibri della crescita. Allo stessotempo, i mercati finanziari devono essere regolati in modo tale che nessun’altra bolla sugliasset possa emergere. Ciò non significa una irragionevole restrizione dei prestiti per l’eco-nomia reale ma un contenimento della speculazione, più trasparenza e una chiara attribuzionedi rischi e responsabilità. A tal fine tutte le banche ombra devono essere abolite e, allo stessotempo, la miriade di prodotti finanziari esotici deve essere resa trasparente, una tassa sulletransazioni finanziare deve essere introdotta e il settore finanziario nel suo complesso deveessere temperato da un solido e «noioso» modello di business (finanziamento dell’economiareale, maturità, trasformazione del rischio) con strutture di remunerazione adeguata (Kam-ppeter 2011; Kapoor 2010; Dullien/Herr/Kellermann 2009, 2011).

4.2 Scenari per una Germania SocialeIn Germania, il modello di crescita basato sulla contrazione dei salari e il ritiro dello

Stato deve essere corretto. Ciò ha causato divisioni sociali e una crescita fragile, asimmetri-camente dipendente dall’export (Bontrup 2010). La domanda domestica, in particolare inaree caratterizzate da bisogni sociali sostanziali – come le energie rinnovabili, l’istruzione,la previdenza e la sanità – deve essere rinforzata per mezzo di una più equa distribuzione direddito e di un più solidamente finanziato consumo pubblico. In queste aree, possono esserecreati ulteriori posti di lavoro e reddito addizionale.

La Friedrich-Ebert-Stiftung (Fes), in tre grandi ricerche, ha simulato scenari diversi perla crescita sociale in Germania:

1. Il primo studio, nel quadro del progetto Futuro 2020, è stato portato avanti da BartschEconometrics nel 2008/2009 (Bartsch et al. 2009a; Bartsch et al. 2009b). Esso assume unaaumento nell’investimento pubblico, specialmente nell’addestramento lavorativo e nell’istru-zione, così come una politica salariale orientata alla produttività. Il risultato, comparato conuno scenario base legato a una politica economica invariata rispetto all’attuale, evidenziavala possibilità di avere una crescita molto più sostenuta, con un tasso di disoccupazione piùbasso, una migliore distribuzione e un debito pubblico più basso (Bormann et al. 2009a; Bor-mann et al. 2009b).

2. Un secondo studio sulla crescita attraverso l’espansione dei servizi sociali, portato avantida Prognos (2010/2011), ha calcolato che la creazione di circa un milione di posti di lavoro,specialmente nel settore previdenziale, incrementerebbe il Pil di circa 22 miliardi di euro (inaltre parole, di circa l’1% del Pil attuale), 2/3 dei quali passerebbero attraverso lo Stato (metàin tassazione, metà in contributi sociali) e 1/3 attraverso il mercato. I contribuenti finanzie-rebbero circa 1/3 del loro reddito addizionale da salario aumentando le spese in consumi in-dividuali, mentre i restanti 2/3 arriveranno dalle spese nei servizi pubblici (Prognos 2011b).

3. In un terzo studio (2011) sull’Interdipendenza tra lo Sviluppo del Mercato della Salutee lo Sviluppo dell’Economia e dell’Occupazione, il Rheinisch-Westfälische Institut für Wir-tschaftsforschung (Rwi) ha esaminato le conseguenze per crescita e occupazione di una forteespansione – 2% annuo – del settore della salute. Esso assume una crescita media della pro-duttività reale dell’1% annuo, con la produttività del settore della salute in aumento solo dello0.5%. Entro il 2030, in questo caso, la quota di valore aggiunto del settore della salute aumen-terà dal 10 al 13% e la sua quota di occupazione dal 12 al 16% dell’economia della Germania.In corrispondenza di ciò, la spesa per la salute crescerà in proporzione alle spese dei contri-buenti, sebbene in una quota maggiore tra i più poveri (dal 16 al 24%) rispetto agli altri (dal 6al 10%). Anche le aliquote contributive aumenteranno rapidamente. Ad ogni modo, le spesein altre aree non diminuiranno in termini assoluti e anche il welfare si estenderà (Rwi 2011).

La Germania può quindi seguire differenti sentieri di crescita, che includano la transizioneenergetica e l’espansione dei servizi sociali, senza aumentare l’indebitamento dei contribuentie dello Stato. Il suo alto surplus dell’export denuncia l’esistenza di potenziali di consumo einvestimento non sfruttati a pieno. Tuttavia, la Germania non deve temere un calo della suaprosperità. Sebbene le strutture di consumo e produzione debbano cambiare, la trasforma-zione può avere luogo in un contesto di crescita per mezzo di più impiego e produttività piùalta, senza involontarie riduzioni nei consumi tradizionali. A tal fine, deve essere assicuratouno stabile potere d’acquisto per soddisfare i nuovi bisogni. Essi possono essere ottimamenteraggiunti per mezzo di una più equa distribuzione del reddito e di una limitazione nella cre-scita degli asset (Dauder städt 2011a; Pfaller 2010b).

4.3 Crescita Sostenibile per l’Economia MondialeLa crescita tedesca orientata all’export ha contribuito all’emergere di squilibri nell’eco-

nomia europea e globale, che si sono rivelati insostenibili sul lungo periodo (Artus 2010;Dauderstädt/Hillebrand 2009; Dullien 2010b; Münchau 2010). La crescita sociale – comedescritta in precedenza – aiuterà a migliorare la situazione economica. A prescindere dallaGermania, comunque, vi sono diversi paesi – in particolar modo Cina, Giappone e alcuniesportatori di petrolio – che possono contare su considerevoli surplus relativi all’export. Co-me rovescio della medaglia vi sono massicce esportazioni di capitali che innescano nei paesibeneficiari fenomeni di crescita «esuberanti» e gonfiati (Priewe 2011). Di regola, questi squi-libri sono accompagnati da differenti trend salariali, ossia stagnazione dei salari reali com-binata con bassi costi unitari dei salari in molti paesi in surplus (specialmente, Germania e

CRITICAsociale ■ 313-4 /2012

Giappone) e rapidi aumenti unitari dei costi salariali in molti paesi in deficit (ad esempio,l’Europa periferica) - (Dauder städt 2009a; Busch 2009).

La crescita pre-crisi ha in certo modo ridotto gli ancora enormi differenziali di redditotra i paesi in Europa e anche globalmente (Dauderstädt 2010c; 2011c), sebbene accompagnatada, a fronte di ciò, perversi flussi di capitale dai paesi poveri (Cina) a quelli ricchi (Stati Uni-ti). Questo rende ancora più importante stabilire la ripresa economica dei paesi più poverisu basi sostenibili e liberarli dalla subordinazione ai veloci movimenti ondulatori del mercatodel capitale. Finanziare l’espansione dei loro stock di capitale - in forma di capitale sociale,infrastrutture e capitale umano, come la sanità e l’istruzione – deve essere un impegno a lun-go termine e a prova di speculazione. Gli incrementi di produttività che ne risulteranno, be-neficeranno la società nel suo complesso in un dato paese come a livello mondiale, anche sein particolari settori e località non mancheranno dolorosi processi di aggiustamento (Dau-derstädt 2010b).

La sostenibilità della crescita non solo è minacciata dalla sua dipendenza dal mercato fi-nanziario, ma anche dall’immenso sfruttamento delle risorse globali. La crescita dei prezzidelle materie prime indica che il consumo desiderato eccede l’attuale – e, nel caso di molterisorse, futuro – livello dell’offerta. Il meccanismo di prezzo farà in modo che nel lungo pe-riodo l’offerta aumenti e che la domanda, soggetta a considerazioni di economicità e sosti-tuzione, tenda relativamente a diminuire. Ma i prezzi crescenti gravano sui poveri in manierasproporzionata e il più intensivo sfruttamento delle risorse minerarie è accompagnato spessoda pesanti costi sociali e da inquinamento ambientale, che anche i prezzi crescenti altrettantospesso non riflettono adeguatamente.

Ad ogni modo, dato che a causa della crescita tradizionale le emissioni nocive pesanoduramente sulle basi naturali della vita, il clima specialmente (Netzer 2011), la via d’uscitanon può semplicemente essere rinunciare alla crescita o la «decrescita». Troppe persone an-cora non hanno nutrimento, vestiti, abitazioni, diritto alla salute e istruzione. La crescita so-ciale deve pertanto essere applicata selettivamente sotto vari aspetti: il reddito dei poveri do-vrebbe crescere più rapidamente; gli investimenti che risparmiano risorse nel medio terminedovrebbero crescere; i servizi sociali dovrebbero crescere sino al punto di incontrare i bisognisociali, senza contare il fatto che richiedono in genere uno sfruttamento meno intensivo dellerisorse (Spangenberg/Lorek 2003).

4.4 Governance Democratica di Economie Interdipendenti Considerato l’enorme impatto dei rischi globali che abbiamo descritto, il successo dei

percorsi nazionali di sviluppo dovrebbe essere assicurato da una politica economica globalecooperativa e strutturale. In contrasto con il discorso dominante sulla globalizzazione neglianni novanta, in cui l’economia veniva depoliticizzata, lo Stato screditato e i processi globalitenuti a distanza dal «Moloch» statale, negli anni a venire la politica dovrà rimpiazzare ilprimato dell’economia. La ricerca di nuovo spazio politico in questo quadro dovrebbe esserecaratterizzata da soluzioni pragmatiche, comunque, oltre lo statalismo, ma anche oltre l’osti-lità nei confronti dello Stato. Ciò apre la possibilità di condurre un dibattito politico sullamoderna concezione dello Stato – ma anche specialmente a livello regionale e globale (Stein-hilber 2008).

Anche se la sua fissazione sull’export diminuirà, la Germania rimarrà anche in futurodipendente da una economia globale funzionante. La sua prosperità dipenderà, tra le altrecose, dal fatto che i beni internazionali e i mercati finanziari rimangano stabili e che gli ele-menti della regolazione economica globale possano essere adattati alle nuove condizioni.Creare un politica economica esterna praticabile e mirata alla cooperazione e all’integrazionesarà un compito cruciale per il futuro. Data la relativa debolezza della voce della Germanianel concerto delle potenze economiche, ciò potrà essere realizzato solo nel contesto di unaforte Unione Europea.

Il fatto è che in Europa, come dimostrato dalla crisi e dagli sforzi per superarla, ma ancherispetto alle sfide comuni che si prospettano – ad esempio, con riferimento alla ulteriore glo-balizzazione dei mercati, al cambiamento climatico, alla crescente scarsità di risorse e al mu-tamento demografico – , la politica economica non può essere ancora per molto confinataall’interno dei confini nazionali. Il mercato unico e l’unione monetaria hanno creato da tempouna situazione di condivisa responsabilità e competenza tra i livelli nazionale e sopranazio-nale all’interno dell’Ue. Ad ogni modo, la crisi economico- finanziaria ha rivelato numerosidifetti, carenze e squilibri nel parziale processo di integrazione (Busch/Hirschel 2011; Hacker2011a). Il suo progetto centrale – la formazione di un mercato unico e di un’unione econo-mica e monetaria (Emu) – ha in realtà portato prosperità all’interno degli Stati membri, maallo stesso tempo gli effetti negativi della globalizzazione in Europa si sono sono acuiti. L’in-tegrazione ha avuto inizialmente luogo come un processo di «creazione di mercato» tra leaziende, ma anche tra gli Stati: smantellando barriere commerciali e intensificando la com-petizione, abbassando salari, contributi di sicurezza sociale e carico fiscale e mi migliorandole condizioni di locazione in una modalità «market friendly ». In contrasto, il processo di«modellamento e correzione del mercato», caratterizzato per esempio da standard sociali edi protezione dell’occupazione comuni o da organizzazione istituzionale e ulteriori sviluppinelle competenze delle politiche Ue, ha continuato ad aggrapparsi (Höpner/Schäfer 2010) aun «minimalismo costituzionale» (Platzer 2009).

Tuttavia, problemi e difficoltà, incluso il collasso dell’euro e, in ultima analisi, dell’Eu-ropa e dell’Idea europea – possono essere evitati solo rafforzando strumenti politici di cor-rezione e modellamento del mercato e, in ultima istanza, per mezzo di «più Europa», intesacome unione politica (Arbeitskreis Europa 2010b). L’obiettivo finale deve essere la conver-sione dell’Ue in un’unione politica con diritti di partecipazione democratica simili a quelligarantiti nei paesi membri. Comunque, non dovrà esserci una semplice centralizzazione deldecision-making di politica economica intergovernamentale a Bruxelles. Questo sarebbe giu-stificato solo se fosse controllato democraticamente (ad esempio, nel quadro del metodo co-munitario) - (Collignon 2010). Prima che un simile scenario diventi realtà, non resterà altroche rinforzare la coordinazione e l’accordo tra le politiche economiche statali. Ciò significaanche, comunque, che l’Ue, o tutti i membri Ue uniti, avranno istituzionalmente il diritto diesprimersi su questioni politiche finora appannaggio degli Stati individualmente (Heise/Heise2010). In particolare, ciò significa mettere in agenda l’intenzione di avanzare nelle misure

di integrazione: «più Europa» nel senso di rafforzare ulteriormente il principio di competi-zione e di restringere la finalità politica condurrebbe all’implosione del progetto europeo.Ciò che è decisivo, allora, è un nuovo paradigma per la governance che comprenda l’equa-lizzazione degli squilibri economici e il progresso sociale nell’Ue come un compito centrale(Hacker/van Treeck 2010).

Benché negli anni recenti la politica di sicurezza abbia in modo crescente eclissato il di-lemma dello sviluppo globale, ora la questione della crescita sociale sta tornando con prepo-tenza in agenda, anche a livello globale. Questo argomento determinerà sostanzialmente lafutura costituzione del mondo. E’ diventato evidente che i problemi di sviluppo non sono piùsoltanto legati al Sud del mondo. L’impoverimento di molte regioni del Nord, non solo delSud, ha condotto a una crisi che sta minacciando anche i centri della prosperità globale. Ilmodello di sviluppo sinora in auge viene messo in questione dalle crisi ambientali conseguentiallo sviluppo economico di determinati paesi. La crescita sociale a livello globale non saràmai un’opzione se non verrà abbinata a un nuovo modello di sviluppo, che combini in ognipaese la ristrutturazione ambientale dell’economia con una più giusta distribuzione (Netzer2011). Rispetto al livello globale, ciò significa che i paesi meno sviluppato devono essere aiu-tati ad aprirsi a nuovi sentieri di crescita che devono tenere conto di quattro fattori:1. Crescita ambientale con un’enfasi sulla riduzione delle emissioni di CO2; 2. Una crescita socialmente sostenibile che crei lavoro; 3. Una crescita sostenuta non più soggetta alla volatilità del mercato dei capitali;4. Una crescita dovuta all’integrazione regionale e all’intensificazione delle infrastrutture.

A questo fine, la crisi regolatoria (con riferimento alle banche) e la crisi della governanceeconomica globale (con riferimento agli squilibri globali) deve essere risolta.

Ad ogni modo, le strutture del decision-making a livello globale – in particolare nel casodelle organizzazioni internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e la BancaMondiale – continuano a fronteggiare seri problemi concernenti la legittimità e l’accettabilità.Queste organizzazioni sono ancora dominate dai tradizionali paesi industrializzati di cui rap-presentano primariamente gli interessi. Esse riflettono l’equilibrio di potere economico ri-salente al periodo della loro creazione, dopo la Seconda guerra mondiale, e non l’attualeconfigurazione di forze. Pertanto sono considerate poco rappresentative e non democratichedai paesi emergenti e in via di sviluppo. Comunque, informali ma potenti forum della go-vernance, come il G7/G8 che va lasciando spazio al G20, hanno ormai dilatato i propri con-fini, includendo alcuni paesi leader tra gli emergenti, ma vivono anch’essi problemi di legit-timità che inducono i paesi non rappresentati a non riconoscerne l’autorevolezza.

La soluzione di sfide chiave per il futuro che si stanno presentando a livello globale pos-sono essere raggiunte solo con la collaborazione dei paesi emergenti e in via di sviluppo, chein anni recenti sono stati strettamente integrati nelle strutture della finanza e del commerciointernazionali (Joerißen/Stein hilber 2008). Il multilateralismo post-bellico delle istituzioni diBret ton Woods, che stanno oggi soccombendo sotto il peso delle loro strutture obsolete, deveessere integrato in nuove istituzioni nei medesimi termini. Benché il G20 rappresenti un inizionello stabilimento di un forum in cui le attuali economie dominanti possano confrontarsi suun piano di parità (Pohlmann/Reichert/Schillinger 2010), tutto ciò – così come le timide ri-forme del Fmi e della Banca Mondiale – non è sufficiente per dar luogo a una integrazionepositiva. La comunità internazionale ha già iniziato cautamente ad affrontare la questione diefficienti e sostenibili strutture di governance globale, che aiutino a ridurre l’incertezza e lacomplessità sulla base della fiducia e ad aprire una nuova finalità allo sviluppo.

5. Un programma in 10 Punti per una Politica Economica Progressista

Il seguente programma in 10 punti evidenzia le più importanti riforme necessarie o op-portune per implementare il concetto di «crescita sociale».

5.1 Garantire una Stabile Offerta di Credito con una Effettiva Regolazione 5.1 dei Mercati Finanziari

La crescita sociale, come ogni forma di crescita, dipende da un’adeguata offerta di cre-dito. Deve essere garantito che i mercati finanziari – con la loro propensione al breve periodo,il periodico eccessivo appetito per il rischio e l’irrefrenata tendenza al prestito, per non parlaredell’influenza perniciosa degli “istinti del gregge” – non sprofondino ripetutamente il sistemafinanziario, e in ultima analisi l’economia nel suo insieme, in crisi di proporzioni catastrofi-che. In mercati finanziari integrati a livello transnazionale, le banche hanno sia creditori stra-nieri sul lato delle passività (depositi) sia debitori sul lato degli asset (investimenti). La pro-tezione dei depositanti, il sostegno alla liquidità (prestatori di ultima istanza) e la valutazionedegli asset (con conseguenze per le riserve minime e via discorrendo) messi in pratica a li-vello nazionale sono sempre meno fattibili. In piccoli paesi con sistemi bancari sovradimen-sionati – Islanda, Irlanda, Svizzera – lo Stato può rapidamente essere sopraffatto.

Se si vuole che un simile fallimento del mercato venga superato e, in ultima analisi, che icontribuenti siano protetti, una più forte, comprensiva ed efficiente regolazione dei mercatifinanziari si rende necessaria, in modo da ridurre il predominio del settore finanziario e darendere più solida l’economia reale (offerta di credito ai privati e alle imprese) (Kamppeter2011; Dullien/Herr/Kellermann 2009, 2011). Gli elementi centrali della nuova regolazionedei mercati finanziari che, idealmente, dovrebbe essere implementata uniformemente a livelloglobale ma, se no, quantomeno a livello europeo, sono i seguenti (Noack/Schackmann-Fallis2010; Kapoor 2010; Dullien/Herr 2010; Arbeitskreis Europa 2009; Steinbach/Steinberg 2010):

• Più trasparenza e la chiusura delle possibili scappatoie dalle norme per mezzo di unasupervisione centralizzata del mercato finanziario, che sia, per quanto possibile, uniforme,potente e transazionale. Dovrà avere l’autorità a emettere direttive e di imporre condizioni,proprio come le autorità nazionali preposto alla supervisione.

• Monitoraggio unificato della stabilità del sistema finanziario.• Riserve di capitali più alte e anti-cicliche e requisiti di liquidità per tutte le banche e gli

intermediari finanziari; bando per le entità con bilancio patrimoniale in perdita senza coper-tura di capitale e imposizione di limiti alle opportunità per banche e attori del sistema finan-

32 ■ CRITICAsociale3-4 / 2012

ziario di accumulare nuovi debiti (la cosiddetta leverage ratio) per ridurre gli incentivi percomportamenti speculativi e propensi all’indebitamento da parte degli investitori e per raf-forzare la stabilità del sistema finanziario in situazioni di crisi.

• Più elevati requisiti di capitale per le banche sistemicamente rilevanti e piani di emer-genza e di liquidazione (i cosiddetti «living wills»), mediante i quali le istituzioni transazio-nali possano essere liquidate in caso di insolvenza senza danneggiare qualcun altro; tutto ciòper accrescere il costo per i privati di un fallimento scaturente da pratiche speculative.

• Riduzione del proprietary trading da parte delle banche commerciali, forse anche unapiù stretta separazione dei prestiti tradizionali dalle banche di investimento; una più strettaregolamentazione delle agenzie di rating e lo stabilimento di un’agenzia di rating europeada finanziare con fondi comunitari (Arbeitskreis Europa 2010b).

• Riduzione del ruolo delle agenzie di rating private e modelli di rischio interno bancarioper valutarne l’adeguatezza patrimoniale.

• Riduzione della contabilizzazione del giusto valore in regime di quasi mercato.• Limiti sulla rivendita di prestiti (cartolarizzazioni) da parte delle banche commerciali.• Più stretta regolamentazione dei derivati di trading e fare in modo che essi vengano

esclusivamente regolati per mezzo delle stanze di compensazione (riduzione del mercatoover-the-counter).

• Un legge europea sulla bancarotta per gli istituti di credito che garantisca una ordinatae agile liquidazione delle banche insolventi.

• Stabilimento di un «Mot» finanziario che valuti accuratamente il valore sociale e i rischidi nuovi strumenti finanziari, sia per le banche che per gli investitori, prima della loro intro-duzione. Simili strumenti dovrebbero essere consentiti solo se in grado di fornire beneficisociali (Dullien/Herr/Kel lermann 2009, 2011).

• Introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie (Paul/Neu mann 2011), così comepiù severe, e più orientate al lungo termine, regolazioni sui bonus per i manager bancari che,in particolare nel breve periodo, renderebbero meno attrattiva la ricerca del profitto e la spe-culazione sui mercati finanziari internazionali, così riducendo le fluttuazioni dei mercati.

Il tradizionale sistema bancario tripartito della Germania deve essere mantenuto e inco-raggiato poiché ha dimostrato il suo valore – in particolare grazie alle casse di risparmio eal settore cooperativo – come saldo ancoraggio nella crisi. Ciononostante le banche dei Land(Landesbanken) dovrebbero essere consolidate e sviluppati nuovi modelli di business, so-stenibili sul lungo periodo. Un’effettiva regolamentazione dei mercati finanziari è anche lacondizione chiave per una politica monetaria orientata alla crescita. Senza un’effettiva re-golamentazione, questa sarebbe inevitabilmente frustrata nei suoi sforzi per assicurare la sta-bilità dei prezzi e del mercato finanziario solo per mezzo di una politica sui tassi di interesse.Con un’effettiva regolazione dei mercati finanziari in atto, aumenterebbe lo spazio di mano-vra per perseguire una politica monetaria orientata alla crescita (Winkler 2008; Illing 2011).

5.2 Utilizzare la Politica dell’Istruzione per Stimolare le Forze della Crescita 5.2 ed Espandere le Opportunità per Tutti

Sul lato dell’offerta, la crescita sociale è dipendente da un buona e continua formazione.Istruzione e conoscenza aumentano la produttività del lavoro e così contribuiscono alla cre-scita e alla prosperità (Prognos 2011a; Blossfeld et al. 2011). L’istruzione è un bene pubblicoche migliora le prospettive di vita delle persone. Fallimento del mercato significa insufficientirisorse destinate dal mercato e dal settore pubblico all’istruzione. Solo una politica di istru-zione governativa può adeguatamente fornire l’investimento nell’istruzione necessario perla crescita e l’occupazione, senza che le ineguaglianze sociali si accentuino e che la coesionesociale venga pregiudicata. Studi comparativi internazionali relativi agli standard educatividimostrano che la spesa della Germania in istruzione è circa sul livello medio Ocse e che staperdendo terreno rispetto ai paesi più virtuosi in tal senso. Le prospettive della formazionecontinua sono parimenti sfavorevoli: quest’ultima deve essere incrementata se si vuole ga-rantire la qualità del lavoro sui tempi lunghi, considerando l’aumento dell’età di pensiona-mento. In futuro, insomma, la Germania deve investire di più nella formazione iniziale econtinua, ma anche apportare aggiustamenti strutturali nel settore dell’istruzione (Borgwardt2011; Wernstedt/John-Ohnesorg 2010; Autorengruppe Bildungsberichter stattung 2010).

Lo scopo di una politica dell’istruzione deve essere un sistema educativo socialmente giu-sto e altamente performante, che parta dal’educazione nella prima fanciullezza per arrivarealla formazione continua degli adulti. Non è sufficiente per questo proposito avere singolescuole di buon livello o alcune università di prestigio: è necessario un orizzonte nazionale cheincluda le aree urbane e rurali. Solo un ampio impegno pubblico potrà raggiungere tutti i bam-bini, i ragazzi, gli apprendisti e gli studenti, senza condizionamenti legati al reddito familiare.Solo in questo modo possiamo ridurre la forte correlazione tra successo educativo e originesociale, tra numero di giovani senza qualifiche e alto tasso di abbandono scolastico. Le seguentimisure sono necessarie a questo fine (Baumert 2010; John-Ohnesorg 2009; Wernstedt 2010):

• La divisione dei compiti tra governo federale, länder e municipalità (con riferimentoalle scuole, all’istruzione di eccellenza e alla ricerca) necessita di essere ridefinita al fine diassicurare una adeguata base finanziaria per i compiti che ci si trova a dover affrontare.

• L’istruzione deve diventare più individualizzata a tutti i livelli: i cosiddetti studenti arischio non sono un gruppo omogeneo. Un maggior addestramento alle lingue è particolar-mente importante.

• L’istruzione deve iniziare prima, poiché l’educazione precoce e il sostegno all’appren-dimento lasciano segni indelebili sui successivi step. Sostenere l’educazione dei bambini, inparticolar modo minori di tre anni, deve diventare un impegno sempre più sentito: è impor-tante creare molti ambienti dedicati alla cura e formazione del bambino nei cosiddetti «Kitas» (centri per la cura dei bambini con genitori impegnati a tempo pieno) e kindergarten; i pe-riodi e gli orari di apertura dovrebbero essere adattati (anche per favorire la compatibilità tralavoro e vita familiare) e gli approcci pedagogici e lo staff migliorati, con l’inserimento dipersonale qualificato.

• Il sistema scolastico deve essere orientato su un più lungo periodo e ogni tipo di selezionedeve essere preceduto da una fase di istruzione inclusiva, indirizzata a una maggiore permea-bilità orizzontale e verticale. Ci si dovrebbe orientare a un sistema scolastico a due livelli.

• E’ necessario accrescere il numero delle scuole a tempo pieno che non solo si occupanodella cura del bambini, ma anche di formazione pomeridiana erogata da staff qualificato, inambienti adeguati e con supporti educativi idonei. Esse potrebbero essere integrate in retieducative locali in grado di fornire un supporto individualizzato.

• Espandere i tirocini e le scuole professionalizzanti full-time consentirebbe di soddisfarei bisogni avvertiti di adeguato e operativo avviamento professionale. Per venire incontro alleesigenze di coloro che non ricevono un addestramento a una professione che garantisca unfuturo lavorativo soddisfacente, devono essere adottate al più presto misure sostenibili, come,ad esempio, l’intensificazione del sostegno ai giovani immigrati.

• La spesa per l’istruzione, la ricerca e la scienza deve crescere (almeno fino al 10% del Pil).• I cambiamenti tecnologici fanno sì che aumenti la richiesta di personale qualificato in

tutte le aree. Strettamente connessa a ciò, esiste la possibilità per i singoli lavoratori di mi-gliorare i propri guadagni. Per questa ragione, sia chi lavora sia chi è disoccupato con unabassa, intermedia o alta qualifica deve ricevere ulteriore e migliore addestramento a tutti ilivelli della sua vita lavorativa, non solo per rimediare alla carenza di lavoratori qualificatima anche per far fronte all’innalzamento dell’età pensionistica. I sussidi di disoccupazionedovrebbero tramutarsi in sussidi di occupazione (Schmid 2008). I diritti collegati a ferie,permessi e ritorno al lavoro per dipendenti in formazione dovrebbero essere estesi e i fondiaziendali per la formazione previsti negli accordi collettivi per le piccole-medie imprese de-vono essere sostenuti (Bosch 2010). Infine, ognuno dovrebbe aver diritto alla formazione eal supporto individualizzato.

5.3 Aprire Nuove Aree di Crescita con la Politica IndustrialeCome ogni processo di crescita, la crescita sociale non è caratterizzata dalla conserva-

zione strutturale ma dal cambiamento. Al fine di soddisfare le esigenze del mercato, dellaristrutturazione ambientale e del rinnovamento dell’economia e della società – cambiamentoclimatico, distruzione dell’ambiente, esaurimento delle risorse naturali – in futuro la politicaindustriale ambientale dovrà identificare e promuovere con tempestività aree di crescita, maanche assicurare la sostenibilità sociale e ambientale (Schepelmann 2010). L’industria am-bientale della Germania è un buon esempio di politica industriale di successo (Bmu 2009).Comunque, senza un intervento politico – che stabilisca target, traducendoli in parametriambientali e tetti al consumo di risorse e alla loro costante estrapolazione nelle differentiaree di produzione e consumo privato – questo importante settore industriale non sarebbeemerso (Fischedick/Be chberger 2009). Lo Stato, per mezzo della regolamentazione legale,il suo potere d’acquisto e di mercato e la ricerca ambientale, le sue infrastrutture, le politicheeconomiche e fiscali, può e dovrebbe giocare un ruolo attivo e funzionare pertanto come unimportante technology driver e motore di innovazione. In tale quadro, esso dovrebbe pro-muovere lo sviluppo e l’introduzione nel mercato di prodotti innovativi e sostenibili, permezzo di significativi incentivi economici all’investimento (Meyer-Stamer 2009).

In futuro, nell’area della protezione climatica e ambientale, invece di dispendiosi pro-grammi di intervento diretti dello Stato, dai risultati incerti, il consumo ambientale dovrebbe,ad esempio, essere pienamente incorporato in un sistema commerciale dei diritti di emissionedi CO2 che, guidato dai prezzi, sia il più globale possibile (Löschel 2009; Knopf et al. 2011).Vale la pena di considerare una legge nazionale relativa alla protezione climatica, che prevedaspecifiche linee-guida per tutte le autorità locali e settori economici in un piano di imple-mentazione. L’obiettivo sarebbe fondamentalmente il cambiamento delle attitudini di tuttigli attori economici e di ecologizzare tutte le strutture produttive e le catene di creazione delvalore. Per mezzo di chiare linee guida di efficienza energetica e di obiettivi di riduzione deitarget di CO2, dovrebbe essere data ulteriore spinta alla domanda e all’offerta nel quadro didirettive pubbliche di approvvigionamento e contratti di allocazione (Pfaller/Fink 2011).

Il livello locale dovrebbe godere di una particolare priorità. Nel framework di un dialogosociale, i bisogni dovrebbero essere determinati e le soluzioni attivate e sperimentate. Ciòrenderà possibile integrare strettamente e collegare network di consumatori, di imprese, discienziati, politici e amministratori. Soprattutto, in questo modo le linee guida governativesulla protezione climatica, sulle risorse, sul consumo di energia, potranno aiutare a raggiun-gere i target climatici nazionali e a migliorare la competitività internazionale delle impresesugli emergenti “mercati green”. Inoltre, questo processo di dialogo può contribuire alla re-ciproca riconciliazione dei vincitori e dei perdenti della modernizzazione. Un radicale cam-biamento strutturale può comunque condurre anche a un inasprimento delle condizioni socialiper molti; un problema che dovrà essere risolto con la maggiore celerità possibile(Pfaller/Fink 2011; Bär et al. 2011).

La crescita futura dipenderà considerevolmente dallo sviluppo del settore dei servizi.Una politica industriale moderna deve dunque porre fine alla politica di sostegno e alla di-scriminazione finanziaria contro i beni non fisici. Oltre che dallo sviluppo di servizi collegatiall’industria a elevato valore aggiunto, la crescita sociale dipende primariamente dalla cre-scita di servizi sociali di alta qualità. La Germania, nel confronto internazionale, denunciaun significativo gap occupazionale al proposito. Oltre ai servizi al business, esistono serviziorientati socialmente di elevata qualità che mostrano i più alti tassi di crescita nei paesi del-l’Europa a 15. Sullo sfondo dei cambiamenti demografici in atto, stanno crescendo conside-revoli esigenze al riguardo, per esempio nell’area dell’assistenza ai malati e agli anziani enel sistema socio-educativo; pertanto il sostanziale potenziale di crescita e impiego è sintroppo evidente.

La domanda di servizi sociali è spesso debole sul libero mercato a causa del cosiddettoeffetto Baumol (Baumol 1967) – anche conosciuto come «morbo del costo di Baumol». Leaziende private spesso non soddisfano tale domanda adeguatamente. Questi fallimenti delmercato possono ad ogni modo essere superati attraverso una intelligente politica dei servizi(Bienzeisle et al 2011; Schett-Kat 2010). Ciò non deve implicare una strategia di basso profilodi sviluppo dei servizi che tenti di accrescere la domanda potenziale e favorire un’ulterioreespansione dei servizi per mezzo di riduzioni dei costi, incoraggiando i settori a basso salarioe amplificando i differenziali di reddito. Una simile strategia ultimamente conduce solo alavori mal pagati e precari e, in tal modo, a servizi di scarsa qualità e basso valore aggiunto.L’espansione di servizi sociali di alta qualità, come dimostrano i paesi scandinavi, è possibileanche combinando differenziali salariali moderati, più alti salari e una più limitata inegua-

CRITICAsociale ■ 333-4 /2012

glianza sociale. Comunque, una tale strategia di alto profilo richiede uno Stato più attivo,nel ruolo di finanziatore, produttore e/o datore di lavoro in questo settore. In particolare, imeccanismi di finanziamento statale, come i sistemi di sicurezza sociale, possono contribuire,in primo luogo, allo sviluppo della domanda per servizi sociali in generale e, in secondo luo-go, a una adeguata fornitura e accesso per tutti ai medesimi servizi. L’esempio scandinavomostra che un alto tasso di spesa governativa rispetto al Pil non è un ostacolo allo sviluppoeconomico complessivo (Heintze 2011; Schettkat 2011).

Istruzione, famiglia e politiche fiscali devono essere in futuro meglio coordinate con lacreazione e promozione di occupazioni decenti con buoni salari nel settore dei servizi sociali.Nelle politiche educative la previdenza deve essere tenuta in conto per consentire che gli ad-detti siano meglio addestrati, supportando e formalizzando qualificazioni formative e profes-sionali riconosciute dallo Stato. La qualità più alta può accrescere l’accettazione e la dispo-nibilità a pagare tra i potenziali consumatori. Le politiche famigliari, d’altro canto, possonoincoraggiare l’impiego femminile e creare nuove opportunità di lavoro nei servizi sociali, siasul lato della domanda che dell’offerta (Luc 2011). In particolare, l’integrazione di donne benformate e qualificate nel mercato del lavoro accresce la domanda e l’offerta di servizi sociali.Attualmente, tali servizi sono forniti principalmente da donne, a casa. In futuro, il focus dellepolitiche famigliari dovrebbe essere meno sul trasferimento di benefit, come i sussidi previstiper l’infanzia, e in misura maggiore sui benefit “in natura”, come l’espansione dell’assistenzaall’infanzia (nidi, centri diurni, strutture per bambini minori di tre anni), che rispondano alleesigenze delle persone e che siano, per quanto possibile, gratuiti.

5.4 Rafforzare la Posizione dei Lavoratori con la Previsione di un Salario Minimo 5.4 e della Codeterminazione

La crescita sociale richiede una politica salariale che assicuri ai lavoratori la partecipa-zione nella creazione di valore e innalzi così il potere d’acquisto delle masse. La stagnazionedei salari reali e la crescita della ineguaglianza del reddito non devono essere rimossi soloper considerazioni di giustizia sociale, ma anche perché contribuiscono alla stagnazione delladomanda interna e conseguentemente al basso tasso aggregato di crescita e all’aumento deglisquilibri interni (Joebges 2010; Joebges et al. 2010). La politica salariale dovrà in futuro es-sere orientata più decisamente verso aumenti nominali in termini di produttività dei salari inproporzione ai guadagni di produttività aggregata sul lungo periodo più il tasso di inflazioneposto come obiettivo dalla banca centrale – non solo in Germania, ma a livello globale. Soloin questo modo la domanda domestica potrà essere rinforzata in maniera sostenibile e il pe-ricolo di squilibri emergenti all’interno dell’Unione Monetaria Europa ridotti (Busch 2010;Busch/Hirschel 2011; Pusch 2011). Sebbene in Germania i contratti collettivi stabiliscanodei limiti alla politica salariale, il governo può influenzare lo sviluppo dei salari:

• La previsione generale, completa, di un minimo legale dei salari fortifica la posizione diogni singolo lavoratore in contrattazione salariale e quindi aiuta a prevenire tabelle salarialial ribasso basso e lo sviluppo di bassi salari, o peggio di salari da fame, che minacciano la ca-pacità delle persone di far quadrare il bilancio (Bosch et al 2009a; Bosch et al. 2009b). I salariminimi costringono le imprese a competere sulla base di una maggiore produttività e innova-zione, a differenza dei bassi salari. Un salario minimo legale, per esempio, 8,5 euro l’ora, nonsolo migliorerebbe la situazione economica di cinque milioni di persone, ma aumenterebbeanche i guadagni di circa 14,5 milioni di famiglie private. Servirebbe inoltre ad alleviare l’one-re per il bilancio pubblico tedesco per la somma di circa 7 miliardi di euro (per esempio, ilsostegno ai redditi più basso e le maggiori entrate fiscali) - (Ehrentraut et al. 2011).

• Il governo dovrebbe smettere di promuovere i cosiddetti mini- e midi- job e reintrodurrel’obbligo generale di sicurezza sociale al fine di correggere gli sviluppi negativi vissuti dalmercato del lavoro negli ultimi anni.

• La codeterminazione a livello di impianti produttivi e imprese deve essere estesa e i con-tratti collettivi generali devono essere rafforzati da imprese tenute ad aderire ad associazionidei datori di lavoro o a dichiarare l’obbligatorietà generale dei contratti collettivi di lavoro. Ilgoverno può e deve dare un aiuto sostanziale a rafforzare i sindacati in modo che siano in gradodi trarre pieno vantaggio del margine macroeconomico di distribuzione e di ottenere buonecondizioni di lavoro (Hörisch 2010; Greifenstein 2011; Greifenstein / Weber 2009, 2008).

• Inoltre, in futuro il governo potrà e dovrà essere una presenza più potente come datoredi lavoro, non solo perché i servizi pubblici e i servizi di interesse generale, in particolare,sono caratterizzati da significative esigenze e carenze, ma anche perché lo Stato ha il poten-ziale per stabilire degli standard per decenti e ben pagati posti di lavoro in un importantesegmento del mercato del lavoro, inviando in tal modo importanti segnali positivi ad altrisegmenti del mercato del lavoro. Simili effetti positivi possono essere raggiunti legando laconcessione degli appalti pubblici al rispetto delle norme minime in materia di salari dignitosie condizioni di lavoro.

5.5 Finanziare le Funzioni Pubbliche Correttamente ed Equamente tramite 5.5 una Riformata Politica Fiscale

Il concetto di crescita sociale si basa sul fatto che lo Stato e la comunità sono responsabilidi un numero significativo di compiti qualitativamente impegnativi. L’azione dello Stato devecompensare i fallimenti del mercato in molti settori e quindi creare le condizioni per una cre-scita equilibrata dell’economia, della finanza e di uno sviluppo ambientalmente e socialmentesostenibile. Al fine di superare la mancanza di fondi in settori chiave della politica - per esem-pio, l’istruzione, dove esiste un deficit di almeno 25 miliardi di euro - e di essere in grado dieffettuare l’investimento necessario per il futuro, lo Stato deve avere risorse finanziarie suf-ficienti. Sullo sfondo del deficit di bilancio e dell’alto debito pubblico, il finanziamento dellespese supplementari per mezzo di un ulteriore aumento del debito pubblico è difficilmentesostenibile. Ciò che è necessario è il consolidamento di un bilancio sostenibile in futuro.

Anche se tutti gli aspetti della gestione statale devono certamente essere sottoposti a ri-flessione critica, l’esame degli investimenti programmati dello Stato in futuro e i problemidi finanziamento non possono essere risolti esclusivamente da tagli alla spesa. Gli investi-menti pubblici in Germania, insieme alla pressione fiscale, sono scesi al livello più bassonel confronto internazionale. Una strategia di bilancio responsabile, orientata al futuro e so-stenibile, deve pertanto ottimizzare le entrate e migliorare la base di finanziamento. In altre

parole, l’obiettivo dovrebbe essere quello di alzare le tasse in alcune zone. In particolare, lasituazione delle entrate dei comuni e dei Länder deve essere migliorata, dal momento che infuturo notevoli investimenti pubblici dorano essere ivi implementati e beni e servizi di inte-resse generale dovranno essere forniti.

Nell’ambito della politica fiscale, dunque, tutte le parti della società e tutte le fasce di red-dito devono partecipare, sulla base della solidarietà e della giustizia sociale, nel fornire le en-trate pubbliche necessarie per queste politiche (Corneo 2010). Oltre alle considerazioni digiustizia (principio di base: la tassazione secondo la capacità di pagare), l’aumento delle tassedeve sempre prendere in considerazione gli effetti di incentivazione (rinnovamento ambien-tale, evitando crisi finanziarie). Sulla base di considerazioni di distribuzione e giustizia, maanche di stabilizzazione, in futuro, in primo luogo, lavoratori più retribuiti dovrebbero sop-portare il peso degli aumenti delle tasse. Considerando la crescente disuguaglianza di redditoe ricchezza e il fatto che il reddito da capitale immobilizzato in Germania è poco tassato nelconfronto internazionale, il reddito da attività finanziarie dovrebbe essere tassato regolarmentee più pesantemente. Le seguenti misure sono ragionevoli e appropriate (Mende et al 2011.):

• Un aumento dell’aliquota massima dell’imposta sul reddito: questo non avrebbe un ef-fetto negativo sul versante della domanda, in quanto i percettori di alti redditi riuscirebberoa risparmiare una percentuale maggiore del loro reddito. Aumentare la tassazione al 49% suun reddito imponibile di 100.000 euro o 200.000 euro frutterebbe alle casse pubbliche circa7 miliardi di euro all’anno. Inoltre, per i redditi particolarmente elevati, un aumento di unulteriore 3% sulla parte superiore dell’aliquota massima per i redditi oltre i 250.000 o i500.000 € (una tassa sui ricchi) si potrebbe immaginare come esplicitamente collegato alfinanziamento della spesa necessaria all’istruzione.

• Revoca delle agevolazioni fiscali introdotte ai sensi della « Legge di accelerazione dellacrescita»: Ciò consentirebbe l’accumulo di 5.6 miliardi di euro di budget.

• Riforma della tassazione sulle imprese: il taglio dell’ultima riduzione dell’imposta sullesocietà e l’aumento delle tasse sulle plusvalenze potrebbe portare fino a 40 miliardi di euro.D’altra parte, le agevolazioni fiscali dovrebbero essere utilizzate per incoraggiare le impreseche investono nel capitale reale e in ricerca e sviluppo (R&S), in particolare, nei settori orien-tati al futuro e nei mercati di punta; ad esempio l’introduzione permanente di ammortamentodecrescente al 30%.

• Alzare l’imposizione sulle professioni: al fine di migliorare la situazione finanziaria dicittà, comuni e distretti la tassa professionale dovrebbe essere aumentata, in particolare am-pliando la base imponibile per includere tutti coloro che sono economicamente attivi, in par-ticolare i lavoratori autonomi e i professionisti.

• Alzare l’imposta sugli immobili: lo stesso vale per l’imposta sugli immobili la cui baseimponibile deve essere modernizzata.

• Aumentare l’imposta sulle plusvalenze: questa dovrebbe essere nuovamente sollevata,dal suo attuale 25 al 29% (esclusa la tassa sui ricchi) o 32% (compresa la tassa sui ricchi) osostituita con la reintroduzione della tassazione “di sintesi”.

• Riformare la tassazione sulle successioni: attraverso la riforma dell’imposta di succes-sione, si manterrebbe la gratuità dell’eredità di piccole e medie imprese e doni all’internodella cerchia familiare, ma si tasserebbero adeguatamente i trasferimenti più importanti diasset fino a 5 miliardi di euro.

• Reintrodurre l’imposta sul patrimonio: solo questo potrebbe fruttare circa 16-20 miliardidi euro e un contributo significativo alla riduzione delle disparità di reddito e ricchezza(Schratzenstaller 2011).

• Introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie: questo sarebbe anche un importantecontributo alla riduzione delle disparità di reddito e a ricchezza - costringendo i responsabilidella crisi finanziaria a partecipare ai costi per superarla - e per prevenire le crisi future. In-trodotta a livello europeo, anche con aliquote relativamente basse (per esempio, 0,05%) po-trebbe aumentare i ricavi di circa 12-20 miliardi di euro all’anno (Paul / Neumann 2011).

• Abolire la scissione delle imposte sul reddito tra le coppie e introdurre la tassazione in-dividuale (Färber et al. 2008).

• Tassare in modo più pesante l’utilizzo di energie e risorse non rinnovabili, nonché leemissioni (tasse Eco): questo potrebbe ulteriormente rafforzare le finanze pubbliche e ancheottenere importanti e utili effetti di incentivazione ambientale (Pfaller 2010a).

• Impegnarsi costantemente contro l’evasione fiscale: i paradisi fiscali internazionali ele scappatoie fiscali dovrebbero essere preclusi.

Le entrate supplementari provenienti da queste misure consentiranno allo Stato di svol-gere in futuro le attività finanziare, e di gestire la spesa necessaria, per la crescita sociale eraggiungere la redistribuzione del reddito e della ricchezza necessari per uno sviluppo eco-nomico più sostenibile. Una tassazione equa e trasparente contribuirebbe anche a lenire ilsenso di alienazione dei cittadini dallo Stato in corso da anni. Le nuove entrate fiscali per-metterebbero di fornire, oltre alla sicurezza sociale, una più alta qualità dei servizi pubblicisociali che consenta a tutti di partecipare al meglio alla vita economica e sociale.

La capacità dello Stato di aumentare le tasse deve essere protetta contro la concorrenzainternazionale. Ciò vale in particolare per la tassazione delle società in Europa. Al fine di ri-durre la concorrenza basata sulla bassa imposizione sulle società e quindi di garantire la red-ditività dello Stato in materia di entrate fiscali, la struttura fiscale e gli effetti sulle altre formedi imposizione, un accordo dovrebbe essere raggiunto in Europa sulle norme quadro in ma-teria di tassazione societaria uniforme. Ciò richiede l’introduzione di un obbligo, a livelloUe, su una base consolidata di valutazione e un minimum tax rate (Hull/Risorto 2007; Ri-sorto/Hull 2011).

5.6 Stabilizzare l’Economia e la Situazione Debitoria per Mezzo di una Politica Fiscale5.6 Anti-Ciclica

Nella crisi, l’attuazione delle politiche fiscali anti-cicliche è stata in grado di limitare larecessione economica e di riportare l’economia mondiale rapidamente su un percorso di cre-scita. Le politiche di stimolo economico sono state a lungo accolte con perplessità, o perchéconsiderate inefficaci, o perché suscettibili di far salire la spesa pubblica, il Pil e il tasso diindebitamento, e quindi sospettate di lasciare le generazioni future con un monte debiti ancora

34 ■ CRITICAsociale3-4 / 2012

più alto. In realtà, le politiche fiscali anti-cicliche in passato hanno avuto decisamente suc-cesso, sia in Germania che, ancor più, in altre economie. Una politica efficace di stimoloeconomico non deve lasciarsi alle spalle il debito permanente se le eccedenze, derivanti du-rante il boom dopo ogni crisi, vengono utilizzate per il servizio e a ridurre il debito. Una po-litica anti-ciclica non solo stabilizza a breve termine la crescita economica, ma rafforza anchela crescita a più lungo termine, perché la spesa societaria, che è molto sensibile alle fluttua-zioni economiche, come la R&S, non è sospesa durante la crisi e continua invece a essereinvestita in capitale e know-how e quindi nel potenziale di crescita dell’economia. Prolungareuna ripresa economica per quanto possibile, consente ai dipendenti precari e ai disoccupatidi lungo termine l’accesso al lavoro «normale».

A lungo termine, le esperienze in Germania e gli eventi più recenti della zona euro dimo-strano chiaramente che i debiti pubblici non devono essere ridotti per mezzo di un’austeritàcompulsiva nella crisi, ma solo da una crescita sostenuta dopo il superamento della crisi. Ri-durre il deficit, riducendo le spese e aumentando i ricavi, nel bel mezzo di una crisi, non servea raggiungere l’obiettivo dichiarato, ma piuttosto prolunga il rallentamento economico e indefinitiva si rivela controproducente. Le riforme strutturali sul mercato del lavoro, senza ilgiusto ambiente macroeconomico, smorzano i consumi e quindi la crescita. Anche in questocaso, quindi, una politica anti-ciclica risulta essere una misura di accompagnamento per aiutarea mantenere la ripresa economica nel tempo (Dauderstädt 2007; Lenz 2011; Heise/Leers 2011).

La politica anti-ciclica appartiene, quindi, all’armamentario degli strumenti di una politicaeconomica volta alla stabilità. Non dovrebbe essere meramente discrezionale: stabilizzatoriautomatici dovrebbero essere costruiti nel sistema economico - ad esempio, nel sistema fi-scale e sociale - e non indeboliti, per esempio, dalla riduzione dei contributi sociali in unaripresa economica che in una successiva fase di rallentamento economico dovrebbero poiessere recuperati. In questo contesto, il nuovo freno al debito è altamente discutibile. Si ri-schia di ostacolare gli investimenti importanti nel futuro, nel quadro di un politica pro-ciclicadi bilancio.

Il deficit pubblico non può in definitiva essere decisamente influenzato dalla politica dibilancio, perché è il risultato dello sviluppo economico e dell’interazione delle imprese pri-vate, i privati e degli altri paesi. Sarebbe dunque meglio, da un punto di vista della crescitae della politica di stabilità, orientare la politica finanziaria lungo un sentiero di spesa più alungo termine piuttosto che agli obiettivi di disavanzo. Mentre le fluttuazioni cicliche delleentrate e delle spese possono quindi essere tollerate, e pertanto il loro effetto stabilizzatorepuò essere sfruttato, la politica dovrebbe solo prevedere la spesa di Stato compatibile con iltrend di lungo periodo di crescita. Di conseguenza, possono essere programmati investimentisufficienti in materia di istruzione e infrastrutture e il saldo complessivo emergente non sa-rebbe una ragione per deviare da questo percorso, verso l’alto o verso il basso. Orientare lapolitica finanziaria lungo un sentiero di spesa di lungo termine significa non solo prevenirele influenze pro-cicliche e quindi stabilizzare la situazione economica a lungo termine lungoun sentiero di crescita, ma anche stabilizzare il livello di debito governativo. Proprio perquesta ragione è più importante che le finanze governative e il debito pubblico siano soste-nibili piuttosto che una riduzione del debito pubblico fine a sé stessa (Vesper 2008, 2011;von der Vring 2010; Fischer et al. 2010).

5.7 Consolidare le Forze della Crescita in Europa per mezzo di una Robusta 5.7 Architettura di Finanza Pubblica

La crisi ha reso evidente l’esistenza di particolari problemi nell’Eurozona rispetto al fi-nanziamento statale, ma anche più generalmente rispetto all’offerta di capitali nelle economiedegli Stati membri. Da un lato, gli Stati devono contrarre debiti per finanziare gli investimentipubblici nel quadro di una politica fiscale anti-ciclica. Dall’altro lato, comunque, i governisono anche i garanti dei propri sistemi bancari nazionali, sebbene siano strettamente integratinel mercato europeo dei capitali. Nella crisi ciò si è rivelato essere di particolare intralcio ela principale ragione del rapido aumento nel debito. Sebbene una migliore regolazione ban-caria (vedi Sezione 5.1) ridurrebbe tali rischi, in ultima analisi, sono necessarie ulteriori ga-ranzie ed erogazioni di liquidità.

Una crescita sostenibile e sociale in Europa deve fornire un’offerta di credito fondata susolide basi e indipendente da mercati valutari irrazionali. Le istituzioni europee sono neces-sarie a tal proposito per assicurare liquidità agli Stati e – importante a livello sistemico – allebanche. Queste istituzioni devono, inoltre, avere a disposizione risorse di capitali indipendentidal mercato, così come chiare competenze di supervisione e regolamentazione. In ultimaistanza, la Banca Centrale Europea, con le sue di principio illimitate possibilità di creazionedel credito e della moneta, deve essere il garante dell’intero sistema. A questo proposito, sipossono prevedere emendamenti ai trattati per abolire le restrizioni – imposte sulla base diuna ormai obsoleta filosofia politica monetaria che durante la crisi è stata superata (per mezzodell’acquisto di bond governativi e via dicendo). Un chiaro segnale ai mercati nel senso chela speculazione contro importanti istituzioni dell’Eurozona dovrà sempre confrontarsi conla resistenza della Bce ridurrebbe in maniera significativa il rischio di simili comportamentisui mercati (Dauderstädt 2011d e 2011e; Schreyer 2011).

La seconda importante salvaguardia di queste istituzioni dell’offerta di capitale europeosono le garanzie solidaristiche di tutti gli Stati membri prima e dell’intera Eurozona poi. Unostrumento chiave potrebbe essere un Fondo monetatio europeo che emettesse bond comuni-tari eurobond), garantiti congiuntamente dagli Stati membri dell’Eurozona e messi sul mer-cato a un tasso d’interesse uniforme e basso. Per evitare i problemi derivanti dagli azzardimorali, dovrebbe esservi un tetto all’indebitamento in eurobond, pari al massimo del 60%del Pil (blue bond). Prendere a prestito sopra quel tetto – red bond – riguarderebbe soltantola responsabilità nazionale degli Stati rilevanti e in caso di mancanza di disciplina fiscale ecapacità di credito sarebbe particolarmente dispendioso. Il concetto centrale sottostante aiblue bond e ai red bond è la solidarietà fra gli Stati membri, che comunque non esime gliStati membri dall’assumersi le proprie specifiche responsabilità (Delpla/von Weizsäcker2011;Deubner 2010).

Le regioni più povere dovrebbero avere la priorità nell’allocazione del credito in Europa.Dato che gli stock di capitale devono crescere in quelle aree – ed è attesa una tendenza versauna più alta produttività marginale – gli investimenti nella periferie hanno un più grande va-

lore economico. Il compito più urgente è condurre prima possibile gli Stati colpiti dalla crisilungo un sentiero di crescita. Un fondo di crisi sarebbe utile per finanziare gli investimentiin capitale reale, innovazione e istruzione e può essere alimentato da contributi di solidarietào dal prelievo di ricchezza nei paesi dell’Eurozona (Hacker 2011a). Tale prelievo è giustifi-cato perché l’esperienza passata dimostra che i valori patrimoniali sono stati protetti controrapide svalutazioni durante la crisi dall’intervento dello Stato e in futuro saranno in grado dipreservare il loro valore a lungo termine solo in presenza di crescita. Questo fondo di inve-stimento europeo dovrebbe essere strettamente legato a una strategia di crescita ri-orientataa livello Ue. La strategie di Lisbona ed Europa 2020 hanno portato a una corsa al ribasso tragli Stati membri. Dovrebbero essere sostituite da un mix politico economicamente forte, so-cialmente equo e ambientalmente sostenibile; da una politica che si concentri sempre piùsulla qualità della vita (Arbeitskreis Europa 2010a; Collignon 2008; Kellermann et al. 2009).

A lungo termine, le sole misure correttive non sono sufficienti per ridurre la pressionedella concorrenza. L’approccio attualmente dominante che «mantiene la sovranità» e accettale realtà costituzionali come dato di fatto immodificabile sta inevitabilmente arrivando aisuoi limiti, come dimostra il fatto che più di una correzione si rende necessaria. Al contrario,si impone una politica attiva e creativa europea. All’Unione Europea nel lungo periodo devequindi essere attribuita la competenza fiscale ed essa deve essere in grado di utilizzare le ri-sorse del bilancio comunitario, attraverso l’espansione o la nuova creazione di fondi di in-vestimento regionali, strutturali e di altro tipo, al fine di assicurare la convergenza delle con-dizioni economiche, di lavoro e degli standard di vita.

Proposte di vasta portata, come ad esempio attivare trasferimenti finanziari tra gli Statimembri o la creazione di una assicurazione di disoccupazione unica europea per bilanciarei cicli regionali di “boom and bust”, richiedono la diffusione di un cultura della solidarietàall’interno dell’Unione Europea. In futuro, ciò diventerà più importante per evitare che alcuniStati finiscano per beneficiare in modo significativo dal processo di integrazione, mentrealtri vengano lasciati indietro. I possibili strumenti spaziano da un contributo di solidarietàeuropea, a un trasferimento fiscale europeo, a un’unione fiscale. L’obiettivo di tutto ciò nonsarebbe di allineare le strutture economiche e produttive, ma una politica di crescita socialeche si adatti a particolari contesti nazionali. Come risultato, l’individualità degli Stati Uenon verrà meno, e i vantaggi economici comparati nazionali non saranno livellati verso ilbasso. In un futuro, più robusto, accordo federale (che si dovrà sviluppare da una unione diStati in uno Stato federale europeo) la parità delle condizioni di vita dovrà essere l’obiettivoa lungo termine.

5.8 Garantire più Stabilità nell’Eurozona per mezzo di una Politica Economica CoordinataIl problema centrale della crisi europea può essere risolto sostenibilmente solo riducendo

gli squilibri delle partire correnti (Münchau 2010; Spahn 2010). D’altro canto, una strategiache punti sul consolidamento del budget o sulla contrazione dei salari solo nei paesi afflittida deficit, con l’obiettivo di stimolare la competitività e mettere sotto controllo il budget e isurplus dell’export, non avrà successo, perché finirà con l’inibire la domanda aggregata econ il determinare una crescita dell’indebitamento nei paesi colpiti dalla crisi. Al contrario,i paesi che hanno perseguito la suddetta strategia hanno considerevoli e condivise responsa-bilità rispetto allo scoppio della crisi nell’Eurozona (Dullien 2010b). Per contrastare i feno-meni correlati all’attuale crisi, evitare squilibri macroeconomici e incoraggiare la crescitasociale in Germania ed Europa, in futuro sia la crescita del debito privato e pubblico, cosìcome gli errori macroeconomici che la sottendono, dovranno essere controllati o corretti alpiù presto. A tal fine, devono essere intrapresi ulteriori passi per l’integrazione politica, spe-cialmente per più forti coordinazione e controlli europei sulle economie nazionali, la finanza,i salari, la tassazione e le politiche sociali (incluso lo stabilimento di un framework uniformedi linee guida e di standard sociali minimi). Queste misure vanno ben oltre un approccio mo-nodimensionale alle criticità del debito pubblico. (Hacker/van Treeck 2010; Arbeitskreis Eu-ropa 2010b; Heise/Heise 2010; Hacker 2011b).

Il Patto di Stabilità e Crescita dovrebbe essere sviluppato in un patto di stabilità dellepartite correnti – in altre parole, esteso per raggiungere l’obiettivo di un bilanciamento dellepartite correnti e della situazione debitoria delle famiglie e delle imprese di un paese. Nelcaso di squilibri delle partite correnti superiori al 3% del Pil dovrebbero prevedersi sanzioniautomatiche, mentre le necessarie misure di aggiustamento dovrebbero seguire un approcciosimmetrico: in alte parole, sia i paesi in surplus che in deficit dovrebbero essere obbligati aridurre gli squilibri delle partite correnti (Dullien 2010b).

Oltre alla politica finanziaria e fiscale, le politica salariali e sociali sono parte importantedi qualsiasi combinazione di politiche per correggere gli squilibri macroeconomici in Europa(Fischer et al 2010; Joebges 2010). Al fine di aumentare il potere d’acquisto dei lavoratori equindi di contribuire alla crescita sociale in aumenti dei salari nominali in Europa, gli Statimembri dovranno in futuro essere più strettamente associati, a lungo termine, ai tassi di cre-scita della produttività aggregata e ai tassi di inflazione della banca centrale al fine di evitaredistorsioni della concorrenza legate ai prezzi. Per quanto riguarda l’andamento del costo uni-tario del lavoro questo comporta, a seconda della situazione, non solo aggiustamenti versoil basso - nei paesi in deficit - ma anche verso l’alto (in paesi con eccedenze delle partitecorrenti). La politica salariale deve essere maggiormente coordinata a tal fine e i salari na-zionali esistenti oggetto di rinegoziazione estesa, in reti transnazionali di negoziazione deisalari (Pusch 2011; Busch 2010). E’ quindi indispensabile una più forte europeizzazione isti-tuzionale e organizzativa dei sindacati e delle associazioni dei datori di lavoro (Platzer 2010;Busemeyer et al. 2007).

Il Dialogo macroeconomico (Med), per esempio, potrebbe quindi essere ripreso comeun forum per il forte coordinamento delle politiche salariali nazionali divergenti, come unorganismo congiunto del Consiglio europeo, la Commissione europea, la Bce e le parti so-ciali. Deve essere costantemente tenuto in considerazione che nel sistema europeo degli «Sta-ti del mercato» (Busch 2009) una politica che porta a una corsa al ribasso dei salari, delleimposte e dei contributi sociali in nome della competitività di prezzo non può offrire unastrategia sostenibile per la crescita e la prosperità. Non aumenta la qualità della vita, ma au-menta solo la redistribuzione del reddito e della ricchezza dal basso verso l’alto e aumentaquindi il rischio di deflazione (Arbeitskreis Europa 2010a; Evans/Coats 2011).

CRITICAsociale ■ 353-4 /2012

5.9 Favorire un Lavoro Decente per Tutti per mezzo di Standard Europei e GlobaliCrescita sociale implica «lavoro dignitoso per tutti ». Questo deve essere perseguito e

attuato non solo in Germania, ma anche in Europa e a livello globale. A livello europeoquesto obiettivo è ostacolato dalla deliberata creazione di un sistema di Stati di mercato(Busch/Hirschel 2011). In un regime di politica monetaria unica, ma ancora in gran partedeterminata dalle politiche fiscali nazionali, gli Stati membri competono per investimenti dicapitali, i luoghi di produzione e posti di lavoro. Bassi salari, norme sociali, contributi socialie agevolazioni fiscali vengono utilizzati come vantaggi competitivi per questo scopo, che èin contrasto con l’obiettivo di un «lavoro dignitoso per tutti». Invece di usare la leva fiscale,i contributi sociali e i livelli salariali come merce di scambio in un sistema di Stati di mercato,in futuro, dovranno essere introdotti meccanismi per riportate la coesione sociale al centrodel coordinamento degli sforzi europei (Hacker/van Treeck 2010).

Al fine di regolare la concorrenza intra-europea per investimenti, posti di lavoro e luoghidi produzione, «un patto di stabilità sociale» dovrebbe supervsionare l’armonizzazione dellaconcorrenza. Si potrebbe definire un corridoio che impedisca ai salari e alle prestazioni socialidi staccarsi dalla crescita generalizzata del reddito. Questo “modello del corridoio” servi-rebbe, ad esempio, a introdurre salari minimi, a seconda della performance economica -espressa come percentuale del reddito nazionale medio - per prevenire la crescente differen-ziazione dei salari e l’espansione dei settori a basso salario. I salari in tutti gli Stati Ue do-vrebbe garantire almeno un livello minimo di vita (Zitzler 2006).

La spesa sociale negli Stati membri dovrebbe essere collegata allo sviluppo del redditonazionale da capitale e gli intervalli dovrebbero essere stabiliti in modo che il totale dellespese sugli anziani, sull’assistenza sanitaria, sull’incapacità lavorativa e la disoccupazione -tra le altre cose - possano variare secondo gli sviluppi economici. Questo meccanismo di co-ordinazione assicurerebbe che l’attuale stretta correlazione tra progresso economico e socialenell’Ue sia mantenuta, ma che le pratiche pericolose di dumping, con le quali i singoli paesicercano di ottenere vantaggi competitivi, si fermino. Lo scopo di tutti gli Stati deve esserequello di coniugare alta produttività con un elevato tasso di spesa sociale (Busch 2011). Laspesa in istruzione dovrebbe essere anche integrata nel suddetto “modello del corridoio” oin una patto di stabilità sociale. Come nel caso di un patto di stabilità delle partite correnti,tutto dipende da un’intelligente compensazione tra politiche coordinate e implementate a li-vello decentrato da un lato, e linee guida stabilite a livello centrale europeo dall’altro. Ciòpotrebbe essere ottenuto da un Metodo Aperto di Coordinamento ridisegnato nel quadro dellaStrategia Europa 2020 (Hacker 2009; Arbeitskreis Europa 2010b).

Un «lavoro dignitoso per tutti» è anche una condizione chiave per la crescita sociale alivello globale. A questo fine, gli standard internazionali devono consentire alle persone neipaesi meno sviluppati di migliorare rapidamente il proprio reddito, ribaltare il trend verso ledisparità di reddito e la drammatica crescita dell’ineguaglianza nella distribuzione di ric-chezza sociale e, in generale, stimolare la creazione, ovunque, di lavori decenti. Nei paesi invia di sviluppo, i sistemi sociali devono essere espansi a tal proposito (Razavi 2011). In par-ticolare, la recente crisi finanziaria ed economica dimostra che sistemi sociali basici sononecessari anche nei paesi in via di sviluppo. L’ulteriore espansione di queste strutture e leiniziative di rilievo, come il piano di protezione sociale dell’Ilo, dovrebbero essere valorizzatenegli anni a venire (Cichon et al. 2011).

5.10 Gestire la Globalizzazione tramite un Nuovo Ordine Economico e MonetarioLa crisi finanziaria ed economica ha acclarato che la più stretta coordinazione delle po-

litiche economiche e la cooperazione tra gli Stati sono necessarie non solo a livello europeo,ma anche globale. Durante la crisi finanziaria i primi elementi di una simile cooperazionepotrebbero essere individuati. La loro forma e intensità è risultata del tutto nuova e hanno lepotenzialità per avere successo. Ad esempio, gli Stati più importanti hanno trovato l’accordosull’implementazione simultanea di politiche fiscali anti-cicliche. Allo stesso tempo, vi sonostati accordi monitorati a livello internazionale di rinuncia a misure protezionistiche. La coo-perazione tra le banche centrali, nel quadre di misure espansive di politica monetaria, durantela crisi ha parimenti registrato un notevole successo. Anche se queste misure si sono rivelateinsufficienti a evitare la rapida caduta dei livelli di crescita nel 2009, la ripresa economicaglobale successiva si è dimostrata comparativamente rapida. Soprattutto, il managementdella crisi da parte degli Stati è apparso incoraggiante.

Una simile coordinazione delle politiche monetarie e fiscali non deve rimanere limitataa periodi di gestione delle crisi. La stretta cooperazione macroeconomica e l’azione unificatadevono proseguire in futuro e hanno un ideale ancoraggio strutturale e istituzionale, in par-ticolare al fine di prevenire nuove crisi e consentire la crescita sociale a livello globale. Soloper mezzo di salvaguardie economiche esterne – in altre parole, una soluzione condivisa aiproblemi globali a livello globale – una strategia nazionale di crescita sociale in Germaniapuò avere successo. Rafforzare una stabile e adeguata crescita nell’economia globale – chesia per larga parte libera da periodiche o cicliche crisi finanziarie ed economiche – deveessere l’obiettivo comune.

Il problema degli squilibri globali, che hanno contribuito così tanto alla crisi economicae finanziaria, deve essere risolto. L’obiettivo deve essere quello di portare a regolazioni sim-metriche dei saldi delle partite correnti sia nei paesi in deficit che nei paesi in surplus (Priewe2011). Solo in questo modo gli enormi squilibri strutturali e la deviazione deflazionisticanell’economia globale che li accompagna, possono essere ridotti. Questo dovrebbe essereaccompagnato da un migliore coordinamento e monitoraggio delle politiche macroecono-miche in tutti i paesi. L’esito di tali riforme deve essere che tutti i paesi si impegnino nonsolo a mantenere le proprie case in ordine, ma anche a mantenere la stabilità economica glo-bale e finanziaria. A tal fine, sistemi di allerta precoce per i test critici dovrebbero essere svi-luppati (ad esempio, rispetto al debito pubblico, alla bilancia delle partite correnti, alle riservevalutarie, alla stabilità del sistema finanziario e così via). Le sanzioni dovrebbero essere ir-rogate a un paese che non riesca a tenere il passo con gli impegni presi o con le necessariemisure di adeguamento.

Sul lungo termine, vi dovrebbe essere una graduale transizione dall’utilizzo di valute pu-ramente nazionali – come il dollaro Usa – come moneta di riserva globale verso una valutagenuinamente globale e verso la creazione di asset di riserva del sistema monetario interna-

zionale. Un ruolo fondamentale potrebbe essere svolto dagli esistenti diritti speciali di prelievo(Dsp) del Fondo monetario internazionale (Fmi). I Dsp, come moneta e strumento di paga-mento non legati a una particolare economia nazionale, potrebbero essere ancorati in un quadrostabile e assegnati o rilasciati in conformità con regole chiare. L’offerta dovrebbe essere ade-guata e sufficientemente flessibile per consentire tempestivi aggiustamenti per soddisfare lacangiante domanda di liquidità. Tali aggiustamenti potrebbero così essere indipendenti dagliinteressi sovrani e dalla politica macroeconomica del paese detentore della valuta di riservadominante. Un primo passo importante sarebbe quello di aumentare la percentuale di Dsp co-me valuta di riserva globale nel sistema baasto sul dollaro come moneta di riserva.

Il Fmi ha compiti anche più gravi da eseguire. L’interdipendenza economica e finanziariatra i paesi è aumentata enormemente sulla scia della globalizzazione. Comunque, non esisteancora alcuna autorità con la responsabilità di assicurare che le decisioni importanti di poli-tica economica e finanziaria adottate a livello nazionale siano reciprocamente coerenti e con-tribuiscano alla stabilità globale. Questo compito fondamentale potrebbe e dovrebbe in futuroessere svolto da un Fmi riformato. Tale ancoraggio istituzionale sarebbe di gran lunga mi-gliore rispetto agli attuali arrangiamenti ad hoc (G7/8, G20). Il Fmi dovrebbe essere ampliatonella direzione di una banca centrale internazionale per farne quindi un prestatore globale diultima istanza, con la creazione di Dsp come valuta propria, emessa come moneta di riservaglobale e gestita in senso anti-ciclico. La possibilità di concessione illimitata - sia condizio-nata che incondizionata – di assistenza in termini di liquidità creerebbe, con una riforma delFmi in questo senso, una (più favorevole) garanzia collettiva contro le crisi a livello globale.Ciò potrebbe, in particolare, impedire ai paesi in via di sviluppo di costruire forme di auto-protezione, sotto forma di accumulo di riserve valutarie, e quindi di altre forme di liquiditàa fronte di potenziali crisi della bilancia dei pagamenti (Kellermann 2009).

Più attenzione politica deve quindi essere prestata in futuro alla riforma e al funziona-mento del sistema monetario internazionale. Deve essere chiaro a tutti i partecipanti che lasoluzione può consistere solo in una cooperazione più inclusiva e migliore tra le nazioni eche questo richiede anche una nuova - illuminata - comprensione degli interessi nazionali.Approcci cooperativi in politica economica globale saranno quindi indispensabili in futuro.

6. Epilogo

La crisi finanziaria globale ha inaugurato una svolta decisiva nel dibattito economico,dominato per oltre trenta anni dal modello di mercato liberale. La promessa di prosperità pertutti, determinata dal libero gioco delle forze di mercato - attraverso la triade deregolamen-tazione-privatizzazione-liberalizzazione - non sembra più sostenibile. Il cosiddetto «trickle-down effect» del Washington Consensus ha beneficiato solo pochi. Al contrario, il divariotra ricchi e poveri in quasi tutti i paesi si è ampliato e a una élite economica privilegiata fada contraltare una moltitudine di perdenti della globalizzazione. Il fallimento manifesto della«mano invisibile» ha aperto la possibilità di delineare un percorso alternativo, sostituendola fede economica liberale nei meccanismi di mercato, propagandata come l’unica via, conl’azione politica e una maggiore capacità di governance.

In effetti, la politica ha riacquistato la sua prevalenza sul mercato nella prima fase della crisi.Lo Stato è intervenuto nel momento del bisogno, ha forgiato pacchetti di stimolo economico,salvato istituti bancari vacillanti e sostenuto il mercato del lavoro. Tuttavia, il debito pubblicoche ha accompagnato questo sforzo ha dato luogo a nuovi fenomeni critici. Ciò ha permesso airappresentanti dell’economia liberale di attuare energicamente il loro vecchio programma nellaseconda fase della crisi, alludendo a vincoli pratici e dichiarando l’assenza di alternative. Poli-tiche fiscali pro-cicliche, il consolidamento di bilancio, l’austerità e i tagli al welfare godono diapprovazione nel dibattito politico in misura maggiore oggi, mentre si tenta di uscire dalla crisi,rispetto a prima che la crisi cominciasse. Allo stesso tempo, una regolamentazione più severadei mercati finanziari è rimasta in gran parte una dichiarazione di intenti, come lo è stata un piùampia politica di cooperazione economica e di coordinamento internazionale.

Che cosa accadrà se gli attori politici non prenderanno spunto dagli elementi fondamen-tali della crescita sociale, come indicato sopra, e se la possibilità di rimodellare le credenzeeconomiche non sarà colta? La crisi globale ha portato davanti ai nostri occhi gli alti costi dirimanere sul sentiero di sviluppo indicato dal fondamentalismo di mercato: crollo della cre-scita, stagnazione economica, disoccupazione persistente e in aumento in molti paesi, strettacreditizia, montagne di debito, impotenza politica, crescente esclusione e divisione sociale.Il persistere di queste situazioni di crisi e la gravità delle loro conseguenze hanno dato luogoa una discussione fondamentale - anche tra i campioni delle ideologie di mercato di centro-destra - sulla correttezza delle ipotesi proposte da oltre trent’anni sull’aumento della dipen-denza degli individui dal mercato, a fronte del ritiro dello Stato e delle sue prerogative.

La finestra di opportunità per la sostituzione del modello fondamentalista di mercato si stachiudendo in fretta. Tuttavia, vi è ancora una possibilità per trasformare il dibattito per mezzodi un nuovo modello di politica economica progressista. Un’opportunità da non perdere! s

BIBLIOGRAFIA

Arbeitskreis Europa (2009): Finanzmärkte zivilisieren! 12 Vorschläge zur Regulierungder europäischen Finanzmark tarchitektur, Friedrich-Ebert-Stiftung, International Policy Ana-lysis, Berlin.

Arbeitskreis Europa (2010a): Weichenstellung für eine nachhaltige europäische Wo-hlstandsstrategie, Friedrich-Ebert-Stiftung, International Policy Analysis, Berlin.

Arbeitskreis Europa (2010b): Die Zukunft der Europäischen Wirtschafts- und Währun-gsunion, Friedrich-Ebert-Stiftung, International Policy Analysis, Berlin.

Artus, Patrick (2010): Die deutsche Wirtschaftspolitik: ein Problem für Europa? WISODirekt, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Autorengruppe Bildungsberichterstattung (2010): Bildung in Deutschland 2010: Ein in-dikatorengestützter Bericht mit einer Analyse zu Perspektiven des Bildungswesens im de-mografischen Wandel, Bielefeld.

36 ■ CRITICAsociale3-4 / 2012

Bär, Holger/Jacob, Klaus/Schlegelmilch, Klaus/Meyer, Eike (2011): Wege zum Abbauökologisch schädlicher Sub ventionen, WISO Diskurs, Economic and Social Policy unit, Frie-drich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Bartsch, Klaus/Leithäuser, Gerhard/Temps, Claudia (2009a): Szenarioanalyse zur Zu-kunft des sozialen Deutschland, WISO Diskurs, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Bartsch, Klaus/Leithäuser, Gerhard/Temps, Claudia (2009b): Zukunft 2020 – ein Modellfür ein soziales Deutschland, WISO Diskurs, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Baumert, Jürgen (2010): Deutsch ist der Schlüssel, in: Die Zeit, No. 17, 20 April 2011, p. 63.Baumol, William (1967): Macroeconomics of Unbalanced Growth. The Anatomy of Ur-

ban Crisis, in: The American Economic Review, 57 (3): 415–426.Bienzeisler, Bernd/Ganz, Walter/Hilbert, Josef/Kluska, Denise (2011): Dienstleistungen

in der Zukunftsverantwor tung – Ein Plädoyer für eine (neue) Dienstleistungspolitik, WISODiskurs, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Bontrup, Heinz-J. (2010): Durch Umverteilung von unten nach oben in die Krise, WISODiskurs, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Borgwardt, Angela (2011): Bologna 2010/2011: Hochschulen im Umbruch – Eine Zwi-schenbilanz, Publikation zur Kon ferenz der Friedrich-Ebert-Stiftung vom 12. November2010, Hochschulpolitik (higher education policy) series, Friedrich-Ebert-Stiftung, StudiesSupport unit, Bonn.

Bormann, René/Dauderstädt, Michael/Fischer, Michael/Schreyer, Markus (2009a): Deut-schland 2020 – Aus der Krise in eine soziale Zukunft, WISO Diskurs, Economic and SocialPolicy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Bormann, René/Dauderstädt, Michael/Fischer, Michael/Schreyer, Markus (2009b): Wo-hlstand durch Produktiv ität – Deutschland im internationalen Vergleich, WISO Diskurs, Eco-nomic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Bosch, Gerhard (2010): In Qualifizierung investieren – ein Weiterbildungsfonds für Deut-schland, WISO Diskurs, Eco nomic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Bosch, Gerhard/Kalina, Thorsten/Weinkopf, Claudia (2009a): Mindestlöhne in Deut-schland, WISO Diskurs, Eco nomic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Bosch, Gerhard/Kalina, Thorsten/Weinkopf, Claudia (2009b): Warum Deutschland einengesetzlichen Mindestlohn braucht, WISO Direkt, Economic and Social Policy unit, Frie-drich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Busch, Klaus (2009): Weltwirtschaftskrise und Wohlfahrtstaat: Lösungskonzepte zumAbbau ökonomischer und sozi aler Ungleichgewichte in der Weltwirtschaft, in Europa undin Deutschland, Friedrich-Ebert Stiftung, International Policy Analysis, Berlin.

Busch, Klaus (2010): Europäische Wirtschaftsregierung und Koordinierung der Lohnpo-litik: Krise der Eurozone verlagert Strukturreformen, Friedrich-Ebert Stiftung, InternationalPolicy Analysis, Berlin.

Busch, Klaus (2011): Das Korridormodell relaunched. Ein Konzept zur Koordinierungwohlfahrtsstaatlicher Politiken in der EU, Friedrich-Ebert-Stiftung, International Policy Ana-lysis, Berlin.

Busch, Klaus/Hirschel, Dierk (2011): Europa am Scheideweg: Wege aus der Krise, Frie-drich-Ebert Stiftung, International Policy Analysis, Berlin.

Busemeyer, Marius R./Kellermann, Christian/Petring, Alexander/Stuchlik, Andrej(2007): Overstretching Solidar ity? Trade Union National Perspectives on the European Eco-nomic and Social Model, Friedrich-Ebert-Stiftung, Interna tional Policy Analysis, Berlin.

Cichon, Michael/Behrendt, Christina/Wodsak, Veronika (2011): The UN Social Protec-tion Floor Initiative: Turning the Tide at the ILO Conference 2011, Friedrich-Ebert-Stiftung,Department of Global Policy and Development, Berlin.

Collignon, Stefan (2008): Vorwärts mit Europa: für eine demokratische und progressive Re-form der Lissabon-Strategie, Friedrich-Ebert Stiftung, International Policy Analysis, Berlin.

Collignon, Stefan (2010): Demokratische Anforderungen an eine europäische Wirtschaft-sregierung, Friedrich-Ebert-Stiftung, International Policy Analysis, Berlin.

Corneo, Giacomo (2010): Welche Steuerpolitik gehört zum »sozialdemokratischen Mo-dell«? WISO Direkt, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Dauderstädt, Michael (2007): Increasing Europe‘s Prosperity, in: Internationale Politikund Gesellschaft, issue 1, 28–46.

Dauderstädt, Michael (2009a): Kohäsion mit Defiziten – Das europäische Wachstum-smodell in der Krise, WISO Direkt, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stif-tung, Bonn.

Bibliography29 Social Growth Dauderstädt, Michael (2009b): Krisenzeiten: Was Schulden vermögen und was Vermögen

schulden, WISO Direkt, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.Dauderstädt, Michael (2010a): Die offenen Grenzen des Wachstums, WISO Direkt, Eco-

nomic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.Dauderstädt, Michael (2010b): Staatsschulden und Schuldenstaaten: Europa braucht ein

neues Wachstumsmodell, WISO Direkt, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Dauderstädt, Michael (2010c): Europas unterschätze Ungleichheit, WISO Direkt, Eco-nomic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Dauderstädt, Michael (2010d): Soziales Wachstum gegen die Schuldenkrise, WISO Di-skurs, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Dauderstädt, Michael (2011a): Der Fortschritt ist bezahlbar, WISO Direkt, Economicand Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Dauderstädt, Michael (2011b): Globales Wachstum zwischen Klima, Gleichheit und De-mographie, WISO Direkt, Eco nomic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Dauderstädt, Michael (2011c): Globale Ungleichheit : 50:1 für die Reichen!, WISO Di-rekt, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Dauderstädt, Michael (2011d): Staatsgläubigerpanik ist keine Eurokrise! WISO Direkt,Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Dauderstädt, Michael (2011e): Eine europäische Wirtschaftsregierung muss Wachstum

durch Schulden steuern, WISO Direkt, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Dauderstädt, Michael/Hillebrand, Ernst (2009): Exporteuropameister Deutschland unddie Krise, WISO Direkt, Eco nomic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Delpla, Jacques/von Weizsäcker, Jakob (2011): Eurobonds. Das Blue Bond-Konzept undseine Implikationen, Frie drich-Ebert-Stiftung, International Policy Analysis, Berlin.

Deubner, Christian (2010): Staatsverschuldung zügeln mit Hilfe der Märkte: Instrumenteund Verfahren, WISO Direkt, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung,Bonn.

Dullien, Sebastian (2010a): Finanzkrise kostet jeden Deutschen im Schnitt mehr als 9,000Euro, WISO Direkt, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Dullien, Sebastian (2010b): Ungleichgewichte im Euroraum: akuter Handlungsbedarfauch für Deutschland, WISO Direkt, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stif-tung, Bonn.

Dullien, Sebastian/Herr, Hansjörg (2010): Die EU Finanzmarktreform: Stand und Per-spektiven im Frühjahr 2010, Friedrich-Ebert Stiftung, International Policy Analysis, Berlin.

Dullien, Sebastian/von Hardenberg, Christiane (2011): Der Staat bezahlt die Krisenzeche,WISO Diskurs, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Dullien, Sebastian/Herr, Hansjörg/Kellermann, Christian (2009): Der gute Kapitalismus… und was sich dafür nach der Krise ändern müsste, Bielefeld (transcript-Verlag).

Dullien, Sebastian/Herr, Hansjörg/Kellermann, Christian (2011): Decent Capitalism: ABlueprint for Reforming our Economies, translated by James Patterson, London (Pluto Press).

Ehrentraut, Oliver/Matuschke, Markus/Schüssler, Reinhard/Schmutz, Sabrina (2011):Fiskalische Effekte eines gesetzlichen Mindestlohns, WISO Diskurs, Economic and SocialPolicy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Evans, John/Coats, David (2011): Exiting from the Crisis: Towards a Model for More Equi-table and Sustainable Growth, in: Internationale Politik und Gesellschaft, issue 2, 22–31.

Färber, Christine/Spangenberg, Ulrike/Stiegler, Barbara (2008): Umsteuern – Gute Grün-de für ein Ende des Ehegat tensplittings, WISO Direkt, Economic and Social Policy unit,Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Fischedick, Manfred/Bechberger, Mischa (2009): Die ökologische Industriepolitik Deut-schlands am Beispiel der So lar- und Windindustrie – Musterschüler oder Problemkind?, Mo-derne Industriepolitik, issue 2, Stabsabteilung, Friedrich-Ebert-Stiftung, Berlin.

Fischer, Severin/Gran, Stefan/Hacker, Björn/Jakobi, Anja P./Petzold, Sebastian/Pusch,Toralf; Steinberg, Philipp (2010): »EU 2020« – Impulse für die Post-Lissabonstrategie, Pro-gressive Politikvorschläge zur wirtschaftlichen, sozialen und ökologischen Erneuerung Eu-ropas, Friedrich-Ebert Stiftung, International Policy Analysis, Berlin.

Greifenstein, Ralph (2011): Perspektiven der Unternehmensmitbestimmung in Deut-schland – Ungerechtfertigter Still stand auf der politischen Baustelle? WISO Diskurs, Eco-nomic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Greifenstein, Ralph/Weber, Helmut (2008): Arbeitnehmerbeteiligung im Mittelstand zwi-schen Patriarchat und Mit bestimmung, WISO Direkt, Economic and Social Policy unit, Frie-drich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Greifenstein, Ralph/Weber, Helmut (2009): Zukunftsfeste betriebliche Mitbestimmung– Eine Herausforderung für Wirtschaft, Gewerkschaften und Politik, WISO Direkt, Economicand Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Hacker, Björn (2009): Vers un »Maastricht social«: propositions pour un pacte de stabilitésociale européen, Friedrich-Ebert-Stiftung, Paris.

Hacker, Björn (2011a): MS Europa steuern oder Schiffchen versenken? Der deutscheKrisenkurs birgt ökonomischen und politischen Sprengstoff für die EU, Friedrich-Ebert-Stif-tung, International Policy Analysis, Berlin.

Bibliography30 Social Growth Hacker, Björn (2011b): Konturen einer politischen Union: die europäische Wirtschafts-

und Währungsunion durch mehr Integration neu justieren: Friedrich-Ebert-Stiftung, Inter-national Policy Analysis, Berlin.

Hacker, Björn/van Treeck, Till (2010): Wie einflussreich wird die europäische Gover-nance? Reformierter Stabilitäts- und Wachstumspakt, Europa 2020 Strategie und »Europäi-sches Semester«, Friedrich-Ebert-Stiftung, International Policy Analysis, Berlin.

Heintze, Cornelia (2011): In jeder Krise liegen Chancen: Sparpolitik contra Politik desbinnenökonomisch aktiven Staates, presentation by Dr Cornelia Heintze, 7 September 2010,within the framework of the FES–Ver.di event »Krise als Chance – wird sie genutzt? Poten-tiale von Konjunktur- und Sparprogrammen für Gemeinwohl und Geschlechterger -echtigkeit«, Friedrich-Ebert-Stiftung, Forum Politik und Gesellschaft, Berlin.

Heise, Arne/Lierse, Hanna (2011): Haushaltskonsolidierung und das Europäische So-zialmodell, Auswirkungen der eu ropäischen Sparprogramme auf die Sozialsysteme, Frie-drich-Ebert-Stiftung, International Policy Analysis, Berlin.

Heise, Arne/Heise, Özlem Görmes (2010): Auf dem Weg zu einer europäischen Wir-tschaftsregierung, Friedrich-Ebert-Stiftung, International Policy Analysis, Berlin.

Höpner, Martin/Schäfer, Armin (2010): Grenzen der Integration – wie die Intensivierungder Wirtschaftsintegration zur Gefahr für die politische Integration wird, in: integration, In-stitut für Europäische Politik, issue 1, 3–20.

Hörisch, Felix (2010): Mehr Demokratie wagen – auch in der Wirtschaft. Die Weiteren-twicklung der Unternehmensmit bestimmung in Zeiten der Finanz- und Wirtschaftskrise, WI-SO Direkt, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Illing, Gerhard (2011): Zentralbanken im Griff der Finanzmärkte – Umfassende Regu-lierung als Voraussetzung für eine effiziente Geldpolitik, WISO Diskurs, Economic and So-cial Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Joebges, Heike (2010): Exporte um jeden Preis? Zur Diskussion um das deutsche Wa-chstumsmodell, WISO Direkt, Eco nomic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung,Bonn.

Joebges, Heike/Logeay, Camille/Stephan, Sabine/Zwiener, Rudolf (2010): DeutschlandsExportüberschüsse gehen zu Lasten der Beschäftigten, WISO Diskurs, Economic and SocialPolicy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

CRITICAsociale ■ 373-4 /2012

Joerißen, Britta/Steinhilber, Jochen (2008): Die Fantastischen Vier und die Großen Sie-ben, in: Zeitschrift für sozialis tische Politik und Wirtschaft, issue 5, 15–19.

John-Ohnesorg, Marei (2009). Lehren. Lernen. Neugier wecken, Friedrich-Ebert-Stif-tung, Netzwerk Bildung, Berlin.

Kamppeter, Werner (2011): Internationale Finanzkrisen im Vergleich, Friedrich-Ebert-Stiftung, International Policy Analysis, Berlin.

Kapoor, Sony (2010): The Financial Crisis – Causes and Cures, Friedrich-Ebert-Stiftung,EU Office Brussels.

Kellermann, Christian (2009): Der IWF als Hüter des Weltgelds? Zum chinesischen Vor-schlag einer globalen Währung, Friedrich-Ebert-Stiftung, International Policy Analysis, Berlin.

Kellermann, Christian/Ecke, Matthias/Petzold, Sebastian (2009): Eine neue Wachstumsstra-tegie für Europa nach 2010, Friedrich-Ebert-Stiftung, International Policy Analysis, Berlin.

Kellermann, Christian/Kammer, Andreas (2009): Stillstand in der europäischen Steuer-politik: welche Wege aus dem Wettbewerb und die niedrigsten Steuern?, Friedrich-Ebert-Stiftung, International Policy Analysis, Berlin.

Knopf, Brigitte/Kondziella, Hendrik/Pahle, Michael/Götz, Mario/Bruckner, Thomas;Edenhofer, Ottmar (2011): Der Einstieg in den Ausstieg: energiepolitische Szenarien für ei-nen Atomausstieg in Deutschland (Langfassung), WISO Diskurs, Economic and Social Po-licy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Lenz, Rainer (2011): Die Krise in der Eurozone: Finanzmanagement ohne Finanzpolitik,Friedrich-Ebert-Stiftung, Inter national Policy Analysis, Berlin.

Löschel, Andreas (2009): Die Zukunft der Kohle in der Stromerzeugung in Deutschland:Eine umweltökonomische Betrachtung der öffentlichen Diskussion, Stabsabteilung, Frie-drich-Ebert-Stiftung, Berlin.

Luci, Angela Stefanie (2011): Frauen auf dem Arbeitsmarkt in Deutschland und Fran-kreich. Warum es Französinnen besser gelingt, Familie und Beruf zu vereinbaren, Friedrich-Ebert-Stiftung, International Policy Analysis, Berlin.

McKinsey (2011): Mapping Global Capital Markets 2011, McKinsey Global Institute.Mende, Dirk-Ulrich/Corneo, Giacomo/Matthias, Ulrich/Rudolph, Thorsten/Scholz, Hei-

ger/Wilke, Petra (2011): Zukunft der Staatsfinanzen: Perspektiven für einen demokratischenSozialstaat, working paper by the future workshop »Öffentliche Finanzen«, Friedrich-Ebert-Stiftung, Landesbüro Niedersachsen, Hannover.

Meyer-Stamer, Jörg (2009): Moderne Industriepolitik oder postmoderne Industriepolitik?Stabsabteilung, Friedrich-Ebert-Stiftung, Berlin.

Miegel, Meinhard (2010): Exit: Wohlstand ohne Wachstum, Berlin: Propyläen.Ministerium für Umwelt-, Naturschutz und Reaktorsicherheit (BMU) (2009): Umwel-

twirtschaftsbericht 2009 – Umweltschutz als Wirtschaftsfaktor, Berlin.Münchau, Wolfgang (2010): Letzter Ausweg gemeinsame Anpassung – die Eurozone

zwischen Depression und Spal tung, WISO Direkt, Economic and Social Policy unit, Frie-drich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Netzer, Nina (2011): Ein weltweiter Green New Deal : Krisenmanagement oder nachhal-tiger Paradigmenwechsel? Friedrich-Ebert-Stiftung, Department of Global Policy and De-velopment, Berlin.

Noack, Harald/Schackmann-Fallis, Karl-Peter (2010): Lehren aus der Finanzmarktkriseziehen, Managerkreis der Friedrich-Ebert-Stiftung, Berlin.

Bibliography31 Social Growth Noack, Harald/Schrooten, Mechthild (2009): Die Zukunft der Landesbanken – Zwischen

Konsolidierung und neuem Geschäftsmodell, WISO Diskurs, Economic and Social Policyunit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Passadakis, Alexis/Schmelzer, Matthias (2011): Postwachstum: Krise, ökologische Gren-zen und soziale Rechte, Ham burg: VSA.

Paul, Stephan/Neumann, Sascha (2011): Finanzmarktregulierung: Einführung einer Ban-kenabgabe und Finanztran saktionsteuer auf deutscher und europäischer Ebene, Managerkreisder Friedrich-Ebert-Stiftung, Berlin.

Pfaller, Alfred (2010a): Ökosteuern in Europa : die politökonomischen Parameter der Um-weltsteuerdebatte in Europa, Friedrich-Ebert-Stiftung, International Policy Analysis, Berlin.

Pfaller, Alfred (2010b): Wieder Wohlstand für alle – Politik für eine integrierte Arbeit-sgesellschaft, WISO Direkt, Eco nomic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung,Bonn.

Pfaller, Alfred/Fink, Philipp (2011): Standortpolitik für soziale Demokratie: Eckpunkteeiner Agenda für Deutschland, WISO Direkt, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Platzer, Hans-Wolfgang (2010): Europäisierung der Gewerkschaften, Friedrich-Ebert-Stiftung, International Policy Analysis, Berlin.

Platzer, Hans-Wolfgang (2009): Konstitutioneller Minimalismus: die EU-Sozialpolitikin den Vertragsreformen von Nizza bis Lissabon, in: integration, Institut für Europäische Po-litik, issue 1: 33–49.

Pohlmann, Christoph/Reichert, Stephan/Schillinger, Hubert (2010): Die G-20: auf demWeg zu einer »Weltwirtschaftsregierung«?, Friedrich-Ebert-Stiftung, Berlin.

Priewe, Jan (2011): Die Weltwirtschaft im Ungleichgewicht – Ursachen, Gefahren, Kor-rekturen, WISO Diskurs, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Priewe, Jan/Rietzler, Katja (2010): Deutschlands nachlassende Investitionsdynamik 1991– 2010 – Ansatzpunkte für ein neues Wachstumsmodell, WISO Diskurs, Economic and So-cial Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Prognos (2011a): Soziale Prävention – Bilanzierung der sozialen Folgekosten in Nor-drhein-Westfalen, Gutachten. Com missioned by the State Chancellery of the Land of NorthRhine-Westphalia, Basel.

Prognos (2011b): Soziales Wachstum durch produktive Kreisläufe, WISO Diskurs, Eco-nomic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn (forthcoming).

Pusch, Toralf (2011): Lohnpolitische Koordinierung in der Eurozone: Ein belastbaresKonzept für mehr makroökonomis che Stabilität?, Friedrich-Ebert Stiftung, International Po-licy Analysis, Berlin.

Razavi, Shahra (2011): Engendering Social Security and Protection: Challenges for Ma-

king Social Security and Protection Gender Equitable, Friedrich-Ebert-Stiftung, Departmentof Global Policy and Development, Berlin.

Rixen, Thomas/Uhl Susanne (2011): Unternehmensbesteuerung europäisch harmonisie-ren! Was zur Eindämmung des Steuerwettbewerbs in der EU nötig ist, Friedrich-Ebert-Stif-tung, International Policy Analysis, Berlin.

RWI (2011): Interdependenz zwischen Entwicklung des Gesundheitsmarktes und derEntwicklung der Wirtschaft und Beschäftigung, WISO Diskurs, Economic and Social Policyunit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn (forthcoming).

Schepelmann, Philipp (2010): Mit der Ökologischen Industriepolitik zum ökologischenStrukturwandel, WISO Direkt, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung,Bonn.

Schettkat, Ronald (2010): Dienstleistungen zwischen Kostenkrankheit und Marketiza-tion, WISO Diskurs, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Schettkat, Ronald (2011): Des Wachstums verschlungene Wurzeln: Produktivität undBeschäftigung, WISO Diskurs, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung,Bonn.

Schmid, Günther (2008): Von der Arbeitslosen- zur Beschäftigungsversicherung – Wegezu einer neuen Balance indivi dueller Verantwortung und Solidarität durch eine lebenslaufo-rientierte Arbeitsmarktpolitik, WISO Diskurs, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Spangenberg, Joachim H./Lorek, Sylvia (2003): Lebensqualität, Konsum und Umwelt:Intelligente Lösungen statt unnötiger Gegensätze, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Schratzenstaller, Margit (2011): Vermögensbesteuerung – Chancen, Risiken und Gestal-tungsmöglichkeiten, WISO Diskurs, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stif-tung, Bonn.

Schreyer, Markus (2011): Endspiel um den Euro – Notwendige wirtschaftspolitische Ma-ßnahmen zur Überwindung der Vertrauenskrise in der Euro-Zone, WISO Direkt, Economicand Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Seidl, Irmi/Zahrnt, Angelika (2010): Postwachstumsgesellschaft: Neue Konzepte für dieZukunft, Marburg (Metropo lis).

Spahn, Heinz-Peter (2010): Die Schuldenkrise der Europäischen Währungsunion, WISODirekt, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Steinbach, Armin/Steinberg, Philipp (2010): Nach der Krise ist vor der Krise: Haben wirdie richtigen Lehren gezogen, und was bleibt zu tun?, WISO Direkt, Economic and SocialPolicy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Steinhilber, Jochen (2008): Kompass 2020: Deutschland in den internationalen Bezie-hungen, Friedrich-Ebert-Stiftung, Berlin.

Uhl, Susanne/Rixen, Thomas (2007): Unternehmensbesteuerung europäisch gestalten –mitgliedstaatliche Hand lungsspielräume gewinnen, Friedrich-Ebert-Stiftung, InternationalPolicy Analysis, Berlin.

Vesper, Dieter (2008): Defizitziel versus Ausgabenpfad – Plädoyer für eine berechenbareHaushaltspolitik, WISO Diskurs, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung,Bonn.

Bibliography32 Social Growth van Ark, Bart/Jäger, Kirsten/Manole, Vlad/Metz, Andreas (2009): Productivity, Perfor-

mance, and Progress – Ger many in International Comparative Perspective, WISO Diskurs,Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

von der Vring, Thomas (2010): Wirtschaftspolitische Konsequenzen aus der Krise, WISODiskurs, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Wernstedt, Rolf/John-Ohnesorg, Marei (2010): Bevölkerung, Bildung, Arbeitsmarkt.Vom Bildungsbericht zur Bil dungssteuerung, Netzwerk Bildung series, Friedrich-Ebert-Stif-tung, Berlin.

Wieland, Joachim/Dohmen, Dieter (2011): Bildungsföderalismus und Bildungsfinanzie-rung. Unpublished study, Net zwerk Bildung, Friedrich-Ebert-Stiftung, Berlin.

Winkler, Adalbert (2008): Geld- oder Finanzsektorpolitik: Wer trägt die Hauptschuld an derFinanzkrise?, WISO Direkt, Economic and Social Policy unit, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

Blossfeld, Hans-Peter/Bos, Wilfried/Daniel, Hans-Dieter/Hannover, Bettina/Lenzen, Die-ter/Prenzel, Manfred/Wößmann, Ludger (2011): Bildungsreform 2000 – 2010 – 2020: Jahre-sgutachten 2011, Aktionsrat Bildung. Avail able at: http://www.vbw-bayern.de/agv/vbw-The-men-B i ldung -B i ldung_ganzhe i t l i ch_ges t a l t en -Pub l ika t i onen - Jah re sgu -tachten_des_Aktionsrats_Bildung_Bildungsreform_200020102020—14852,ArticleID__18104.htm (accessed on 31 Oc tober 2011).

Zitzler, Jana (2006): Plädoyer für eine europäische Mindestlohnpolitik, Friedrich-Ebert-Stiftung, International Policy Analysis, Berlin.

38 ■ CRITICAsociale3-4 / 2012

Vivi ogni giorno i tuoi programmi preferiticon lo spettacolo dell’Alta Definizione.

Solo con Sky puoi avere oltre 50 canali HD inclusi nel tuo abbonamento senza spendere un euro in più.

I canali sono fruibili in alta definizione dagli abbonati Sky con servizio HD attivo e/o in funzione dei pacchetti sottoscritti.