«Borsellinononvolleespatriare» · mattinata di domenica 19 luglio 1992, ... di comodo imbarcato...
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Transcript of «Borsellinononvolleespatriare» · mattinata di domenica 19 luglio 1992, ... di comodo imbarcato...
2 in primo pianoDOMENICA11 OTTOBRE2009
LA MAFIA E LO STATO
«Borsellinononvolleespatriare»I carabinieridelRos: ilgiudicefu informatodelpericolodiunattentato imminente
23 maggio 1992Giovanni Falcone, sua moglieFrancesca Morvillo e tre uominidella scorta muoiono nell’attentatodi Capaci, lungo uno svincolodell’autostrada A29 fra Punta Raisi ePalermo16 luglio 1992Un’informativa dei Ros dei carabinieri lancia l’allarme: nel mirinodella mafia ci sono altri due magistrati. Sono Paolo Borsellino e Antonio Di Pietro. Il primo indagasulle cosche siciliane, il secondosulle tangenti politiche al nord. I carabinieri sostengono di aver informato i due giudici del pericolo.
19 luglio 1992Paolo Borsellino e cinque uominidella sua scorta muoiono nell’attentato di via D’Amelio.23 luglio 1992Il Secolo XIX riporta la notiziadell’informativa dei Ros che avevapreannunciato nuovi attentati.4 agosto 1992Antonio Di Pietro, sollecitato dallostesso capo della polizia, lascia l’Italia con un passaporto di coperturaintestato ad un falso nome e raggiunge il Costa Rica.19 dicembre 1992Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo, “organico a Cosa Nostra” se
condo le dichiarazioni del pentitoBuscetta, viene arrestato.15 gennaio 1993Totò Riina, indicato come il capodella cupola mafiosa, viene arrestatoa Palermo.14 maggio 1993Un’autobomba esplode in via Fauro,a Roma. Obiettivo dell’attentato ilgiornalista Maurizio Costanzo cheperò resta illeso.27 maggio 1993Un’autobomba esplode in via deiGeorgofili a Firenze. Cinquemorti, 48 feriti e danni ingenti a palazzi e perfino alla Galleria degli Uffizi è il tragico bilancio dell’atten
tato.27 luglio 1993Nei pressi di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro, aRoma, esplode un’autobomba cheprovoca feriti e danni.20 novembre 2002Vito Ciancimino muore a Romadove era agli arresti domiciliari.20 dicembre 2007Prime rivelazioni di MassimoCiancimino, figlio di Vito, a un giornalista di Panorama: fra Mafia eStato era in corso una trattativa segreta. Sul “papello”, un foglio di cartascritto da Totò Riina, c’erano le richieste delle cosche allo Stato: depo
tenziare il pentitismo, dissequestrare i beni dei mafiosi, abolire il regime di carcere duro e l’ergastolooltre a revisionare il maxiprocessodel 1992 ai boss. In cambio sarebbecessata la stagione delle stragi.16 luglio 2009Massimo Ciancimino dice di averconsegnato il “papello” alla magistratura che però nega.8 ottobre 2009Alla trasmissione Rai “Annozero” DiPietro conferma quello che il SecoloXIX aveva scritto 17 anni prima: cioèl’informativa dei Ros che metteva inguardia su imminenti attentati contro Borsellino e lo stesso Di Pietro.
19 luglio 1982: via D’Amelio, a Palermo, pochi minuti dopo l’esplosione dell’autobomba che ha ucciso Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta
IL SENATORE Antonio Di Pietronon sapeva. Nessuno lo aveva informato che anche Paolo Borsellino,come l’ex pm di Mani Pulite, era statoavvertito il 16 luglio di 17 anni fa daicarabinieri del Ros del rischio chestava correndo. Della possibilità di essere una delle due vittime predestinate della mafia. A Palermo, tra gli atticustoditi negli uffici dei carabinieridel Ros, ci sono ancora tutte le copiedi quei documenti relativi alle segnalazioni fatte al giudice Paolo Borsellino.
Quella mattina del 16 luglio 1992,Borsellino aveva letto l’informativadegli investigatori dell’Arma. E all’invito pressante a spostarsi più che velocemente da un territorio che scottava, avrebbe detto: «Questa è la sededove svolgo regolarmente il mio lavoro. Io da questo ufficio non ho nessuna intenzione di muovermi». Unadecisione che ha pagato con la vita.
Non si esclude che i carabinieri delRaggruppamento operazioni specialiabbiano, in quella determinata occasione, effettuato tutti i controlli di sicurezza alla ricerca di esplosivinell’ufficio della procura dove il magistrato lavorava. Così come nella suacasa palermitana. Perquisizionimolto approfondite, come quelle chegli investigatori di polizia, carabinierie Finanza erano abituati a svolgereogni volta che scattavano segnali d’allarme pesanti.
La stranezza, casomai, è che dal ministero, dopo il no di Borsellino ad allontanarsi, nessuno abbia predisposto ulteriori misure eccezionali di sicurezza. Certo, il giudice era seguitoin tutti i suoi spostamenti dagli agentidella scorta, ma forse poteva esseremaggiormente protetto. Tantopiùche non aveva nessuna intenzione diabbandonare l’ufficio della procurapalermitana per non interrompere leindagini sull’attività di Cosa Nostra inalcune zone nel territorio nazionale,lontane dalla Sicilia.
E assai probabile che, come era giàsuccesso per Giovanni Falcone(prima di saltare in aria con la mogliea Capaci), anche Paolo Borsellinofosse stato più volte minacciato dimorte. Certamente quando venneroprelevati con le famiglie e trasportati quasi a forza all’Addaura, dovevenne poi trovata una borsa piena diesplosivo. E dove qualcuno ipotizzòche se la fossero messa addirittura idue magistrati. Che comunque, sebbene amareggiati per quella gravissimainsinuazione,eranoabituatiaricevere informative che li indicavanocome possibili vittime della mafia.Un po’ scuotevano la testa con fatalità, un po’ venivano costretti comeper l’Addaura a spostarsi. Mai, però,cambiando ufficio o cambiando metadelle ferie.
Falcone era abituato ad usare talvolta la sua villa al mare come base dellavoro da svolgere lontano dagli occhiindiscreti e anche l’amico Borsellinoutilizzava un appartamento per sviluppare indagini con i suoi più stretticollaboratori.
Dopo la morte di Giovanni Falcone,era cambiato il lavoro anche per Borsellino, costretto a svolgere tutta l’attività investigativa nell’ufficio di palazzo di Giustizia. Peraltro protettoda un assiduo e costante servizio disorveglianza, con quegli agenti discorta poi morti insieme a lui. Tuttociò nonostante i tentativi di allontanarlo dall’Italia, come venne fatto conAntonio Di Pietro.
Il mattino del 16 luglio di 17 anni fa,Paolo Borsellino viene scortato, comesempre, nel suo ufficio. Poco dopo loraggiungono i carabinieri del Ros. Lefacce sono più cupe del solito. D’altronde, la notizia l’allarme è piùgrave e serio del solito. Borsellino inforca gli occhiali e legge. Con attenzione. Forse intuisce che stavolta il rischio è pesantissimo. L’informativa
del Ros sfrutta i canali delle indaginisul narcotraffico. Gli infiltrati nellabanda vengono a sapere che alcunefamiglie emergenti di Cosa Nostra vogliono uccidere i giudici Borsellino aPalermo e Di Pietro a Milano.
Gli investigatori del Raggruppamento operazioni speciali tentano diconvincere Borsellino che stavolta lasituazione è davvero grave, più del so
lito. La minaccia arriva da nomi dispicco della malavita organizzata. MaBorsellino non recede. Scuotendo ilcapo, dice che lui da lì non si muove.tantomenohaintenzionedicambiareufficio o di sottostare a ulteriori misure di sicurezza: quelle che ha, già glibastano.
Nelle stesse ore, sempre uomini delRos, riescono invece a convincere
l’altro bersaglio della mafia: Di Pietro.Che con un passaporto falso finisce inCostarica con la moglie.
La “ normalità” finisce nella tardamattinata di domenica 19 luglio 1992,quando il giudice Paolo Borsellino vaa casa della madre per pranzare conlei. Come ogni domenica. E come nonaccadrà più.MANLIO DI SALVO
PARLA IL FIGLIO DEL MAGISTRATO
«Mio padre avrebbe denunciatochiunque avesse trattato con i clan»
PALERMO. Un uomo inquieto,preoccupato, incupito. Questo è il ricordo ancora nitido, dopo 17 anni, cheManfredi Borsellino ha del padre inquei giorni di luglio che precedetterola strage di via D’Amelio. Certo, Borsellino era distrutto dallo strazio perla morte di Giovanni Falcone, l’amicod’infanzia e il collega con cui avevacondotto le inchieste più importantisulla mafia. Ma ad agitarlo era anchealtro. «Sto vedendo la mafia in diretta», disse nel pomeriggio del 17 luglio, due giorni prima dell’attentato,alla moglie Agnese. Erano solo lorodue,ricordaorailfiglio.«Comefacevaqualche volta, mio padre era sfuggitoalla scorta. E aveva voluto fare unapasseggiata in incognito con miamadre. Andiamo, le aveva detto, hobisogna di stare con te».
Cosa si siano detti in quei momentiè ancora un piccolo grande segreto investigativo. Agnese Borsellino ne haparlato questa estate, a Cefalù, al procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari,che ha riaperto le inchieste sullestragi del 1992 per approfondire tantezone d’ombra e per muovere altri
passi verso i mandanti senza volto e idepistatori. Come quegli uomini deiservizi segreti che hanno fatto scomparire l’agenda rossa del magistrato.
Quando Borsellino confidò allamoglie di avere visto la mafia «in diretta» sapeva che pezzi dello Statoavevano avviato, con la mediazione diVito Ciancimino, una trattativa con igrandi latitanti? L’altra sera ad “Annozero” l’ex ministro della giustiziaClaudio Martelli ha rivelato che sì,Borsellino sapeva della trattativa.Gliene aveva parlato Liliana Ferraro,direttore degli Affari penali del Ministero, che ne era venuta a conoscenzadall’allora capitano del Ros GiuseppeDeDonno.Alloraeramagariunarivelazione, ma oggi non si tratta più diuna notizia inedita visto che ne hannoparlato, in sedi giudiziarie, lo stessoDe Donno e il capo di allora del Ros,quel generale Mario Mori coinvoltonell’oscuro affare della mancata perquisizione del covo di Riina dopo l’arresto del boss.
SE È VERO che Liliana Ferraro informò Borsellino dei colloqui conCiancimino e della disponibilità delsindaco del sacco di Palermo a mediare tra lo Stato e il clan dei corleonesi si può allora comprendere meglio il senso di quell’indignazioneconsegnata dal giudice alla mogliedue giorni prima di morire. Se abbia
aggiunto altro è probabile ma il figlioManfredi è un funzionario di polizia etiene a rispettare il riserbo sul lavorodei magistrati di Caltanissetta. «Sitratta di un segreto investigativo chenon posso violare», sottolinea. Ma subito aggiunge: «Mio padre era unuomo aperto e leale. Però era anchepreoccupato di proteggere i collaboratori e i famiglia». E infatti in famiglia non aprì bocca per non accendereancora un clima infuocato dallastrage di Capaci in cui era morto Falcone. «Una sola cosa posso comunque dire con assoluta chiarezza aggiunge Manfredi Mio padre nonavrebbe mai accettato, tantomenoavallato, una trattativa di quel genere.Si sarebbe attivato perché non andasse avanti. Non avrebbe guardatoin faccia nessuno: né chi la stava conducendo né il garante politico che lastava coprendo. Lo avrebbe anzi ritenuto complice di una deviazione facendo esplodere il caso».
Forse non fece in tempo ma avevalanciato segnali di irrequietezza e diapprensione. «Sono stato tradito»,aveva detto, in quei giorni che precedettero la strage, ad Alessandra Camassa, uno dei giovani sostituti a cuiBorsellinosieralegatocomeunpadreal tempo in cui aveva diretto la Procura di Marsala. Tradito da chi? E inche modo? Talpe e veleni sono stati ifattori detonanti delle trame che
hanno preparato le stragi. Di questoBorsellino aveva da sempre perfettaconsapevolezza, ma stavolta sapevaqualcosa di più. «Sapeva – ricorda il figlio – che era arrivata in Sicilia unapartita di esplosivo destinata proprioa lui». Forse era questa informazionead avere indotto il Ros, ancora il Ros, afare scattare l’allarme. Ne ha parlatoad “Anno zero” Antonio Di Pietro,l’altro obiettivo dell’attacco imminente, subito dotato di un passaportodi comodo imbarcato su un aereo espedito in Costarica. Borsellino rimase invece al suo posto. Per unascelta precisa e convinta, ha sempredetto il Ros.
La famiglia Borsellino non neseppe mai nulla. Per Manfredi è «verosimile» che il padre non abbia voluto lasciare la Sicilia. Lui era fattocosì: coerente, riservato ma anche determinato fino all’inverosimile. Nonper questo lo Stato può sentirsi peròprivo di colpe. Nel 1985 Falcone eBorsellino vennero portati, con glialtri colleghi dell’ufficio istruzione,all’Asinara per completare la stesuradell’ordinanza di rinvio a giudizio peri 475 imputati del maxiprocesso allamafia. Manfredi Borsellino ricordache solo sull’aereo giudici e familiariconobbero la destinazione del volo.Perché, si chiede ora, non si fece lastessa cosa anche nel 1992?FRANCO NICASTRO
Manfredi Borsellino rivelaun particolare inedito. Duegiorni prima di morire suopadre confidò: «Ora vedola mafia in diretta»
Giovanni Falcone Paolo Borsellino Totò Riina Vito Ciancimino Massimo Ciancimino Antonio Di Pietro
CHI INDAGALa procura di Caltanissetta: sullenovità emerse a proposito di viaD’Amelio in base alle testimonianzedi Massimo Ciancimino e del nuovopentito Gaspare Spatuzza che si èautoaccusato dell’attentato.
Le procure di Firenze e di Milano:sui mandanti delle stragi di Milano,Firenze e Roma. Spatuzza avrebbesvelato nuovi particolari.
La procura di Palermo: sulle trattative fra pezzi dello Stato e di CosaNostra che fecero da sfondo alla stagione stragista del 1992’93.
DI PIETRO
«DEL COLLEGANON HOSAPUTO NULLA»
n «IO NON SO se allora i carabinieri,oltre a me, avevano
avvertito anche il giudice PaoloBorsellino a Palermo...».
A parlare è il senatore AntonioDi Pietro che abbiamo raggiuntotelefonicamente nel pomeriggio diieri.
Ecco il suo racconto. «Io, il 16 luglio del 1992, ho avuto modo di leggere con attenzione l’informativadei carabinieri del Ros che eranovenuti a trovarmi nel mio ufficiodella procura. I militari, sviluppando le indagini informative nelperiodo successivo alla morte delgiudice Giovanni Falcone nellastrage di Capaci, erano venuti a sapere che Borsellino e il sottoscritto erano le due nuove vittimepredestinate della mafia».
«Dopo la strage di domenica 19luglio, in cui morirono Paolo Borsellino e la sua scorta prosegue DiPietro era stato deciso di attuareun programma di ulteriore sicurezza nei miei confronti, proprioperché ero io l’altro giudice indicatocomelapossibilevittimadellecosche. Per quel motivo era statoperquisito il mio ufficio alla procura di Milano, la mia abitazioneed era stata rinforzata la scorta».
«Nel frattempo continua l’exmagistrato di Mani Pulite erastato predisposto anche il mio allontanamento da Milano. Non èvero, come hanno scritto alcunigiornali oggi (ieri per chi legge ndr)che io sono “espatriato” con unpassaporto falso: ho utilizzato unpassaporto di copertura che mi èstato fornito dalle autorità competenti».
Il ministero dell’Interno, a insaputa dello stesso senatore, avevasviluppato tutte le pratiche urgenti per far allontanare l’alloragiudice dai rischi di essere giustiziato dalla mafia. Il capo della polizia Arturo Parisi ha diretto personalmente la pratica e poi ha informato il questore di Bergamo diadoperarsi per convocare Di Pietro e consegnargli il passaporto dicopertura intestato a Marco Canale, un personaggio sconosciutoa chiunque.
Il senatore Di Pietro, che si ricorda bene quei momenti vissutiallora, aggiunge: « Il 4 agosto 1992ero stato avvertito dallo stessocapo della polizia Parisi che dovevo raggiungere la questura diBergamo e rivolgermi al questoreper ritirare il passaporto di copertura. Poi sono partito insieme amia moglie verso la Costarica. Inizialmente abbiamo raggiuntoFrancoforte e poi, siccome in queimomenti non mi fidavo neppuredi coloro che dovevano proteggermi, abbiamo fatto un giro diverso da quello che ci era stato indicato. Abbiamo così volato per 23ore prima di arrivare a destinazione».M. D. S.