Brasile, la gente di Piquiá «abbatte» i Golia del ferroferisce la dignità dei poveri». Il...

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REPORTAGE 3 La lunga lotta La regione del Carajás è diventata la «capitale» della lavorazione del minerale prima di essere esportato nel mondo. Le 312 famiglie sono riuscite a vincere la battaglia del trasferimento collettivo. Ma ora il nuovo governo potrebbe non rispettare le promesse Brasile, la gente di Piquiá «abbatte» i Golia del ferro Le siderurgiche inquinano, la città trasloca Un papà con il figlio osserva il fumo che, senza sosta, viene emesso dalle quattro industrie siderurgiche a ridosso delle case di Piquiá de Baixo (Marcelo Cruz) LUCIA CAPUZZI INVIATA A SAN P AOLO osso corvino», dicono, anche se il colore non esiste. Perché, sulla ter- ra, il pulviscolo scarlatto assume una venatura sanguigna. Sulla vegetazione, in- vece, si fa scuro, quasi nero come fuliggine. Sui tetti delle case, poi, le due tinte si mescolano, creando una sfumatura indefinibile. Così, la gente di Piquiá de Baixo – quartiere-satellite di Açailândia, nel nord-est brasiliano – ha conia- to questa espressione, bizzarra ma efficace per descrivere “a poeira”, la polvere. Le ciminiere delle quattro aziende siderurgiche – Gusa Nor- deste, Vale do Pindaré, Simasa, Viena – la spu- tano senza tregua. Ostinata e avvolgente, lei ri- copre il verde prepotente degli alberi amazzo- nici, le costruzioni di mattoni, le strade. Perfi- no la pelle degli abitanti. Lo fa dalla fine degli anni Ottanta. Da quando, cioè, il programma “Grande Carajás” – realizzato dal colosso mi- nerario Vale, all’epoca statale e ora privatizza- to – ha trasformato la regione nella capitale in- ternazionale del ferro. O meglio del “pig iron”, (ferro dei porci), la parte iniziale e più sporca della produzione che, in genere, si svolge nel Sud del mondo. «Ormai sappiamo che la polvere continuerà a cadere nei prossimi decenni, fin quando l’e- norme giacimento della Serra dos Carajás non sarà prosciugato. Noi, però, speriamo, prima di allora, di essere lontani dalla nube “rosso cor- vino”», racconta Joselma Alves de Olivera, vo- ce autorevole tra gli abitanti di Piquiá. A mala- pena un pugno di donne e uomini: poco più di mille persone, divise in 312 famiglie. Eppure questi “Davide del Maranhão” (Stato dove si trova Piquiá a circa 200 chilometri dal- la miniera che, però, è situata nel Pará) – riunitisi in una combattiva associa- zione e sostenuti dai missionari com- boniani, dalla parrocchia di Santa Luzia e dal centro per i diritti umani Carmen Ba- scarán – hanno sfidato, dal 2005, i “Golia del ferro”, oltre al governo, locale e naziona- le. Fino a strappare loro l’impegno di trasfe- rire l’intero quartiere in una zona sicura e lon- tana dall’inquinamento del “pig iron”. Ci sono voluti poi cortei e sit-in per ottenere un posto adatto. Ora, però, il terreno – di 38 ettari – ha già un nome evocativo: “Piquiá da Conquista”. Là sorgeranno le nuove case e infrastrutture, fi- nanziate per due terzi dall’esecutivo naziona- le. Il resto della cifra, i residenti lo chiedono al- la Vale. «L’edificazione deve ancora comincia- R « dell’agrobusiness e del latifondo – prosegue la donna, insegnante come la madre, da cui ha e- reditato, oltre alla professione, il ruolo di “pa- sionaria” ecologica –. Abbiamo paura che il tra- sferimento rallenti di nuovo…». E l’attesa è du- ra per chi vive in mezzo alla polvere rosso-cor- vino. «Peggio, è un’agonia», dice padre Dario Bossi, comboniano e responsabile del gruppo Iglesia y minería della Rete ecclesiale pan a- mazzonica (Repam). Il missionario varesino, da oltre dieci anni in Brasile, accompagna la comunità nella battaglia per la giustizia. E per la salute. «È la stessa lotta. A Piquiá, a meno di cinquanta metri dalle siderurgiche, vivono u- mili lavoratori, buona parte con salari minimi, e disoccupati». Già, perché nonostante il mu- nicipio di Açailândia, grazie al ferro, produca un terzo del Pil del Maranhão, uno su quattro dei suoi abitanti è povero, il 10 per cento è in con- dizioni di miseria estrema. Piquiá, su cui si accanisce l’inquinamento, è un quartiere popolare. Un recente studio coordi- nato da Paolo Bossi e Roberto Boffi, due medi- ci dell’Istituto Tumori di Milano, ha dimostra- to che il 28 per cento dei residenti della zona pre- senta alterazioni della funzionalità polmonare. Un tasso fino a sei volte maggiore «di quello che normalmente si trova in una popolazione simile per età, sesso e nazionalità», spiegano gli e- sperti. Il deficit si manifesta in una serie di di- sturbi: «affanno, tosse, ipersecrezione bron- chiale – aggiungono Bossi e Boffi –. Col tempo, poi, tali soggetti sono più a rischio di contrarre infezioni respiratorie broncopolmonari e di ammalarsi di tumore». Non è, però, “solo” la polvere a tormentare le 312 famiglie di Piquiá. «L’altro grande problema è il “serpente di fer- ro”», scherza padre Dario. La gente ha ribat- tezzato così l’enorme treno che, con i suoi 330 vagoni, attraversa per 24 volte al giorno la co- munità. Estratto nella Serra al ritmo di 100 mi- lioni di tonnellate l’anno e “ripulito” – l’intero sistema è descritto nel dettaglio nel libro-in- chiesta di Beatrice Ruscio, “Legami di ferro” (Narcissus) –, il minerale raggiunge il porto di São Luis, da dove viene esportato in tutto il mondo. Italia inclusa: tra i destinatari c’è an- che l’Ilva di Taranto. Il ferro percorre i quasi 900 chilometri di distanza a bordo di una masto- dontica ferrovia, costruita ad hoc da Vale. I bi- nari attraversano ventisette municipi e un cen- tinaio di comunità sparse per la regione. Tra cui Piquiá de Baixo. «L’impatto è devastante. Il passaggio di ogni tre- no, lungo ben 4 chilometri, dura almeno quat- tro minuti. Il che vuol dire che per oltre un’ora e mezza – dato che i convogli quotidiani sono 24 – la vita a Piquiá deve fermarsi. Lo sferra- gliare è assordante, impossibile parlare. La ter- ra trema, crepando i muri delle abitazioni – di- chiara il missionario –. La locomotiva, inoltre, taglia in due il quartiere: i residenti devono a- spettare che sia passata per andare da una parte all’al- tra. Spesso qualcuno, so- prattutto i bambini, è im- paziente. E, poiché non c’è alcuna protezione, prova a sfidare il treno. In genere, però, perde: abbiamo al- meno una vittima ogni mese e mezzo». A breve, i- noltre, la frequenza dei convogli dovrebbe essere intensificata, fino a por- tarla a 36 al giorno. «Non voglio immaginare come sarebbe allora la nostra e- sistenza. Dobbiamo an- darcene prima – sospira Josefa –. Combatteremo fin quando il trasferi- mento non diventerà realtà». I “Davide di Piquiá” sono determinati. Perché, come amano ripetere, «nella lotta per- sistente, nella tenacia di chi non abbassa la te- sta, già si trova un frammento di vittoria». 3. Continua © RIPRODUZIONE RISERVATA re. Non è, dunque, pensabile il trasloco prima di altri due anni. Sempre che il cambio al ver- tice di Brasilia non faccia slittare ulteriormen- te i tempi», aggiunge Joselma. Il 31 agosto, l’ex presidente Dilma Rousseff – che aveva firmato l’atto del trasferimento – è stata rimossa in se- guito a un procedimento di impeachment. Al suo posto, si è insediato l’ex vice – nel frattem- po passato all’opposizione – Michel Temer. «Le prime dichiarazioni della nuova Amministra- zione in materia ambientale non sono inco- raggianti: si è pronunciata più volte a favore La polvere di ferro si accumula ovunque, anche sulla pelle degli abitanti (Marcelo Cruz) È una delle sfide più urgenti del nostro tempo. In cui il degrado dell’ambiente è «accompagnato da ingiustizie sociali». La protezione della “casa comune”, pertanto, esige «una conversione permanente e integrale che è, allo stesso tempo, personale, comunitaria, sociale ed ecologica». Papa Francesco ha voluto esprimere la propria vicinanza ai vescovi brasiliani che, quest’anno, hanno dedicato la tradizionale campagna della Quaresima al tema “Fraternità: ecosistemi brasiliani e difesa della vita”. Ispirata dall’invito biblico a «coltivare e costruire il giardino», la Conferenza episcopale del Gigante del Sud (Ceb) esorta i fedeli a costruire relazioni rispettose con i differenti habitat naturali e i popoli che vi abitano. In particolare, i nativi, «autentici guardiani degli ecosistemi», ha affermato il cardinal Sergio Rocha, arcivescovo di Brasilia e presidente della Ceb. Essi – ha sottolineato il Pontefice nel testo inviato per la campagna – «offrono un esempio chiaro di come la convivenza con il creato può essere rispettosa, portatrice di pienezza e di misericordia. Perciò è necessario conoscere e imparare da questi popoli e dai loro rapporti con la natura. Sarà così possibile trovare un modello di sostenibilità che possa essere un’alternativa al desiderio sfrenato di lucro che esaurisce le risorse naturali e ferisce la dignità dei poveri». Il dilemma tra protezione dell’ambiente e sviluppo è, come Francesco ha scritto nella Laudato si’, falso. Il mito di un “progresso” basato sulla “rapina” dei territori e del pianeta, si risolve in una crescita inconsistente e miope. All’economia che uccide, per utilizzare un’espressione bergogliana, i vescovi brasiliani contrappongono un sistema umano e sostenibile, in grado di non «distruggere le risorse naturali», come ha messo in luce il cardinal Rocha. La creazione di tale modello è compito di ogni uomo e donna. È necessaria, però – ha concluso il presidente dei vescovi brasiliani – , «la partecipazione del potere pubblico e azioni effettive dei governi». (Lu.C.) I VESCOVI La Chiesa si mobilita per la Quaresima: «Custodire la casa comune e i suoi popoli» Una delle marce per chiedere il trasferimento (Marcelo Cruz) La denuncia. «La crisi accelera le aggressioni all’ambiente» DALL INVIATA A SAN P AOLO l rischio è concreto. Nei momenti di crisi – in ba- se agli ultimi dati, nel 2016, l’economia brasiliana si è contratta del 3,6 per cen- to –, la pressione sulle risor- se naturali aumenta. «Il loro sfruttamento ben oltre la so- glia di sostenibilità diventa u- na “scorciatoia” per ottenere una crescita rapida e “facili” guadagni. A discapito della casa comune. E della soprav- vivenza di interi popoli, con- siderati un “ostacolo” al pro- gresso. Questa tentazione è forte nel Brasile attuale». Cle- ber César Buzatto è da sem- pre in prima linea per la dife- sa della giustizia ambientale I e sociale. Il segretario del Consiglio indigenista missio- nario (Cimi) della Conferen- za episcopale brasiliana non ha mai risparmiato critiche ai governi, di ogni orienta- mento, per la poca lungimi- ranza nell’affrontare il nodo della terra. In primis, la riforma agraria, nota dolente del Gigante del- l’America Latina. In Brasile non c’è mai stato un autenti- co riassetto della proprietà fondiaria per privilegiare i piccoli agricoltori a discapito del latifondo. Anzi, la con- centrazione continua a cre- scere: più 372 per cento negli ultimi 32 anni, secondo un recente studio dell’Università statale di San Paolo (Unesp). Vi è, poi, la questione della restituzione dei territori ai popoli originari. Il procedi- mento di regolarizzazione sa- rebbe dovuto terminare nel 1993. Secondo l’ultima rile- vazione del Cimi, invece, 654 appezzamenti sono ancora in attesa del via libera per co- minciare l’iter. Cioè più della metà del totale delle terre in- digene: 1.118. «Avevamo spe- rato che la situazione miglio- rasse con l’ascesa del Partido dos Trabalhadores (Pt), al go- verno dal 2003 prima con I- nacio Luiz Lula da Silva e, poi, con Dilma Rousseff. Pur- troppo non è stato così – af- ferma Buzatto –. Gli esecuti- vi del Pt hanno fatto molte concessioni ai grandi pro- prietari: il ritmo delle restitu- zioni ai nativi ha rallentato. Il che ha rafforzato i latifondi- sti. I cui rappresentanti poli- tici, poi, hanno dato la spal- lata decisiva a Rousseff…». Con il cambio della guardia al Palazzo di Planalto, la situa- zione è peggiorata. «Il soste- gno dei deputati vicini all’a- gro-business è cruciale per Temer. Questo spiega perché, da quando ha assunto l’inca- rico, prima ad interim e poi in modo definitivo, non c’è sta- ta alcuna regolarizzazione in favore dei nativi», aggiunge il segretario del Cimi. Le scelte finora intraprese aumentano i timori degli attivisti. A gennaio, sono state am- pliate le competenze del mi- nistero della Giustizia nel meccanismo di restituzione. Poco più di un mese dopo, il presidente ha nominato al- la guida del dicastero Osmar Serraglio, vicino ai “fazen- deiros” del “Fronte agrario”. Sono allo studio, inoltre, una serie di misure controverse. Come il progetto di legge 4059/12 che apre all’acqui- sto di terra da parte degli stranieri, pratica finora vie- tata per evitare il “land grab- bing” (accaparramento del- le terre da parte di colossi privati o pubblici esteri). O la proposta – denunciata da Greenpeace – di ridurre di un milione di ettari quattro aree protette in Amazzonia «per far posto a nuove a- ziende agricole o all’indu- stria del legno». «Purtroppo l’esecutivo attuale tratta la terra come una merce. E co- me tale vorrebbe venderla per “fare cassa” – sottolinea Buzatto –. In tal modo, gran- di proprietari e imprendito- ri agrari si sentono legitti- mati a “sconfinare” nelle zo- ne protette. Nella speranza di legalizzare in un secondo tempo tale possesso». Il Cimi ha rivelato l’incre- mento delle “invasioni” di territori indigeni da gruppi interessati a sfruttarne le ric- chezze. In particolare, il le- gname. Nello Stato di Rondô- nia sono stati occupati perfi- no appezzamenti già legal- mente restituiti agli indios. Al contempo, si sono intensifi- cate minacce e violenze con- tro quanti denunciano le ir- regolarità. Nel 2016, la Commissione pastorale della terra – vicina ai vescovi – ha denunciato la morte di 54 persone nel cor- so di conflitti agrari. L’anno prima erano state 50. Eppu- re, gli indios – e chi li difende – non sembrano disposti a farsi spaventare. «Sono de- terminati a resistere – con- clude Buzatto –. E noi ad ac- compagnarli» Lucia Capuzzi © RIPRODUZIONE RISERVATA Cleber César Buzatto, segretario del Consiglio indigenista missionario (Cimi), è da sempre in prima linea: gli esecutivi hanno fatto molte concessioni ai grandi proprietari. E ora le restituzioni delle terre ai nativi si sono arenate 9 Giovedì 9 Marzo 2017 PRIMO PIANO IL GIGANTE MALATO

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REPORTAGE 3 La lunga lottaLa regione del Carajás èdiventata la «capitale» dellalavorazione del mineraleprima di essere esportatonel mondo. Le 312 famigliesono riuscite a vincere labattaglia del trasferimentocollettivo. Ma ora il nuovogoverno potrebbe non rispettare le promesse

Brasile, la gente di Piquiá«abbatte» i Golia del ferroLe siderurgiche inquinano, la città trasloca

Un papà con il figlio

osserva il fumoche, senza

sosta, vieneemesso dalle

quattro industriesiderurgiche

a ridosso dellecase di Piquiá

de Baixo(Marcelo Cruz)

LUCIA CAPUZZIINVIATA A SAN PAOLO

osso corvino», dicono, anche se ilcolore non esiste. Perché, sulla ter-ra, il pulviscolo scarlatto assume

una venatura sanguigna. Sulla vegetazione, in-vece, si fa scuro, quasi nero come fuliggine. Suitetti delle case, poi, le due tinte si mescolano,creando una sfumatura indefinibile. Così, lagente di Piquiá de Baixo – quartiere-satellite diAçailândia, nel nord-est brasiliano – ha conia-to questa espressione, bizzarra ma efficace perdescrivere “a poeira”, la polvere. Le ciminieredelle quattro aziende siderurgiche – Gusa Nor-deste, Vale do Pindaré, Simasa, Viena – la spu-tano senza tregua. Ostinata e avvolgente, lei ri-copre il verde prepotente degli alberi amazzo-nici, le costruzioni di mattoni, le strade. Perfi-no la pelle degli abitanti. Lo fa dalla fine deglianni Ottanta. Da quando, cioè, il programma“Grande Carajás” – realizzato dal colosso mi-nerario Vale, all’epoca statale e ora privatizza-to – ha trasformato la regione nella capitale in-ternazionale del ferro. O meglio del “pig iron”,(ferro dei porci), la parte iniziale e più sporcadella produzione che, in genere, si svolge nelSud del mondo. «Ormai sappiamo che la polvere continuerà acadere nei prossimi decenni, fin quando l’e-norme giacimento della Serra dos Carajás nonsarà prosciugato. Noi, però, speriamo, prima diallora, di essere lontani dalla nube “rosso cor-vino”», racconta Joselma Alves de Olivera, vo-ce autorevole tra gli abitanti di Piquiá. A mala-pena un pugno di donne e uomini: poco più dimille persone, divise in 312 famiglie. Eppurequesti “Davide del Maranhão” (Stato dove sitrova Piquiá a circa 200 chilometri dal-la miniera che, però, è situata nel Pará)– riunitisi in una combattiva associa-zione e sostenuti dai missionari com-boniani, dalla parrocchia di Santa Luziae dal centro per i diritti umani Carmen Ba-scarán – hanno sfidato, dal 2005, i “Goliadel ferro”, oltre al governo, locale e naziona-le. Fino a strappare loro l’impegno di trasfe-rire l’intero quartiere in una zona sicura e lon-tana dall’inquinamento del “pig iron”. Ci sonovoluti poi cortei e sit-in per ottenere un postoadatto. Ora, però, il terreno – di 38 ettari – ha giàun nome evocativo: “Piquiá da Conquista”. Làsorgeranno le nuove case e infrastrutture, fi-nanziate per due terzi dall’esecutivo naziona-le. Il resto della cifra, i residenti lo chiedono al-la Vale. «L’edificazione deve ancora comincia-

dell’agrobusiness e del latifondo – prosegue ladonna, insegnante come la madre, da cui ha e-reditato, oltre alla professione, il ruolo di “pa-sionaria” ecologica –. Abbiamo paura che il tra-sferimento rallenti di nuovo…». E l’attesa è du-ra per chi vive in mezzo alla polvere rosso-cor-vino. «Peggio, è un’agonia», dice padre DarioBossi, comboniano e responsabile del gruppoIglesia y minería della Rete ecclesiale pan a-mazzonica (Repam). Il missionario varesino,da oltre dieci anni in Brasile, accompagna lacomunità nella battaglia per la giustizia. E per

la salute. «È la stessa lotta. A Piquiá, a meno dicinquanta metri dalle siderurgiche, vivono u-mili lavoratori, buona parte con salari minimi,e disoccupati». Già, perché nonostante il mu-nicipio di Açailândia, grazie al ferro, produca unterzo del Pil del Maranhão, uno su quattro deisuoi abitanti è povero, il 10 per cento è in con-dizioni di miseria estrema. Piquiá, su cui si accanisce l’inquinamento, è unquartiere popolare. Un recente studio coordi-nato da Paolo Bossi e Roberto Boffi, due medi-ci dell’Istituto Tumori di Milano, ha dimostra-to che il 28 per cento dei residenti della zona pre-senta alterazioni della funzionalità polmonare.Un tasso fino a sei volte maggiore «di quello chenormalmente si trova in una popolazione simileper età, sesso e nazionalità», spiegano gli e-sperti. Il deficit si manifesta in una serie di di-sturbi: «affanno, tosse, ipersecrezione bron-chiale – aggiungono Bossi e Boffi –. Col tempo,poi, tali soggetti sono più a rischio di contrarreinfezioni respiratorie broncopolmonari e diammalarsi di tumore». Non è, però, “solo” lapolvere a tormentare le 312 famiglie di Piquiá.«L’altro grande problema è il “serpente di fer-ro”», scherza padre Dario. La gente ha ribat-tezzato così l’enorme treno che, con i suoi 330vagoni, attraversa per 24 volte al giorno la co-munità. Estratto nella Serra al ritmo di 100 mi-lioni di tonnellate l’anno e “ripulito” – l’interosistema è descritto nel dettaglio nel libro-in-chiesta di Beatrice Ruscio, “Legami di ferro”(Narcissus) –, il minerale raggiunge il porto diSão Luis, da dove viene esportato in tutto ilmondo. Italia inclusa: tra i destinatari c’è an-che l’Ilva di Taranto. Il ferro percorre i quasi 900chilometri di distanza a bordo di una masto-dontica ferrovia, costruita ad hoc da Vale. I bi-nari attraversano ventisette municipi e un cen-tinaio di comunità sparse per la regione. Tracui Piquiá de Baixo. «L’impatto è devastante. Il passaggio di ogni tre-no, lungo ben 4 chilometri, dura almeno quat-tro minuti. Il che vuol dire che per oltre un’orae mezza – dato che i convogli quotidiani sono24 – la vita a Piquiá deve fermarsi. Lo sferra-gliare è assordante, impossibile parlare. La ter-ra trema, crepando i muri delle abitazioni – di-chiara il missionario –. La locomotiva, inoltre,taglia in due il quartiere: i residenti devono a-

spettare che sia passata perandare da una parte all’al-tra. Spesso qualcuno, so-prattutto i bambini, è im-paziente. E, poiché non c’èalcuna protezione, prova asfidare il treno. In genere,però, perde: abbiamo al-meno una vittima ognimese e mezzo». A breve, i-noltre, la frequenza deiconvogli dovrebbe essereintensificata, fino a por-tarla a 36 al giorno. «Nonvoglio immaginare comesarebbe allora la nostra e-sistenza. Dobbiamo an-darcene prima – sospiraJosefa –. Combatteremofin quando il trasferi-mento non diventerà

realtà». I “Davide di Piquiá” sono determinati.Perché, come amano ripetere, «nella lotta per-sistente, nella tenacia di chi non abbassa la te-sta, già si trova un frammento di vittoria».

3. Continua© RIPRODUZIONE RISERVATA

re. Non è, dunque, pensabile il trasloco primadi altri due anni. Sempre che il cambio al ver-tice di Brasilia non faccia slittare ulteriormen-te i tempi», aggiunge Joselma. Il 31 agosto, l’expresidente Dilma Rousseff – che aveva firmatol’atto del trasferimento – è stata rimossa in se-guito a un procedimento di impeachment. Alsuo posto, si è insediato l’ex vice – nel frattem-po passato all’opposizione – Michel Temer. «Leprime dichiarazioni della nuova Amministra-zione in materia ambientale non sono inco-raggianti: si è pronunciata più volte a favore

La polvere diferro si

accumulaovunque,

anche sullapelle degli

abitanti(Marcelo

Cruz)

È una delle sfide più urgenti delnostro tempo. In cui il degrado

dell’ambiente è «accompagnato daingiustizie sociali». La protezione della

“casa comune”, pertanto, esige «unaconversione permanente e integrale cheè, allo stesso tempo, personale,comunitaria, sociale ed ecologica». Papa

Francesco ha voluto esprimere la propriavicinanza ai vescovi brasiliani che,quest’anno, hanno dedicato la tradizionale

campagna della Quaresima al tema“Fraternità: ecosistemi brasiliani e difesadella vita”. Ispirata dall’invito biblico a«coltivare e costruire il giardino», laConferenza episcopale del Gigante del Sud(Ceb) esorta i fedeli a costruire relazionirispettose con i differenti habitat naturali e ipopoli che vi abitano. In particolare, i nativi,«autentici guardiani degli ecosistemi», haaffermato il cardinal Sergio Rocha,arcivescovo di Brasilia e presidente dellaCeb. Essi – ha sottolineato il Pontefice neltesto inviato per la campagna – «offrono unesempio chiaro di come la convivenza con

il creato può essere rispettosa, portatricedi pienezza e di misericordia. Perciò ènecessario conoscere e imparare daquesti popoli e dai loro rapporti con lanatura. Sarà così possibile trovare unmodello di sostenibilità che possa essereun’alternativa al desiderio sfrenato dilucro che esaurisce le risorse naturali eferisce la dignità dei poveri». Il dilemmatra protezione dell’ambiente e sviluppo è,come Francesco ha scritto nella Laudatosi’, falso. Il mito di un “progresso” basatosulla “rapina” dei territori e del pianeta, sirisolve in una crescita inconsistente emiope. All’economia che uccide, perutilizzare un’espressione bergogliana, ivescovi brasiliani contrappongono unsistema umano e sostenibile, in grado dinon «distruggere le risorse naturali», comeha messo in luce il cardinal Rocha. Lacreazione di tale modello è compito di ogniuomo e donna. È necessaria, però – haconcluso il presidente dei vescovi brasiliani –, «la partecipazione del potere pubblico eazioni effettive dei governi». (Lu.C.)

I VESCOVI

La Chiesa si mobilita per la Quaresima: «Custodire la casa comune e i suoi popoli»

Una delle marce per chiedere il trasferimento (Marcelo Cruz) La denuncia. «La crisi accelera le aggressioni all’ambiente»DALL’INVIATA A SAN PAOLO

l rischio è concreto. Neimomenti di crisi – in ba-se agli ultimi dati, nel

2016, l’economia brasilianasi è contratta del 3,6 per cen-to –, la pressione sulle risor-se naturali aumenta. «Il lorosfruttamento ben oltre la so-glia di sostenibilità diventa u-na “scorciatoia” per ottenereuna crescita rapida e “facili”guadagni. A discapito dellacasa comune. E della soprav-vivenza di interi popoli, con-siderati un “ostacolo” al pro-gresso. Questa tentazione èforte nel Brasile attuale». Cle-ber César Buzatto è da sem-pre in prima linea per la dife-sa della giustizia ambientale

Ie sociale. Il segretario delConsiglio indigenista missio-nario (Cimi) della Conferen-za episcopale brasiliana nonha mai risparmiato criticheai governi, di ogni orienta-mento, per la poca lungimi-ranza nell’affrontare il nododella terra. In primis, la riforma agraria,nota dolente del Gigante del-l’America Latina. In Brasilenon c’è mai stato un autenti-co riassetto della proprietàfondiaria per privilegiare ipiccoli agricoltori a discapitodel latifondo. Anzi, la con-centrazione continua a cre-scere: più 372 per cento negliultimi 32 anni, secondo unrecente studio dell’Universitàstatale di San Paolo (Unesp).

Vi è, poi, la questione dellarestituzione dei territori aipopoli originari. Il procedi-mento di regolarizzazione sa-rebbe dovuto terminare nel1993. Secondo l’ultima rile-vazione del Cimi, invece, 654appezzamenti sono ancorain attesa del via libera per co-minciare l’iter. Cioè più dellametà del totale delle terre in-digene: 1.118. «Avevamo spe-rato che la situazione miglio-rasse con l’ascesa del Partidodos Trabalhadores (Pt), al go-verno dal 2003 prima con I-nacio Luiz Lula da Silva e, poi,con Dilma Rousseff. Pur-troppo non è stato così – af-ferma Buzatto –. Gli esecuti-vi del Pt hanno fatto molteconcessioni ai grandi pro-

prietari: il ritmo delle restitu-zioni ai nativi ha rallentato. Ilche ha rafforzato i latifondi-sti. I cui rappresentanti poli-tici, poi, hanno dato la spal-lata decisiva a Rousseff…».Con il cambio della guardia alPalazzo di Planalto, la situa-zione è peggiorata. «Il soste-

gno dei deputati vicini all’a-gro-business è cruciale perTemer. Questo spiega perché,da quando ha assunto l’inca-rico, prima ad interim e poi inmodo definitivo, non c’è sta-ta alcuna regolarizzazione infavore dei nativi», aggiunge ilsegretario del Cimi. Le scelte

finora intraprese aumentanoi timori degli attivisti. A gennaio, sono state am-pliate le competenze del mi-nistero della Giustizia nelmeccanismo di restituzione.Poco più di un mese dopo, ilpresidente ha nominato al-la guida del dicastero OsmarSerraglio, vicino ai “fazen-deiros” del “Fronte agrario”.Sono allo studio, inoltre, unaserie di misure controverse.Come il progetto di legge4059/12 che apre all’acqui-sto di terra da parte deglistranieri, pratica finora vie-tata per evitare il “land grab-bing” (accaparramento del-le terre da parte di colossiprivati o pubblici esteri). Ola proposta – denunciata da

Greenpeace – di ridurre diun milione di ettari quattroaree protette in Amazzonia«per far posto a nuove a-ziende agricole o all’indu-stria del legno». «Purtroppol’esecutivo attuale tratta laterra come una merce. E co-me tale vorrebbe venderlaper “fare cassa” – sottolineaBuzatto –. In tal modo, gran-di proprietari e imprendito-ri agrari si sentono legitti-mati a “sconfinare” nelle zo-ne protette. Nella speranzadi legalizzare in un secondotempo tale possesso». Il Cimi ha rivelato l’incre-mento delle “invasioni” diterritori indigeni da gruppiinteressati a sfruttarne le ric-chezze. In particolare, il le-

gname. Nello Stato di Rondô-nia sono stati occupati perfi-no appezzamenti già legal-mente restituiti agli indios. Alcontempo, si sono intensifi-cate minacce e violenze con-tro quanti denunciano le ir-regolarità. Nel 2016, la Commissionepastorale della terra – vicinaai vescovi – ha denunciato lamorte di 54 persone nel cor-so di conflitti agrari. L’annoprima erano state 50. Eppu-re, gli indios – e chi li difende– non sembrano disposti afarsi spaventare. «Sono de-terminati a resistere – con-clude Buzatto –. E noi ad ac-compagnarli»

Lucia Capuzzi© RIPRODUZIONE RISERVATA

Cleber César Buzatto, segretario delConsiglio indigenista missionario (Cimi),è da sempre in prima linea: gli esecutivi

hanno fatto molte concessioni ai grandi proprietari. E ora le restituzioni

delle terre ai nativi si sono arenate

9Giovedì9 Marzo 2017 P R I M O P I A N O

IL GIGANTEMALATO

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