BREVI NOTE · 2014. 3. 27. · figurine femminili fittili del Primo Neolitico dell'Italia...

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Quaderni Friulani di Archeologia VI/1996

NOTERELLE PALETNOLOGICHE. SCAVI E RICERCHE DELL'ANNO

1996

Andrea PESSINA

Si presentano alcune brevi note relative a indagini stratigrafiche e ricognizioni di superfi-cie effettuate nel corso dell'anno 1996.

- Sammardenchia Cueis (Pozzuolo del Friuli, UD)

Sono proseguiti nel corso dell'estate gli scavi nel sito del Primo Neolitico (4500-4000 a.C. non cal.) di Sammardenchia Cueis con-dotte dal Museo Friulano di Storia Naturale di Udine con la collaborazione dell'Amministra-zione di Pozzuolo del Friuli.

Agli scavi, della durata di circa 40 giorni, hanno preso parte oltre 70 studenti ed appassio-nati provenienti da tutta 1'Italia settentrionale.

Si è continuato ad indagare la grande struttura 126, già messa in luce nel corso della campagna 1995 (FERRARI, PESSINA 1996). Si tratta di una grande cavità polilobata di de-bole profondità e che conserva un lembo di deposito fortemente antropizzato dello spesso-re di circa 10-15 cm. Non è ancora chiaro se si tratti di una vera e propria struttura (forse abi-tativa?), o semplicemente di una parte di pa-leosuolo neolitico parzialmente conservato. Questa “struttura” si presenta a volte intaccata da pozzetti più profondi o da rare buche di palo. Le ricerche di quest'anno hanno interessato gli appezzamenti Iaiza e Nazzi F., per gentile concessione dei proprietari, estendendo l'area-le degli scavi verso sud. Benché la

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Figura I. Sammardenchia Cueis, ricerche 1996. L'idoletto fittile rinvenuto nella struttura 126.

Figura 2. Sammardenchia Cueis, ricerche 1996. La statuetta fittile (q. F11) in veduta frontale: si conser-va la parte superiore del corpo con la testa accennata, l’attacco del braccio destro (purtroppo frammenta-rio) e il braccio sinistro nell'atto di reggere un fa-gotto

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struttura 126 risulti oramai esplorata per oltre 120 mq di superficie, i suoi margini non ri-sultano ancora delimitati, anche a causa delle scoline ed altre opere di divisione a-graria che hanno intaccato anche considere-volmente il manufatto.

Il materiale archeologico recuperato è risultato relativamente abbondante. Merita di essere segnalato il rinvenimento di un ido-letto fittile, composto da un tronco cilindri-co poggiante su due piedini e con due pa-stiglie plastiche applicate al corpo (Fig. 1; misure: altezza conservata mm 55. diam. tronco mm 30). Per le sue caratteristiche sembrerebbe rientrare nella categoria della “ceramica falloide”, della quale un esem-plare fu rinvenuto a Sammardenchia già nel corso della campagna 1995 a pochi m di di-stanza (struttura 117) (FERRARI, PESSINA 1996, fig. p. 62). Questi oggetti sono carat-teristici della cultura neolitica di Danilo (BATOVIC 1968), che sappiamo essersi sviluppata in Dalmazia nella seconda metà del V millennio a. C. (non cal.) ed avere fortemente influenzato la formazione del gruppo di Vlasca o dei Vasi a

Coppa (BARFIELD 1972) nel Carso triesti-no. A più generiche influenze balcaniche è riferibile anche un secondo oggetto fittile: si tratta di una statuetta, purtroppo mal conser-vata, resa nell'atto di tenere al petto con il braccio sinistro un fagotto, che potrebbe rappresentare un bambino (Fig. 2). Si tratta al momento di una semplice ipotesi, a causa della perdita della parte superiore del fagotto. Se esatta, questo rinvenimento rappresente-rebbe il primo caso di raffigurazione di una “maternità” nell'ambito del panorama delle figurine femminili fittili del Primo Neolitico dell'Italia settentrionale (BAGOLINI 1978; BIAGI 1994).

L'estensione delle indagini stratigrafi-che verso sud ha inoltre permesso di mettere in luce una struttura di grande interesse. Si tratta di una sorta di pozzo (struttura 146) (Fig. 3) del diametro di circa 3-4 m e con-servato per una profondità accertata di alme-no 2 m. Si presenta intaccato sul lato meri-dionale dall'escavo di un grande canale di drenaggio, databile verosimilmente al secolo scorso. La struttura neolitica (solo parzial-mente scavata)

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Figura 3. Sammardenchia Cueis, ricerche 1996. Pa-noramica della grande struttura 126 (suddivisa in qua-drati) e. in primo piano in basso, della struttura 146 in corso di scavo. Si può notare la forma circolare di questo probabile pozzo-cisterna.

Figura 4. Sammardenchia Cueis, ricerche 1996. La fia-sca al momento del suo rinvenimento sul fondo della struttura 146.

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si presenta colmata con una serie di potenti scarichi di terreno antropizzato nerastro, rela-tivamente ricchi di materiale archeologico. Possiamo avanzare solo alcune ipotesi sulla sua funzione. E probabile che si trattasse di un pozzo-cisterna per la raccolta dell'acqua o di una struttura per la captazione della falda freatica. Solo il completamento dello scavo permetterà di chiarire questi dubbi. Appare comunque certo un suo utilizzo per scopi i-drici, come farebbero pensare le caratteristi-che dei depositi più bassi di riempimento. Sul fondo è stata inoltre rinvenuta una lasca in ceramica (Fig. 4) che sembrerebbe presso-ché intatta, probabilmente caduta all'interno della cavità nel corso del suo utilizzo. Il rin-venimento di strutture di questo tipo e di queste dimensioni sembra costituire un caso raro, ma non del tutto unico nell'ambito del panorama strutturale delle comunità delle prime fasi del Neolitico in Italia settentriona-le. Ricordiamo, anche se di più ridotte di-mensioni, il pozzo troncoconico indagato dalla Soprintendenza della Lombardia e i grandi pozzi segnalati dal Chierici in Emilia nel secolo scorso, anche se riferibili ad una fase più recente del Neolitico. Queste strutture sono un chiaro indizio delle notevoli capacità tecniche messe in atto da queste prime popo-lazioni di agricoltori nell'apprestare i propri insediamenti.

- Piancada Bosco Nogali (Palazzolo dello Stella, UD).

Nel mese di novembre hanno preso l'avvio le ricerche nel sito di Piancada Bosco Nogali,condotte dal Dip.to Scienze Archeolo-giche dell'Univ. di Pisa con la collaborazione dell'Amministrazione di Palazzolo dello Stella e l'Associazione Culturale “Anaxum” di Pian-cada. Il sito di Piancada era già stato oggetto

di indagini stratigrafiche negli anni prece-denti (1992-95), scavi che avevano messo in luce nelle immediate vicinanze del Bosco Nogali numerose strutture (officine litiche, una sepoltura. un canale ed alcuni pozzetti) riferibili alle prime fasi del Neolitico (ultimi secoli del V-primi secoli del IV millennio a. C. non cal.) (FERRAR[, PESSINA 1996). Gli scavi di quest'anno hanno invece inte-ressato l'area agricola (proprietà De Candi-do) antistante la Latteria Luvisutti, immedia-tamente a sud dell'abitato attuale di Pianca-da. In questa zona erano state infatti indivi-duate in superficie, nel corso della preceden-te primavera, alcune strutture e abbondante industria litica (ricerche di S. Salvador, A. Fontana e F. Carsillo). Sono stati effettuati dei sondaggi con pala meccanica mettendo in luce più di una ventina di strutture del ti-po a pozzetto. Alcune di esse presentavano dimensioni notevoli, raggiungendo un dia-metro di oltre 2,5 m, ma erano quasi tutte intaccate dall'escavo di scoline e altre opere di drenaggio che hanno inciso tutta la super-ficie del campo (Fig. 5).

Di grande interesse il rinvenimento, nella struttura 21, di materiale litico e cerami-co riferibile alla cultura dei Vasi a Bocca Quadrata: cuspidi foliate a faccia piana e un frammento di orlo di vaso quadrilobato. Si tratta della prima segnalazione certa di ma-teriali V.B.Q. in provincia di Udine, dal momento che vi erano prima solo sporadiche attestazioni di materiale litico dubitativa-mente riferito a questa fase del Neolitico: Orzano (CANDUSSIO, PESSINA 1991) (rinvenimento di G. Cescutti e A. Leonar-duzzi; Molin Nuovo (FRAGIACOMO, PESSINA 1995) (rinvenimento di A. Can-dussio) e Muzzana (segnalazione di S. Sal-vador). In attesa di poter esaminare tutta la documentazione culturale recuperata, sem-brerebbe però che il materiale del-

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la struttura 21 di Piancada sia da riferire alla 1 fase della cultura V.B.Q. (o “fase geome-trico-lineare”) (BAGOLINI 1994). Se con-fermato, questo rinvenimento verrebbe così a colmare quel vuoto di conoscenze riguar-dante la fase piena del Neolitico in Friuli.

I dati scaturiti dalle ricerche di que-st'anno a Piancada rendono ancora più arti-colato il quadro del primo popolamento ne-olitico dell'area. È evidente che alle fasi del Primo Neolitico già individuate (quali ad es. la sepoltura e la struttura 1 del 1992), seguì una frequentazione ad opera di popo-lazioni degli inizi del Neolitico Medio (primi secoli del IV millennio a.C. non cal.).

- Sella Bieliga (Dogna).

Nel mese di Ottobre, a seguito di una segnalazione del dott. M. Avanzini del Museo Tridentino di Scienze Naturali, è stata effettuata una escursione al fine di verificare o meno l'esistenza di frequenta-zioni mesolitiche nei pressi della Sella Bieliga, a est dello Iof di

Dogna. I1 dott. Avanzini aveva infatti rinvenuto, nel corso di una campagna di rilevamento geologico, una lamella in selce sul sentiero in prossimità della sella.

Le ricerche, condotte da chi scrive insieme a A. Fontana e F. Carsillo, hanno confermato la presenza di scarsa industria litica nell'area della sella. È stato recupera-to un nucleo a schegge in selce locale nera e 5 schegge in selce locale di vario colore (nero e rosso diaspro) (Fig. 6). I materiali sembrano riferibili ad un Mesolitico generi-co, in assenza di manufatti in grado di permettere una datazione più precisa. L'e-videnza recuperata, benché sostanzialmente scarsa, è però di grande interesse e conferma la frequentazione delle alte quote nel corso del Mesolitico (8000-4500 a. C. circa non cal.), fenomeno già messo in evidenza per le vicine regioni del Trentino A.A. e del Vene-to, ma ancora da ben documentare per il Friuli. Ad oggi ricordiamo infatti per la provincia di Udine i ritrovamenti di Pramol-lo, Monte Madrizza e Paularo (CANDUSSIO et alii 1994).

Figura 6. Sella Bieliga (Dogna). II materiale litico rinvenuto.

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Figura 5. Piancada area Latteria, ricerche 1996. La super-ficie dell’area indagata subito dopo la prima ripulitura: sono già visibili alcune grandi strutture circolari a poz-zetto di colore scuro.

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- Comune di Pradamano.

Le ricerche di superficie condotte da O. Iacuzzi in una serie di aree agricole ai confini tra i comuni di Pradamano e Pavia di Udine hanno portato all'indivi-duazione in superficie di materiale litico di età prei-storica. Sono stati raccolti numerosi nuclei, anche di piccole dimensioni, troncature, rari romboidi, qualche grattatoio ed alcuni microbulini (Fig. 7). La maggior parte del materiale pare riferibile al Primo Neolitico (4500-4000 a. C. non cal.), ma sono presenti

anche elementi di età più recente (rappresentati da cu-spidi di freccia) e forse prece-dente (Mesolitico?). Merita particolare attenzione il grande nucleo a lame in fase di sfruttamento iniziale (Fig. 8) di circa 10 cm di altezza, ricavato da un blocco di selce “alpina” pro-veniente dall'area veneta (forse lessinica) e conservan-te alcune superfici ancora corticate. Esso costituisce un piccolo ma importante dato sul traffico di selce che, già agli inizi del Neolitico, interessò tutto il Friuli e sotto quali forme la materia prima arrivò fino all'Alta Pianura friulana.

Figura 7. Pradamano, ricerche lacuzzi. Grattatoi, un romboide, trocature, lamelle ed alcuni nuclei dalla su-perficie.

Figura 8. Pradamano, ricerche lacuzzi. I1 grande nu-cleo a lame in selce “alpina”.

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BIBLIOGRAFIA

BAGOLINI B. 1978 - Le immagini femminili nell'arte neolitica dell’Italia settentrionale. in AA.VV. L'arte

preistorica dell'Italia settentrionale. Dalle origini alla civiltà paleoveneta. Verona, pp. 41-47.

BAGOLINI B. 1992 - Il Neolitico dell’Italia settentrionale, in GUIDI A., PIPERNO M. (a cura), Italia Preistori-

ca. Bari, pp. 274-305. BARFIELD L.H. 1972 - The First Neolithic Cultures of Northe Eastern ltalv, Fundamenta A/3. VII. pp. 182-216. BATOVIC S. 1968 – Problem Kulta Phallosa a Daniloskoj Kuturi, “Diadora” 4, pp. 5-51. BIAGI P. 1994 - The Vhò cultural group in Northern Italy: Archaeology and Venus figurines. Papers del Val-camonica Symposium '94: Prehistoric and Tribal Art: Rock Art and Archaeology. CANDUSSIO A., FERRARI A., PESSINA A.. QUAGLIARO F. 1994 - Siti mesolitici in Friuli. Atti XXIX Riunione Scientifica dell"Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, Trieste 1990, pp. 121-128. CANDUSSIO A.. PESSINA A. 1991 - Rinvenimenti di materiale preistorico nei pressi dell'abitato di Orzano.

“Quaderni Friulani di Archeologia” 1, pp. 17-28. FERRARI A., PESSINA A. (a cura) 1996 – Sammardenchia e i primi agricoltori del Friuli, Tavagnacco (UD). FRAGIACOMO A.. PESSINA A. 1995 - Industrie litiche da Molin Nuovo (UD) nelle collezioni dei Civici

Musei di Udine, “Quaderni Friulani di Archeologia” 5, pp. 23-43.

PESSINA Andrea via G. B. Tiepolo 6-33 100 Udine.

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SEVEGLIANO: I DATI NUMISMATICI DEL IV SECOLO

Bruno CALLEGHER

Gli scavi sistematici e il survey archeolo-gico della località di Sevegliano, snodo im-portante dei tracciati stradali in arrivo e in par-tenza da Aquileia1, hanno permesso di racco-gliere una cospicua documentazione moneta-ria che può essere suddivisa in due categorie tipologiche: a. ripostigli. b. ritrovamenti isolati.

Al primo gruppo appartiene un tesoretto di 14 vittoriati e 4 semissi2. Un computo an-cora approssimativo dei rinvenimenti isolati indica in circa 450 il numero degli esemplari raccolti nel sito. Si tratta di una quantità di monete piuttosto considerevole, sia in assolu-to, sia se confrontata con quanto noto dagli insediamenti non urbani di tutta la X Regio

Venetia et Histria3. In termini cronologici e

quantitativi l'insieme numismatico può esse-re così suddiviso4: 1. epoca romano repubblicana fino alla ri-forma di Augusto: n° 320: 2. dalla riforma augustea fino a Traiano: n° 62; 3. II secolo fino al 260: n° 20; 4. da Gallieno fino al 294 (prima della rifor-ma di Diocleziano): n° 8; 5. post 294 - IV secolo: n° 40.

Il grafico n. 1, elaborato sulla base dei precedenti dati, permette di osservare come il maggior afflusso di numerano si sia verifica-to entro il I sec. a.C., molto probabilmente in seguito alla fondazione della colonia di Aqui-

leia, alla costruzione della rete viaria e all'af-fermazione del potere augusteo. Per contro l'arrivo della moneta sembra rarefarsi nel cor-so del II secolo d.C., in particolare dopo il re-gno di Commodo. Infatti per la prima metà del III secolo si conoscono soltanto un sesterzio di Settimio Severo, un dupondio di Alessandro Severo della zecca di Antiochia, un antoniano e un sesterzio di Gordiano III. Anche per il breve periodo immediatamente successivo gli esem-plari sono scarsi e ben 4 di questi (il 50% del to-tale per l'epoca) sono antoniniani molto svalutati di Claudio il Gotico e Gallieno. E però noto che proprio monete con pessimo intrinseco d'argen-to circolarono anche nel corso del IV secolo, probabilmente con una quotazione riferita al valore del follis; ne consegue che esse posso-no essere giunte e successivamente perdute a Sevegliano anche molto tempo dopo la loro prima immissione sul mercato monetario.

I 40 esemplari dell'ultimo periodo evi-denziano una ripresa dell'afflusso di moneta dovuto all'aumento della massa coniata da molte zecche imperiali tra cui la vicina Aqui-leia nel corso di tutto il IV secolo. Tale circo-stanza, però, non è del tutto sicura per l'esteso sito di Sevegliano. In proposito, la descrizione analitica delle presenze del IV secolo ci per-metterà di avanzare alcune considerazioni (cfr. grafico n. 2).

Il secolo si apre con un follis di Diocle-ziano della zecca di Aquileia, coniato nel 302-303; sempre del 303 è un follis di Massimiano Erculeo della zecca di Siscia. L'imperatore

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B. CALLEGHER - Sevegl i ano : i dat i . . .

Licinio I è presente con un follis del tipo sole in-

victo comiti battuto nel 316 ad Arelate; a que-sto si aggiunga un esemplare dello stesso tipo, ma d'autorità e zecca incerte. Per Costantino I si sono individuate due monete. una del 320 della zecca di Tessalonica, l'altra del 321 della zecca di Roma. Per il primo periodo del secolo (294-324) i sei esemplari rappresentano una per-centuale del 15% con una provenienza piutto-sto articolata. La situazione sembra cambiare nel periodo successivo, vale a dire tra il 324 e il 348, al tempo della riforma di Costanzo II. quando l'afflusso di moneta sembra subire u-n'interruzione netta. Infatti tra i materiali anche di difficile classificazione non è stato indivi-duato alcun.follis dei tipi gloria exercitus 2/3 (due soldati con una o due insegne militari, LRBC, 1028), Urbs Roma, Costantinopolis e

victoricaeddnnavggqnn (due Vittorie di fronte con corona d'alloro; LRBC, 140). In quasi tutti gli altri ritrovamenti coevi dell'area nord-orientale dell'Italia romana, la percentuale di questi tipi è invece molto elevata e rappre-senta una delle costanti numismatiche della prima metà del IV secolo5. Negli anni 351-363 la moneta sembra far ritorno, ma in mo-do alquanto precario. Tre soli gli esemplari (7,5%): un AE2 di Costanzo II-Costante del ti-po fel temp reparatio.Galley1 (LRBC, 1145) emesso tra i1348-350, un AE3, forse degli stes-si imperatori, tipo fel temp reparatio.FH3 (LRBC, 2625) databile tra il 351-361 e un AE2 tipo victoriaeddnnavgget ca-

es/vot/v/mvlt/x (LRBC, 8) molto probabilmen-te emesso ad Aquileia negli anni 350 per conto di Magnenzio o di Magnezio per Decenzio.

La situazione non appare sostanzial-mente modificata nei successivi anni 363-383 in quanto le monete sono solo sei (15%). Sono in-fatti stati classificati un AE3 di zecca incerta, ma di Valentiniano I o Valentiniano II

tipo secvritasreipvblicae (LRBC, 527) con una datazione compresa tra 364/383, un AE2 della zecca di Aquileia, tipo reparatioreipvb

(LRBC, 1512) del 378/383, e quattro AE3 tipo gloriaromanorum.8 (LRBC, 338) emessi tra il 363/388 ma incerti per autorità e zecca.

Solo nel periodo conclusivo del secolo, tra il 383 e i1403, la moneta sembra circolare in mo-do un po' più abbondante. Accanto ad un AE4 victoriaavggg.1 (LRBC, 389) collocabile tra il 383/387 vi sono ben 5 esemplari del tipo sal-

vsreipvblicae.2 che vennero coniati tra il 383-403 soprattutto ad Aquileia e a Roma. A questo stesso contesto cronologico si possono attribui-re altre sei monete, di lettura molto incerta ma con peso appena superiore a un grammo e di modulo inferiore ai 13-14 millimetri. Va inoltre ricor-dato che due dei quattro AE3 tipo gloriaroma-

norvm prima citati subirono senz'altro una ridu-zione del modulo e del peso per far assumere la forma di un AE4: sul tondello, infatti, appaino con tutta evidenza i segni della tosatura e il loro peso è rispettivamente di 1,12 e 1,22 grammi.

Tredici, infine, le monete inclassificabili (32,5%) per la corrosione. I loro dati metrolo-gici potrebbero però far pensare, anche se in modo del tutto ipotetico, ai tipici AE4 della seconda metà del IV secolo con diametri di poco inferiore ai 13-14 millimetri e con un peso oscillante intorno ad un grammo. In quest'ul-tima fase caratterizzata da un maggior afflus-so di moneta, appare però significativa la completa assenza dell'AE4 tipo victoria-

avggg.2, peraltro battuto nelle sole zecche di Aquileia e di Roma e documentatissimo dagli scavi di IV secolo.

A partire da questi dati credo si possano avanzare, sia pure in modo schematico, alcune considerazioni riguardanti l'arrivo e la circo-lazione della moneta a Sevegliano: 1. I periodi di maggior afflusso vanno dalla

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In alto. Grafico n.1: distribuzione degli esemplari per periodo cronologico. In basso. Grafico n. 2: distribuzione cronologica degli esemplari nel IV secolo.

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B. CALLEGHER - Sevegliano: i dati...

metà del II sec. a.C. fino alla metà del I sec. a.C. La grande quantità di vittoriati, quinari, assi ed emissioni augustee rappresenta un dato peculiare ed indica una sicura vitalità econo-mica del sito esaminato;

2. Negli anni seguenti la circolazione mone-taria sembra restringersi progressivamente fi-no a scomparire quasi del tutto nel periodo 260 - 294;

3. Nel quarto secolo si rilevano aspetti con-traddittori e in parte disomogenei rispetto alle costanti della circolazione monetaria dell'area nord-orientale d'Italia. Si osserva infatti che: a. il numero complessivo degli esemplari (40) è piuttosto ridotto sia all'interno della docu-mentazione di quest'area archeologica sia in rapporto agli altri insediamenti coevi; b. si alternano fasi di afflusso ad altre di scar-sa presenza se non addirittura di assenza di moneta; c. mancano alcuni tra i più comuni tipi di fol-les, peraltro emessi proprio dalla vicina zecca di Aquileia, che alla fine del IV secolo rap-presentavano quasi la sola moneta impiegata negli scambi di più basso livello in un'area piut-tosto ampia che comprendeva la pianura vene-ta e i siti posti immediatamente al di là delle Alpi Giulie6.

Queste considerazioni per il IV secolo delineano un quadro di presenze non facil-mente spiegabili. L'ipotesi più plausibile è che a Sevegliano la moneta arrivasse saltua-

riamente, nonostante i frequenti processi in-flattivi tendessero ad accrescere e perciò ad aumentare la disponibilità di moneta bronzea in circolazione. La perdita degli esemplari può esserci perciò verificata nel corso di qual-che scambio episodico, di mercati o di inse-diamenti momentanei. II campione esaminato porta ad escludere un afflusso regolare di moneta e questo non tanto per la presenza di alcuni tipi quanto piuttosto per 1'asssenza di quelli più comuni e meglio documentati in altri siti archeologici databili al secolo qui esaminato.

NOTE

1 BERTACCHI 1985; BUORA 1985; TAGLIAFERRI 1986. 2 BUORA 1995. 3 Non è questa la sede per un 'esaustiva citazione bibliografica. A titolo esemplificativo si rinvia ad alcuni contributi essenziali quali GORINI 1987 e la serie dei Ritrovamenti monetali di età romana nel Ve-

neto. Padova 1992 - (a cura di G. Gorini) di cui sono stati editi i primi cinque volumi. 4 Il computo è stato ottenuto sommando le monete edite (ZUCCOLO I985; BUORA 1985: BUORA 1995) e quelle che ho potuto esaminare direttamente, gra-zie alla disponibilità del dott. Buora che ringrazio. 5 Anche in questo caso risulta impossibile anche solo una panoramica bibliografica essenziale. Ci si limi-ta a ricordare che in questo periodo era attiva la zecca di Aquileia. città che dista da Sevegliano appena dieci miglia romane. Cfr. RIC. VII-VIII. 6 Cfr. KOS 1986.

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B I B L I O G R A F I A

Abbreviazioni LRBC = Late Roman Bronze Coinage, London 1972. RIC = Roman Imperial Coinage, London. BERTACCHI L. 1985 - Saggi di scavo a Sevegliano. Relazione sullo scavo, “Aquileia nostra” 56, cc. 1-2. BUORA M. 1985 - Sevegliano ed il territorio circostante in epoca romana, “Aquileia nostra” 56, cc. 69-116. BUORA M. 1995 - Le monete tardorepubblicane di Sevegliano (scavi 1990-1993), Palmanova. GORINI G. 1987 - Aspetti monetali: emissione, circolazione e tesaurizzazione, in AA. VV., Il Veneto in età

romana, I, Verona, pp. 227-286 KOS P. 1986 - The monetarv circulation in the Southeastern Alpine region ca. 300 B.C . – A.D. 1000, Situla 24 (1984-1985), Ljubljana. TAGLIAFERRI A. 1986 - Coloni e legionari romani nel Friuli celtico. Una ricerca archeologica per la sto-

ria, Pordenone. ZUCCOLO L. 1985 - Saggi di scavo a Sevegliano. Le monete, “Aquileia nostra” 56, cc. 49-51.

CALLEGHER Bruno Piavon di Oderzo (TV).

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C. e S. MADDALENI - Breve nota...

BREVE NOTA S U L L ' E V O L U Z I O N E D E L L A L O R I C A R O M A N A

Claudio e Sergio M A D D A L E N I

Concludendo l'argomento iniziato con le note sugli elmi romani (MADDALENI 1994 e 1995), si traccia una sintetica storia dell'evolu-zione della lorica1 romana dal primo periodo re-pubblicano al tardo impero.

Due tavolette in avorio trovate a Palestrina (Tav. I, 1) e risalenti probabilmente alla prima me-tà del III sec. a.C. (periodo delle guerre per la conquista dell'Italia) sono una delle più antiche e chiare rappresentazioni dell'armamento di un sol-dato del tempo; la lorica è anatomica, cioè del tipo rimasto in dotazione, con modifiche nella costru-zione e nell'uso, dal VI sec. a.C. fino al V sec. d.C. La lorica anatomica era composta di due valve solitamente in bronzo riproducenti l'anatomia del corpo; originariamente usata come protezione della fanteria pesante, come nel caso del dittico ricordato, finì per essere, riccamente decorata con figure a sbalzo, caratteristica degli imperatori e degli alti ufficiali (Tav. I, 5).

Con il bassorilievo dell'ara di Domizio E-nobarbo ci troviamo nel mezzo di un lustrum

2 del II

sec. a.C. ; i soldati raffigurati portano la lorica

hamata (maglia ad anelli in ferro e quelle più fini anche in bronzo - Fig. 1) che fu in dotazione alle legioni dall'età delle guerre puniche fino alla metà del I sec. d.C. (epoca di Claudio); rimase poi alle truppe ausiliarie e alle milizie cittadine (Tav. I, 2). Nello stesso bassorilievo è raffigurato pure un im-portante personaggio con lorica anatomica, soli-tamente identificato come il dio Marte.

Dal secondo quarto del I sec. d.C. iniziò

ad essere introdotta nelle legioni la lorica

segmentata, composta da lamine circolari in ferro e completata da spallacci formati da lamine articolate. È la lorica più caratteri-stica del soldato romano, tanto che in illu-strazioni poco documentate così è rappre-sentato il legionario di qualsiasi periodo; il suo uso non andò oltre all'età dei Severi (primo quarto del III sec. d.C.) (Tav. I, 3 e Fig. 2).

Figura I. particolare di lorica hamata (diam. anelli 1 - 1,5 cm) e di lorica squamata (largh. scaglie 2-3 cm) (dis. C. Maddaleni).

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Quaderni Friulani di Archeologia VI/1996

Mentre la colonna di Traiano è caratterizzata dai legionari in lorica segmentata, quella poste-riore di Marco Aurelio presenta mescolati soldati con tre tipi di corazza: hamata, segmentata (già ricordate) e squamata (Tav. I, 4). È quest'ultimo un interessante tipo di corazza fatta con scaglie (Fig. 1) in bronzo, in ferro o nei modelli arcaici an-che di osso, unite solitamente a mezzo di fili metal-lici; è attestata, pur con varianti, per un arco di tempo assai ampio (Tav. 1,6). Protezione nel I sec. d. C. principalmente dei centurioni e dei signiferi, il suo uso fu poi generalizzato nel tardo impero tanto che con loriche squamate sono equipaggiati i soldati di Galerio, vincitore dei Persiani (296-298 d. C.) sull'omonimo arco di Thessaloniki.

I ritrovamenti archeologici di loriche roma-ne sono scarsi e si tratta quasi sempre di frammenti.

Le loriche anatomiche in bronzo pervenu-teci sono propriamente esemplari italioti (AROLDI 1961, p. 128); parti in ferro di segmenti di lorica segmentata e accessori in bronzo per l'unione degli stessi sono stati rinvenuti a Corbri-dge (presso il vallo di Adriano, GB) e a Newstead (Scozia, GB) permettendo così l'identificazione dei due tipi fondamentali di segmentata chiamati appunto Corbridge e Newstead (il più recente) (SIMKINS 1979, pp. 17-21). Sempre a Newstead sono state rinvenute e ricomposte varie scaglie in bronzo di lorica squamata ben conservate (RANKOV 1994, p. 50); più difficile il ritrova-mento di parti di lorica hamata in ferro (LIBERATI 1992, p. 50).

Sulla validità delle raffigurazioni dei vari tipi di lorica in bassorilievi, valgono le stesse considerazioni fatte per quelle relative agli elmi (MADDALENI 1994, p. 113); si no-ta inoltre che era assai improbabile che i le-gionari in lorica segmentata potessero svol-

Figura 2. Lorica segmentata, tipo Newstead, nella ricostruzione in ferro di M. Simkins (West Bri-dgford, Nottingham, England). (Foto Simkins, per gentile concessione).

gere i lavori raffigurati nella colonna di Traiano; tale “convenzione raffigurativa” è presente, per altri motivi, in molti film storici nei quali il sol-dato romano, l'imperatore compreso, vestono co-razza ed elmo in ogni momento del giorno e luogo (mentre era usuale

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C. e S. MADDALENI - Breve nota...

Tavola I. Tipologia delle Ioricae in uso nell'esercito romano (dis. S. Maddaleni).

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che gli stessi pretoriani prestassero servi-zio, nei palazzi imperiali, in toga con gla-dio e al massimo una lorica in cuoio sotto la stessa).

La l o r i c a s e g m e n t a t a . certamente la più scomoda tra le loriche romane, pur riducendo validamente la possibilità di penetrazione di colpi di punta, fu il primo tipo a scomparire: mentre la lorica squa-

mata per la sua maggior praticità e facilità di realizzazione rispetto alla maglia di ferro continuò ad essere indossata, anche se da un numero sempre minore di repar-ti, fino alla scomparsa della struttura mi-litare romana d 'Occidente .

NOTE

1 Lorica , da lorum (cuoio): dal materiale con il quale erano fatte le prime protezioni per il torace è derivato il nome per designare in latino la corazza. 2 Lustrum, censimento; aveva luogo ogni 5 anni ed era effettuato dai censori per ripartire i cittadini in pro-porzione ai loro averi.

Fonti iconografiche (Tav. I).

1. Lorica anatomica in cuoio o bronzo (dal dittico in avorio trovato a Palestrina del III sec, a.C.; museo di Villa Giulia, Roma): si abbina all'elmo attico. 2. Lorica hamata in ferro (dalla cerimonia lustrale dell'ara di Domizio Enobarbo. 115 a.C.; Museo del Louvre, Parigi); si abbina all 'elmo Montefortino. 3. Lorica segmentata in ferro tipo Newstead (presente nei bassorilievi della colonna Traiana che rappresenta le guerre daciche del 101-106 d.C.; Roma); si abbina all'el-mo imperiale gallico. 4. Lorica squamata in bronzo (dai bassori-lievi dell’arco di Galerio a Thessaloniki, guerre persiane, 296-298 d.C.); si abbina al-l 'elmo romano sassanide. 5. Lorica anatomica in bronzo di imperatore o alto ufficiale (rilievo dalla base della co-lonna dei Decennali di Galerio e Costanzo Cloro. 303 d.C . eretta nel Foro Romano - le figure che decorano la lorica non sono chia-ramente leggibili); si abbina all'elmo etru-sco corinzio arcaicizzante o romano sassa-nide riccamente decorato.

BIBLIOGRAFIA AROLDI A. M. 1961 –Armi e armature italiane, Milano. BRIZZI G. l989 -La guerra nell’impero romano, “Archeo” 52, pp. 46-97. LIBERATI A., SILVERIO F. I992 – Legio, storia dei soldati di Roma, Roma. MADDALENI C. 1994 -Nota sugli elmi romani di Aquileia, “Quaderni Friulani di Archeologia” 4, pp. 111-115. MADDALENI C. e S. I995 – Breve nota sull’evoluzione dell’elmo romano, “Quaderni Friulani di Archeologia” 5, pp. 201-203. RANKOV B. 1994 - The Pretorian Guard. Londra. SIMKINS M. 1979 - The Roman Army from Hadrian to Costantine, Londra. SIMKINS M. 199I - Guerrieri romani, trad. di Warriors of Rome , La Spezia.

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M. BUORA - Bolli su anfore...

BOLLI SU ANFORE LAMBOGLIA 2

Maurizio BUORA

Il cospicuo rinvenimento di anfore del ti-po Lamboglia 2 a Sevegliano, sia in occasione degli scavi del 1972 sia in seguito alle regolari campagne effettuate dal 1990 al 1993, porta a seguire con particolare attenzione l'evoluzione dello studio delle anfore di questo tipo e in particolare l'analisi sui bolli.

Nel bel volume a più mani scritto in onore di G. Ulbert, all'atto del suo pensionamento dalla cattedra di archeologia presso l'Università di Monaco, Jana Horvat, - già se-

gnalatasi per un importante studio sul sito di Nauportus, attuale Vrhnika, a pochi chilometri da Lubiana, dove, superato l'ultimo giogo al-pino, comincia il Lubiansko Barie (pianura di Lubiana, solcata dalla Lubianica) al confine tra il territorio dei Romani e quello dei Celti nel corso del I sec. a.C. - presenta una carta di distribuzione delle anfore Lamboglia 2 non solo in ambito sloveno, ma anche nel Friuli [J. HORVAT, Ausbreitung römischer Einflüsse auf das Südostenalpengebiet in voraugustei-

Tavola I. Anfore con bolli PROT (rielaborazione grafica D. G. De Tina).

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scher Zeit, in AA.VV., Provinzialrömische

Forschungen. Festschrift für Günter Ulbert

zum 65. Geburstag, Espelkamp, pp. 25-40, part. p. 28 (carta) e pp. 38-39 (elenco dei siti )]. Cono-sciamo tutti i limiti di questi tentativi, che spes-sissimo non possono tenere conto di vecchi rinve-nimenti o di nuovi, accuratamente nascosti e in at-tesa di forse improbabili pubblicazioni. Altro o-stacolo è dato dalla pluralità di pubblicazioni che spesso sfuggono alla pur tenace insistenza di un singolo ricercatore. Nella carta di cui ci occupia-mo si sarebbe forse potuto tener conto anche del-la ipotetica, ma a mio avviso probabile, localiz-zazione di una fornace di queste anfore nella loca-lità Casali Cossetti, in comune di Azzano X (pro-vincia di Pordenone, antico agro di Iulia Con-

cordia), come segnalato in occasione del conve-gno di Siena tenutosi nel 1986 (Tracce di una

produzione anforica nell’agro di Iulia Con-

cordia, in AA.VV., Amphores romaines et hi-

storie économique. Dix ans de recherche, Ac-tes du colloque de Sienne 22-24 mai 1986, Roma 1989, pp. 576-577).

1. Bolli PROT

Nel volume 3 dei “Quaderni Friulani di Ar-cheologia” alle pp. 159-160 segnalavo il rinveni-mento di un frammento di orlo di anfora Lambo-glia 2 con il marchio, retrogrado, PROT (Tav. I, 1 ) avvertendo che questo rinvenimento ci per-metteva di interpretare meglio una serie di mar-chi di Sevegliano, già editi come TONC e simili (M. B. CARRE, M. T. CIPRIANO 1985, Saggi

di scavo a Sevegliano. Le anfore, “Aquileia nostra” 56, cc. 5-24). Il volume di Brunella Bruno (Aspetti della sto-

ria economica della Cisalpina romana. Le an-

fore di tipo Lamboglia 2 rinvenute in Lombar-

dia. “Studi e ricerche sulla Gallia

cisalpina” 7, Roma) presenta un marchio, parimen-ti retrogrado, che pare di poter accostare ai nostri. Esso, conservato solo nella parte posteriore (= an-teriore per la corretta lettura) si interrompe dopo la lettera O. La presenza in entrambi della P aperta (e-lemento che di per sé pare sufficiente a datare il marchio stesso non oltre la fine del primo quarto del I sec. a.C. o poco dopo) rende evidente che i due sono sostanzialmente identici. Nella trascri-zione grafica offerta dalla Bruno la O pare quadrata, ma osservando bene la riproduzione fotografica si vede chiaramente che essa è curvilinea.

Sembra di poter accostare a questi esemplari anche parte di un'anfora Lamboglia 2 da Sermin, presso Capodistria, che presenta un analogo profi-lo dell'orlo, ad andamento triangolare (M. STOKIN, D. JOSIPOVIC 1988, “Varstvo spo-menikov” 30, pp. 200-206).

Non sempre ci è dato di avere una chiara de-scrizione degli impasti e le misure dei bolli. Sulla base degli esemplari editi possiamo così ordinare le dimensioni del cartiglio (sempre rettangolare, con i lati minore stondati) e delle lettere

1) Milano, via dell'Unione (Tav. I, 3). Cartiglio 4,8 x 1,7; lettere 1,5. Bibl.: BRUNO 1995, p. 251. 2) Sermin (Capodistria) (Tav. I, 2). Cartiglio 4,8 ca x 1,3; lettere 0,8. Bibl.: STOKIN, JOSIPOVIC 1988, fig. 17,1. 3) Sevegliano (Ud). Cartiglio 4 x 1,2; lettere 0,9; letto TORS. Bibl.: CARRE, CIPRIANO 1985, c. 11, n. 10 B. 4) Sevegliano (Ud). Cartiglio 4 x 1,3; lettere 0,8; letto TOR. Bibl.: CARRE, CIPRIANO 1985, c. 11. n. 10 A.

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M. BUORA - Bolli su anfore...

Figura 1. Carta di diffusione dei bolli PROT (dis. G.D. De Tina).

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Quaderni Friulani di Archeologia VI/1996

5) Sevegliano (Ud). Cartiglio 3,7 x 1 ,2 ; lettere 0,7; letto TONO (?) o TONC (?). Bibl.: CARRE, CIPRIANO 1985, c. 11, n. 9.

6) Lovaria (Ud) (Tav. I, 1). Cartiglio 3,2 x 1,2; lettere 0.7. Bibl.: BUORA 1993, pp. 159-160

In un corpus di almeno sei esemplari quasi tutti hanno dimensioni del marchio com-patibili con una naturale oscillazione, - dovuta ai metodi di misurazione, a fenomeni di ridu-zione derivati dalla riproduzione in antico del marchio stesso etc., - salvo l'anfora di Milano che presenta dimensioni del cartiglio e delle lettere maggiori.

La forma dell'orlo, che appare special-mente negli esemplari più antichi di anfore Lamboglia 2, la presenza di numerosi esem-plari con questo bollo a Sevegliano, quindi in un contesto databile entro la fine del primo quarto del I sec. a.C., l'associazione a Sermin con almeno una ciotola in pasta grigia - di produzione venetica - con decorazione impres-sa e con tardi esemplari di fibule del tipo Cer-tosa, porta senza ombra di dubbio a datare i no-stri esemplari bollati nella prima fase delle an-fore del tipo Lamboglia che in maniera gros-solana, ma forse non troppo lontana dal vero, possiamo ritenere in circolazione nel cinquan-tennio formato dall'ultimo quarto del II sec. a.C. e dal primo quarto del I a.C.

La carta di diffusione dei nostri e-semplari bollati rivela la massima concentra-zione nel territorio di Aquileia, una presenza diffusa nell'alto Adriatico e attestata fino a Milano (Fig. 1). Considerata la presenza di altri marchi che iniziano con le medesime lettere (ad es. il milanese PROTE, per cui si veda BRUNO 1995, pp. 252-253 o il bollo PROTI di

Fermo, per cui CIL. IX, 6080,18) l'acco-stamento proposto dalla Bruno (p. 251) con il marchio PRO di Selinunte (CIL. X,

8051,25) non appare determinante. In conclusione non pare affatto strano

che si debba vedere qui un prodotto locale che occasionalmente poteva essere smerciato an-che nel principale centro della pianura padana, a Milano appunto, entro la prima metà del I sec. a.C. Se ciò risponde a verità, allora bi-sognerebbe valutare meglio i dati dell'analisi delle argille che sono stati interpretati come se queste anfore fossero state prodotte tra il Pi-ceno e la Puglia o tra la Dalmazia e l'Albania (BRUNO 1995).

2. IL GRUPPO DEI BOLLI DION, DIONIS, DIONVSIOΣ

La pubblicazione del volume 16-17 per gli anni 1994-1995 della rivista “Diadora” con un articolo di A. Starac, del museo ar-cheologico di Pola, sulla morfologia delle anfore nord-adriatiche (A. STARAC 1996, Morfologija sjevernojadranskih amfora: Prim-

jeri iz Istre, “Diadora” 16-17, 1994-1995, pp. 135-162) offre ulteriori elementi di riflessio-ne e anche la possibilità di impostare un di-scorso sui bolli Dion - Dionis - Dionnvsios che sono stati segnalati su alcune anfore del tipo Lamboglia 2. Fino ai recenti studi, come quello della Bruno o agli ultimi lavori di Pe-savento e Toniolo per il Veneto [A. TONIOLO 1988, Anfore conservate nel magazzino del

Museo di Este, “Civiltà padana” 1, pp. 45-74; EAD. 1993, Le anfore di Altino, “Archeologia veneta” 14 (1991)], l'analisi dei bolli era per lo più possibile solo su base epigrafica, il che significava che si doveva tener conto delle trascrizioni, spesso eseguite da persone che dovevano ricavare dati plausibili da esem-

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M . BUORA - Boll i su anfore.. .

plari frammentati o illeggibili. A partire pro-prio dai recenti contributi, che sostanzialmente costituiscono un ampliamento e un parziale ag-giornamento su base regionale del classico re-pertorio del Callender, edito più di trent'anni fa (M. H. CALLENDER 1965, Roman amphorae

with index of stamps, London), è possibile a-nalizzare la diffusione dei singoli bolli sulla base di marchi riprodotti in scala 1:1 e ove possibile correlati a profili di colli di anfore.

Descrizione dei bolli

Nel caso di cui ci occupiamo una eventuale re-lazione tra i diversi marchi potrebbe essere suggerita, in via preliminare, solo alla somi-glianza dell'indicazione onomastica. I nostri esemplari appartengono a quel vasto gruppo di bolli impressi capovolti sul bordo e ora leggibi-li dall'alto. Se ne ricava che la loro lettura era prevista quando le anfore erano capovolte, quindi poste eventualmente ad asciugare in uno spazio apposito della fornace, prima della cot-tura. Prenderemo in esame tre diversi bolli, ac-comunati appunto da una certa somiglianza o-nomastica.

1) Il bollo DION è noto con lettere a rilievo entro cartiglio irregolare che misura cm 4,4 x 1,5. L'esemplare di Milano pubblicato dalla Bruno (Tav. II, 1) presenta un disegno delle lettere poco accurato, con una D allungata, come la O, e una N a tratti obliqui. I bordi del cartiglio sono stondati. L’esemplare milanese ha orlo arrotondato superiormente e incavato al-l'interno. L’ansa, di cui non conosciamo lo svi-luppo, ha sezione ovoidale. Per una definizione dell'impasto abbiamo a disposizione dati in-sufficienti.

2) II bollo DIONIS è ora noto in tre diverse

varianti, che si differenziano solo per la for-ma del timbro e non per il testo. Variante a) entro cartiglio grosso modo rettangolare di cm 4,3 x l,5 con tre triangoli (?) o forse denti di lupo impressi da ogni lato. Compare su un'anfora milanese con or-lo tendenzialmente piatto nella parte supe-riore, sostanzialmente non incavato all'in-terno, con anse a sezione ovoidale, ad an-damento rettilineo (Tav. II, 2). Variante b) entro cartiglio irregolarmente qua-drangolare (con i lati minori obliqui) di cm 7,2 x 1,6 delimitato ai lati da motivo a zigzag o a dente di lupo (con quattro triangoli sovrap-posti). Compare su un’anfora milanese con orlo tendenzialmente piatto nella parte superiore, leggermente incavato all'interno, con anse a se-zione quadrangolare con bordi stondati e ad an-damento a V (Tav. II, 3). Variante c) entro cartiglio curvo con lati minori stondati di cm 5,6 x 1,5. Compare su un'anfora aquileiese con orlo arrotondato nella parte su-periore, incavato all'interno, su un collo con anse a sezione quadrangolare con bordi stondati e rientranti nella parte inferiore (Tav. II, 4). 3) L'articolo di Starac, apparso nel 1996, per-mette di avere ora a disposizione un facsimi-le del bollo DIONVSOS, variamente letto e in-terpretato, qui riprodotto da un esemplare di Pirano (Tav. II, 5). Esso compare entro un carti-glio rettangolare, con il lato destro diritto e quello sinistro obliquo, di cm 5,6 x 1,1 (le misure sono vicine a quelle della variante c del bollo DIONIS). Dallo schizzo riprodotto si ricava l'idea di un orlo triangolare molto accentuato, con andamento diritto nella parte interna e tendenzialmente appiattito superiormente.

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Tavola II. Anfore con bolli DION - DIONIS (rielaborazione grafica di G. D. De Tina). Profili scala 1:4, bolli scala 1:1

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M. BUORA - Bolli su anfore...

Purtroppo i dati di cui siamo in possesso non comprendono un'accurata descrizione degli impasti e del colore del corpo ceramico: pur sapendo che questi possono variare nei diversi esemplari, una attenzione a questi aspetti a-vrebbe certo portato nuovi elementi di valuta-zione.

Osservazioni Il bollo DION presenta lettere molto di-

verse rispetto a quelle degli altri esemplari. Esso appartiene a quel gruppo, ben attestato special-mente nei marchi su anfore Lamboglia 2 che paiono potersi attribuire al periodo più antico, in cui viene riprodotta solo la prima parte del nome, in modo assolutamente incomprensibile per chi non sia addentro nel sistema delle sigle e quindi nella più intima razionalità della pro-duzione e della distribuzione dei prodotti.

Il bollo di Rovigno permette di riconosce-re e meglio intendere un bollo già edito, su anfo-re di tipologia non definita, e letto come DIONIS OB (Aquileia, S.I., 1077,57 a; Este. S.I., 1077,57 b e Brindisi, C.I.L., IX, 6079,22). L'ul-tima lettera risulta qui radicalmente cambiata, interpretata nell'esemplare di Rovigno come un sigma. al posto di una incomprensibile B. In tal caso avremmo qui un'indicazione onomastica al nominativo, in forma latina (la D al posto della delta), ma con echi greci (tale forse più che la traduzione V della Y è il sigma finale). Il profi-lo del labbro appare decisamente obliquo e in-clinato di circa 50°, mentre negli esemplari con bollo DIONIS l’inclinazione raggiunge i 70-80°, portando la parete esterna più vicino alla linea quasi verticale dell'interno.

Nel caso del bollo DIONIS dobbiamo os-servare che i tre esemplari di cui conoscia- mo la riproduzione grafica appartengono ciascuno

una variante diversa. Inoltre anche sezione e profilo delle anse appaiono molto diversi: le anse paiono avere un andamento rettilineo, decisamente angolato, oppure curvilineo e rientrante.

Aree di diffusione dei diversi bolli Il bollo DION è per ora attestato da un

unico esemplare a Milano. Esso dunque appar-tiene a quella vasta categoria di bolli che co-stituiscono un “hapax”. I1 fenomeno sembra in aumento, a giudicare proprio dai dati offerti dalla Starac, che presenta ben otto bolli prima sconosciuti. Ciò induce a riflettere sul fatto che le ricerche per la costituzione di un corpus de-gli esemplari bollati, generosamente intrapre-se dal van der Werff, dal Desy e da ultimo dalla Bruno urtano spesso contro la difficoltà di lettura, che talora inducono a reduplicazioni ingiustificate e ad errori che solo ulteriori rin-venimenti e confronti permettono di eliminare (vedi alcune osservazioni già espresse in “Quaderni Friulani di Archeologia” 5) e trova-no un grande limite nella possibile presenza di unica che a giudicare dalla capillare diffusio-ne, almeno lungo le coste e nei territori me-glio serviti dalle vie d'acqua, della Lamboglia 2, potrebbero rivelarsi ancora molto numerosi. Infatti su circa 340 bolli finora noti è da pensa-re che almeno due terzi siano attestati da un solo esemplare e in un'unica località: pur te-nendo conto dei probabili numerosi errori di lettura, sembra che il dato tenda a dimostrare una fabbricazione in officine capillarmente di-stribuite sul territorio e un commercio su vasta scala limitato a una sola parte dei marchi. Quando sarà disponibile ad esempio il corpus

dei marchi su anfore Lamboglia 2 trovate in Spagna o si potrà finalmente sapere qualcosa di più su

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Figura 2. Carta di distribuzione del gruppo di bolli DION (dis. G.D. De Tina).

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M . BUORA - Bol l i su anfore. . .

quelle vaste zone adriatiche (dall'Epiro alla Dalmazia, dal Molise alle Marche) di cui oggi ben poco si sa allora si potrà veramente cono-scere in maniera dettagliata la distribuzione di questi prodotti, per ora affidata per lo più a studi di carattere regionale, in larga misura ri-conducibili all'area nordadriatica e dauno-apula.

II bollo D1ONIS è presente a Milano (in due diverse aree, tra cui la via S. Valeria in un contesto giudicato di età augustea), probabil-mente a Lugano e ad Aquileia, in quest'ultima in un contesto formatosi nella prima età augu-stea. Sembrerebbe dunque probabile collocare la produzione di queste anfore entro il terzo quarto del l sec. a. C. L'assenza del bollo a Se-

vegliano, per quel che può valere, appare una possibile prova indiretta.

La carta di diffusione (Fig. 2) mostra una presenza concentrata soprattutto nella parte centrale della pianura padana, in partico-lare Milano, e solo sporadica ad Aquileia. Se ne dovrebbe concludere che si tratta, molto probabilmente di un prodotto milanese o co-munque lombardo che talora poteva venire esportato anche in area altoadriatica, ma che non sembra avere avuto un mercato molto ampio. Se questo è vero allora occorre valu-tare con attenzione i risultati dell'analisi del-l'impasto che sono stati interpretati come pro-va di un'area di produzione da localizzare nell'Adriatico medio-basso.

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UNO STUDIO SU CAPODISTRIA E ALTRE PUBBLICAZIONI DI ARGO-

MENTO ALTOMEDIEVALE DI AREA ALTOADRIATICA

Maurizio BUORA

Alla fine del 1996 è uscito in lingua slovena e italiana il bel volume di Radovan CUNJA, Capodistria tardoromana e altome-dievale. Lo scavo archeologico nell'area dell'ex orto dei Cappuccini negli anni 1986-1987 alla luce dei reperti dal V al IX secolo d.C., con 194 pagine di testo e 38 tavole (più alcune illu-strazioni a colori e foto di scavo) che mo-strano i 405 oggetti considerati nel testo. L'opera è di estrema rilevanza perché per-mette di effettuare una utilissima serie di con-fronti e di considerazioni, nonostante la di-chiarazione di modestia dell'A. "Mi si perdo-ni comunque se per il mio modesto lavoro ho voluto scegliere un titolo tutt'altro che tale. Mi rendo conto che ancora per qualche tempo non sarà possibile scrivere un’opera consistente che porti questo titolo e che comunque potrà trattarsi solo del frutto di una ricerca collettiva e interdisciplinare che impegnerà, oltre ad ar-cheologi, anche storici, storici dell'arte, studio-si nel campo delle scienze naturalistiche e altri ancora” (p. 9).

Al fine di comprendere meglio la porta-ta e il significato del materiale che viene pubblicato sarebbe stato opportuno premette-re una breve trattazione sull'area urbana di Capodistria, in modo da poter valutare l'im-portanza e l'eventuale significato del sito che è stato indagato.

Possiamo dire che il volume ci presenta un contesto che è essenzialmente bizantino, con modeste propaggini nell’VIII e IX sec. La prova viene dall'esame della sigillata africa-na. In questo R. CUNJA non si è potuto

avvalere del bel catalogo, di estrema utilità, di P. PRÖTTEL, Mediterrane Feinkeramik des 2.-

7. ,Jahrhunderts n.Chr. im oberen Adriaraum

und in Slowenien, Espelkamp 1996. L'analisi del centinaio di frammenti rinvenuti a Capodi-stria porta a conclusioni leggermente diverse nei due autori, che sono riassunte nella fig. 1. Emerge con estrema chiarezza, specialmente dallo studio del Pröttel, come la presenza di forme databili a prima della metà del VI sec. rappresenti una residualità trascurabile, pari al 3%. Al confronto i frammenti del Castello di Udine, pari al 10% di quelli finora noti di Ca-podistria (PRÖTTEL 1996, p. 243), si scaglio-nano in un arco di tempo che comprende circa quattro secoli e mezzo. I due siti. Udine e Ca-podistria, presentano importazioni di ceramica africana fino all’ultima forma, la H 109, data-bile dal secondo quarto del settimo secolo in poi, ma a Capodistria - in posizione molto più favorevole per i commerci via mare - il numero dei frammenti databili al VII sec. è pari a circa la metà di quelli del VI sec.

Se queste considerazioni sono esatte, devono essere verificabili anche in altre classi di materiali. In effetti una convincente riprova viene dall’esame dei vetri. Scrive R. CUNJA (p. 71) che “tra i recipienti in vetro... prevalgono i bicchieri a calice”. Osserviamo la mancanza quasi assoluta delle forme Isings 106 e 96, ti-piche del IV e del V secolo. Ora proprio la presenza di questi “Stengelgläser”, contraria-mente a quanto scritto ad es. in Bierbrauer 1987, è divenuta recentissimamen-

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M. BUORA - Uno studio su Capodistria...

te chiaro indicatore cronologico. Dopo le osser-vazioni di Lucia SAGUÍ (in La storia economica

di Roma nell'alto medioevo alla luce dei recenti sca-

vi archeologici, Firenze 1993, p. 121, nota n. 21. fig. 7, 33-34) anche Elisabetta ROFFIA (Vetri

tardo romani da scavi recenti, in Il vetro

dall’antichità all’età contemporanea, atti della I Giornata nazionale di studio, Venezia 1996, pp. 59-63, part. p. 60) analizzando i frammenti vi-trei presenti nelle trincee di asportazione dei muri del Capitolium di Verona, riempite in età gota, propone una datazione iniziale della for-ma alla fine del V - inizio VI secolo, confermata da scavi bresciani. A questa datazione giunge an-che M. Uboldi analizzando il materiale degli scavi del complesso di S. Giulia a Brescia (co-municazione presentata a Milano il 15 dicembre 1996 in occasione della II giornata nazionale di studio sul vetro). Indirettamente la data viene confermata dalla totale assenza di bicchieri a ca-lice nell'ambito degli scarti di produzione del maestro vetraio di Sevegliano, attivo entro i pri-mi decenni del V sec. (M. BUORA, in stampa).

Un altro elemento ci riporta al pieno VI secolo, ed è la cospicua presenza, proprio a Capodistria, dei bicchieri “a colonnine” qui attestati da ben tre esemplari. Sulla base anche dei rinvenimenti del Monte Barro Cunja propone una datazione generica al VI-VII secolo (p. 77). Sembra molto probabile che questa forme fosse prodotta in Aquileia in un’officina alle dirette dipendenze del vescovo locale, situata nell'ambito stesso del palazzo patriarcale aquileiese, all'interno di quello che fu il più importante horreum tardoan-tico della città. Così infatti pare di poter intendere il rinvenimento di un esemplare frammentato (l’unico di cui si conosca la provenienza) in questo sito insieme con uno o due pani di vetro (G. BRUSIN, Gli scavi di Aquileia,

Udine 1934, pp. 185-186) forse predisposti per essere venduti altrove o acquisiti per la produ-zione delle vetrate multicolori della basilica pa-triarcale e dei locali del palazzo. Ciò dovette av-venire prima che, nel 568, il vescovo Paolo si ri-fugiasse a Grado con tutto il tesoro della chiesa di Aquileia. Una data plausibile potrebbe essere il periodo dal 552 in poi, alla conclusione della guerra gotica che vide la restituzione del territo-rio di Aquileia al dominio bizantino, al tempo di Narsete. Ciò non è in disaccordo con i dati che si ricavano dagli scavi del Monte Barro, che porta-no a una datazione locale del calice “a colon-nette” (presente in un solo esemplare) entro la metà del VI secolo (UBOLDI 1991). Si potrebbe anzi pensare che queste presenze di vetro di pre-gio siano da intendere nell'ambito di quei rap-porti tra l'area comense e quella aquileiese che, già nel corso dell'avanzato VI sec. d.C., forma-vano quel quadro articolato di relazioni che a-vrebbe contribuito a portare la diocesi di Como, all'inizio del VII sec., nella sfera di influenza del Patriarcato di Aquileia.

La scarsa presenza di monete rinvenute nell'area del capodistriano orto dei Cappuccini conferma quella scansione cronologica che ab-biamo cercato di schizzare, in quanto la prima - che si considera nell’opera di cui si parla - ap-partiene al periodo di Giustino II e Tiberio (567 - 578), - ovvero immediatamente successivo al-l'epoca di Giustiniano (pp. 70-71).

Infine una notevole circolazione di merci nel corso del VI sec. è attestata anche da alcuni tipi di anfore. Ovviamente tra queste va ricordata l'anfora del tipo detto della “cisterna di Samo” già oggetto di una trattazione di P. Arthur (qui pp. 114-116). Si aggiunga l'anfora del tipo Ke-ay XXVI che sembra presente a Capodistria in una decina di esem-

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Quaderni Friulani di Archeologia V1/1996

plari (tav. 25, 286 e 28, nn. 30-308). Si impone a questo punto il problema della

datazione della ceramica grezza, questione su cui da anni si affaticano vari studiosi attivi in area altoadriatica e per la cui soluzione quest’opera presenta materiali di grandissimo interesse. In base a quanto abbiamo detto si dovrebbe supporre che la maggior parte (forse fino a poco meno di due terzi) degli esemplari di olle in ceramica grezza siano da datare, per analogia, nel corso del VI sec. salvo motivazioni di carattere diverso (utilizzo funzionale dell'area, situazioni strati-grafiche particolari etc.) sulle quali non siamo informati. Nell'opera in questione sono conside-rati una quarantina di fr. di olle: colpisce, a prima vista, la ridotta quantità di frammenti, apparente-mente meno numerosi rispetto alla terra sigillata africana, ma forse c'è stata una selezione da par-te dell'autore. Esse sono distinte in due gruppi, di numero pressoché equivalente, sostanzial-mente in base all’assottigliamento della parete sotto la spalla - carattere che viene considerato tipico degli esemplari più antichi, databili fino al VII sec. - e in base allo spessore costante della parete stessa - carattere che viene giudicato ti-pico delle olle databili dal VII sec. in poi. Un discorso statistico, anche sommario, avrebbe permesso di comprendere meglio l'importanza di questa classe di materiale e, al suo interno, la frequenza dei singoli tipi.

L'argomento dovrà essere tenuto nel debito conto, tuttavia va osservato che la materia è in corso di sistemazione [si veda ad es. il recente vo-lume a più mani AA. VV., Le ceramiche altomedievali

(fine VI - X secolo) in Italia settentrionale: produzione

e commerci, Brescia 1996] e che siamo ancora lungi dall’avere la chiarezza necessaria. Per quanto riguarda Capodistria è molto probabile che questi prodotti non fossero oggetto di impor-

tazioni e quindi la cronologia sfugga a confronti di va-sta portata. Certamente una adeguata considerazione degli impasti, degli inclusi ed eventualmente delle sfumature di colore (anche nella parziale, ma pur sempre utile classificazione Munsell) potrebbe portare ad acquisire qualche ulteriore elemento di giudizio.

Infine qualche parola per quanto concerne le fasi precedenti il VI sec. Dallo scavo sono emersi anche elementi databili nel periodo tardo-repubblicano e protoimperiale (cfr. Capodistria

tra Roma e Venezia, cat. della mostra, 1991, pp. 40-43) che nel volume di cui ci occupiamo non vengono considerati. Nessuna meraviglia che il sito favorevole di Capodistria, posto in una zona intensamente frequentata dalla navigazione co-stiera, sia stato frequentato in tutte le epoche. Colpisce specialmente la presenza di una placca ovale da cingulum militare, decorata a “Ker-bschnitt” che nel catalogo porta il n. 1 e che pare databile, a motivo della lavorazione, entro l’inizio del V sec. Il paragone con un esemplare di Salona, già edito dal Riegl, porta a osservare le dovute differenze. Colpisce specialmente la presenza di un esemplare identico a quello di Sa-lona nei magazzini del museo di Aquileia, at-tualmente in fase di studio e di pubblicazione da parte di chi scrive. La collocazione cronologica al primo quarto del V sec. d.C. non sembra in di-scussione, anche per il confronto con materiali provenienti da tombe ben datate (es. da Salzburg-Maxglan per si veda E. M. RUPRECHTSBERGER, Zu spätantiken Gürtel-

beschlägen aus Salzburg-Maxglan, in AA. VV.,

Die Römer in den Alpen, Arge-Alp, Bozen 1986, pp. 175-195). La particolare collocazione dei rinvenimenti di questo genere (ignoti altrove, ove sono invece attestate forme circolari, esago-nali, quadrangolari) potrebbe far pensare a un uso proprio dei marinai. E il

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M. BUORA - Uno studio su Capodistria...

caso di ricordare che in quello stesso periodo la Notitia dignitatum Occ. (42.4) ricorda un pra-

efectus classis Venetum ad Aquileia. La materia di cui si parla sollecita a

spendere qualche parola a proposito di un’altra opera di estremo interesse, precisamente J. DULAR, S. CIGLENEČKI, A. DULAR, Ei-

senzeitliche Siedlung und früchristlicher

Gebäudenkomplez auf dem Kučar bei Po-

dzemelj, che esce come n. 1 di una nuova colla-na intitolata Opera Instituti Archaeologici Sloveniae, Ljubljana 1995. Tralascio, per ma-nifesta incompetenza, la parte relativa all'età del ferro per soffermarmi brevemente su alcuni materiali che derivano dagli otto sondaggi ef-fettuati negli anni 1976, 1977 e 1978 nell'ambi-to di una chiesa paleocristiana e di un grande edificio dotato di prefurnio.

Gli scarsi resti di ceramica africana si possono così scaglionare

In base ai dati sopra esposti gli autori giudi-cano lo spettro delle forme databile dalla fine del IV all'inizio del VI sec. d.C. Possiamo notare che c'è una vasta area di sovrapposizione in coincidenza con la prima metà del V sec. allorché era in uso la maggior parte delle forme sopra elencate. Va da sé che questa datazione si estende anche gli og-getti metallici, al resto della ceramica e di conse-guenza anche alla grezza terracotta. Tralasciamo per questa volta le conseguenze che ciò comporta sulla diffusione del cristianesi-

mo, sulle questioni legate alla tipologia degli edifici ecclesiastici e alla loro eventuale dipenden-za da Aquileia e più in generale sulla storia del popolamento di questa parte all’estremo limite sud-occidentale della Slovenia, con i problemi annessi dei flussi delle importazioni di merci. Di fatto abbiamo a Kučar un contesto di pieno V secolo, in quanto tale utilmente paragonabile all’area a est del foro di Aquileia (ben diversa fun-zionalmente e abbandonata verso la metà del-lo stesso secolo) come per quanto riguarda i contesti di VI secolo possiamo contare oltre che su Capodistria, di cui si è qui diffusamente parla-to. anche sull'interessante area dell’Hemmaberg, la cui funzione e colloca-zione particolare impone naturalmente una serie di cautele nella valutazione dei resti della cultura materiale pervenuti fino a noi.

Gli autori insistono sulla mancanza di anfore (p. 153) che giudicano un elemento importante per la datazione. A questo propo-sito gli scavi di Capodistria dimostrano come le anfore africane della variante più recente (=Keay LXI e LXII), almeno in un’area co-stiera e quindi facilmente raggiungibile dai rifornimenti per via marittima, continuino anche oltre il V sec. e arrivino alla metà del VI sec. (p. 110) e probabilmente anche alla fine dello stesso secolo, come del resto sem-bra del tutto plausibile a giudicare dalla dura-ta della distribuzione della sigillata africana.

Dunque, lo studio sui materiali tardo-antichi e altomedievali di Capodistria, con altre opere recentemente pubblicate che ri-guardano lo stesso ambito cronologico e si ri-feriscono ad altre località dell’area altoa-driatica e dell'arco alpino orientale è in gra-do di costituire nuove importanti tappe per la conoscenza di un periodo che presenta ancora molti problemi irrisolti e zone d’ombra.

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Quaderni Friulani di Archeologia VI/1996

Tabella I. Analisi della ceramica africana di Capodistria. A sin. secondo Ph. Pröttel e a dx. secondo R. Cunja. In ogni colonna a sinistra è indicato il numero della classificazione dello Hayes e a destra il numero degli esemplari individuati.

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M. BUORA, A. LEONARDUZZI, G. NONINI - Scavi nell'ambito...

SCAVI NELL’AMBITO DI P A L A Z Z O OTTELIO (UDINE)

Maurizio BUORA - Aleardo LEONARDUZZI - Geremia NONINI

Dal dicembre del 1995 al mese di feb-braio 1996 sono stati effettuati scavi all’interno del palazzo Ottelio, in piazza I Maggio a Udine, già sede del Conservatorio “J. Tomadini”. Gli scavi, seguiti da G. Noni-ni e A. Leonarduzzi della Società Friulana di Archeologia, si sono svolti in stretto contatto con il personale della sezione archeologica dei Civici Musei di Udine e della Soprinten-denza regionale ai B.A.A.A.A.S.

L'indagine è stata motivata dal rinveni-mento di strutture precedenti l’attuale palaz-zo, di alcuni butti e soprattutto di numerosi frammenti di piastrelle in ceramica graffita. Nel corso dei lavori sono stati recuperati oltre 1.300 frammenti di piastrelle di vario genere, che costituiscono un fondo senza confronti in Italia e sono già state oggetto di una prima mostra nel dicembre del 1996 presso la sede della Soprintendenza a Udine.

Nel corso degli scavi si è appurato che alcuni frammenti delle stesse piastrelle (databili tra la fine del XV e l'inizio del XVI sec.) era-no inseriti nelle murature sottostanti, cronologi-camente attribuibili ai primi decenni del Cin-quecento. Tali murature formavano la prima fase, documentabile archeologicamente, del complesso. Ne facevano parte un vasto insieme di vasche, di varia forma e livello, collegate con prese d’acqua alla vicina roggia e con scarichi verso sud e anche in pozzi a fondo perso e cana-lizzazioni. A questa fase, che comportò diversi rimaneggiamenti con costruzioni sovrapposte, si devono attribuire anche le impronte di due ti-ni in legno che

erano incassate nel pavimento. L'insieme ha fatto pensare all’esistenza di una attività produttiva (lega-ta alla lavorazione della lana o dei cenciaioli oppure una bottega di conciapelli ancora una tintoria) di cui non si è ancora trovata traccia nei documen-ti.

L'edificio attuale, di cui si parla in docu-menti datati alla metà del Cinquecento (i primi che conosciamo), venne costruito nell’area di questa officina artigianale, che venne allora ab-bandonata.

Il materiale rinvenuto in tutte le stanze e anche all’esterno è databile dall'inizio del Quat-trocento in poi. Per la fase più antica si segna-lano alcune forme di ceramica grezza (secchiel-li, pentole con i piedi) non comuni nell’area ur-bana di Udine e una sola moneta del Trecento. Tra il materiale quattrocentesco indichiamo un boccaletto “friulano” dell'inizio del Quattrocen-to, ben attestato in altri siti, e un boccale roma-gnolo con decorazione a zaffera, prodotto intor-no alla metà del XV sec. Erano in connessione con la fase dell’officina artigianale vari tipi di tubature, anche con raccordi a più connessioni e di diverso diametro (da 2-3 fino a 30 cm) il che fa supporre la presenza di una rete di distribu-zione idrica, e numerosi vasetti di varie forme (anche poco comuni) e dimensioni che in via di ipotesi si ritengono usati come contenitori di pigmenti o altre sostanze impiegate per l’attività che qui veniva svolta.

Alla fase del palazzo, eretto da un nobile della famiglia veneziana Dolfin dal Banco, ap-parteneva il materiale contenuto so-

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Quaderni Friulani di Archeologia VI/1996

Scavi palazzo Ottelio 1996. Alcuni oggetti rinvenuti durante la ricerca archeologica (foto C. Marcon).

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M. BUORA, A. LEONARDUZZI, G. NONINI - Scavi nell'ambito...

prattutto in uno dei butti. Tra questo spic-cano alcuni eleganti e raffinati vetri, maioli-che (sia veneziane che faentine). In un altro contesto sono stati rinvenuti dei probabili oggetti di toeletta in osso e avorio. Proba-bilmente appartengono a questa fase due lucerne in ceramica grezza, di forma singo-lare, rinvenute con altro materiale, nel riem-pimento di una fossa di scarico posta all’esterno del palazzo, nel cortile a sud.

L’edificio rimase in uso fino a qual-che anno fa. Nel riempimento della cantina, costruita nella prima metà del XVI sec. per

conservare derrate, tra cui granaglie, erano stati gettati anche oggetti databili al XIX - inizio XX secolo (terraglie cristalline, terrecotte e vetri).

Contemporaneamente allo scavo si è svolto lo studio della documentazione suc-cessiva (secc. XVII e XVIII) che ha permes-so di individuare e riconoscere le fasi suc-cessive della costruzione dal momento in cui è attestata la proprietà Dolfin fino a quando l’edificio diventa di proprietà Ottelio.

Allo scavo hanno partecipato attiva-mente Carlo Fiappo e Alberto Saccavini.

Scavi palazzo Ottelio 1996. Una misericordia databile alla seconda metà del Seicento rinvenuta in uno dei “but-ti” scavati all’interno dell’edificio (foto C. Marcon).

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Quaderni Friulani di Archeologia VI/1996

NECROPOLI DI IUTIZZO (Comune di Codroipo - UD). SCAVI 1996

Maurizio BUORA - Massimo LAVARONE

Nel corso del 1996 sono proseguiti e so-no stati completati gli scavi nell’area della ne-cropoli di Iutizzo, già oggetto di una prima in-dagine di scavo nel 1995 (vedi “Quaderni Friulani di Archeologia” 1995, pp. 207-208). È stata indagata un’area di oltre 2.400 mq che ha portato all’individuazione di una cinquantina di tombe, la maggior parte delle quali disposte in sei file nella parte occidentale della necropoli e databili, in base agli oggetti di corredo e alle monete rinvenute nelle tombe stesse, nel corso del IV sec. d.C. . Le indagini sono state estese verso nord e verso ovest, ove si ritiene di aver individuato i limiti dell’area cimiteriale.

Tenuto conto della scarsità, specialmente in Friuli, di necropoli scavate per esteso e adegua-tamente pubblicate, del periodo tardo-imperiale, il caso di Iutizzo appare decisamente significati-vo, anche per le accurate analisi antropologiche effettuate sui resti dei cremati e degli inumati, pe-raltro conservati in condizioni non ottimali a moti-vo dell’elevata acidità del terreno. Ne è emerso un quadro molto interessante del popolamento della zona, a partire dal I sec. a.C. Esso appare assolutamente rarefatto nel corso del tardo II e in genere nel III sec. d.C., in linea con quanto si os-serva in altre necropoli dell’Italia settentriona-le. Nel IV sec. si osserva un massiccio incremento della popolazione, formato da alcuni militari e pro-babilmente dalle loro famiglie. Alcune tra le tombe più ricche presentavano una documentazione numismatica che veniva a infittirsi e a tron-carsi in corrispon-

denza con i noti fatti dell’usurpatore Magnenzio, intorno alla metà del secolo. L’abbondante ma-teriale rinvenuto permette di farsi un’idea e dei riti funerari e della capacità economica degli abitanti del territorio. Il confronto tra gli og-getti rinvenuti a Iutizzo e quelli recuperati nell’ambito della coeva necropoli di Sclaunicco ha permesso interessanti considerazioni sulla circolazione delle merci (ma anche delle mone-te) nelle diverse parti del territorio di Aqui-leia. A parte l’indubbio interesse delle tombe tardoantiche, si segnala la tomba n. 31, data-bile entro la prima metà del I sec. a.C. con una coppetta a pareti sottili di una forma scar-

Iutizzo 1996. Collana proveniente dalla tomba n. 38 (foto C. Marcon).

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M. BUORA, M. LAVARONE - Necropoli di lutizzo...

Iutizzo 1996. Ciotole in ceramica grezza e lucerne (fo-to C. Marcon).

samente nota e soprattutto con una fibula del tipo Nova Vas che si precisa sempre più come una creazione aquileiese, ben attestata spe-cialmente nell’agro della città. La chiara deri-vazione della fibula stessa da modelli La Téne si accompagna, nel corredo della medesima tomba, con una ciotola in pasta grigia, della

cultura materiale dei Paleoveneti, un’urna in qualche modo legata alla tradizione proto-storica e la coppetta di gusto italico, a dimo-strazione della varietà di influssi che in quell’epoca intergiavano nel territorio.

Il consistente e decisivo appoggio dell’Amministrazione comunale di Codroipo e il determinante aiuto della Banca di Credito Cooperativo di Basiliano hanno permesso di or-ganizzare una prima presentazione al pubblico dei più significativi reperti, che sono stati oggetto di accurati e intensi lavori di ricomposizione e di restauro. Ne è scaturita la mostra “I soldati di Magnenzio” che ha inaugurato il 20 di-cembre 1996 lo spazio espositivo della stessa filiale di Codroipo dell’istituto bancario. Nell’occasione è stato edito un ricco catalogo che è uscito come primo volume di una collana della Società Friulana di Archeologia intitolata “Archeologia di frontiera”.

I lavori sono proseguiti anche dopo l’apertura della mostra e ne sono frutto due contributi editi in questo stesso numero dei “Quaderni”. Lo scavo del 1996 e soprattutto la ricomposizione e lo studio del materiale hanno permesso di precisare la cronologia delle sepolture e anche di correggere alcune datazioni provvisorie, già proposte nel corso del 1995.

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Quaderni Friulani di Archeologia VI/1996

NECROPOLI DI LOVARIA( Comune di Pradamano - UD). SCAVI 1996

Maurizio BUORA - Massimo LAVARONE

Nell’estate del 1996 sono proseguiti gli scavi nella parte settentrionale del sepolcreto di età longobarda, a settentrione della zona ove l’anno precedente era stata rinvenuta la tomba del cavaliere Moechis. Si ritiene di aver raggiunto il limite settentrionale della necropoli, in quanto per una fascia di alcuni metri verso nord non si è trovata traccia di tombe. Segue l’elenco delle ultime sepolture rinvenute.

Tomba n. 97

Individuo di età adulta (con più di 21 anni) con testa a N e piedi a S. Orientamento: 8°

Quasi del tutto scomparsi il cranio e nessun dente. Rimangono le due clavicole, le scapole, la I e II costola e gli arti inferiori (femori e tibie).

Non c'è traccia di delimitazione di sassi intorno al corpo. Nella terra di riempimento della fossa vi sono numerosi sassetti, in parte disposti in una lingua ben distinta dalla vicina argilla.

Tomba n. 98

Fossa terragna contenente individuo adulto, di sesso femminile, con testa disposta a W e piedi a E. Orientamento: 82° La mandibola è aperta. Rimangono al

loro posto i due molari inf. e due premolari, definitivi. Il primo molare è abbastanza con-sumato. Il braccio dx è posto sul bacino (mano dx sul pube).

Presso i piedi, dal lato dx (sud) c’è un accumulo di grossi sassi. Vicino alla spalla sin. (N) c’è un fr. di diafisi di femore, pro-babilmente, che appartiene ad altra sepoltura. Anche a E del piede dx si trova parte della calotta cranica di un adulto.

Tomba n. 99

Scomposto durante lo scavo della t. 98? Deposizione di un individuo di età adulta, di cui rimangono fr. di ossa lunghe e parte della calotta cranica.

Tomba n. 100

Tomba di bambino, con testa a W e piedi a E. Orientamento: 85°

La parte dello scheletro conservata è lunga appena 65 cm (manca dei piedi e della parte inferiore delle tibie). Il cranio, molto piccolo, è conservato solo nella parte poste-riore. Rimane anche la mandibola, aperta verso il basso con alcuni denti. Si calcola che il bambino non fosse alto più di 70-75 cm. Riangono un premolare inf. sin, due molari inf, gli incisivi inferiori (definitivi). Ci sono due enormi molari con tre radici e alcuni denti da latte. Si calcola che il bambino potesse avere 5-7 anni.

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M. BUORA, M. LAVARONE-Necropoli di Lovaria...

Tomba n. 101

Tomba di adulto, (probabilmente di sesso maschile) con testa a N, piedi a SW. Orientamento: 195°.

La scatola cranica è quasi completa-mente fracassata. La mandibola è spalancata. Sul lato sin. rimane un molare sup. sin. con tre radici molto sviluppate. Gli arti inferiori sono ben conservati e anche i piedi. Le braccia sono accostate ai fianchi.

Sul lato E (fianco sin.) una quarantina di grossi sassi, disposti in tre file. Invece sul lato dx (occidentale) manca una fila di sassi: vi sono solo alcuni ciottoli isolati. Di fianco alla testa (a sin.) c’è un addensamento di altri 4-5 sassi. Ci si pone il problema se la fila di sassi fosse posta da un lato solo o se la parte dell’altro fianco sia stata asportata durante le arature, il che non sembra del tutto probabile. Va osservato che proprio la fila di sassi a E del corpo sembra averlo protetto nel corso dei lavori agricoli.

Sopra il bacino, in direzione NS (dalla testa ai piedi) c’è un pettine in osso. Presso il corpo si trova anche un acciarino.

È da segnalare la posizione del bambino n. 100, posto perpendicolarmente rispetto all’adulto n. 101.

Tomba n. 102

Il numero corrisponde a ossa umane sporadi-che (sconvolte dall’aratro?), una è una tibia, di un individuo adulto, apparentemente in o-rigine disposto con la testa W e i piedi a E. Orientamento: 268°.

Il cranio è ben conservato, rovinato solo nella parte superiore.

Tomba n. 103

Individuo adulto (probabilmente di sesso ma-schile) con testa a W e piedi a E. La tomba è quasi parallela alla n. 98, posta a una distanza di circa 60 cm da quella. Orientamento: 268°.

La mandibola è semiaperta e la testa è leggermente reclinata verso dx. Rimangono in posto, molto frammentati, la scapola e l’omero sin., i femori e le tibie.

Tomba n. 104

Individuo adulto di sesso maschile con la te-sta a W e i piedi verso E. Orientamento: 268°.

I denti della mandibola hanno nella parte superiore tutti lo smalto consumato e asporta-to. Lo scheletro è quasi integro, a parte la gabbia toracica, completamente scomparsa. I femori sono relativamente ben conservati.

Qualche sasso si trova lungo il fianco sin (lato N). Presenta un coltello tra i femori e una borchietta in ferro presso la spalla sin.

L’inumato si trova esattamente al di so-pra dei resti del cavallo,

Tomba n. 105 (Fig. 1)

Al limite occidentale, negli ultimi giorni di scavo, si è rinvenuta una sepoltura di adulto, (probabilmente di sesso maschile), orientata N-S. Orientamento: 195°.

In discrete condizioni di conservazione, è delimitata da ambo i lati da file di sassi.

A causa del maltempo, si è potuta recu-perare solo parzialmente. E presente anche un piccolo pettine in osso.

Il limite meridionale del cimitero sem-bra da porre parecchie decine di metri a Sud, in un campo che appare in parte sconvolto

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Quaderni Friulani di Archeologia VI/1996

Lovaria. Pianta della necropoli aggiornata con i rinvenimenti della campagna 1996 (dis. G.D. De Tina).

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M. BUORA, M. LAVARONE- Necropoli di Lovaria...

dalle recenti arature e in un’area che non è stato possibile indagare.

Gli scavi del 1996 hanno permesso di stabilire che dopo la costituzione della necro-poli la zona non venne in alcun modo utilizza-ta, se non per le colture agricole. Infatti nella parte settentrionale dell’area di scavo sono venute alla luce alla distanza canonica di 2 m, parti di viti già qui allocate.

Nel 1996 si è trovata chiara documenta-zione di una stratificazione.

TRACCE DI SISTEMAZIONI AGRARIE DI ETÀ TARDOREPUBBLICANA-PROTOIMPERIALE

Nell’area oggetto di scavo nel 1996 si sono trovati, al di sotto delle sepolture di età longobarda, tre fossi grosso modo paralleli (in realtà disposti “a zampe di gallina”) posti alla distanza di m 2-3 e profondi cm 60/80, con pa-reti ad andamento regolare disposte a V (Fig. 2). Quello occidentale conteneva nello strato inferiore del riempimento materiali databili al

Figura 1. Lovaria 1996. Tomba n. 105 (foto M Lavaro-ne).

primo periodo imperiale, che offrono un pre-ciso termine ante quem. Quello orientale, lar-go nella parte superiore conservata e misura-bile circa un metro, proseguiva in linea retta verso sud venendo a dividere l’area cimiteriale in due zone ben distinte e lambendo la parte sopraelevata ove è stata individuata nel 1995 la “capanna del fabbro”. E ora possibile com-prendere che la necropoli venne a stabilirsi su una sorta di duna sopraelevata disposta in sen-so N-S tra il vasto fossato, in parte dipendente da una naturale depressione del terreno, a ovest, e un fosso, probabilmente connesso con le prime sistemazione agrarie effettuate dai romani nella zona, a est. Il fosso orientale correva nella parte sudorientale interessata dallo scavo 1996, accanto a una fossa di sca-rico quadrangolare scavata nell’argilla, par-

Figura 2. Lovaria 1996. Uno dei fossati di epoca ro-mana venuti in luce durante la campagna di scavo (foto M. Lavarone).

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Quaderni Friulani di Archeologia VI/1996

zialmente riempita con pezzame di laterizi e frammenti di anfore. A sud di questa si esten-deva, ancora verso sud e verso est, una sorta di massicciata che si ricollegava con quella individuata e messa in luce nel corso degli scavi dell’area precedente, al cui interno si sono trovate delle basi più compatte e chiare tracce di rinzeppature, destinate probabilmente a sostenere e a saldare dei pali di legno. Il tutto è stato interpretato, in via provvisoria, come resti di costruzioni di forma quadrangolare in materiale deperibile (legno e paglia?) proba-bilmente destinate a depositi o forse meglio ancora a stalle, cui bene si addice la vicinanza di un fosso per la pulizia degli animali e per abbeverarli. È da notare che in questa zona a oriente del fosso - che rimase certo aperto e probabilmente funzionante fino almeno all’avanzato VII sec. - le sepolture sono più rade, irregolarmente disposte e che vennero a disporsi negli spazi liberi tra edifici poveri o

Figura 3. Lovaria 1996. Alcuni resti appartenenti ad un giovane cavallo (Foto M. Lavarone).

in materiale deperibile in uso in epoca roma-na. L’ipotesi che qui fossero ubicati eventuali stalle o recinti per animali si fonda sul fatto che la distanza rispetto all’edificio principa-le, con stanze mosaicate, è di circa 200 m, e posta a occidente, ovvero in modo che i cattivi odori fossero dispersi dai venti - che qui sof-fiano prevalentemente da est. Si aggiunga il fatto che parte di una carcassa di un giovane puledro (uno degli animali qui allevati?) era posta nella parte superiore del fosso centrale, insieme con numerosi frammenti di vetro da-tabili, in via provvisoria, al III - IV sec. d.C. (Fig. 3).

Nel corso del 1996 si è trovato, dunque, il limite settentrionale della necropoli e si è avuta una chiara stratificazione, mentre si è compreso che la necropoli stessa è venuta a occupare spazi abbandonati e di carattere uti-litaristico pertinenti alla precedente villa romana.

Hanno partecipato allo scavo i soci: Beltrame Lisa, Camerotto Rita, Cassano Filippo, Ce-scutti Gian Andrea, Christ Nives, Cieschi Francesco, Cumini Denis, D'Angela Donatel-la, Del Fabbro Alina, Di Lenarda Andrea, Fabbro Bruno, Fabbro Adriano, Feruglio Lui-gi, Feruglio Chiara, Feruglio Maria, Fiocco Angela, Fiappo Giovanni, Gabbana Gloria, Gargiulo Alessandra, Giuliani Roberto, Leo-narduzzi Aleardo, Lestuzzi Antonino. Luca-dello Anna, Montagnese Matteo, Nonini Ge-remia, Pasqualis Francesca, Perisutti Vin-cenzo, Piorico Micaela, Rosset GianFilippo, Rossi Giada, Scaravetti Stefano, Valent Claudio, Valent Michele, Zandigiacomo Lu-ca, Zanier Nicola, Zanutto Alessandra. Hanno collaborato Giorgio Denis De Tina e Veniero De Venz dei Civici Musei di Udine; ha partecipato inoltre all’intera campagna di scavo, per le analisi tafonomiche, la dott.ssa Licia Usai di Pisa.

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