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Breve storia del Karate La storia del karate non è chiara. La sua origine è avvolta nel mistero (Chitose Tsuyoshi, 1898-1984, fondatore dello stile Chito-ryu) L’isola di Okinawa e la nascita del to-te jutsu L’arcipelago del Giappone si estende a destra del continente eurasiatico ed è caratterizzato dalla forma ad arco, lo strumento marziale che, insieme alla spada, caratterizzerà in maniera significativa lo spirito guerriero e filosofico delle arti marziali giapponesi. A sud del Giappone, numerose isolette sono sparpagliate a rosario nell’Oceano Pacifico; tra queste vi è Okinawa, la culla del karate. Gli ideogrammi utilizzati per scrivere Okinawa da un cinese (Liu K’iu - Ryukyu) o da un giapponese evocano la forma delle isole “come pezzi di corda di paglia che galleggiano sull’oceano” (Tokitsu 2001, p. 16; Sells p. 3). Le dimensioni dell’isola principale di Okinawa sono le seguenti: 1250 km 2 circa, un settimo della Corsica; è lunga circa 108 km, con una larghezza che varia dai 5 ai 24 Km. Il clima marino subtropicale risente della calda corrente Kuroshio, proveniente delle Filippine, che è anche la causa dei tifoni che infuriano tra marzo e settembre. Il nord dell’isola è boscoso ed è scarsamente abitato, mentre la parte sud, che ha ultimamente conosciuto un boom economico, vanta diverse città cosmopolite: capoluogo è la città di Naha, da sempre il porto commerciale più importante di Okinawa. La Naha attuale comprende la vecchia città di Naha, e i villaggi di Shuri e Tomari, famosi per essere stati i luoghi di nascita e di sviluppo del karate. La posizione geografica vede l’isola di Okinawa a mezza via tra il Giappone e la costa Cinese di Fujian: il profondo influsso di queste due culture è palese in ogni aspetto della vita e della cultura okinawense. Il karate ne è forse la prova più evidente e famosa. Per una corretta comprensione della nascita e dello sviluppo di quest’arte, bisognerà sempre tenere a mente la peculiarità strategica e culturale della posizione geografica di Okinawa. L’antropologia e la linguistica hanno dimostrato le radici comuni di Okinawa e del Giappone. Le due culture sarebbero progredite di pari passo almeno fino al III a. C., per poi divaricarsi in maniera irrimediabile durante l’epoca Yayoi (III a. C. – III d. C.) e questa profonda divaricazione culturale sarebbe dovuta al diverso rapporto con la Cina: strettissimo da parte del Giappone, che assorbendo la cultura cinese e rielaborandola a modo suo, conoscerà una rapidità di sviluppo fino ad allora ignota; Okinawa invece resterà legata maggiormente alle sue tradizioni rurali. Nonostante la separazione culturale, i rapporti tra Okinawa e il Giappone non cessarono del tutto, diminuendo però drasticamente. Almeno fino al IX secolo, la cultura di Okinawa non conosce significativi progressi, salvo poi sviluppare una gerarchia in seno alle comunità di villaggi; alcuni capitribù (gli anji), si affermano in diverse regioni di Okinawa. Lo sviluppo di queste forze locali coincide con la comparsa del ferro, introdotto dal Giappone.

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Breve storia del Karate

La storia del karate non è chiara. La sua origine è avvolta nel mistero

(Chitose Tsuyoshi, 1898-1984, fondatore dello stile Chito-ryu)

L’isola di Okinawa e la nascita del to-te jutsu L’arcipelago del Giappone si estende a destra del continente eurasiatico ed è

caratterizzato dalla forma ad arco, lo strumento marziale che, insieme alla spada, caratterizzerà in maniera significativa lo spirito guerriero e filosofico delle arti marziali giapponesi. A sud del Giappone, numerose isolette sono sparpagliate a rosario nell’Oceano Pacifico; tra queste vi è Okinawa, la culla del karate. Gli ideogrammi utilizzati per scrivere Okinawa da un cinese (Liu K’iu - Ryukyu) o da un giapponese evocano la forma delle isole “come pezzi di corda di paglia che galleggiano sull’oceano” (Tokitsu 2001, p. 16; Sells p. 3). Le dimensioni dell’isola principale di Okinawa sono le seguenti: 1250 km2 circa, un settimo della Corsica; è lunga circa 108 km, con una larghezza che varia dai 5 ai 24 Km. Il clima marino subtropicale risente della calda corrente Kuroshio, proveniente delle Filippine, che è anche la causa dei tifoni che infuriano tra marzo e settembre. Il nord dell’isola è boscoso ed è scarsamente abitato, mentre la parte sud, che ha ultimamente conosciuto un boom economico, vanta diverse città cosmopolite: capoluogo è la città di Naha, da sempre il porto commerciale più importante di Okinawa. La Naha attuale comprende la vecchia città di Naha, e i villaggi di Shuri e Tomari, famosi per essere stati i luoghi di nascita e di sviluppo del karate. La posizione geografica vede l’isola di Okinawa a mezza via tra il Giappone e la costa Cinese di Fujian: il profondo influsso di queste due culture è palese in ogni aspetto della vita e della cultura okinawense. Il karate ne è forse la prova più evidente e famosa. Per una corretta comprensione della nascita e dello sviluppo di quest’arte, bisognerà sempre tenere a mente la peculiarità strategica e culturale della posizione geografica di Okinawa.

L’antropologia e la linguistica hanno dimostrato le radici comuni di Okinawa e del Giappone. Le due culture sarebbero progredite di pari passo almeno fino al III a. C., per poi divaricarsi in maniera irrimediabile durante l’epoca Yayoi (III a. C. – III d. C.) e questa profonda divaricazione culturale sarebbe dovuta al diverso rapporto con la Cina: strettissimo da parte del Giappone, che assorbendo la cultura cinese e rielaborandola a modo suo, conoscerà una rapidità di sviluppo fino ad allora ignota; Okinawa invece resterà legata maggiormente alle sue tradizioni rurali. Nonostante la separazione culturale, i rapporti tra Okinawa e il Giappone non cessarono del tutto, diminuendo però drasticamente. Almeno fino al IX secolo, la cultura di Okinawa non conosce significativi progressi, salvo poi sviluppare una gerarchia in seno alle comunità di villaggi; alcuni capitribù (gli anji), si affermano in diverse regioni di Okinawa. Lo sviluppo di queste forze locali coincide con la comparsa del ferro, introdotto dal Giappone.

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Tokitsu 2001 p. 19 offre anche un quadro sincronico delle principali innovazioni tecnologiche ad Okinawa rispetto al Giappone Okinawa Giappone

Capi di Stato XI-XII sec. I a. C.- I d.C. Scrittura XII sec. V sec. Buddismo XII sec. VI sec. Utensili agricoli in ferro XVI sec. VI-VII sec. Unificazione del paese XV sec. VII sec. Calendario XV sec. VII sec. Stato organizzato XV-XVI sec. VII sec. Opere letterarie XVI-XVII sec. VIII sec Opere storiche XVII-XVIII sec. VIII-X sec.

Lo schema è rivelatore dell’enorme divario intercorso tra le due culture, pur aventi all’inizio un comune denominatore. Nel secolo XIV, a seguito dei conflitti tra capi locali, sorgono tre Stati, o federazioni di comunità tribali: Chuzan (Montagna di mezzo); Nanzan (Montagna del sud); Hokuzan (Montagna del nord). Questo periodo, conosciuto col nome di Sanzan-jidai (Periodo delle tre montagne), è quello della rivoluzione agraria conseguente all’introduzione di utensili di ferro.

Nel secolo XIV i capi degli Stati Sanzan entrano in contatto con la Cina, inaugurando una nuova tappa nella storia dell’isola. I documenti offerti da Tokitsu 2001 p. 18-19 rivelano l’emblematica situazione di Okinawa nel XIV secolo. Nel 1376 l’imperatore Ming Hong Wu fa acquistare ad uno dei propri vassalli dei cavalli e dello zolfo ad Okinawa: la merce di scambio non è composta da sete preziose e da oggetti di lusso, ma da porcellane e vasellame di ghisa. Fino ad allora, per cuocere il cibo si usavano delle rozze pentole in terracotta, che dopo 4-5 giorni di utilizzo si rompevano. Satto (1353-1395), re di Chuzan, è il primo ad instaurare una relazione di vassallaggio con la Cina, precisamente nel 1372. Per la storia del karate questa è la prima pietra del ponte attraverso il quale l’arte della lotta cinese giungerà ad Okinawa.

Nel 1396 si colloca un avvenimento che avrà una importanza fondamentale nello sviluppo del karate: un gruppo permanente di 36 famiglie di artisti, scienziati e mercanti cinesi si trasferisce ad Okinawa, precisamente nel villaggio di Kume, nei pressi del porto di Naha. Tra di loro vi doveva essere anche molti esperti di arti marziali cinesi. Con la colonia di Kume, la cultura cinese entra prepotentemente nella cultura okinawense, rafforzando maggiormente gli scambi già avvenuti per via del fiorente commercio marittimo. Dopo l’unificazione del paese ad opera di Sho Ashi (1429), un altro re, Sho Shin, salito al trono nel 1477, pose fine al feudalesimo, fondò uno stato confuciano, spedì gli Anji (la classe nobile) a Shuri, impose il veto sulla libertà di circolare con la spada e decretò illegale il possesso di grandi quantità d’armi.

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È stato notato che queste misure di sicurezza anticiparono di oltre un secolo le medesime misure che furono adottate anche in Giappone: nel 1507, ad Okinawa, proibizione della proprietà privata delle spade e loro accumulo; un secolo dopo la stessa misura verrà adottata in Giappone. Circa centocinquanta anni prima che Tokugawa Ieyasu (il primo shogun) obbligasse i suoi daimyo a trasferirsi tutti ad Edo per meglio tenerli sotto controllo, Sho Shin ordinò ai suoi Anji di abbandonare le loro residenze per trasferirsi nel distretto del castello di Shuri. Circa un secolo prima che gli agenti di polizia Tokugawa stabilissero le tecniche di controllo civile facendo uso del rokushaku e del jutte, i funzionari della classe pechin di Okinawa, che a differenza dei loro colleghi giapponesi erano disarmati, avevano già consolidato un metodo di difesa basato sul kempo cinese. Il regno di Ryukyu si espanse e prosperò grazie al commercio con la Cina (soprattutto attraverso Fuchou, nella provincia di Fukien), con il sud est asiatico, la Corea e il Giappone, almeno fino al 1669, quando fu invaso dal clan dei Satsuma, provenienti del sud di Kyushu. Da allora, benché di fatto sia rimasta uno stato indipendente e pur mantenendo i contatti con la Cina, Okinawa conobbe un lento declino. I Satsuma rafforzarono gli editti sulle armi e nel 1699 vietarono l’importazione di qualsiasi lama. Nel 1724, grazie all’espansione delle classi più alte di Ryukyu (gli shizoku), fu concesso a questi nobili di dedicarsi al commercio, all’artigianato o di diventare proprietari terrieri nella campagna o nelle isole vicine. I contadini rimasero invece in una condizione di quasi schiavitù fino a quando le isole Ryukyu non vennero annesse, in seguito alla restaurazione Meiji del 1868, al Giappone e il re Sho Tai fu esiliato a Tokio.

Con ‘restaurazione Meiji’ si intende una serie di mutamenti politici, sociali ed economici che portarono in Giappone alla caduta del regime feudale dei Tokugawa (epoca del feudalesimo giapponese) e all’instaurazione dello stato unitario di tipo moderno, attraverso la restituzione dei poteri di governo dallo shogun all’Imperatore (da cui il termine di “restaurazione”). Aveva così inizio l’epoca Meiji (1868-1912), dal nome augurale e rituale che venne assegnato dell’Imperatore regnante Mutsuhito (1852-1912), il cui significato programmatico è “governo illuminato”. Fattori di ordine interno ed esterno concorsero alla genesi di quello che viene sempre più spesso, e più propriamente, chiamato il “rinnovamento Meiji”. Sul piano interno, verso la metà del XIX secolo la crisi dello shogunato dei Tokugawa era dovuta alla incapacità di dar vita a uno stato accentrato e di far fronte, con strutture ancora di tipo feudale, alle trasformazioni socio-economiche derivanti dallo sviluppo del mercato interno. L’apertura del paese ai rapporti con i paesi occidentali nel 1854 (trattato di Kanagawa) rese ancor più instabile il delicato equilibrio socio-politico su cui reggeva il regime shogunale, costringendolo a ricercare il consenso dei principali daimyo e dell’Imperatore, mentre contro i Trattati ineguali con i paesi occidentali (ritenuti lesivi della sovranità e degli interessi economici del paese per le clausole della extraterritorialità e della limitazione dell’autonomia doganale) si mobilitavano attivisti politici appartenenti agli strati medio-bassi della classe dei samurai che, insofferenti delle gerarchie feudali, ne chiedevano il superamento attraverso la restaurazione imperiale e l’abolizione del regime shogunale, accusato di cedimento nei confronti degli stranieri. La lotta politica si svolse con alterne vicende, avendo come epicentro Kyoto, la capitale imperiale, ma suscitando lotte violente anche presso i principali stati feudali. Dopo il tentativo di riaffermazione autoritaria del ministro Ii Naosuke, assassinato nel 1860, lo shogunato cercò di superare la crisi ricorrendo alla coalizione con la corte imperiale e i principali daimyo, del cui aiuto si serviva per espellere da Kyoto, nell’estate del 1863, gli attivisti antishogunali. Questi riuscivano però ad assumere il potere presso lo stato feudale di Choshu, dando vita, con la

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partecipazione di elementi provenienti anche dalle classi popolari, a corpi armati che resistevano con successo alle due spedizioni punitive inviate, nel 1864 e nel 1866, dal governo shogunale. La posizione di quest’ultimo era aggravata, negli anni 1866-1867, da difficoltà finanziarie e da un’ondata di rivolte contadine e urbane sul suo territorio, mentre i tentativi di riforma burocratica e militare intrapresi con l’aiuto francese erano ostacolati dalla stessa struttura feudale del regime; ad essi peraltro si contrapponeva il rafforzamento militare degli han di Choshu e Satsuma che, dopo aver sperimentato, nel 1863-1864, l’impossibilità di opporsi con le armi agli occidentali (bombardamento di Shimonoseki) avevano stretto rapporti con l’Inghilterra. La convergenza d’interessi spingeva Satsuma, nel 1868, ad allearsi con Choshu, abbandonando la coalizione con lo shogunato. Trovandosi politicamente isolato, lo shogun Tokugawa Yoshinobu accoglieva nell’ottobre del 1867 la proposta, avanzata dallo han di Tosa, di restituire formalmente il governo all’imperatore, mantenendone però la direzione. Per ovviare a ciò, Choshu e Satsuma ottenevano dal giovane imperatore, da poco asceso al trono, un decreto col quale proclamavano, il 9 dicembre 1867, la restaurazione imperiale e la decadenza del potere shogunale. Si insediava così al potere il nuovo governo Meiji le cui forze militari, guidate da una coalizione di quattro han (Satsuma, Choshu, Tosa e Hizen) davano inizio alla breve guerra civile (1868-1869) contro i sostenitori dello shogunato. Nel frattempo, però, lo shogun aveva già fatto atto di sottomissione all’imperatore e, nell’aprile del 1868, le porte della sua capitale, Edo, erano state aperte, in seguito a un accordo tra l’ala riformatrice del governo shogunale e i leader della coalizione imperiale. La città, divenuta così capitale imperiale, assumeva il nome attuale di Tokyo.

Il nuovo governo Meiji inglobò le isole dell’arcipelago di Ryukyu nella

prefettura di Okinawa e iniziò a giapponesizzare le tradizioni okinawensi considerante troppo straniere (ossia troppo cinesi) e ‘paesane’. Questa tendenza proseguì per tutta l’epoca Taisho (1912-1926) fino all’inizio di quella Showa (1926-1945), quando il Giappone divenne sempre più militarizzato, e terminò soltanto con la sconfitta del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale. È in quest’ottica che vanno analizzati i cambiamenti del karate nel passaggio da Okinawa al Giappone, nonché l’interessamento dimostrato dai funzionari giapponesi preposti per quest’arte marziale.

L’occupazione americana delle isole Ryukyu comportò una rivoluzione nell’economia dell’isola. Questa rivoluzione iniziò con battaglia di Okinawa (aprile del 1945) e terminò il 15 maggio 1972, quando il controllo politico di Okinawa ritornò al Giappone. I soldati americani di stanza ad Okinawa non esitarono a prendere lezioni di karate dai maestri, sia durante la seconda Guerra Mondiale, sia durante la guerra in Vietnam: questo è uno dei motivo per cui il karate okinawense è molto più sviluppato in America che in Europa.

Teorie sulla nascita e sullo sviluppo del karate

Quattro sono le teorie principali addotte dagli studiosi per spiegare la nascita e

lo sviluppo delle forme di combattimento okinawensi.

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La prima afferma che le tradizioni di combattimento si sarebbero sviluppate

per opera dei contadini oppressi, i quali avrebbero sviluppato e trasmesso,

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all’insaputa delle autorità locali, una micidiale arte di combattimento a mani nude, estendendo poi la loro abilità marziale anche sugli strumenti contadini con i quali erano maggiormente a contatto. Questa teoria è assolutamente priva di alcuna verosimiglianza, e se pure ha goduto di un qualche credito anni addietro, quando le arti marziali erano state presentate all’occidente avvolte da un alone di mistero e di romanticismo, è stata finalmente abbandonata grazie all’approfondimento degli studi a riguardo. Non esiste alcuna prova a sostegno della teoria per cui le arti marziali siano mai state praticate dai contadini. Tutto al contrario, i maestri più rappresentativi di karate del XIX secolo (la prima epoca di cui si può parlare con qualche barlume di certezza) erano nobili o militari afferenti la corte del re di Okinawa. È inoltre assai improbabile che la condizione di semischiavitù in cui erano tenuti i contadini abbia potuto permettere loro di inventare un’arte marziale complessa come il karate, e soprattutto padroneggiarla per autodifesa contro militari esperti.

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La seconda concerne l’arrivo ad Okinawa di Tametomo (1139-1170), un

guerriero di grande forza e fierezza, subordinato al clan Minamoto. A seguito di una sconfitta del suo clan ad opera del clan opposto dei Taira, Tametomo fu catturato ed esiliato nell’isola di Oshima, vicino alla montuosa penisola di Izu. Dopo qualche anno Tametomo finì per conquistare Izu aprendosi un varco verso est in direzione dell’arcipelago di Ryukyu. Essendo un abile stratega e primeggiando nella lotta, Tametomo invase in soli tre anni tutto il Kyushu. Arrivato ad Okinawa, vicino ad Unten, entrò in contatto con l’anji Ozato, signore del castello di Urazoe, e venne onorato per la sua forza militare. In seguito sposò la sorella di Ozato, divenendo signore di Urazoe. Il figlio di Tamemoto, dopo aver sconfitto Ryu (ultimo sovrano della dinastia Tenson), divenne il più potente anji dell’isola. Probabilmente le tradizioni marziali introdotte da Tametomo e dei suoi guerrieri sopravvissero alla fine della sua dinastia, avvenuta nel 1253.

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La terza teoria riguarda l’influenza delle “Trentasei Famiglie” di scienziati e

commercianti cinesi che si stabilirono nel villaggio di Kume, in seguito ai rapporti stretti tra re Satto e l’imperatore Hong Wu. In questo villaggio, i giovani okinawensi potevano imparare il cinese, e i migliori potevano usufruire anche di borse di studio per recarsi in Cina (i ryugakusei, o ‘studenti di scambio’). L’arricchimento della cultura di Okinawa attraverso la colonia di Kume fu incalcolabile. All’occasione era possibile imparare anche i mestieri più vari: la fabbricazione della carte, la laccatura, l’edilizia, l’architettura, il confucianesimo e la musica cinese. È assai probabile che le Trentasei Famiglie abbiano introdotto ad Okinawa anche le loro arti marziali. L’influsso culturale più profondo giunse dalla Cina tramite i sapposhi, inviati speciali dell’imperatore cinesi. I sapposhi viaggiavano fino ai confini più remoti per portare i dispacci imperiali e poi tornare indietro a riferire sulle situazioni locali. Su richiesta

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del re di Okinawa, i sapposhi vennero inviati nel regno di Ryukyu una ventina di volte in 500 anni, approssimativamente ogni volta che, a partire da re Bunei nel 1404, un nuovo re assumeva il potere. Di solito un sapposhi si tratteneva quattro-cinque mesi, ed era accompagnato da un seguito di 500 persone, comprendenti professionisti specializzati, commercianti ed esperti di sicurezza. Questi esperti potrebbero aver insegnato la loro arte marziale nel periodo di soggiorno ad Okinawa o aver assistito i giovani okinawensi che si recavano in Cina per apprendere la lingua cinese (e l’arte del combattimento). Uno di questi sapposhi aveva il nome di Wanshu (Wang Xiu in cinese). A tale riguardo è esemplificativo il caso di Norisato Nakaima (1850-1927), fondatore dello stile Ryuei-ryu. Questi, figlio di una nobile famiglia del distretto di Kume, fu destinato fin da piccolo a seguire i principi del Bunbu Ryodo (la filosofia dei sentieri gemelli del pennello e della spada, simbolo dell’equilibrio tra l’allenamento fisico e lo studio). All’età di nove anni fu inviato a Fuzhou per studiare letteratura e continuare a studiare le arti cinesi. Lì, da un amico della famiglia, addetto militare che aveva ispezionato Okinawa nel 1866 (dal 22 giugno al 18 novembre) in qualità di sottoposto del sapposhi Zhao Xin, fu introdotto alle arti marziali cinesi. Nel 1870 si dice che divenne uchideshi (allievo interno) di Ryuruko, col quale rimase 6 anni, fino a diventare un maestro riconosciuto.

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La quarta teoria è l’invasione Satsuma, una delle più accreditate per spiegare la

formazione del karate di Okinawa. Shimazu Yoshihisa (capo di sedicesima generazione del clan Satsuma di stanza nel Kyushu), aveva pianificato l’invasione di Okinawa per compensare le campagne fallite nella penisola coreana e le pesanti sconfitte subite ad opera di Tokugawa Ieyasu. La campagna contro il regno di Ryukyu iniziò nel 1609. A maggio venne conquistato il castello di Shuri ed il re Sho-nei si arrese. Il controllo Satsuma durò fino al 1879, anno in cui Sho Tai abdicò e Okinawa entrò ufficialmente a far parte dell’Impero Giapponese. Fu durante questa occupazione che le arti marziali subirono una evoluzione eclettica, adattando all’autodifesa anche gli strumenti di uso quotidiano. L’evoluzione del kobudo fu dovuta in gran parte anche a tale fenomeno. Durante l’occupazione, alcuni pechin si recarono a Satsuma ad apprendere il Jigen-ryu, il particolare stile dei samurai di Satsuma, per poi tornare in patria e influenzare i sistemi indigeni di combattimento. Questa teoria acquista credito se si pensa che l’arte del bo-jitsu (il bastone di un metro e 80 cm.) non fece la comparsa ad Okinawa se non dopo il ritorno in patria di Sakugawa e di Tsuken Koura dal loro soggiorno a Satsuma. Una delle figure più importanti per lo sviluppo e la sistemazione di quello che poi sarà noto come karate okinawense è senza dubbio Sokon Matsumura. Anch’egli, oltre ad aver studiato le forme natie di Okinawa, ed aver viaggiato in Cina, sembra che divenne un maestro di Jigen-Ryu (passione che trasmise anche ai suoi allievi, in particolare Azato). Con tutta probabilità è stato Matsumura ad elaborare tutte le sue esperienze e a fonderle in quello che poi sarà noto come shuri-te. È chiaro dunque che l’influenza Satsuma sia

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stata significativa nello sviluppo dell’arte okinawense di difesa personale, anche se rimane ancora difficile spiegare nel dettaglio la specificità di questi influssi.

Il castello di Shuri (ricostruito nel 1992)

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Da tode-jutsu a karate-do

Il karate (nell’accezione contemporanea di “mano nuda/vuota”, un’ambiguità semantica su cui torneremo) è l’arte marziale autoctona dell’isola di Okinawa. Come, quando, e dove il karate o le tecniche che lo compongono siano state elaborate, è una questione che rimane avvolta nel mistero e nella leggenda. Tecnicamente parlando, nella sua patria d’origine il karate, per tutto il corso del XIX secolo, non fu mai chiamato karate, ma molto più semplicemente Okinawa-te (pugno di Okinawa) o to-de (l’ideogramma to può anche essere pronunciato kara, ossia ‘mano cinese’, cosa che sottolinea gli intimi rapporti commerciali e culturali di Okinawa con la Cina), ed indicava un sistema di trasmissione marziale affidato alle famiglie di nobili o di uomini impiegati nell’entourage militare dei signori okinawensi, gli unici ad aver accesso al patrimonio delle tecniche guerriere. Un sistema di insegnamento, quindi, estremamente eterogeneo e vario, non riconducibile ad una radice comune anzi, al contrario, dipendente da tutta una serie di tradizioni diverse, innovazioni e contaminazioni personali. Il cuore del karate okinawense, e di tutte le arti marziali orientali, sono i kata, le forme prestabilite che, tramandate da maestro ad allievo, contengono le tecniche di lotta ereditate nel corso della storia. Tramandata in segreto da maestro ad allievo, la storia del karate di Okinawa diventa meno oscura solo nel corso del XIX secolo quando appaiono alcune figure di maestri che ne influenzeranno in maniera determinante lo sviluppo e l’evoluzione. Di questi, il più famoso è senz’altro Sokon Matsumura, guardia del corpo di vari re di Okinawa. La sua vita, pur con qualche incertezza nelle date, si estende per tutto il XIX secolo. Ebbe maestri cinesi per la lotta e giapponesi per la spada. Fu il sistematore del karate praticato nel suo villaggio natale, Shuri (allora capitale di Okinawa) e per questo, in seguito, definito shuri-te (‘pugno di shuri’). Ma nei villaggi circostanti venivano praticate altre forme di karate, caratterizzate da kata e concezioni strategiche diverse. Oltre allo shuri-te di Matsumura, dunque, a Naha (il porto commerciale più importante di Okinawa, di cui oggi è capitale) veniva praticato quello che poi sarà più noto come naha-te (“pugno di Naha”), profondamente influenzato dall’arte cinese sia nei movimenti sia nella respirazione, e il tomari-te (“pugno di Tomari”), l’arte praticate nel villaggio di Tomari, situato a poca distanza da Shuri e Naha e sintesi di questi due sistemi. Verso la fine del XIX secolo fu il maestro Anko Itosu (allievo di Matsumura) ad imprimere al karate quella svolta che lo avrebbe reso famoso in tutto il mondo.

Karate, è noto, vuol dire ‘mano nuda’. Il termine tradotto con ‘nudo’ (o ‘vuoto’) andrebbe inteso inoltre in un doppio senso: il primo ‘concreto’, qualificherebbe il karate come arte marziale praticata senza l’ausilio di armi; il secondo, più ‘filosofico’, qualificherebbe il fine ultimo della pratica del karate, ossia

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il raggiungimento della ‘illuminazione’ tramite la consapevolezza della vacuità della realtà.

Tuttavia, pure nell’incertezza delle testimonianze scritte (e si ricordi che alcuni documenti preziosi sono andati distrutti durante l’occupazione americana dell’isola di Okinawa durante la Seconda Guerra Mondiale), ad Okinawa ciò che sarà conosciuto in tutto il mondo come ‘karate’ si chiamava semplicemente ‘te’ o ‘tode’, ossia “pugno” o “pugno cinese”.

È mia intenzione dunque cercare di esemplificare quanto più chiaramente possibile il processo ideologico che ha condotto alcuni grandi maestri, tra cui spicca Funakoshi, a stabilire la grafia attuale del termine karate (fondamentalmente nel periodo che va dal 1930 ai prodromi della Seconda Guerra Mondiale). Si ricordi che questa grafia non è che l’anello conclusivo di una serie di tentativi più o meno riusciti rivolti ad inquadrare un’arte non meglio specificamente identificata anche nella sua patria di origine, l’isola di Okinawa, ma che ormai era divenuta di dominio pubblico anche in Giappone.

Va subito detto che la storia dell’evoluzione del termine ‘karate’ si intreccia non solo con il processo di un necessario ripensamento estetico e pedagogico dell’arte, ma soprattutto con la necessità di un indispensabile allineamento nei confronti delle sempre più pressanti istanze nazionalistiche e politico-militari allora dominanti in Giappone.

Come per le biografie di quei maestri in attività all’incirca durante la metà del XIX secolo, e che hanno gettato le basi per il riassetto del ‘tode’ okinawense (tra gli altri Matsumura, Itosu, Higaonna e Azato, quest’ultimo in qualità di primo maestro di Funakoshi), anche per quanto riguarda la storia del termine karate ad Okinawa prima del 1900 dobbiamo avanzare ipotesi basandoci sui pochi ricordi orali di questi maestri tramandati sino ai nostri giorni grazie al ricordo degli allievi degli allievi...

Obbligatorio è iniziare con quanto riferisce Funakoshi, maggiore responsabile, benché non unico, dell’innovazione nella grafia e nell’interpretazione del karate come ‘mano nuda/vuota’.

Questi ci conferma almeno due cose: ad Okinawa, prima del XX secolo, non esisteva alcun documento scritto che riportasse il termine tode, motivo per cui non era ben chiaro se la parola karate fosse scritta con il kanji ‘Cina’ o con il kanji ‘vuoto’.

Ad Okinawa, i primi tre scritti in cui si parla di arti marziali, o che hanno una qualche relazione con il karate, sono: - il ‘rotolo di Matsumura’ (1882), dove si parla genericamente di ‘arte marziale’;

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- uno scritto di Hanashiro Chomo (1905), su cui vd. infra e in cui per la prima volta compare il kanji ‘kara’; - le ‘dieci regole’ di Itosu (1908), in cui però troviamo ancora la denominazione tode).

Funakoshi ritiene probabile che all’inizio il kanji utilizzato fosse quello

indicante la dinastia cinese Tang (618-907 d.C.), ma che allo stato attuale dello sviluppo e del perfezionamento del karate, ormai profondamente diverso dal quanfa cinese dal quale derivava, non vi era più alcun motivo di mantenere il collegamento con l’arte marziale cinese; Funakoshi stesso, seguendo la tradizione, nel primo libro da lui pubblicato in Giappone, To-te jitsu (1922), scriveva karate con il kanji indicante la dinastia Tang.

Com’è noto, una delle insidie lingua Giapponese è l’omofonia delle parole, ossia kanji di significato differente si possono pronunciare con un identico suono. Per capire quale sia il significato corretto di una parola, un giapponese deve basarsi sul contesto della frase o vedere necessariamente il kanji in questione. Karate è un tipico esempio di questa ambiguità. Il secondo kanji del termine karate (vd. figura 1) non pone alcuna difficoltà: ‘te’ vuol dire ‘mano’; ma kara è più insidioso, infatti per lo stesso suono esistono due kanji: uno che indica ‘nudo/vuoto’ (vd. figura 2), e che si pronuncia kong in Mandarino e kara in Giapponese, ma può essere pronunciato anche ‘aki’, ‘ku’ e ‘sora’, ed un altro (vd. figura 3) che è invece il carattere cinese attribuito alla dinastia Tang, e per estensione quindi la Cina stessa, o comunque indicante qualcosa di proveniente dalla Cina (questo kanji può essere letto altresì tang, to o kara).

I maestri okinawensi chiamavano la loro arte semplicemente te o to-de (così Hanashiro Chomo in McCarthy 1999 p. 60) o bushi no te, ‘mano di guerriero’ (Funakoshi 1987 p. 46), mentre Chojun Miyagi, fondatore del goju-ryu, era convinto del fatto tode fosse una denominazione casuale: quando gli allievi si presentavano per essere istruiti chiedevano di apprendere semplicemente il te (McCarthy 1999 p. 61); Gusukuma Shinpan, insegnante presso le scuole superiori, segnalò invece l’insofferenza dei giovani per il termine tode (probabilmente per via del crescente nazionalismo filonipponico e anticinese), per cui preferiva chiamare la sua arte kempo: era però d’accordo sulla scelta ‘karate-do’ coi kanji che poi diverranno famosi in tutto il mondo (sul meeting del 1936. vd. infra).

Se è vero dunque che, grosso modo, il karate è il frutto dell’evoluzione di un’arte autoctona okinawense unitamente agli importantissimi influssi delle arti marziali cinesi, è pressoché certo che con karate non si potesse intendere altro che ‘mano cinese’.

Allo stato attuale delle nostre conoscenze, il primo ad utilizzare il kanji giapponese ‘vuoto/nudo’ in uno scritto sul karate (forse il primo documento specifico in assoluto) fu Hanashiro Chomo in uno testo del 1905 intitolato Karate Shoshu Hen. Hanashiro Chomo, il quale con Kentsu Yabu era stato uno degli eroi di Okinawa nella guerra contro la Cina ed era stato uno dei pochissimi okinawensi ad essere

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arruolato nelle truppe giapponesi, poteva esserne stato influenzato dall’ideologia militare fortemente nazionalistica che mirava a screditare e svalutare tutto ciò che era cinese. Ma si trattava probabilmente di un caso isolato (forse di un primo tentativo di svecchiamento), che non ebbe alcun seguito, poiché i maestri più anziani non erano partiti per la guerra, e la Cina continuava per loro ad essere un modello culturale, benché ormai Okinawa fosse divenuta una provincia Giapponese. D’altra parte, benché Azato ed Itosu fossero dichiaratamente filogiapponesi, Itosu, il cui manoscritto è conservato e risale al 1908 (era quindi sicuramente a conoscenza dello scritto del suo allievo Hanashiro Chomo), scrive ancora ‘karate’ con i kanji indicanti la ‘mano cinese’.

Le cose dovettero tuttavia cambiare, dovevano anzi già essere cambiate di molto, quando Funakoshi fu invitato dal maestro Jigoro Kano in Giappone a diffondere la sua arte. L’insegnamento del karate, nonostante l’arretratezza propedeutica e metodologica rispetto ad altre arte marziali quali il judo e il kendo, ormai già popolari e utilizzate a fini militari anche in tornei organizzati, suscitò un notevole interesse. Si impose allora per Funakoshi il problema della nomenclatura, non solo del termine karate (che sapeva troppo di Cina e non poteva essere culturalmente accettato dal nazionalistico Giappone) ma anche dei nomi dei kata foneticamente troppo cinesi. Funakoshi giustamente notava come il karate praticato nella sua gioventù era già qualcosa di profondamente diverso dal kung fu dal quale derivava. Inoltre la semplificazione avvenuta in Giappone per esigenze didattiche giustificò la ricerca di una terminologia alternativa. Tuttavia il processo di giapponesizzazione non fu immediato. Nel 1922 Funakoshi pubblicò un libro intitolato Ryukyu kempo karate, seguito nel 1924 da un’altra pubblicazione intitolata Goshin karate jutsu (‘l’arte del karate: rafforzamento energetico ed autodifesa’), ma gli ideogrammi sono ancora quelli che indicano la Cina. Quando ormai il karate era stato introdotto all’interno delle Università giapponesi, Funakoshi propose la seguente denominazione: Nippon Kempo karate-do, ossia ‘la via del Grande Metodo di pugilato giapponese a mani nude’ utilizzando finalmente l’ideogramma ‘nudo/vuoto’. I Giapponesi potevano essere soddisfatti. Non solo le origini cinesi, ma anche quelle okinawensi, comunque troppo ‘paesane’ per i sofisticati nipponici, erano state cancellate. Ad Okinawa, invece, i maestri più oltranzisti non furono soddisfatti di questa scelta: in primo luogo perché ad Okinawa l’uso delle armi non era affatto estraneo al karate, anzi i due insegnamenti andavano di pari passo. La dizione ‘mani nude’ quindi non rendeva ragione alla vera essenza karate okinawense. I più illuminati, tuttavia, soprattutto quelli che avevano già visitato il Giappone e avevano iniziato ad insegnarvi la loro arte, concordarono in pieno con la coraggiosa scelta di Funakoshi e soprattutto con le istanze nazionalistiche che sottostavano questa scelta: Funakoshi non aveva innovato di propria scelta, ma aveva seguito i suggerimenti che gli erano giunti dalle alte sfere delle arti marziali nipponiche, rappresentanti del Butokukai di Tokio.

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In McCarthy 1999 vi è la trascrizione inglese del meeting del 1936 fra i più importanti maestri di Okinawa proprio riguardo la necessità di adottare la grafia karate-do “via della mano nuda”. I più illustri maestri dell’epoca, Chojun Miyagi, Chutoku Kyan, Hanashiro Chomo, Kentsu Yabu, Shimpan Shiroma, Choki Motobu, Chosin Chibana, concordarono sulla necessità del cambiamento. Per raggiungere la popolarità ed allargare la conoscenza del karate nella madre giapponese, il cambiamento era necessario, i tempi lo imponevano: la guerra con la Cina era stata già archiviata, ma gli scenari internazionali erano torbidi, la Seconda Guerra Mondiale sarebbe scoppiata di lì a poco, e al Giappone serviva una arte marziale efficace e completamente integrata nel suo sistema ideologico.

Il karate era ormai divenuto ‘mano nuda/vuota’. Funakoshi però non era uno sprovveduto, era anzi un intellettuale di stampo confuciano ben consapevole dei doveri dell’uomo verso la società. Aveva avuto la fortuna, a suo tempo, di studiare coi più grandi maestri della sua epoca, che gli avevano insegnato come il karate non fosse solo una forma di ‘jutsu’ di tecnica pura e semplice, quanto piuttosto una sorta di ‘do’, confucianemente intesa come via per il miglioramento di se stessi e della società in cui si vive. Funakoshi, anch’egli esperto conoscitore dei classici confuciani, lo sapeva bene e per meglio giustificare la sua operazione culturale, attirò l’attenzione su alcune scritture del buddismo zen dove compariva proprio il termine kara ‘vuoto’, indicando il percorso dallo studente zen che mira a liberarsi dalle sovrastrutture ideologiche e mentali per raggiungere alla fine il vuoto, o assenza di pulsioni. Per la precisione Funakoshi fu ispirato dal Maha Prajna Paramita Sutra. Questo sutra, composto in India intorno al IV secolo d.C. è uno dei testi fondamentali del buddismo, studiato e recitato ancora oggi nell’ambito della tradizione sia zen sia tibetana. L’importanza del testo è dovuta al fatto che esso condensa in pochi versi ciò che viene considerato il “cuore” dell’insegnamento buddista: la comprensione totale del carattere vuoto ed impermanente di qualsiasi manifestazione o categoria in cui catalogare il flusso continuo del mondo. L’insegnamento del Sutra si propone sotto forma di discorso che il mitico bodhisattva Avalokitesvara, simbolo cosmico della compassione, indirizza a Sariputra, discepolo storico di Gautama Budda (in neretto l’espressione utilizzata da Funakoshi).

L’essenza della Visione Profonda

1 Puro sentire,che attinge al cuore di tutte le cose,

Avalokita, affiso nell’intuizione perfetta,

vede fluttuare disciolte le cinque mutevoli

soglie dell’io, e recide la pena

che tutti accomuna. 5 Oh Sariputra,

ogni fenomeno affiora

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dall’insondabile abisso, che cela e trascende gli opposti:

la Vacuità. La forma è vuoto, il vuoto è forma,

10 ininterrotte, nella vastità cangiante, trapassano le sensazioni, le percezioni, le nostre

interiori reazioni, e l’ampio dominio chiamato

coscienza dell’ego. Oh Sariputra,

non ha consistenza la serie infinita di tutte le cose,

non esistono nascita e dissoluzione,

non c’è purezza né macchia, 15 né crescita, né diminuzione.

E dunque, nel vuoto, insostanziale è ogni forma,

ogni interno richiamo della mente e dei sensi,

ogni moto attivato dalla volontà

e dalla coscienza evocato. Illusorio è lo specchio dei sensi,

gli occhi, la lingua, il naso, le orecchie, il corpo e la mente,

non possiede vita a sé stante l’aspetto o il sapore, il suono o l’odore,

il tatto o l’oggetto mentale. 20 Se dunque è apparente ogni cosa

e senza una propria sostanza, non c’è da pensare che esista ignoranza

o di essa possibile fine, e vecchiaia è illusione e la morte,

come pure la loro estinzione. Ma se pur non c’è causa di pena,

non cessa la pena del mondo, né val, per estinguerla, Nobile Via, perché vuoto è ogni conseguimento

25 o completa rinuncia alla quale approdare. Così, l’essere emerso dal buio,

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compenetrato della Visione Profonda, non ha il cuore e la mente ostruiti,

non alberga paura, 30 e sciolto da ogni illusorio richiamo

può riconoscersi libero, infine. E chi, nell’immoto fluire del tempo,

si è aperto al puro sentire, affidato alla Prajna Paramita, realizza il supremo risveglio.

35 Conosci ora il cuore della Visione Profonda: è il grande mantra incantato,

magia splendente e suprema,

l’incomparabile mantra, 40 che scioglie ogni pena.

Non c’è inganno, ma rivelazione, nel mantra che esprime l’essenza

dell’unico Vero con queste parole:

Andare, andare oltre, trascendere

approdare al di là, nel cuore radiante e perfetto

del puro Risveglio: adesso!

Funakoshi riuscì ad ottenere l’approvazione dei suoi connazionali motivando la

sua scelta anche con l’introduzione del concetto filosofico di kara come ‘vacuità’. Eppure il karate okinawense, almeno quello più antico, non aveva niente a che vedere né col buddismo né con lo zen, filosofie quel tempo non erano molto seguite ad Okinawa, e in effetti Funakoshi non insistette troppo su astrazioni filosofiche da monastero, quasi ‘iniziatiche’ che anzi gli erano anzi affatto estranee. Per Funakoshi, uomo concreto, la ‘vacuità’ era anche un arma: «lo studente di karate-do deve rendere la mente vuota di personalismo o cattiveria, nello sforzo di reagire in maniera opportuna a qualunque cosa possa trovarsi davanti». Inoltre la tendenza volta a trasformare jutsu a do (o meglio a shugyo: un concetto indicante un’austera disciplina per il miglioramento fisico e spirituale dell’uomo), era in nuce già praticata dai maestri della generazione precedente quella di Funakoshi, soprattutto da Itosu, Azato e Higaonna.

Nel 1935 Funakoshi scrive il suo testo più importante Karate-do Kyohan, ‘L’insegnamento del karate-do’. I kanji utilizzati sono ormai quelli che indicano “mano nuda’. Il karate okinawense rimarrà ancora a lungo confinato in patria, mentre quello di Funakoshi, lo Shito-ryu di Mabuni, il Wado-ryu di Otsuka (l’unico giapponese tra i fondatori e ironia del destino sarà anche l’unico a mantenere i nomi

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originali cinesi dei kata!), il Goju-ryu di Miyagi, faranno il giro del mondo e faranno conoscere il karate giapponese, la mano nuda/vuota’.

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I principali stili del karate di Okinawa

Premesso che il concetto di “stile” di karate è una innovazione moderna rispetto al tode okinawense del XIX secolo, la lista che si propone qui di seguito non ha pretese di esaustività e si limiterà a segnalare gli stili derivati dai nomi più noti e leggendari dei grandi maestri okinawensi.

Come premessa, bisogna ricordare che il karate okinawense si “divide”, ma spesso confondendosi, in tre filoni principali: shuri-te, tomari-te e naha-te, dai nomi dei villaggi in cui queste arti erano maggiormente sviluppate.

Tomari-te Naha-te Shuri-te

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Stili derivati dallo shuri-te e dal tomari-te,

e comunemente definiti SHORIN-RYU

- Matsumura Seito (ortodosso) Shorin-ryu di Hohan Soken

La vita di Sokon Matsumura era già avvolta nella leggenda quando Funakoshi citava le sue gesta. Hoan Soken (25 maggio 1889 - 30 novembre 1982), che prima di morire era il maestro di karate più anziano di Okinawa, sostiene di essere il successore di terza generazione di Matsumura, avendo appreso il karate da uno dei nipoti del grande maestro, Nabe Matsumura. Le date di nascita di Nabe Matsumura sono ignote (probabilmente 1850-1930 circa), come del resto poco o nulla si sa della sua vita. L’unica cosa certa è che doveva trattarsi di un ottimo maestro e di una persona rispettata ad Okinawa, come dimostra il suo appellativo Tanmei, che vuole dire “onorevole” o “anziano”, appellativo che ancora oggi a Okinawa è sinonimo di rispetto. In quale misura il karate di Nabe Matsumura rispecchiasse quello di Sokon Matsumura è difficile a dirsi (Sells, insieme ad altri, dubita persino dell’esistenza di questo personaggio, cfr. Sells p. 196). È Hohan Soken stesso ad ammettere che Matsumura aveva molti allievi, e che ognuno di loro aveva studiato e sviluppato a suo modo l’arte di Matsumura. Hohan Soken fu però l’unico allievo di Nabe, cosa che gli permette di affermare che il suo karate è più antico e in certa misura più efficace delle sue versioni moderne. I ricordi dell’allenamento e dei primi passi nel mondo del karate il maestro Soken li ha conservati per noi in una famosa intervista condotta in spagnolo con Ernest Estrada, condotta il 10 settembre 1978 presso il club Kadena NCO presso la base aera di Kadena. In questa intervista Hoan Soken ricorda come il suo ingresso nel mondo del karate avvenne intorno al 1902-3, per interessamento dello zio Nabe, che ne notò le doti e l’interessamento nei confronti dell’arte, allora chiamata ancora Uchinan Sui-di. In quell’epoca di profondi cambiamenti nella

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società okinawense, la famiglia di Soken, seppur di nobile ascendenza, per sopravvivere aveva bisogno di lavorare, e il giovane Hoan doveva lavorare duramente nei campi insieme ai contadini. L’allenamento doveva dunque svolgersi la mattina prima del lavoro e la sera dopo il lavoro, sia per necessità sia in seconda istanza per mantenere la segretezza. La prima cosa che Nabe insegnò a Hoan fu l’equilibrio, poi l’irrobustimento fisico. Gli esercizi venivano effettuati adattando le necessità dell’allenamento al lavoro. Così gli strumenti erano alberi di banano e di pino. Dopo l’irrobustimento veniva la pratica dei kata di Matsumura. Il kata più importante era il kusanku (preferenza che Matsumura trasmise anche ai suoi allievi “esterni”, ed infatti il kusanku rimane il kata più rappresentativo della linea shorin), praticato sovente con i kanzashi. Il kata segreto di Matsumura era però l’hakutsuru, che venne insegnato a Hoan Soken da Nabe Matsumura dopo dieci anni di allenamento. Si trattava di un kata difficilissimo, l’equilibrio ne era l’elemento distintivo. Soken apprese questo kata dapprima sul terreno, per poi praticarlo su di un tronco di pino, e come ultimo livello di maestri su di un tronco di pino galleggiante e ancorato.

Nel 1924 Hoan Soken si trasferì a Buenos Aires in Argentina, dove era presente una folta comunità di Okinawensi, dapprima come fotografo, poi lavorando in una lavanderia. Nel frattempo proseguiva nell’allenamento e nell’insegnamento del karate. Il ritorno ad Okinawa, in condizioni economiche relativamente agiate, si situa nel 1952. La situazione del karate, nel frattempo, era radicalmente mutata. Dapprima Soken non insegnò pubblicamente, ma solo a pochi familiari. Questi in seguito gli aprirono un piccolo dojo. L’arte che Soken insegnava all’inizio si chiamava, nel dialetto di Hogen, Machimura sui-de (in giapp. Matsumura shuri-te). Nel 1956 il cambiamento del nome in Matsumura seito Shorin-ryu karate-do. La pratica era quella della vecchia scuola, perché Soken non ha mai né compreso né accettato i nuovi standard d’insegnamento, troppo commerciali per la sua mentalità e troppo “soft”: vivere o morire è il karate per Hoan Soken, un pensiero comune ai maestri della vecchia scuola. Vivere o morire in un combattimento poteva essere la differenza anche tra la vita e la morte per la propria famiglia. Una vita, e un allenamento molto diversi da quelli che molti di noi hanno conosciuto.

Nabe Matsumura insegnò a Soken i seguenti kata: Naihanci shodan/nidan/sandan Pinan shodan/nidan Passai dai/sho Chinto Kusanku Gojushiho Sesan Rohai 1-3 Hakutsuru

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Tra gli allievi più illustri di Hoan Soken vanno ricordati Seiki Arakaki, Fusei Kise, Jushin Kohama, Mitsuo Inoue, Hideo Nakazato.

- Kobayashi Shorin-ryu di Chosin Chibana

Choshin Chibana (1885-1969) fu un allievo di Itosu che insegnò con entusiasmo lo stile di quello che ebbe come unico maestro. Nel 1935 circa chiamò il suo stile Shorin-ryu, adottando i kanji che possono anche essere letti Kobayashi (‘piccola foresta’). Dopo aver cambiato molto spesso la locazione dei suoi dojo, soprattutto dopo la battaglia di Okinawa, nel 1954 Chibana si stabilì definitivamente a Shuri, dove fu impegnato fino al 1958 come istruttore della polizia. Nel 1956 fondò la Federazione del Karate-do di Okinawa di cui divenne anche primo presidente; due anni dopo diede le dimissioni e fondò l’Associazione del Karate-do Shorin-ryu di Okinawa di cui divenne primo presidente. Nel 1960 Chibana ricevette il Premio per l’eccellenza al Servizio della Cultura Fisica da parte del quotidiano Okinawa Times; nel 1968 ricevette l’Ordine Kunyonto del Sacro Tesoro dall’Imperatore Hirohito. Durante la sua ultima esibizione, nel 1968, Chibana, che si era esibito in moltissime dimostrazioni durante tutta la sua vita, danzò davanti ad un pubblico entusiasta. L’anno dopo morì a causa di un cancro al volto.

La testimonianza di H. Kanazawa.

Una interessante testimonianza sulla forza di Chibana, ancora negli anni della sua vita, la fornisce Hirokazu Kanazawa in un articolo intitolato “Two precious week in Okinawa” che io leggo nell’ultimo libro del maestro “Karate My Life”, trad. ingl. di Alex Bennet, Kendo World Pubblications 2003 pp. 187-195, che traduco:

Fummo fortunati ad avere la possibilità di andare a trovare il caposcuola dello Shorin-ryu, il maestro Chibana Choshin. Il maestro Chibana si allenò sotto Anko Itosu insieme a Gichin Funakoshi, così che, in qualche modo, tra di noi c’era una sorta di legame. Trovammo l’anziano gentiluomo seduto dietro casa, dove ci salutò con un bel sorriso. Gli studenti non persero tempo e

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iniziarono a fargli domande a cui lui rispondeva con entusiasmo. “Ok, afferatemi la mano e vi darò una dimostrazione”, disse rispondendo ad una domanda. Poi scaraventò lo studente lungo il pavimento con estrema facilità, mentre era ancora seduto. Riguardo alla domanda se fosse possibile che qualche karateka fosse in grado di penetrare nel corpo di una mucca con un pugno e tirarne fuori le interiora, o se un calcio potesse essere così forte da attraversarne il corpo, rispose che “era possibile nel passato, col giusto allenamento, ma è una cosa differente dallo spezzar tavolette. Devi fare un buco”. Poi ci portò in giardino per mostrarci come ci si allena. Vi era un fascio di bamboo legati insieme ad altezza uomo e di trenta centimetri di diametro. Il maestro ci si piazzò davanti e iniziò a colpirlo ripetutamente fino a trapassarlo. La punta delle dita delle sue mani e dei suoi piedi erano dure come rocce, e altrettanto le suole dei piedi.

- Shorinji-ryu di Chutoku Kyan

La figura di Chutoku Kyan è fondamentale nella diffusione del Tomari-te. Converrà tracciarne brevemente la vita.

Figlio di Kyan Chofu, hanko (responsabile della custodia del sigillo ufficiale di sua maestà) di re Shotai (1843-1901), guerriero dotto in letteratura e filosofia cino-giapponese, Chutoku nacque nel villaggio di Gibo (Shuri) nel 1870. Dal 1882 al 1886 Kyan seguì il padre a Tokio, dove sia per la sua discendenza aristocratica, sia per il fisico minuto (scarsa era anche la vista, tanto da essere soprannominato Chan Mi-Gwa, “Kyan occhio debole”), iniziò col padre lo studio della letteratura cinese, del karate e del ju-jutsu, arti in cui il giovane Kyan si applicò in maniera assai diligente data la sua esile corporatura. Sulla severità dell’allenamento imposto da Kyan padre, circolavano vari aneddoti: pare che padre e figlio, incuranti del freddo e del cattivo tempo, si allenassero all’aperto; un tale stoicismo e una tale dedizione erano additati come esempio. Al ritorno ad Okinawa, Kyan proseguì il suo studio del karate con Matsumura Sokon e Oyodomari Kokan. Più incerto è il suo apprendistato sotto Itosu. Tale apprendistato, è segnalato sia da Nagamine 20022 p. 101 (id. 2002, p. 40), sia da Alexander 1991 p. 58, ma non da Bishop p. 91. Inoltre, in un articolo in lingua

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inglese apparso sulla rivista Bugeisha Magazine (1998) intitolato “Seibukan. The Shorinji-ryu karate of Shimabukuro Zenryu”, pp. 13-22, l’autore, John Sells, dichiara che Chibana Chosin (su cui vd. infra) abbia sempre negato che Kyan sia mai stato allievo di Itosu. Se Kyan abbia mai frequentato le lezioni di Itosu resta dunque un mistero, me è certo che i kata insegnati oggi sotto il nome di Kyan, non hanno nulla a che vedere con lo shuri-te di Itosu. Secondo altri, Kyan non sarebbe stato istruito da Matsumura, ormai in età assai avanzata, ma da Anko Azato, il maestro di Gichin Funakoshi (ma anche in tal caso, manca un qualsiasi riscontro tecnico o una qualsiasi affinità con lo shuri-te della linea Itosu-Azato).

Come che sia, pare che Kyan abbia appreso i seguenti kata:

Seisan, Naifanchi e Gojushiho da Sokon Matsumura (shuri); Kusanku da Yara Chatan (shuri); Passai da Oyodomari Kokan (tomari); Wanshu da Maeda Pechin (tomari); Chinto da Kosaku Matsumura (tomari), Ananku da un emigrato proveniente da Taiwan, nonché un kata di bo. Sulla gioventù di Kyan gli aneddoti sono numerosi: c’è chi racconta di una vita povera e di stenti e chi invece fa dell’esile maestro un frequentatore di bordelli. Anche in questo caso, regna l’agiografia, motivo per cui non riporteremo tutta una lunga serie di aneddoti di dubbia autenticità. Resta il fatto che Kyan ebbe molti allievi, e tutti fondarono uno stile che si richiamava più o meno agli insegnamenti del comune maestro.

Un episodio della sua vita in particolare è però esemplificativo non solo dello stile peculiare di Kyan, ma del karate okinawense in generale. L’episodio è descritto in Nagamine 2002, pp. 104-106, che riassumo:

nell’agosto 1930 Kyan, Kuwae Rosei (l’ultimo discepolo di Matsumura) e Kudaka Kori (che poi racconterà la storia a Nagamine) si trovavano al Butokuden di Taipei per una dimostrazione di karate-jutsu. Prima dell’inizio della dimostrazione, un VI dan di judo, Ishida Shinzou, venne a sfidare uno dei tre amici, non con intenti bellicosi, ma per amore della ricerca. Non accettare sarebbe stato ovviamente peggio che accettare. Dal momento che Kuwae era troppo vecchio e Kudaka troppo giovane, dell’intraprendente judoka si sarebbe occupato Kyan. Toltosi il suo kimono da dimostrazione per paura di rovinarlo, Kyan sembrava magro come mai confronto al grosso judoka. L’incontro andò così: non appena il judoka si slanciò contro Kyan, questi si ritrasse in nekoashi e prima che il judoka riuscisse ad afferrarlo, Kyan infilò il pollice sinistro nella bocca dell’attaccante, afferrando con le altre quattro dita l’esterno della guancia, come a voler strappare la pelle. Sbilanciato l’avversario con una sorta di sgambetto, Kyan finì la tecnica piazzando un pugno all’altezza del della mascella. Il judoka si arrese, stupito.

Altrettanto stupito rimase Shoshin Nagamine, che provò questa tecnica sui suoi allievi, constatandone l’efficacia, e soprattutto meravigliandosi delle tecniche del suo maestro non più comprese nell’insegnamento moderno.

Tra gli allievi più famosi di Kyan sono annoverati: Joen Nakazato, Shosin Nagamine, Zenryo Shimabukuro, Tatsuo Shimabuko, Eizo Shimabuko.

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Tra le caratteristiche del karate di Kyan, le più citate sono: lo sviluppo delle uscite laterali (fondamentali per combattere contro avversari fisicamente più dotati di lui), micidiali tecniche di gamba e l’utilizzo del pugno verticale.

L’ultima esibizione pubblica di Kyan risale al 1942, all’inaugurazione del dojo di Shosin Nagamine a Naha. Nagamine racconta con commozione quella dimostrazione del maestro che all’età di 73 anni era ancora veloce e limpido nei movimenti, tanto da incantare il pubblico presente.

- Matsubayashi-ryu di Shoshin Nagamine

Shoshin Nagamine (1907-1997), fondatore del Matsubayashi Shorin-ryu, è uno dei pochissimi maestri okinawensi ad aver scritto abbondantemente sul karate. Per conoscere questo stile e la profonda conoscenza che Nagamine aveva della storia del karate, la lettura dei suoi due volumi ‘L’essenza del karate-do di Okinawa’ e ‘I grandi maestri di Okinawa’, è indispensabile.

Ricercatore infaticabile e celebre karateka, allievo di Ankichi Arakaki (giovane genio del karate morto precocemente, a sua volta allievo di Gusukuma Shinpan, Hanashiro Chomo e Choshin Chibana), di Chutoku Kyan e di Choki Motobu, Nagamine Shoshin (1907-1997), adottò il nome Matsubayashi-ryu nel luglio del 1947. Come egli stesso racconta nel suo libro più famoso “L’Essenza del karate-do di Okinawa (trad. it. Mediterranee 2002)” il nome fu selezionato per onorare Matsumura Sokon (1809-96) dello Shuri-te, e Matsumora Kosaku (1829-98) del Tomari-te. Attraverso i propri insegnanti, Nagamine sensei si colloca nella terza generazione a partire da questo famosi maestri.

I kata di karate praticati nel Matsubayashi-ryu sono

fukyugata ichi;

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fukyugata ni;

pinan 1-5;

naihanchi 1-3;

ananku;

wankan (od okan);

rohai;

wanshu;

passai;

gojushiho;

chinto;

kusanku.

Fra tutti i kata elencati, peculiare del Matsubayashi-ryu e la versione del wanshu, che contiene il kakushi-tsuki o pugno nascosto. Il kata più rappresentativo è il kusanku. Questi kata furono dedotti sia dallo Shuri-te, sia dal Tomari-te. Nagamine sensei cominciò a praticare karate nel 1923 all’età di 17 anni. A quell’epoca, il karate era divenuto già parte del curriculum della scuola secondario di Okinawa e i cinque pinan creati da Itosu Anko (1831-1915) erano già praticati estesamente. I primi insegnanti di Nagamine Sensei furono Taro Shimabuku ed Arakaki Ankichi (1899-1929), entrambi famosi studenti di Kyan Chotoku (1870-1945). Arakaki Sensei, inoltre, aveva studiato sotto Gusukuma Shinpan (1890-1954) durante la scuola elementare, con Hanashiro Chomo (1869-1945) al liceo, e con Chibana Choshin (1885-1969, fondatore di Kobayashi-ryu) dopo la scuola. Kyan, Gusukuma, Hanashiro, e Chibana Sensei furono tutti studenti di Itosu e tutti ovviamente conoscevano bene i kata pinan. Mentre era ancora al liceo, Nagamine Sensei ebbe l’opportunità di allenarsi sotto Iha Kodatsu (1873-1928), uno dei tre discepoli principali di Matsumora Kosaku. In quell’epoca, Nagamine era il capitano del club di karate del suo liceo. Per una dimostrazione di karate in Naha, il club doveva addestrarsi ogni sera con Iha Sensei. Da Iha, Nagamine imparò i seguenti kata della linea Tomari: passai, chinto, wankan, rohai, e wanshu. Dopo essersi allenato con Shimabuku ed Arakaki, Nagamine seguitò ad addestrarsi con Kyan Chotoku stesso quando fu assegnato alla Stazione di Polizia di Kadena. A quell’epoca, Nagamine già aveva imparato i kata favoriti di Kyan (passai, chinto, kusanku) da Shimabuku ed Arakaki. Durante il periodo di allenamento con Kyan, Nagamine approfondì di molto la sua comprensione di questi e gli altri kata.

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Nel 1936, Nagamine fu trasferito per sei mesi alla Polizia di Tokio, e lì ebbe la possibilità di studiare con il famoso Choki Motobu (1871-1944). Come risultato dell’insegnamento di Motobu, Nagamine modificò la posizione del pugno arretrato (hikite) portandolo più in alto dell’anca, verso il petto, per meglio proteggere le costole; all’influsso di Motobu si deve anche la creazione dei 7 yakusoku Kumite.

Quando Nagamine aprì il suo primo dojo, che chiamò Tomari Kenyu-kai (Gruppo di ricerca sul Tomari-te) a Naha, nel maggio di 1942, il maestro Kyan, nonostante l’età avanzata (73 anni), venne dal villaggio di Yomitan per la cerimonia inaugurale del dojo di Nagamine e si esibì sia nei kata sia nel bo. La maestria di Kyan e la consapevolezza dell’onore ricevuto, commossero profondamente Nagamine (cfr. Nagamine 2002 p. 106).

Nel 1940, il Governatore di Okinawa, Gen Hayakawa, organizzò un comitato speciale di ricerca sul karate-do di Okinawa. Uno degli atti del comitato era quello di autorizzare la creazione di due nuovi kata di base che facilitassero la propagazione dell’arte del karate. Questi due kata divennero noti come fukyugata ichi e fukyugata ni, e furono creati da Nagamine Shoshin e Miyagi Chojun (1888-1953).

Fino alla sua morte, avvenuta nel 1997, Nagamine Shoshin rappresentava una delle principali fonti viventi per lo studio dello shuri-te e del tomari-te. Oggi è suo figlio Takayoshi a sostenere l’arduo compito di trasmettere al nuovo millennio la ricca tradizione del Matsubayashi-ryu.

- Chubu Shorin-ryu (Seibukan) di Zenryo Shimabukuro

Zenryo e Zempo Shimabukuro

Zenryu Shimabukuro avviò il proprio dojo nel 1947 pensando che, morto Chutoku Kyan ed essendo rimasto senza maestro, quello fosse l’unico modo per rimanere in forma. Chubu Shorin-ryu, ossia ‘Shorin-ryu dell’isola di mezzo’, è il nome che Zenryo Shimabukuro scelse per differenziare il suo shorin-ryu da quello di Joen Nakazato, altro allievo di Kyan, che invece insegnava a sud (Nanbu Shorin-ryu).

Alla morte di Zenryo Shimabukuro, gli successe il figlio Zenpo. Nel suo dojo, il Seibukan (Scuola dell’arte sacra), Zenpo Shimabukuro insegna i kata di Kyan più i 5

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pinan e alcune tecniche di combattimento di Choki Motobu, che Zenpo apprese tramite Chozo Nakama del Kobayashi-ryu (tra cui il kata Jion).

Zenryo Shimabukuro fu un allievo diretto di Chutoku Kyan, che ebbe come unico maestro, e fu forse l’allievo che più a lungo si allenò con lui. Gran parte delle informazioni che si hanno su di lui derivano dalle interviste rilasciate dal figlio, Zenpo, oggi a capo dello stile Seibukan. Zenryo Shimabukuro divenne allievo di Kyan intorno al 1930, e si allenò col maestro fino all’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Zenpo Shimabukuro evidenzia così le differenze tra gli allenamenti che si svolgevano prima della Seconda Guerra Mondiale rispetto a dopo, risaltando soprattutto l’unicità del rapposto maestro-allievo. Zenryo si alleva da solo, e il maestro dava solo indicazioni sulle tecniche dei kata. Zenryo stesso iniziò ad insegnare a gruppi di studenti, utilizzando kihon e kata, solo a partire dal 1959. Tra le particolarità del karate di Kyan, Zenpo ricorda 3 differenze sostanziali:

1) l’ampio utilizzo dello shiko-dachi, in una forma più corta di quello usato nel

goju-ryu. Questa posizione è utilizzata per la mobilità e per la produzione di forza nella rotazione delle anche;

2) l’utilizzo del pugno ruotato a tre quarti; 3) la rotazione sull’avampiede unita alla rotazione delle anche per imprimere

forza ai colpi.

- Isshin-ryu di Tatsuo Shimabuku

Tatsuo Shimabuku aveva 13 anni, era il 1919, quando iniziò frequentare il dojo di Chojun Miyagi. In seguito, quando studiava presso l’Istituto Agrario, continuò a studiare il karate con Chutoku Kyan. Nel 1956 decise di fondere il meglio di entrambi gli stili che aveva avuto il privilegio di imparare (dal goju-ryu prese Sanchin e Seiunchin; dallo shorin-ryu Naihanci, Kusanku, Wanshu, Chinto, Seisan) e fondò l’Isshin-ryu, il cui simbolo è Mitsugami, una divinità mezzo serpente e mezza donna che dovrebbe rappresentare le caratteristiche dello stile. Shimabuku ha inventato il kata sunsu come summa del suo stile mentre apportò notevoli modifiche al kata

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Wansu al quale aggiunse colpi di ginocchio, calci laterali e frontali non reperibili nelle altre versioni.

I kata praticati dall’Isshin-ryu sono

naihanci;

kusanku;

wanshu;

chinto;

sanchin;

seisan;

seiunchin;

sunsu.

Nell’Isshin-ryu sono studiati anche numerosi kata di kobudo.

- Shorin-ryu di Eizo Shimabuku

Eizo Shimabuku, come suo fratello Tatsuo (il fondatore dell’Isshin-ryu), aveva studiato con Chutoku Kyan. Aprì il suo dojo a Koza (ora Okinawa City) ed insegnò a parecchi soldati americani, che portarono il suo stile negli USA. Scopo di Eizo Shimabuku è quello di mantenere intatto l’insegnamento del suo maestro Kyan.

I kata dello Shorin-ryu di Eizo Shimabuku sono

seisan;

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naihanci 1-3;

Ananku;

wanshu;

pinan 1-5;

gojushiho;

chinto;

passai sho e dai;

kusanku;

seinchin;

sanchu

è previsto inoltre lo studio del kobudo.

- Ryukyu Shorin-ryu di Seijin Inamine

Lo stile Ryukyu Shorin-ryu fu fondato da un gruppo di 5 fra i primi allievi di Eizo Shimabuku, tra questi il più importante è Seijin Inamine. Questi, fra il 1951 e il 1957 imparò i seguenti kata da Tomei Tsuha:

naihanci 1-3; pinan 1-5; chinto; rohai; oyodomari passai;

Dal 1958 al 1965 Inamine studiò con Eizo Shimabuku, col quale rivide i kata naihanci, pinan e chinto e apprese seisan, un’altra versione di passai, wanshu, ananku, gojushiho, kusanku e alcuni kata di kobudo.

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Stili derivati dal Naha-te,

e comunemente definiti SHOREI-RYU

- Ryuei-Ryu di Norisato Nakaima (~1850-1927)

Kenchu e Kenko Nakaima, Tsuguo Sakumoto

Norisato Nakaima, nato da una ricca famiglia di Kume, si recò a Fuchou all’età di 19 anni per compiere gli studi superiori. Lì, una ex guardia dell’ambasciata cinese presso Okinawa lo presentò al maestro Ryuryuko, di cui divenne allievo. Dopo 5 o 6 anni Nakaima ricevette il diploma di maestro. Dopo aver collezionato un gran numero di armi presso Fukien, Canton e Pechino, Nakaima torno in patria dove insegnò segretamente la sua arte al figlio Kenchu, che a sua volta la insegnò al figlio Kenko, che divenne fondatore e presidente dell’Associazione per la Conservazione del karate e del kobudo Ryuei-ryu. Quest’ultimo fu il primo ad interrompere il vincolo di segretezza nella trasmissione dell’arte marziale di famiglia e aprì il suo dojo anche agli allievi esterni: fra questi figura l’attuale caposcuola dello stile ryuei-ryu e più volte campione del mondo di kata, Tsuguo Sakumoto.

Lo stile Ryuei-ryu comprende 11 kata a mani nude:

sanchin;

sesan;

sanseru;

niseishi;

seyonchin;

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ohan;

pachu;

anan;

paiku;

heiku;

paiho.

Fa parte del curriculum che ogni studente deve conoscere anche l’utilizzo di 14 armi di origine cinese.

In Sells 2000, p. 43 si affrontano alcuni interessanti problemi di datazione riguardo la connessione tra il famoso maestro Ryuryuko (forse uno pseudonimo per Xie Zhongxiang, 1850-1930) e i maestri di karate che sarebbero stati alla base del futuro Naha-te: Nakaima, Sakiyama e Higaonna. In particolar modo viene ritenuta improbabile la datazione fornita per la data di nascita di Norisato Nakaima tratta dall’albero genealogico di famiglia, che sarebbe il 1819. Queste date sono state ufficializzate anche nell’unico libro a tutt’oggi disponibile sul Ryuei-ryu, con la supervisione e i kata dimostrati da Tsuguo Sagumuto: All kata of Ryueiryu karate, Champ 2004, p. 10. Al di là di tutta una serie di considerazioni che rendono impossibile una datazione così bassa, l’impossibilità di comprendere tre generazioni di maestri nell’arco di un secolo è palese. Sappiamo di sicuro che Kenko Nakaima nel 1971 aveva 60 anni, cosa che lo fa nascere nel 1911 (data di morte, 1989). Questa data già ci consente di annullare quella per la data di nascita del padre, Kenchu, la cui datazione viene considerata 1856-1953. Kenchu avrebbe avuto Kenko a 55 anni. Una data non impossibile, ma certo sospetta. Date di nascita più verisimili porterebbero a far nascere effettivamente Norisato nel 1850, il figlio Kenchu tra il 1870 e il 1880 e Kenko nel 1911.

- Uechi-ryu di Kanbun Uechi (1877-1948)

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Kanei Uechi

Anche Kanbun Uechi ebbe modo di studiare la boxe cinese presso Fuchou,

dove si era traferito intorno ai ventanni. Lì ebbe modo di studiare con Shu Shi Wa, un maestro la cui occupazione era la preparazione e la vendita di erbe mediche. Lo stile di Shu Shi Wa, il Pangai-noon (che significa anch’esso duro-morbido) aveva come caratteristiche principali attacchi duri e parate morbide. Uechi studiò con Shu Shi Wa fino al 1904 anno in cui si spostò a sud a Nansoye, dove aprì un suo dojo (aveva già imparato i kata sanchin, seisan e sanseiru, ma non ebbe forse il tempo di approfondire il Suparimpei, che in effetti non figura nel curriculum dell’Uechi-ryu), continuando a frequentare il suo maestro per approfondirne l’arte. Nel 1909 Uechi tornò ad Okinawa a coltivare la terra di famiglia a Motobu rifiutando di accettare allievi. Gokenki, il noto maestro dello stile della gru bianca, aveva incontrato Uechi e Shu Shi Wa parecchie volte in Cina e aveva iniziato a parlare di Uechi ai suoi amici e ai suoi clienti. Ma quando questi chiesero lezioni a Uechi, questi li mandò via. Il motivo di questo rifiuto pare fosse dovuto al fatto che un allievo di Uechi, in Cina, aveva ucciso un altro uomo in una rissa, e per via di questa tragedia pare che Uechi avesse fatto voto di non insegnare mai più. Nel 1924, per problemi di lavoro, Uechi si trasferì in Giappone e si stabilì a Wakayama. Un anno dopo, in seguito alla richiesta dei colleghi okinawensi, iniziò ad insegnare il suo stile, il Pangai-noon. Nel 1946 tornò ad Okinawa, dove poco dopo morì, nel 1948. Le redini dello stile passarono allora al figlio maggiore Kanyei, che mutò il nome dello stile da Pangai-noon a Uechi-ryu: allo stile originario vennero aggiunti altri kata inventati da Kanyei: Kanshiwa, Kanchin, Seryu.

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Enciclopedia dei kata

(in questa serie sono compresi solo i kata degli stili shotokan, shito-ryu, wado-ryu e goju-ryu. Nel caso in cui dello stesso kata esistano diversi nomi, la prima denominazione sarà di preferenza quella originale okinawense)

Anan

Tsuguo Sakumoto in un passaggio del kata Annan

È un kata caratteristico dello stile Ryuei-ryu, lo stile che Kenri Nakaima avrebbe imparato da Ryuruko in Cina. Alcuni storici non credono a questa genealogia, fatto sta che i principali kata del Ryuei-ryu (Anan, Paiku, Heiku, Pachu e Ohan) non si riscontrano negli altri stili (oggi questi tre kata sono stati introdotti nello shito-ryu tramite il maestro Hayashi, che fu a sua volta allievo di Kenko Nakaima). In Sells 2000, p. 43 si affrontano alcuni interessanti problemi di datazioni riguardo la connessione tra il famoso maestro Ryuryuko (forse uno pseudonimo per Xie Zhongxiang, 1850-1930) e i maestri di karate che sarebbero stati alla base del futuro Naha-te: Nakaima, Sakiyama e Higaonna. In particolar modo viene ritenuta improbabile la datazione fornita per la data di nascita di Norisato Nakaima tratta dall’albero genealogico di famiglia, che sarebbe il 1819. Queste date sono state ufficializzate anche nell’unico libro a tutt’oggi disponibile sul Ryuei-ryu, con la supervisione e i kata dimostrati da Tsuguo Sakumuto in persona: All kata of Ryuei-ryu karate, Champ 2004. Al di là di tutta una serie di considerazioni che rendono impossibile una datazione così bassa, risulta assai arduo comprendere tre generazioni di maestri nell’arco di un secolo. Sappiamo di sicuro che Kenko Nakaima nel 1971 aveva 60 anni, cosa che lo fa nascere nel 1911 (data di morte, 1989). Questa data già ci consente di annullare quella per la data di nascita del padre, Kenchu, la cui datazione viene considerata 1856-1953. Kenchu avrebbe avuto Kenko a 55 anni. Una data non impossibile, ma certo sospetta. Date di nascita più verisimili porterebbero a

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far nascere effettivamente Norisato nel 1850, il figlio Kenchu tra il 1870 e il 1880 e Kenko nel 1911. Come che sia questa intrica storia genealogica, Anan è il kata che ha reso famoso l’attuale caposcuola del Ryuei-ryu, Tsuguo Sakumuto, più volte campione del mondo.

Bassai (o Passai) / Bassai (sho - dai)

Gusukuma Shimpan dimostra la prima posizione del kata Bassai (foto tratta da Karate-Do Taikan di G. Nakasone, 1928)

Letteralmente ‘penetrare la fortezza’, o meglio ‘estrarre/parare’. Le varianti di questa kata sono innumerevoli, e ciò testimonia l’ampia diffusione e l’interesse che questo kata ha sempre suscitato nei vari maestri e nelle varie epoche. La forma più antica della versione shuri-te sembra essere quella conservata nel Matsumura Seito, e la maggior parte dei Bassai oggi praticati sembrerebbe derivare da questo kata. Tuttavia, vi sono altre forme di Bassai che potrebbero dipendere direttamente da Matsumura come il Tawada Bassai (più noto come Matsumura-Bassai: Tawada era un allievo di Matsumura, e fu proprio questa forma che Choshin Chibana, uno dei maggiori esperti del kata Bassai, dimostrò per la prima volta in fotografia nel libro Karate-Do Taikan di Genwa Nakasone, pubblicato nel 1938). È assai difficile districarsi tra le varianti di Bassai e stabilire delle relazioni tra di loro: il Bassai Sho del Matsumura Seito presenta dei movimenti a mano aperta che richiamano il Tomari Bassai, la variante che Chutoku Kyan avrebbe imparato dal maestro Oyodomari, che in effetti presenta un numero di tecniche molto simile al Matsumura Bassai, ma eseguite a mano aperta. La differenza tra il Matsumura e il Tomari Bassai ed il Bassai-dai di Itosu (e quindi dei suoi allievi) sta negli attacchi: in effetti, nell’Itosu Bassai-dai, la maggior parte degli attacchi è stata sostituita da tecniche di parata, soprattutto nella fase iniziale del kata. Tutti i Bassai, comunque, presentano delle tecniche uguali, come l’assalto iniziale con ‘parata rinforzata’, in cui si salta, o ci si slancia, e si penetra scivolando con determinazione verso l’avversario. Tutti i Bassai prevedono, per il primo movimento, una posizione a gambe incrociate, con la gamba sinistra posta dietro la destra. Nel Matsumura Seito, invece, il piede sinistro continua la sua corsa in avanti

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e, appena superato il destro, ruota verso l’esterno la punta della dita. L’Itosu Bassai-sho, invece, sarebbe una creazione di questo grande Maestro.

Chinte / Chintei

La storia di Chinte è ignota. È stato trasmesso da Itosu, forse in maniera incompleta. L’utilizzo di attacchi con due dita e di altre tecniche specifiche, non riscontrabili in altri kata, lo rendono a suo modo prezioso. Secondo il maestro Ryusho Sakagami (fondatore dell’Itosu-Kai), Chinte sarebbe imparentato con l’antico kata Chinshu. Chinte è forse correlato con l’uso, da parte dei guerrieri antichi, di arrotolarsi sulle braccia strisce di bambù, con lo scopo di utilizzare queste strisce sia per difesa sia per attacco. La versione okinawense di questo kata termina nel punto della partenza, mentre la versione Shotokan ha bisogno di tre saltelli all’indietro, interpretati in vario modo, per ottenere lo stesso scopo. La versione Shotokan, inoltre, adotta per alcuni passaggi il pugno verticale, laddove le varianti okinawensi usano regolarmente il pugno ruotato.

Chinto / Gankaku

Il Maestro Funakoshi mostra Chinto

Forse ‘combattere a est’, o forse si tratta di un nome proprio. Anche di questo kata esistono moltissime varianti ed una notevole diversificazione tra la versione shuri e quella tomari. Una tradizione farebbe di Chinto un bandito cinese sbarcato ad Okinawa ma catturato da Matsumura. Il bandito, in cambio della libertà, avrebbe insegnato a Matsumura la sue tecniche di lotta. Secondo altri, Chinto indicherebbe ‘combattere ad est’ o forse in qualche città ad est in Cina, o forse in una strada stretta (ciò spiegherebbe i suoi movimenti lineari). Esistono due varianti principali di Chinto: la linea Matsumura, tramandata praticamente immutata da Itosu ai suoi allievi, e che prevede spostamenti da Nord a Sud; la linea Tomari, che deriva da Matsumora ed è stata trasmessa nel Tomari-te da Chutoku Kyan: questa versione, notevolmente più lunga e complessa dell’altra, si svolge invece lungo una diagonale, e non prevede la tipica posizione della ‘gru’. Funakoshi in Giappone rinominò questo kata Gankaku, ossia ‘gru su una roccia’ per via delle posizioni finali su una gamba sola, e cambiò i mae-geri originali con degli yoko-geri.

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Enpi vd. Wanshu

Gankaku vd. Chinto

Fukyugata 1-2 vd. Gekisai

Gekisai 1-2

Serie di kata ‘di base’, ideata da C. Miyagi e S. Nagamine. Nel 1940, il Governatore di Okinawa, Gen Hayakawa, organizzò un comitato speciale di ricerca sul karate-do di Okinawa. Uno degli atti del comitato era autorizzare la creazione di due nuovi kata di base che facilitassero la propagazione dell’arte del karate. I maestri che facevano parte di questo Comitato erano nell’ordine: (1) Ishihara Shochoku (presidente), (2) Miyagi Chojun, (3) Kamiya Jinsei, (4) Shinzato Jinan, (5) Miyasato Koji, (6) Tokuda Anbun, (7) Kinjo Kensei, (8) Kyan Shinei, e (9) Nagamine Shoshin. Pare che Miyagi avesse già creato un nuovo kata di base prima del 1940, e che in occasione dell’opportunità offerta dal governatore Gen Hayakawa, questo kata di base venne leggermente modificato: divenne comunque noto come fukyugata ni o, nel goju-ryu, come gekisai dai-ichi, mentre il gekisai dai-ni è una versione più complessa di questo kata, che prevede l’uso di tecniche a mano aperta. Fukyugata ichi, invece, è una creazione di Shoshin Nagamine. Questi due kata divennero noti come fukyugata ichi e fukyugata ni, ‘kata promoziali’ (nel goju-ryu più noti come Gekisai 1 e 2).

Gojushiho (sho - dai) vd. Useishi

Heian vd. Pinan

Heiku

Alcune allieve del Maestro Sakumoto dimostrano il kata Heiku

Kata peculiare dello stile okinawense Ryuei-ryu, da qualche anno è entrato a far parte anche delle liste di alcune famiglie Shito-ryu. Heiku è la ‘tigre nera’, mentre Paiku è la ‘tigre bianca’. Questi due kata sono imparentati e prevedono entrambi una peculiare posizione rannicchiata con un ginocchio che sfiora il terreno: in questa

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posizione il karateka è pronto a scattare in avanti e colpire mae-geri, proprio come una tigre che si preparare all’assalto finale.

Jion, Jiin e Jitte

Hanashiro Chomo dimostra il kata Jion (foto tratte da Karate-Do Taikan di G. Nakasone, 1928)

Jion (suono del tempio), Jiin (Terreno del tempio) e Jitte (pugno del tempio o 10 mani) sono una serie di tre kata da sempre associati l’un l’altro. Tutti e tre iniziano

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con un caratteristico saluto cinese (il pugno destro poggiato nel palmo della mano sinistra all’altezza dello sterno) e tutti e tre prevedono tecniche molto simili tra di loro. Nonostante Funakoshi affermi che questi tre kata siano di origine shorei, la loro storia è riconducibile al Tomari-te, e pare siano stati divulgati da Itosu verso la fine del XIX secolo. Una leggenda li vuole collegati con la Cina ed in particolar modo col tempio Jion, ma si tratta di pure congetture senza alcun fondamento. Era il kata preferito da Hanashiro Chomo, che lo dimostra in forma fotografica per la prima volta in Karate-Do Taikan di Genwa Nakasone (1938). Questa forma è sensibilmente diversa da quella che poi Itosu trasmise ai suoi allievi in una forma probabilmente già scolastica. La forma antica, però, ci è stata conservata nello stile Kyudokan tramite la famiglia Higa e nel Seibukan di Zempo Shimabukuro tramite Chozo Nakama, che a sua volta lo aveva appreso da Chosin Chibana.

Kanku vd. Kusanku

Kururunfa

Minoru Kinjio mostra il primo passaggoi di Kururunfa

Il nome cinese dovrebbe essere Kun lun fa, che indica il metodo di kun lun, ossia lo stile insegnato al tempio buddista del monte Kun lun. In questo kata compare una guardia chiamata Yame gamae, “guardia del monte”. Uno tra i kata più avanzati, è tipico del goju-ryu e dello shito-ryu. Inizia con una parata di shuto ed un kansetsu-keri alle articolazioni della gamba, sia a sinistra sia a destra, anche se nella versione originale, conservata in alcune scuole goju-ryu, le due parate di shuto erano effettuate, pare, come difesa contro il tentativo di afferrare la lunga veste cinese. Il gomito preme su un braccio dell’avversario, mentre l’altra mano afferra l’altro braccio preparando la distanza per il calcio alle articolazioni. La particolarità di Kururunfa, inoltre, è la presenza di varie difese contro prese particolari, nonché di molte tecniche a corta distanza e proiezioni, caratteristiche che convinsero Mabuni ad inserirlo anche nella lista dei kata shito-ryu.

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Kusanku / Kosokun (dai e sho) / Kanku (dai e sho)

Shoshin Nagamine dimostra ura-kamae, caratteristica posizione del kata Kusanku

Kusanku è un nome proprio, quello del militare cinese che sbarcò ad Okinawa nel XVIII secolo (testimonianza, peraltro controversa, nel cosiddetto Giornale di Oshima, datato 1762 e cfr. Tokitsu 2001 p. 32-34 e, infra, la ‘cronologia del karate’). La leggenda vuole che il famoso Tode Sakugawa ed un certo Yara del villaggio di Chatan abbiano tramandato, in forma assai differente, gli insegnamenti di Kusanku. Dalla linea Sakugawa discenderebbe il kata arrivato a Matsumura (che alcuni ritengono, probabilmente a torto, allievo di Sakugawa) e rivisitato prima da Itosu, poi dai suoi allievi; dalla famiglia Yara, attraverso forse un nipote, il kata fu trasmesso a Chutoku Kyan e passato nel Tomari-te fino ai giorni nostri. Kosokun-sho / Kanku-sho è probabilmente una creazione di Itosu. Tutte le versioni di Kusanku sono molto lunghe (Chatan Yara Kushaku è più lungo e complesso del Kusanku-dai di Itosu); tutte prevedono comunque il caratteristico movimento iniziale di apertura delle braccia a cerchio, che forse simboleggia l’armonia universale o la mancanza di armi (secondo la scuola Matsumura Seito, lo spostamento circolare verso l’alto indica invece il gesto di togliersi il fermacapelli, utensile indispensabile nell’acconciatura tradizionale dei nobili, per utilizzarlo come arma), sia la caratteristica forma di guardia chiamata ura-kamae. Ritenuto il kata fondamentale della linea shuri-te, alcuni passaggi del Kusanku hanno fornito ad Itosu lo spunto per la creazione dei 5 pinan / heian di base.

Meikyo

‘Specchio splendente’. Kata peculiare dello stile Shotokan, forse risultato di una rielaborazione, molto libera in verità, dei Rohai 2-3 di Okinawa. Meikyo è un nome creato da Funakoshi. Insieme ai tre Tekki, è il primo kata ad essere stato filmato, con autore Funakoshi stesso, nel 1924.

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Naihanci / Tekki 1-3

Funakoshi dimostra il kata Tekki shodan

Letteralmente ‘combattere di fianco’, oppure ‘passi nascosti’. Naihanci significherebbe altresì ‘combattere dentro’, simbolo della forza richiesta per difendere il proprio territorio. Si dice che i tre Naihanci attuali siano il risultato dell’elaborazione di Anko Itosu, che li avrebbe estrapolati da un kata più lungo, oggi perduto. Ma questa ricostruzione presenta molti punti oscuri. È assai più probabile, invece, che Itosu abbia lavorato su una tripartizione già esistente, e che una forma di Naihanci originale più articolata, se mai esistita, sia andata perduta ben prima di Itosu. Kenwa Mabuni, ad esempio, racconta che quando era ancora ragazzo, un domestico di casa lo introdusse al karate insegnandogli l’antico Naihanci, ma Itosu gli suggerì di abbandonare quella forma per studiare quella che lui aveva elaborato. Non è ben chiaro però, né altrove è chiarito, quale tipo di Naihanci avrebbe appreso Mabuni da ragazzino. Su quale fosse la posizione di Naihanci-dachi ad Okinawa, ci sarebbe molto da discutere. Generalmente si ritiene che la posizione sia quella con la punta dei piedi rivolta all’interno, ma le fonti sono discordanti. Una delle più attendibili è Choki Motobu, il quale sostiene che l’usanza di tenere i piedi ‘a piccione’, ossia rivolti all’interno, era stata una innovazione di Itosu (trasmessa poi ai suoi allievi: alcune scuole shito-ryu la mantengono), ma questa posizione era stata criticata da Matsumura e da Motobu stesso. La versione Tomari-te di Naihanci, insegnata a Motobu da Matsumora, utilizzava una posizione più bassa e con i piedi aperti, che aveva inoltre la peculiarità di iniziare a sinistra e non a destra (la si può vedere ancora oggi, trasmessa da Kyan, anche nei video dell’Isshin-ryu di Tatsuo Shimabuku). Funakoshi rinominò Naihanci in Tekki (cavallo di ferro) e generalizzò la posizione in kiba-dachi. Nel kata sono incluse tecniche di schivata, a corta distanza, leve e proiezioni.

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Nipaipo / Nepai

Kenei Mabuni durante un passaggio del kata Niapipo

Letteralmente ‘28 passi’. Si tratta, forse, della rielaborazione di un kata insegnato da Gokenki a Mabuni.

Niseishi / Nijushiho

Letteralmente ‘24 passi’. Questo kata fu insegnato da Seisho Aragaki a Mabuni che lo portò in Giappone trasmettendolo anche allo Shotokan. Pare che da Seisho Aragaki sia giunto anche nel Ryuei-ryu attraverso Kenki Nakaima. Il kata inizia con una parata a mano aperta e un attacco col pugno opposto, senza ritrarre il pugno che ha parato. Tecniche peculiari di questo kata sono attacchi di gamba in entrambe le direzioni (mae-geri nella versioni originali, yoko-geri nelle versioni giapponesi) e combinazioni ripetute di attacchi di gomito, parate e contrattacchi. Il kata termina con un mawashi-uke, contrassegno dei kata firmati Aragaki (così terminano anche Sochin e Unsu).

Paiku

Kata peculiare dello stile okinawense Ryuei-ryu, da qualche anno entrato a far parte anche delle liste di alcune famiglie Shito-ryu. Heiku è la ‘tigre nera’, mentre Paiku è la ‘tigre bianca’. Questi due kata sono imparentati e prevedono entrambi una peculiare posizione rannicchiata con un ginocchio che sfiora il terreno: in questa posizione il karateka è pronto a scattare in avanti e colpire mae-geri, proprio come una tigre che si preparare all’assalto finale.

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Pinan / Heian 1-5

Funakoshi dimostra l’inizio di Pinan-shodan / Heian-nidan

Letteralmente ‘pace e tranquillità’ o ‘animo pacifico’. Creazione del maestro Anko Itosu, che li introdusse nel programma scolastico di educazione fisica delle scuole di Okinawa in un periodo che oscilla dal 1902 al 1907. Prima dell’introduzione dei Pinan, solitamente si iniziava a studiare il karate attraverso il kata Naihanci o il Sanchin, a seconda delle scuole. Pare che il primo nome che Itosu avesse dato alla sua creazione fosse Channan, utilizzando un nome forse trovato nel Kikoshinsho, un libro del XVI secolo. La notizia che invece Channan o Pinan fosse un kata di Matsumura, che poi Itosu avrebbe rivisto, è priva di fondamento scientifico. Itosu sfruttò passaggi e idee contenuti nei kata classici, come Kusanku, Chinto, Jion, e inventò o forse estrapolò da kata non più noti anche altre tecniche. Da una discussione tra Itosu e Motobu, svoltasi probabilmente tra il 1905 e il 1915 quando il maestro era già in tarda età, si evince che i kata Pinan non nacquero già perfetti, ma che anzi Itosu continuò a perfezionarli fino alla fine, e il primo di questi cambiamenti fu proprio il passaggio da Channan a Pinan. Motobu racconta

“Mi interessai alle arti marziali fin da bambino, e studiai con molti insegnanti: con Itosu sensei per 7-8 anni. Dapprima lui visse in Urasoe, poi si trasferì a Nakashima Oshima a Naha poi su a Shikina, e finalmente alla villa del Barone Ie. Passò lì i suoi ultimi anni, vicino la scuola media. Un giorno lo andai a trovare, ci sedemmo parlando di arti marziali e di altri argomenti. Mentre ero là, si aggiunsero anche 2 o 3 studenti a parlare con noi. Itosu sensei si rivolse a loro e chiese di mostrargli un kata. Il kata che fecero era molto simile al Channan che avevo imparato anche io, ma con alcune differenze. Chiesi allora agli studenti di che kata si trattasse, e questi risposero che si trattava del kata Pinan. Gli studenti andarono via poco dopo, e io mi rivolsi ad Itosu sensei e gli dissi “ho imparato un kata chiamato Channan, ma il kata che quegli studenti hanno eseguito era diverso. Come mai?” Itosu sensei rispose “ Sì, il kata è lievemente diverso, ma è questo che poi ho deciso di insegnare. Gli studenti mi hanno detto che il nome Pinan è migliore, e ho seguito il parere dei giovani”.

Questo potrebbe spiegare anche alcune differenze tra i Pinan, soprattutto nelle rotazioni ed in alcuni passaggi, fra le varie scuole degli allievi di Itosu, che si allenarono sotto il maestro in epoche differenti.

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Rohai / Meikyo

Letteralmente ‘segno dell’airone bianco’. Rohai è un kata tipico del Tomari-te, introdotto da Itosu dopo il 1873 anche nello Shuri-te in 3 varianti molto diverse tra di loro. Il Matsumora Rohai (a volte indicato come Matsumura) e l’Itosu Rohai Shodan sono accomunati dalla posizione dell’airone, e da un mikazuki-geri. Il Meikyo ‘pulire uno specchio’ o ‘specchio splendente’, nome dalla profonda valenza filosofica dello Shotokan viene da molti ritenuta una evoluzione dell’Itosu Rohai 2 e 3.

Saifa

Letteralmente ‘strappare’. Kata della famiglia Naha-te divulgato da Higaonna e presente oggi in tutti quegli stili che dipendono da Higaonna e Miyagi. Saifa è un breve kata che comprende tecniche di liberazione e attacchi di uraken che, seppur non molto varie, sono impreziosite da spostamenti peculiari.

Sanchin

Letteralmente ‘3 battaglie’. È il kata fondamentale dello stile Naha-te. Chi padroneggia il Sanchin può superare o armonizzare il conflitto tra menta, spirito e corpo, unificando questi tre elementi essenziali dell’uomo. Questo almeno sembra essere il significato implicito del nome del kata. A livello tecnico, il Sanchin si focalizza sulla respirazione e su posizioni dure ed ha lo scopo di sviluppare il Ki. La sua origine è chiaramente Shaolin, è questo kata è uno dei pochi kata di karate che tuttora sono praticati in vari stili di kung-fu. Il Sanchin antico, preservato nell’Uechi-ryu, presenta dei movimenti a mano aperta, mentre la versione goju-ryu, che segue una innovazione di Higaonna, prevede i movimenti a pugno chiuso. La respirazione in questo è fondamentale, ed è una sorta di ruggito nel goju-ryu tradizionale, mentre nello shito-ryu e nell’Uechi-ryu è più naturale. Il paragone tra il ‘ruggito’ e la respirazione utilizzata nel goju-ryu è molto antica, e risale almeno alla giovinezza di Miyagi. Riporto a riguardo l’interessante aneddoto riportato in Nagamine 2002 p. 85

Un giornalista giapponese della madrepatria, dopo aver assistito a una dimostrazione del kata sanchin dei giovani studenti di Higaonna, rimase profondamente colpito dal modo in cui essi muovevano i fianchi, contraevano i muscoli e respiravano. Il seguente haiku è stato composto da quel giornalista

Toshu kuken hatsukaminari wo toriosou

Un rombo di tuono, che cattura la prima saetta del lampo con le mani nude.

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Sanseiru

Seiko Toyama, uno dei maggior esperti del Sanseiru dell’Uechi-ryu

Letteralmente ‘36’. Esistono due versioni di questo kata: quella tramandata da Higaonna e quella importata da Uechi Kanbun nell’Uechi-ryu. Le due forme sono molto diverse. Nella versione goju/shito-ryu, vi sono molte tecniche di proiezione, attacchi di gamba alle ginocchia e colpi di gomito. La versione Uechi è decisamente più complessa, con prese e contrattacchi velocissimi, colpi di gomito, di ginocchio e ippon nukite. Una kata spettacolare, eseguito in maniera straordinaria da Toyama Senko, 10 dan di Uechi-ryu, un video che vale davvero la pena vedere.

Seienchin / Seiunchin

Letteralmente ‘Calma nella tempesta’ o ‘lunga marcia silenziosa’. Kata di famiglia Naha-te molto diffuso: prevede tecniche di mano molto complesse e l’assenza, almeno nella forma esteriore, di tecniche di gamba. Kata di origini oscure, la presenza di alcune posizioni praticate in questo kata nell’oscuro Bubishi, ha fatto ritenere alcuni studiosi che Nakaima e Higaonna lo abbiano importato ad Okinawa dopo aver studiato in Cina lo stile ‘Pugno del monaco’. Il kata parte lentamente in posizioni diagonali e prosegue seguendo spostamenti a X intervallati da spostamenti in linea retta. Tutte le versioni oggi esistenti derivano da Higaonna e Miyagi.

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Seipai

Kenwa Mabuni in un passaggio del kata Seipai

Letteralmente ‘18’. Kata di origine cinese, fu importato e trasmesso ad Okinawa da Higaonna. Come per tutti i kata ‘numerici’ non è ben chiaro a cosa si riferisca il numero 18. Alle tecniche contenute? Ad un significato allegorico e mistico? Seipai resta, comunque, un bellissimo kata con tecniche di pugno molto varie, tecniche di gamba e varie prese e liberazioni.

Seisan / Seishan / Hangetsu

Letteralmente ‘13’. Deriva con ogni probabilità da una forma cinese, ed è il kata di karate più diffuso, indipendentemente dalla genealogia stilistica. Ne esistono almeno due varianti principali: lo Shuri-te Seisan, che si suppone sia uno sviluppo di Matsumura e il Naha-te Seisan. Quest’ultimo è stato introdotto ad Okinawa almeno già dal XVIII secolo. Una sua esecuzione il 24 marzo 1867, in occasione della visita ad Okinawa dell’ultimo sapposhi cinese, è testimoniata dal programma della celebrazione in onore del sapposhi stesso: oltre alle danze folkloristiche, la sezione arti marziali comprendeva dimostrazioni di Kobudo e di kata, tra questi il Seisan, dimostrato da Seisho Aragaki, e il Suparimpei, dimostrato da Tomura Chikudon. I Maestri che lo hanno studiato nel XIX secolo e tramandato nel XX sono stati Aragaki, Nakaima, Sakiyama, Higaonna e Uechi.

Shisochin

Letteralmente ‘battaglia nelle 4 direzioni’. Kata di livello intermedio introdotto da Higaonna. Contiene tecniche di liberazione e di presa a mano aperta, tipiche del Naha-te.

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Sochin (shito-ryu)

I due sochin, quello shito-ryu e quello shotokan, pur avendo lo stesso nome sono due kata affatto diversi, e non è possibile pensare ad una rielaborazione shotokan del kata shito-ryu. Il sochin okinawense, importato in Giappone da Mabuni, è stato insegnato da Seisho Aragaki, che lo insegnò tra gli altri a Mabuni e a Chitose. Inizia con una serie di tre pugni in nekoashi e prosegue con rotazioni in opposte direzioni. Termina con la posizione cosiddetta della ‘tigre nera’, con l’esecuzione di un calcio e una presa, pugni e mawashi-uke con spinta delle mani aperte. Mabuni lo dimostra in Karate-do Taikan di Genwa Nakasone, pubblicato nel 1938.

Sochin (shotokan)

Oscura è l’origine di questo kata. Nakayama Masatoshi lo ritiene una invenzione di Yoshitaka Funakoshi, ma forse il suo enbusen deriva dall’oscuro Kudaka-Sochin che Yoshitaka avrebbe appreso dal maestro Hisataka (secondo altri l’argomentazione andrebbe ribaltata, e sarebbe stato Yoshitaka stesso ad insegnarlo a Hisataka). Come che sia, il Sochin shotokan è caratterizzato dalla posizione di sochin-dachi su cui si effettuano una doppia parata, jodan e gedan.

Suparimpei

Letteralmente ‘108’. Suparimpei è unanimemente riconosciuto come la forma più complessa del Naha-te. Come tutti i kata numerici, anche ‘108’ è un numero dalle molteplice valenze filosofiche, la più diffusa è che 108 si riferirebbe alle passioni che il monaco buddista deve sconfiggere. Questo kata si pratica ad Okinawa sicuramente almeno dalla metà del XIX secolo, e fu dimostrato da Tomura Chikudon per la visita dell’ultimo sapposhi cinese il 24 marzo 1867. Suparimpei comprende moltissime tecniche di parate e attacco a mano aperta e chiusa in combinazione, attacchi di morote-tsuki in combinazione, e una completa varietà di tecniche di gamba, compreso mae-geri, mikazuki-geri e nidan-geri. Questi gruppi di tecniche hanno la particolarità di ripetersi nelle quattro direzioni.

Tensho

Letteralmente ‘mano che ruota’. Creazione del maestro Miyagi, che sviluppò questo kata dopo il ritorno dal viaggio in Cina che compì nel 1916 e dopo aver studiato il Bubishi. La leggenda vuole che Miyagi abbia creato il kata applicando l’insegnamento del capitolo 22 del Bubishi “i 6 modi di utilizzare il pugno (Roku Go Ichi Ki Shu, o Rokkishu)”, benché i movimenti descritti nel Bubishi siano attacchi e non parate come nel Tensho. Tensho in realtà integra movimenti ‘ruotanti’ di parata e presa con idee già presenti nel Sanchin. Tra l’altro, Kenzo Mabuni testimonia che il Tensho sia stato creato a due mani da Miyagi e da Kenwa Mabuni, e Kenzo ricordava ancora le sere in cui il kata veniva studiato e lui sedeva sulle ginocchia di Miyagi, tanta era la familiarità tra i due maestri di karate.

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Tekki vd. Nahianci

Unshu / Unsu

Letteralmente ‘mani di nuvola’. Altro kata trasmesso da Seisho Aragaki ad una manciata di persone, tra cui Mabuni, che portò in Giappone la sua interpretazione e la insegnò anche agli adepti Shotokan: questa versione è oggi la più famosa al mondo. Unsu è chiaramente un forma derivante dal sistema della Gru Bianca, come è testimoniato dai tre passi iniziali in nekoashi e dai tre attacchi in ippon nukite, che simulano lo sbattere della ali della gru. Il kata prosegue con una serie (in 3 direzioni nello shito, in 4 nello shotokan) di parate a mano aperta (kake-uke nello shito, tateshuto-uke nello shotokan) con contrattacco di gyaku-tsuki, per poi difendersi da terra con due tecniche di gamba (ushiro-geri nello shito, mawashi-geri nello shotokan). La versione shotokan prevede uno spettacolare salto, punto focale del kata, quasi al termine dell’esecuzione.

Useishi / Gojushiho sho/dai

Letteralmente ‘54’ passi. Anche il kata useishi / gojushiho risale almeno a Matsumura, ed era il kata preferito da uno dei suoi più brillanti allievi, Kentsu Yabu. Di questo kata esistono oggi molte versioni, le più note discendono da Itosu e Kyan. Una versione peculiare è invece conservata nel Matsumura Seito di Hoan Soken che, come nella versione di Kyan, prevede un inizio in hiza-dachi. La versione conservata nel Matsubayashi Shorin-ryu di S. Nagamine, prevede degli spostamenti che ricordano i movimenti di un ubriaco, spostamenti non reperibili nelle altre versioni. Pare che Funakoshi e la scuola Shotokan abbiano derivato questo kata dallo shito-ryu di Kenwa Mabuni, riadattandolo ai proprio canoni e dividendolo nelle versioni –sho e –dai (divisione che è peculiare dello stile Shotokan ).

Wanshu / Enpi

Alcuni momenti del kata Wanshu / Enpi eseguiti dal maestro Funakoshi

Wanshu è un nome proprio, quello di un militare cinese sbarcato ad Okinawa nel 1683. Questi avrebbe insegnato la sua arte marziale nei dintorni di Tomari, ed in effetti questo kata rimase confinato in quest’area almeno fino al 1871 (così Choki Motobu) epoca in cui Itosu l’avrebbe imparato dal suo amico Matsumora, maestro di Tomari-te, ed inglobato nel suo sistema (seppure non come uno dei kata principali).

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Wanshu, come Kusanku, è uno dei kata che conosce più varianti all’interno del gruppo degli stili Shorin. La versione Itosu, infatti, trasmessa da Funakoshi (che rinominò il kata Enpi, ossia ‘volo di rondine’) e da Mabuni, è profondamente diversa da quella trasmessa dalla linea Kyan, il quale apprese il kata Wanshu dal maestro di Tomari-te Maeda Chiku. Il Matsubayashi-ryu di S. Nagamine, a sua volta, trasmette una versione di questo kata ancora differente, molto più simile alla linea Itosu, ma con alcune caratteristiche peculiari, come il kakushi-zuki o ‘pugno nascosto’. Tutti i Wanshu, tuttavia, presentano delle posizioni comuni, forse unico ricordo del kata originario prima delle varie divisioni stilistiche: le parate in uchi/soto-uke con gyaku-tsuki (a mani aperte o chiuse e in posizione di gambe incrociate o lineare) ed una proiezione molto simile al kata-guruma.

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Biografia

minima dei 4 fondatori degli stili più diffusi di karate

Gichin Funakoshi (1868-1957) e lo shotokan

Descrivere la vita e soprattutto l’importanza della vita del Maestro Funakoshi, è impossibile in questa sede, e sarebbe anche inutile, dal momento che i suoi scritti autobiografici e tecnici sono ampiamente divulgati in Italia (con l’eccezione di Karate-do Kyohan). Basti sapere che, dopo il suo maestro Itosu (la cui vita e soprattutto il suo reale operato, nonostante tutto, ci sono ancora poco noti), è la figura più importante nello sviluppo del karate contemporaneo. Della sua infanzia, della sua giovinezza (e di tutti cambiamenti che avvennero dopo restaurazione Meiji), dei primi anni nel meraviglioso mondo del tode, dell’intimo rapporto coi suoi maestri Azato e Itosu, ci parla lui stesso nel suo capolavoro spirituale, Karate-do il mio stile di vita, trad. it. Mediterranee 1987 [tit. orig. Karate-Do Ichiro, Kodansha 1975]. Fu allievo dei maestri più famosi della sua epoca, Matsumura, Itosu, Azato ed altri che invece non hanno lasciato traccia nella storia del karate ma non per questo sono stati meno importanti nella formazione marziale del giovane Funakoshi. La data più importante nella sua vita di karateka è il 1921, anno in cui il Principe Imperiale (il futuro Hirohito), in viaggio verso l’Europa, si ferma ad Okinawa. Qui Funakoshi, insieme ad altri grandi nomi del karate, si esibisce in una dimostrazione che riscuote così tanto successo che l’anno seguente Funakoshi viene invitato a Kyoto all’Esposizione nazionale di educazione fisica per rappresentare il karate di Okinawa. Dopo la dimostrazione, il maestro J. Kano (il fondatore dello judo) lo invita a fermarsi in Giappone per diffondere la sua arte. All’età di 53 anni Funakoshi abbandona la sua isola natale, il suo lavoro di insegnante, e si trasferisce a Tokio. Gli

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inizi sono durissimi. Gli allievi sono scarsi e Funakoshi vive nell’indigenza. Ma la passione non lo abbandona e gli allievi pian piano iniziano ad aumentare. Tra i suoi primissimi allievi figurano però delle personalità che trascineranno il karate ai vertici mondiali, tra tutti Hironori Otsuka, fondatore dello stile wado-ryu. I più facoltosi raccolgono dei fondi e nel 1938 gli costruiscono quello che in assoluto sarà il primo dojo di karate chiamandolo Shotokan, ossia “la casa di shoto”. Shoto è il ‘fruscìo dei pini’, suono da cui Funakoshi era affascinato mentre camminava per i boschi natii e che adottò come suo pseudonimo poetico (come molti dei suoi maestri, Funakoshi era letterato e poeta). Funakoshi ha 70 anni. È in questo periodo che, sulla scia dello judo, entrano a far parte del karate il sistema dei kyu e dei dan per certificare le abilità raggiunte dagli allievi. Ad aiutare il maestro giunge il terzo figlio, Yoshitaka Funakoshi. Questi, benché di salute cagionevole (morirà infatti nel 1947), a costo di sforzi inimmaginabili divenne un esperto incontestabile di karate, in cui almeno in parte lasciò la sua impronta. Ma il karate di Funakoshi, basato principalmente sulla ripetizione e sullo studio del kata, alla lunga lasciò insoddisfatti i suoi allievi più anziani, desiderosi di cimentarsi anche nel combattimento libero sportivo, cosa che Funakoshi invece avversava: il combattimento nel karate non è uno sport, è una questione di vita o di morte, soleva dire. Alla sua morte, nel 1957, le contraddizioni e le polemiche non risolte spaccarono la sua scuola e i suoi allievi si divisero proseguendo ognuno a suo modo la ricerca del karate.

brano tratto da Karate Do il mio stile di vita, ed. cit. pp. 90-94

Sarebbe stato difficile, per chiunque, prevedere la vastità della catastrofe che colpì Tokyo il primo giorno di settembre del 1923. Fu quello il giorno del Grande Terremoto di Kanto. Tutte le costruzioni della zona erano fatte di legno, e nelle ore di fuoco furibondo che seguirono il sisma, la grande capitale fu ridotta in rovina. II mio dojo, fortunatamente, scampò alla distruzione, ma molti dei miei allievi semplicemente svanirono nell’olocausto degli edifici caduti e bruciati. Noi che sopravvivemmo facemmo tutto il possibile per soccorrere i feriti e i senzatetto nei giorni immediatamente successivi al terribile disastro. Con quelli dei miei allievi che non erano stati mutilati o uccisi, mi unii ad altri volontari per aiutare a procurare cibo per i profughi, per rinnovare macerie e per assistere nell’opera di sistemazione dei corpi dei defunti. Naturalmente, l’insegnamento del karate era stato temporaneamente rinviato, ma salvare una vita non poteva esserlo altrettanto. Dopo poco, una trentina di noi trovò lavoro al ciclostile della Banca Daiichi Sogo. Non ricordo più quanto fossimo pagati né quanto tempo lavorammo, ma mi ricordo quel viaggio quotidiano dal dojo di Suidobata alla banca di Kyobashi sembrava non finisse mai. Mi ricordo un particolare di quel pendolarismo quotidiano. A quei tempi, pochissima gente indossava scarpe nelle strade delle città giapponesi; ognuno calzava sandali o zoccoli di legno chiamati «geta». C’e un tipo di questi ultimi chiamato «hoba no geta», che sotto ha due denti estremamente lunghi e talvolta uno solo, ed io calzavo sempre questi ultimi per rafforzare i muscoli delle gambe. Lo facevo da giovane ad Okinawa, e non vedevo alcun motivo per cambiare ora che facevo il pendolare per il mio lavoro alla banca. I «geta» ad un dente che calzavo erano intagliati in legno molto duro e facevano un gran rumore ad ogni passo, forte quanto quello dei «geta» di metallo di alcuni di coloro che si allenano nel karate oggi. Indubbiamente i passanti nelle strade mi guardavano ridendo fra sé e sé, divertiti al fatto che un uomo della mia età dovesse essere cosi vanitoso da voler aumentare la sua altezza. Dopo tutto, avevo ben più di cinquant’anni all’epoca. Assicuro comunque i miei lettori che il mio scopo non era la vanità: consideravo i miei «geta» ad un dente una necessità per il mio allenamento quotidiano. Col passare delle settimane e dei mesi,

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Tokyo cominciò ad essere ricostruita, ed alla fine arrivò il momento in cui ci rendemmo conto che il nostro dojo era in uno stato di vera rovina. Il Meisei Juku era stato costruito intorno al 1912 o 1913, e niente gli era stato fatto per molto tempo. Fortunatamente, ci fu concesso del denaro dal governo prefettizio di Okinawa e dalla Società di Cultura di Okinawa per attuare le riparazioni più urgenti. Ma naturalmente dovevamo trovare altri ambienti mentre il Meisei Juku fosse stato rimesso a nuovo. Avendo sentito che avevo bisogno di locali per l’allenamento, Hiromichi Nakayama, grande istruttore di scherma e buon amico, mi offrì l’uso del suo dojo quando non era usato per la pratica della scherma. Inizialmente affittai una piccola casa vicino al dojo di Nakayama, ma presto potei affittarne una più grande con un vasto cortile dove io ed i miei allievi potevamo allenarci. Venne, comunque, il giorno in cui questa sistemazione divenne inadeguata. II numero dei miei allievi cresceva, ma così pure il numero degli allievi di scherma. La conseguenza era che io recavo disturbo al mio benefattore. Sfortunatamente, la mia situazione finanziaria era ancora precaria e non potevo fare ciò che era logicamente desiderabile: costruire un dojo specificamente per il karate. Fu intorno al 1935 che un comitato nazionale di sostenitori del karate sollecitò abbastanza fondi per il primo dojo di karate mai eretto in Giappone. Non fu senza un minimo di orgoglio che, nella primavera del 1936, entrai per la prima volta nel nuovo dojo (a Zoshigaya, quartiere Toshima) e vidi sulla porta un’insegna recante il nuovo nome del dojo: Shotokan. Era questo il nome che aveva deciso il comitato; non pensavo mai che esso volesse scegliere lo pseudonimo che usavo da giovane per firmare i poemi cinesi che scrivevo. Ero triste, anche perché avrei voluto sopra ogni cosa che i maestri Azato e Itosu venissero ad insegnare nel nuovo dojo. Ahimè, nessuno dei due era più su questa terra, così il giorno che il nuovo dojo fu aperto ufficialmente, bruciai dell’incenso nella mia stanza e pregai per le loro anime. Agli occhi della mia mente, quei due grandi maestri sembravano sorridenti, mentre dicevano: «Buon lavoro, Funakoshi, buon lavoro! Ma non fare l’errore di compiacerti di te stesso, poiché hai ancora molto da fare. Oggi, Funakoshi, è solo l’inizio». L’inizio? Avevo allora quasi settant’anni. Dove avrei trovato il tempo e la forza per fare tutto ciò che ancora doveva essere fatto? Fortunatamente non vedevo ne sentivo la mia età, e decisi, come i miei insegnanti mi chiedevano, di non cedere. C’era ancora, mi avevano detto, molto da fare. In un modo o nell’altro, l’avrei fatto. Uno dei miei primi compiti, con il completamento del nuovo dojo, fu di preparare una serie di regole da seguire ed un programma di insegnamento. Formalizzai anche i requisiti per i gradi e le classi («dan» e «kyu»). II numero dei miei allievi cominciò a crescere di giorno in giorno, così che il nostro nuovo dojo, che era sembrato più che adatto ai nostri bisogni all’inizio, ora lo diventava sempre meno. Benché, come dico, non sentissi la mia età, mi resi conto che non potevo assolutamente adempiere a tutti i doveri che si stavano costantemente accumulando. Non solo c’era il dojo da dirigere, ma anche le università di Tokyo stavano ora formando gruppi di karate nelle loro sezioni di educazione fisica, e questi gruppi avevano bisogno di istruttori. Chiaramente, era troppo per un uomo soprintendere al dojo e viaggiare da università a università, cosi incaricai gli allievi anziani di insegnare nelle loro università al posto mio. Nello stesso tempo, assunsi il mio terzo figlio come assistente, delegandogli i compiti quotidiani di amministrazione del dojo, mentre io sovrintendevo l’insegnamento sia lì che nelle università. Dovrei puntualizzare che le nostre attività non erano limitate a Tokyo. Molte cinture nere del mio dojo come molti karateka delle università si impegnarono nei centri e nelle cittadine della provincia, col risultato che il karate divenne noto in tutto il paese e furono costruiti un gran numero di dojo. Ciò mi conferì ancora un’altra missione, poiché col diffondersi del karate io ero costantemente assillato da gruppi locali per spostarmi qui e la a tenere conferenze e dimostrazioni. Quando ero via per qualche tempo, lasciavo la direzione del dojo nelle buone mani dei miei allievi più anziani. Mi è stato spesso chiesto come è successo che io scegliessi lo pseudonimo di Shoto, che divenne il nome del dojo. La parola «shoto» in giapponese significa letteralmente «onde di pino» e così non ha un grande significato arcano, ma vorrei dire perché la scelsi. La città fortificata di Shuri dove sono nato è circondata da colline con foreste di pini delle Ryukyu e vegetazione subtropicale, fra cui il Monte Torao, che apparteneva al Barone Chosuke le (il quale, di fatto, divenne uno dei miei primi mecenati a Tokyo). La parola «torao» significa «coda

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di tigre» ed era particolarmente appropriata poiché la montagna era molto stretta e così foltamente boscosa che vista da lontano sembrava piuttosto la coda di una tigre. Quando avevo tempo, solevo passeggiare sul Monte Torao, talvolta di notte quando la luna era piena o quando il cielo era così limpido che si stava sotto una volta di stelle. A quei tempi, se accadeva che ci fosse anche un po’ di vento, si poteva udire lo stormire dei pini e sentire il profondo, impenetrabile mistero che si trova all’origine di tutta la vita. Per me il mormorio era una specie di musica celestiale. Poeti di tutto il mondo hanno cantato le loro canzoni sul mistero che si trova nei boschi e nelle foreste, ed io ero attratto dalla seducente solitudine di cui essi sono un simbolo. Forse il mio amore per la montagna era intensificato poiché io ero stato figlio unico e fragile fanciullo, ma penso che sarebbe stato esagerato definirmi un «solitario». Tuttavia, dopo un’intensa seduta di pratica di karate, volevo solo uscire e passeggiare in solitudine. In seguito, quando fui ventenne e lavoravo come maestro a Naha, andavo frequentemente in una stretta, lunga isola nella baia che vantava uno splendido parco naturale chiamato Okunoyama, con maestosi alberi di pino ed un grande stagno con alberi di loto. La sola costruzione sull’isola era un tempio Zen. Anche qui solevo venire frequentemente a passeggiare da solo fra gli alberi. Da quell’epoca ho praticato karate per alcuni anni, e divenendo più familiare con l’arte sono ora più conscio della sua natura spirituale. Godere la solitudine ascoltando il vento fischiare attraverso i pini era, mi sembrava, un’eccellente maniera per raggiungere la pace di spirito, che il karate richiede. E dato che ciò e stato parte del mio modo di vivere dalla più tenera fanciullezza, decisi che non c’era nome migliore di Shoto con cui firmare le poesie che scrivevo. Col passare degli anni, questo nome divenne, ritengo, meglio conosciuto di quello che i miei genitori mi imposero alla nascita, e spesso mi sono accorto che se non avessi scritto Shoto accanto a Funakoshi la gente non sarebbe stata portata a sapere chi fossi.

Funakoshi, come già i suoi predecessori, ci ha lasciato venti regole da seguire durante la pratica:

1) Non dimenticare che il karate inizia e finisce con il saluto.

2) Nel karate non si attacca per primi.

3) Il karate sta dalla parte della giustizia.

4) Conosci prima te stesso, poi conosci gli altri.

5) Nell’arte, lo spirito è più importante della tecnica.

6) L’importante è mantenere il proprio spirito aperto verso l’esterno.

7) La disgrazia proviene dalla mancanza d’attenzione.

8) Non pensare che si pratichi karate solamente nel dojo.

9) L’allenamento nel karate prosegue tutta la vita.

10) Applica il karate ad ogni cosa. È qui che si nasconde la sua bellezza.

11) Il karate è come l’acqua calda, si raffredda quando si smette di scaldarla.

12) Non pensare a vincere, pensa a non perdere.

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13) Cambia a seconda del tuo avversario.

14) L’essenziale in un combattimento è padroneggiare la forza e la debolezza.

15) Considera gli arti dell’avversario come spade.

16) Quando un uomo varca la soglia della propria casa, si può trovare di fronte a milioni di avversari.

17) Mettiti in guardia come un principiante, in seguito potrai stare in modo naturale.

18) Bisogna eseguire correttamente i kata; essi sono differenti dal combattimento.

19) Non dimenticare la variazione della forza, la scioltezza del corpo e il ritmo nelle tecniche.

20) Sii sempre concentrato, costante, pensa ed elabora sempre mentre persegui la Via.

Su Funakoshi la bibliografia è amplissima, ma poco o niente in lingua italiana.

Dei quattro libri più importanti di Funakoshi, i primi 3 sono disponibili in traduzione italiana, il quarto solo in inglese:

1) To-te jutsu, ed. Mediterranee 2004 (è la seconda edizione del primo libro di Funakoshi, è del 1922, con le foto del maestro che esegue alcuni kata)

2) Karate-do il mio stile di vita, ed. Mediterranee 1987 (è la biografia-testamento spirituale di Funakoshi)

3) Karate-do Nyumon, Ed. Mediterranee 1999 (storia e tecnica del karate)

4) Karate-do Kyohan, Kodansha International 1973 (è il libro più completo sul karate di Funakoshi)

Su Funakoshi sono altresì fondamentali:

K. Tokitsu, Storia del karate, Luni 2001, pp. 66-91.

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S. Nagamine, I Grandi Maestri di Okinawa, Ed. Mediterranee 2002, pp. 88-98.

R. Kim, The Weaponless Warriors, an Informal History of Okinawan Karate, Ohara Publications 1974, pp. 90-94.

Patrick McCarty, G. Funakoshi Tanpeshu (Untold Story), International Ryukyu Karate Research Society 2003.

I 20 precetti di Funakoshi sono presentati e commentati da G. Nakasone in The Twenty Guiding Principles of Karate. The Spiritual Legacy of the Master, Kodansha International 2003.

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Kenwa Mabuni (1889-1952) e lo shito-ryu

Dimenticando tutto, io remo

verso l’isola dell’arte marziale.

È questa la mia gioia suprema.

Kenwa Mabuni è stato senza ombra di dubbio uno dei più grandi geni del karate, senz’altro uno dei maestri più dotati in ogni senso. Era il discendente di una nobile famiglia (keimochi è il termine usato in Okinawa) e nacque il 14 novembre 1889 nei dintorni del Castello di Shuri. Fin da bambino fu iniziato alla pratica delle arti marziali, grazie alle quali il suo fisico migliorò in maniera progressiva (almeno secondo il suo libro del 1938 Kobo Kempo Karate-do Nyumon). Ricevette i primi rudimenti del karate da un domestico di casa chiamato Matayoshi (il quale gli insegnò, come consuetudine prima della creazione dei 5 pinan, la versione originale del kata naihanchi che poi invece Itosu gli suggerì di abbandonare per le versioni da lui codificate). Continuò a studiare sotto Itosu dall’età di tredici anni fino alla morte del maestro, senza mai mancare un solo giorno, neanche in un giorno di tifone, come ricorda il figlio Kenei Mabuni. Nel 1902 entra nel liceo dipartimentale di Okinawa, dove il karate non è ancor insegnato. La sua gioventù scolastica fu irrequieta, partecipò ai moti di sciopero dei liceali, e in seguito a questi episodi fu costretto a trasferirsi e ad entrare nella scuola navale. A 19 anni terminò gli studi ed iniziò a lavorare come insegnante a tempo determinato alla scuola elementare di Naha. È qui che conobbe Chojun Miyagi. La passione per il karate li unì e Miyagi decise di presentare l’amico al suo maestro, Kanryo Higaonna. Mabuni ha dunque la possibilità di studiare il Naha-te dal suo ‘fondatore’. Mabuni fu uno dei soli tre uomini che ebbero l’onore di allenarsi sia con Itosu sia con Higaonna: gli altri due furono Toyama Kanken (1888-1966) e Shimpan Gusukuma (1889-1954). Secondo la testimonianza di Kiyoda Juhatsu, uchi-deshi (discepolo interno) di Higaonna, Mabuni si allenò con una intensità e una dedizione uniche. L’allenamento con Higaonna fu

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intenso, ma di breve durata. Dopo due anni Mabuni partì per il servizio militare; al ritorno, nel 1914, anche grazie al suggerimento di Miyagi, divenne ispettore di polizia. Sarà poliziotto per dieci anni. Questo lavoro gli offrì l’opportunità di spostarsi per Okinawa e confrontarsi con i più accreditati maestri di arti marziali studiandone stili e kata. Esperto di to-de, Mabuni fu anche maestro riconosciuto di Kobudo, che apprese in particolar modo dai maestri Aragaki e Soeshi per il Bo e Tawada per il Sai. Il maestro Aragaki (morto probabilmente nel 1918), era un esperto di kung-fu stile ‘pugno del monaco’ e ‘gru bianca’, che abitava nel mitico villaggio cinese di Kume. Fu lui ad insegnare i kata niseishi, unsu e sochin a Mabuni. Itosu e Higaonna morirono lo stesso anno, il 1915. Mabuni aveva 26 anni. Ancora troppo giovane per continuare da solo nella via del karate, insieme a Miyagi, con il quale intanto approfondisce il Naha-te, decise di costituire un gruppo di ricerca sul karate. Nel 1918 nasce dunque la Toudi-jutsu Kenkyukai (Gruppo di ricerca sul To-de). Ne facevano parte i migliori karateka di Okinawa, gli allievi dei tre più grandi maestri di sempre, Matsumura, Higaonna e Itosu: oltre a Mabuni e Miyagi, Kentsu Yabu, Hanashiro Chomo (che va annoverato tra i maestri specifici di Mabuni), Choyu Motobu (fratello maggiore di Choki Motobu), Chojo Oshiro (1887-1969, un allievo di Itosu, famoso per la sua abilità nello Yamane-ryu bojutsu), S. Tokumura, S. Ishikawa, Gichin Funakoshi. Questo primo gruppo non dispone di un dojo dove allenarsi e forse è per questo motivo che questa prima associazione non va oltre una certa collaborazione pratica. Tuttavia questi maestri, per la prima volta, iniziarono ad eseguire dimostrazioni pubbliche ad Okinawa, in collaborazione con scuole ed enti culturali e, evento ancora più importante, furono chiamati ad eseguire dimostrazioni per onorare le visite di dignitari stranieri e giapponesi. La data del 1921 segna una tappa fondamentale nella storia del karate. Il principe Hirohito, in viaggio verso l’Europa, fa tappa ad Okinawa. In suo onore fu organizzata una dimostrazione di karate.

Nel 1924 le tre dimostrazioni più importanti sono: 1) al teatro Taisho di Naha, 2) al ginnasio di Shuri e 3) davanti al principe Chichibu Nomiya.

È sempre nel 1924 che Mabuni mette a disposizione dei suoi colleghi il giardino di casa sua per gli allenamenti. Il nuovo gruppo è composto, tra gli altri, da: Miyagi, J. Kyoda, Choyu Motobu, Hanashiro Chomo, C. Oshiro, Chosin Chibana e Gokenki. È Kenei Mabuni a ricordare quel periodo:

Prima della costruzione del dojo, mio padre si allenava con i suoi allievi nel giardino, la notte, alla luce di una lampada elettrica. La maggior parte degli allievi erano a dorso nudo, raramente ho visto allievi vestiti con il kimono di judo o di kendo… Fin dall’infanzia la mia casa è sempre stata frequentata da karateka, e io sono cresciuto guardando i loro allenamenti. A volte i visitatori mi regalavano dei dolci quando mostravo loro i kata che avevo imparato… nell’ottobre del 1924 mio padre fece costruire il dojo che sognava da molto tempo. Vi installò ogni genere di strumenti destinati a rafforzare il corpo per il karate. Era un dojo ideale.

e ancora

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Nell’allenamento del kata, le esecuzioni di ogni maestro contenevano le tecniche personali che contraddistinguevano quell’insegnante. Anche oggi, molti dei kata che si praticano prendono il nome dal maestro o dai luoghi in cui venivano insegnati.

Nel 1925 il Butokukai giapponese aveva già riconosciuto judo e kendo, ma non il to-de. Il primo passo per il riconoscimento era presentare il to-de alla Stazione di Polizia locale, che svolgeva le funzioni del governo federale. Essere riconosciuti dal Governo ufficiale di Okinawa era un passo necessario per il riconoscimento della sezione Judo del Butokukai di Okinawa.

Ma fu nel 1927 che il karate conobbe una svolta. Fu in questa data infatti che il grande maestro Jigoro Kano pianificò una visita ad Okinawa. Per l’evento si prepararono delle celebrazioni di benvenuto, tra le quali era compresa una dimostrazione di to-de. Non era la prima volta che Kano visitava Okinawa. Secondo la testimonianza di Gima Shinkin (1896-1989, studente di Itosu prima e di Kentsu Yabu poi: fu il presidente degli istruttori di karate delle scuole di Okinawa; fu lui ad assistere Funakoshi a Tokio nelle sue dimostrazioni del 1922, sia alla “Prima Esibizione Nazionale di Atletica” poi al Kodokan davanti a Jigoro Kano), già nel 1926 Kano era venuto 4 volte ad Okinawa per tenere dei seminari, ma non aveva mai assistito ad una dimostrazione di to-de. Questa volta, a Mabuni e Miyagi fu chiesto di organizzare una dimostrazione per illustrare la loro arte. In questa occasione, venne chiesto a Mabuni di cercare un nome alternativo a to-de, che suonava troppo cinese. Senza tenere in considerazione il precedente tentativo di Hanashiro Chomo, che aveva intitolato ‘karate kumite’ utilizzando i kanji per ‘mano nuda’ quella che forse è la prima pubblicazione sul karate, ci fu generale accordo sul fatto di inquadrare il to-de a secondo delle zone geografiche dove era stato principalmente coltivato, ossia shuri-te, tomari-te, naha-te. È sempre Gima Shinkin a testimoniare che prima di allora mai si era parlato di shuri-te, tomari-te e naha-te, ma che l’arte si chiamava genericamente to-de. Nel 1928, furono Miyagi e Mabuni ad informare Funakoshi del cambiamento. Dal momento che la dimostrazione del 1927 venne allestita dal Ministero dell’Educazione, venne chiesto a Mabuni di illustrare i principi dello shuri-te (fondamentalmente i kata pinan e naianchi), mentre a Miyagi spettò il compito di illustrare il naha-te. Mabuni era convinto che una simile dimostrazione non avrebbe facilitato l’espansione del karate, e pregò Kano di voler assistere ad una dimostrazione offerta dai maestri più abili dell’epoca. Fu così che la mattina dopo Kentsu Yabu, Hanashiro Chomo, Chutoku Kian, Miyagi e Mabuni dimostrarono i kata e le loro applicazioni in privato a Jigoro Kano. Alla fine della dimostrazione, Kano suggerì a Miyagi e Mabuni di trasferirsi in Giappone a diffondere quest’arte.

L’eclettismo dell’arte di Mabuni, sintomo della sua sete di ricercatore e della sua insaziabile curiosità, lo portò ad apprendere, studiare per poi alla fine confrontare stili e tecniche, sempre pronto umilmente ad imparare senza chiudersi in una torre d’avorio. Non fu mai benestante, e non riuscì a soddisfare il desiderio di andare in Cina ad apprendere dove avevano appreso i suoi maestri. Tuttavia, avendo ben compreso l’importanza della connessione cinese, ed essendo soprattutto affascinato

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dallo studio del qinna, si circondò sempre di esperti provenienti dalla Cina: per primo Gokenki, To Daiki ed anche Kanbun Uechi, che aveva studiato in Cina con lo stesso maestro di Higaonna (McCarthy 1999 p. 13).

Un curiosa testimonianza riguarda anche il rapporto Mabuni-Funakoshi. Secondo il Karate-do Directory della FAJKO (citato da McCarty 1999 p. 12), Funakoshi avrebbe appreso da Mabuni i cinque pinan nel 1919, all’età di 51 anni. La testimonianza è difficilmente accettabile. Se è pur probabile che Funakoshi possa aver rivisto i kata Pinan insieme a Mabuni (anche se l’influenza Shito è più palese nello stile Wadoryu che non nello Shotokan), un testimonianza di S. Nagamine non lascia adito a dubbi, e si confronti Nagamine 2002, p. 90

Nei circa trent’anni di insegnamento scolastico Funakoshi lavorò sempre nei dintorni di Shuri e Naha. Così fu in grado di proseguire i suoi allenamenti sotto la guida sia di Azato e sia Itosu Anko. Ricordo un episodio nel 1916, quando io ero in terza elementare. Al parco Onoyama di Naha c’era una giornata pubblica di sport per le scuole elementari. In quel periodo Funakoshi sensei insegnava alla scuola elementare di Tomari. Aveva insegnato i kata Naihanchi e Pinan ai ragazzi dalla terza in poi. Dopodiché, oltre duecento ragazzi avevano eseguito una dimostrazione in gruppo di kata. Me lo ricordo come se fosse oggi.

Nel 1928, seguendo il consiglio di Kano, Mabuni e Miyagi si recano in Giappone, a Tokio. Fanno visita a Funakoshi e Jigoro Kano e organizzano qualche dimostrazione. Mabuni si rende conto che l’interesse per il karate cresce di giorno in giorno, e sente la necessità di arruolare nuove forze. È grazie all’incontro con Konishi Yasuhiro (1893-1983, dello Shindo Jinen-ryu) e Hironori Otsuka che Mabuni e Miyagi possono organizzare lezioni nei pressi di Kanto, poi a Kyoto e Osaka, dove Mabuni decide di stabilirsi anche per rispetto dell’amico Funakoshi. Ancora oggi Osaka è la roccaforte dello Shito-ryu. Nel 1932 Mabuni organizzò il suo insegnamento presso l’Università Kansai Gakuin. Nonostante il successo, Mabuni non divenne mai benestante. Hironori Otsuka ha detto di lui: «Mabuni avrebbe potuto facilmente diventare ricco se avesse voluto guadagnare sulla sua popolarità. Piaceva a tutti, forse qualcuno lo invidiava, ma nessuno lo odiava».

Secondo Konishi Yasuhiro, l’amico più stretto di Mabuni in Giappone, la sete di Mabuni di conoscere il più approfonditamente possibile il karate era tale che i pochi soldi che possedeva li spendeva più per la ricerca che per il cibo. La famiglia Konishi divenne come una seconda famiglia anche per Kenei Mabuni, che spesso era loro ospite quando papà Kenwa viaggiava per le sue dimostrazioni. All’inizio dell’epoca Showa (1925-1989) Mabuni si recò insieme a Konishi a Wakayama, dove avvenne l’incontro con Kanbun Uechi. Risultato di questo incontro fu l’introduzione del kata Shimpa, un kata che insegnava i principi dello stile della tigre e del cane di Fujian. Nel 1933 Mabuni aveva allargato di molto la cerchia dei suoi allievi. I suoi allievi di Kansai chiamavano il suo stile Hanko-ryu (mezzo morbido-mezzo duro), quelli di Kanto semplicemente Mabuni-ryu. Nell’aprile del 1933 la sezione okinawense del Dai Nippon Butoku-kai ammise il karate nel Dipartimento di Judo e

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nel dicembre dello stesso anno il karate venne riconosciuto come Budo giapponese. Nel 1934 Mabuni decise di registrare il suo stile come Shito-ryu, come è noto derivandolo dal nome dei suoi due maestri principali, Itosu e Higaonna. Il 1934 fu anche l’anno dell’apertura ad Osaka del dojo Yoshokan.

Purtroppo, come spesso accade, l’invidia fece dire a qualcuno che il karate di Mabuni, così incentrato sullo studio del kata, era una danza priva di efficacia nel combattimento reale. In effetti è vero tutto il contrario. Non solo Mabuni fu un pioniere nello studio di protezioni che permettessero di combattere senza subire gravi danni, ma le testimonianze dei suoi allievi più stretti non lasciano adito a dubbi: secondo Ryusho Sagakami, Mabuni era un gentiluomo beneducato che ha avuto la sua buona parte di scontri mentre era in polizia, cosa confermata da suo figlio Kenei Mabuni, al quale Kenwa avrebbe confidato che la sua conoscenza del karate spesso lo aveva aiutato durante il lavoro di poliziotto. Per quanto riguarda la visione del kumite sportivo, Mabuni condivideva quello che era il pensiero di molti maestri della vecchia generazione: il kumite sportivo non fa parte del karate vero, ma è solo un’attività sportiva di moda tra gli atleti delle Università. Torna il solito discorso: il karate è vita o morte, con tutto quello che questo comporta, non altro. Mabuni riconosceva comunque i vantaggi dello sport karate. Choki Motobu, il cui karate era indirizzato solo alla ricerca dell’efficacia, pur non vedendo di buon occhio Funakoshi, ammirava incondizionatamente Mabuni.

L’influenza di Mabuni fu enorme nel karate della sua epoca. Sia Otsuka sia Konishi lo descrivono come una persona calma e gentile, mentre Kinjo Hironishi ha detto che Mabuni fino al giorno della sua morte fu considerato il guru del karate. Quando si aveva bisogno di spiegazione per un kata, ci si recava da Mabuni. Anche Funakoshi fu tra chi si giovò del suo insegnamento. Otsuka confermò questo fatto asserendo che molti dei kata di Funakoshi derivavano direttamente da Mabuni, e che spesso Funakoshi si recava a trovare Mabuni coi suoi allievi migliori per apprendere nuovi kata. Poco noti, purtroppo, sono gli scritti di Mabuni sia in Oriente sia soprattutto in Occidente. Questo perché prima della fine della Seconda Guerra Mondiale erano già fuori distribuzione, e a tutt’oggi non sono mai stati tradotti in una lingua europea, eccezion fatta per Karate-do Nyumon, scritto nel 1935 e poi ripubblicato nel 1938 sempre in collaborazione con il prolifico Genwa Nakasone, ora tradotto in catalano per le Miraguano Ediciones nel 2002. Da molti, è questo il testo ad essere considerato la vera bibbia del karate moderno. Il primo libro pubblicato da Mabuni porta la data del 1933 ed è intitolato Karate-jutsu: sfortunatamente di questo libro si è persa ogni traccia. L’anno seguente ha visto la luce Kobo Jizai Goshin-jutsu Karate-do Kempo (Karate-do: Teoria e applicazione dei kata sanchin e seiunchin (di questo libro è ora pronta la traduzione inglese di Mario McKenna, disponibile sono in e-book acquistabile on-line). Tra le presentazioni, spicca quella Funakoshi: «Mabuni Kenwa è mio ottimo amico e insigne ricercatore del karate-do. Oggi considerato un vero esperto, il maestro Mabuni ha collezionato un materiale di ricerca immenso, ed è insuperabile nella sua maestria di tanti kata». Per altri commenti su questo libro,

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soprattutto tratti dai giornali dell’epoca, cfr. McCarthy 2002, pp. 31-32. Mabuni fu, inoltre, il primo a pubblicare il Bubishi, nel 1934, trascrivendo la copia in possesso del suo venerato maestro Anko Itosu. Sull’importanza del Bubishi nella storia delle arti marziali e sulla sua influenza sul karate di Okinawa, rimando senz’altro a McCarthy 2002, 28-29 e a McCarthy 2000. Questo primo libro comprendeva anche lo ‘studio del kata seipai’. Nell’introduzione, Mabuni si presentava come maestro di goju-ryu kempo, e descriveva la sua arte come ideale per il benessere fisico e l’autodifesa, i cui meriti comprendevano anche il fatto di essere economica e non bisognosa di un luogo o di una divisa particolare per l’allenamento. Tra i meriti del karate, inoltre, era annoverato il fatto di poter essere praticato in qualsiasi età e da entrambi i sessi, ed era molto più semplice rispetto ad altri tipi di budo. Inoltre Mabuni appare nel libro di Konishi Yasuhiro Karate Jotatshuho (‘Come diventare maestro do karate’), per dimostrare il kata passai (le foto di questa esecuzione sono comprese come bonus nell’e-book di McKenna).

Altri libri che Mabuni aveva intenzione di pubblicare, ma che non videro mai la luce, furono

- Mabuni-ryu Karate-do Kempo Joshi Goshin-Jutsu, sulla difesa personale per le donne. Proprio per loro Mabuni aveva creato i kata aoyagi (salice verde) e myojo (Venere);

- Goju-ryu Karate-do Kempo, Sochin and Kururunfa. Nel libro si sarebbero dovuti analizzare questi kata perché comprendevano tecniche non usuali come prese inverse, proiezioni particolari e colpi di nuca al plesso solare.

Mabuni fu anche autore di due articoli apparsi sulla rivista Culture Okinawa Monthly del 1941. Nel primo Mabuni sottolineava l’importanza della buona salute e della spiritualità, e considerava il karate-do un ottimo strumento per svilupparle entrambe. Nel secondo, più importante, Mabuni sottolineava l’importanza di unificare il karate-do considerandolo una sezione del Bushido giapponese.

Uno dei discorsi più belli di Mabuni è stato trasmesso a Patrick McCarthy tramite il suo maestro Kinjo Hiroshi

Non ci sono stili nel karate-do, solo varie interpretazioni dei suoi principi. Un maestro di karate comprende l’importanza della cooperazione con l’infinito, piuttosto che continuare a resistere all’inevitabile. Il karate-do può innalzare il valore della vita stessa. Si crede troppo in uno stile piuttosto che su un altro, su un maestro piuttosto che su di un altro, sulla vittoria e sulla sconfitta. Ciò non ha nulla a che vedere con lo scopo ultimo del karate. Vivere proiettati nel passato è tanto folle quanto credere di poter viaggiare nel futuro. In questa vita, esiste solo il presente. Dobbiamo tutti imparare a gioire della bellezza dell’attimo, senza pregiudizi, anche se si tratta dello studio di una vita: questa è la bellezza del karate-do. Le risposte sono dentro di noi, e chi ha trovato le risposte non ha bisogno di cercare altrove.

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Mabuni sensei è morto alla relativamente giovane età di 63 anni, lasciandosi dietro un sogno mai realizzato: l’unificazione del karate. Il maestro ci ha tuttavia lasciato un’eredità di conoscenza infinita, profonda e penetrante, che noi dobbiamo ancora riscoprire.

Classificare i kata dello shito-ryu non è cosa semplice. Lo shito-ryu è forse l’unico stile dove l’insieme dei kata è in continua evoluzione. Comunque, una linea generalmente accettata da tutte le scuole è la seguente:

- kata provenienti da Higaonna e Miyagi:

Sanchin

Saifa

Seienchin

Shisochin

Sesan

Sepai

Sanseiru

Kururunfa

Suparimpei

Tensho

Gekisai ichi

Gekisai ni

- Dalla scuola Itosu:

Pinan 1-5

Naihanci 1-3

Jitte

Jion

Jiin

Rohai 1-3

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Kosokun dai

kosokun sho

Passai dai

Passai sho

Chinto

Chintei

Kuniyoshi Kusanku

Gojushiho

Ishimine Passai

- Da altre fonti:

dal maestro Aragaki

Niseishi

Unshu

Sochin

- Dalla scuola Matsumura (forse tramite i maestri Chomo e Yabu)

Seisan

Matsumura Bassai

- Dalle linea Tomari:

Wankan

Matsumura Rohai

Wanshu

Tomari Passai

Tomari Chinto

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- Da Gokenki

Nipaipo

Hakutsuru

Happoren

- da Kambun Uechi

Shimpa

- Cinque kata composti da Kenwa Mabuni:

Aoyagi

Juroku

Myojo

Matsukaze

Shiho Kosokun

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Chojun Miyagi (1888-1953) e lo stile goju-ryu

Il significato di un kata è ciò che dobbiamo comprendere e vivere – ognuno di noi – attraverso il nostro senso

dell’arte marziale e le nostre capacità

Chojun Miyagi nacque il 25 aprile 1888 a Higashi-Machi (Naha), in una famiglia ricca il cui lavoro era principalmente l’import/export di prodotti farmaceutici. Il nome proprio di Miyagi era Machu, che fu cambiato in Chojun all’età di 5 anni dallo zio che l’adottò dopo la morte del padre, nel 1893. La sua famiglia era proprietaria di due navi che viaggiavano regolarmente in Cina per commercio. L’agiatezza familiare permise a Miyagi di non avere mai altre preoccupazioni che non fossero inerenti allo studio del karate. Secondo alcuni, ma la notizia è molto incerta, il suo addestramento marziale iniziò con il grande Seisho Aragaki a 11 anni. Seisho Aragaki, prima di trasferirsi con la sua famiglia a Taiwan lo presentò al suo allievo Kanryo Higaonna, che divenne così il maestro di Miyagi, all’epoca quindicenne. Era precisamente l’autunno del 1902.

Secondi altro, ad esempio Tokitsu 2001, Aragaki si sarebbe trasferito a Pechino nel 1870, ragion per cui non sarebbe potuto essere il primo maestro di Miyagi; secondo Sells 2000, invece, a presentare un quattordicenne Miyagi a Higaonna sarebbe stato Kyoda Juhatsu (1887-1968). Sempre secondo Sells 2000, Miyagi sarebbe stato introdotto al naha-te da un certo Arakaki Ryuko (1875-1961), da non confondersi col più famoso Arakaki Seisho, e avrebbe studiato durante la scuola media anche lo shuri-te con Kentsu Yabu e Hanshiro Chomo.

Incuriosito dai racconti di Higaonna sull’abilità dei suoi maestri cinesi e soprattutto di Ryuryuko, Miyagi decise di partire a sua volta per la Cina. Di un

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presunto primo viaggio, collocabile cronologicamente tra il 1906 e il 1910, non vi sono testimonianze certe. Dopo la morte di Higaonna (di cui si incaricò di organizzare il funerale), nel 1916 Miyagi si recò per la seconda volta in Cina a Fuzhou, alla ricerca di Ryuryuko (secondo altri, Miyagi fu raggiunto dalla notizia della morte di Higaonna mentre già si trovava in Cina, motivo per cui affrettò il suo ritorno in patria). Durante questi spostamenti, Miyagi era accompagnato da Gogenki, la cui influenza sul karate di Miyagi e soprattutto di Kenwa Mabuni è ben nota. Chi e cosa Miyagi trovò in Cina, e soprattutto con chi e cosa studiò, è difficile da definire. Come che sia, la permanenza in Cina durò due anni, e al ritorno in patria Miyagi iniziò a perfezionare il Naha-te che aveva ereditato da Higaonna.

I viaggi di Jigoro Kano ad Okinawa segnarono una svolta per tutti i karateka di Okinawa. Nel primo, datato 1922, il discorso che Kano tenne sul Budo giapponese provocò una profonda riflessione tra i maestri in relazione alla qualità culturale della loro arte. All’epoca, gli okinawensi vivevano una situazione di profonda inferiorità nei confronti dei giapponesi, e il comportamento umile di Kano, il cui grado e i riconoscimenti conferitigli dall’Imperatore lo ponevano molto al di sopra del più alto dignitario di Okinawa, fecero molto effetto Nel 1926 i maestri di Okinawa organizzarono una dimostrazione in onore di Kano: a Miyagi spettò il compito di illustrare il naha-te, a Mabuni lo shuri-te. Alla fine, Kano consigliò vivamente a Miyagi, così come era già successo con Funakoshi, di visitare il Giappone e di considerare seriamente l’ipotesi della diffusione su vasta scala del to-de. Nel 1928 Miyagi si recò dunque in Giappone per studiare la possibilità di diffondere il karate, ma non trovò terreno fertile. Nel 1929 visitò Funakoshi, che si era trasferito in Giappone già dal 1921. All’epoca Funakoshi aveva 61 anni, e viveva in condizioni economicamente molto difficili. Nel 1931 Miyagi visitò le Hawaii. Nel 1933 avvenne la prima dimostrazione importante al Butokuden di Kyoto.

Il 23 marzo 1934, Chojun Miyagi scrisse una sorta di testamento spirituale intitolato Toudijutsu Gaisetsu (Spiegazione generale sull’arte del karate). In quello stesso anno si colloca un secondo viaggio alle isole Hawaii.

Nel 1935 Miyagi tornò in Giappone per presentarsi all’esame per il titolo di maestro: Miyagi è la prima persona a presentarsi per il karate, che ancora non fa parte del Budo, e ottiene direttamente il secondo livello (Kyoshi). Si tratta di un evento eccezionale: gli altri maestri partiranno tutti dal terzo livello, il più basso (Renshi): Otsuka lo otterrà nel 1938, Funakoshi e Mabuni nel 1939. Poco dopo aver ricevuto il titolo di Kyoshi, Miyagi torna ad Okinawa, dove partecipa all’importante ‘Meeting’ dei Maestri okinawensi del 1936, dove si decide di abbandonare definitivamente le denominazioni di To-de, shuri-te, naha-te, tomari-te, a vantaggio del termine karate (mano-nuda) già da tempo adottato in Giappone da Funakoshi.

Durante una dimostrazione in Giappone, venne chiesto ad uno degli allievi di Miyagi, Jin’an Shinzato, quale fosse il nome dello stile che praticava. Non sapendo

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cosa rispondere, Shinzato si avvicinò a Miyagi e gli riferì l’accaduto. Entrambi furono d’accordo che era arrivato il momento di scegliere un nome specifico per la scuola di Miyagi. L’ispirazione venne a Miyagi da un verso dell’antico libro chiamato Bubishi, che recita “essenziale sono l’inspirazione e l’espirazione in forza (go) e cedevolezza (ju).

I molti viaggi di Miyagi sono probabilmente all’origine delle diatribe dei suoi allievi okinawensi e giapponesi, ognuno dei quali rivendica la genuinità dell’insegnamento originale di Miyagi. In effetti, la scuola Goju è l’unica ad essersi sviluppata contemporaneamente in Giappone e ad Okinawa. Certo in Giappone i suoi allievi avranno avuto modo di allenarsi con Miyagi solo durante i suoi viaggi, e comunque per poco tempo perché Miyagi si spostava continuamente. Ma anche ad Okinawa, gli allievi di Miyagi raramente si allenavano con il maestro, e il più del lavoro era svolto dagli ultimi allievi di Higaonna.

Il Goju-ryu di Miyagi iniziava con lo studio del kata Sanchin, anche se poi Miyagi inventò il kata Tensho (sulla base di un kata cinese chiamato Rokkishu) e, insieme a Shosin Nagamine i kata Gekisai Dai Ichi e Ni per gli studenti delle scuole elementari. Gli studenti di Chojun Miyagi studiavano dapprima quattro Kata: Sanchin, Seisan, Seiunchin e Tensho, per poi proseguire con i kata Shisochin, Seipai, Sanseiru, Kururunfa, e Suparimpei. Per la complessa definizione di Kaishu-kata e Heishu-kata rimando senz’altro a Tokitsu 2001, pp. 105-108.

Prima della Seconda Guerra mondiale, Chojun Miyagi viaggiò molto per diffondere il Karate-do ad Okinawa ed in Giappone. Da 1948 fino a 1953 rimase comunque in pianta stabile ad Okinawa. Se prima il suo allenamento e la sua ricerca erano indirizzati al perfezionamento della sua arte, ora l’esigenza diventava quella di trasmettere la sua arte alla generazione successiva.

Dopo il 1950, quando la situazione economico-politica di Okinawa iniziava a riassestarsi dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, alcuni allievi tornarono ad allenarsi presso il cortile della casa di Miyagi, e nuovi studenti iniziarono a bussare alla sua porta.

Miyagi non conferì mai una Cintura Nera. Morì proprio mentre stava fissando i criteri per gli esami. Non aveva neppure proclamato un successore. Probabilmente questo onore sarebbe dovuto cadere su Jin’an Shinzato Sensei, ma questi morì tragicamente durante la Seconda Guerra Mondiale. Dopo la guerra, il karategi e la cintura di Miyagi furono consegnati dalla famiglia Miyagi a Meitoku Yagi.

Chojun Miyagi morì l’8 ottobre 1953.

TRATTO DA Toudijutsu Gaisetsu (trad. inglese in Patrick McCarthy 1999, vol. 2)

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STATO ATTUALE DELL’ISTRUZIONE DEL KARATE-DO

La storia del folklore insegna che i metodi d’insegnamento antichi si focalizzavano maggiormente sulla difesa personale, con poca enfasi sull’allenamento mentale o sull’approfondimento del precetto ‘Karate ni sente nashi (non c’è primo attacco nel karate)’. Ho notato che la negligenza di questi principi fondamentali è stata gradualmente colmata e corretta. Mia convinzione è che il pugno (ossia le arti marziali, n.d.t.) e lo Zen siano una cosa sola. Il bilanciamento di queste attività deve andare di pari passo. La trasmissione di questo precetto essenziale del Budo deve essere incoraggiata [...]

SUGLI STILI DI TODE

Al momento ci sono molte teorie riguardo gli stili di Tode, ma nessuna è corroborata da ricerche storiche. Come chi va a tastoni nel buio, la maggior parte delle teorie sono solo supposizioni. Le ipotesi più accreditate descrivono gli stili Shaolin e quelli Shorei. Il primo, si dice, meglio si addice a chi è corpulento, mentre lo shorei meglio si addice a chi è più magro e sottile come un salice e difetta di forza fisica. Comunque, dopo aver analizzato questa teoria da varie prospettiva, è ovvio che si tratta di una teoria senza dubbio erronea. L’unico dettaglio di cui possiamo essere sicuri è che durante l’undicesimo anno di Bunsei (1828), o l’ottavo anno dell’imperatore cinese Dao Guang, uno stile cinese proveniente da Fuzhou fu studiato in approfonditamente. Da questo stile deriva il goju-ryu karate-do kempo.

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Hironori Otsuka (1892-1982) e lo stile wadoryu

I primi anni.

Il maestro Hironori Otsuka è nato il 1 giugno 1892 a Shimodate, prefettura di Ibaraji, in Giappone. È l’unico tra i fondatori dei quattro maggiori stili di karate a non essere di origine okinawense. Il padre, Tokujiro, era un medico, il prozio materno, Chojiro Ebashi, un samurai che probabilmente intratteneva il giovane Hironori con i racconti folkloristici tipici dei guerrieri giapponesi. Sarà lui ad istruire per primo il maestro Otsuka, che allora aveva appena 6 anni, nel ju-jitsu. Il giovanissimo Hironori avrà ancora modo di incontrare per strada ex-samurai ormai a riposo, ed osservare da vicino il loro comportamento e il loro modo di vivere la via delle arti marziali (cfr. Otsuka, p. 24-25).

Nel 1905, all’età di tredici anni, Otsuka iniziò lo studio dello Shindo Yoshin ryu Ju-jitsu, una scuola fondata nel 1864 da Katsunosuke Matsuoka (1836-1898), ma che traeva le sue origini agli inizi del 1600 dallo Yoshin Ryu Jiujitsu di Akiyama Yoshitoki. Otsuka ricevette l’insegnamento dal gran maestro Tatsusaburo Nakayama (1870-1933), il quale era anche un abile maestro di Judo e Kendo.

La particolarità dello Shindo Yoshin ryu Ju-jitsu era l’attenzione posta anche agli attacchi di braccia e gamba, a differenze della maggior parte degli altri stili di jiujitsu che specializzavano soprattutto i nage-waza (tecniche di lancio e a terra).

Nel 1911, all’età di 19 anni, Otsuka entrò alla Università di Waseda, una delle più illustri del Giappone. Qui proseguì il suo allenamento apprendendo anche altre marziali. Nel 1913, a causa della morte del padre, Otsuka fu costretto a ritirarsi dall’Università e a lavorare alla banca Kawasaki di Shimodate. Il giorno del suo 29

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compleanno (1 giugno 1921), Otsuka ricevette da Nakayama il Menkyo Kaiden (ossia il Certificato di Totale Trasmissione) della scuola Shindo Yoshin Ryu Ju-jitsu, divenendone Gran Maestro. All’incirca in questi anni, Otsuka studiò anche la scuola Yoshin Koryu (ossia la versione ‘originale’ dello Yoshin Ryu) da Kanaya Motoo. Ciò dimostra la curiosità e lo spirito di ricerca del giovane Otsuka nel ricercare le radici più antiche delle arti marziali da lui conosciute. Questa attitudine sarà di fondamentale importanza nel proseguo della sua vita marziale come karateka.

L’incontro con Funakoshi Nel 1922, un articolo di giornale riportava la notizia della visita del principe

Hirohito in Europa. Questo evento avrebbe radicalmente trasformato la vita di Otsuka (e di molte altre persone). Il giornale riportava infatti anche la notizia della sosta di Hirohito ad Okinawa, dove il principe aveva assistito ad una dimostrazione di to-de stile Shuri (la parola ‘karate’ non esisteva ancora, almeno ufficialmente). Un maestro di tale arte, Gichin Funakoshi, era giunto a Tokio per offrirne una dimostrazione. Senza pensarci due volte, Otsuka, all’epoca trentenne, prese il treno e si recò al Meishojuku, la scuola dove Funakoshi si era stabilito. Il primo incontrò fu quanto mai positivo. Funakoshi sembrò ad Otsuka un uomo schietto e sincero, e questi si dichiarò a sua volta felice di insegnare il tode al nuovo giovane allievo. Dal quel giorno, Otsuka non mancò mai agli allenamenti del maestro okinawense. Grazie ai suoi trascorsi marziali e al suo entusiasmo, nel giro di un anno Otsuka apprese i kata di Funakoshi, dopo quattro anni dal primo incontro Otsuka ne era divenuto l’assistente, colui che lo accompagnava in giro per il Giappone ad organizzare dimostrazioni. Nel 1923, dopo il terremoto che devastò il Giappone, le scuole di Ju-jitsu iniziarono a scemare in popolarità, mentre Judo, Aikido e Karate raccoglievano sempre più consensi. Da questo momento in poi, Otsuka focalizzò ogni sua attenzione nel karate.

Nel 1924, Funakoshi e Otsuka si recarono al dojo di Kendo dell’Università di Keio, e incontrarono il maestro Konishi Yasuhiro, il quale praticava anche Ju-jitsu ed in seguito fondò lo stile Shindo Jinen Ryu di Karate. Funakoshi, che aveva una lettera di raccomandazione, chiese al maestro Konishi se fosse stato possibile utilizzare la sala di allenamento del Kendo per insegnare il Ryukyu Kempo To-Te Jitsu (come allora Funakoshi chiamava la sua arte). Con l’aiuto di Konishi, Funakoshi e Otsuka formarono il primo club Universitario di karate. In quel tempo Funakoshi promosse Otsuka a cintura nera, uno dei primi giapponesi in quest’arte.

La rottura con Funakoshi. Nel 1927 Otsuka lasciò il suo lavoro in banca per dedicarsi alla medicina

tradizionale, come suo padre, specializzandosi nella cura delle ferite causate dalle arti marziali. Nel 1929 organizzò il suo primo club di karate all’Università di Tokio. È proprio in quest’anno che Otsuka inizia a studiare la possibilità del combattimento libero di karate in incontri sportivi, e a prediligere il combattimento ai kata, in contrasto con gli insegnamenti di Funakoshi. Sempre nel 1929, Otsuka venne registrato come membro della Federazione Giapponese di Arti Marziali.

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Otsuka sentiva che molte delle tecniche insegnate nei kata okinawensi mal si adattavano al combattimento libero. Proseguì comunque nello studio del karate anche con Kenwa Mabuni, col quale perfezionò i kata appresi da Funakoshi, e col maestro Choki Motobu (col quale approfondì le applicazioni del kata Naihanci). La sua idea divenne quelle di integrare il karate okinawense con il ju-jitsu e le altre arti marziali tradizionali giapponesi. Questo progetto segnò praticamente la fine dei rapporti tra Otsuka e Funakoshi. In tal senso, l’influenza di Motobu, un grande combattente il quale divenne famoso per aver sconfitto un pugile occidentale, fu determinante. Tra Motobu e Funakoshi, inoltre, non correva buon sangue.

Il 1934 fu l’anno di Otsuka: a questa data risale la prima elaborazione dei suoi sforzi. Chiamò il suo nuovo stile Dai Nippon Karate Shinko Club (ossia Club Promotore del karate giapponese). Sempre in questo periodo, sembra che un suo allievo, Eichi Eriguchi, gli abbia suggerito il nome wado-ryu.

Nel 1935 Otsuka compare nella prima edizione di Karate-do Kyohan di Funakoshi, mentre dimostra gli Idori con Funakoshi stesso. Nel 1938 Otsuka appare nel libro di G. Nakasone Karate-do Taikan per l’esecuzione della difesa contro il coltello, in coppia con Toshio Kato. In quello stesso anno il Dai Nippon Butokukai lo promosse al grado di Renshi-go e il suo stile venne registrato come Shin Shu Wado Ryu.

Nel 1940 il Dai Nippon Butokukai tenne il suo 44° festival a Kyoto. In quell’occasione venne richiesto ad ogni maestro di registrare il nome del proprio stile ed un programma. Otsuka registrò il suo stile col nome di Wado Ryu Karate Jitsu. Nella stessa occasione vennero registrati anche Goju-Ryu, Shito-Ryu, e Shotokan-Ryu. Otsuka ufficializzò 36 kihon kumite, tanto dori, idori, tachidori, e altre tecniche ancora, ed inoltre 16 kata: Pinan 1-5, Kushanku, Naihanchi, Seishan, Chinto (questi primi 9 kata sono da considerare come il cuore dello stile wado), Bassai, Niseishi, Wanshu, Jion, Jitte, Rohai, Suparinpei (che in seguito venne abbandonato), e divenne il fondatore del primo stile giapponese di karate.

Nel 1942, il Dai Nippon Butokukai promosse Otsuka al grado Kyoshi. Nello stesso anno, Tatsuo Suzuki iniziò la pratica del Wadoryu.

Nel 1944, Otsuka venne eletto Capo Istruttore del Giappone. Durante la guerra, Otsuka continuò ad insegnare karate, ma offrì la sue competenze mediche come specialista in ferite da Arti Marziali. Sebbene le Forze Alleate avessero proibito la pratica delle arti marziali, Otsuka continuò ad insegnare sotto il pretesto di insegnare boxe, non karate. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la Wado Kai ebbe il suo Hombu Dojo di fronte alla Stazione di Polizia Tsukiji, nel centro di Tokio. Dopo tre anni, l’Hombu Dojo si spostò presso il Ginnasio di Nakano, dove è tuttora situato.

Nel 1949, Jiro Otsuka iniziò a studiare karate, Iaido e Kendo. Gli anni 50 e 60 conobbero l’espansione del Wado. Nel 1951 cadde il divieto di insegnare le Arti Marziali, e il Wado fu pronto ad espandersi nel mondo. Nel 1952 il Quartier Generale fu stabilito presso l’Università Meiji e presso la Stazione di Polizia di Osaka.

Nel 1954 Otsuka promosse Suzuki a 5° dan e capo istruttore per la regione Tokai.

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Nel 1955 Otsuka pubblicò Karatejutsu no Kenkyu, in cui dimostrava i nove kata principali dello stile wado.

Agli inizi degli anni 60 Otsuka iniziò ad inviare istruttori in Europa e in America. Nel 1963 Suzuki, Arakawa e Takashima furono i primi ad essere inviati in Occidente. Nel 1964 il Wadokai fu riconosciuto dalla JKF (Federazione Giapponese di karate). I maestri più famosi che raggiunsero l’Europa furono: Atsuo Yamashita, Suzuki, Mochizuki, Kojima, Kono, Toyama, Shiomitsu, Iwasaki, Takamizawa, Sakagami, Kamigaito, Ohgami; negli USA: Ajari, Osaka, Abe, Nishimura, Kurobane, e Patterson.

Nel 1965, Otsuka Sensei con Yoshiaki Ajari filmò in due videocassette, oggi disponibili anche in DVD, una parte del programma wadoryu: il primo video, Wado

Ryu Karate Volume 1, contiene una introduzione storica allo stile e al suo background, gli 8 Kihon principali di braccia, 4 Kihon Kumite, e i kata: Pinan 1-5, Kushanku, Jion (alcune parti), Naihanchi, Seisan. Il secondo video, Wado Ryu Karate

Volume 2, contiene ancora qualche cenno storico, i kata Chinto, Niseishi, Rohai, Wanshu, Jitte, e alcuni istanti di Bassai.

Nel 1967, l’Imperatore del Giappone onorò Otsuka attribuendogli il Quinto Ordine di Merito (il Cordone del Sole nascente o Soko Asahi) per il suo contributo al karate. Otsuka è stato il primo maestro di karate ad ottenere un tale onore.

Del 1970 è il libro Wado Ryu Karate, firmato da Otsuka. Contiene gli elementi fondamentali dello stile, i kihon principali di braccia, le tecniche di pugno e di gamba e i kata Pinan 1-5, Kushaku, Naianchi, Seishan e Chinto.

Nel 1972 Otsuka venne onorato col grado di 10 dan. Da questa data, fino alla fine dei suoi giorni (29 gennaio 1982), il maestro Otsuka ha continuato ad insegnare la sua arte trasmettendo uno stile che fa della continua evoluzione il suo traccio principale. Brani tratti da Wadoryu Karate di Hironori Otsuka, Master Publication 1997.

Machite e Kakete (Otsuka p. 33)

In un combattimento vi è sia machite sia kakete. Machite è come si risponde quando l’avversario attacca per primo; kakete è l’opposto. Vi sono due tipi di Machite, di kakete invece solo uno. Vincere o perdere dipende da questi tre fattori. Il primo caso di Machite si chiama ‘gosen-no-te’, parare e attaccare allo stesso tempo. Si tratta quindi di difesa/attacco. Il secondo caso di Machite si chiama ‘sensen-no-sente’, è indica l’azione di colpire l’avversario quando questi sta per attaccare e ci si difende da quell’attacco. Quindi si attacca prima che l’avversario attacchi. Anche qui si tratta di difesa/attacco Quando difesa e attacco sono separati, spesso si è spinti verso la sola difesa. Bisogna ricordare che spesso l’attacco è la miglior difesa.

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Kakete invece è quando si attacca per primi cogliendo l’avversario di sorpresa, o si porta l’avversario in tale stato. Inoltre, l’avversario non è inattivo è risponderà con una delle tre casistiche esposte sopra: bisogna stare attenti a che il kakete non ci si ritorca contro. Perciò queste azioni sono mutevoli; inoltre bisogna ricordarsi di mantenere un corretto stato mentale e una corretta distanza tra noi e l’avversario.

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CRONOLOGIA FONDAMENTALE DEL KARATE

1392

Le ‘36 famiglie’ cinesi si stabiliscono nel villaggio di Kume. Da questo periodo iniziano stabilmente scambi culturali e commerciali con la Cina. 1404 Il primo Imperatore della Dinastia Ming invia Shi Zhong, suo sapposhi (inviato) presso Bunei, principe di Chuzan. Inizia così l’usanza di inviare un sapposhi ad ogni successione di un nuovo re. 1407-1429

Sho Hashi al potere e unificazione di Okinawa. 1439

Morte di Sho Hashi 1479

Sho Shin al trono 1507

Editto di Sho Shin: tra l’altro, viene proibito il possesso personale di armi tra cui la spada. 1585

In questa epoca sembra essere testimoniata ad Okinawa la conoscenza del sai. 1609

Invasione Satsuma 1611

I samurai Satsuma confiscano tutte le armi di Okinawa. 1629

È testimoniata la presenza di un arte marziali indigena okinawense chiamata ti o te. 1683

Il Sapposhi Wanshu giunge ad Okinawa, forse introducendo nuove tecniche di combattimento. La leggenda vuole che in questa data (o nel 1688) sia nato Takahara Peichin, primo maestro di Tode Sakugawa.

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1733

Nascita di Tode Sakugawa 1740/1

Nascita di Yara, del villaggio Chatan. 1754

Morte di Takahara Peichin 1756

Il sapposhi Guan Kui arriva ad Okinawa il cui re è Sho Boku. 1762

L’incidente di Oshima.

Nel 1762, una nave tributaria okinawense in rotta verso Satsuma dirottata da un violento tifone approdò sulle coste di Oshima (prefettura di Kochi), sull’isola di Shikoku. Ryoen Tobe, uno studioso confuciano, raccolse le testimonianze dei passeggeri in un diario intitolato Oshima Ikki (l’incidente di Oshima). In questo diario compare per la prima volta in assoluto un nome che avrà risonanza mondiale nel mondo del karate: Kusanku. Questo Kusanku viene descritto come un esperto di Kempo, nello specifico di Kumiaijutsu. Kusanku viaggiava con un piccolo seguito di allievi e si crede che fosse giunto ad Okinawa al seguito del sapposhi Guan Kui. La descrizione dell’abilità nel combattimento di Kusanku aveva meravigliato i presenti. Non solo era in grado di sconfiggere avversari fisicamente più imponenti di lui, ma era solito combattere con una mano poggiata sul petto. Una delle sue manovre preferite era quello di falciare le gambe degli avversari con una presa a forbice. 1762

In quest’epoca si collocano i viaggi di Sakugawa in Cina. 1797 (1809?)

Nascita di Sokon Matsumura. 1812

Morte di Chatan Yara. 1815

Morte di Tode Sakugawa. 1816

Basil Hall giunge ad Okinawa. Sarà lui a descrivere una descrizione dell’isola a Napoleone.

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Probabile nascita di Kitani Yara, nipote di Chatan Yara. Sarà lui a trasmettere il kata Kusanku a Chutoku Kyan. 1819 (1850?)

Nascita di Nakaima Kenri, fondatore dello stile Ryuei-Ryu. 1827

Nascita di Oyadomari Koken, maestro di Tomari-te. Nascita di Anko Azato, uno dei due maestri principali di Funakoshi. 1829

Nascita di Matsumora Kosaku, maestro di Tomari-te. 1831

Nascita di Anko Itosu. 1835

Nascita di Ishimine Peichin. Nascita di Kyan Chofu, padre di Kyan Chutoku. 1840

Nascita di Aragaki Seisho. 1850

Nascita di Nabe Matsumura (?), nipote di Sokon Matsumura e maestro di Hohan Soken. 1853

Nascita di Kanryo Higaonna, sistematore del naha-te e maestro di Chojun Miyagi. Nascita Kuwae Ryusei, l’ultimo allievo di Sokon Matsumura. L’ammiraglio Matthew C. Perry, sbarca ad Okinawa. 1866

Nascita di Kentsu Yabu. 1867

In questa data si svolge a Shuri una dimostrazione di Tode per la visita dell’ultimo Sapposhi cinese. Arakagi Seisho è tra i protagonisti esibendosi, tra l’altro, nel kata Seisan. 1868

Nascita di Funakoshi Gichin. La restaurazione Meiji pone fine all’epoca dello shogunato.

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1869

Nascita di Hanashiro Chomo. 1870

Nascita di Chutoku Kyan. Nascita di Choki Motobu. 1877

Nascita di Kanbun Uechi, fondatore dell’Uechi-ryu. 1885

Nascita di Chosin Chibana. 1887

Nascita di Kyoda Juhatsu, fondatore del To’on-ryu. 1888

Nascita di Chojun Miyagi. Nascita di Shinko Matayoshi. Nascita di Toyama Kanken. 1889

Nascita di Kenwa Mabuni. Morte di Sokon Matsumura. Nascita di Hohan Soken. 1890

Nascita di Gusukuma Shinpan. 1892

Nascita di Hironori Otsuka, fondatore dello stile Wadoryu. 1895

Viene fondato il Dai Nippon Butokukai. 1898

Nascita di Taira Shinken. Morte di Kosaku Matsumora. 1900

In Cina scoppia la ribellione dei Boxer. 1902

Per la prima volta il karate viene insegnato nelle scuole pubbliche.

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1905

Morte di Oyadomari Kokan. Hanashiro Chomo pubblica un opuscolo sul karate utilizzando per la prima volta i kanji “mano nuda”. 1906

Morte di Anko Azato. 1907

Nascita di Shosin Nagamine, fondatore dello stile Matsubayashi-ryu. 1908

Itosu scrive i “10 precetti del Tode”. Nascita di Zenryo Shimabukuro, fondatore del Seibukan Shorin-ryu. Nascita di Tatsuo Shimabukuro, fondatore dell’Isshin-ryu. 1909

Nascita di Gogen Yamaguchi (1909-1989), padre del goju-ryu giapponese. 1910

Nascita di Meitoku Yagi. Nascita di Yuchoku Higa, fondatore dello stile Kyudokan. 1911

Nascita di Uechi Kanei. 1913

Nascita di Masatoshi Nakayama. 1915

Morte di Anko Itosu. Morte di Kanryo Higaonna. Nascita di Ryusho Sakagami, allievo di Mabuni e fondatore dell’Itosu-kai. 1917

Funakoshi esegue la prima dimostrazione ufficiale di Tode a Kyoto, sotto gli auspici del Butokukai. 1918

Nasce l’Okinawa Tode Kenkyukai, gruppo di ricerca sul tode. Ne fanno parte, tra gli altri, Mabuni, Miyagi, Kyan. Nascita di Kinjo Hiroshi, illustre praticante e storico, attuale maestro di Patrick McCarthy.

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Data probabile della morte di Arakaki Seisho. 1921

Il principe Hiroito, in viaggio per l’Europa, assiste ad Okinawa ad una dimostrazione di Tode, effettuata da Funakoshi ed altri. Shinko Matayoshi da dimostrazione del kobudo di Okinawa. Nascita di Shinpo Matayoshi. 1922

In seguito al successo della dimostrazione del 1921, Funakoshi si reca a Tokio per dare una nuova dimostrazione. Non tornerà mai più ad Okinawa. Pubblica il primo libro sul karate, intitolato “Ryukyu Kempo Karate”. Nascita di Miyazato Eichi, fondatore del dojo Jundokan. Nascita di Nakazato Joen, fondatore dello Shorinji-ryu. 1924

Funakoshi inaugura il primo club di karate all’Universitario di Keio. Funakoshi conferisce le prime cinture nere. Pubblicazione di “Rentan Goshin Tode-jitsu” di Funakoshi. 1926

Miyagi, Mabuni, Hanashiro Chomo e Motobu Choyu fondato il Tode Kenkyukai a Naha. Motobu Choki pubblica il testo “Okinawa Kempo: Tode Jutsu Kumite”. 1927

Morte di Motobu Choyu. Kentsu Yabu dimostra ufficialmente per la prima volta il karate alle forze americane di stanza alle Hawaii. Nascita di Kenzo Mabuni. 1929

Mabuni si trasferisce in Giappone. Miyagi viaggia in Giappone e istruisce Yamaguchi. 1933

Il Karate apre la sua sezione all’interno del Butokukai. Miyagi e Chibana registrano i loro gruppi come Goju-ryu e Shorin-ryu, Morte di Nabe Matsumura. 1934

Mabuni apre il dojo Yoshokan ad Osaka. 1935

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Funakoshi pubblica la prima edizione di “Karate-do Kyohan”. 1936

Meeting di maestri Okinawensi. In questa sede si decide di adottare la grafia karate-do (via della mano nuda) sostituendo to-de jutsu (tecnica della mano cinese). Miyagi presenta i suoi “Appunti sul karate-do” in Osaka, e viaggia ancora in Cina a perfezionare la sua arte.

Questa foto, a torto ritenuta risalente al 1936, fu scattata nel 1937, l’anno dopo il meeting dei maestri Okinawensi, in occasione della nascita della Società per la promozione del karate-do okinawense. Ne facevano parte i seguenti maestri: in piedi, da sinistra a destra: Gusukuma Shimpan, Chitose Tsuyoshi, Chibana Choshin, Nakasone Genwa. Seduti, da sinistra a destra: Kyan Chotoku, Kentsu Yabu, Hanashiro Chomo, Miyagi Chojun.

1937

Morte di Kentsu Yabu. 1938

Pubblicazione di “Kobokempo Karate Nyumon” di Kenwa Mabuni e Genwa Nakasone. Pubblicazione di “Goshinjutsu Karate Kempo” di Kenwa Mabuni. Meeting di leader del karate afferenti al Butokukai a Tokyo. 1939

Apre il dojo Shotokan, “Casa di Shoto”, pseudonimo col quale Funakoshi firmava le sue poesie. 1940

Morte di Gokenki. 1944

Morte di Choki Motobu. 1945

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Morte di Hanashiro Chomo. Morte di Gigo (Yoshitaka) Funakoshi. Morte di Chutoku Kyan. 1946

Chosin Chibana da la prima dimostrazione pubblica di karate dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Chitose Tsuyoshi organizza la prima dimostrazione di karate in Giappone dopo la Seconda Guerra Mondiale. 1947

Shoshin Nagamine fonda il Matsubayashi Shorin-ryu. 1949

Nascita della Japan Karate Association. 1952

Morte di Kenwa Mabuni. 1953

Morte di Chojun Miyagi. 1954

Morte di Gusukuma Shimpan. 1955

Mass Oyama fonda il Kyokushinkai. 1957

Morte di Gichin Funakoshi. 1964

Nascita della FAJKO. 1966

Nasce la European Karate Union (EKU). 1968

Morte di Kyoda Juhatsu. 1969

Morte di Chosin Chibana. Morte di Zenryo Shimabukuro, uno dei principali allievi di Chutoku Kyan.

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1970

La WUKO organizza il primo Campionato del Mondo a Tokio. 1971

Kenko Nakaima fonda ufficialmente lo stile Ryuei-Ryu e apre il suo dojo anche ai non appartenenti alla sua famiglia, tra questi, Tsuguo Sakumoto. 1977

Hirokazu Kanazawa fonda la SKI. 1982

Morte di Hironori Otsuka, fondatore dello stile Wadoryu. 1983

Morte di Yasuhiro Konishi. 1987

Morte di Masatoshi Nakaiama, Istruttore Capo della JKA. 1989

Morte di Gogen Yamaguchi, caposcuola del goju-ryu Giapponese. 1991

Morte di Kanei Uechi. 1992

I grandi maestri di Okinawa eseguono una dimostrazione in occasione della ricostruzione del Castello di Shuri, distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale.

da sinistra a destra: Shugoro Nakazato, Katsuya Miyhaira, Seikichi Uehara,

Meitoku Yagi, Yuchoku Higa e Shoshin Nagamine

1993

Morte di Ryusho Sakagami, discepolo di Mabuni e fondatore dell’Itosu-kai. 1994

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Morte di Mass Oyama, fondatore del Kyokushinkai. 1995

Morte di Yuchoku Higa, allievo di Chibana e fondatore dello stile Kyudokan. Suo figlio Minoru ad Okinawa, e il nipote Oscar Higa in Europa (vive in Sicilia) ne continuano la tradizione. 1997

Morte di Shoshin Nagamine. 2004 Morte di Teruo Hayashi, fondatore dell’Hayashi-Ha Shito-ryu.

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BIBLIOGRAFIA

In questa lista, sempre aggiornata, si sciolgono le sigle dei libri citati all’interno delle varie sezioni. Non sono compresi gli articoli citati da riviste specializzate (cartacee e on-line), che vengono invece citati per esteso ogni qual volta utilizzati.

- Alexander 1991 = George Alexander, Okinawa island of Karate, Yamazato Publication 1991.

- Bishop = Mark Bishop, Karate di Okinawa. Maestri, stili e tecniche segrete, Ed. Mediterranee 1994.

- Draeger 1998 = Donn F. Draeger, Bujutsu e Budo Moderno. Le arti marziali giapponesi come

discipline spirituali, Ed. Mediterranee 1998.

- Egami 2000 = Shigeru Egami, The Heart of Karate-Dô, Kodansha International 2000.

- Funakoshi 1973 = Gichin Funakoshi, Karate Do Kyohan, translated by Tsutomu Ohshima. Kodansha International 1973.

- Funakoshi 1987 = Gichin Funakoshi, Karate-dô, il mio stile di vita. Ed. Mediterranee 1987.

- Funakoshi 1997 = Gichin Funakoshi, To-te jitsu, translated by Shingo Ishida, Masters Publication 1997.

- Funakoshi 1999 = Gichin Funakoshi, Karate-dô Nyumon, Ed. Mediterranee 1999.

- Funakoshi 2003 = G. Funakoshi, G. Nakasone, The Twenty Guiding Principles of Karate, translated by John Teramoto, Kodansha International 2003.

- Lind 1998 = Werner Lind, I kata classici nell’insegnamento dei grandi maestri, Ed. Mediterranee 1998.

- Hokama 2000 = Tetsuhiro Hokama. History and Traditions of Okinawan Karate, Master Publications 2000.

- McCarthy 1987 = Patrick McCarthy, Classical Kata of Okinawan Karate, Ohara Publications 1987.

- McCarthy 1999 = Patrick McCarthy, Koryu Uchinadi 2, Tuttle Publishing 1999.

- McCarthy 2000 = Patrick McCarthy, Bubishi. La Bibbia del karate, Ed. Mediterranee 2000.

- McCarthy 2002 = Patrick McCarthy, Motobu Choki, My Art. Compilation & Jese to English by Patrick & Yuriko McCarthy, International Ryukyu Karate Research Group, Virginia (Australia) 2002.

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- McCarthy 2003 = Patrick McCarthy, Gichin Funakoshi Tanpeshu (Untold Stories), Compilation & Jese to English by Patrick & Yuriko McCarthy, International Ryukyu Karate Research Group, Aspley (Australia) 2003.

- Mabuni 2002 = Kenwa Mabuni, Kobo Jinzai Goshin-Jutsu Karate Kempo (The free self defense art of karate kempo), Translation and Commentary by Mario McKenna (acquistabile in formato pdf via web).

- Mabuni-Nakasone 2002= Kenwa Mabuni, Genwa Nakasone, Kobo Kempo Karate Do Nyumon (Invitación al Karate Do), trad. spagnola di Toshiro Tamaguchi e Roberto Díez, Miraguano Ediciones 2002.

- Mabuni Kenei 1997 = Mabuni Kenei, Shito-Ryu Karate-do, Dominie Press 1997.

- Nagamine 2002 = Shoshin Nagamine, L’essenza del karate-do di Okinawa, Ed. Mediterranee 2002.

- Nagamine 20022 = Shoshin Nagamine, I grandi maestri di Okinawa, Ed. Mediterranee 2002.

- Otsuka 1997 = Hironori Otsuka, Wadoryu Karate, translated by Shingo Ishida, Master Publication 1997

- Ratti-Westbrock 1973 = Oscar Ratti, Adele Westbrock, I segreti dei samurai, Ed. Mediterranee 1973.

- Sells 2000 = John Sells, Unante. The Secrets of Karate, Panchina S. Hawley Library, 2000 (II edition)

- Tokitsu 1990 = Kenji Tokitsu, Shaolin Mon. Verso l’arte marziale del futuro, Grafica Comense 1990.

- Tokitsu 2001 = Kenji Tokitsu, Storia del Karate, Luni 2001.

- Tokitsu 20012 = Kenji Tokitsu, Kata. Forma, tecnica e divenire nella cultura giapponese, Luni

2004.

- Tokitsu 1992 = Kenji Tokitsu, Lo zen e la via del Karate, Tasco 1992.

- Kim 1974 = Richard Kim, The Weaponless Warriors, Ohara Publications 1974.