Brasile, la gente di Piquiá «abbatte» i Golia del ferroferisce la dignità dei poveri». Il...
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REPORTAGE 3 La lunga lottaLa regione del Carajás èdiventata la «capitale» dellalavorazione del mineraleprima di essere esportatonel mondo. Le 312 famigliesono riuscite a vincere labattaglia del trasferimentocollettivo. Ma ora il nuovogoverno potrebbe non rispettare le promesse
Brasile, la gente di Piquiá«abbatte» i Golia del ferroLe siderurgiche inquinano, la città trasloca
Un papà con il figlio
osserva il fumoche, senza
sosta, vieneemesso dalle
quattro industriesiderurgiche
a ridosso dellecase di Piquiá
de Baixo(Marcelo Cruz)
LUCIA CAPUZZIINVIATA A SAN PAOLO
osso corvino», dicono, anche se ilcolore non esiste. Perché, sulla ter-ra, il pulviscolo scarlatto assume
una venatura sanguigna. Sulla vegetazione, in-vece, si fa scuro, quasi nero come fuliggine. Suitetti delle case, poi, le due tinte si mescolano,creando una sfumatura indefinibile. Così, lagente di Piquiá de Baixo – quartiere-satellite diAçailândia, nel nord-est brasiliano – ha conia-to questa espressione, bizzarra ma efficace perdescrivere “a poeira”, la polvere. Le ciminieredelle quattro aziende siderurgiche – Gusa Nor-deste, Vale do Pindaré, Simasa, Viena – la spu-tano senza tregua. Ostinata e avvolgente, lei ri-copre il verde prepotente degli alberi amazzo-nici, le costruzioni di mattoni, le strade. Perfi-no la pelle degli abitanti. Lo fa dalla fine deglianni Ottanta. Da quando, cioè, il programma“Grande Carajás” – realizzato dal colosso mi-nerario Vale, all’epoca statale e ora privatizza-to – ha trasformato la regione nella capitale in-ternazionale del ferro. O meglio del “pig iron”,(ferro dei porci), la parte iniziale e più sporcadella produzione che, in genere, si svolge nelSud del mondo. «Ormai sappiamo che la polvere continuerà acadere nei prossimi decenni, fin quando l’e-norme giacimento della Serra dos Carajás nonsarà prosciugato. Noi, però, speriamo, prima diallora, di essere lontani dalla nube “rosso cor-vino”», racconta Joselma Alves de Olivera, vo-ce autorevole tra gli abitanti di Piquiá. A mala-pena un pugno di donne e uomini: poco più dimille persone, divise in 312 famiglie. Eppurequesti “Davide del Maranhão” (Stato dove sitrova Piquiá a circa 200 chilometri dal-la miniera che, però, è situata nel Pará)– riunitisi in una combattiva associa-zione e sostenuti dai missionari com-boniani, dalla parrocchia di Santa Luziae dal centro per i diritti umani Carmen Ba-scarán – hanno sfidato, dal 2005, i “Goliadel ferro”, oltre al governo, locale e naziona-le. Fino a strappare loro l’impegno di trasfe-rire l’intero quartiere in una zona sicura e lon-tana dall’inquinamento del “pig iron”. Ci sonovoluti poi cortei e sit-in per ottenere un postoadatto. Ora, però, il terreno – di 38 ettari – ha giàun nome evocativo: “Piquiá da Conquista”. Làsorgeranno le nuove case e infrastrutture, fi-nanziate per due terzi dall’esecutivo naziona-le. Il resto della cifra, i residenti lo chiedono al-la Vale. «L’edificazione deve ancora comincia-
R«
dell’agrobusiness e del latifondo – prosegue ladonna, insegnante come la madre, da cui ha e-reditato, oltre alla professione, il ruolo di “pa-sionaria” ecologica –. Abbiamo paura che il tra-sferimento rallenti di nuovo…». E l’attesa è du-ra per chi vive in mezzo alla polvere rosso-cor-vino. «Peggio, è un’agonia», dice padre DarioBossi, comboniano e responsabile del gruppoIglesia y minería della Rete ecclesiale pan a-mazzonica (Repam). Il missionario varesino,da oltre dieci anni in Brasile, accompagna lacomunità nella battaglia per la giustizia. E per
la salute. «È la stessa lotta. A Piquiá, a meno dicinquanta metri dalle siderurgiche, vivono u-mili lavoratori, buona parte con salari minimi,e disoccupati». Già, perché nonostante il mu-nicipio di Açailândia, grazie al ferro, produca unterzo del Pil del Maranhão, uno su quattro deisuoi abitanti è povero, il 10 per cento è in con-dizioni di miseria estrema. Piquiá, su cui si accanisce l’inquinamento, è unquartiere popolare. Un recente studio coordi-nato da Paolo Bossi e Roberto Boffi, due medi-ci dell’Istituto Tumori di Milano, ha dimostra-to che il 28 per cento dei residenti della zona pre-senta alterazioni della funzionalità polmonare.Un tasso fino a sei volte maggiore «di quello chenormalmente si trova in una popolazione simileper età, sesso e nazionalità», spiegano gli e-sperti. Il deficit si manifesta in una serie di di-sturbi: «affanno, tosse, ipersecrezione bron-chiale – aggiungono Bossi e Boffi –. Col tempo,poi, tali soggetti sono più a rischio di contrarreinfezioni respiratorie broncopolmonari e diammalarsi di tumore». Non è, però, “solo” lapolvere a tormentare le 312 famiglie di Piquiá.«L’altro grande problema è il “serpente di fer-ro”», scherza padre Dario. La gente ha ribat-tezzato così l’enorme treno che, con i suoi 330vagoni, attraversa per 24 volte al giorno la co-munità. Estratto nella Serra al ritmo di 100 mi-lioni di tonnellate l’anno e “ripulito” – l’interosistema è descritto nel dettaglio nel libro-in-chiesta di Beatrice Ruscio, “Legami di ferro”(Narcissus) –, il minerale raggiunge il porto diSão Luis, da dove viene esportato in tutto ilmondo. Italia inclusa: tra i destinatari c’è an-che l’Ilva di Taranto. Il ferro percorre i quasi 900chilometri di distanza a bordo di una masto-dontica ferrovia, costruita ad hoc da Vale. I bi-nari attraversano ventisette municipi e un cen-tinaio di comunità sparse per la regione. Tracui Piquiá de Baixo. «L’impatto è devastante. Il passaggio di ogni tre-no, lungo ben 4 chilometri, dura almeno quat-tro minuti. Il che vuol dire che per oltre un’orae mezza – dato che i convogli quotidiani sono24 – la vita a Piquiá deve fermarsi. Lo sferra-gliare è assordante, impossibile parlare. La ter-ra trema, crepando i muri delle abitazioni – di-chiara il missionario –. La locomotiva, inoltre,taglia in due il quartiere: i residenti devono a-
spettare che sia passata perandare da una parte all’al-tra. Spesso qualcuno, so-prattutto i bambini, è im-paziente. E, poiché non c’èalcuna protezione, prova asfidare il treno. In genere,però, perde: abbiamo al-meno una vittima ognimese e mezzo». A breve, i-noltre, la frequenza deiconvogli dovrebbe essereintensificata, fino a por-tarla a 36 al giorno. «Nonvoglio immaginare comesarebbe allora la nostra e-sistenza. Dobbiamo an-darcene prima – sospiraJosefa –. Combatteremofin quando il trasferi-mento non diventerà
realtà». I “Davide di Piquiá” sono determinati.Perché, come amano ripetere, «nella lotta per-sistente, nella tenacia di chi non abbassa la te-sta, già si trova un frammento di vittoria».
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re. Non è, dunque, pensabile il trasloco primadi altri due anni. Sempre che il cambio al ver-tice di Brasilia non faccia slittare ulteriormen-te i tempi», aggiunge Joselma. Il 31 agosto, l’expresidente Dilma Rousseff – che aveva firmatol’atto del trasferimento – è stata rimossa in se-guito a un procedimento di impeachment. Alsuo posto, si è insediato l’ex vice – nel frattem-po passato all’opposizione – Michel Temer. «Leprime dichiarazioni della nuova Amministra-zione in materia ambientale non sono inco-raggianti: si è pronunciata più volte a favore
La polvere diferro si
accumulaovunque,
anche sullapelle degli
abitanti(Marcelo
Cruz)
È una delle sfide più urgenti delnostro tempo. In cui il degrado
dell’ambiente è «accompagnato daingiustizie sociali». La protezione della
“casa comune”, pertanto, esige «unaconversione permanente e integrale cheè, allo stesso tempo, personale,comunitaria, sociale ed ecologica». Papa
Francesco ha voluto esprimere la propriavicinanza ai vescovi brasiliani che,quest’anno, hanno dedicato la tradizionale
campagna della Quaresima al tema“Fraternità: ecosistemi brasiliani e difesadella vita”. Ispirata dall’invito biblico a«coltivare e costruire il giardino», laConferenza episcopale del Gigante del Sud(Ceb) esorta i fedeli a costruire relazionirispettose con i differenti habitat naturali e ipopoli che vi abitano. In particolare, i nativi,«autentici guardiani degli ecosistemi», haaffermato il cardinal Sergio Rocha,arcivescovo di Brasilia e presidente dellaCeb. Essi – ha sottolineato il Pontefice neltesto inviato per la campagna – «offrono unesempio chiaro di come la convivenza con
il creato può essere rispettosa, portatricedi pienezza e di misericordia. Perciò ènecessario conoscere e imparare daquesti popoli e dai loro rapporti con lanatura. Sarà così possibile trovare unmodello di sostenibilità che possa essereun’alternativa al desiderio sfrenato dilucro che esaurisce le risorse naturali eferisce la dignità dei poveri». Il dilemmatra protezione dell’ambiente e sviluppo è,come Francesco ha scritto nella Laudatosi’, falso. Il mito di un “progresso” basatosulla “rapina” dei territori e del pianeta, sirisolve in una crescita inconsistente emiope. All’economia che uccide, perutilizzare un’espressione bergogliana, ivescovi brasiliani contrappongono unsistema umano e sostenibile, in grado dinon «distruggere le risorse naturali», comeha messo in luce il cardinal Rocha. Lacreazione di tale modello è compito di ogniuomo e donna. È necessaria, però – haconcluso il presidente dei vescovi brasiliani –, «la partecipazione del potere pubblico eazioni effettive dei governi». (Lu.C.)
I VESCOVI
La Chiesa si mobilita per la Quaresima: «Custodire la casa comune e i suoi popoli»
Una delle marce per chiedere il trasferimento (Marcelo Cruz) La denuncia. «La crisi accelera le aggressioni all’ambiente»DALL’INVIATA A SAN PAOLO
l rischio è concreto. Neimomenti di crisi – in ba-se agli ultimi dati, nel
2016, l’economia brasilianasi è contratta del 3,6 per cen-to –, la pressione sulle risor-se naturali aumenta. «Il lorosfruttamento ben oltre la so-glia di sostenibilità diventa u-na “scorciatoia” per ottenereuna crescita rapida e “facili”guadagni. A discapito dellacasa comune. E della soprav-vivenza di interi popoli, con-siderati un “ostacolo” al pro-gresso. Questa tentazione èforte nel Brasile attuale». Cle-ber César Buzatto è da sem-pre in prima linea per la dife-sa della giustizia ambientale
Ie sociale. Il segretario delConsiglio indigenista missio-nario (Cimi) della Conferen-za episcopale brasiliana nonha mai risparmiato criticheai governi, di ogni orienta-mento, per la poca lungimi-ranza nell’affrontare il nododella terra. In primis, la riforma agraria,nota dolente del Gigante del-l’America Latina. In Brasilenon c’è mai stato un autenti-co riassetto della proprietàfondiaria per privilegiare ipiccoli agricoltori a discapitodel latifondo. Anzi, la con-centrazione continua a cre-scere: più 372 per cento negliultimi 32 anni, secondo unrecente studio dell’Universitàstatale di San Paolo (Unesp).
Vi è, poi, la questione dellarestituzione dei territori aipopoli originari. Il procedi-mento di regolarizzazione sa-rebbe dovuto terminare nel1993. Secondo l’ultima rile-vazione del Cimi, invece, 654appezzamenti sono ancorain attesa del via libera per co-minciare l’iter. Cioè più dellametà del totale delle terre in-digene: 1.118. «Avevamo spe-rato che la situazione miglio-rasse con l’ascesa del Partidodos Trabalhadores (Pt), al go-verno dal 2003 prima con I-nacio Luiz Lula da Silva e, poi,con Dilma Rousseff. Pur-troppo non è stato così – af-ferma Buzatto –. Gli esecuti-vi del Pt hanno fatto molteconcessioni ai grandi pro-
prietari: il ritmo delle restitu-zioni ai nativi ha rallentato. Ilche ha rafforzato i latifondi-sti. I cui rappresentanti poli-tici, poi, hanno dato la spal-lata decisiva a Rousseff…».Con il cambio della guardia alPalazzo di Planalto, la situa-zione è peggiorata. «Il soste-
gno dei deputati vicini all’a-gro-business è cruciale perTemer. Questo spiega perché,da quando ha assunto l’inca-rico, prima ad interim e poi inmodo definitivo, non c’è sta-ta alcuna regolarizzazione infavore dei nativi», aggiunge ilsegretario del Cimi. Le scelte
finora intraprese aumentanoi timori degli attivisti. A gennaio, sono state am-pliate le competenze del mi-nistero della Giustizia nelmeccanismo di restituzione.Poco più di un mese dopo, ilpresidente ha nominato al-la guida del dicastero OsmarSerraglio, vicino ai “fazen-deiros” del “Fronte agrario”.Sono allo studio, inoltre, unaserie di misure controverse.Come il progetto di legge4059/12 che apre all’acqui-sto di terra da parte deglistranieri, pratica finora vie-tata per evitare il “land grab-bing” (accaparramento del-le terre da parte di colossiprivati o pubblici esteri). Ola proposta – denunciata da
Greenpeace – di ridurre diun milione di ettari quattroaree protette in Amazzonia«per far posto a nuove a-ziende agricole o all’indu-stria del legno». «Purtroppol’esecutivo attuale tratta laterra come una merce. E co-me tale vorrebbe venderlaper “fare cassa” – sottolineaBuzatto –. In tal modo, gran-di proprietari e imprendito-ri agrari si sentono legitti-mati a “sconfinare” nelle zo-ne protette. Nella speranzadi legalizzare in un secondotempo tale possesso». Il Cimi ha rivelato l’incre-mento delle “invasioni” diterritori indigeni da gruppiinteressati a sfruttarne le ric-chezze. In particolare, il le-
gname. Nello Stato di Rondô-nia sono stati occupati perfi-no appezzamenti già legal-mente restituiti agli indios. Alcontempo, si sono intensifi-cate minacce e violenze con-tro quanti denunciano le ir-regolarità. Nel 2016, la Commissionepastorale della terra – vicinaai vescovi – ha denunciato lamorte di 54 persone nel cor-so di conflitti agrari. L’annoprima erano state 50. Eppu-re, gli indios – e chi li difende– non sembrano disposti afarsi spaventare. «Sono de-terminati a resistere – con-clude Buzatto –. E noi ad ac-compagnarli»
Lucia Capuzzi© RIPRODUZIONE RISERVATA
Cleber César Buzatto, segretario delConsiglio indigenista missionario (Cimi),è da sempre in prima linea: gli esecutivi
hanno fatto molte concessioni ai grandi proprietari. E ora le restituzioni
delle terre ai nativi si sono arenate
9Giovedì9 Marzo 2017 P R I M O P I A N O
IL GIGANTEMALATO