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Collegamenti Febbraio-Marzo 2009 Il senso di questi fogli di “collegamenti” è la consapevolezza della esistenza di una soggettività politica frammentata non rappresentata né da un certo radicalismo istituzionalista, né da formali organizzazioni “comuniste o rivoluzionarie” né da un movimentismo fine a se stesso. Una soggettività che guarda al concreto delle lotte presenti, con la necessità di collegarsi ad un processo più ampio di un vero antagonismo sociale anticapitalista. Un primo e necessario passo che vogliamo fare è contribuire a collegare questa forza senza cadere nel formale organizzativismo, e senza avere la pretesa di porre il solito cappello teorico-politico con furbeschi reclutamenti di “militanti”. Siamo in una fase in cui si tratta di comporre una ampia soggettività collegata per contribuire a portare in avanti le future lotte nella direzione anticapitalista, antistituzionale, antiparlamentare, internazionalista e classista. Aver posto dei paletti di definizione di un’area politica và già oltre la logica dell’intergruppo perché parte da una base comune e auspica la partecipazione di tutti i compagni alle iniziative,alle decisioni,all’attività, utilizzando tutte quelle energie comuniste oggi confinate e isolate in mille situazioni locali. E’ un impegno difficile, ma necessario. Più che l’unità organizzativa-formale dei comunisti, in questa fase è da puntare all’unità d’azione dei comunisti, cioè agire per unire, più che unire per agire. E’ nell’azione, nelle lotte e nel collegamento col movimento della realtà che dobbiamo confrontarci e misurarci, solo in questo agire concreto possono essere risolte le differenze che oggi ci separano, ovviamente è in questa matrice operandi che può svilupparsi altresì un’elaborazione teorica e strategica comune. Pensare di risolvere tutti i problemi teorici prima di agire è sicuramente il modo più sbagliato di operare, la realtà degli ultimi decenni ha dimostrato che tale procedere ha sempre diviso e atomizzato il movimento comunista. Sarà il procedere reale a porre i tempi e i modi di risoluzione dei problemi politici. E’ il dialettico procedere dal particolare al generale come dal tattico allo strategico o dal pratico al teorico e viceversa, che forse potrà risolvere i problemi del nostro agire. L’attività di “collegamenti” è a raccogliere le volontà e le energie di chi vuol operare in questa direzione. In questa direzione và la proposta di questo foglio di collegamento: raccogliere contributi da varie realtà e soggettività per promuovere una interazione politica partendo da: -esperienze di intervento politico -esperienze di lotte locali -lavori di elaborazione teorica collettiva -elaborazione di critica ad avvenimenti sociali -coordinamento di lotte dai territori La forza del comunismo non si misura in numero di militanti (che è importante), bensì nella capacità di collegarsi al movimento reale e alle avanguardie di lotta che esso esprime. Dal messaggio di benvenuto nella Mailing List di Collegamenti Internazionalisti: …“Alcune realtà politiche e singoli compagni hanno avviato da qualche tempo un percorso di confronto e di collaborazione politica a partire dalle tematiche di opposizione alla guerra e dell'internazionalismo…. Gli argomenti su cui fino ad ora ci si è trovati d’accordo vertono su punti molto importanti, quali per esempio: la constatazione teorica dell’imperialismo (contro la teoria dell’impero e della globalizzazione), la necessità di lottare innanzitutto contro il proprio imperialismo, di lottare in una prospettiva internazionalista (sia contro l’illusione del socialismo in un solo paese che contro l’illusione di una lotta antimperialista per fronti e per tappe nazionali), di respingere ogni suggestione di riforma dell’Onu che (ancora più della Società delle Nazioni) è strumento delle maggiori potenze imperialiste, la necessità dell’opposizione a qualsiasi governo anche di sinistra e sulla scelta di rifiutare la battaglia per una nostra presenza nelle istituzioni rappresentative, il nostro comune posizionamento a sostegno della lotta degli immigrati e contro ogni razzismo, come parte della complessiva battaglia per l’unità di classe”.

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Collegamenti

Febbraio-Marzo 2009

Il senso di questi fogli di “collegamenti” è la consapevolezza della esistenza di una soggettività politica frammentata non rappresentata né da un certo radicalismo istituzionalista, né da formali organizzazioni “comuniste o rivoluzionarie” né da un movimentismo fine a se stesso. Una soggettività che guarda al concreto delle lotte presenti, con la necessità di collegarsi ad un processo più ampio di un vero antagonismo sociale anticapitalista. Un primo e necessario passo che vogliamo fare è contribuire a collegare questa forza senza cadere nel formale organizzativismo, e senza avere la pretesa di porre il solito cappello teorico-politico con furbeschi reclutamenti di “militanti”. Siamo in una fase in cui si tratta di comporre una ampia soggettività collegata per contribuire a portare in avanti le future lotte nella direzione anticapitalista, antistituzionale, antiparlamentare, internazionalista e classista. Aver posto dei paletti di definizione di un’area politica và già oltre la logica dell’intergruppo perché parte da una base comune e auspica la partecipazione di tutti i compagni alle iniziative,alle decisioni,all’attività, utilizzando tutte quelle energie comuniste oggi confinate e isolate in mille situazioni locali. E’ un impegno difficile, ma necessario. Più che l’unità organizzativa-formale dei comunisti, in questa fase è da puntare all’unità d’azione dei comunisti, cioè agire per unire, più che unire per agire. E’ nell’azione, nelle lotte e nel collegamento col movimento della realtà che dobbiamo confrontarci e misurarci, solo in questo agire concreto possono essere risolte le differenze che oggi ci separano, ovviamente è in questa matrice operandi che può svilupparsi altresì un’elaborazione teorica e strategica comune. Pensare di risolvere tutti i problemi teorici prima di agire è sicuramente il modo più sbagliato di operare, la realtà degli ultimi decenni ha dimostrato che tale procedere ha sempre diviso e atomizzato il movimento comunista. Sarà il procedere reale a porre i tempi e i modi di risoluzione dei problemi politici. E’ il dialettico procedere dal particolare al generale come dal tattico allo strategico o dal pratico al teorico e viceversa, che forse potrà risolvere i problemi del nostro agire. L’attività di “collegamenti” è a raccogliere le volontà e le energie di chi vuol operare in questa direzione. In questa direzione và la proposta di questo foglio di collegamento: raccogliere contributi da varie realtà e soggettività per promuovere una interazione politica partendo da: -esperienze di intervento politico -esperienze di lotte locali -lavori di elaborazione teorica collettiva -elaborazione di critica ad avvenimenti sociali -coordinamento di lotte dai territori La forza del comunismo non si misura in numero di militanti (che è importante), bensì nella capacità di collegarsi al movimento reale e alle avanguardie di lotta che esso esprime.

Dal messaggio di benvenuto nella Mailing List di Collegamenti Internazionalisti: …“Alcune realtà politiche e singoli compagni hanno avviato da qualche tempo un percorso di confronto e di collaborazione politica a partire dalle tematiche di opposizione alla guerra e dell'internazionalismo…. Gli argomenti su cui fino ad ora ci si è trovati d’accordo vertono su punti molto importanti, quali per esempio: • la constatazione teorica dell’imperialismo (contro la teoria dell’impero e della

globalizzazione), • la necessità di lottare innanzitutto contro il proprio imperialismo, • di lottare in una prospettiva internazionalista (sia contro l’illusione del

socialismo in un solo paese che contro l’illusione di una lotta antimperialista per fronti e per tappe nazionali),

• di respingere ogni suggestione di riforma dell’Onu che (ancora più della Società delle Nazioni) è strumento delle maggiori potenze imperialiste,

• la necessità dell’opposizione a qualsiasi governo anche di sinistra e sulla scelta di rifiutare la battaglia per una nostra presenza nelle istituzioni rappresentative,

• il nostro comune posizionamento a sostegno della lotta degli immigrati e contro ogni razzismo, come parte della complessiva battaglia per l’unità di classe”.

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Per contatti scrivere a: [email protected] Se desideri essere iscritto alla mailing list di Collegamenti Internazionalisti invia un messaggio al seguente indirizzo mail: [email protected]

Argomenti trattati : Pag 2-14 LOTTE DEL LAVORO

Pag 15-23 LOTTA ANTIRAZZISTA

Pag 24-28 LOTTA ANTICLERICALE/MOVIMENTO “NO VAT”

Pag 29-49 LOTTE INTERNAZIONALI

Pag 50-54 LOTTE TERRITORIALI IN ITALIA LOTTE DEL LAVORO Dalla crisi la lotta? Ciò che è avvenuto all'inizio di quest'anno nelle principali città della Grecia, dove si è svolto il primo sciopero generale europeo contro la crisi, seguito due giorni dopo da quello italiano, e che sta avvenendo in molte importanti città europee (sciopero generale in Francia, sommosse nell'Europa dell'Est) è sintomatico del clima di tensione sociale che sta montando dopo “l’ottobre nero” della finanza mondiale. Pur avendo come epicentro il quartiere universitario di “Exarchia”, la sommossa greca, innescata dall’uccisione del 15enne Alexis da parte della polizia, ha visto ergersi a protagonisti, oltre gli studenti, gruppi di disoccupati e di precari. Pertendo dall'esperienza greca, si sta inaugurando una nuova stagione di rivolta sociale? Tutti gli indicatori starebbero lì a rispondere affermativamente alla domanda: drastici ridimensionamenti occupazionali in tutte le grandi industrie e nella P.A. chiusure a raffica di P.M.I. sprovviste di ammortizzatori sociali. Liquidazione di quei precari a cui era stato spacciato un futuro lavorativo “ricco e vario” in cambio della loro “flessibilità”.. Una crisi profonda e duratura che, pur con tempi e modalità tutte da vedere, porterà certamente ad un drastico peggioramento delle condizioni del proletariato come classe. E ancora: lo scollamento tra le masse lavoratrici ed i partiti opportunisti (o, per meglio dire, di ciò che rimane di essi); il venir meno del tradizionale controllo sociale dei sindacati collaborazionisti; l’indifferenza degli sfruttati verso le istituzioni della democrazia borghese ed i relativi derivati politico-ideologici. Il quadro sommario ora delineato potrebbe costituire il bicchiere “mezzo pieno”, cioè quelle condizioni oggettive e soggettive in grado di spingere verso una ripresa delle lotte sociali.

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Ma la disamina del bicchiere “mezzo vuoto” fa emergere tutte le scorie racchiuse dall’ultimo quarto di secolo trascorso all’insegna del liberismo imperialista: lo sfaldamento delle “cittadelle operaie” nelle metropoli di vecchio insediamento del movimento rivoluzionario; lo scollamento interno alla nostra classe, legato anche a fenomeni di proprietà diffusa e di scorrimento sociale; l’ideologia e la pratica del consumismo; il qualunquismo politico prodotto dalla deriva di stalinismo e socialdemocrazia; l’attestarsi di piaghe razziste e xenofobe anche in settori del proletariato, con conseguenze devastanti verso ogni ipotetica unità di classe; il venir meno di ogni pratica di impegno e di studio, “dal di dentro”, verso l a condizione operaia; la disabitudine ad agire politicamente in modo organizzato. Aggiungiamoci pure – perché non è certamente secondario – l’esperienza storica che gli stati borghesi posso mettere a frutto per fronteggiare le crisi sociali. Vuoi sul versante dell’utilizzo del “welfare” (ora che in Europa sono state accantonate, ad esempio, le rigidità verso i parametri di Maastricht), vuoi su quello di concentrare l’attacco verso alcuni strati del proletariato, alternando e dosando gli affondi, e non su tutto il fronte in contemporanea. Non sottovalutiamo neppure la presa ideologica di certe misure “una tantum” (tipo quella recente del governo Berlusconi) che, pur distribuendo briciole, ha l’effetto temporaneo di smorzare l’impatto della crisi sulle masse lavoratrici. E come non citare, infine, la prontezza con cui i vari esecutivi - dagli U.S.A. all’Europa, all’Asia – stanno intervenendo, con massicce iniezioni di denaro pubblico, per impedire “l’effetto domino” di chiusure a catena di banche e industrie. È certo che la crisi lavorerà per rimettere in moto le lotte del proletariato mondiale. al di là dei livelli di coscienza, concentrazione e capacità di resistenza che esso saprà produrre. Bisognerà vedere come i rivoluzionari sapranno intervenire nella crisi. Se questa sarà un’occasione per rimettere in piedi, nelle nuove condizioni internazionali, un sia pur minimo collegamento di lotta. Oppure se rimarremo ancora una volta isolati; con tante belle analisi, ma con un ennesimo “nulla di fatto” sul campo della solidarietà di classe. Sappiamo, come marxisti, che il capitalismo non crolla per crisi economica. Esso dev’essere in primo luogo sconfitto da rivoluzione politica. Ma per far questo occorre uscire dalle angustie del presente e smetterla con gli atteggiamenti da “occidentali colonizzatori”, seppur sul versante del comunismo. Solo così potremo anche aprire le menti ed i cuori alle esperienze di lotta che gli operai dei PNI ci proporranno: i tratti, le dinamiche, le tappe di esse saranno diverse dalle nostre, e sarà terreno di maturazione il sapercisi confrontare. Cominciamo con l’imparare a parlare un linguaggio che “entri” nella quotidianità di chi lavora, impariamo a darci degli obbiettivi e delle strategie e perseguirli. Le strategie si elaborano dentro il movimento, non a tavolino. Di fronte alla disoccupazione, alla precarietà, al peggioramento delle condizioni di vita di milioni di proletari, ci facciamo intendere se riusciamo a condurre mobilitazioni che abbiano al centro il salario, il fisco, il salario garantito per i disoccupati, gli ammortizzatori sociali sufficienti per tutti, l’abolizione delle leggi sul lavoro precario e di quelle anti-immigrati. Sono solo degli esempi per dire che questo è il linguaggio degli sfruttati che dobbiamo parlare, e su ciò costruire centri di mobilitazione territoriali, collegati tra loro, privilegiando il protagonismo dei diretti interessati: i proletari, appunto. COLLETTIVO COLLEGAMENTI INTERNAZIONALISTI BERGAMO ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

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Dall'incontro tra i compagni presenti ad Origgio è uscito questo comunicato per un coordinamento delle lotte sul territorio lombardo

Se non ora quando? Una crisi magnifica ... ma solo se la faremo pagare ai padroni!

Per un coordinamento delle lotte e dell'autorganizzazione Una crisi strutturale (e non congiunturale) scuote le fondamenta del sistema capitalista mondiale. Anche l'Italia ne è pienamente coinvolta e i proletari non potranno evitare di farci i conti.

Alcuni dati: nel mese di dicembre 2008 la Cassa Integrazione Ordinaria è aumentata del 525% rispetto al dicembre 2007 coinvolgendo 400.000 lavoratori, con un monte ore complessivo di 223 milioni. Contemporaneamente aumentano i licenziamenti, gli straordinari e i ritmi di lavoro.

Ma mentre diminuiscono lavoratori occupati e ore lavorate, continuano ad aumentare i morti sul lavoro e di lavoro (1500 l'anno; un operaio morto ogni 6 ore) con oltre un milione di infortuni, molti dei quali producono invalidità permanenti, senza contare i 3.500.000 lavoratori in nero (italiani e stranieri), sui cui "incidenti" non esistono statistiche ufficiali.

Tutti ormai ne parlano, ma dietro le lacrime di coccodrillo versate da governi e mass-media per le famiglie povere che non arrivano a fine mese, e per i morti sul lavoro, si nasconde l'intento reale della classe padronale di cercare soluzioni utili a tamponare gli effetti della crisi e salvaguardare i loro margini di profitto che hanno comunque come base l'aumento dello sfruttamento e perdita di diritti conquistati dai lavoratori con le lotte.

Tutto è lecito in quella che si presenta, sempre più apertamente, come una guerra di classe: con l'utilizzo del nazionalismo, quindi del razzismo e della guerra, quale collante ideologico per far passare i propri interessi di classe come generali, scaricando gli evidenti costi sociali della crisi sui proletari.

Misure devastanti per i proletari (in primo luogo per gli emigrati), ma assolutamente insufficienti a fermare il dispiegarsi della crisi e l'emergere inesorabile del vero problema: licenziamenti, salari e pensioni da fame, morti di lavoro e sul lavoro, aumento della precarietà, miseria e guerra, non sono altro che espressione della brutalità e della violenza del sistema capitalista.

Una violenza sistematica che, alla faccia dei teorici della fine delle classi e del loro conflitto storico, continua a produrre lotte e mobilitazioni in tutti gli angoli del pianeta e che, negli ultimi mesi in particolare, sta dando segnali importanti, anche se ancora parziali, di ripresa anche in Occidente, Italia compresa.

L'esempio della lotta vittoriosa degli operai delle cooperative della Bennet di Origgio, invece, dimostra che con forme organizzative adeguate, basate sull'unità internazionalista dei proletari, sulla convergenza di settori sociali diversi, su una chiara prospettiva politica di classe in contrapposizione all'ordine sociale esistente, è effettivamente possibile ribaltare i rapporti di forza e anche vincere delle battaglie.

Nell'attuale scontro di classe è sempre più evidente il ruolo opportunista della attuali organizzazioni politiche di "sinistra", quelle sindacali confederali, e l'inadeguatezza delle organizzazioni politiche anti sistema borghese e dei sindacati di base, nell'organizzare delle lotte efficaci per i lavoratori.

Diventano inderogabili momenti di confronto politico reale tra settori diversi, organizzazioni politiche e sindacali, accomunati dalla scelta di intraprendere lotte che incidano nei rapporti tra le classi (dalla scuola all'Alitalia, dai trasporti alle fabbriche, dai call-center, alle cooperative della logistica) per favorire una ricomposizione di classe e dal basso effettiva, uscendo dalla marginalità e dalla frammentazione di ogni singola lotta.

Su questi presupposti comuni viene indetta l'assemblea pubblica autoconvocata per domenica 1° febbraio a partire dalle 14.30, c/o il dopolavoro ferroviario di via Tonale,

con l'obiettivo di individuare obiettivi praticabili, e, con essi un piano di lotta concreti, e forme di organizzazione adeguate a supportarle adeguatamente e ad estendere l'unità e la solidarietà tra lavoratori.

Per un coordinamento stabile delle lotte e dell'autorganizzazione

info e adesioni: [email protected]; [email protected]; [email protected]

Milano, viale Liguria 49, 20143 MI, 23-1-2009

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Dopo il positivo esito dell'assemblea autoconvocata del 1° febbraio al Dopolavoro Ferroviario di Milano nella quale, crediamo, si sia iniziato a ragionare in maniera costruttiva sulla necessità di delineare e adottare forme organizzative adeguate e capaci di affrontare la radicalità dello scontro attualmente in atto sul terreno del conflitto capitale / lavoro, invitiamo tutte le realtà politiche e sindacali, i/le singoli/e lavoratori e lavoratrici, i precari e le precarie a un ulteriore momento assembleare.

Questo momento di confronto e di generalizzazione delle esperienze, come la lotta delle cooperative di Origgio ha insegnato sul terreno concreto del conflitto, deve però servire a tracciare nuovi percorsi di conflitto reale sui quali costruire dal basso momenti di ricomposizione sociale in una prospettiva di rilancio in termini più complessivi.

Per dare continuità al confronto politico collettivo intrapreso e per iniziare a individuare un piano di vertenzialità concreto con obiettivi praticabili, si prospetta un nuovo importante banco di prova che è il sostegno all'agitazione proclamata dai lavoratori delle cooperative appaltate presso la DHL di Corteolona (PV) e che in settimana chiameranno ad un picchetto sotto i cancelli del magazzino.

Appuntamento per tutti e tutte giovedì 12 febbraio 2009 ore 21.30 assemblea presso il Centro Sociale autogestito Vittoria di via Friuli ang. Via Muratori.

per un coordinamento stabile delle lotte e dell'autorganizzazzione

Milano 11 febbraio 2009 --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- A proposito di Lindsey Gli operai inglesi NON sono xenofobi! Dopo gli «scioperi» contro i lavoratori italiani della raffineria Total di Lindsey (GB). Dall'Inghilterra::

I LAVORATORI INGLESI NON SONO XENOFOBI!

Comitato di sciopero improvviso LOR

APPELLO AI LAVORATORI ITALIANI partecipate al nostro sciopero per salari e lavoro a condizioni

sindacali

Volantino scritto da Keith Gibson (G.M.B comitato di sciopero improvviso LOR), John McEwan (Rsu foro nazionale) entrambe a titolo personale L’Islanda, la Grecia, la Francia, la Lettonia… In tutta l’Europa i lavoratori scendono in piazza per protestare contro governi che hanno fatto arricchire i padroni e i banchieri mentre attaccano i nostri posti di lavoro, salari e pensioni. Finalmente i lavoratori britannici dicono “basta”. La settimana scorsa il nostro sciopero si è esteso rapidamente, con azioni di solidarietà in tutto il Paese, in 20 stabilimenti. Migliaia di lavoratori stanno scioperando malgrado le leggi antisindacali. Il governo è

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scosso. È l’ora di estendere lo sciopero per costringere il padronato e il governo ad accettare le nostre rivendicazioni.

LOTTIAMO PER DIFENDERE IL LAVORO - FERMARE LA ‘GARA AL

RIBASSO’ Il padronato, i banchieri e il governo ci hanno messo nei guai dal punto di vista economico. Adesso vogliono che paghiamo noi la crisi, attaccando il nostro lavoro, i salari e le condizioni lavorative.

Non se ne parla neanche! Con questo sciopero vogliamo fermare la ‘gara al ribasso’. Scioperiamo contro i padroni, come quelli di Alstom e IREM, che rifiutano di assumere i lavoratori locali. Facciamo sciopero contro le leggi europee, che favoriscono il padronato e contro le decisioni giudiziarie che rendono legale lo sfruttamento della manodopera a basso costo per massimizzare i profitti dei padroni. Questo sciopero punta a fermare i datori di lavoro che violano il nostro accordo nazionale (NAECI) e stanno cercando di dividere la nostra forza sindacale.

Lo sciopero non è contro i lavoratori stranieri

La stampa ed i media dicono che il nostro sciopero è contro I lavoratori stranieri. NON E’ VERO. Dobbiamo tutti spostarci per trovare lavoro. Molti fra di noi hanno lavorato all’estero. Siamo anche noi lavoratori ‘migranti’! Accettiamo i lavoratori stranieri ma non accettiamo che questi siano sfruttati con condizioni lavorative peggiori delle nostre (né che siano spinti in branco in pullman come gli animali o alloggiati in chiatte) e che siano strumentalizzati dai datori di lavoro per scalzare i nostri accordi nazionali e la nostra forza sindacale.

L’obiettivo non è “lavoro inglese ai lavoratori inglesi” ma:

LAVORO A CONDIZIONI SINDACALI PER TUTTI I LAVORATORI COSA VOGLIAMO? - Dire no alle azioni disciplinari contro i lavoratori che hanno scioperato per solidarieta’. - Estendere a tutti i lavoratori nel Regno Unito la tutela dell’accordo nazionale (NAECI). - Registrare i disoccupati e gli iscritti alle sezioni locali del sindacato, sotto il controllo dei sindacati, con graduatorie di avviamento al lavoro. - Investimenti da parte del governo e dei datori di lavoro nella formazione e nell’apprendistato per la nuova generazione di lavoratori dell’edilizia: un futuro per i giovani. - La sindacalizazzione di tutti i lavoratori immigrati. - Sostegno sindacale agli immigrati, incluso gli interpreti, e accesso alla consulenza per promuovere l’integrazione attiva nel sindacato. _____________________________________________________________________

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MASS-MEDIA E INFORMAZIONE :

FALSI E BUGIARDI ! Sono falsi e bugiardi (mezzi di informazione) coloro che sostengono che gli operai inglesi protestano contro gli operai Italiani sulla vicenda dell’ appalto vinto da una società siciliana alla Total. Nelle numerose interviste,da parte dei giornali locali Inglesi, agli operai inglesi essi dicono chiaramente che protestano per mancanza di lavoro contro il loro governo e la confindustria e che non hanno nessuna pregiudiziale di tipo razzista, ne contro gli italiani ne contro gli stranieri in generale. Gli stessi operai italiani hanno capito benissimo questo sciopero dei colleghi inglesi. Ma allora chi ci tiene tanto a trasformare questo problema come razzista e perché ? I governi inglese, italiano ed europeo ben spalleggiati dalla stampa locale e dalla televisione vogliono far apparire lo sciopero degli operai inglesi sbagliato e contro il libero mercato solo per dividere i lavoratori europei e compattare il resto della popolazione a sostegno dello stato e del governo su base nazionalistica. I proclami del presidente francese,Sarkozy, che invita i francesi a comprare prodotti francesi per uscire dalla crisi indica eloquentemente la strada verso cui si sta dirigendo ogni singolo governo: il nazionalismo. Questi sono i prodromi della futura guerra mondiale quando i lavoratori saranno chiamati,dalla propria borghesia, a sparare altri lavoratori e i disperati degli altri paesi per far arricchire ancora una volta i padroni e i parassiti sociali. Il liberismo va bene solo quando è applicato contro gli operai per essere licenziati,per diminuire il salario o subire la privatizzazione dei servizi pubblici. Come mai il premier Inglese G. Braun è intervenuto per salvare le banche dal fallimento con soldi pubblici degli operai inglesi che hanno prodotto la ricchezza della nazione. Se avesse applicato la legge del “libero mercato” doveva farle fallire. Ma governo,banche e speculatori di ogni risma sono una cosa unica. Controllati e controllori sono le stesse persone. La lezione che i Lavoratori inglesi ci danno è quella di trovare l’unità fra tutti gli sfruttati per non pagare noi la crisi del sistema che vede sborsare una montagna di soldi per banche e imprese e una miseria per noi lavoratori. *CONTRO LE FALSITA’ DELLA STAMPA E DEI GOVERNI:informazione militante. *UNITA’ FRA TUTTI I LAVORATORI PER NON PAGARE LA CRISI CAPITALISTA *SCIOPERO, CONTRO IL GOVERNO EUROPEO, DI TUTTI I LAVORATORI.

SLAI COBAS di RHO ____________________________________________________________________________________ RSU SLAI COBAS NEW HOLLAND MODENA 04/02/09 SLAI COBAS MODENA

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C'È SEMPRE QUALCUNO PIÙ A NORD! Questa è la fine che fanno gli operai quando non si riconoscono in un'unica classe. Le frasi rivolte ai lavoratori stranieri sono più o meno queste: “Sporchi immigrati. Tornate a casa vostra. Togliete lavoro a gente di qui che ne ha bisogno”. Quante volte si sentono ripetere espressioni simili, in Italia, da chi non sopporta la vista degli immigrati di un colore o di un altro. Bè, in questi giorni le stesse frasi sono state pronunciate in Inghilterra all’indirizzo di lavoratori italiani. Alla raffineria Lindsey Oil di Grimsby, gestita dall?azienda petrolifera francese Total, è stato assunto un gruppo di manovali italiani e portoghesi, scrive il quotidiano Daily Express di Londra, apparentemente perchè costano meno. Una legge europea lo permette. Sono ospitati da una speciale nave-albergo (ex prigione), con un contratto di lavoro a tempo. Ma agli operai inglesi la cosa, in piena recessione, non è andata giù: ieri hanno dichiarato sciopero e protestato piuttosto vigorosamente per la presenza degli italiani. Alcuni dei quali, o almeno presunti tali, sono ripresi in una fotografia del Daily Express mentre agitano il dito medio e fanno il gesto dell?ombrello davanti al naso degli operai inglesi. ‘Gli italiani lavorano male e non rispettano le norme di sicurezza’, (potrebbe non essere una bugia, visto l’alto numero dei morti che ha l?Italia ndr) dice un operaio inglese al quotidiano di Londra. ‘La nostra non è una protesta razzista, ma quei posti di lavoro spettavano a noi. È un’ingiustizia’. Chiunque abbia ragione, è la prova di come i ruoli possono cambiare in fretta: in Inghilterra possiamo essere visti come i vu’cumprà che tanti di noi non sopportano in patria. Che è stato poi, quello dei poveri immigrati guardati male dai nativi, il nostro ruolo per secoli. Sarebbe bene non dimenticarcelo. Il protezionismo alza la bandiera dell'odio contro gli stranieri e prepara gli animi alla guerra dei padroni. La guerra è l?unico modo che i padroni hanno per uscire dalla crisi economica, solo così possono ricominciare a rimettere in moto il sistema produttivo, per poter continuare a sopravvivere come classe dominante con il loro sistema capitalista. RSU SLAI COBAS NEW HOLLAND MODENA 04/02/09 SLAI COBAS MODENA

Ai cancelli della Innse Presse.Roberto Maggioni.[10 Febbraio 2009]

Da Indymedia: http://lombardia.indymedia.org/node/13672 La polizia carica gli operai che cercano di continuare a far funzionare, in autogestione, una fabbricata sacrificata agli interessi della speculazione. Botte della polizia per togliere il lavoro agli operai. Succede anche questo nella Milano dell’Expo 2015, nel pieno della crisi economica, dove le aziende che funzionano sembrano essere una specie sempre più in via d’estinzione. Succede alla Innse Presse di via Rubattino, zona Lambrate, periferia est della città, qualche chilometro più a nord dell’aeroporto di Linate e del Politecnico. La più classica dell’ex grandi aree industriali milanesi, in questo caso la ex-Innocenti. Terreni su cui speculare per nuove costruzioni. Lo sa bene il Comune, lo sa bene l’immobiliare Aedes proprietaria dei terreni, lo sa bene l’ex imprenditore, ora riciclatosi a speculatore, Silvano Genta. Tutti vogliono vendere e incassare. Tutti tranne i 49 operai che da nove mesi lottano per continuare a lavorare in un’azienda con tutte le carte in regola per stare sul mercato. Tanto che da giugno a settembre dello scorso anno la produzione era proseguita sotto l’autogestione degli operai. Che nel frattempo trovano anche una società interessata a portare avanti la produzione, la Ormis di Brescia. Ma nulla da fare. In quella fabbrica ci sono macchinari molto costosi, grandi presse che oggi, quasi, non se ne fanno più così. Genta aveva acquistato la Innse Presse a prezzo stracciato tre anni fa, quando era in amministrazione controllata, impegnandosi a rilanciarla. Cosa in realtà mai avvenuta, nonostante la mediazione della Provincia di Milano.?Si arriva ad oggi. Sono le 5.30 di questa mattina quando in

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pochi secondi la ruspa scortata da polizia e carabinieri spazza via le barricate improvvisata con bancali di legno, lamiere e masserizie varie. Dietro di lei i due camion mandati da Silvano Genta per portarsi via il possibile. Dentro alla fabbrica i camion, fuori gli operai, con la polizia, che carica. Un operaio ferito alla testa, altri contusi. Qualche manganellata arriva anche al consigliere regionale di Rifondazione Comunista Luciano Muhlbauer che denuncia: «La carica è stata assolutamente indiscriminata e sono stati presi a manganellate sulla testa gli operai, un sindacalista della Fiom e il sottoscritto». Poi un’ora dopo un’altra carica. A presidiare, insieme ai lavoratori, un centinaio di persone.Una prova di forza che i lavoratori vedono più come una provocazione per capire quanto forte fosse stata la loro resistenza.?Tanto più che il 28 febbraio prossimo cambieranno gli assetti societari dell’immobiliare Aedes, proprietaria dell’area, in una pesante crisi finanziaria e stretta dai debiti con le banche. Data che era vista dagli operai come spartiacque per riprendere la trattativa con i nuovi amministratori di Aedes. Ma l’ex imprenditore Genta ha voluto provare a chiudere prima la partita, complici i silenzi di Regione Lombardia e Comune di Milano.?Alla fine, a metà mattinata, Roberto Giudici della Fiom Cgil e Dario Comotti della Rsu entrano dentro per verificare cosa si sta effettivamente prendendo l’ex padrone Genta. La tenacia degli operai vince e alla fine vengono caricati sui camion alcuni pezzi della vecchia produzione. I macchinari, bene prezioso per gli operai, rimangono lì. Come il presidio. Che da nove mesi non si è mai mosso dalla portineria della loro fabbrica.

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COSA ACCADE NELLE COOPERATIVE CHE LAVORANO ALLA DHL DI CORTEOLONA E PERCHE’ SCIOPERIAMO Non solo gli operai non hanno ricevuto fino ad ora il TFR relativo alla Team Logistica Resources, ROL, ferie, una tantum e a volte nemmeno le ore lavorate, quantificabili approssimativamente dai 4.000 a 10.000 euro a testa a seconda dell’anzianità di lavoro (per questi problemi, invitiamo i lavoratori a prendere contatto con il delegato SLAI Cobas per poter procedere al recupero legale delle somme dovute).

In questi giorni è avvenuto, inoltre, l’ennesimo passaggio di “padrone”, condotto in modo a dir poco truffaldino, con la complicità di DHL, del delegato CISL e del segretario CISL di Pavia Magnani Marco, i quali promettevano durante una riunione: “vi tuteliamo noi, non preoccupatevi, i contratti resteranno immutati e lavorerete tutti, ripetiamo, tutti saranno assorbiti alle medesime condizioni”. Risultato?

Al momento della stipula dei contratti, la CISL non si è presentata, e agli operai è stato fatto firmare un contratto peggiorativo, con considerevole diminuzione del salario e declassazione dal 5° al 6° livello, senza nemmeno che gli fosse consentito leggerlo a fondo e senza rilasciare copia a nessuno. Ma v’è di più, mentre tutti i lavoratori firmavano le dimissioni volontarie dalla Team Logistica Resources, la nuova cooperativa subentrante nel contempo iniziava a “perdere” i contratti firmati.

Una vera e propria messa in scena macchinata ad arte dalla cooperativa, con tanto di consegna delle divise ai lavoratori, per poi minacciarli il giorno seguente dicendo: “attenzione, i vostri contratti sono in archivio e si possono perdere facilmente”.

Così hanno fatto con il compagno di lavoro Adrian: il giorno successivo alla stipula del contratto, recatosi al lavoro come da precedenti accordi, è stato intimato di riconsegnare immediatamente la divisa di lavoro, poiché il suo contratto era stato buttato, per poi essere allontanato, con toni minacciosi dal gorilla del padrone.

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Come già previsto dallo SLAI Cobas e dai suoi rappresentanti, dopo essere stati maltrattati, mal pagati, umiliati e spremuti come limoni, gli operai si trovano senza il lavoro grazie all’ennesima truffa ai loro danni, realizzata con la complicità di DHL e della CISL.

Ora le adesioni al SLAI Cobas si moltiplicano perché i lavoratori sono stufi di false promesse e dichiarano:

Vogliamo denunciare, tutti uniti, questo sistema di sfruttamento del lavoro che assomiglia ad una vera e propria moderna schiavitù e lottare perché i lavoratori, nessuno escluso, siano assunti, anche coloro che si trovano attualmente in malattia, infortunio, permesso, ferie o quant’altro previsto dal C.C.N.L.

Vogliamo il TFR dalla Team Logistica Resources.

Vogliamo, come promesso, l’immediata assunzione di tutti alle stesse condizioni di prima.

Vogliamo il rispetto del nostro contratto (cosa fin ora non avvenuta).

Vogliamo avere un posto di primo soccorso e dei bagni degni di essere chiamati tali.

Vogliamo l’accesso alla mensa dove trascorrere la pausa pranzo.

Vogliamo le ferie pagate, la 13° e la 14° mensilità, i ROL, l’una tantum, e tutto quello previsto dal C.C.N.L.. Vogliamo esistere come persone e lavorare in sicurezza.

Vogliamo tutto ciò di cui ci avete privato e derubato per tutto questo tempo.

Ora basta!!!

Ora Cobas!!!

10 – 100 – 1000 Origgio!!!

RSA Slai cobas che lavorano nelle cooperative

DHL di Corteolona la Provincia PAVESE

13 febbraio 2009 — pagina 17 — sezione: CRONACA

Dhl, è battaglia per i contratti

Corteolona, bloccati ieri i cancelli dello stabilimento

CORTEOLONA. Hanno bloccato per quattro ore gli ingressi dello stabilimento, dall’alba fino alle 9.30 di ieri mattina. I Tir hanno aspettato sulla strada, la provinciale per Villanterio, che la protesta di un centinaio di lavoratori della Dhl di Corteolona rientrasse. A scatenare lo sciopero è stata la staffetta, nello stabilimento, tra due cooperative: alla Team Logistica è subentrata la cooperativa Elaia. Ma secondo lo Slai-Cobas, non sarebbero stati mantenuti gli stessi livelli di occupazione.

Non è la prima volta che lo stabilimento diventa teatro di proteste e rivendicazioni dei lavoratori. Due anni fa la scintilla era stata la morte di un operaio albanese di 27 anni, caduto da un muletto che lo aveva sollevato a diversi metri di altezza. Dopo quella vicenda il fermento nel capannone di logistica, uno dei più importanti della provincia non si è mai fermato. Alcuni operai, rappresentati del sindacato di base, hanno presentato anche un esposto in Procura per denunciare irregolarità in materia di sicurezza. Ieri questa battaglia si è intrecciata con le rivendicazioni di carattere contrattuale. La Team Logistica, una delle cooperative dello stabilimento, che impegnava circa un centinaio di lavoratori, ha ceduto il passo a un’altra cooperativa, la Elaia. Ma secondo i Cobas, non

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tutti i lavoratori sarebbero stati riassunti. << Al momento della stipula dei contratti agli operai è stato fatto firmare un contratto peggiorativo – è la denuncia di Fulvio Di Giorgio, coordinatore provinciale Slai-Cobas – con diminuzione del salario e declassazione dal quinto al sesto livello, senza nemmeno che fosse consentito leggerlo a fondo e senza rilasciare copia a nessuno. Noi chiediamo che siano mantenuti i livelli di occupazione precedente all’entrata della cooperativa Elaia che deve assumere, come ha promesso, tutti i lavoratori e le lavoratrici che lavoravano alla Team Logistic Resources, nessuno escluso. Chiediamo che sia rispettato il contratto nazionale e pretendiamo il pagamento del Tfr della cooperativa precedente. Chiediamo inoltre, il rispetto di tutte le misure a tutela della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori >>.

I camion hanno aspettato sulla strada, davanti ai cancelli, prima di poter entrare nello stabilimento, e questo ha creato non pochi problemi alla circolazione sulla provinciale. La situazione è tornata alla normalità solo dopo la promessa dei vertici dell’azienda Dhl di convocare un incontro con le cooperative e con i lavoratori per tentare una soluzione. (m. fio.) _____________________________________________________________________________________

04/02/2009: Automezzi della DHL e della DB incendiati a Berlino Nelle notti fra il 19 e 21 gennaio 2009 a Berlino sono stati incendiati 2 mezzi di trasporto della DHL (Deutschen Heeres Logistik, Gruppo logistico tedesco) e 5 altri mezzi di DB (Deutschen Bahn, ferrovie tedesche). Dalla rivendicazione diramata via Internet: “DHL in Germania è la maggiore impresa nel settore dei trasporti; essa persegue il progetto di privatizzare e ristrutturare i trasporti della Bundeswehr (Bw, forze armate della Germania). Le forze armate, è previsto, cederanno gran parte della propria logistica, nel quadro di una collaborazione stretta fra pubblico e privato, ad un’impresa civile. Concretamente in gioco c’è lo stoccaggio e la gestione del materiale della Bw (sanità, munizioni, combustibile) e il trasporto in tutto il mondo delle armi e dei soldati. [...] Le poste, dal canto loro, che sono la madre di DHL, sin dal 2002 hanno concluso con la Bw un accordo quadro in base al quale esse si fanno carico della spedizione dei documenti militari urgenti, di pacchi di armi e beni di consumo del peso massimo di 50 kg. DHL è al primo posto nel mondo nel settore spedizione espresso e nel trasporto transcontinentale, come pure nella spedizione via aerea e marittima; nel maggio 2003, dopo la soppressione delle sanzioni Onu contro l’Irak, DHL si offrì immediatamente per risolvere i problemi della logistica (in Irak). In questo modo le forze armate USA in Irak sono diventate il cliente principale di DHL, trasformatasi nel frattempo da pura profittatrice della guerra in Irak a complice immediata della guerra e dell’occupazione. Le poste, dal cui seno é nata la stessa DHL, si muovono con discrezione, cercando di raccogliere il favore dell’opinione pubblica nell’assumere la spedizione della corrispondenza dei soldati USA. [...] A causa delle difficili condizioni della sicurezza in Irak, DHL ha fatto ricorso a camion fortificati e anonimi. Solo nei pochi luoghi sicuri adopera i mezzi colorati di giallo con la propria scritta in blu. Le attività logistiche DHL in Irak sono coordinate da Paul Gillett, un ex militare. La squadra DHL in Irak è composta in gran parte da “esperti stranieri” con un retroterra militare, i quali, come Gillette sono passati da mercenari a trasportatori di guerra. Ex soldati inglesi sono stati ingaggiati per dare sicurezza al trasporto. [...] Attaccare la crescente militarizzazione della vita civile sembra un ‘comprehensive approach’ per una controstrategia antimilitare". 23 gennaio 2009 da de.indymedia.org/2009/01/240224.shtml, directactionde.blogspot.com/

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dalla Francia

Un compagno francese ci scrive:

Non so se la notizia di questi avvenimenti è giunta fino in Italia, ma i "dipartimenti d’Oltremare" dello stato francese (ultime vestigie delle colonie) conoscono in questo momento una vera rivolta. Lo sciopero generale dura in Guadalupa dal 20 gennaio e in Martinica dal 5 febbraio. Appelli allo sciopero sono stati lanciati anche nell’isola di Riunione e in Guaiana. La popolazione si è mobilitata a fianco degli scioperanti. Immense manifestazioni hanno avuto luogo molte volte e per settimane (Ci sarà un articolo nel prossimo numero di Convergences Révolutionnaires). Noi non siamo ancora a quel punto, ma, secondo un sondaggio recente il 63% delle persone interrogate pensa che questo movimento potrebbe estendersi nella Francia metropolitana, dove pure c’è un profondo malcontento, come ha dimostrato lo sciopero del 29 gennaio... Le direzioni sindacali hanno finito per chiamare a una nuova giornata di sciopero generale, ma solo per il 19 marzo. (mentre saranno ricevute dopodomani da Sarkozy)

Convergences Revolutionnaires

Viva il contagio e lo sciopero generale venuto dai tropici !

Alla fine della quarta settimana di sciopero generale in Guadalupa , Sarkozy non è più il solo a «temere una propagazione degli avvenimenti che agitano le Antille» nella metropoli. Queste parole sono della socialista Martine Aubry ne “Le Parisien” del 13 febbraio. Decisamente, i lavoratori non hanno da aspettarsi molti incoraggiamenti da parte di questo Partito Socialista, che ha altrettanta paura del contagio sociale quanta ne hanno i padroni e il governo!

Non se ne dispiacciano Sarkozy e madame Aubry, ma la determinazione dei lavoratori della Guadalupa è intatta. Molte migliaia di loro hanno manifestato martedì e sabato scorsi. Quando si sa che l’isola conta circa 450000 abitanti, ciò dà un’idea della profondità del movimento. Qui, sarebbero circa 6 milioni di persone in piazza. Alle finestre delle case, sui retrovisori delle auto, drappi rossi sono spuntati in segno di sostegno. E in Martinica si prevede che si ritroveranno numerosi in piazza questo lunedì.

La rivendicazione di un aumento di 200 euro netti dei salari, delle pensioni e dei minimi sociali costituisce il nodo del braccio di ferro cominciato dai lavoratori e dalla popolazione delle Antille contro il governo e il padronato. Il ministro dell’Oltremare Yves Jégo, aveva lasciato intendere che il governo avrebbe pagato per mezzo di un esonero dai contributi sociali del padronato. Ma Fillon e Sarkozy hanno rapidamente fatto voltafaccia. Troppo grande è il rischio che questa decisione appaia come una vittoria che apre la via a scioperi salariali ovunque nel paese.

«Bisogna fare tutto il possibile perché questo non succeda» afferma Martine Aubry. Guarda un po’! Perché? Chi oggi in Francia non ha bisogno di 200 euro supplementari per sbarcare il lunario? Tra l’85% della popolazione che guadagna

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meno del salario medio, cioè 1700 euro, non molti. Chi oggi in Francia non ha bisogno di vedere il suo lavoro precario o interinale trasformato in contratto a tempo indeterminato, come rivendicano gli Antillani? E, oltre a ciò, di veder proibiti i licenziamenti? Certamente, non molti di più.

Ricordiamo che è in corso l’eliminazione di 160.000 posti di lavoro nella funzione pubblica, il primo datore di lavoro dei precari. Quanto ai privati, l’esempio della vendita per corrispondenza è interessante. Qualche mese fa, la Camif è andata a fondo, trascinando nella disoccupazione centinaia di salariati. Oggi la Redoute pretende che la crisi l’obblighi a licenziare, mentre i profitti del 2007 raggiungevano i 900 milioni di euro e il principale azionista François Pinault ha la settima fortuna di Francia. E che dire dei 14 miliardi di profitti delle Total e degli 85 miliardi delle imprese del CAC 40 (Compagni nazionale degli agenti di cambio) annunciati per il 2008!

La disoccupazione parziale ha già colpito duro. Gli interinali sono dovunque licenziati. E ci promettono che le file dei disoccupati cresceranno ancora più rapidamente i prossimi mesi.

A questi due problemi fondamentali, che sono il posto di lavoro e i salari, si è aggiunta una caterva di motivi di malcontento più specifici, sulle condizioni di lavoro o di vita. Questo cocktail sociale esplosivo ha assicurato il successo del 29 gennaio. Ma nessuno può seriamente pensare che questo primo passo basterà a piegare i nostri avversari. E Sarkozy nel suo discorso televisivo s’è incaricato di aprire gli occhi dei più ingenui.

Eppure le direzioni sindacali confederali hanno scelto di aspettare il 19 marzo, per parlare con lui un mese intero. Certo, la situazione è lungi dall’essere incandescente ovunque, e bisogna preparare minuziosamente questa giornata. Ma abbiamo tutto da guadagnare a basarci sui settori già mobilitati, e perciò non bisogna attendere troppo a lungo. Lo sciopero dei lavoratori della Guadalupa rafforza quelli della Martinica e di Riunione. A questi ultimi, il padronato e la prefettura hanno già proposto negoziati, per paura dello sciopero generale.

Qui, il governo finge di cedere di fronte ai liceali, procrastinando la riforma Darcos dei licei di un anno. Ormai invia “mediatori” ovunque, dalle Università ai "Dipartimenti d’Oltremare", sperando di spegnere il fuoco. Allora, confermiamo i suoi timori. Si tratta di propagare fra di noi la febbre dello sciopero della Guadalupa. Battendoci tutti insieme possiamo vincere.

Nota : La Camif e La Redoute sono grandi imprese di vendita per corrispondenza.

Editoriale del bollettino di fabbrica "L’Etincelle" - 16 febbraio 2009

http://www.convergencesrevolutionnaires.org/

traduzione di Michele Basso

http://www.sottolebandieredelmarxismo.it/

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IYANNAJ KONT PWOFITASYON

Appello al movimento operaio e democratico internazionale

Cari compagni, cari amici

Come dicevamo nel nostro ultimo appello del 6 febbraio 2009 : «Il padronato e i rappresentanti dello stato francese giocano al deterioramento del movimento per poterlo poi reprimere» Quello che era prevedibile è accaduto. Di fronte alla testardaggine e al disprezzo di questi ultimi, il collettivo Liyannaj Kont Pwofitasyon,LKP, ha chiamato al ventottesimo giorno di sciopero, al rafforzamento dei picchetti sul territorio e lo stato francese ha usato la repressione, ferendo gravemente un dirigente sindacale, e altri in modo meno grave, e ha proceduto all’arresto di 70 manifestanti tra i quali alcuni responsabili del LKP.

La popolazione, i lavoratori, i giovani non accettano tutto questo. Alcuni deputati hanno protestato contro questa violenza denunciata dal LKP. I lavoratori, i giovani, il popolo di Guadalupa rafforzano la mobilitazione sul territorio. Così tutte le persone arrestate sono state liberate.

Così, oggi, al ventinovesimo giorno di sciopero generale, la Guadalupa è paralizzata da sbarramenti, in quasi tutti i comuni. Alcuni giovani sono stati arrestati nella notte tra il 16 e il 17 febbraio. Questa repressione sta proseguendo, perché a questo scopo lo stato francese ha fatto venire in rinforzo più di mille guardie mobili, e la mobilitazione si rafforza con l’appello del LKP.

Cari compagni, cari amici,

In nome della solidarietà operaia internazionale, in nome della democrazia, facciamo nuovamente appello al vostro sostegno. I lavoratori della Guadalupa hanno il diritto di battersi per le loro legittime rivendicazioni

ADIM - AFOC – AGPIHM - AKIYO – AN BOUT’AY - ANG - ANKA – ASSE - ASS.AGRICULTEURS DU NORD BASSE-TERRE – ASS.LIBERTE EGALITE JUSTICE - CFTC - CGTG – CNL - COMBAT OUVRIER – COMITE DE L’EAU - CONVENTION POUR UNE GUADELOUPE NOUVELLE – COPAGUA – CSFG - CTU – ESPERANCE ENVIRONNEMENT – FAEN SNCL - FO – FSU – GIE SBT - KAMODJAKA - KAP Gwadloup - LES VERTS - MADICE – MAS KA KLE - MOUVMAN NONM - PCG – SGEP/SNEC/CFTC - SOS B/Terre ENVIRONNEMENT - SPEG - SUD PTT GWA – SUNICAG - SYMPA CFDT - TRAVAYE é PEYIZAN - UDCLCV - UIR CFDT – UNSA - UGTG - UPG - UPLG - UMPG – VOukoum-SNUIPP-ADEIC

Guadalupa 17 febbraio 2009

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LOTTA ANTIRAZZISTA

Sabato 31, alle h 15 un nuovo presidio di protesta e solidarietà con le lotte dei migranti di queste ultime settimane, e contro il "pacchetto sicurezza", si darà di nuovo appuntamento in piazza Castello, sotto quella stessa prefettura teatro di violenza poliziesca e resistenza migrante. 27 genn 09 Torino: la polizia carica, i migranti rispondono Da INFOAUT

Nessuna risposta del Comune alle richieste dei migranti, "Casa Lavoro Residenza". Il presidio sotto il Comune diventa corteo per le vie della città. Il prefetto latita, la polizia carica selvaggiamente sotto la prefettura e in piazza Castello. Migranti e solidali rispondono con determinazione e armamentario di fortuna; la polizia disperde il presidio a suon di lacrimogeni.

Quest'oggi, in concomitanza con l'incontro tra gli assessori del Comune di Torino (Giuseppe Borgogno e Marco Borgione) e i migranti occupanti di via Bologna e corso Peschiera, si è tenuto un partecipato presidio sotto la sede comunale, indetto dal Comitato di solidarietà con profughi e migranti oltre che dagli immigrati stessi, i quali hanno riempito lo spazio antistante il palazzo con il loro slogan "Casa Lavoro Residenza" per tutto il pomeriggio.

L'incontro non ha ottenuto nessun riscontro, continuando la scia di immobilismo intrapresa da tempo dal Comune di Torino sulla questione migrante, posta da anni. L'assessore Borgione ha addirittura avuto la spocchia di alzarsi dal tavolo di confronto, sordo alle richieste dei migranti e incurante dell'urgenza del problema posto. Il presidio ha per questo deciso di occupare la strada di fronte al palazzo comunale, dopo oltre 2 ore di attesa di un qualche risultato e risposta. Casa, lavoro e residenza: queste le richieste dei profughi occupanti degli stabili, con l'ultima caratterizzata da una centralità prioritaria per la valenza che questa va ad assumere nelle dinamiche burocratiche e di agibilità del nostro paese. Rivendicazioni accompagnate dalla richiesta dell'assunzione delle proprie responsabilità istituzionali di fronte alla minaccia di sgombero che incombe sullo stabile di corso Peschiera.

Il blocco del traffico, all'uscita della delegazione dal Comune, è diventato quindi corteo spontaneo per le vie del centro, nella rabbia per l'ennesima non risposta degli assessori e nella determinazione di chieder conto sulla questione all'autorità del governo in città (la prefettura). Il corteo, arrivato sotto la prefettura in via Po, ha chiesto di essere ricevuto in delegazione dal prefetto, che in un primo momento ha accettato, chiedendo però di aspettare 5 minuti. Passata oltre mezz'ora, nel continuo ripetere dello slogan "Casa Lavoro Residenza" da parte dei migranti e nella chiarezza della volontà del prefetto di non incontrare i profughi, la polizia posta a difesa della prefettura ha caricato i manifestanti, i quali si sono quindi mossi nella piazza antistante gli uffici, luogo nel quale la polizia è tornata a caricare selvaggiamente i migranti e i solidali, scena ripetutasi per ben 4 volte! Un ragazzo del comitato di solidarietà è stato accerchiato e picchiato da 10 agenti della polizia, la quale ha sparato diversi lacrimogeni e rincorso i manifestanti per le vie del centro. Migranti e solidali del comitato di solidarietà hanno però risposto con determinazione alla violenza poliziesca, difendendosi e contrattaccando con quanto offriva la piazza: bottiglie, bastoni e cubetti di porfido. La polizia spara decine di lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Migranti e comitato sono quindi tornati nello stabile di corso Peschiera, dove è stata tenuta una conferenza stampa per denunciare le modalità con le quali le autorità cittadine hanno trattato la

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questione impellente dei migranti, con il silenzio e la polizia. comunicato stampa del network antagonista torinese Quotidiani: "Prefettura attaccata"; Chiamparino: "rifugiati manipolati dai centri sociali", Mortola: "piano premeditato di ricerca dello scontro". Ogni volta che in questa città un problema reale si palesa in tutta la sua concretezza, andando aldilà delle dichiarazioni salottiere cui si riduce oggi "la politica", scatta la panoplia di politici e giornalisti, dalla mistificazione al giudizio preconfezionato, fino alla pura e semplice menzogna. Come compagni e compagne del network antagonista non abbiamo nessun problema nel rivendicare politicamente le forme di resistenza messe in campo ieri sera come risposta a una presa in giro che sta durando da troppo tempo. Quello che non accettiamo è di essere accusati di manipolazione di soggetti terzi ingenui. Ce n'è uno buono per ogni stagione: gli studenti medi, gli universitari.. oggi i migranti! Dietro tutto, a Torino ci sono sempre gli autonomi ( o i centri sociali). Scorciatoia comoda che, a ben vedere, mostra tutto il disprezzo e la sufficienza che si ha verso i governati. Una retorica che si perde nei decenni. La soggettività politica dei soggetti sociali non esiste per chi comanda; dietro ci deve sempre essere un cattivo consigliere che manipola e specula: l'eterno racconto del complotto. Nelle parole del sindaco Chiamparino sono sedimentati secoli di sapere coloniale. Dietro le sue dichiarazioni ci sta questa convinzione: che "i poveri negretti profughi non possono essere in grado di decidere e praticare la resistenza e lo scontro". Ben altro abbiamo visto ieri sera! Abbiamo apprezzato e sostenuto l'esplosione di una rabbia giusta e spontanea di decine di uomini e donne stanchi di essere presi in giro. Una consapevolezza - correggeteci se sbagliamo - che a quanto pare si sta ripetendo a diverse latitudini del nostro paese... Quello che è successo in piazza Castello è tutto da leggere nella linea che va da Lampedusa a Massa, da Castelvolturno alla spontaneità che invase Milano dopo l'omicidio di Abba. La giornata di ieri è inoltre esemplificativa delle due facce del potere istituzionale: carota e bastone. La differenza qualitativa è che ieri sera la ricetta non ha più funzionato perché i dirett* interessat* (i rifugiati-occupanti di corso Peschiera) non hanno più digerito la carota che gli assessori Borgione e Borgogno continuano a somministrargli da mesi (un anno e mezzo per quelli di via Bologna), rimpallando verso l'alto o verso il basso le responsabilità, giocando con troppa disinvoltura con la vita di uomini e donne che, per giungere nel nostro paese, hanno attraversato mari e deserti per fuggire da guerre, persecuzioni e carestie. Uomini e donne che però hanno dimostrato di non accettare la presa in giro, ed è qui che è scattato il bastone del vice-questore Spartaco Mortola, decorato sul campo a Genova per la mattanza alla scuola Diaz. Ha poco da cianciare il signor vice-questore di "piani preordinati" e "aggressioni premeditate". Il dato reale con cui lui e i suoi colleghi devono fare i conti è la determinazione di quei rifugiati e degli italiani e italiane che li hanno accompagnati. Uomini e donne (molte donne) che non hanno avuto paura di difendersi e contrattaccare le cariche vigliacche e pesanti delle forze dell'ordine anche perché, con buona pace di Mortola, per arrivare nel nostro paese hanno affrontato prove e difficoltà ben più dure che le sue manganellate intimidatorie, per quanto infami queste possano essere. Ribadiamo: come compagni e compagne del network antagonista torinese non abbiamo nessun problema nel rivendicarci la serata di ieri, che fosse opera nostra o di altri. Chiamparino e i suoi colleghi invece dovrebbero piuttosto preoccuparsi dell'emergere di una questione migrante dentro le nostre metropoli e, al suo interno, di una più specifica questione rifugiati e richiedenti-asilo. Non lo dicono gli/le autonomi/e, lo dicono i fatti che si stanno ripetendo e che continueranno a succedere nei nostri territori. Loro il compito di affrontare una questione politica centrale dei nostri tempi, a viso aperto, in tutta la sua portata. Sarebbe il loro lavoro... Ci crediamo poco: la politica oggi è mera gestione dell'esistente e non abbozza altro che governance di basso profilo, per portare a casa la poltrona, uno stipendio, quattro precarissimi equilibri. Altro abbiamo nei nostri programmi, per questo sabato saremo di nuovo in piazza, di fronte a quella stessa prefettura che ci ha respinto.

Contro il pacchetto sicurezza! In solidarietà con la popolazione di Lampedusa! Con i migranti che lottano!

Contro la violenza della polizia e lo sgombero di corso Peschiera!

Network Antagonista torinese csoa Askatasuna - csa Murazzi

collettivo universitario autonomo - Kollettivo studenti autorganizzato

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Solidarietà dei lavoratori contro il razzismo di stato

Il "Pacchetto sicurezza" è l'ultimo attacco contro la classe lavoratrice immigrata, per renderla più ricattabile e più facile da sfruttare. E’ l’ultimo dei provvedimenti messi in atto dai governi di ogni colore: dalla legge Turco-Napolitano che istituisce i CPT, alla Bossi-Fini fino alle ultime misure che innalzano a 6 mesi la permanenza nei campi di concentramento (dove le rivolte per disperazione sono sempre più frequenti), rendono più difficili i ricongiungimenti familiari, incoraggiano la delazione da parte delle strutture sanitarie contro gli immigrati irregolari (infortunati nei cantieri o nelle fabbriche o malati, inducendoli a rinunciare a curarsi con rischio tra l’altro di diffondere malattie), aumentano il costo dei permessi di soggiorno (punendo la regolarizzazione). Nelle ultime campagne elettorali, politici di destra e di sinistra hanno gareggiato nel cavalcare la xenofobia alimentata dai mass-media, che sbattono in prima pagina i fatti di cronaca nera quando sono commessi da immigrati e relegando in trafiletti i tanti delitti commessi dagli italiani. Stanno facendo credere alla massa che le donne italiane siano minacciate da orde di stupratori stranieri, quando in gran parte dei casi queste violenze avvengono tra le mura domestiche o da parte di conoscenti. Su questa ondata di falsificazione e demonizzazione, che semina paura e velleità di linciaggio le amministrazioni comunali di ogni maggioranza hanno preso e richiesto provvedimenti sempre più restrittivi verso immigrati, musulmani e rom con la cacciata dei “nomadi”, proibizioni di moschee e la caccia al clandestino (anche se attivo come operaio o muratore). Ora viene istituzionalizzato lo squadrismo “contro la criminalità” con le ronde di cittadini, ex-poliziotti ed ex-militari. Anche l’Italia avrà i suoi KuKluxKlan? Questo non combatte la criminalità, ma serve solo a rendere la vita degli immigrati sempre più difficile, spingendoli nella clandestinità a disposizione di padroncini, scafisti, caporali, boss criminali e sfruttatori di ogni genere, e a fornire nuova manodopera alla malavita. I padroni si sono arricchiti sfruttando la manodopera a buon mercato degli immigrati a cui venivano negati i diritti

fondamentali. Con l’arrivo della crisi li vogliono cacciare, e alimentano campagne d’odio!

Il razzismo non si combatte con le ipocrisie dei partiti di sinistra (che dove sono al governo si fanno promotori della xenofobia) ma la lotta unita di tutti i lavoratori, italiani e stranieri, contro chi li sfrutta e li mette gli uni contro gli altri.

Simili lotte le abbiamo viste nella nostra zona alla Bennet di Origgio e più recentemente alla DHL di Corteolona, dove i picchetti dei lavoratori immigrati hanno fronteggiato (e a Origgio, vinto) l’arroganza padronale, conquistando migliori condizioni per tutti. E' quindi interesse anche dei lavoratori italiani difendere i loro compagni immigrati contro il razzismo di stato. • NO ai campi di concentramento CPT e CIE! • NO a discriminazioni fra autoctoni e immigrati! • NO al razzismo di stato, di destra o di sinistra! • SI al diritto all'immigrazione! • SALARIO GARANTITO per tutti i lavoratori, precari e non, italiani e immigrati,

che perdono il lavoro nella crisi! • Proletari italiani e immigrati uniti contro padroni e razzisti!

pagine marxiste www.paginemarxiste.it

FTCP in proprio – Milano 21/2/2009, p.zza Nigra 1

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Cariche ai rifugiati. La verità sui fatti di Torino

di Silvio Magnozzi - Nessuna risposta del Comune alle richieste dei migranti, «Casa, lavoro e residenza». Un corteo per le vie della città. Il prefetto latita, la polizia carica avanti alla prefettura e in piazza Castello. Migranti e antirazzisti, la polizia disperde il presidio a suon di lacrimogeni.

www.Carta.org

«Assalto alla prefettura»: c’è voluta la fantasia dei giornali per nascondere l’aggressione della polizia al corteo di ieri, a Torino, con il quale i rifiugiati politici hanno chiesto dignità e diritti. Proviamo a ricostruire i fatti, con l’aiuto dei report di www.infoaut.org e del racconto di chi c’era. In concomitanza con l’incontro tra gli assessori del Comune di Torino [Giuseppe Borgogno e Marco Borgione] e i migranti che occupano damesi gli stabili di via Bologna e corso Peschiera, si è tenuto ieriu pomeriggio un partecipato presidio davanti al municipio, indetto dal Comitato di solidarietà con profughi e migranti oltre che dagli immigrati stessi, i quali hanno riempito lo spazio antistante il palazzo con il loro slogan «Casa Lavoro Residenza» per tutto il pomeriggio. «L’incontro è servito a confermale la linea dell’immobilismo intrapresa da tempo dal Comune di Torino sulla questione migrante, posta da anni – raccontano i migranti – L’assessore Borgione ha addirittura avuto la spocchia di alzarsi dal tavolo di confronto, sordo alle richieste dei migranti e incurante dell’urgenza del problema posto». Così, i presidio ha deciso di occupare la strada di fronte al palazzo comunale, dopo oltre 2 ore di attesa di un qualche risultato e risposta. Casa, lavoro e residenza: queste le richieste dei profughi occupanti degli stabili, con l’ultima caratterizzata da una centralità prioritaria per la valenza che questa va ad assumere nelle dinamiche burocratiche e di agibilità del nostro paese. Rivendicazioni accompagnate dalla richiesta dell’assunzione delle proprie responsabilità istituzionali di fronte alla minaccia di sgombero che incombe sullo stabile di corso Peschiera. Il blocco del traffico, all’uscita della delegazione dal Comune, è diventato quindi corteo spontaneo per le vie del centro, nella rabbia per l’ennesima non risposta degli assessori e nella determinazione di chieder conto sulla questione all’autorità del governo in città [la prefettura]. Il corteo, arrivato sotto la prefettura in via Po, ha chiesto di essere ricevuto dal prefetto. In un primo momento il prefetto ha accettato l’incontro, chiedendo però alla delegazione di aspettare 5 minuti. Passata oltre mezz’ora, nel continuo ripetere dello slogan «Casa Lavoro Residenza» da parte dei migranti e nella chiarezza della volontà del prefetto di non incontrare i profughi, la polizia ha caricato i manifestanti, i quali si sono quindi mossi nella piazza antistante gli uffici, luogo nel quale la polizia è tornata a caricare selvaggiamente i migranti e i cittadini solidali sper quattroi volte. Un ragazzo del comitato di solidarietà è stato accerchiato e picchiato da 10 agenti della polizia, la quale ha sparato diversi lacrimogeni e rincorso i manifestanti per le vie del centro. Migranti e antirazzisti hanno cercato di difendersi. La polizia ha sparato decine di lacrimogeni per disperderli. Alla fine, i manifestanti sono riusciti a tornare nello stabile di corso Peschiera, dove è stata tenuta una conferenza stampa per denunciare le modalità con le quali le autorità cittadine hanno trattato la questione impellente dei migranti, con il silenzio e la polizia. «La giornata di ieri è esemplificativa delle due facce del potere istituzionale: carota e bastone – si legge in un comunicato del Network antagonista torinese – La differenza qualitativa è che ieri sera la ricetta non ha più funzionato perché i diretti interessati [irifugiati, occupanti di corso Peschiera] non hanno più digerito la carota che gli assessori Borgione e Borgogno continuano a somministrargli da mesi rimpallando verso l’alto o verso il basso le responsabilità, giocando con troppa disinvoltura con la vita di uomini e donne che, per giungere nel nostro paese, hanno attraversato mari e deserti per fuggire da guerre, persecuzioni e carestie».

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11 denunce per gli scontri di martedì. I rifugiati: "nessuno parla per noi!". Tra le righe dei numerosi articoli apparsi in questi giorni, inframmezzate alle mille dichiarazioni dei politici di turno - dal solito Ghiglia (An): "chiudiamo i centri sociali",al sindaco Chiamparino "I profughi hanno dei diritti ai quali il governo deve dare delle risposte. Loro però debbono sottrarsi alla logica di chi li sta strumentalizzando» - fa ogni tanto capolino la presa parola degli stessi rifugiati... Parole difficilmente equivocabili: «Siamo responsabili delle nostre vite, di quello che facciamo e diciamo, non c´è nessuno che parla per conto nostro. Noi chiediamo solo diritti, non abbiamo i fucili, ma i nostri slogan. Siamo dei rifugiati politici scappati dai nostri Paesi dove c´è la guerra civile per salvare i nostri bambini e le nostre famiglie ma ieri sera abbiamo capito che l´Italia non è il nostro secondo Paese». Solo un uso infame e molto ideologico del montaggio video ha permesso al Tg3 (nazionale) di mettere in bocca ad un occupante di corso peschiera delle parole di"presa di distanza" dalla resistenza di martedì sera, estrapolando una frase da un discorso molto più lungo e di tutt'altro tenore. Intanto la digos cittadina fa sapere che sono già pronte 11 denunce per gli scontri di fronte alla Prefettura. Da parte sua, il prefetto ha dichiarato che effettivamente sì, lui era presente la sera nel suo ufficio ma, non ha voluto incontrare "quella delegazione". «Non ci hanno dato garanzie di non sgomberare l´edificio almeno per il tempo necessario a inserire tutti i profughi, non hanno risolto la questione del cibo e nemmeno dei ticket gratuiti per le docce pubbliche», ha sintetizzato un portavoce dei centri sociali. Le associazioni chiedono di tornare ai tavoli. Il comitato di solidarietà si dice disponibile ma precisa: «bisogna trovare una soluzione per tutti i rifugiati di corso Peschiera e non solo per 85 di essi». Fino a qui, non è certo stata questa la condotta della giunta comunale: «Non ci hanno dato garanzie di non sgomberare l´edificio almeno per il tempo necessario a inserire tutti i profughi, non hanno risolto la questione del cibo e nemmeno dei ticket gratuiti per le docce pubbliche», chiosa Pier Paolo del comitato di solidarietà. Da Indymedia Piemonte IMMIGRATI, SCONTRI IN PIAZZA A TORINO FERITI 6 AGENTI E UN GIOVANE DEI CENTRI SOCIALI Cariche della Polizia, ieri sera in piazza Castello, il cuore di Torino, contro un centinaio di dimostranti, italiani e profughi africani, che spingevano, scandendo slogan minacciosi, tentando di entrare in Prefettura. Sei agenti e un giovane dei centri sociali sono rimasti feriti, i manifestanti sono poi stati dispersi con l'uso di lacrimogeni. Gli incidenti sono scoppiati dopo un corteo partito dal Municipio di Torino, al quale ha partecipato un centinaio di persone, immigrati africani e giovani dell'area antagonista che chiedono «aiuti concreti ai rifugiati politici» che da mesi occupano due edifici di Torino, uno comunale e un altro di proprietà privata. Nel pomeriggio di ieri due assessori comunali avevano ricevuto una delegazione dei dimostranti, senza, tuttavia, riuscire a soddisfare le loro richieste. Negli scontri sei agenti di polizia, cinque del reparto mobile e uno delle volanti, sono stati colpiti con pietre e bastoni e medicati al pronto soccorso per ferite lacero contuse alle gambe e contusioni. Ferito anche un dimostrante. Contro gli uffici della Prefettura sono stati scagliati un cassonetto dei rifiuti, lanciati cubetti di porfido e blocchi di neve ghiacciata. I manifestanti accusano la polizia: «Il nostro corteo - dice un esponente del Comitato di solidarietà profughi e migranti - è stato aggredito selvaggiamente. C'è un unico filo che unisce quello che è successo a Massa e a Lampedusa con l'aggressione a Torino. E nessuno vuole sentire le ragioni dei rifugiati politici, stufi di vivere nell'isolamento totale». Stando al racconto degli agenti in servizio alla Prefettura, si è trattato invece di un vero assalto respinto dalle forze dell'ordine intervenute in gran numero. La Digos ha sequestrato cubetti di porfido, pezzi di legno e metallo, un tombino, una

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pala e altri oggetti che i manifestanti hanno scagliato contro le forze dell'ordine, dopo avere distrutto alcune panchine e rovesciato cassonetti e cartelli stradali. La situazione è tornata alla piena normalità nella tarda serata: i manifestanti sono tornati negli edifici occupati, in via Bologna e corso Peschiera, dove vivono, complessivamente, circa 300 immigrati da Eritrea, Etiopia, Somalia e Sudan. FONTE: leggo.it Assalto alla Prefettura, sei agenti feriti a Torino Giovani dei centri sociali e immigrati protestavano contro l´ipotesi di sgombero di una ex clinica privata. E a Lampedusa terzo sciopero in una settimana Secondo la questura, i manifestanti hanno lanciato cubetti di porfido. Ma i leader: caricati a freddo FEDERICA CRAVERO TORINO – Nel giorno in cui Lampedusa si è di nuovo fermata per dire no all´apertura del centro di identificazione ed espulsione voluto dal Viminale, nel centro di Torino scoppia la protesta di un centinaio di immigrati africani, affiancati da giovani dei centri sociali, che da diversi mesi occupano un´ex clinica. Poco prima delle 21 la polizia ha caricato un centinaio di manifestanti che, dopo essere stati per tutto il pomeriggio sotto il Comune, si era spostato davanti alla Prefettura nella centralissima piazza Castello. Contrastanti le versioni. Secondo la polizia, i manifestanti avrebbero lanciato cubetti di porfido e pezzi di ghiaccio contro il portone della prefettura. Secondo i leader degli africani, la polizia avrebbe caricato a freddo, picchiando brutalmente un rappresentante del Comitato Migranti. Pesante il bilancio, con il lancio di diversi lacrimogeni, il centro paralizzato e una decina di contusi tra cui sei agenti ricoverati in due ospedali. Nel corso degli scontri sono state danneggiate alcune auto parcheggiate davanti alla Prefettura, contro l´ingresso è stato lanciato un cassonetto dei rifiuti. Secondo fonti della stessa questura non risulta che ci siano stati dei fermi. La situazione è tornata tranquilla e nella piazza, verso le 23, erano rimasti solo carabinieri e poliziotti. All´origine dell´ultima esplosione di rabbia l´incontro a vuoto, secondo il coordinamento dei profughi, con gli assessori comunali Marco Borgione e Beppe Borgogno dopo che la proprietà della clinica San Paolo aveva chiesto lo sgombero della struttura. Al tavolo anche le associazioni, dal Gruppo Abele alla San Vincenzo, che si erano rese disponibili a trovare una soluzione per una parte dei più di 250 ospiti, prendendoli in carico. Per alcuni si aprirebbero le porte del centro della Croce Rossa di Settimo, che assicurerebbe soltanto il pernottamento e la colazione al mattino. I rifugiati, che in questi mesi hanno raccolto la solidarietà non solo dei centri sociali ma anche di diversi gruppi di volontariato, chiedono invece assistenza e cibo, oltre a riscaldamento e ticket per le docce pubbliche, denunciando le condizioni di estremo disagio in cui vivono anche una cinquantina di donne, molte con figli piccoli. Quello di ieri è stato il terzo sciopero generale in meno di una settimana a Lampedusa. In silenzio, i residenti hanno ascoltato le parole del sindaco Dino De Rubeis diventato ormai il simbolo di una protesta politica e civile. Il primo cittadino dell´Mpa ha guidato il corteo verso il porto vecchio per una sorta di cerimonia della memoria con il lancio di una corona di fiori per ricordare le vittime del mare.

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PACCHETTO SICUREZZA? LOTTIAMO INSIEME CONTRO LA CRIMINALITA' DEI PADRONI!

Da lungo tempo un pesantissimo clima di repressione giudiziaria e poliziesca grava sulle lotte dei lavoratori e, in generale, su ogni lotta sociale. Come è ovvio, questo clima vede moltiplicarsi all'ennesima potenza i ”normali” episodi di impunità delle forze di polizia e delle aggressioni razziste. Si colpiscono alla luce del sole gli immigrati (i vigili urbani di Parma, di Roma, ecc. che mandano all’ospedale ragazzi che hanno l’unica colpa di essere “neri”) e i singoli (vedi il recente caso di Sandri); si colpiscono manifestanti e scioperanti, fioccano gli avvisi di garanzia e i rinvii a giudizio anche per le manifestazioni più innocue, anche per quelle di carattere sindacale e “sociale”. Il tutto mentre si riconse-gnano le pistole ai vigili urbani (che hanno già ampiamente dimostrato contro quali soggetti usano la forza), si aumentano i poteri alle polizie locali e ai sindaci-sceriffi, si parla di appaltare le carceri ai privati, si ventilano 30 mila soldati in più nelle strade (sigh!), per non dire della spinta a limitare ulteriormente il diritto di sciopero ― con norme che ne stravolgono il contenuto ― e le libertà sindacali. A questo inasprirsi della repressione si accompagnano le ultra-virulente campagne di criminalizzazione dispiegate contro i lavoratori (Brunetta e gli statali, i pensionati presentati come “privilegiati”, gli scioperi Alitalia o in ferrovia visti come “attacchi corporativi ai diritti dei cittadini”, ecc.) e, in special modo, contro i settori sociali più deboli: le campagne razziste che hanno di volta in volta additato gli albanesi, gli zingari, i rumeni, gli islamici come "il nemico". I lavoratori immigrati vanno bene due volte: per farsi sfruttare e creare ricchezza per il padrone (ancor meglio se soggetti al ricatto della clandestinità) e come capri espiatori per scaricare le tensioni sociali verso falsi bersagli. In questo quadro si colloca quell’insieme di norme noto come “pacchetto sicurezza” (vedi riquadro) che ― come rilevato da esponenti della maggioranza in polemica con l'opposizione ― non è altro che l'attuazione (peggiorativa su singoli punti ma pur sempre un'attuazione) delle misure preparate dal governo Prodi-D'Alema-Ferrero appoggiato della cosiddetta sinistra radicale: PDCI, Verdi, SD e PRC (che avevano ministri in quel Governo!); centro-sinistra che, durante la campagna elettorale, aveva esplicitamente rincorso la destra sul terreno della sicurezza e che, sul piano locale, si era distinto per le proposte anti-rumeni di Veltroni, per i sindaci-sceriffi di Bologna (il buon Cofferati, che come sindaco non poteva rivelarsi meno reazionario che come sindacalista), di Firenze, ecc. Nell'attuale fase di crisi, il “pacchetto-sicurezza” garantisce schiavismo e bassi salari e, al contempo, con la sua demagogica propaganda che alimenta le spinte “di pancia” dei settori sociali più reazionari, lega al carro degli interessi del padronato gran parte della piccola borghesia e, purtroppo, settori consistenti di lavoratori. L’insieme di queste misure dimostra che la borghesia si

sente mancare il terreno sotto i piedi sul piano economico e reagisce, sul piano politico, usando sempre più il bastone e sempre meno la carota: di spazi reali per offrire carote, vale a dire per una politica realmente riformista, non ce ne sono più. Gli effetti della crisi sono ormai visibili, com'è ormai visibile che i padroni hanno tutta l'intenzione di far pagare a noi una crisi generata dal loro sistema, dal sistema che li pone al vertice dell'intero sistema sociale.

Il “pacchetto sicurezza” ha quindi come scopo primario quello di dividere il proletariato e giustificare misure eccezionali di controllo e repressione che possano colpire, come già fanno, qualunque tentativo di difesa politica e di riorganizzazione. Tutto si tiene, perché queste questioni non sono legate soltanto ai piani politici bipartisan della borghesia e dei suoi Governi ma anzitutto alla realtà dell'attuale fase di crisi. Per questo motivo, ricostruire la capacità di una politica autonoma e indipendente dei lavoratori significa ricostruire la capacità di riannodare i fili di questioni che solo in apparenza sono separate, per comprendere che l’attacco è uno e tutti noi, come proletari, siamo sotto lo stesso attacco. L’unica risposta possibile all’aggressione politica generale dei padroni sta nel porre la questione di ricondurre tutte le lotte, in special modo quelle dei lavoratori immigrati, a una opposizione politica unitaria, generalizzata e di classe di tutto il variegato fronte dei lavoratori. Questa è la sfida che tutti coloro che vogliono, o dicono (a cominciare dal sindacalismo di base e dalle sue direzioni) di volere fare un'opposizione conseguente e di classe devono raccogliere, a partire dai momenti concreti di mobilitazione che ci stanno davanti.

NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO ! ITALIANI E IMMIGRATI: NESSUNA DIVISIONE PERCHE’ UNICA E' LA LOTTA DEGLI SFRUTTATI

PERMESSO DI SOGGIORNO AUTOMATICO E SENZA CONDIZIONI CITTADINANZA AUTOMATICA A TUTTE LE PERSONE NATE IN ITALIA

CHIUSURA DI TUTTI I LAGER, CPT, CIE, ecc...

Collettivo comunista di via Efeso - Corrispondenze metropolitane Roma, 30-gennaio 2009 – fip. Via Efeso 2,b

― obbligo di dimostrare l’idoneità di alloggio per ottenere l’iscrizione anagrafica, che colpisce immigrati, senzatetto, occupanti di case, ecc.; ― possibilità di espellere cittadini UE se senza reddito o se indesiderati; per chi è senza permesso di soggiorno: ― obbligo per medici e infermieri di denuncia se chiedono cure al servizio sanitario; ― divieto di riconoscere i figli quando nascono e di sposarsi legalmente; ― divieto di inviare soldi alla famiglia, attraverso il controllo delle banche e delle aziende di money transfert; ― aumento del periodo di detenzione nei LAGER (ora CIE- Centri di identificazione, ex CPT) fino a 18 mesi; ― nuova tassa per la richiesta o il rinnovo del permesso di soggiorno; ― condizioni più restrittive per acquisire la cittadinanza e, dulcis in fundo, l’ingresso e il soggiorno illegale nello stato passa da illecito amministrativo a reato penale: in poche parole, NON SI TRATTA DI IMPEDIRE L’ARRIVO DI LAVORATORI “IRREGOLARI” MA DI COSTRINGERE CHI ARRIVA IN ITALIA IN CONDIZIONI DISUMANE A POTER ESSERE PIEGATO A QUALSIASI USO DA PARTE DEL PADRONATO.

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Ancora una volta il razzismo di Stato ha provocato una risposta spontanea dei proletari immigrati. Dopo Milano, dopo Castelvolturno, è stata la rivolta in quello che persino il sindaco di Lampedusa (centrodestra) ha definito LAGER. Poveri ma RIBELLI il titolo, evocativo, de il manifesto del giorno dopo. Che le condizioni dell’ex CPT (ora CIE) di Lampedusa siano – da sempre – quelle disumane di un lager, è noto grazie a un numero enorme di testimonianze. Clamorosa quella del 2005 del giornalista Fabrizio Gatti entrato nel centro per otto giorni travestito da “clandestino”.(l’Espresso: http://espresso.repubblica.it/dettaglio-archivio/1129502&m2s=a), E’ stata una rivolta spontanea, naturale, e – a detta di tutti - annunciata. 1) Lampedusa, centro di detenzione, 24 gennaio, mattina: sotto gli occhi delle telecamere, tutti i detenuti (1.300, a fronte di una capienza ufficiale di 800 persone), fuggono poco dopo le 10 dal centro, forzando i cancelli d’ingresso, e arrivano in corteo al municipio del paese gridando “Libertà, aiutateci”. Subito si forma una manifestazione spontanea insieme ai cittadini di Lampedusa, scesi in piazza per protestare contro il lager a cielo aperto. Di "disastro annunciato" parla il sindaco di Lampedusa Dino De Rubeis (centro destra) che, da mesi, guida la protesta dei cittadini contro il Governo che ha deciso la realizzazione, sull’isola, del CIE, "potenziale Guantanamo italiana". L'ex sindaco del Paese, Toto' Martello, che li aveva accolti in piazza con un applauso, li invita ora a rientrare nel centro. ''Siamo insieme a voi - dice - vogliamo che vi trasferiscano negli altri centri italiani, ci batteremo perché ' possiate lasciare Lampedusa, ma ora dovete rientrare nel centro. I migranti, continuano a ribadire che non lasceranno la piazza e che la loro protesta sarà pacifica, ma alla fine sono fatti rientrare. Per aggiungere al danno la beffa, Berlusconi dichiara – e il Viminale conferma con nota ufficiale - che la situazione è sotto controllo, perche’… gli immigrati non sono reclusi, e sarebbero liberi di andare in paese quando e come vogliono!

2) Lampedusa, base Loran - centro di detenzione femminile, notte tra l’1 e il 2 febbraio: nell’ex base militare, dove, per tamponare il sovraffollamento del centro principale di Lampedusa sono state trasferite un centinaio di donne immigrate, scoppia un incendio. Scene di panico tra le immigrate, ma non ci sarebbero stati feriti.

Secondo quanto denunciato dal consiglio comunale di Lampedusa, sarebbe illegale perché non avrebbe i certificati di agibilità ed antincendio e quindi non potrebbe ospitare persone. Senza certificato antincendio sarebbe anche il centro principale di Prima accoglienza e il consiglio

comunale si riunirà in via d'urgenza per tentare di risolvere questi problemi. La Repubblica, 2 febbraio 2009

3) Lampedusa, centro di detenzione, notte tra il 5 e il 6 febbraio: per protestare contro le condizioni di detenzione, contro i rimpatri forzati, decisi dal Ministro Maroni, e per chiedere il trasferimento in altri centri, undici reclusi di Lampedusa ingoiano (impastati con molliche di pane o pezzi di patate) pezzi di ferro, bulloni e lamette. Altri tentano il suicidio impiccandosi con i loro indumenti. La sera del 6 febbraio alcuni immigrati iniziano uno sciopero della fame. Nell'isola arriva uno staff del Viminale (due prefetti e diversi funzionari di polizia) per “monitorare” la situazione... 4) Lampedusa, centro di detenzione, 18 febbraio: dopo alcuni giorni di un ennesimo sciopero della fame,

partecipato da centinaia di reclusi, scoppia la rivolta. Gli immigrati, rinchiusi in condizioni disumane, in perenne sovraffollamento, impauriti dalle notizie di rimpatri forzati, dal trasferimento di circa 100 di loro nel CPT di

Roma-Ponte Galeria, tentano di aprire i cancelli. La polizia carica con lacrimogeni e manganelli. A questo punto centinaia di immigrati si barricano dentro il padiglione centrale.

ALLA RIVOLTA DEGLI IMMIGRATI

DI LAMPEDUSA

SOLIDARIETA’ INCONDIZIONATA

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Si fanno barricate accatastando quello che c’è: i pochi arredi, materassi, coperte e cuscini. Parte – dagli immigrati, dai lacrimogeni? - l’incendio, violento. Le forze dell’ordine riescono a sgombrare l’edificio. Risultato: 50 feriti e intossicati tra gli immigrati, 20 intossicati - dichiarati - tra la polizia. Il padiglione centrale completamente distrutto; metà dei restanti edifici, pure. Dopo la“battaglia”: lo Stato italiano, in risposta, trasferisce d’urgenza, spesso verso destinazioni ignote, varie centinaia di immigrati, molti dei quali in prima fila nella rivolta. 180 extracomunitari sono stati trasferiti con due voli charter – pare nei centri di Torino e Cagliari e Gorizia. Altri 120 saranno condotti verso destinazione non resa nota. Adesso nel centro di Lampedusa sono rimaste circa 550 persone. Le forze dell’ordine, in assetto antisommossa, presidiano il centro. Divieto assoluto di avvicinarsi al centro per tutti i giornalisti, non per nascondere qualcosa, ma per “impedire che questi si facciano male”... Il Governo dice che grazie alle riprese effettuate, la Polizia ha identificato gli autori della rivolta. Rivolta, appunto. Che altro rimaneva infatti a questi immigrati per fare sentire la propria voce, per gridare che la misura è colma, e non da ieri? Che le condizioni dei centri di detenzione (da sempre) sono bestiali, inumane, che anche i più elementari diritti sono violati?

Nient’altro che questo, la rivolta. La rivolta degli immigrati sans papier di Lampedusa è un classico episodio di lotta di classe. E la militarizzazione esasperata di tutta l’isola di Lampedusa è uno dei tanti aspetti della militarizzazione dello Stato come risposta alla crisi e alle lotte sociali che ne verranno. Gli immigrati, con o senza documenti, sono una fetta importante della nostra classe, del proletariato. Oggi ,come lavoratori, siamo sotto attacco. La borghesia di tutti i paesi tenta di scaricare su di noi i costi della crisi. Gli accordi contro le pensioni, i tagli ai salari, i rinnovati tentativi di criminalizzare i lavoratori in lotta, dalle limitazioni alle libertà di manifestazione contenute nel “pacchetto sicurezza” fino alle odierne proposte di una nuova legge antisciopero, sono tutte manovre del padronato per tenerci con la testa bassa, proni ad ogni ricatto, per far pagare la LORO crisi a NOI lavoratori. Gli immigrati, come parte più debole e più ricattabile della classe lavoratrice, sono i bersagli più facili di questi attacchi, i primi ad essere colpiti. I padroni cercano sempre e con ogni mezzo di mettere i lavoratori gli uni contro gli altri, e usano la questione dei lavoratori immigrati e dei clandestini per dividere l’insieme dei lavoratori, per impedire che si uniscano in un fronte unico contro i padroni, per metterci in concorrenza gli uni con gli altri, per abbassare ancora di più i salari e per sfruttarci meglio tutti, italiani ed immigrati. Dobbiamo – come lavoratori – sforzarci di ricostruire una unità di tutta la nostra classe, senza cedere alla tentazione delle divisioni. Solo uniti potremo difenderci dagli attacchi del padronato. Ogni colpo sferrato CONTRO GLI IMMIGRATI, ogni colpo sferrato contro un qualunque settore della classe lavoratrice è un colpo sferrato a tutti i lavoratori.

NON PAGHEREMO NOI LA VOSTRA CRISI ! LAVORATORI DI TUTTI I PAESI UNIAMOCI!LAVORATORI DI TUTTI I PAESI UNIAMOCI!LAVORATORI DI TUTTI I PAESI UNIAMOCI!LAVORATORI DI TUTTI I PAESI UNIAMOCI!

- ITALIANI E IMMIGRATI: UNA E' LA LOTTA DEGLI SFRUTTATI !

- TRAVAILLEURS ITALIENS ET IMMIGRÉS, MÊMES PAT RONS, MÊME COMBAT!

- ¡ NATIVA O EXTRANJERA, LA MISMA CLASE OBRERA !

- ITALIAN AND IMMIGRANT WORKERS, SAME BOSSES, SAME FIGHT!

.نيرجاملا لامعلا و نييلاطيالا لامعلا - .يرصنعلا ةحفاكملو،انقوقح لجا نم ، لماعلا تاقبطلا داحتا ءانبل اعم حفاكنل

collettivo comunista di via Efeso [email protected] - www.collcomunista-viaefeso-roma.blogspot.com - Roma, 27 febbraio 2009 - fip

- PERMESSO DI SOGGIORNO AUTOMATICO per tutti i lavorato ri IMMIGRATI !

- IN carcere METTIAMOCI i padroni che sfruttano il LAVORO NERO !

- CITTADINANZA AUTOMATICA A TUTTE LE PERSONE NATE IN ITALI A

- CHIUSURA DI TUTTI I LAGER, CPT, CIE, ecc...

- CONTRO TUTTE le LEGGI RAZZISTE, dalla BOSSI FINI alla T URCO-NAPOLITANO. Privando dei diritti civili e re ndendo

clandestini gli immigrati disoccupati e/o costretti al lavoro nero, queste leggi danno ai padroni una vera e propria arma in

mano: il ricatto del permesso di soggiorno legato a l lavoro.

- CONTRO IL PACCHETTO SICUREZZA e CONTRO tutti i TENT ATIVI di REPRESSIONE delle LOTTE SOCIALI.

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LOTTA ANTICLERICALE/ MOVIMENTO “NO VAT”

Reagire con forza all’offensiva clericale (senza invocare lo Stato sovrano). La crisi morale della Chiesa cattolica, oggi evidente, ha radici lontane. Le trasformazioni economiche, sociali, culturali che hanno attraversato l'Italia negli ultimi quarant'anni hanno prodotto una società che trasgredisce il Catechismo cattolico: si sono affermate pratiche di vita che nel passato erano represse e che non si possono più ignorare. Nonostante il mancato riconoscimento attraverso le leggi, con la rottura operata dai movimenti femministi e lgbtq, una certa libertà sessuale si è diffusa. La perdita di peso, nella società, della pastorale cattolica coincide con la crisi della governabilità dei singoli soggetti e dei loro rapporti. Il governo morale tende a dissolversi ed emerge una realtà più prosaica: quella di una macchina statale, economica, finanziaria. Si pensi alle preoccupazioni di Giovanni Paolo II per le sorti delle banche vaticane e cattoliche. Preoccupazioni sfociate nell'operazione- salvataggio guidata dall'Opus Dei e culminata con il matrimonio fra Banca Intesa e San Paolo Imi nel 2006. La Chiesa sa di non poter incidere come in passato nelle vite degli italiani, ma riesce comunque ad accordarsi con la classe politica per autoconservarsi (vedi la revisione del Concordato del 1984) e per salvare i propri interessi economici, che la vedono in qualche modo coinvolta anche nelle campagne militari (tra gestione di campi profughi e aiuti umanitari). Se il decreto Aprea sulla riforma scolastica prevede l'aumento dei finanziamenti per le scuole confessionali, il ministro-ombra del PD Mariapia Garavaglia è arrivata ad accusare il governo di aver tagliato 60 milioni di euro stanziati dall'ex ministro Fioroni alle scuole private. Ma già nel 2005 l'allora ministro per le Infrastrutture Lunardi aveva previsto in un Decreto l'esenzione dal pagamento dell' ICI per scuole private, strutture alberghiere per i pellegrini e cliniche di proprietà del Vaticano. Lo smantellamento dell' istruzione pubblica, e dunque l’attacco al diritto allo studio per le fasce sociali non agiate, passa per il rafforzamento dell'istruzione privata e confessionale. Ma la sfera della scuola non è l’unica in cui la difesa della linea cattolica tradizionale si coniuga con le politiche antipopolari sospinte dalla Confindustria e messe in atto dai governi di diverso colore. Uno dei capisaldi della dottrina sociale della Chiesa è la famiglia. In nome di questa istituzione, costruita sul dovere della procreazione, sono messi al bando tutti i tipi di unione e tutte le forme del desiderio sessuale che non vi si conformano. Oggi i rapporti all'interno della famiglia sono cambiati: il controllo dei genitori sui figli è meno forte ed il ruolo che gioca al suo interno la morale cattolica è ridotto. Ciò non significa che siano scomparsi i rapporti patriarcali: le violenze sulle donne e sui "diversi" continuano ad avvenire nella maggior parte dei casi in famiglia. Tuttavia, oggi la parola d'ordine della difesa della famiglia, “nucleo fondamentale della società”, non ha solo risvolti ideologici. La famiglia, in tempi di profonda crisi capitalistica e di depotenziamento del Welfare, rafforza sempre di più il suo ruolo come ammortizzatore sociale informale. Le politiche di smantellamento del sistema pensionistico e di precarizzazione crescente del mondo del lavoro, sono avallate senza indugio dalla stampa cattolica ufficiale (vedi Avvenire), che nello stesso tempo incita i governi a sostenere economicamente le famiglie italiane per rinvigorirne la funzione di sponda per il mantenimento di anziani poveri e giovani precari (intesi anche sopra i 30 anni). Ma per quanto la questione della famiglia sia rilevante, a dominare la scena, negli ultimi tempi, è stato lo sconcertante caso di Eluana Englaro, che si è alla fine sorprendentemente tradotto in una singolare variante della "logica dell'emergenza". Con un Decreto ad hoc, il governo Berlusconi ha tentato di annullare una sentenza della Corte di Cassazione che autorizzava i parenti ad interrompere l'alimentazione artificiale di Eluana, in coma vegetativo dal 1992. Il Decreto Legge è stato caldeggiato dalle gerarchie ecclesiastiche, che non si sono tirate indietro nemmeno quando il Presidente Napolitano ha rifiutato di firmarlo ed hanno di fatto sostenuto la sfida berlusconiana all’inquilino del Quirinale.

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C’è chi rispetto all’attacco governativo agli equilibri istituzionali ed alla divisione dei poteri, ha gridato all’allarme democratico. Non senza fondamento: va solo registrato che se la stampa di centrosinistra usa, contro il Premier, raffinati costituzionalisti come Gustavo Zagrebelsky, che invocano un “governo mite”, la prassi concreta di chi attualmente è all’opposizione è stata anch’essa legata ad una idea di esecutivo forte, ad un uso massiccio dei Decreti. Berlusconi non ha fatto che estremizzare questa tendenza, superando ogni rispetto della forma: per la sua spinta a centralizzare e ad esercitare in modo personalistico il potere ed in virtù della sua necessità di accreditarsi come uomo di fiducia del Vaticano. Eppure, il governo della crisi (non solo economica) attraverso Decreti – che sia attuato dal centrodestra o dal centrosinistra - non può impedire alle tensioni sociali di dispiegarsi, in forma più o meno conflittuale. Da decenni la società italiana è attraversata da esigenze che rompono con la morale cattolica. Ricordiamo che è del 1972 la nascita del F.U.O.R.I. (Fronte Unito Omosessuale Rivoluzionario Italiano), del 1974 la vittoria al referendum sul divorzio, del 1978 l'approvazione della legge sull'interruzione di gravidanza. Il caso Englaro, come quello di Piergiorgio Welby, gettano in campo nuove esigenze: quella della sovranità sulla propria morte (Welby) e quella di decidere sulla fine di un corpo "amico" alimentato dalle macchine (Englaro). Esigenze che non sono slegate da una più generale rivendicazione di autodeterminazione sul proprio corpo. Oggi, le battaglie che sembrano chiamare in causa più direttamente la Chiesa cattolica in quanto controparte, le battaglie per i cosiddetti diritti civili, devono trovare la via per unificarsi a quelle degli studenti e del mondo del lavoro (anche immigrato) in un comune rifiuto: proprio perché, come si è detto, l’offensiva della Chiesa contro la sfera delle libertà non è disgiunta dal suo appoggio alle politiche antipopolari di questi anni. Ora, la via maestra per giungere a questa unificazione di lotte in apparenza distanti è ancora da definire. La situazione anomala che si è determinata in Italia dove, attraverso una fortissima pressione clericale sulle istituzioni, l' imposizione obsoleta dell' ordine eterosessuale è di fatto legge di Stato, può spingere a conclusioni in parte fuorvianti. Il fatto che in altri paesi, da un lato sia minore il peso della religione organizzata nella vita pubblica, dall’altro siano maggiormente riconosciute certe istanze di libertà, li fa diventare da noi dei modelli e rende popolarissima l’invocazione di uno Stato sovrano rispetto alla Chiesa. Ma l’estensione dei cosiddetti diritti civili è davvero una conseguenza immediata del carattere laico dello Stato? In realtà non c’è nessun diritto, nemmeno quello oggi considerato più elementare, che sia stato regalato dagli Stati laici e liberali. Lo stesso voto alle donne è stato ottenuto attraverso lunghe lotte, spesso represse duramente, sviluppatesi a partire dalla genesi del movimento internazionale delle suffragette. E da nessuna parte, nemmeno nei paesi “più avanzati”, le successive lotte dei movimenti femministi e lgbtq hanno trovato strade spianate (in verità, è stato una conquista – legata ad una dura battaglia culturale – persino quel minimo di ricordo pubblico che si riserva all’Homocaust consumatosi nei campi di concentramento nazisti). Se poi andiamo al caso italiano, ricordiamo che lo Stato post-risorgimentale era rigorosamente laico e guidato da una classe dirigente spesso ostentatamente anticlericale: ciò nulla toglie al suo feroce classismo ed autoritarismo, alla condizione drammatica ed umiliante vissuta da contadini ed operai, alla dolorosa subalternità delle donne ed alla loro sostanziale esclusione dalla vita pubblica. In sostanza: più che idolatrare Stati più laici del “nostro”, andrebbero ammirati e studiati i movimenti che altrove hanno strappato certe libertà. E non c’è nemmeno da piangere per l’attuale anomalia italiana. Il fatto che il Parlamento nostrano offra l'immagine più degradata della politica, all’insegna di un connubio col mondo clericale che ha ben poco di “spirituale”, apre la possibilità di un conflitto non mediato . Oggi questa piazza esprime una straordinaria istanza di libertà, che nasce dalla rivendicazione della sovranità su sé stessi e che non può che prendere la forma dell'autogestione. Non può che rimandare, insomma, ad una lotta che non si perda nell’inutile invocazione di uno Stato laico, lasciando che si sprigionino quei bisogni e desideri che nessuna dottrina potrà mai imbrigliare. Roma, 14 febbraio 2009 Corrispondenze Metropolitane – Collettivo di controinformazione e d’inchiesta (per contatti: [email protected])

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POLITICA ITALIANA/ISTITUZIONI/PALAZZO VERSO IL COLPO DI STATO? Quale significato dare alle dichiarazioni di Silvio Berlusconi Dino Erba Le dichiarazioni di Silvio Berlusconi hanno dato adito ad alcuni preoccupati commenti. Ezio Mauro, dalla «Repubblica» del 7 febbraio, paventa il pericolo del «bonapartismo», ovvero di una riforma costituzionale che rafforzi il potere del capo del governo, liberandolo dagli attuali vincoli istituzionali. Mauro precisa: «È un progetto bonapartista, con il Premier che chiede di fatto pieni poteri in nome del legame emotivo e carismatico con la propria comunità politica, si pone come rappresentante diretto della nazione e pretende la subordinazione di ogni potere all’esecutivo» (Ezio Mauro, La svolta bonapartista, «La Repubblica», 7 febbraio 2009). L’ipotesi è suggestiva. Ma fino a che punto? Considerando precedenti dichiarazioni e interventi del Cavaliere, non ci sarebbe da stupirsi di quest’ultima «spallata» al vecchio ordine costituzionale. Qualche dubbio potrebbe sorgere in merito all’opportunità di scegliere un’occasione come quella della tragedia di Eluana Englaro. L’opinione pubblica è tutt’altro che concorde con il Presidente del consiglio, anche negli stessi ambienti cattolici ci sono voci di dissenso. Non è neppure escluso che il Cavaliere ne esca con qualche ammaccatura. In realtà, non è in atto alcuna guerra di religione. Ma chi è abituato a giocare sporco e duro non si fa tanti scrupoli. La posta in gioco è alta, molto alta. Di fronte alla crisi, la maggior parte degli italiani deve fare i conti con crescenti difficoltà, e altre più gravi ne dovrà sopportare. Ed è questo il problema che preoccupa la classe dirigente politica ed economica: come far digerire bocconi sempre più amari. Una riforma costituzionale che rafforzi l’esecutivo sarebbe certo una comoda soluzione, giustificata dall’emergenza e dall’eccezionalità del momento. Ma non è indispensabile, anche se alcuni ambienti politici, non solo di destra, la vedrebbero di buon occhio (vedi Luigi Spina, L’uso politico di una tragedia, «La Stampa», 7 febbraio 2009). In realtà, la riforma darebbe legittimità a una situazione che ormai è imposta dai fatti. Ma non dimentichiamo che Mussolini e Hitler presero il potere e lo mantennero senza toccare la costituzione dei rispettivi Paesi. Già da tempo, il governo del Bel Paese avviene in condizioni di emergenza, attraverso i decreti legge, che hanno esautorato il Parlamento dalle sue prerogative. Lo stesso è avvenuto e avviene in molte altre democrazie, tra queste Germania e Francia. E se pochi se ne sono accorti, i più attenti analisti ritengono che sia una tendenza inevitabile (vedi Fabio Carducci, Governo batte Parlamento 44 a 1, «Il Sole 24 Ore», 1 febbraio 2009). Il Parlamento è una foglia di fico Nei suoi primi dieci mesi, il governo Berlusconi ha varato 44 leggi, il Parlamento UNA! Per la precisione, delle 44 leggi varate dal governo, 25 sono conversioni di decreti legge, 14 leggi di ratifica, 4 leggi di bilancio e una legge ordinaria. E, nonostante goda di una larga maggioranza, il governo ha chiesto dieci volte il voto di fiducia. Più moderato era stato il precedente governo Prodi che, in quasi due anni, aveva varato 21 leggi governative e 3 parlamentari. Ma quelli erano tempi più tranquilli. Nei suoi primi dieci mesi, il governo Berlusconi ha varato una serie di leggi, una più fetente dell’altra. Eccole: - 21 maggio 2008, proposto il decreto legge rifiuti (approvato poi il 22 dicembre 2008): affida all’esercito la gestione dello smaltimento rifiuti in Campania, per imporre le decisioni dei grandi affaristi «inquinatori».

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- 25 giugno 2008, decreto legge Brunetta (Pacchetto lavoro): colpisce i lavoratori del settore pubblico (attacco ai «fannulloni »), nonché di quello privato, a tutto vantaggio dei padroni, abrogando tra l’altro alcune norme antiriciclaggio e antievasione. - 15 luglio 2008, decreto legge sulla sicurezza (Pacchetto sicurezza): inasprisce le disposizioni e i controlli di polizia, con l’appoggio dell’esercito, a danno soprattutto dei lavoratori immigrati, sempre più sottoposti a un regime di tipo schiavistico. - 30 ottobre 2008, decreto legge Alitalia: regala la ex compagnia di bandiera agli amici del Cavaliere. - 7 gennaio 2009, decreto legge Gelmini: toglie risorse alla scuola pubblica e favorisce quella privata. - 5 febbraio 2009, il Senato approva il nuovo Pacchetto sicurezza, un nuovo giro di vite contro gli immigrati. Stabilisce tra l’altro che i medici possono denunciare gli immigrati clandestini, che si presentano a loro per ricevere cure. Per contorno, legalizza le «squadracce» padane. Di pari passo, il governo sta mettendo a punto una serie di provvedimenti contro le conseguenze della crisi, che regalano quattrini a padroni e padroncini e impongono sudore e sangue a lavoratori, pensionati e giovani, di ogni sesso, razza e colore. Tutte queste leggi sono passate (o stanno passando) senza incontrare alcun ostacolo istituzionale. E non poteva avvenire diversamente, dal momento che tutte queste disposizioni legislative riflettono un orientamento condiviso non solo dai diversi componenti della classe dirigente italiana, ma anche di quella europea. Un orientamento che, con l’avanzare della crisi, si mostra sempre più omogeneo nello sviluppo di un’azione preventiva, contro le possibili reazioni dei lavoratori, indigeni e immigrati. Ora più che mai, il «manovratore» non deve essere disturbato e su questo sono d’accordo tutti, Berlusconi e Veltroni, Bossi e Di Pietro che, con un voto bipartisan, hanno posto la soglia del 4% per le elezioni europee, tagliando le gambe ai partitini della piccola borghesia nostalgica, di destra e di sinistra. I fuochi delle banlieues francesi dell’autunno 2005 e della Grecia del dicembre 2008 terrorizzano una classe dirigente allo sbando, in grado di vivere solo grazie a rovinose speculazioni finanziarie, di cui Berlusconi è un tipico rappresentante. Ed è in questa logica che si colloca la sua ultima esternazione. Comunque vada, sarebbe un’ulteriore garanzia di immunità. Come è noto, per il Cavaliere i confini tra bene privato e bene pubblico sono assai labili. - In Italia, tra i grandi quotidiani nazionali, solo «La Repubblica» ha sollevato il pericolo di «colpo di Stato», mentre, all’estero, lo spagnolo «El Paìs» parla di «piccolo colpo di Stato». Milano, 8 febbraio 2009

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volantino NOVAT distribuito a Torino il 14 febbraio 80 anni fa il concordato tra Vaticano e governo di Mussolini MA QUANTO COSTA LA CHIESA AGLI ITALIANI? Nella vicenda di Eluana Englaro dei giorni scorsi si è visto il tentativo accanito, da parte del Vaticano e dei partiti politici più conniventi con esso, di imporre a tutto il paese la propria rigida visione della vita come un qualcosa da difendere ad ogni costo, anche quando si tratta di una condizione artificiale, passando sopra la volontà dei singoli individui. Atteggiamento assai ipocrita dal momento che il Vaticano e soprattutto i cattolicissimi politicanti del centro destra partecipano attivamente alla distruzione della vita (vite vere) di uomini donne e bambini ad esempio appoggiando la politica di guerra dell'Italia in Afganistan e altrove. L'ennesima ingerenza della Chiesa nelle vita pubblica avviene mentre ricorre l'ottantesimo anniversario dei Patti Lateranensi, l'accordo dell'11 febbraio 1929 tra Pio XI e Mussolini con cui venne sancita l'alleanza tra stato italiano e Chiesa cattolica. Fu quell'accordo a sancire una serie di privilegi anche economici che perdurano tuttora. In sintesi il Vaticano otteneva il riconoscimento di stato sovrano, l'esenzione dalle tasse sia per i cittadini che per le proprietà; l'esenzione dai dazi sulle merci d'importazione; l'immunità e altri vantaggi per i diplomatici; l'instaurazione dell'insegnamento religioso in tutte le scuole medie superiori statali e soprattutto il pagamento degli stipendi ai preti, la cosiddetta “congrua”, rivalutata annualmente. Dal 1935 in poi e per tutto il periodo della Seconda Guerra Mondiale le finanze vaticane erano così ricche che lo stesso Mussolini ricorse a un prestito per sostenere la guerra in Etiopia. Inoltre il Vaticano deteneva pacchetti azionari nelle principali industrie italiane, fra le quali le Officine Reggiane, la Breda, il comparto aeronautico e altre fabbriche di armi. Il governo "socialista" di Bettino Craxi con la legge 222 del 1985 istituì l'8 per mille. Secondo i dati del 2007 la Chiesa cattolica (o meglio la CEI) con il solo 8 per mille incassa UN MILIARDO DI EURO all'anno, di cui il 20% va in opere di carità e il restante 80 per cento rimane nelle sue casse, e vengono ovviamente investite, ma le aziende in cui ci sono le partecipazioni azionarie sono tenute molto segrete. Inoltre lo Stato paga 950 milioni di euro per 22.000 insegnanti di religione nominati dalla Curia e 700 milioni per convenzioni con scuola e sanità. Nella dichiarazione dei redditi meno del 41% delle persone fa la scelta di devolvere l'8 per mille dell’IRPEF a una chiesa o allo Stato (precisamente il 36,7% sceglie la Chiesa cattolica, il 3,16 lo Stato, quote inferiori le altre chiese); ma i soldi di chi non ha fatto la scelta (perchè non d'accordo a finanziare nessuno di questi soggetti), vengono egualmente devoluti nella stessa proporzione, per cui la Chiesa Cattolica riceve il 90% del totale stanziato. Libertà di pensiero per tutti, ma CHI VUOLE UN DIO SE LO PREGHI E SOPRATTUTTO SE LO PAGHI! Circolo Internazionalista – via Baveno 23 (zona Parella) – Torino

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LOTTE INTERNAZIONALI

Ancora una volta dalla parte dei Palestinesi! Il dibattito pubblico italiano è uno dei peggiori d’Europa. Lo testimonia la sistematica disinformazione sui massacri perpetrati a Gaza dall’esercito israeliano: ne sono responsabili gli stessi media che additano le manifestazioni in solidarietà con i palestinesi come veicoli di antisemitismo. Se tutti i paesi occidentali sono schierati con Israele, in nessuno come il nostro tv e giornali sono così allineati alle scelte criminali di Tel Aviv. Dalla stampa inglese, ad esempio, è emerso l’uso di bombe al fosforo bianco e di altre armi vietate dalla Convenzione di Ginevra del 1980. Sullo statunitense – e non certo pacifista – Washington Post, l’ex presidente Jimmy Carter ha ricordato che non è stata Hamas a rompere la tregua di giugno, ma Israele lo scorso 4 novembre. Sui nostri media tali verità o non vengono menzionate o arrivano ad occupare uno spazio esiguo. E’ indubbio: alcune delle mistificazioni più gravi stanno incidendo sul modo, sempre più stravolto, con cui la gente guarda alla situazione mediorientale. Evidentemente, il problema viene da lontano, precede di molto l’avvio dell’operazione “Piombo Fuso”. La questione palestinese è stata da anni sottaciuta. La condizione disumana vissuta a Gaza ed il fatto che con un Muro di presunta difesa Israele rubi terra e falde acquifere alla Cisgiordania non hanno certo avuto copertura giornalistica. In un simile quadro diventa più difficile, ma anche più importante, svolgere manifestazioni dalla parte dei palestinesi. Per fortuna, da quando è iniziata l’aggressione israeliana a Gaza, vi sono stati momenti di piazza molto partecipati. Si pensi al corteo cittadino che è sfilato a Roma il 3 gennaio, le cui dimensioni hanno sorpreso tutti. Se si analizza quel corteo si scopre che si è retto sulle organizzazioni che in questi anni hanno dato continuità alla mobilitazione a sostegno dei palestinesi, su pezzi – anche sciolti – del “popolo di sinistra” e su una massiccia partecipazione di comunità arabe e islamiche, che, sfidando il linciaggio mediatico, non hanno nascosto la propria identità, anche religiosa. Quest’ultima novità, riscontrabile nei contemporanei e successivi cortei in tutta Italia, va valutata positivamente. Non solo perché non ci si può adagiare su quella “religione della laicità” criticata anche da filosofe femministe nel nome dell’incontro con l’”altro”. Ma anche perché abbiamo di fronte a noi un’occasione unica: il possibile principio di una opposizione all’imperialismo svolta insieme alle comunità immigrate. In molti volantini, in passato, si è inneggiato all’unità con le lotte degli sfruttati dei paesi dominati. Ora questa possibilità si concretizza: gli immigrati sono presenti, nelle loro caratteristiche reali e non in quella vagheggiate dagli antagonisti. Ma c’è un problema. Nei cortei suddetti sono mancati cospicui spezzoni dell’antagonismo sociale, solo pochi anni fa assai più generosi nei confronti della causa palestinese. L’impressione è che sulle prime alcune delle mistificazioni mediatiche cui si accennava prima abbiano attecchito anche negli ambienti antagonisti: in particolare, la riduzione degli accadimenti tragici di questi giorni ad una tenzone fra Israele ed Hamas (lettura ultimamente smentita finanche da un emulo di Andreotti come l’onorevole D’Alema). Intendiamoci, nelle aree antagoniste nessuno accredita castronerie stile Corriere della Sera del tipo “Israele unica democrazia del Medio Oriente, assieme all’Iraq liberato”. Le sofferenze che questo Stato ha inflitto ai palestinesi, sin dalla pulizia etnica che ha coinciso con la sua nascita nel 1948, non sono di certo ignote. Però aver confuso l’infame carneficina attuale con uno scontro Israele-Hamas rimane un segno di debolezza culturale. Ma quali obiettivi persegue Israele con questa offensiva sanguinaria? Va escluso che una delle massime potenze militari del pianeta sia impensierita dal lancio di razzi artigianali, imprecisi e di scarsa efficacia militare. Né l’eliminazione degli armamenti – del resto non cospicui – di cui dispone Hamas è così rilevante. E’ evidente che Israele intende raggiungere due obiettivi strettamente intrecciati. Il primo obiettivo, perseguito attraverso l’indebolimento di Hamas, è quello di arrogarsi la prerogativa di scegliere l’interlocutore con cui proseguire l’eterna pantomima dei

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negoziati di pace. Questi sono utili ad Israele per proseguire la sua politica di aggressione e di espansione territoriale permanente nell’area, sono la migliore delle coperture. Ogni volta costituiscono un arretramento per i Palestinesi, ogni volta sono disattesi sul campo con iniziative di Israele che modificano di continuo i rapporti di forza in proprio favore. Il prossimo interlocutore dovrà essere particolarmente docile e bravo a recitare, perché la possibilità di uno straccio di Stato palestinese è stata da tempo vanificata. Il secondo obiettivo è quello di normalizzare Gaza. Gaza non è solo il più grande campo di concentramento del pianeta, per giunta segnato da una densità abitativa che non ha riscontri da nessuna parte. E’anche il luogo dove i palestinesi riescono nel miracolo di inventare ogni giorno la vita laddove le condizioni per vivere sembrano non esserci più. Ed è un territorio dove regna un clima di rivolta permanente. La capacità collettiva di inventarsi l’esistenza giorno per giorno e l’attitudine alla ribellione si fondono in una resistenza sociale che dovremmo studiare con attenzione. Piegarla definitivamente serve ad Israele, che peraltro a Gaza ha sempre avuto una riserva di manodopera sottopagata. Ma serve anche ai regimi arabi autoritari e corrotti che infatti non hanno levato la voce a favore di Gaza. Per loro, questa Striscia di terra è un virus di rivolta che può propagarsi sino a quelle masse diseredate ed a quel semiproletariato urbano che riescono a domare solo con la forza. Forse bastava questo per far schierare in modo più immediato e deciso gli antagonisti… Resta da chiarire, certo, come questi obiettivi si collochino dentro la partnership tra Israele ed USA ed in relazione alla politica statunitense di controllo del Medio Oriente. C’è chi dice che Israele abbia voluto lanciare un segnale al nuovo Presidente Obama, per sospingerne l’operato in una direzione marcatamente bellicista, volta, ad esempio, a schiacciare il tentativo dell’Iran di definirsi come potenza regionale. Un simile ragionamento si basa su un’apertura di credito del tutto immotivata verso quell’Obama che, nei mesi scorsi, ha manifestato un sostegno totale verso Israele e la volontà di inviare più soldati in Afghanistan. Non ingannino i richiami di Hillary Clinton al soft power o l’annunciata, simbolica chiusura di Guantanamo: il fatto che la mattanza di Gaza sia stata avviata durante una fase di interregno negli Usa, probabilmente è servito ad evitare di imbarazzare Obama. Certo, è raro che le potenze occidentali provino vergogna. La stessa UE non ha mai fatto ammenda per aver contribuito ad isolare e ad affamare la popolazione di Gaza, colpevole di non aver “votato bene”. Già, l’UE, che qualcuno – in qualche immaginifica Tavola della Pace – continua a vedere come “mediatrice tra le parti in conflitto”…. Il sostegno dell’imperialismo europeo ad Israele è netto e si fonda una relazione economica e militare che, negli ultimi anni, si è intensificata. Non manca, infatti, chi caldeggia l’ingresso di Israele nell’Unione Europea. Se poi parliamo più specificamente dell’Italia abbiamo la chiave per spiegare, almeno in parte, l’incredibile sequela di menzogne dei media nostrani. Il fulcro dei rapporti italiani con Israele è rappresentato da quell’Accordo di cooperazione militare che è stato evidentemente sospinto dall’industria bellica (uno dei settori economici trainanti della penisola) e che coinvolge direttamente le Forze Armate. La complicità dell’imperialismo italiano con Israele è dunque totale e comprende anche la messa a punto, peraltro avvolta dal segreto, di strumenti ad alta tecnologia per dispensare la morte su scala di massa! E allora forse è il caso di concludere ribadendo un concetto: essere internazionalisti vuol dire anzitutto contrastare l’imperialismo di casa propria. E oggi lottare contro l’imperialismo italiano vuol dire anche schierarsi senza se e senza ma dalla parte dei palestinesi e denunciare il terrorismo di Stato di Israele. Sabato 17 gennaio, scendiamo in piazza a Roma, a fianco delle comunità immigrate, per denunciare il terrorismo di Stato d’Israele e la complicità italiana nella mattanza di Gaza. Corrispondenze Metropolitane – [email protected] Collegamenti Internazionalisti [email protected]

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LE SPERANZE DEL POPOLO PALESTINESE STANNO SOLO NELL’AZIONE INDIPENDENTE DEL PROLETARIATO MEDIORIEN TALE ED INTERNAZIONALE. DI CERTO NON NELL’AZIONE DELLE DIPLOMAZIE DEGLI IMPERIALISMI USA, EUROPEI O DELL’O NU; NE’ DELLA BORGHESIA PALESTINESE E ISRAELIANA.

Con l’assedio di Gaza, un

milione e mezzo di persone

sono costrette a morire di fame e di sete nell’indifferenza

generale, con la complicità – tra gli altri - anche del Governo

italiano

Abu Mazen prova ad approfittare del braccio di ferro tra

Israele e Hamas per attuare un colpo di Stato che induca il

Consiglio centrale dell’OLP a proclamarlo “presidente della

Palestina” e convocando elezioni anticipate. La sua politica

conferma la attuale natura coerentemente collaborazionista

del partito che fu di Arafat, una tendenza alla mediazione tra

gli interessi nazionali palestinesi e quelli delle potenze

imperialistiche che si è rafforzata dopo i criminali accordi di

Oslo. Espressione degli interessi della grande borghesia

palestinese, economicamente e finanziariamente tutt’altro

che marginale nei paesi arabi ma priva di una propria base

territoriale, tale politica mira a ritagliare una entità statale

palestinese all'interno degli attuali assetti imperialistici, senza

metterli in discussione, e quindi di fatto tradendo la causa del

popolo palestinese.

La complessa situazione all'interno di Israele è segnata da:

� una forte crisi di regime e dei partiti tradizionali,

ulteriormente inasprita dagli scandali che hanno

pesantemente screditato la classe politica (come nel caso

di Katzav, ex presidente, e di Olmert, Primo Ministro,

anche se per poco tempo ancora);

� una forte crisi sociale, che non potendo che acuirsi sotto i

colpi di quella internazionale, condizionerà pesantemente

l’economia israeliana, che è una economia di guerra;

� la crisi egemonica economica e militare dell'alleato

statunitense, che negli ultimi anni ha avuto sullo stato

sionista una pesante ricaduta, come ha dimostrato la

sconfitta di Tsahal nella guerra dei 33 giorni in Libano

durante l’estate 2006.

Questi fattori spingono oggettivamente verso un'ulteriore

svolta a destra della situazione israeliana, svolta della quale

approfitteranno sicuramente i falchi sionisti. Costoro,

sfruttando a proprio vantaggio il processo di disgregazione

sociale e politica, utilizzeranno più efficacemente l’insicurezza

derivante dalla conflittualità con i paesi vicini (Iran, Siria) e la

stessa “questione palestinese” per rafforzare il clima di unità

nazionale e scaricare sulle spalle dei popoli oppressi della

regione e sul groppone delle proprie classi subalterne

(israeliani arabi e proletariato israeliano) il costo della crisi

attuale, una crisi aggravata dal fatto che il sionismo è di per

sé economia di crisi e di guerra.

Ancora una volta emerge con chiarezza che il popolo

palestinese e i popoli della regione mediorientale non

possono aspettarsi nulla di buono: né dalle proprie direzioni

politiche, disposte a svendere la legittima aspirazione

all’autodeterminazione di un intero popolo; né dalla recente

vittoria di Obama che, sebbene chiuda il periodo neocon

statunitense, non vuole (e per la natura degli interessi che

rappresenta non può) cambiare rotta nei confronti del

problema palestinese; né dalle mediazioni dell'Unione

Europea che se, da un lato, ha sostenuto “criticamente”

l’assedio di Gaza, dall'altro, ha occupato il Libano. Gli

Europei, seppure seguendo una linea d'intervento diversa da

quella statunitense (in quanto diversi sono gli interessi che li

legano alla periferia del Mediterraneo - come dimostra p. es.

il progetto Euromed/Unione) non intendono affatto rompere,

anzi intensificano, i rapporti economici e politici con Israele.

Su un altro fronte, i piani di pace dei paesi arabi, siano essi

egiziani o sauditi, facendo più o meno leva sull’OLP o

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trattando direttamente con Hamas, mirano al raggiungimento

di un compromesso con Israele sulla questione di

Gerusalemme e dei territori occupati dopo il '67.

Un compromesso che, lungi dal garantire una reale

indipendenza politica al popolo palestinese, e lungi dal

costituire una soluzione dei problemi strutturali di questo

popolo e dei suoi rifugiati, condurrebbe in un vicolo cieco la

lotta democratica di liberazione nazionale, come è successo

negli anni che vanno dagli accordi di Oslo alla fine della prima

guerra del Golfo, fino alla salutare esplosione della seconda

Intifada nel 2000. Un compromesso con la funzione obiettiva

di “tappo” della lotta, e di disinnesco dell'esplosiva rabbia

popolare del mondo arabo suscitata dalla questione

palestinese.

Come arrivare dunque alla soluzione del conflitto arabo-

israeliano e alla liberazione del popolo palestinese dal giogo

dell’oppressione nazionale?

La soluzione apparentemente più semplice e a portata di

mano, quella che passerebbe per la diplomazia delle grandi

potenze (o del loro strumento, l’ONU), è dunque in realtà –

quand’anche fosse portata a termine, e siamo ben lontani -

una “non soluzione”. Essa porterebbe diritto diritto alla

creazione di uno staterello bantustan, privo di reale ed

effettiva indipendenza politica, buono al più per gli interessi

della borghesia palestinese (e accettabile per quella

israeliana) ma pessima per proletari e contadini palestinesi,

che manterrebbero sulle proprie spalle l’enorme peso del

doppio fardello dell’oppressione nazionale e di quella di

classe.

L’unica soluzione possibile passa, invece, per la lotta politica

indipendente dei proletari e contadini palestinesi e israeliani,

una lotta liberata dalla sudditanza agli interessi delle proprie

borghesie collaborazioniste con l’imperialismo, una lotta che

li veda schierati su un unico fronte per una Palestina unica e

laica.

La soluzione del conflitto arabo-israeliano non può che

passare infatti attraverso lo scontro diretto con l’imperialismo

USA e gli imperialismi europei, principali responsabili dei

conflitti nella regione, e l’opposizione intransigente al

sionismo, agente e complice del mantenimento del giogo

imperialista nella regione. Questa battaglia del proletariato e

del popolo palestinese, non può prescindere dall'intervento

diretto dell’avanguardia operaia e giovanile israeliana, che già

negli anni '70 e nella prima guerra del Libano dell'82 aveva

saputo contrastare la propria borghesia. Senza

un'opposizione ferma e incondizionata alla propria borghesia,

ai carcerieri dei popoli oppressi della regione, i lavoratori

israeliani saranno condannati a farsi complici dei crimini

perpetrati da essa, a perpetrare le condizioni dello

sfruttamento cui essi stessi sono sottoposti, e infine – vista la

situazione di guerra permanente in cui sono costretti a vivere

- a farsi carne da cannone per gli interessi dell’imperialismo.

Nelle metropoli imperialiste, e dunque anche da noi in

Italia, il compito più urgente di tutte le forze che dichiarano

di essere solidali con i popoli oppressi e di voler opporsi in

Italia alla politica anti-operaia e imperialista del proprio

governo, a cominciare dal sindacalismo di base e dalla

sinistra antagonista, dovrebbe essere quello di creare un

fronte politico unito che si schieri incondizionatamente a

fianco delle resistenze contro l’imperialismo e il sionismo. È

l'unico modo per rafforzare le posizioni di chi intende lottare,

assieme al proletariato e alle classe subalterne della regione,

per l’effettiva liberazione nazionale e sociale. Il

fondamentalismo religioso, ebreo o islamico, è il prodotto

delle sconfitte dei proletariati e dei popoli della regione a

tutto vantaggio dell’imperialismo, e non il contrario.

• Contro l’imperialismo USA ed europeo, le

occupazioni militari ONU e il sionismo!

• Contro la falsa soluzione dei “due popoli

due stati”, che mantiene la doppia

oppressione nazionale e di classe.

• A fianco delle resistenze, per una

Palestina unica, operaia, contadina e

socialista, nella quale possano vivere in

pace i lavoratori arabi ed ebrei!

Collettivo Comunista di via Efeso – Roma (aderente a Collegamenti Internazionalisti) [email protected] - www.collcomunista-viaefeso-roma.blogspot.com 2008-11-25 - fip via efeso, 2a - RM

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A FIANCO DELLA RESISTENZA PALESTINESE PER L’UNITA’ DI TUTTI GLI OPPRESSI

Nonostante la vergognosa informazione partigiana della stampa ufficiale sulla terroristica aggressione messa in atto dallo stato di Israele contro il popolo di Gaza, stanno crescendo in tutto il mondo le mobilitazioni e le proteste contro la politica genocida israeliana. È evidente che l’obiettivo finale dello stato sionista d’Israele è la definitiva espropriazione ed espulsione di tutti i palestinesi dai loro territori completando quel progetto già realizzato tenacemente in tutti questi anni nel resto della Palestina. Il futuro lasciato ai palestinesi è quello di una popolazione apolide dispersa per tutto il medio oriente da costringere, attraverso una politica di ricatto e di totale mancanza di diritti, a diventare una massa da sfruttare in condivisione con i corrotti regimi arabi circostanti e con quegli stessi palestinesi che decidono di collaborare con i propri oppressori, come sta facendo da tempo l’autorità palestinese di Abu Mazen. Ma a beneficiare dei risultati di tale politica sarebbero soprattutto le grandi potenze occidentali attraverso le leve della grande finanza e delle imprese multinazionali che esse controllano. Il sostegno dato ad Israele da parte dei principali paesi imperialisti, tra cui in prima fila l’Italia, è il frutto di questa strategia, ed essa ha di mira il definitivo controllo su tutte le masse del medio oriente e delle enormi risorse che si trovano in quei territori.

Le lacrime di compassione versate da qualche governante occidentale non devono trarre in inganno: gli Usa e l’Europa sono i principali mandanti della politica israeliana che senza il loro sostegno non sopravviverebbe come entità statale artificiale un solo giorno. Né fa eccezione l’ONU che ancora una volta si è rivelata un docile strumento nelle mani delle grandi potenze e le cui risoluzioni vengono attuate solo quando favoriscono i loro progetti di aggressione.

Non si tratta quindi di invocare l’intervento delle istituzioni occidentali, poiché esse lo stanno gia facendo con il sostegno diplomatico, economico e militare ad Israele. Questi non sono gli interlocutori né del popolo palestinese e nemmeno del movimento di sostegno alla sua resistenza ma sono i veri responsabili dell’etnocidio dei palestinesi e della politica di oppressione degli altri popoli arabi attraverso i governi asserviti alle potenze imperialiste.

È contro tali istituzioni che va indirizzata la protesta denunciando le loro responsabilità, con la consapevolezza che attraverso il rafforzamento dell’oppressione del popolo palestinese si rafforza anche il potere dei governi occidentali verso i lavoratori dei propri paesi, come è gia successo in questi anni punteggiati da ripetute aggressioni contro i popoli che si sono ribellati alle conseguenze della politica di sfruttamento ed oppressione di cui erano vittime.

I nostri unici alleati sono le masse palestinesi che stanno resistendo strenuamente contro un nemico che non esita a ricorrere alle più micidiali armi di distruzione di massa contro una popolazione inerme, sono i tanti migranti arabi ed islamici residenti in Italia che giustamente avvertono questa ennesima aggressione imperialista come un attacco che li colpisce direttamente. Ma lo sono ugualmente quei coraggiosi israeliani che nonostante lo stato di guerra sono scesi in piazza per protestare contro la terroristica politica del proprio governo, consapevoli che senza porre fine all’oppressione del popolo palestinese non vi sarà pace nemmeno per gli israeliani.

Rafforziamo la solidarietà ed il sostegno alla resistenza del popolo palestinese. Unità con i migranti di tutte le nazionalità contro i tentativi di divisione e di contrapposizione portata avanti dai nostri governati.

COMITATO CAMPANO DI SOLIDARIETA’CON LA PALESTINA

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CONTRO IL MASSACRO PERPETRATO DALLO STATO RAZZISTA D’ISRAELE, CON LA COMPLICITA’ DEI PAESI IMPERIALISTI, SVILUPPIAMO LA PIÙ AMPIA SOLIDARIETÀ DI CLASSE ALLA RESISTENZA DELLE MASSE PALESTINESI!

La terza settimana del massacro dei Palestinesi di Gaza fa ascendere a più di mille il conto dei morti, cui si aggiungono migliaia di feriti e mutilati, la distruzione delle abitazioni e delle infrastrutture, la progressiva estinzione di ogni possibilità di vita civile, la riduzione di un popolo a bersaglio vivente dell'esercito israeliano. La mattanza in corso, preparata da un interminabile assedio con cui Tel Aviv ha prostrato i Palestinesi della Striscia (e che ha deliberatamente mantenuto durante i sei mesi in cui Hamas ha sospeso il lancio di razzi), è del tutto in linea con la natura e l'azione dello Stato sionista, dalla sua costituzione in poi. Nato dal terrore sistematico contro le popolazioni arabe, Israele si è mantenuto e rafforzato nei suoi quarant'anni di vita attraverso la repressione più brutale, le guerre, le rappresaglie più feroci, lo sfruttamento economico dei Palestinesi e la rapina delle loro risorse (dalla terra all'acqua), l'imposizione di un feroce apartheid (di cui il "muro della vergogna", elogiato da Rutelli, non è che l'espressione più rivoltante), l'incessante colonizzazione degli stessi territori occupati nel 1967 e la protezione militare degli avamposti sionisti, il massacro sistematico dei civili (erano i fedeli alleati cristiano-maroniti di Israele i macellai che, col beneplacito di Sharon, sterminarono nel 1982 uomini donne e bambini nei campi profughi di Sabra e Chatila). Lo scopo che lo Stato sionista persegue, con l'appoggio strategico dell'imperialismo USA e quello subordinato, ma sempre più corposo e significativo, delle potenze europee – Italia compresa – è la definitiva dispersione del popolo palestinese, la sua riduzione ad una massa informe di profughi, costretti a mendicare, per sopravvivere, gli "aiuti umanitari" dell'ONU o a vendere la propria forza-lavoro, per un salario da fame, alle imprese israeliane, sotto la continua minaccia dell'eliminazione fisica. Ma l'eroica resistenza di Gaza dimostra ancora una volta che i sionisti non avranno vita facile, che le masse palestinesi e i militanti che, armi alla mano, si oppongono strenuamente all'avanzata di Tsahal non intendono cedere senza combattere! Allo stesso tempo, la resistenza armata all'espansionismo israeliano rende ancor più evidente che nessuna prospettiva di liberazione, nessun diritto vero all'autodeterminazione può essere raggiunto per via "negoziale", secondo i piani dell'ANP di Abu Mazen. E' proprio la bancarotta completa delle principali componenti del nazionalismo "laico" palestinese, vendute all'imperialismo e del tutto inclini a ritagliare una base territoriale per gli interessi della borghesia palestinese nell'ambito dell'attuale assetto di spartizione del Medio Oriente e con il consenso delle grandi potenze che ha fatto lievitare l'appoggio popolare a quelle forze che, come Hamas, continuano a battersi contro Israele. La strategia del mini-Stato, rinunciataria e disfattista rispetto agli stessi compiti democraticorivoluzionari della lotta palestinese, si è nel tempo grottescamente trasformata in senso peggiorativo, assumendo come obbiettivo finale l'edificazione di un vero e proprio bantustan su quei brandelli dei Territori Occupati, eventualmente concessi dalla borghesia israeliana. Si tratta di una prospettiva reazionaria, che consegnerebbe definitivamente le masse palestinesi ad un futuro di miseria, repressione e umiliazione senza fine. Tuttavia, gli attuali equilibri fra le potenze imperialistiche e fra queste e le borghesie arabe del Medio Oriente – interessate a sfruttare tatticamente la questione palestinese, ma non certo ad appoggiare la lotta contro la presenza israeliana, come dimostra ad esempio la chiusura delle frontiere operata dall'Egitto – non consentono neanche questa soluzione. Ne è prova, ad esempio in Italia, l'unanime schieramento delle forze politiche a sostegno delle "esigenze di sicurezza" di Israele. L'unica voce dissonante, nel quadro istituzionale, è stata quella dell'ex ministro degli esteri D'Alema, che ha lamentato uno sbilanciamento unilaterale su Tel Aviv. Si tratta del tentativo di dar voce a quelle componenti dell'imperialismo italiano ed europeo che avvertono l'esigenza di mantenere e rafforzare una presenza nel Medio Oriente, in modo da rendere più flessibile il quadro strategico definito dalla

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ferrea alleanza di Tel Aviv con Washington, per aver più peso nell’Area controbilanciando il peso degli USA. La solidarietà che il proletariato e i militanti rivoluzionari devono dare alla lotta palestinese, invece, non ha nulla a che fare con tali posizioni. Si tratta di combattere gli interessi di tutte le potenze imperialistiche, compresa l'Italia e l'azione che essa svolge in tutte le aree in cui è impegnata, a partire da Libano, dove opera con un contingente militare di grande dimensione. Non si può avere alcuna illusione su un preteso ruolo "di pace" che l'Italia potrebbe svolgere nello scacchiere mediorientale, magari con la modifica degli equilibri politici che sostengono l'attuale governo. In realtà, soprattutto quando sono in ballo gli interessi imperialistici dell'Italia a livello internazionale, centro-destra e centro-sinistra agiscono all'unisono per difenderli. In Medio Oriente, l'azione "pacifica" dell'Italia, al pari delle altre "grandi potenze", consiste nell'esportare capitali, sviluppare i commerci, trafficare armi, legalmente e clandestinamente, trescare con la borghesia israeliana e con le diverse frazioni delle classi dominanti arabe. Per tale via, essa contribuisce a mantenere l'oppressione, la violenza e lo sfruttamento delle masse palestinesi e contro tutto ciò va indirizzata la lotta qui in Italia. Allo stesso tempo, l'appoggio incondizionato alla resistenza di Gaza e alla lotta palestinese in generale passa per la denuncia di qualunque posizione faccia perno sulla rivendicazione "due popoli due Stati", verso cui è orientata una parte di coloro che pure vorrebbero mettere fine all'oppressione esercitata da Israele. Tale prospettiva condannerebbe i Palestinesi nell'attuale ghetto e lascerebbe immutata la realtà dello Stato sionista. Al contrario, l'autodeterminazione deve riguardare non soltanto Cisgiordania e Gaza, ma gli stessi territori su cui è avvenuta la fondazione d'Israele nel 1948 e ciò significa la sua distruzione in quanto Stato sionista, la costituzione di un'entità statale in cui arabi ed ebrei possano convivere pacificamente e il diritto al ritorno per tutti i profughi palestinesi. E' una prospettiva che entra in rotta di collisione non soltanto con lo Stato sionista, ma con l'ordine imperialistico in Medio Oriente - di cui Tel Aviv è sempre stato uno dei perni fondamentali - e con gli interessi di tutte le borghesie arabe dell'area. La borghesia rappresentata dall'ANP si riterrebbe appagata dall'ottenimento di un simulacro di Stato, in cui la bandiera palestinese potesse sventolare sulle baraccopoli dei Territori Occupati, perché in tal modo il capitale finanziario di origine palestinese e la borghesia agraria potrebbero avvalersi di un "territorio", per quanto misero e potrebbero usare il retaggio di odio delle masse verso Israele per perpetuare il controllo sociale e politico sulle masse palestinesi. Queste ultime, invece, non hanno nulla da salvare in una simile prospettiva: ad esse serve l'autodeterminazione come primo passo per rimettere in discussione la divisione e l'oppressione imperialistica in Medio Oriente; occorre scardinare lo Stato sionista d'Israele, rilanciare il processo democratico-rivoluzionario, unirsi agli sfruttati del Vicino Oriente per riaprire la strada dell'emancipazione del proletariato e delle masse povere in tutta l'area. Questo sarà possibile, se tra le varie condizioni si determinerà la formazione di una forza comunista in sostituzione dell’attuale dirigenza palestinese di Hamas e FPLP. Queste forze, che oggi dirigono eroicamente la resistenza,sono su una prospettiva e ottica nazionalista (Hamas si batte per uno Stato confessionale islamico), che si basa sugli “aiuti” e appoggi degli Stati e Governi arabi, anche quelli palesemente venduti e non sui proletari e le masse povere dell’area Mediorientale CHI METTE SULLO STESSO PIANO OPPRESSI ED OPPRESSORI E’ COMPLICE DEL MASSACRO! CONTRO LA VIOLENZA SIONISTA E LO STATO RAZZISTA D’ISRAELE! CON LA RESISTENZA DEL POPOLO PALESTINESE, PER LA RIVOLUZIONE IN TUTTO IL MEDIO ORIENTE CONTRO LA POLITICA IMPERIALISTA DELLE GRANDI POTENZE, ITALIA COMPRESA! FUORI LE TRUPPE IMPERIALISTE DA LIBANO, IRAQ, AFHANISTAN E JUGOSLAVIA! Gruppo Comunista Rivoluzionario (il lavoratore comunista) [email protected] - 2009-01-17 - Fot. in prop

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CONTRO L’AGGRESSIONE ISRAELIANA A GAZA! SOLIDARIETA’ CON LA RESISTENZA DEL MARTORIATO POPOLO PALESTINESE!

Da almeno tre settimane stiamo assistendo al perpetuarsi delle ennesime ingiustizie, violenze, aggressioni militari da parte dell'esercito Israeliano nei confronti del già martoriato popolo Palestinese che vive nella striscia di Gaza.

A 19 giorni dall’inizio dell’operazione “Piombo fuso” si contano ormai più di 1000 morti, un terzo dei quali sono bambini, e oltre 4600 feriti. Queste cifre parlano da sole: con le bombe al fosforo bianco, i bombardamenti a tappeto da terra, cielo e mare su popolazioni civili, lo Stato d’Israele non è solo fuori

legge (quelle di cui si è dotata la cosiddetta “comunità internazionale”) e non solo meriterebbe di essere riconosciuto come vero e proprio “Stato canaglia”.

Con questa offensiva il governo israeliano, a poche settimane delle elezioni in Israele, vuole rifarsi un’immagine da “duro” nei confronti dell’opinione pubblica israeliana. Inoltre, l’obiettivo è quello di terrorizzare e dare una lezione al popolo palestinese, colpevole di avere “votato male” per Hamas durante le elezioni democratiche organizzate nel 2006 e infliggere un duro colpo alla resistenza palestinese; obiettivo attualmente solo parzialmente raggiunto poiché limitato a un contenimento dei lanci dei razzi Kassam verso Israele.

Il governo Israeliano di Olmert si fa forte delle garanzie militari offerte dell’amministrazione USA uscente e del tacito consenso del neo-eletto presidente Obama. L’Unione Europea, dopo un primo sostegno esplicito ai bombardamenti aerei, si fa ormai più critica nei confronti di Israele. In effetti, l’operazione potrebbe avere delle conseguenze imprevedibili e, riaccendendo la

polveriera mediorientale, potrebbe mettere in pericolo gli stessi interessi degli imperialismi europei nella regione. Nonostante le lacrime di coccodrillo versate sui morti civili palestinesi, i governi europei sia di centro-sinistra sia di centro-destra (in Italia, l’attuale governo ma anche quello precedente di Prodi-D’Alema-Ferrero) sono in realtà corresponsabili della situazione attuale: sono loro ad aver decretato l’embargo su Gaza, sono loro a occupare il Libano. Chiedendo un cessate il fuoco che mette sullo stesso piano oppressi, cioè la popolazione palestinese e la resistenza, e oppressori, il governo israeliano e il suo esercito, i paesi imperialisti europei e l’Onu in realtà appoggiano il massacro perpetrato da Israele.

Di fronte alla situazione attuale, una vera e propria operazione di pulizia etnica di un popolo reo di rivendicare e lottare per il proprio diritto a vivere nella sua Terra, numerose manifestazioni si sono susseguite in tutto il mondo, nelle capitali europee, nei paesi arabi e perfino in Israele.

Testimoniare un’elementare solidarietà nei confronti del popolo palestinese vuole anche dire lottare contro il governo Berlusconi, amico, come Prodi, di Olmert e complice della situazione che vivono i Palestinesi e i popoli oppressi della regione, dal Libano all’Afghanistan, paesi entrambi occupati da truppe italiane. Manifestare la nostra solidarietà vuole anche dire collegare la lotta contro l’aggressione sionista alla lotta contro le politiche anti-popolari e anti-operaie portate avanti dal governo. È quello che hanno fatto, negli ultimi giorni in Grecia, gli studenti e i lavoratori, che continuano a manifestare e a lottare contro il governo Caramanlis.

Gaza: un vero e proprio ghetto Da anni Gaza sopravvive come un vero e proprio ghetto. Uno spietato isolamento economico, politico e culturale la separa dal mondo. Un milione e mezzo di abitanti prigionieri dell’esercito israeliano e privati di tutto: alimenti, combustibile, elettricità, medicine, materiale per la scuola. La popolazione – da sessant’anni sotto il giogo di una barbara oppressione – subisce oggi questo feroce “castigo” collettivo per aver commesso il delitto di votare “democraticamente” per Hamas. I palestinesi nella striscia di Gaza erano stati condannati dal Governo israeliano a una morte lenta: quasi l’80% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, il tasso di disoccupazione raggiunge il 65%; lo stipendio annuo è di 443 euro all’anno, ovvero 1,36 euro al giorno. Il 60% dei bambini soffrono di denutrizione. La libertà di circolazione tra la striscia di Gaza, la Cisgiordania, Gerusalemme e tra queste e il mondo esterno è impedita. Circa 260 persone sono morte durante lo scorso anno per mancanza di medicinali e perché impossibilitate a uscire dal territorio. L’unica fabbrica di medicinali è ferma per la mancanza di materie prime. Più di 1500 containers di materie prime sono bloccati nei porti israeliani. I progetti di costruzione e sviluppo di strutture sanitarie e istituti scolastici sono stati sospesi. Le interruzioni di elettricità sono quotidiane.

Lo stato di Israele è razzista Israele rappresenta così in Medio Oriente quello che il Sudafrica dell’Apartheid rappresentava per l’Africa australe: una sorta di “colonia” che impone alle popolazioni autoctone una dominazione connotata in senso razzista, la cui esistenza non sarebbe possibile senza l’aiuto delle potenze imperialiste “in cambio dei servizi prestati” in questo caso agli Stati Uniti e ai paesi dell’Unione Europea. Quando un governo giudica che la vita di un soldato israeliano è più importante di quella di cento bambini e civili palestinesi, lo Stato rappresentato da questo governo è uno stato razzista. Quando le forze armate nei territori occupati illegittimamente proibiscono ai civili di spostarsi, di andare a prendere l’acqua dai pozzi e dalle fonti, di lavorare nei campi, visitare le proprie famiglie, andare a scuola o al lavoro, transitare da un villaggio a un altro, portare soccorso medico ai bambini malati, lo stato rappresentato da questo governo è uno stato razzista e colonialista. Quando il governo sionista costruisce il muro della vergogna per chiudere in un ghetto il popolo palestinese, rade al suolo case e oliveti, caccia, espelle, imprigiona, tortura, affama, questo governo e il suo esercito appartengono a uno stato razzista e colonialista.

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Abbasso l’aggressione israeliana contro Gaza! Viva la resistenza del popolo palestinese! Per la sconfitta del sionismo e di tutte le forze imperialiste di occupazione nella regione, a cominciare dal Libano e dall’Afghanistan! Contro il governo e la borghesia italiana, complici dell’offensiva israeliana, sviluppiamo il percorso di mobilitazione di solidarietà con il popolo palestinese, portiamo la battaglia sui luoghi di lavoro e di studio per rafforzare e unificare le vertenze in corso contro la politica anti-operaia di Berlusconi e l’ondata di licenziamenti! MANIFESTAZIONE NAZIONALE ROMA - 17 gennaio - 15,30 – P.za Vittorio Emanuele COLLETTIVO COMUNISTA DI VIA EFESO [email protected] http://www.collcomunista-viaefeso-roma.blogspot.com/ Roma, 14/1/09, fotinprop Via Efeso 2a

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Il movimento No War prepara la sua agenda per il 2009:

Report della assemblea nazionale del 17 gennaio a Roma

Sabato mattina, prima della manifestazione per la Palestina, si è tenuta a Roma la prevista assemblea nazionale del Patto Permanente contro la Guerra. La concomitanza con la manifestazione ha ridotto la presenza numerica ma non la rappresentatività delle realtà presenti che hanno contribuito al dibattito dell'assemblea. Rispetto all'ordine del giorno originario - preparazione della mobilitazione europea di aprile contro il vertice della NATO a Strasburgo - si è imposta nella nostra agenda la questione palestinese sia per gli effetti dell'aggressione israeliana a Gaza sia per la manifestazione pomeridiana che ha rivelato, ancora una volta, le potenzialità di mobilitazione e partecipazione esistenti nel paese indipendentemente dagli apparati politici, sindacali, associativi ufficiali e bipartizan. La discussione ha visto quindi alternarsi spunti sulla Palestina e sulla NATO, sulle campagne di boicottaggio verso Israele e per la chiusura delle basi militari. Dopo le introduzioni di Nella Ginatempo, Sergio Cararo, Piero Bernocchi,Cristina Tuteri, Franco Grisolia e Alberto del Movimento Umanisti, il dibattito politico è stato buono e c'era una buona rappresentanza degli attivisti e attiviste delle varie reti contro la guerra come Roberto Luchetti di Disarmiamoli e Luca della reteNowar di Roma, Angelo da Genova, Tiziano, Marco e Angelo Baracca da Firenze, Oreste Strano da Novara, Angelica da Napoli, Antonella da Lecce, Alfonso ed Ernesto da Catania. Interessante il contributo anche di Giorgio Massi ex ammiraglio oggi ritirato, di Mauro Cristaldi, Edvino Ugolini, Edoardo di Terni e dell'Assopace. E' emersa da tutti la volontà di continuare a organizzarsi e lottare a rete sui territori contro il sistema di guerra permanente. Le proposte emerse possono essere così riassunte: 1) unificare il percorso Palestina e NATO e proporre di fare la manifestazione a Strasburgo anche sul tema Palestina;

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2) La creazione di un apposito gruppo di lavoro per preparare la partecipazione italiana di massa alla manifestazione di Strasburgo del 4 aprile; 3) organizzare la prossima assemblea del Patto contro la guerra a metà marzo a Napoli dove rilanciare la campagna contro le basi militari con annessa iniziativa di mobilitazione presso il porto di Napoli davanti al comando centrale della NATO. Serve come preparazione di Strasburgo ma anche come rilancio della iniziativa nostra sui territori. Su questo arriverà una mail del gruppo di Napoli e della rete semprecontrolaguerra; 4) proposta di seminario a Niscemi-Sigonella entro febbraio sul sistema MUOS, Africom e le funzione di Sigonella nel Mediterraneo tra cui il pattugliamento militare anti-immigrati. A tale proposito è necessario unificare la lotta contro la guerra esterna a quella contro la guerra interna ai migranti; 5) Convegno a Vicenza il 24 marzo nel decimo anniversario dei bombardamenti della NATO contro la Jugoslavia; 6) E' stato proposto anche di fare una iniziativa pubblica in piazza a Terni a marzo per ricordare il primo morto italiano della protesta antiNATO nel 1949, un operaio delle acciaierie di Terni ( la proposta è da articolare e da preparare con le varie realtà dell'Umbria); 7) La partecipazione attiva alla campagna di Boicottaggio-Disinvestimento-Sanzioni contro Israele Qui di seguito il volantino che il Patto permanente contro la guerra ha distribuito alla manifestazione per la Palestina di sabato 17 gennaio Fermiamo il massacro dei palestinesi a Gaza Basta con l'impunità del terrorismo di stato Israeliano Rompere ogni complicità politica, militare, economica tra lo stato italiano e Israele Revocare la cooperazione militare Italia-NATO-Israele Gaza è assediata per terra e per mare da due anni chiudendo in trappola un milione e ottocentomila persone. La tregua non è stata rotta da Hamas o dalle altre organizzazioni palestinesi attive nella Striscia di Gaza ma dalle autorità israeliane che durante la "tregua" hanno ucciso 25 palestinesi, effettuato arresti e rastrellamenti in Cisgiordania, mantenuto chiusi i valichi impedendo ai palestinesi di Gaza di entrare, uscire o ricevere i rifornimenti necessari per sopravvivere. Dal 28 dicembre ad oggi l'esercito di occupazione israeliano ha prodotto più di mille morti di cui più di 300 bambini, cui si assommano migliaia di feriti che non possono essere curati negli ospedali. Perché questi ultimi non hanno le cure e le attrezzature necessarie dopo due anni di embargo, perché vengono continuamente bombardate e cannoneggiate anche le strutture sanitarie comprese ambulanze e mezzi della Croce rossa e dell'ONU, sia perché i feriti sono migliaia e sopravanzano i posti di ricovero e cura sia perché, ed è il fatto ancora più grave, si tratta di feriti da armi da guerra tecnologiche chiamate DIME che provocano mutilazioni sconosciute o da armi chimiche come il fosforo bianco. I morti e i feriti di Gaza sono l'ennesima azione di "pulizia etnica" che lo Stato israeliano sta portando avanti attraverso una guerra di occupazione che dura da 60 anni. Complici del terrorismo di Stato israeliano, l'appoggio militare statunitense e il silenzio dei governi europei, che lasciano proseguire indisturbato in Medio Oriente il tentativo di cancellare la Palestina dalle carte geografiche, e con essa il suo popolo. Pertanto quella in corso nella Striscia di Gaza non è una guerra ma una gigantesca carneficina compiuta dalla terza forza aerea al mondo contro una popolazione indifesa che non solo non ha uno Stato ed un esercito per difendersi ma è chiusa in una prigione a cielo aperto dalla quale gli è impedito di scappare. Lo sterminio della popolazione di Gaza non è un "uso sproporzionato della forza" per reagire ai razzi lanciati da Hamas sulle località israeliane del

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Sud della Striscia , bensì un'azione premeditata e preparata da tempo come ammesso dallo stesso Ehud Barak.. Non guerra dunque, né atto di autodifesa, ma genocidio di un popolo per espellere tutti coloro che ostacolano il dispiegarsi totale dello Stato sionista monoetnico e confessionale. Tutti coloro che Barak ha definito " entità terrorista" il che esprime una logica genocida, la rappresaglia contro un intero popolo colpevole di esistere e di avere eletto democraticamente Hamas. NO AL SIONISMO SI AL BOICOTTAGGIO Di fronte al genocidio della Palestina dobbiamo provare a spiegare al mondo che il Sionismo è un'ideologia che appoggia la pulizia etnica, l'occupazione, e ora l'omicidio di massa. Ciò di cui ora si sente il bisogno non è solo di una condanna della strage in corso, ma anche della delegittimazione di un'ideologia che produce quella politica e la giustifica moralmente e politicamente. Tanto quanto l'ideologia dell'Apartheid ha spiegato le politiche oppressive del governo sudafricano, questa ideologia ha permesso a tutti i governi israeliani del passato e del presente di de-umanizzare i palestinesi ovunque essi si trovino e di aspirare a distruggerli. Collegando l'ideologia Sionista e le politiche del passato alle presenti atrocità, saremo in grado di fornire una spiegazione logica e trasparente alla campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni che oggi è il mezzo più efficace da portare avanti. Isolare politicamente Israele come fu fatto per il Sud Africa e il suo apartheid può realizzarsi attraverso il boicottaggio di massa, in tutto il mondo, dei prodotti commercializzati da Israele. Ciò può essere un modo efficace per stimolare l'opinione pubblica, non solo contro l'attuale politica di genocidio a Gaza, ma per cercare una soluzione politica più avanzata per la causa palestinese. Aderiamo alla campagna internazionale per il boicottaggio dei prodotti israeliani, invitiamo tutti a non acquistare i prodotti provenienti da Israele contrassegnati con il codice a barre 729. CHE FARE ? Dobbiamo agire qui ed ora sugli obiettivi minimi (aprire e proteggere subito i corridoi umanitari in Egitto e in Israele per far defluire la gente, ma soprattutto fermare l'offensiva militare israeliana), sugli obiettivi intermedi (sanzioni contro Israele per ottenere l'abolizione dell'embargo e dell'assedio, campagna di boicottaggio economico e politico, denuncia delle complicità nel nostro paese) e sugli obiettivi politici generali, esigendo l'isolamento politico di Israele con il ritiro dell'esercito dai territori occupati, la fine dell'occupazione coloniale, l'abolizione del muro e il deferimento alla Corte penale internazionale dei criminali di guerra israeliani. Stiamo preparando anche in Italia la campagna internazionale per lo scioglimento della NATO e lo smantellamento delle basi militari che vedrà nei prossimi mesi molte mobilitazioni in Europa e nel nostro paese. In questi anni la cooperazione militare tra la NATO, l'Italia e Israele è cresciuta vertiginosamente. I risultati si sono visti nelle distruzioni e devastazioni operate dalle forze armate israeliane contro le città e le popolazioni palestinesi. Questa cooperazione militare va fermata a tutti i costi. Israele deve essere perseguita per crimini di guerra. La NATO va sciolta. Le basi militari vanno smantellate. Su questi obiettivi dal 17 gennaio verrà avviata una campagna in tutta Italia e a livello internazionale. STOP IMMEDIATO DELL'ATTACCO MILITARE ALLA STRISCIA DI GAZA FINE DELL'EMBARGO CONTRO LA POPOLAZIONE PALESTINESE SOSPENSIONE DI TUTTI GLI ACCORDI POLITICI, ECONOMICI E MILITARI TRA ITALIA E ISRAELE FINE DELL'OCCUPAZIONE ISRAELIANA DELLA PALESTINA VITA, TERRA E LIBERTA' PER IL POPOLO PALESTINESE

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Solidarietà con Gaza Giovedì 29 gennaio h 18.30 al Politecnico Torino_c.so Duca degli Abruzzi 24 Torino

Gaza: vecchie e nuove armi, vecchie e nuove atrocità. L’aggressione militare israeliana dall’aria, dal mare e da terra, ha ormai assunto le proporzioni di un massacro di civili e sussistono rischi concreti di un estensione del conflitto. Non possiamo rimanere indifferenti! I lavoratori e le lavoratrici del Politecnico di Torino, gli studenti e le studentesse si sono indignati e hanno manifestato la loro solidarietà con i popoli aggrediti. Guerre scatenate periodicamente contro Paesi estremamente più deboli dagli aggressori (di solito c’è una coalizione ampia); il prezzo più alto è dunque pagato dalla popolazione civile. Il risultato di tali aggressioni è quello di decimare le popolazioni, sia a breve termine, con le uccisioni, sia a lungo termine con la devastazione delle infrastrutture, con lo spaventoso degrado della vita quotidiana, con le conseguenze sulla salute delle armi vecchie e nuove, anche chimiche, utilizzate sul territorio. I bambini, in particolare, pagano il prezzo più alto, per numero di vittime e per le mutilazioni, ma anche per i profondi traumi psicologici indotti dal terrore, per la denutrizione e le malattie. Dibattito: Gaza: vecchie e nuove armi, vecchie e nuove atrocità.

Giovedì 29 gennaio 2009 ore 18.30 Aula Magna del Politecnico di Torino

c.so Duca degli Abruzzi 24 Torino Interverranno:

• Paola Canarutto, Rete degli Ebrei contro l’Occupazione • Semir Garshasbi Associazione Culturale Italia Iran • Sami Hallac Comitato di solidarietà con il Popolo Palestinese • Kutaiba Younis Comitato “Ricordare la Nakba”

• •Massimo Zucchetti scienziati e scienziate contro la guerra

Ore 20.30 concerto di solidarietà e sottoscrizione per la campagna di solidarietà con la popolazione civile Palestinese. Torino 19 gennaio 2009 RSU Politecnico di Torino ASSEMBLEA NO TREMONTI Politecnico di Torino A TREGUA A GAZA NON METTE FINE ALL�OPPRESSIONE PALESTINESE!

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OCCUPAZIONE DEL KING’S COLLEGE IN SOLIDARIETÀ CON GAZA! Attualmente sono occupate circa dieci università inglesi, inclusa l'università di Oxford, con l'occupazione della famosa libreria Bodleian e il King's College di Londra (cosa senza precedenti!). Ma la cosa più importante e che altre università si stanno unendo alla protesta. Grazie di far circolare la notizia e di esprimere la vostra solidarietà ai blog indicati dopo. Gli studenti del King's College hanno occupato per richiedere una presa di posizione da parte della istituzioni. La decisione nasce dalla volontà del King' College di concedere un dottorato ad honorem a Simon Peres, per il riconoscimento della sua "soluzione pacifica del conflitto in Medio Oriente", nel novembre del 2008. Noi crediamo che sia altamente irresponsabile da parte di un college concedere questo titolo a personalità dalle reputazioni così controverse senza prima consultare gli studenti, che costituiscono la parte principale dell' università. Il conseguente silenzio del rettore sul devastante attacco alla Striscia di Gaza è stato allo stesso modo osceno. Le raccapriccianti azioni di Israele hanno ucciso più di 1300 Palestinesi e causato migliaia di feriti. Decine di migliaia di civili sono profughi, rimasti senza casa. Il capo dell'agenzia dell'ONU per i rifugiati palestinesi a Gaza, John Ging, si è unito all'appello internazionale per far luce sui crimini di guerra del recente attacco. Israele è accusato di usare armi vietate come le bombe al fosforo, di attaccare presidi medici, inclusa l'uccisione di dodici persone fra il personale in servizio su ambulanze, l'uccisione di un gran numero di poliziotti che non avevano nessun ruolo militare e molte altre atrocità. Peres ha supportato vergognosamente tutto questo. Quindi facciamo le seguenti richieste: Il King's College di Londra deve rilasciare una dichiarazione ufficiale di condanna alle azioni di Israele nella Striscia di Gaza, sottolineando particolarmente gli effetti sulle istituzioni educative, come nel caso del bombardamento dell'Università islamica di Gaza, e l'attenzione verso l'accusa di crimini di guerra. Il King's College deve spingere le altre università del Russel Group a rilasciare una dichiarazione simile, in modo da informare la stampa nazionale ed i governi britannico e israeliano. Il Dottorato ad honorem a Simon Peres deve essere immediatamente ritirato. Come presidente dello stato israeliano, e avendo espresso pubblicamente il suo appoggio ai crimini di guerra commessi nella Striscia di Gaza, riteniamo che la maggior parte della comunità del King's College sia d'accordo alla revoca del Dottorato da parte dell'università, un gesto per dimostrare che il King's College è preoccupato per le azioni di Israele a Gaza. Il King's College deve istituire cinque borse di studio per studenti palestinesi, per dare agli studenti la possibilità di un istruzione che l'attacco a Gaza e il precedente embargo aveva negato. Il King's College deve promuovere una raccolta fondi per la crisi a Gaza. Questi fondi saranno utilizzati per aiuti umanitari ai palestinesi. Il King's College deve stabilire relazioni con le università e gli altri istituti scolastici colpiti dalla crisi di Gaza, in solidarietà con la loro condizione. Il King's College deve presentare una lista trasparente degli investimenti nel commercio di armi, specialmente quelli nel GKN (azienda che si occupa della tecnologia e ingegneria di veicoli e aeromobili). Il King's College deve immediatamente ritirare gli investimenti in questo settore. Tutti i vecchi libri, computer e il materiale amministrative e didattico devono essere donate, il prima possibile o alla fine del trimestre, alle università e alle scuole della Striscia di Gaza che sono state colpite dall'attacco di Israele. Non ci dovranno essere ripercussioni per gli studenti coinvolti in questa protesta. Le università dovrebbero essere luoghi in cui la libertà di espressione è incoraggiata, e il movimento studentesco in Gran Bretagna e in tutto il mondo ha un fiero passato di mobilitazioni organizzate, contro l'apartheid in Sud Africa, come contro le guerre in Iraq e Afghanistan. Traduzione a cura del COLLETTIVO AUTORGANIZZATO UNIVERSITARIO - NAPOLI [email protected] - http://cau.noblogs.org/

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LA TREGUA A GAZA NON METTE FINE ALL’OPPRESSIONE PALESTINESE! La provvisoria tregua realizzata a Gaza sotto la spinta della resistenza palestinese e dell’indignazione sollevata a scala mondiale per gli orrendi crimini perpetrati dall’aggressione militare israeliana non rappresenta la fine dell’accerchiamento e tanto meno dell’oppressione dei palestinesi. Quello che si intende realizzare è di portare a compimento, attraverso la politica, ciò che non si è riusciti a fare con la guerra: liquidare la resistenza palestinese e imporre una leadership accondiscendente ai voleri del capitalismo globale. Israele, gli Usa, l’Ue, l’Italia, i paesi arabi loro alleati, come l’Egitto, la Giordania, l’Arabia Saudita convergono nel condizionare il sostegno economico per la ricostruzione ad un cambio di governo nella Striscia di Gaza, escludendo o ridimensionando fortemente il ruolo di Hamas a vantaggio della corrotta e collaborazionista Anp di Abu Mazen il cui mandato è peraltro scaduto. In particolare le potenze occidentali, e tra esse l’Italia in prima fila, in base all’accordo siglato a Sharm el Shaikh si candidano ad inviare truppe militari con lo scopo di mantenere la pace. Quella pace che consente quotidianamente ad Israele di estendere i territori da inglobare nel proprio stato attraverso nuovi insediamenti sionisti, quella pace che pretende di stabilizzare lo status quo realizzato in 60 anni di espansionismo israeliano, quella pace che vuole impedire ai palestinesi di lottare contro l’occupazione e l’oppressione di cui sono vittime. Si tratta di un ulteriore tassello per cercare di subordinare l’intero Medio Oriente agli interessi economici politici e militari del grande capitale che è intralciato proprio dalla resistenza palestinese e dalle lotte di tutti i popoli dell’area contro la politica neocoloniale attuata da Israele e dalle potenze occidentali. Il cambiamento d’amministrazione a Washington, che non fa presagire un mutamento sostanziale della politica statunitense in Medio Oriente- a giudicare dalla composizione della nuova squadra-, porterà sicuramente una ripulitura di facciata e al tentativo di presentare un imperialismo dal presunto "volto umano" che nella sostanza continuerà nella sua opera di sottomissione di interi popoli, tanto in Palestina, quanto in Iraq, in Afghanistan e altrove. Intanto l’accerchiamento di Gaza prosegue: il mare è pattugliato dalla marina israeliana, i valichi restano chiusi, compreso quello di Rafah, impedendo che i feriti possano essere trasferiti altrove, mentre negli ospedali manca di tutto, aumenta la carenza di alimenti. Se la resistenza palestinese non si piegherà ai diktat della diplomazia internazionale questo criminale embargo già attuato negli scorsi anni verrà rafforzato per imporre il ritorno dell’autorità nazionale palestinese orami docile strumento nelle mani delle grandi potenze. Per tale motivo è necessario continuare la campagna di mobilitazione a sostegno delle ragioni del popolo palestinese e alla sua resistenza. Il principale contributo che possiamo dare alla causa palestinese è quello di contrastare l’intervento diretto dei nostri governi in Palestina ed in tutto il Medio Oriente, denunciare il supporto politico militare ed economico fornito ad Israele.

• Fine dell’embargo contro Gaza e libera circolazione per la popolazione palestinese;

• Opponiamoci ad ogni eventuale invio di soldati italiani o dell’Unione Europea in Palestina anche sotto le bandiere dell’ONU;

• Revoca dell’accordo di collaborazione militare tra governo italiano e israeliano e boicottaggio verso i prodotti commerciali provenienti delle aziende israeliane;

• Sosteniamo economicamente le strutture che forniscono assistenza ai palestinesi ASSEMBLEA PUBBLICA - mercoledì 4 febbraio ore 16,30

Presso l’orientale – Palazzo Corigliano aula Mura greche

Comitato campano di solidarietà con il popolo palestinese

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Promuoviamo la campagna di boicottaggio dei prodotti israeliani e delle ditte che collaborano o commerciano con lo stato di Israele. Boicottaggio dei prodotti israeliani. Occhio al codice a barre: il 729 è made in Israel Cominciamo con qualcosa di piccolo... ma, in questo mondo governato dal capitale, efficace: quando andate al supermercato, nei negozi, nei mercati controllate la provenienza dei prodotti . Se il codice a barre riporta il numero 729 non comprateli. Cominciamo a togliere qualche arma a chi ne sgancia a tonnellate sulla popolazione palestinese.

Organizziamo una grande campagna di sottoscrizione per sostenere l’attività degli ospedali di Gaza, distrutti in gran parte dai terroristici bombardamenti israeliani, i quali hanno in cura migliaia di feriti. Invitiamo dunque i comitati, le associazioni e chiunque voglia contribuire, anche

attraverso l’organizzazione di iniziative specifiche, a far pervenire i contributi

S.O.S. GAZA- Raccolta di fondi per l’ospedale Al Awda di Jabalya- conto corrente postale n. 47209002, intestato a Monti Germano, con la

causale S.O.S. Gaza. Il codice IBAN è IT59 C076 0103 2000 0004 7209 002.

Ecco qual'è il problema sul campo Qual'è il futuro dei palestinesi se non si ferma il colonialismo israeliano?

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SUL MOVIMENTO STUDENTESCO FRANCESE Traduciamo e diffondiamo due documenti che vengono dalla Francia, dove un forte movimento di studenti, dottorandi, ricercatori e personale tecnico-amministrativo non smette di opporsi alla legge LRU, anche detta “Legge sulle Autonomie”. Una riforma approvata nell'autunno del 2007 dal Ministro dell’Istruzione del governo di destra, Valerie Pécresse, nonostante due mesi di forte mobilitazione, che videro picchetti, scioperi, assemblee partecipatissime, e l'occupazione di decine di atenei in tutta la Francia (fra cui la Sorbona, dove la polizia intervenne in massa dopo solo tre ore, e Nanterre, dove le forze dell’ordine manganellarono centinaia di studenti). Purtroppo il movimento fallì perché non seppe legarsi alle lotte dei lavoratori colpiti negli stessi mesi dai provvedimenti di Sarkozy sull'innalzamento dell'età pensionabile e sullo smantellamento del contratto collettivo nazionale... La LRU, dettata anche lei dal processo di Bologna, ha molto a che vedere con la cosidetta “Riforma Gelmini”: anch'essa prevede una riduzione dei finanziamenti e delle assunzioni, e la possibilità di trasformare lo statuto delle Università. Seppure i tagli siano di minore entità rispetto ai nostri, nell’arco di 5 anni tutte le università francesi potrebbero domandare l’autonomia, ovvero la gestione delle loro risorse umane e finanziarie, e diventare le proprietarie dei beni immobiliari. Si tratta di un processo di privatizzazione senza precedenti, a cui fanno seguito un’altra serie di disposizioni: chiamata diretta di ricercatori e professori da parte dei Presidenti delle Università, che acquisiscono poteri enormi, riduzione delle rappresentanze studentesche in seno agli organi accademici, ingresso dei privati nei Consigli di Amministrazione, possibilità per ogni ateneo di elaborare piani didattici in base ai finanziamenti ricevuti, abolizione del valore nazionale del titolo di laurea etc. Anche lì le conseguenze sono evidenti: asservimento degli studi ai piani delle imprese, tempi e spazi maggiormente costretti, maggiore controllo della ricerca... un vero e proprio tentativo di rendere l’Università funzionale alle esigenze del capitale. Nonostante la legge sia stata approvata, i compagni francesi non demordono, e si oppongono all'applicazione dei provvedimenti, continuando a rivendicarne l'abrogazione, e a far partire mobilitazioni che mettano in questione tutto l'assetto della nostra società... già all'inizio dell'anno ci sono state significative mobilitazioni. Ora ricominciano le assemblee generali, gli scioperi, le occupazioni... e si prepara una grande giornata di mobilitazione per il 29 gennaio! Il primo documento è un articolo del 21 gennaio de L'Humanité, giornale del PCF, sullo stato generale della mobilitazione. Il secondo documento è il combattivo comunicato del Comitato degli studenti di Grenoble che ha occupato la loro università (venendo poi sgomberati dalla polizia). - solidarietà militante ai compagni francesi! - la sola lotta che si perde è quella che non si combatte! COLLETTIVO AUTORGANIZZATO UNIVERSITARIO - NAPOLI [email protected] http://cau.noblogs.org/ UNIVERSITÀ AD ALTA TENSIONE 72 degli 85 consigli di amministrazione delle università hanno votato delle mozioni che rilevano la loro sfiducia verso le riforme del governo. Oggi, la contestazione si radicalizza, gli scioperi amministrativi si moltiplicano. Una “coordinazione nazionale” si riunisce oggi a Parigi per organizzare la giornata di sciopero del 29 gennaio e stabilire una data per il secondo semestre. Mentre il movimento della scuola superiore stenta a rilanciarsi, quello dei docenti – ricercatori è in piena ascesa. Gli effetti della legge LRU (Libertà e Responsabilità delle Università), votata

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nell’agosto 2007, continuano a farsi sentire. Modifica dello statuto dei docenti – ricercatori, “masterizzazione” dei concorsi , mancata sostituzione dei posti lasciati dai pensionati, smantellamento degli organismi di ricerca (CNRS, INSERM)…Per i docenti, il vaso è colmo. Da tre settimane, nelle università si susseguono petizioni, mozioni, assemblee generali, scioperi e manifestazioni, rigettando così la filosofia della legge nel suo insieme. Oggi si tiene in un locale annesso all’Université Paris-I Panthéon Sorbonne [1], la prima riunione della coordinazione nazionale delle università, alla quale parteciperanno una ventina di istituti. All’ordine del giorno, le modalità di come continuare la mobilitazione. Panoramica sulle ragioni della collera. Statuto dei docenti – ricercatori: il decreto di troppo Il 1° dicembre 2008 Valérie Pécresse invia una lettera ai rettori delle università. Questa fa parte del progetto di decreto che modifica lo statuto dei docenti – ricercatori. Un capovolgimento fondamentale nella carriera degli universitari. La divisione del tempo di servizio tra insegnamento, ricerca e impegni amministrativi sarà ormai modulata dall’università. Il 5 gennaio 2009, nella lettera inviata al presidente Sarkozy, la conferenza dei rettori delle università (CPU) mostra questa viva inquietudine : “Ciò che crea il malessere è il concetto stesso della modulazione dei servizi, (…) che ritorna infatti ad appesantire il tempo di insegnamento di quelli che il consiglio nazionale delle università avrà giudicato meno produttivi nella ricerca. (…) Ciò ritorna a considerare l’insegnamento universitario come un’attività per difetto, mentre che l’insegnamento è al contrario l’attività più nobile, quella che corona le produzioni della ricerca, quella che fa la scommessa dell’avvenire attraverso le competenze dei giovani laureati”. Il decreto dunque è stato vissuto come un affronto del governo verso la professione. “Gli universitari sono sospettati di non compiere correttamente il loro doppio compito di insegnamento e di ricerca. Far dipendere il servizio di insegnamento da criteri di valutazione della ricerca è rischiare di assimilare la nobile attività che è l’insegnamento ad una sanzione”, analizzano alcuni insegnanti firmatari del testo, “Niente normalizzazione dal basso”. Chi deciderà del livello della ricerca di ogni docente? Sulla base di quali criteri?Valérie Pécresse ha assicurato che il consiglio nazionale delle università (CNU), istanza nazionale consultiva e decisionale, continuerebbe a incaricarsi della qualificazione, dell’assunzione e della carriera degli insegnanti – ricercatori. Ciò che lei non dice, è che la valutazione del CNU servirà unicamente come base ad una decisione finale pronunciata dal rettore dell’università. L’istanza universitaria locale allora vedrebbe i suoi poteri decuplicati. “Le lotte di potere si moltiplicheranno. Ognuno cercherà di tirarsi di impiccio e il rettore dell’università servendosi di ciò potrà imporre i propri punti di vista”, spiega Bertrand Binoche, professore di filosofia di Parigi I. E aggiunge “Come i giudici, come per la televisione i ricercatori sono sul punto di perdere la loro indipendenza intellettuale”. I docenti denunciano ugualmente la volontà di far pesare su di loro sempre più incarichi amministrativi : tutorato, seguito dagli stages, ricerca di finanziamenti, funzioni di intendenza e di segretariato… Formazione dei docenti: master obbligatorio ma senza stage pagato Studenti e docenti si oppongono ad una “masterizzazione” dei concorsi di assunzione dei docenti di primo e di secondo grado. La prima misura governativa riguarda la valorizzazione della formazione in IUFM grazie ad una laurea (il master). Questa qualifica dovrebbe comportare un migliore compenso. Quello che non è precisato : il progetto prevede la soppressione dell’anno di stage pagato. La rivalutazione annunciata non riguarda che gli inizi della carriera. Il calendario di assunzione riduce il master ad un semestre di corso e ad un altro di stage. Infine, il livello di esigenza dei futuri concorsi sarà quello del terzo anno di diploma universitario. Presenti alla manifestazione dei docenti del 20 gennaio, Audrey e Floriane, studentesse laureande di storia e geografia a Parigi 7, sono destinate all’insegnamento nella scuola secondaria. Esse logicamente si sentono riguardate dal movimento : “Io non vedo come in un anno, si arriverebbe a fare la tesi e a

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preparare il concorso. E poi vedersi buttate in una classe senza nessuna esperienza”. Da parte sua, Thomas ingloba questo movimento in un contesto più vasto : “Le università sono un servizio pubblico di qualità. È l’insieme del sistema pubblico francese che non smette di subire attacchi. Si sbloccano miliardi di euro per le banche. E per l’educazione, per la salute? Niente”. Accordo Francia – Vaticano: la laicità minacciata Passato un po’ inosservato tra la valanga dei progetti di riforma, l’accordo tra la Francia e il Vaticano comporta un riconoscimento nazionale e statale delle lauree rilasciate dagli istituti cattolici controllati dal Vaticano paragonandoli a quelli delle università pubbliche. Dopo l’appello lanciato dall’università di Strasburgo (vedi l’Humanité del 13 gennaio), che richiedeva una riforma concertata dell’università, quest’accordo è presentato come “la goccia d’acqua”: “Ecco infine che i valori repubblicani e laici sono rimessi in discussione dal riconoscimento internazionale, su iniziativa del nostro ministero degli Affari esteri, dalle lauree rilasciate dagli istituti cattolici”. Per i rettori delle università, questa convenzione costituisce “un precedente inaccettabile”: “Che necessità c’è di aggiungere questa clausola provocatoria, (…) la quale può solamente sollevare le proteste dell’insieme della comunità universitaria?”. L’accavallarsi delle riforme, i testi poco definiti e l’inflessibilità del ministro dell’Insegnamento superiore sono la somma di ingredienti necessari per far continuare a ribollire il movimento intrapreso da docenti, studenti e personale dell’università. Il punto massimo di ebollizione, oggi è alla Sorbona. Ixchel Delaporte L’Appello dei comitati:‘’Dal momento che i nostri rispettivi mestieri, che si tratti della salute, della cura, del lavoro sociale, dell’educazione, della ricerca, della giustizia, dell’informazione e della cultura, subiscono un attacco senza precedenti da perte del governo – dal momento che appelli di reazione e di proteste sono lanciati a decine nel paese – è giunto il tempo, ci sembra di coordinare questi movimenti differenti e di trarne tutto il senso politico...’’. VIVA LA LOTTA ! VIVA LO SCIOPERO ! NOI NON PAGHEREMO LA VOSTRA CRISI! Nel pomeriggio del 19 gennaio 2009, alcuni studenti e precari hanno preso possesso di una parte dei locali dell'Università Stendhal (Grenoble 3). Quest'occupazione, chiamata e organizzata dal Comitato di mobilitazione degli studenti e precari delle università di Grenoble, costituisce la prima tappa nella costruzione di un movimento di sciopero sul Campus. Con quest'azione noi vogliamo denunciare e contrapporci ad una politica antisociale e basata sulla sicurezza, messa in opera dal governo Fillon e dal capo dello stato. Questa politica ha ogni giorno degli effetti devastanti sulla società francese: distruzione totale del sistema educativo francese dalla scuola Materna all'Università, distrugge la Sanità, smantella il Servizio Pubblico e la politica razzista a base di retate sugli stranieri. La repressione violenta dei movimenti sociali è la condizione preliminare della costituzione di questa società liberale. Noi non siamo sorpresi dal forte livello di repressione delle lotte del 2008 (universitari, studenti...), la fine della franchigia universitaria e dall'esercizio delle leggi antiterrorismo che sono ai nostri occhi delle leggi scellerate. Queste misure servono a garantire l'ordine basato sulla sicurezza, unico quadro agli occhi dei potenti nel quale far sbocciare la dominazione del Mercato. Su questo registro, Michèle Alliot Marie non ha niente da invidiare a Raymond Marcellin ou Michel Ponitowski. Ancora una volta, la stessa paranoia securitaria è all'opera. Noi non ci piegheremo di fronte alla repressione che ci attende. Non farà altro che rinforzare la nostra determinazione e non potrà in alcun caso mettere in discussione la nostra battaglia.A questa società autoritaria e fascista che ci propongono, noi rispondiamo con la riappropriazione dei nostri luoghi di studio.Questa è la base sulla quale noi pensiamo di espandere la nostra lotta. Noi ci batteremo affinché l'educazione cambi radicalmente natura. Che sia realmente emancipatrice, che sia integralmente gratuita e egalitaria, la riproduzione sociale attraverso gli studi è durata giàtroppo. Che l'educazione sia al servizio degli individui e della Società, non più al Servizio delle imprese e dei mercati. Per realizzare questi obiettivi, l'occupazione della nostra università è necessaria. Ha per ambizione di divenire un luogo di cambiamento e di incontro (con le

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Assemblee generali, dibattiti, conferenze, proiezioni...), di vita (cucina, dormitori..) e ugualmente di lotta. Infine, chiediamo all'insieme dei lavoratori, dei disoccupati, degli immigrati irregolari, degli studenti e liceali di organizzarsi in vista di una lotta compatta e di riprodurre il nostro esempio ovunque esso sia realizzabile.Per preparare la giornata di mobilitazione del 29 gennaio 2009 e per costruire lo sciopero Generale che farà piegare questo governo. E, così, costruire su una base egualitaria, sociale e solidale, la Società di domani. Viva la lotta ! Viva lo Sciopero! Non pagheremo la vostra crisi! Il Comitato degli Studenti e dei Precari in lotta delle Università di Grenoble ---------------------------------------------- Tradotto da: COLLETTIVO AUTORGANIZZATO UNIVERSITARIO - NAPOLI [email protected] http://cau.noblogs.org/ ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

L’Unione Europea contro i lavoratori

La corretta linea di classe si può raggiungere attraverso un confronto tra comunisti, che hanno ovviamente principi comuni, ma possono avere idee diverse su singoli problemi o modalità della tattica. Si tratta di un lavoro collettivo, anche perché non abbiamo oggi, almeno in Europa, militanti che si siano forgiati nel fuoco della rivoluzione, come nel passato Marx, Engels, Lenin, ecc., e dalla cui esperienza si possa trarre sicure indicazioni.

La letture delle loro opere è sempre ricca di insegnamenti, ma non dobbiamo mai dimenticare la differente situazione storica in cui ci troviamo. Dobbiamo studiare i metodi con cui hanno affrontato i problemi del loro tempo, per essere in grado di affrontare quelli del nostro.

Nell’articolo “Ancora sull'internazionalismo: Stati Uniti d'Europa e salario europeo” di Lorenzo Mortara, efficace e pieno di spunti interessanti, c’è un punto che non mi convince, l’affermazione che “gli Stati Uniti d’Europa sono bene o male un fatto”.

Spesso si sopravvaluta l’analogia tra la formazione degli stati nazionali e quella dell’Unione Europea. Il caso tedesco è particolarmente significativo. Il maturare delle condizioni economiche rese sempre più impellente il bisogno dell’unificazione politica. Quasi tutti gli stati europei si proteggevano con i dazi, la Germania era un campo aperto per la penetrazione delle merci inglesi, il che impediva lo sviluppo dell’industria locale. La grande proprietà terriera era libero-scambista, per via dell’esportazione del grano. Nel 1834 nacque l’Unione doganale tedesco–prussiana, un mercato di 30 milioni di abitanti. Il modesto protezionismo, contro la dominante Inghilterra, permise all’industria tedesca di raccogliere le forze per il grande sviluppo della seconda metà dell’Ottocento. Tre guerre, contro la Danimarca, l’Austria e la Francia, cacciarono dalla scena tedesca gli stati che vi avevano influenza, e che avevano interesse a impedirne l’unificazione. Bismarck fu quindi, come spiegarono Marx ed Engels, l’esecutore testamentario della rivoluzione del 1848/49, e dopo questa rivoluzione dell’alto, tornò ad essere un reazionario della più bell’acqua.

Le barriere che l’Europa pose negli anni ’50 e successivi, mascherate da sovvenzioni all’agricoltura, non erano contro il dominatore del mercato mondiale, gli Stati Uniti - che anzi investirono nei vari paesi europei enormi quantità di

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dollari - ma impedirono ai paesi d’Africa, Asia e America latina di sviluppare le loro esportazioni agricole. Non si trattava del protezionismo che vegliava sulla culla dell’industria nascente, ma di quello di un’economia stramatura, che favoriva il consolidarsi dei cartelli e dei monopoli. Reazionario a tutti gli effetti.

Mentre le guerre ottocentesche di Germania e Italia tendevano a cacciare potenze troppo invadenti, come Francia o Austria, le guerre mondiali videro contrapposti i principali paesi europei e favorirono una crescente ingerenza degli Stati Uniti. Il risultato quindi fu l’esatto opposto di quello delle guerre risorgimentali: crearono odi difficilmente sanabili per intere generazioni e chiamarono in Europa “lo straniero”, cioè gli USA.

Con questi precedenti, non poteva nascere un vasto movimento popolare a favore dell’Unione Europea. Mentre nel 1848 c’erano patrioti pronti a morire per l’unità dell’Italia o della Germania, per la libertà dell’Ungheria e della Polonia, l’europeismo è sempre oscillato tra l’adesione puramente retorica degli italiani e lo scetticismo inglese, tra i rigurgiti nazionalisti del gollismo francese e la prudenza tedesca. Anche la forma politica sembra fatta apposta per impedire che la popolazione abbia voce in capitolo. Il parlamento ha funzioni limitate, l’organo fondamentale è il Consiglio d’Europa, che si riunisce in genere due volte l’anno e riunisce i capi di governo e i ministri degli esteri.

Di solito si distinguono le confederazioni dalle federazioni. Nelle prime il potere resta saldamente nelle mani dei governi nazionali, e il popolo di fatto non ha voce in capitolo, a livello confederale. Tale era la Svizzera fino al 1848. Dopo, pur conservando il nome di confederazione, in realtà si trasformò in una federazione, perché il governo centrale assunse il controllo totale dell’esercito, della rappresentanza diplomatica, del sistema doganale. Si formarono un sistema unitario di tassazione e una moneta unica.

Nella UE, alcuni stati conservano una moneta propria, anche di rilievo internazionale, come la sterlina. Le tasse sono riscosse stato per stato, decisioni economiche fondamentali, come quella sciagurata sull’Alitalia, sono prese dai governi nazionali, con la benevola supervisione dell’Europa. Ogni paese ha la propria struttura scolastica, e ha i propri titoli di stato; tra quelli italiani e quelli tedeschi c’è un abisso,(1) e alcuni economisti sostengono che l’Italia finirà fuori dell’euro.

Nell’Unione Europea ogni stato ha le sue forze armate. Al tempo dell’aggressione all’Iraq, l’Inghilterra vi partecipò in maniera determinante, l’Italia mandò truppe con compiti limitati, Germania e Francia furono contrarie. Si può parlare di Stati Uniti d’Europa quando uno stato partecipa alla guerra e un altro no? Qui il paragone col colosso di oltreoceano è assolutamente improprio. Potremmo parlare di Stati Uniti d’America se in guerra la California mandasse soldati armati di tutto punto, il Sud Carolina truppe con un mandato limitato, la Louisiana e il Michigan si rifiutassero d’intervenire? Allora perché parlare di Stati Uniti d’Europa? Proprio nella guerra il potere statale trova la sua più completa realizzazione, il monopolio della violenza. Le armi più potenti, le atomiche, non appartengono all’Europa, ma a Gran Bretagna e Francia, che non hanno nessuna intenzione di consegnarle ad autorità “superiori”. Il monopolio della forza non è nelle mani della UE, ma di pochi stati.

Gli stati europei, dalla fine dell’ottocento sono aumentati di numero. Il secolo scorso ha visto la divisione di più stati plurinazionali, gli imperi reazionari (austriaco, turco e zarista); poi seguirono la disgregazione dell’URSS, la tragica frantumazione della Jugoslavia, l’incruenta divisione della Cecoslovacchia. E’ vero che ci sono stati pesanti interventi esterni, ma hanno trovato sponde in forti sciovinismi interni. Spinte separatiste non sono mai scomparse nei Paesi Baschi, e ci sono partiti che chiedono l’indipendenza della Scozia, e della Catalogna. Le spinte centripete dell’economia, con la centralizzazione e la concentrazione del

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capitale, non sono accompagnate da spinte analoghe in politica. Finché ci sarà capitalismo, l’Europa sarà una giungla di nazionalismi. Le borghesie europee si accordano quando si tratta di ingabbiare sempre più il proletariato in una condizione di assoluta sudditanza, o di imporre dei diktat agli stati più poveri, come quelli africani, ma lottano fra di loro quando si tratta di conquistare mercati, commesse, riserve di caccia per i loro capitali.

Le linee politiche sono divergenti persino tra i governi più filoamericani. Berlusconi mantiene ottimi rapporti con Putin, i governi della Polonia e dei paesi baltici lo vedono come fumo negli occhi.

I lavoratori non hanno nessun interesse alla formazione degli Stati Uniti d’Europa. La fase democratica della borghesia ormai è storia antica, le istituzioni assumono ovunque un carattere sempre più oligarchico, una federazione europea potrebbe avere solo un carattere reazionario. Ai lavoratori, la democrazia borghese non ha più nulla da offrire, se non inganni e promesse vuote. Quando saranno riusciti a ricostituire la loro organizzazione di classe, non dovranno perdere tempo con costituzioni europee o assemblee costituenti, ma lottare per una repubblica dei consigli, internazionale e internazionalista. Lo scioglimento dell’Assemblea Costituente da parte dei bolscevichi ha questo significato simbolico: in Europa la democrazia borghese ha esaurito la sua funzione progressista, e diventa controrivoluzionaria.

La presenza di una forte potenza imperialistica come gli USA ha impedito lo sviluppo di molte rivoluzioni, e, in America Centrale, persino delle più elementari riforme. Innumerevoli colpi di stato sono stati preparati, o almeno favoriti, dalla CIA. Se agli Stati Uniti si affiancasse un’altra potenza dello stesso calibro, l’Europa Unita, le speranze di una rivoluzione socialista dovrebbero essere rinviate di qualche secolo.

Dobbiamo, quindi, lottare per sottrarre un numero crescente di lavoratori al sempre più reazionario sciovinismo, e in tale quadro, la battaglia per ottenere il contratto europeo rappresenterebbe un gigantesco passo avanti. (Purtroppo, ne siamo ben lontano, perché ci stanno demolendo persino quello nazionale).

La maggiore vittoria proletaria, la Rivoluzione d’Ottobre, dimostra che la massima unità della classe operaia può ottenersi proprio nel momento in cui le borghesie dei vari paesi sono molto divise. Non diamo, quindi, per scontato che gli Stati Uniti d’Europa esistano già, lavoriamo invece per una crescente coesione dei lavoratori, europei e non, valorizzando anche quegli infiniti canali che la presenza degli immigrati ci offre, e che troppo spesso non sappiamo riconoscere e utilizzare.

25 gennaio 2009 Michele Basso

Note

1) “Titoli di Stato, cresce il rischio Italia”. “Il Sovereign Credit Default Swap, ossia un indice che calcola la probabilità che gli stati sovrani rispettino o meno le scadenze decennali del proprio debito pubblico ha giudicato l'Italia "più a rischio" di altri paesi come la Francia e la Germania e soprattutto il più piccolo Portogallo, che ha registrato un rating medio sul proprio debito decennale di AA-, quindi uno scalino superiore a quello italiano giudicato A+. Maggiore lo scarto rispetto a paesi come Francia, Germania e Spagna cha hanno un rating di AAA.” Repubblica, 24/04/2008.

www.sottolebandieredelmarxismo.it

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LOTTE TERRITORIALI IN ITALIA COMUNICATO STAMPA

Movimento NO TAV Val Susa, Val Sangone, Torino e Cintura

Apprendiamo con sconcerto le notizie che ci giungono da Vicenza: la militarizzazione del territorio, i cittadini minacciati di arresto e la conseguente impossibilità di manifestare il proprio dissenso sono metodi antidemocratici che in Valle di Susa purtroppo abbiamo già vissuto.

Alla pacifica lotta di una comunità ancora una volta si risponde con la violenza di chi vuole imporre opere inutili e devastatrici, passando anche attraverso la decretazione d'urgenza come il presidente del consiglio ha espressamente richiesto.

Alla comunità di Vicenza che sta vivendo ore difficili va tutta la nostra incondizionata solidarietà; il movimento NO TAV è pronto a mobilitarsi nel proprio territorio a fianco dei No dal Molin portando solidarietà concreta a chi come noi sta lottando per il suo futuro. Come primo segno concreto di solidarietà:

Domenica 15 febbraio dalle ore 18:00 alle 19:00

a Bussoleno il piazza della stazione

sit-in di solidarietà con gli amici No Dal Molin

per informarsi e discutere di ciò che sta avvenendo a Vicenza;

per il diritto ad esprimere il proprio dissenso.

In Val di Susa come a Vicenza: resistere per esistere.

Susa, 12 febbraio 2009 Movimento NOTAV Per l'Ufficio Stampa del Coordinamento dei Comitati NO TAV [email protected] - cell. 380.4191948 [email protected]

Cantieri di pace di Torino, un forum per la diffusione della cultura della pace, della solidarietà e dei diritti per tutti., formato da gruppi, persone ed associazioni presenti sul territorio torinese,

- appoggia la manifestazione di sabato 14 febbraio 2009 "in difesa della democrazia e del diritto ad opporsi all'imposizione", in conseguenza della militarizzazione del territorio di Vicenza ;

- esprime solidarietà con i cittadini di Vicenza che da 2 anni si battono democraticamente e in modo nonviolento per la difesa del loro territorio e per una politica di pace contro la costruzione di una 2° base militare USA nelle vicinanze della città ;

- denuncia la deriva autoritaria del governo che vuole imporre con la forza l’inizio dei lavori, restringendo addirittura le stesse libertà di dissenso, nonostante la chiara espressione di contrarietà manifestata anche con un referendum da più di 24.000 cittadini ;

- si impegna a sviluppare azioni di sensibilizzazione della cittadinanza torinese per far crescere l’opposizione a quest’opera foriera di guerra, per utilizzare le risorse per opere sociali e a favore della pace

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No Tav, 7 comuni escono dall'Osservatorio Avigliana, Bussoleno, Caselette, Condove, San Didero, San Giorio e Vaie: 7 sono i comuni che si sono pronunciati per l'uscita immediata dall'Osservatorio, decidendo quindi di non prender parte alla progettazione del Tav. Presa di posizione, questa, giunta a margine della conferenza dei sindaci della bassa Valsusa tenutasi ieri sera a Bussoleno. Il movimento contro il treno ad alta velocità incassa quindi l'ennesimo punto a proprio favore, soprattutto alla luce di un risultato arrivato soprattutto grazie all'attività instancabile di pressione politica sulle amministrazioni della valle e alla presenza continua del movimento sul territorio. Il dato che questi pronunciamenti ci danno è particolarmente significativo anche nella misura in cui questi comuni rappresentano da soli, numericamente, quasi la metà degli abitanti della bassa Valsusa. Molti altri comuni hanno scelto di non pronunciarsi ancora sull'argomento, molti per opportunismo politico, dato che ciò andrebbe a deficiare sulla tenuta delle maggioranze. Ad Avigliana la decisione è stata unanime, per questo il consiglio comunale l'11 febbraio prossimo delibererà "per ribadire la propria contrarietà al Tav, al tunnel di base ed a nuove infrastrutture". Nonostante il silenzio dei media mainstream, che quest'oggi hanno solamente ripreso la determinazione annunciata dal ministro delle infrastrutture Altero Matteoli a fare il Tav, il fronte concertativo non può che uscirne indebolito, con lo sgretolarsi dell'Osservatorio del commissario straordinario Mario Virano e della legittimità del presidente della comunità montana Antonio Ferrentino.

• Il commento su questi ultimi 2 giorni con Loredana Bellone (sindaco NoTav)

COMUNICATO STAMPA Movimento NO TAV Val Susa, Val Sangone, Torino e Cintura

L'assemblea dei sindaci della bassa valsusa di martedì 3 febbraio, che si è svolta a Bussoleno, è stata caratterizzata da interessanti prese di posizione. Sembra infatti che la linea politica di sostegno a scatola chiusa dell'osservatorio tecnico sulla Torino Lione, presieduto dall'architetto Virano, da parte del presidente Ferrentino si stia piano piano sgretolando. Per l'uscita immediata dall'osservatorio si sono pronunciati i comuni di Avigliana, Bussoleno, Caselette, Condove, S.Didero, S.Giorio, Vaie. Contando che questi comuni da soli rappresentano quasi la metà degli abitanti della bassa valsusa e che numerosi ancora sono i comuni che hanno scelto di non pronunciarsi - in quanto vedrebbero le loro maggioranze politiche messe in discussione - possiamo fare alcune considerazioni.

• Come movimento NO TAV ci chiediamo con quale autorità oggi il Presidente Ferrentino si presenti all'incontro con il ministro Matteoli.

• Ci chiediamo con quale faccia e coraggio possa ancora presentarsi alle riunioni dell'osservatorio e a nome di chi si presenti

• Un giudizio ancora più duro spetta al partito democratico che con i propri porta ordini e con alleanze di comodo con gli altri partiti di centro destra favorevoli all'alta velocità porta avanti uno schieramento più interessato alle poltrone che alle sorti della valle.

• Come movimento no tav avevamo da subito disconosciuto l'osservatorio tecnico, come luogo di discussione del futuro della nostra valle. Ci fa piacere quindi cogliere questa ampia presa di posizione dei nostri amministratori che si sentono cittadini capaci di confrontarsi, prima ancora che sindaci

Noi come movimento no tav chiediamo l'immediata uscita dall'osservatorio tecnico, la sospensione di ogni tavolo di trattativa e un confronto con tutti gli amministratori della bassa valsusa. Susa, 4 febbraio 2009 Movimento NOTAV

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DICHIARAZIONE POST-PROCESSO di Luca Abbà, del movimento NO TAV

Luca, condannato insieme a Giorgio a un anno per un blocco autostradale no-tav del 6 dicembre 2005, ha diffuso questa bella dichiarazione, invitando a farla girare

DICHIARAZIONE POST-PROCESSO

Innanzi tutto vorrei ringraziare tutte le persone che mi sono state vicine e mi hanno portato solidarietà durante questa vicenda giudiziaria, un grazie anche al movimento NO TAV per tutto ciò che si è fatto insieme e che si continuerà a fare. Mi pare opportuno comunicare alcune considerazioni in seguito alla sentenza di primo grado che ha visto me e Giorgio condannati ad un anno e 600 euro di multa, sentenza che ha accolto in pieno le richieste del PM Tatangelo.

Vorrei subito tranquillizzare i più ansiosi facendo presente che: - i reati di cui siamo imputati rientrano nel famoso indulto del fu ministro Mastella e quindi difficilmente dovremo scontare l’eventuale condanna definitiva, -ci sarà sicuramente il processo d’appello ed eventualmente la cassazione che potrebbero ribaltare la sentenza di condanna, e infine, -io non sono così preoccupato per l’esito della vicenda, serve ben altro per scalfire il mio umore e l’entusiasmo per una lotta (no tav) che in questi anni tanto mi ha dato e credo ancora mi darà. Ovviamente avrei fatto volentieri a meno di questo inconveniente.

Detto questo mi preme rimarcare alcuni aspetti che stimolino riflessioni individuali e collettive per fare tesoro dell’esperienza giudiziaria e repressiva con cui un movimento di lotta prima o poi deve fare i conti. Dico subito che non entro nel merito dei fatti di cui siamo accusati, non mi interessa sapere se i reati di furto, resistenza, danneggiamento siano stati realmente compiuti e nemmeno da chi, perché e come; ciò non influisce sulla valutazione di quello che è successo in quei giorni a Venaus e in tutta la valle di Susa; lascio al teatrino della giustizia svolgere il suo ruolo dandogli l’importanza che ha: quella di un teatrino, appunto, a volte divertente e a volte meno. Si pensi però che questa “finzione” che sono a volte i processi, e coloro che hanno presenziato alle “nostre” udienze capiscono cosa voglio dire, determina spesso la sorte di vita di alcune persone; se non si hanno buoni avvocati o semplicemente si è vittima di errori e accanimenti si finisce per fare anni di carcere a gratis con tutto quello che ciò comporta.

Questa è la prima condanna emessa contro attivisti NO TAV in tanti anni di lotta ed è l’unico processo aperto nei confronti delle mobilitazioni del famoso autunno-inverno 2005; non è cosa di poco conto visto la facilità con cui si aprono al giorno d’oggi inchieste giudiziarie contro persone o gruppi che si impegnano in lotte sociali ed ecologiste, a maggior ragione vista la radicalità espressa dalle iniziative di quei giorni che spesso non si sono mantenute in un ambito di legalità, anzi… Sinceramente non saprei dire come e perché sia andato avanti il procedimento penale nei nostri confronti, però mi viene da pensare che non sia un caso che solo io e Giorgio, e per un altro procedimento anche Lele Rizzo, siamo finiti davanti ad un giudice. Da ciò si può ricavare che: i movimenti sociali forti, partecipati e popolari fanno paura e anche la repressione ha più difficoltà a colpire (ricordiamo l’ormai scontata archiviazione della “devastazione e saccheggio” ventilata per mesi dalla procura di Torino per l’8 dic.2005); il tentativo che spesso viene fatto per indebolire i movimenti e quello di dividere i buoni dai cattivi, criminalizzando le persone o gli ambiti che per attitudine esprimono una conflittualità più radicale, separandole da chi con un sano confronto democratico e “non-violento” è disponibile al dialogo e al compromesso. Questo tentativo sta riuscendo solo in parte in Val di Susa (si veda a proposito la deriva del lato istituzionale del movimento) e la partecipazione numerosa e determinata al corteo di Susa è stata la conferma del percorso fin qui effettuato dai NO TAV.

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Un movimento come il nostro dovrebbe comunque mettere in conto che prima o poi si deve confrontare con l’aspetto della repressione e delle inchieste giudiziarie che, sebbene non siano passaggi auspicabili, credo che saranno purtroppo inevitabili visto che tanta gente in valle non è disposta a cedere e rassegnarsi alla costruzione del TAV , e nemmeno i promotori dell’opera sembra vogliano ritirarsi così facilmente. Se alle botte e alla militarizzazione è stato facile e immediato rispondere (Venaus insegna), di fronte ad una denuncia e ad un processo ci si trova più disarmati e impotenti, intanto perché sono passaggi più sottili e diluiti nel tempo, e poi perché esiste in molte persone, attive o semplici simpatizzanti del movimento, una sorta di fiducia o riverenza nei poteri giudiziari, condita da un rispetto per la legalità quale valore sacro per la determinazione dei rapporti tra gli umani in questa società. Sebbene non voglia giudicare giusta o sbagliata l’attitudine che e il percorso che ognuno di noi porta con se, prendo atto che alcuni atteggiamenti possano costituire un freno alle possibilità che il movimento ha di crescere e sfondare. Per “sfondare” intendo la prospettiva di poter mettere in pratica gli aspetti che la lotta NO TAV secondo me contiene implicitamente ovvero la difesa del territorio dall’inquinamento, la lotta contro i poteri economici-politici-mafiosi, la critica alla società del progresso e dello sviluppo eccetera. Spero che le vicende giudiziarie con cui ci stiamo confrontando in questo periodo possano servire da “insegnamento” nel percorso propedeutico che ci porterà prima o poi ad affrontare momenti sicuramente più difficili, ma non per questo privi di fascino.

Concludo dicendo che non sarà questa o altre sentenze che affievoliranno la mia voglia di esserci e partecipare a questa lotta (no tav) che tanto mi ha dato e ancora mi darà. Continuerò come prima e più di prima ad alimentare la mia voglia di libertà e di ribellione contro le ingiustizie e i soprusi e aspetto alle prossime occasioni tutti quanti vorranno condividere con me questo percorso.

Ora e sempre NO TAV

Un saluto e un abbraccio a tutti e tutte

Luca Abbà 25-1-2009 ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Milano: rioccupato dopo lo sgombero il centro sociale COX

http://www.infoaut.org/articolo/milano-rioccupato-il-cox-18

13.02.2009 Milano, rioccupato il Cox 18! Poco dopo le 20, più di duecento compagne e compagni hanno rotto i sigilli posti dalla questura milanese e rioccupato il Cox 18. Al momento i compagni sono dentro Cox 18 e sul posto sono arrivati alcuni digos e delle volanti della polizia. La liberazione dello spazio, sotto sequestro, arriva nel giorno stesso dell'udienza durante la quale gli avvocati del comune di Milano hanno giocato a scaricabarile con la questura, cercando di togliersi da ogni responsabilità rispetto al barbaro atto di chiusura del centro sociale. L'udienza, davanti al giudice civile sul ricorso del Conchetta contro lo sgombero del 22 gennaio, non ha portato ad alcuna conclusione. Il sindaco Moratti ha presentato una memoria in cui dice di non avere nulla a che fare con lo sgombero, partito - a suo dire - dalla Prefettura e dalla Questura. E non dal vicesindaco De Corato che proprio il giorno precedente, in un'interrogazione parlamentare rivolta al ministro Maroni, aveva espressamente chiesto la chiusura dei centri sociali e l'accelerazione degli sgomberi. Dunque un atto, quello della rioccupazione, che rilancia non solo la necessità di difendere lo spazio, i libri, l'archivio e le attività di Cox 18, ma l'intera agibilità politica degli spazi sociali a Milano, rinnovando l'invito alla partecipazione dell'importante corteo previsto per sabato 28.

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No alla criminalizzazione della comunicazione antagonista Il colpo di mano con cui, il 22 gennaio 2009, la giunta delle retate contro i "clandestini" e dell'ossessione securitaria, delle cartolarizzazioni sfrenate e della cancellazione d'ogni spazio sociale, dell'EXPO e della "dittatura del calcestruzzo" ha sgomberato Cox 18, cercando di bloccarne la più che trentennale attività e impedendo la libera fruizione dei materiali dell'Archivio Primo Moroni e della Calusca City Lights, ci ha sbattuti in strada (dove, peraltro, c'è sempre piaciuto consumarci al fuoco delle nostre migliori passioni). http://cox18.noblogs.org/post/2009/02/16/comunicazione-antagonista https://www.autistici.org/mailman/listinfo/cox18news COX 18 - Via Conchetta 18 - Milano [email protected] http://cox18.noblogs.org ------------------------------------------------------------------------------ Cox18- Ore 15 presidio davanti a palazzo marino...

News appena apparse su indy: Aggiornamento in diretta dai compagni presenti al presidio davanti al Conchetta: La polizia ha occupato tutto lo stabile compreso l'archivio Primo Moroni e la libreria e non è possibile entrare. Hanno blindato il quartiere con tutte le specie di polizia e si sta creando un presidio con tutte le compagne ed i compagni disponibili.Si ricorda a tutti che anche il Torricelli/Circolo dei malfattori in via torricelli è sotto sgombero e che si prevede possa succedere qualcosa entro i primi giorni di febbraio. Chiunque possa muoversi si rechi subito davanti al Cox 18 in via Conchetta o almeno diffonda la notizia il più possibile per assicurare una presenza crescente davanti al centro!!! Sgombero in corso al COX 18 di Milano - la polizia arriva senza nessun mandato: blocco stradale contro lo sgombero di Cox 18Da questa mattina è in atto lo sgombero al Cox 18 di Milano.La polizia è arrivata in forze stamattina intorno alle 6.30 senza nessun tipo di mandato. per il momento si attendono gli avvocati mentre si sta ingrossando il gruppo di una 40ina di persone che sta bloccando le 2 vie principali che danno su via Conchetta. Continua il blocco stradale (dalla parte dei navigli) per il tentativo di sgombero in corso al COX 18. aggiornamenti su radio onda d'urto www.radiondadurto.org