Brescia Cremona e l’Oglio · anime, zelante nella restaurazione della disciplina ecclesiastica e...

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(da Cremonatrimestrale della Camera di Commercio di Cremona – n. 4 anno 1977) Brescia Cremona e l’Oglio Dallo studio dello storico inglese Cairns dedicato ad uno dei più importanti vescovi della riforma cattolica, Domenico Bollani, emergono aspetti delle plurisecolari controversie tra le due città per l’utilizzo delle acque del fiume. MASSIMO MARCOCCHI 1 Il Concilio di Trento con le sue definizioni dogmatiche e disciplinari ha conferito vigore di legge alle esigenze di riforma vive nella Chiesa, ma soprattutto ha posto le premesse per il lavoro dei decenni successivi. Al papato, agli ordini religiosi rinnovati, nuovi o in via di rinnovamento, al clero secolare ma soprattutto ai vescovi è affidata l’attuazione dei decreti conciliari. S. Carlo Borromeo assurge a modello di alacre attività pastorale secondo lo spirito del concilio di Trento: Dedito alla cura delle anime, zelante nella restaurazione della disciplina ecclesiastica e nella repressione degli abusi e della eresia. Ma l’episcopato postridentino annovera, accanto a S. Carlo, che fu senza dubbio il suo personaggio di maggior prestigio, tutta una serie di pastori che condivisero con lui la sollecitudine della cura animarum e che si sforzarono di attuare nel contesto delle loro diocesi la riforma tridentina, spesso con proprie e originali metodologie. Ricordiamo, solo per fare alcuni esempi, l’Ormaneto a Padova, il Bascapé a Novara, il Bonomi a Vercelli, lo Speciano a Cremona, il Burali prima a Piacenza e poi a Napoli, il Paleotti a Bologna, il De Rossi a Pavia, il Bollani a Brescia. Se la personalità del Paleotti è stata egregiamente delineata dal Prodi, se l’attività riformatrice del Burali a Piacenza e del De Rossi a Pavia è stata illuminata dal Molinari e dal Bernorio, se sul Borromeo, in assenza di una biografia critica, sono stati posti in evidenza aspetti particolari con contributi vari, alcuni dei quali di alto livello scientifico, per la conoscenza del Bollani bisognava ricorrere alla monografia del Fe’ D’Ostiani risalente al 1875. Ora la lacuna è stata colmata da un giovane e valoroso storico inglese, C. Cairns del College of Wales di Aberystwyth nel Galles, che ha composto, sulla scorta di una larga documentazione reperita con pazienti e puntigliose ricerche in numerosi archivi (tra i quali l’Archivio di Stato di Cremona), una biografia critica del vescovo bresciano. Nato a Venezia nel 1513 da una famiglia aristocratica, il Bollani compì gli studi di diritto alla università di Padova. Entrò ben presto al servizio della Serenissima, assolvendo numerosi uffici politici e diplomatici. Fu infatti mandato nel 1547 in Inghilterra come ambasciatore presso Edoardo VI e poté nei due anni di permanenza alla corte di Londra sia affrontare complesse questioni di politica internazionale, sia accostare il protestantesimo nella sua duplice dimensione religiosa e politica. Entrato a far parte del senato veneziano, fu riconosciuto «senator di grandissima prudenza» e pertanto investito della luogotenenza del Friuli (1555-1556) e nel 1558 dell’ufficio di podestà di Brescia. 1 Massimo Marcocchi, cremonese, già Professore Ordinario di Storia del Cristianesimo, presso la facoltà di lettere dell’Università ‘Sacro Cuore’ di Milano. E’ residente a Cremona.

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(da ‘Cremona’ trimestrale della Camera di Commercio di Cremona – n. 4 anno 1977)

Brescia Cremona e l’Oglio Dallo studio dello storico inglese Cairns dedicato ad uno dei più importanti vescovi della riforma cattolica, Domenico Bollani, emergono aspetti delle plurisecolari controversie tra le due città per l’utilizzo delle acque del fiume.

MASSIMO MARCOCCHI 1

Il Concilio di Trento con le sue definizioni dogmatiche e disciplinari ha conferito vigore di legge alle esigenze di riforma vive nella Chiesa, ma soprattutto ha posto le premesse per il lavoro dei decenni successivi. Al papato, agli ordini religiosi rinnovati, nuovi o in via di rinnovamento, al clero secolare ma soprattutto ai vescovi è affidata l’attuazione dei decreti conciliari. S. Carlo Borromeo assurge a modello di alacre attività pastorale secondo lo spirito del concilio di Trento: Dedito alla cura delle anime, zelante nella restaurazione della disciplina ecclesiastica e nella repressione degli abusi e della eresia. Ma l’episcopato postridentino annovera, accanto a S. Carlo, che fu senza dubbio il suo personaggio di maggior prestigio, tutta una serie di pastori che condivisero con lui la sollecitudine della cura animarum e che si sforzarono di attuare nel contesto delle loro diocesi la riforma tridentina, spesso con proprie e originali metodologie. Ricordiamo, solo per fare alcuni esempi, l’Ormaneto a Padova, il Bascapé a Novara, il Bonomi a Vercelli, lo Speciano a Cremona, il Burali prima a Piacenza e poi a Napoli, il Paleotti a Bologna, il De Rossi a Pavia, il Bollani a Brescia.

Se la personalità del Paleotti è stata egregiamente delineata dal Prodi, se l’attività riformatrice del Burali a Piacenza e del De Rossi a Pavia è stata illuminata dal Molinari e dal Bernorio, se sul Borromeo, in assenza di una biografia critica, sono stati posti in evidenza aspetti particolari con contributi vari, alcuni dei quali di alto livello scientifico, per la conoscenza del Bollani bisognava ricorrere alla monografia del Fe’ D’Ostiani risalente al 1875. Ora la lacuna è stata colmata da un giovane e valoroso storico inglese, C. Cairns del College of Wales di Aberystwyth nel Galles, che ha composto, sulla scorta di una larga documentazione reperita con pazienti e puntigliose ricerche in numerosi archivi (tra i quali l’Archivio di Stato di Cremona), una biografia critica del vescovo bresciano.

Nato a Venezia nel 1513 da una famiglia aristocratica, il Bollani compì gli studi di diritto

alla università di Padova. Entrò ben presto al servizio della Serenissima, assolvendo numerosi uffici politici e diplomatici. Fu infatti mandato nel 1547 in Inghilterra come ambasciatore presso Edoardo VI e poté nei due anni di permanenza alla corte di Londra sia affrontare complesse questioni di politica internazionale, sia accostare il protestantesimo nella sua duplice dimensione religiosa e politica. Entrato a far parte del senato veneziano, fu riconosciuto «senator di grandissima prudenza» e pertanto investito della luogotenenza del Friuli (1555-1556) e nel 1558 dell’ufficio di podestà di Brescia. 1 Massimo Marcocchi, cremonese, già Professore Ordinario di Storia del Cristianesimo, presso la facoltà di lettere dell’Università ‘Sacro Cuore’ di Milano. E’ residente a Cremona.

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Ed è proprio in questa funzione che dovette affrontare la annosa controversia coi Cremonesi

sulle acque dell’Oglio. Nominato da Paolo IV Carafa nel 1559 vescovo di Brescia, il Bollani

Schizzo a penna ed acquerello del fiume Oglio con la bocca del Naviglio (contigua, com’è oggi, a quella per roggia Antegnata) le soglie e le misure del primo tratto del canale e la confluenza del vero diversore costruito dai bresciani per aggirare la presa cremonese (Archivio di Stato di Venezia, Provveditori alla Camera dei Confini, busta 16, 1546-1639). Dal volume del Cairns.

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portava nel nuovo ufficio questa densa esperienza politica, diplomatica e amministrativa che si arricchì della dimensione religiosa durante la partecipazione al terzo e conclusivo periodo del Concilio di Trento (1562-1563).

Instancabile fu la sua azione riformatrice in una diocesi che per molti anni non aveva visto

pastori stabilmente residenti, e che pertanto soffriva per abusi inveterati (assenteismo e ignoranza del clero, superstizione e indifferenza del popolo, conflitti tra le famiglie della aristocrazia locale), ma insieme conosceva l’azione di rinnovamento esplicata dai Gesuiti, dalla Compagnia di Angela Merici e dai Padri della Pace.

Per la formazione dei sacerdoti il Bollani fondò nel 1568, non senza opposizioni, il

seminario, e curò per la istruzione religiosa del popolo, la diffusione delle scuole della dottrina cristiana. Nel 1565 iniziò la visita pastorale della diocesi durante la quale controllò il grado di cultura dei sacerdoti e s’informò sui libri da loro posseduti, richiamò alla residenza i parroci assenti e sospese dal ministero pastorale gli indegni, prescrisse i libri parrocchiali e la osservanza della disposizione tridentina sui matrimoni, promosse il decoro degli edifici ecclesiastici e soprattutto il culto eucaristico. Nel 1574 celebrò il sinodo le cui Costituzioni non esaminate diffusamente dal Cairns, fissano in norme le esperienze acquisite durante la visita. Sensibile ai bisogni dei poveri, promosse iniziative di assistenza e di carità e si prodigò in favore degli appestati negli anni 1576-77.

Nella riforma della chiesa bresciana il Bollani dispiegò quelle doti di tatto, prudenza e

realismo che aveva acquisito in tanti anni di esperienza amministrativa e diplomatica. Anche nel conflitto coi canonici del Duomo, che erano gelosi delle loro prerogative e ostili pertanto ad accogliere la autorità episcopale, il Bollani fu «conciliatory but firm». Per caratterizzare il significato profondo della sua azione pastorale, il Cairns la inserisce non solo nella prospettiva della vita religiosa bresciana ma la raffronta con la attività di altri vescovi, e la colloca pertanto nel più vasto quadro della riforma cattolica in Italia.

Privilegio di Ludovico IV detto il Bavaro dato in Pavia il 21 giugno 1329 (Archivio di Stato di Cremona, Comune di Cremona, Archivio segreto, Diplomatico n.1905).

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Così è posta in luce con finezza la diversità di metodologie pastorali del Bollani e del Borromeo. Il Bollani ammira l’infaticabile zelo dell’arcivescovo milanese ma esprime riserve sulla severità, l’intransigenza e il rigore della sua azione pastorale. Talvolta le iniziative del Borromeo apparivano al Bollani astratte; i decreti dei concili provinciali, così precisi, dettagliati e cavillosi, spesso sconfinanti nella pedanteria, gli sembravano lontani dalla situazione reale delle singole diocesi, quasi dei trattati teorici più che degli strumenti di lavoro. Una consonanza di metodologie pastorali accomuna invece il Bollani a Gabriele Paleotti, vescovo di Bologna, e a Agostino Valier, vescovo di Verona, la cui azione fu caratterizzata dal realismo, dalla gradualità, dal metodo della esortazione e della persuasione, e solo eccezionalmente da quello della coercizione e della punizione.

La abilità diplomatica, il realismo, la capacità di mediazione del Bollani si rivelarono anche nella trama dei complessi rapporti, fatti di tensioni, di polemiche e di rappacificamenti, tra la Serenissima, gelosa della sua sovranità, e il Papato. In Bollani era vivissima la devozione agli ideali sia della riforma cattolica che dello Stato veneziano, cosicché nelle dispute tra Roma e Venezia, a proposito della pubblicazione dei domini veneziani della bolla In coena Domini, delle attività inquisitoriali e delle decime del clero, la sua azione fu mediatrice e pacificatrice. E quando lo spirito patriottico entra in conflitto con la coscienza religiosa, il Bollani scrive al Papa che «desiderava renontiar al vescovado perché non poteva obedir la Santità Sua senza incorrer in contumacia con la sua patria». Il Cairns sottolinea con sagacia in pagine, che sono tra le più interessanti del libro questa duplice, sofferta fedeltà, agli ideali patriottici e religiosi.

La ricerca del Cairns ha tracciato un incisivo ritratto del vescovo Bollani sullo sfondo della situazione sociale, politica e religiosa in cui si trovò ad operare, cosicché i caratteri peculiari della sua personalità e gli elementi originali della sua azione pastorale emergono in vivida luce. Il quadro dell’episcopato postridentino, che fino a qualche anno fa appariva monolitico, accentrato com’era sulla figura del Borromeo, nei confronti del quale gli altri vescovi impallidivano, si presenta invece ricco a variegato. Bollani, Burani, Paleotti, Valier, Speciano, Ormaneto, pur sensibili alle suggestioni della personalità del Borromeo, affrontano i problemi delle loro diocesi con metodi e strumenti propri, cosicché la attuazione della riforma tridentina offre grande varietà di indirizzi, pur nella fedeltà ai principi animatori del Concilio di Trento. Non ultimo merito dello studio del Cairns è quello di essere approdato a un tale risultato.

Verso del sigillo aureo. Con particolare eleganza viene ripresa la raffigurazione tipicamente medievale dell’imperatore in trono che regge nelle mani i simboli di sovranità.

Il sigillo in oro (diametro cm.5) che pende dal diploma di Ludovico il Bavaro acquista maggior preziosità dalla visione della città di Roma: la fantasia dell’incisore ha lasciato spazio al riconoscimento di alcuni famosi monumenti.

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La diplomazia del vescovo Bollani nelle dispute tra cremonesi e bresciani per l’utilizzo delle acque dell’Oglio

BRUNO LOFFI 2 Il possesso del fiume Oglio ed il godimento delle sue acque erano prerogative che gli imperatori avevano assegnato alla città di Brescia: da Ottone I il grande, nel 965, su su sino ad Enrico V (1123) le cui decisioni sono ribadite nella pace di Costanza (1183) e questa riconfermata da Enrico VI (1192); privilegi e prerogative poi rinnovati da Carlo IV nel 1355.

La pace di Lodi – 9 Aprile 1454 –fra gli Sforza e la Repubblica Veneta ribadisce implicitamente il diritto della città di Brescia di disporre liberamente del fiume e delle due sponde per una profondità in destra, cioè sul cremonese, di 100 trabucchi; così andando si arriva al trattato di Vaprio – 1754 – che assicura ai bresciani gli antichi diritti.

Il lungo elenco di diplomi e di articoli di pace attribuiva a Brescia, si sostiene, il diritto a disporre delle acque del fiume Oglio.

I cremonesi, però, con l’appoggio di Azzone Visconti avevano ottenuto da Ludovico il Bavaro – 21 giugno 1329 – il privilegio di estrarre dall’Oglio acque con il canale, che poi divenne il Naviglio Civico di Cremona. Ma Ludovico il Bavaro è dichiarato, dal Papa, usurpatore del trono nel 1330 e tutti i suoi atti aboliti come nulli e di nessuna forza ed effetto. Il canale è però, già aperto e poiché Brescia e Cremona sono soggette ai Visconti (Matteo Galeazzo e Barnabò, figli di Stefano e nipoti di Giovanni arcivescovo di Milano) i bresciani, pure offesi, si accontentano di sostenere che il canale non sia allargato ed usurpata maggior acqua.

Poiché i cremonesi fanno opere, nel 1350, per derivare più acqua, i bresciani, con mano armata, le distruggono; su querela dei cremonesi, l’arcivescovo di Milano, con sentenza 28 febbraio 1351, assolve i bresciani, ai quali riconosce il possesso del fiume, ma consente ai cremonesi l’estrazione di acqua attraverso un contiguo canale, fatti salvi i diritti che spettassero alle due parti. Brescia passa, poi, sotto il dominio di Venezia ed il fiume Oglio diviene segno di confine; nel 1462 riprendono i colpi di mano, le querele, le alterazioni dei luoghi e le distruzioni.

I Cremonesi si fanno forti della conferma, ottenuta da Sigismondo nel 1413, della concessione fatta da Ludovico il Bavaro.

Nel 1509 Brescia e Cremona si ritrovano sotto Luigi XII di Francia ed i cremonesi – secondo i bresciani – ne approfittano per riattare a loro vantaggio alcune opere nel fiume; ma nel

2 Bruno Loffi, cremonese, già Direttore del Consorzio Irrigazioni Cremonesi. E’ residente a Cremona

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1516 la Repubblica Veneta si riprende Brescia e l’appoggia nelle pretese che sia ripristinato lo statu quo (i cremonesi avevano ricostruito un pennello nel 1512 approfittando del sacco di Brescia).

Le contese fra cremonesi e bresciani volte ad attivare (e disattivare), aumentare (o ridurre od eliminare) la derivazione delle acque a mezzo del Naviglio, aprono questioni di diritto che, forse, per i bresciani potevano restare circoscritte a questo ambito;per i cremonesi quell’acqua è, invece, strumento e condizione di vita perché anima mulini, consente la navigazione fra Cremona e le terre che la magnifica comunità possiede nel bergamasco, assolve finalità igieniche e militari alimentando le fosse della città; infine e sempre più diffusamente, consente l’irrigazione delle terre. E’, dunque, una questione grossa: e, certo, i cremonesi credono di essere finalmente usciti dal pelago quando Carlo V, nel 1546, stabilisce che nessun suddito dell’Impero pagasse tasse o diritti ad altri che all’imperatore; e poiché la grida cita particolarmente i mulini sull’Oglio è chiaro che il fiume, se proprio non è considerato tutto... a destra, così non può essere tutto... a sinistra! Di ciò si rende ben conto anche Brescia e, con essa, Venezia; e la contesa, mai sopita fra bresciani e cremonesi diviene automaticamente parte delle più vaste trattative della Repubblica che reclama l’abrogazione del decreto dell’imperatore.

Per la vertenza si era già tentato un accomodamento nel 1533; i deputati Giovanni

Bassadonna, per Venezia, ed Egidio Bosio per Milano, erano stati incaricati, infatti, di trovare una soluzione; le discussioni si erano arenate nelle secche delle considerazioni preliminari: i bresciani reclamavano la riduzione in pristino; i cremonesi opponevano di avere costruito esercitando un loro diritto; sicché si doveva prima vedere se questo conclamato diritto era fondato o no e quindi se la questione era di carattere possessorio o petitorio: cioè si tornava alla radice: a chi compete la giurisdizione sul fiume? Il decreto di Carlo V rinfocola la contesa; i bresciani ottengono, segretamente, il consenso di Venezia per costruire un nuovo alveo del fiume col quale restasse aggirata e secca la presa dei cremonesi, ma il progetto non è attuato per l’opposizione del proprietario del terreno.

Privilegio di Sigismondo di Boemia (Archivio di Stato di Cremona, Comune di Cremona, Archivio segreto, Diplomatico n.1904)

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Nel 1558 i cremonesi decidono di sistemare la presa sul fiume ed i bresciani giudicano che tale sistemazione sia invece un allargamento ed approfondimento del canale, cioè un suo potenziamento; Brescia ottiene da Venezia il rinnovato consenso ad aprire il nuovo corso del fiume ed inizia il lavoro; i cremonesi con un cospicuo numero di guastatori, assistiti da 300 uomini d’armi, spianano lo scavo; i bresciani con 1500 guastatori, 100 uomini d’armi e 1200 fanti non solo lo riaprono ma otturano la bocca del Naviglio cremonese e parallelamente, si preparano alla guerra. Interviene Venezia, preoccupata per un confine tanto turbolento e, ripresi i contatti con Milano, designa Domenico Bollani, da poco eletto podestà di Brescia, a rappresentarla nella commissione per la soluzione dell’annosa vertenza.

Dell’intricatissima vicenda Christopher Cairns fornisce una documentata ricostruzione frutto

di attente e lunghe ricerche in vari archivi; ne interpreta con competenza fatti e questioni tecniche complesse anche per il gergo allora usato; e dà la chiara sensazione di essersi impadronito a fondo degli eventi nonché del mutevole quadro in cui si svolgono; sensazione che riprovo, leggendo il suo meticoloso lavoro, avendola già avvertita durante una simpatica consuetudine quando le ricerche indussero l’autore a ripetute soste nella nostra città ed a sopralluoghi nei siti ove si svolsero i fatti.

I quali fatti il Bollani cercò di stemperare in una valutazione equitativa di autentico valore

politico (“ … a political agreement for the present …, p. 90). A ciò il Bollani tende, sin dal principio delle discussioni, forte dell’esperienza acquisita in mansioni diplomatiche svolte nel Friuli avamposto di Venezia verso l’Impero ed i Turchi come similmente è Brescia, verso Milano e la Francia. L’Ufficio di Podestà non è diverso da quello di Luogotenente che aveva ad Udine, ma a Brescia la sua autorità è più forte perché Bollani “ … was carefully chosen for his qualification and experience, not by lot (sorteggio) but by selection (scrutinio); (pag. 81).

I primi incontri fra i delegati non sortono effetti; ognuno espone le sue tesi, ma non si arriva

ad affrontare la vera questione: la misura dell’acqua da estrarre. Verso la fine del settembre 1558 la negoziazione è sospesa; sarà ripresa nell’aprile seguente, ma frattanto la diplomazia veneta lavora: Anche il Tiepolo, ambasciatore veneziano presso Filippo II di Spagna, ne è partitamente informato. Tutti si preoccupano di smorzare le reazioni sollevate dai ripetuti incidenti.

Ai primi di aprile del 1559 gli ingegneri delle due parti misurano la bocca del Naviglio, la

traversa (la predata) in Oglio; e la transazione è raggiunta con la definizione delle misure delle opere che permetteranno ai cremonesi di derivare la portata consentita ed ai bresciani, che si impegnano a non usare la diversione del fiume, di riaffermare la loro potestà sul fiume. Tutti i lavori futuri, scrive Anguissola, delegato cremonese, saranno fatti con la supervisione dei bresciani.

Una soluzione dignitosa, dunque, che assicura ai cremonesi l’acqua necessaria alla loro

attività. Ma la loro... sete, sempre più grande, spinge poco dopo i cremonesi a chiedere

l’autorizzazione a Filippo II di derivare un nuovo canale a Soncino; poi, quasi inevitabilmente, la diffidenza da una parte e la contadina malizia dall’altra, fanno risorgere lo stato di crisi. La manutenzione delle bocche del Naviglio è fatta con tale diligenza da giustificare il dubbio che si voglia di fatto allargarle; il rafforzamento della traversa tende a guadagnare qualche... braccio in lunghezza; forse la quota delle soglie... non è esatta!

Il Collegio veneziano ed i suoi savi discutono; vorrebbero mandare qualcuno a Milano; si

pensa ad interventi militari ed a distruggere, segretamente, quanto è stato abusivamente costruito; ma si valutano anche le possibili reazioni politiche; alla fine, Bollani – che allora, vescovo, era impegnato al Concilio di Trento – è invitato a riprendere le trattative. Per parte milanese si incarica ancora Anguissola.

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Frattanto erano avvenuti altri incidenti, ma l’abilità dei negoziatori fu sufficiente a

concordare il testo tipico di ogni intesa politica: capitoli che consentano a ciascuna parte di sottolineare quanto è conforme alle sue tesi.

Il 24 settembre 1561 è firmato il documento esecutivo della capitolazione 1559; con esso

sono fissati gli ulteriori particolari e misure che dovranno osservarsi per la stabile derivazione dell’acqua. La duttilità di Bollani trionfa.

Non creda però il lettore – lo ricorda Cairns in una nota – che la questione acquietasse

completamente le parti; bisognerà attendere il 1960 perché siano definitivamente definiti i diritti delle parti! Nessuna meraviglia, dunque, se l’ingarbugliata vertenza poté durare dal 1329 al 1561; che è invece motivo di plauso a Christopher Cairns il quale l’ha minuziosamente ed esemplarmente ricostruita incastonandola fra le ragioni di stato, volta a volta stimolate o stimolanti, che il fiume-confine alimentava.

Particolare del diploma di Sigismondo di Boemia. Dalla nitida scrittura del tipo detta “bastarda”, largamente in uso all’epoca nelle cancellerie dei sovrani francesi e tedeschi, si slanciano con straordinaria efficacia grafica le raffinate lettere della I iniziale e della S di “Sigismundus”, che dovevano ricevere i colori del miniatore e invece per motivi a noi ignoti rimasero incomplete.