Borgna Eugenio - La Fragilità Che é in Noi

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letteratura e sociologia

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  • Il libro

    Qual il senso di un discorso sullafragilit? Quello di riflettere sugli aspettiluminosi e oscuri di una condizioneumana che ha molti volti e, inparticolare, il volto della malattia fisica epsichica, della condizioneadolescenziale con le sue vertiginoseascese nei cieli stellati della gioia e dellasperanza, e con le sue discese negliabissi dellinsicurezza e delladisperazione , ma anche il volto dellacondizione anziana, lacerata dallasolitudine e dalla noncuranza, dallo

  • straniamento e dallangoscia dellamorte.

    La fragilit, negli slogan mondanidominanti, limmagine delladebolezza inutile e antiquata, immaturae malata, inconsistente e destituita disenso; e invece nella fragilit sinascondono valori di sensibilit e didelicatezza, di gentilezza estenuata e didignit, di intuizione dellindicibile edellinvisibile che sono nella vita, e checonsentono di immedesimarci con pifacilit e con pi passione negli statidanimo e nelle emozioni, nei modi diessere esistenziali, degli altri da noi.

  • Lautore

    Eugenio Borgna psichiatra edocente. Tra i suoi libri ricordiamoCome in uno specchio oscuramente, Leemozioni ferite, La solitudine dellanima,pubblicati da Feltrinelli. Nel 2011, conAldo Bonomi, ha pubblicato perEinaudi Elogio della depressione.

  • Dello stesso autore

    Elegio della depressione (con AldoBonomi)

  • 2014 Giulio Einaudi editores.p.a., Torino

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    www.einaudi.itEbook ISBN 9788858413531

  • Eugenio Borgna

    La fragilit che in noi

    Einaudi

  • Introduzione

    Quale il senso di un discorso sullafragilit? Quello di riflettere sugli aspettiluminosi e oscuri di una condizioneumana che ha molti volti e, inparticolare, il volto della malattia fisica epsichica, della condizioneadolescenziale con le sue vertiginoseascese nei cieli stellati della gioia e dellasperanza, e con le sue discese negliabissi dellinsicurezza e delladisperazione, ma anche il volto dellacondizione anziana lacerata dallasolitudine e dalla noncuranza, dallo

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  • straniamento e dallangoscia dellamorte. La fragilit, negli sloganmondani dominanti, limmagine delladebolezza inutile e antiquata, immaturae malata, inconsistente e destituita disenso; e invece nella fragilit sinascondono valori di sensibilit e didelicatezza, di gentilezza estenuata e didignit, di intuizione dellindicibile edellinvisibile che sono nella vita, e checonsentono di immedesimarci con pifacilit e con pi passione negli statidanimo e nelle emozioni, nei modi diessere esistenziali, degli altri da noi.

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  • Una parentesisemantica

    Grande e radicale oggi ladilatazione dei significati di fragilit:abitualmente considerata dai dizionaricome indice di scarsa consistenza, discarsa durata, di gracilit e di debolezza,di transitoriet e di caducit, ditrepidit morale e di debilit;identificando la fragilit in quella che la sua linea dombra, la sua precariet ela sua instabilit. Ma le cose sonocambiate nel contesto semantico della

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  • parola: accanto ai significati ora indicati,uno splendido dizionario (il Dizionarioanalogico della lingua italiana edito nel2011 da Zanichelli) assegna alla fragiliti significati di vulnerabilit, di sensibilite di ipersensibilit, di delicatezza, e diindifesa e inerme umanit, e del loropossibile incrinarsi nel corso della vita.Ma sono dilatazioni, o integrazioni,semantiche che nei dizionari comuni,anche in quelli aggiornati, non sitrovano; e questo, ovviamente, noncontribuisce alla immediatacomprensione degli orizzonti di sensodialettico della fragilit: strutturaportante, Leitmotiv, dellesistenza, deisuoi dilemmi e delle sue attese, delle

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  • sue speranze e delle sue ferite; e questecose vorrei ora descrivere e analizzare.Muovendo, cos, da una comuneparabola semantica che riunisce in s,sia pure con diverse risonanzeemozionali, fragilit, vulnerabilit esensibilit: aree tematiche chesconfinano luna nellaltra.

  • La fragilit fa partedella vita

    La fragilit fa parte della vita, ne una delle strutture portanti, una delleradici ontologiche, e delle forme diumana fragilit non pu non occuparsila psichiatria: immersa nelle sue propriefragilit e nelle fragilit dei suoipazienti, divorata dal rischio e dallatentazione di non considerare lafragilit come umana esperienza dotatadi senso ma come espressione pi, omeno, dissonante di malattia, di una

  • malattia che non pu essere se noncurata.

    Come definire la fragilit nella suaradice fenomenologica? Fragile unacosa (una situazione) che facilmente sirompe, e fragile un equilibrio psichico(un equilibrio emozionale) chefacilmente si frantuma, ma fragile anche una cosa che non pu essere senon fragile: questo essendo il suodestino. La linea della fragilit unalinea oscillante e zigzagante chelambisce e unisce aree tematichediverse: talora, almenoapparentemente, le une lontane dallealtre.

  • Sono fragili, e si romponofacilmente, non solo quelle che sono lenostre emozioni e le nostre ragioni divita, le nostre speranze e le nostreinquietudini, le nostre tristezze e inostri slanci del cuore; ma sono fragili,e si dissolvono facilmente, anche lenostre parole: le parole con cuivorremmo aiutare chi sta male e leparole che desidereremmo dagli altriquando siamo noi a stare male. Sonofragili, sono vulnerabili, esperienze divita alle quali talora nemmenopensiamo, come sono le esperienzedella timidezza e della gioia, del sorrisoe delle lacrime, del silenzio e dellasperanza, della vita mistica; ma ci sono

  • umane situazioni di vita che ci rendonofragili, o ancora pi fragili, dilatando innoi il male di vivere, e sono le malattiedel corpo e quelle dellanima, ma anchela condizione anziana quando sconfini,in particolare, negli abissi della malattiaestrema: la malattia di Alzheimer. Sonosituazioni di grande fragilit interioreche la vita, la noncuranza elindifferenza, e anche solo ladistrazione e la leggerezza altrui,accrescono e straziano.

    Come non riconoscere (cos)nellarea semantica e simbolica,espressiva ed esistenziale, della fragilitgli elementi costitutivi della condizione

  • umana? Cosa sarebbe la conditionhumaine stralciata dalla fragilit e dallasensibilit, dalla debolezza e dallainstabilit, dalla vulnerabilit e dallafinitudine, e insieme dalla nostalgia edallansia di un infinito anelato e mairaggiunto? Ma come non ammettereche ci siano, anche, forme diverse difragilit, talora concordanti le une conle altre, e talora discordanti le une dallealtre, ma le une e le altre sigillate dacomuni connotazioni umane? Comenon distinguere, in particolare, lafragilit come grazia, come linealuminosa della vita, che si costituiscecome il nocciolo tematico di esperienze

  • fondamentali di ogni et della vita,dalla fragilit come ombra, come notteoscura dellanima, che incrina lerelazioni umane e le rende intermittentie precarie, incapaci di tenutaemozionale e di fedelt: esperienzaumana, anche questa, che resistelimpida e stellare al passare del tempo,e alla corrosione che il tempo rischiasempre di trascinare con s?

    Ovviamente, non di questa secondapossibile connotazione semantica dellafragilit vorrei in particolare parlare madella prima, che racchiude in s infinitiorizzonti di senso: non sempreconosciuti, e non sempre valutati nella

  • loro significazione umana ed etica.

  • La fragilit comeesperienza

    interpersonale

    La fenomenologia della fragilit nonpu fare a meno di una riflessionepreliminare sulla sua natura diesperienza interpersonale. La fragilit il nostro destino, certo, ma essa nasce, sisvolge e si articola in una strettacorrelazione con lambiente in cuiviviamo, e cio con gli altri da noi. Lacoscienza della nostra fragilit, della

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  • nostra debolezza e della nostravulnerabilit (sono definizioni, infondo, interscambiabili) rende difficili etalora impossibili le relazioni umane:siamo condizionati dal timore di nonessere accettati, e di non esserericonosciuti nelle nostre insicurezze enel nostro bisogno di ascolto, e di aiuto.La nostra fragilit radicalmente feritadalle relazioni che non siano gentili eumane, ma fredde e glaciali, o anchesolo indifferenti e noncuranti. Nonsiamo monadi chiuse, e assediate, masiamo invece, vorremmodisperatamente essere, monadi apertealle parole e ai gesti di accoglienza deglialtri; e, quando questo non avviene, le

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  • dinamiche relazionali si fanno oscure earrischiate: dilatando fatalmente lenostre fragilit e le nostre ferite, lenostre insicurezze e le nostre debolezze,le nostre vulnerabilit.

  • Le parole fragili

    Ciascuno di noi, in vita, ma inpsichiatria in particolare, ha a che farecon le parole: con parole fredde eopache, crudeli e pietrificate, negate allatrascendenza e immersenellimmanenza, o con parole leggere eprofonde, fulgide e discrete, delicate eaperte alla speranza, fragili e friabili,permeabili allincontro e al dialogo, alcambiamento degli stati danimo e dellesituazioni.

    Cosa contrassegna le parole fragili e

  • delicate, le parole che sono arcobalenodi speranza, e cosa le distingue daquelle che non lo sono? Sololintuizione e la sensibilit ci consentonodi conoscerle, e di coglierle nei loroorizzonti di senso. Le parole fragili sonoparole portatrici di significati inattesi etrascendenti, luminosi e oscuri,umbratili e crepuscolari. Sono fragili leparole rilkiane, che si aprono e sichiudono come ortensie azzurre, e chealludono a foreste di segni insondabili;e sono infinitamente fragili le paroleleopardiane, nelle loro risonanze cosfacilmente ferite dalla nostraindifferenza e dalla nostra noncuranza,dalla nostra fretta e dalla nostra

  • disattenzione. Sono fragili le paroleungarettiane che, come allodoleaccecate da troppa luce, rinascono dalsilenzio e dalla discrezione, dalle luci edalle penombre della vita. Sono, queste,le parole di cui hanno bisogno lepersone fragili e insicure, sensibili evulnerabili, indirizzate alla disperataricerca di accoglienza e di rispetto dellaloro debolezza: della loro dignit.

    In un bellissimo libro di DavidKhayat, grande oncologo francese, radicalmente sottolineata limportanzapsicologica e umana delle parole che sirivolgono ai pazienti, e che nerispettano, o ne lacerano, la dignit e la

  • fragilit. La chirurgia, la radioterapia ela chemioterapia sono ovviamentestrumenti essenziali di cura dei tumori,ma a esse necessario aggiungere, eglisostiene, un altro strumento: quellodelle parole. Le parole che si dicono,come quelle che si ascoltano; le paroleche si condividono, che ci uniscono, chericonfortano, o quelle che feriscono. Leparole sono dotate di un immensopotere: sono in grado di aiutare, diindicare un cammino, di recare lasperanza, o la disperazione, nel cuoredei malati che, nel momento in cuiscendono nella voragine dellasofferenza, hanno un infinito bisogno didare voce alle loro emozioni e al loro

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  • dolore, che dolore del corpo, e doloredellanima.

    Quante persone ferite dalla malattiasono lacerate dalle parole troppoviolente, troppo dure, troppo inumane,che i medici rivolgono loro. Unadiagnosi comunicata in un corridoio o auna segreteria telefonica, un gestoambivalente che lascia presagireindifferenza o preoccupazione, unosguardo sfuggente nel momento dirispondere a una domanda: tutto pucausare angoscia e disperazione. Cos, necessario scegliere parole che possanoessere subito comprese, e che nonferiscano. Questo il compito, non

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  • facile ma necessario, di chi cura: crearerelazioni umane che consentano almalato di sentirsi capito e accettatonella sua fragilit, e nella sua debolezza.

    Come dice ancora David Khayat:egli mai avrebbe potuto pensare,allinizio della sua carriera di oncologo,che nella pratica clinica le parole glisarebbero state utili come gli strumentiscientifici, ma stato cos; e la parte piimportante dellinsegnamento, che egliavrebbe lasciato in eredit ai suoi allievi,sarebbe stato quello di ancorarsi, nellacura, alla bellezza morbida e plasticadelle parole: al loro potere terapeutico.Sulla scia di quali gentili parole

  • possibile dire a una paziente che la suavita in pericolo, e che sar forsepossibile salvarla, ma a costo di gravimutilazioni? Le parole non sonoincolori, non sono uniformi, non sonosemplici e, solo se sgorgano dal cuore edal silenzio, solo se sono fragili e gentili,umbratili e arcane, lasciano una tracciaprofonda nellanima di chi sta male, echiede aiuto divorato dallangoscia edalla disperazione.

    Ma le parole, certo, non bastano: sei pazienti hanno la sensazione che nonsi sia avuto il tempo di ascoltarli, dicomprenderli, di prendere coscienzadelle loro sofferenze, penseranno che

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  • non tutto sia stato fatto per essere lorodi aiuto.

  • La fragilit delsilenzio

    Le parole sono fragili, sono fragili leparole che aiutano a vivere, e chedovremmo sapere ricreare, o riscoprire,ogni volta che il destino ci fa incontrarecon il dolore e con la disperazione; male parole sono intrecciate al silenzio, e laloro fragilit rimanda alla fragilit delsilenzio che ha mille modi di esprimersi,e che si rompe facilmente.

    Sono bellissime e struggenti le cose

  • che sul silenzio sono state scritte, in untesto molto breve, ma intensissimo, daGiovanni Pozzi: le vorrei citare in alcuniloro frammenti.

    La parola il tratto distintivodelluomo, non perch aggiunto alla suanatura, ma perch suo costitutivo.Luomo nasce, si sviluppa, si modella esi esprime entro un linguaggio. Ma illinguaggio porta necessariamente aldialogo, ed perci la piattaforma sullaquale si realizza lincontro iotu, che ilsolitario tenta di sfuggire comeincompatibile col suo disegno.

    La parola tuttavia non pu fare a

  • meno del silenzio: Per ascoltareoccorre tacere. Non soltanto attenersi aun silenzio fisico che non interrompa ildiscorso altrui (o se lo interrompe, lofaccia per rimettersi a un successivoascolto), ma a un silenzio interiore,ossia un atteggiamento tutto rivolto adaccogliere la parola altrui. Bisogna fartacere il lavorio del proprio pensiero,sedare lirrequietezza del cuore, iltumulto dei fastidi, ogni sorta didistrazioni. Nulla come lascolto, il veroascolto, ci pu far capire la correlazionefra il silenzio e la parola.

    Ma il silenzio, nella sua strematafragilit, non ha solo mille modi di

  • venire alla luce, ha anche mille modi diessere ferito dalle parole, o dai gesti. Ilsilenzio ha in s tracce di mistero e dioscurit, di fascinazione e di speranza, ele parole, le parole che aiutano a vivere,nascono dal silenzio e muoiono nelsilenzio in una circolarit senza fine.Sono molti i modi con cui il silenzio e leparole si intrecciano: c il silenzio cherende palpitante e viva la parola; c ilsilenzio che si sostituisce alla parola neldire il dolore e langoscia, la gioia e lasperanza; c il silenzio oscuro, oambivalente, nei suoi significati. Ognisilenzio ha un suo proprio linguaggio, enon facile coglierne, e decifrarne, gliorizzonti di senso; e questo ha una

  • particolare importanza quando si ha ache fare con condizionipsicopatologiche di vita nelle quali ilsilenzio dolorosamente presente:fragile, e vulnerabile. Lo si feriscefacilmente: al di l di ogni buonaintenzione. Quante volte in un incontroterapeutico una paziente, o un paziente,rimane chiuso in un silenzio che nonbisogna interrompere, e che necessario ascoltare nei suoi enigmaticisignificati; ed importante distinguereil silenzio che nasce dal desiderio disolitudine da quello che nasce invece dauna profonda tristezza; e ancoradistinguere il silenzio che sgorga dallanostra incapacit di creare una

  • relazione interpersonale dotata disenso, da quello che ha in s scintille, ogocce, di speranza.

    Come non essere tentati di guardareal silenzio come a un modo di essereinutile e negativo, e alla parola invececome a un modo di essere sfolgorante epositivo? Ma dovremmo sapere chenella vita non tutto dicibile, e nontutto esprimibile; e non dovremmoilluderci di potere spiegare i pensieriche abbiamo, e le emozioni cheproviamo, con le sole parole chiare edistinte. La parola che tace talora piimportante della parola che parla.

  • Sono cose che dice Etty Hillesumnel suo bellissimo diario scritto nelcampo di concentramento olandese diWesterbork: In me c un silenziosempre pi profondo. Lo lambisconotante parole che stancano perch nonriescono ad esprimere nulla; e quantesono le parole inutili che diciamo ognigiorno senza che il silenzio abbia arecuperarle nella loro sincerit e nellaloro profondit: Bisogna sempre pirisparmiare le parole inutili per potertrovare quelle poche parole che ci sononecessarie, per riconoscerci e perriconoscere cosa c nellaltro. Questanuova forma di espressione devematurare nel silenzio.

  • Le parole nascono dal silenzio emuoiono nel silenzio, e tuttavia leparole non sono mai fragili come lo ilsilenzio che non parla se non con illinguaggio dei volti, degli sguardi edelle lacrime, o del sorriso, ed unlinguaggio che si coglie nei suoisignificati profondi solo quando siaaccompagnato dalla luce arcanadellinteriorit. Solo un dialogo senzafine con il silenzio, con la fragileevanescenza del silenzio, ci consente dicogliere le ferite dello spiritoinesprimibili e invisibili agli occhi dellaragione calcolante, e ci consente dicurarle e di guarirle senza lasciarecicatrici. Quando ci incontriamo con un

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  • malato in ospedale, alta la tentazionedi parlare, di riempire con parole lepause del silenzio, senza rendersi contoche talora al silenzio di chi sta male nonpu accompagnarsi se non talora ilsilenzio di chi sta bene. Non dovremmomai lasciarci trascinare dallimpazienzae dalla fretta di aggredire il silenziosenza cercare di intuirne le motivazioni.Costa fatica attendere che il silenzio siesaurisca; ma nella solitudine in cui noici troviamo dinanzi alla indifesa fragilitdi un paziente murato nel suo silenzio, necessario attendere, tacere, non farenulla e scambiarsi un sorriso.

    Solo nel silenzio si possono ascoltare

  • voci segrete, voci che giungono da unaltrove misterioso, voci dellanima chesgorgano dalla pi profonda interiorit,e che portano con s nel nostro mondo,e nellautre monde del dolore edellangoscia, della malattia e dellafollia, risonanze emozionali palpitanti divita. Solo nel silenzio si colgono fino infondo gli abissi di fragilit che sono innoi, e negli altri da noi, e si impara adaccoglierli nelle loro luci e nelle loroombre.

  • Le emozioni fragili

    Ci sono emozioni forti ed emozionideboli, virt forti e virt deboli, e sonofragili alcune delle emozioni pisignificative della vita. Quali emozioni sipossono considerare fragili, e in cosaconsiste la loro fragilit? Sono fragili latristezza e la timidezza, la speranza elinquietudine, la gioia e il doloredellanima, lamicizia e le lacrime, chesono intessute di fragilit e che, se nonfossero fragili, perderebberoimmediatamente la loro significazioneumana e il loro fulgore emozionale. Le

  • emozioni fragili si scheggiano e sifrantumano facilmente: non resistonoallavanzata dei ghiacciai dellanoncuranza e dellindifferenza, delletecnologie trionfanti e degli idoliconsumistici. Ma cosa diverrebbe lasperanza, se non fosse nutrita difragilit e di fluida friabilit? Nonsarebbe se non una delle tanteproblematiche certezze che, nella loroimpenetrabilit al dubbio eallincertezza, svuotano di senso la vita.

    Ci sono emozioni fragili, certo, maci sono anche virt fragili, virt deboli,come la gentilezza e la mansuetudine,linnocenza e la modestia, la mitezza e

  • la tenerezza; e come non richiamarmi, aquesto riguardo, alle considerazioni diNorberto Bobbio in un suo bellissimolibro dedicato allelogio della mitezza?Chiamo deboli queste virt nonperch le consideri inferiori o menoutili e nobili, e quindi menoapprezzabili, ma perch caratterizzanoquellaltra parte della societ dovestanno gli umiliati e gli offesi, i poveri, isudditi che non saranno mai sovrani,coloro che muoiono senza lasciare altrosegno del loro passaggio su questa terrache una croce con nome e data in uncimitero, coloro di cui gli storici non sioccupano perch non fanno storia, sonouna storia diversa, con la s minuscola, la

  • storia sommersa o meglio ancora lanonstoria (ma da qualche anno sicomincia a parlare di una microstoriacontrapposta alla macrostoria, e chi sache nella microstoria ci sia un postoanche per loro).

    Le emozioni fragili, come le virtdeboli, hanno in s le stimmate lucentie dolorose dellumanit ferita, ed questa a renderle cos umane e cosarcane.

  • La timidezza

    La timidezza forma di vita fragile,infinitamente fragile, e si rompefacilmente: non solo i gesti, un sorrisomancato, un saluto evitato, ma anche, esoprattutto, le parole, le parole che nonsiano fragili, e siano invece aride einanimate, feriscono e lacerano latimidezza. Cosa resta di una timidezzaferita e lacerata? Frantumi stellari,schegge sanguinanti, che talora non siricompongono e non si cicatrizzano pi.

    La timidezza, misteriosamente

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  • legata alluniverso delle emozioni,induce al nascondimento, e in essaantenne fluttuanti e inafferrabilicolgono immediatamente intorno a sle tracce dellindifferenza e dellainautenticit. La timidezza unacompagna di strada che non ciabbandona mai, nemmeno quando glianni trascorrono temerari e fatali. Inogni caso, la timidezza non pu esseretoccata, e non pu essere sfiorata, senzauna grande leggerezza: essa si sfalda e sidissolve, facilmente come sabbia fra ledita.

    Ma la timidezza non si riconoscesubito nelle maglie segrete

  • dellesistenza: si nasconde, si maschera,si oscura e talora scompare, e tuttaviaagonizza, ma non muore; grida insilenzio per essere letta diversamente dacome appare. La timidezza ci allontanadai contatti con gli altri, bench a essianeli nostalgicamente, nel timore chenon siano spontanei, e cogliendone inogni caso con la radente intuizione deimodi di sentire e di essere altrui leombre, o almeno le penombre, leinquietudini e talora le ambiguit, chein essi si intravedano. La timidezza nonsolo ci aiuta con la sua umbratilefragilit a immedesimarci nella vitainteriore altrui, ma contestualmente ciinduce a mantenere, e a tenere viva, la

  • distanza vissuta con le persone con lequali ci incontriamo: rispettandone finoin fondo la libert, e cercando disfuggire a ogni possibile sconfinamento.Sono infinite le forme con cui latimidezza viene rivissuta in ciascuno dinoi, ignorata, e non di rado calpestata, equesto non solo negli studi medici enegli ospedali, ma nelle aule scolastiche,nelle famiglie e nella vita.

    Nutrita nonostante tutto di scintillee di gocce di leopardiana speranza, latimidezza ci aiuta a ritrovare in noistessi la leggerezza e la sensibilitnecessarie a costruire relazioni umaneintense e creatrici: anche quando si

  • rivolgano a umani destini incrinati daldolore dellanima e dalla tristezza,dallangoscia e dalla disperazione. Latimidezza, certo, retaggio emblematicodelle adolescenze, di quelle bruciatedagli ideali, dalle aspirazioni agli ideali,pi alti e travolgenti; e alla lorosconfitta, allindifferenza con cui sonoaccolte dagli altri, conseguonolacerazioni dellanima talora affascinatedalla morte volontaria.

    Non posso non continuare ariflettere sulla timidezza, e sulletimidezze, su questa malattiadellanima, cos frequente e cosignorata, cos nascosta e cos

  • sanguinante. E questo perch, gi neglianni lontani della mia vita in ospedalepsichiatrico, non mi era possibile noncoglierne le tracce, talora ai confinidella indicibilit, nelle pazienti, giovanie non pi giovani, sradicate da casa condiagnosi quanto mai precarie didepressione o di dissociazione psicotica,e crudelmente ferite nella loro fragilite nella loro timidezza, nella lorosensibilit e nella loro strematanostalgia.

    Non bisogna stancarsi mai diascoltare il timbro della fragilit chevibra, in particolare, nelle adolescenzefolgorate dalla timidezza: cose, queste,

  • che le famiglie, la scuola e la psichiatriadovrebbero sempre fare. Non ctimidezza che non si accompagni asensibilit e a insicurezza; e anchequesta forma di vita considerata comeantiquata e inutile, dannosa e ai confinidi un handicap, e tuttavia quanti rischie quanta violenza si nascondono nellasicurezza di s mai incrinata dal dubbioe dalla riflessione sui propri limiti.

    Non si pu fare psichiatria senzaessere accompagnati (forse) almeno daqualche traccia di insicurezza, e diininterrotta riflessione sul senso, e sulnonsenso, delle parole che si dicono edelle cose che si fanno.

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  • La gioia

    La gioia emozione fragilissima eimpalpabile, vive del presente, non delpassato e nemmeno del futuro, ed radicalmente diversa dalla felicit. Nonsaprei come definirne lessenza,distinguendola da quella della felicit,se non ricorrendo ad alcuni frammentidi lettere di Rainer Maria Rilke.

    Dalla lettera inviata a unamica, Ilse

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  • Erdmann, nel gennaio del 1914: larealt di ogni gioia [Freude] indescrivibile nel mondo, solo nellagioia ancora avviene la creazione (lafelicit [Glck], al contrario, unacostellazione promettente einterpretabile di cose gi presenti); mala gioia un meraviglioso accrescimentodi ci che gi esiste, pura crescita dalnulla. Ben debole, in fondo, devesserela forma con cui la felicit ci occupa lamente, visto che ci lascia subito il tempodi pensare alla sua durata e di essernepreoccupati. La gioia un momento,senza vincoli, senza tempo; non la sipu trattenere, ma non la si puneanche perdere, perch sotto le sue

  • scosse il nostro essere mutachimicamente, per cos dire, e non silimita, come di solito accade nellafelicit, ad assaporare e a godere sestesso in una nuova mescolanza. Dallalettera inviata a unaltra amica,Marianne GoldschmidtRothschild, neldicembre dello stesso anno: la gioia indicibilmente di pi della felicit; lafelicit irrompe sugli uomini, la felicit destino; la gioia gli uomini la fannofiorire dentro di s, la gioia semplicemente una buona stagionesopra il cuore; la gioia la cosa massimache gli uomini abbiano in loro potere.

    Ma la lama tagliente della

  • immaginazione creatrice in Rilke fasgorgare struggenti e vertiginosearticolazioni tematiche della gioia daunaltra lettera, quella inviata, nelmaggio del 1921, a Nanny WunderlyVolkart: La felicit ha il suo contrarionellinfelicit, la gioia non ha contrario,per questo il pi puro dei sentimenti,la pietra di paragone dellanimo. Sapergioire, com immensamente diversodallessere felici, com irrevocabile,sottratto a ogni pericolo e addiritturaallinvidia degli di. Comininvidiabile! Ed una dimostrazioneperch qui avviene la vera prova diforza; qui, nella gioia, si mostra il verostato, la vera portata del cuore.

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  • La gioia come immagine del cuore,e il cuore come immagine della gioia:luna e laltra cos fragili.

    Certo, se volessi aggiungerequalcosa alle straordinarieconsiderazioni rilkiane, potrei soltantodire che la gioia unemozione chenasce in noi solo quando il nostro cuoresi sottrae agli avvenimenti di ognigiorno, e recupera le sorgenti intatte delnostro aprirsi agli altri: nella dedizione enella solidariet. La gioia unemozioneluminosa che causata da qualcosa nondi esteriore ma di interiore: quasi unafontana che sgorga dagli abissi dellanostra interiorit. La gioia

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  • unemozione friabile e fragilissima, s,come la stella del mattino che siintravede un attimo, e poi scompare frala notte e lalba: come la rosa che, inuna bellissima poesia di Malherbe,fiorisce e poi muore nello spazio di unmattino. La gioia unemozione diindescrivibile leggerezza che ci fariflettere fino in fondo sul mistero dellacondizione umana: sulla sua estremafragilit che resiste nondimeno allesituazioni dolorose della vita: quandonasca, e cos sempre, dal cuore. Lagioia unemozione impalpabile efuggitiva, e non facile raggiungerla etrattenerla. Sguscia fra le dita, e tuttaviacome coda di cometa continua a vivere

  • in noi: nella nostra memoria, e nelnostro cuore.

    Ma la gioia testimonia di unarcananostalgia di infinito, di un infinito chenon si spegne nemmeno nellecondizioni di straziato dolore e diquotidiana attesa della morte; comesono state quelle vissute da EttyHillesum a Westerbork, il campo diconcentramento olandese nel quale stata confinata dal 1941 al 1943:nellattesa, come avvenuto, di esseremandata a morire ad Auschwitz con igenitori e con Mischa, uno dei suoi duefratelli (ma anche Jaap, sopravvissutoad Auschwitz, moriva mentre tornava

  • in Olanda). La gioia, una gioia diinesprimibile tenerezza, rinasce in EttyHillesum con parole che non si possonocitare se non con il cuore in gola: Macosa credete, che non veda il filospinato, non veda il dominio dellamorte, s, ma vedo anche uno spicchiodi cielo, e questo spicchio di cielo celho nel cuore, e in questo spicchio dicielo che ho nel cuore io vedo libert ebellezza. Non ci credete? Invece cos.

    Cosa ci dice, infine, la gioia inordine al senso della vita: al destino che in noi? La gioia ci dice forse che, nellacondizione umana, radicata lapossibilit di ritrovare un senso nella

    UtenteEvidenziato

  • vita anche quando essa sia oscuratadalle spine inesorabili dellindifferenzae della noncuranza, dellegoismo edellaggressivit, e anche della violenzae della morte. La gioia un destinoinsondabile che consente di intravederela luce anche nelle tenebre dei campi diconcentramento, quando la grazia, ilmistero della grazia, sia nella nostraanima. Ma a noi, a ciascuno di noi, demandato il compito di ricercare leorme della gioia, della sua strematafragilit, nei volti e negli occhi, nelsorriso e negli sguardi di chiunqueincontriamo in vita. Non la inaridiamocon la nostra gelida disattenzione.

  • La tristezza dellanima

    La tristezza unesperienza di vitache conosce fino in fondo solo chi laviva negli abissi della propria anima, eche ci rende fragili e indifesi:immergendoci nelle speranze recise,nelle nostre e in quelle degli altri, efacendoci crudelmente soffrire. Quandola tristezza, invisibile agli occhi che nonsiano bagnati di lacrime, vive nella

  • nostra anima, ogni nostra sicurezzaviene meno, e inutilmente andiamo allaricerca degli abituali punti diriferimento, che si frantumano.

    Come ogni forma di vita incrinatadalla fragilit, la tristezza facilmenteferita dalla solitudine e dallabbandono,dalla noncuranza e dallindifferenza, ele ferite che ne sgorgano, non sempre sicicatrizzano: lasciando dietro di s scieinestinguibili di un dolore che sitrasforma talora in sventura, quella che stata mirabilmente descritta daSimone Weil. Non sto parlando oradella tristezzamalattia, della tristezzapatologica, della tristezza che diviene

  • depressione, ma della tristezza che faparte della vita, della tristezzaleopardiana, della tristezza creatrice,cos fragile e cos delicata, cosvulnerabile e cos friabile, cos espostaalle ferite che nascono dallinterno,certo, ma anche, e soprattutto,dallesterno della vita. Bench ne abbiaparlato da sempre nei miei libri, nonpotrei non richiamarla ora in questomio discorso sulla fenomenologia dellafragilit, rifacendomi alle considerazionisvolte da Romano Guardini in un suobellissimo libro nel quale egli parla ditristezza e di malinconia. Certo,tristezza e malinconia si sovrappongono,e in fondo si identificano, nella loro

  • parabola semantica; e vorrei servirmiora di tristezza ora di malinconia: lunae laltra indicando una condizioneumana incrinata da una strematafragilit, da una debolezza dellanimache, come ogni emozione fragile, scorrepalpabile, o impalpabile, lungo il corsodi una vita. (La depressione ha inveceuna dimensione semantica francamenteclinica, e psicopatologica, indicando latristezzamalattia, e non la tristezza -stato danimo).

    La tristezza qualcosa di cosdoloroso, e si sospinge cosprofondamente nelle radici della nostraumana esistenza, che non la si pu

  • lasciare in bala degli psichiatri. Se noidiscutiamo qui del suo senso, perchessa non ha a che fare con unaquestione psicologica, o psicopatologica,ma con una questione spirituale. Noipensiamo che si abbia a che fare conqualcosa che ci confronta con laprofondit della nostra umanit.

    Nel definire il senso della parolatedesca (Schwermut) che includemalinconia e tristezza, RomanoGuardini dice che il suo nome significapesantezza dellanimo: un peso gravasulluomo, e lo spinge in gi fino aschiacciarlo. Una sensibilit comequesta rende luomo fragile e

  • vulnerabile a causa della durezzaspietata dellesistenza. Lanima feritada quello che la vita ha di irrevocabile:la sofferenza, che dovunque, lasofferenza, in particolare, delle personefragili e indifese, la sventura che rendetalora lesistenza cos crudele einesorabile.

    La fragilit si intreccia, dice ancoraRomano Guardini, al modo di esseredella sofferenza che nasce dallatristezza, dalla malinconia, dallapesantezza dellanima, e che ha unaparticolare sensibilit a tutto quello chein vita pu ferire. Ogni cosa divienefonte di dolore, e la stessa esistenza si

  • tramuta in dolore: la propria esistenza,e qualsiasi altra cosa esista. Questaprofonda tristezza induce adallontanarsi da quello che ferisce, e arifugiarsi nel nascondimento e nellasolitudine; e questo per amore di s maanche per non essere di peso agli altri.Questa spinta al nascondimento siesprime nello stare lontani dagliuomini. La persona malinconica stabene quando sola, e ha ardentenostalgia di silenzio. Il silenzio per leiessenziale: crea unatmosfera spiritualeche la fa respirare, la allevia e larassicura.

    Cose, queste, che, bench con altro

  • linguaggio, sono splendidamentesostenute in un recente libro di JeanStarobinski: grande critico letterario maanche psichiatra di formazionepsicoanalitica.

    La speranza

    Fragile anche la speranza, che nonvive del presente ma del futuro cheancora non c, e tuttavia questa suafragilit, questa sua dipendenza da un

  • futuro che non c, fonte di riflessionisenza fine.

    Come non citare, sul mistero dellasperanza, le sfolgoranti parole di BlaisePascal? Non pensiamo quasi mai alpresente, o se ci pensiamo solo perprendere la luce con cui predisporrelavvenire. Il passato e il presente sono inostri mezzi, solo lavvenire il nostrofine. Cos noi non mai viviamo masperiamo di vivere, e preparandocisempre ad essere felici, inevitabilmentenon lo siamo mai.

    Quando speriamo, quando in noinasce la speranza, ne avvertiamo la

  • fragilit, la vulnerabilit e lapparenteinconsistenza, e nondimeno la speranzaha una sua durata, e una sua tenutapsicologica e umana, che sono inflagrante contraddizione con la suafragilit. (Ci sono esperienze, ci sonocose, nella vita, che sembrano fragili enon lo sono, e altre che sono fragili, enon sembrano esserlo).

    Ma vorrei ora citare FriedrichNietzsche, le sue straordinarie parolesulla speranza: La speranza larcobaleno gettato al di sopra delruscello precipitoso e repentino dellavita, inghiottito centinaia di volte dallaspuma e sempre di nuovo

  • ricomponentesi: continuamente losupera con delicata bella temerariet,proprio l dove rumoreggia piselvaggiamente e pericolosamente.

    Queste invece le parole di ungrande psichiatra del secolo scorso,dotato di grandi intuizioni filosofiche,Eugne Minkowski, che ha cos definitala speranza: La speranza va pilontano nellavvenire dellattesa. Io nonspero nulla n per listante presente nper quello che immediatamente glisubentra, ma per lavvenire che sidispiega dietro. Liberato dalla normadellavvenire immediato, io vivo, nellasperanza, un avvenire pi lontano, pi

  • ampio, pieno di promesse. E laricchezza dellavvenire si apre adessodavanti a me; e ancora: Ma lasperanza va pi lontano anche in unaltro senso: la speranza allontana da noiil contatto immediato del divenireambiente, sopprime la morsa dellattesae mi consente di guardare liberamentelontano nello spazio vissuto che si apreadesso davanti a me.

    La fragilit, e la friabilit, dellasperanza si manifestanoemblematicamente in ogni condizionedepressiva che non sia malinconia -stato danimo ma malinconiamalattia,e sia immersa cos nella voragine di una

  • profonda tristezza: di una sconvolgentepesantezza dellanima. Le parole,lacerate dalla disperazione edallangoscia, di Maria Teresa, unagiovane paziente, manifestano lafragilit della speranza che muore sullasoglia di un morire anelato: Non honiente a cui aggrapparmi. Non c piniente che mi dia un senso. Mi sentodisperata: almeno piangessi. Non riescoa piangere. Sento che non riuscirei asuicidarmi ma questo a rendereancora pi profonda la mia sofferenza.Se potessi sperare nel suicidio, se potessicontare su di una morte cos vicina, sepotessi scegliere la mia morte,sopporterei meglio questa terribile

  • sofferenza perch ne conoscerei la fine.Non ho la speranza della morte. Nonho questa speranza. Non ho pi alcunasperanza. Non c in lei nemmeno pila speranza della morte: nella morte.(Lagonia si prolunga senza fine in noiquando la depressione dilaga, e lamorte volontaria l: orizzonte in fuganella sua luce stregata, docile efamiliare nella sua strematafascinazione).

    Nei lunghi mesi di depressione lasperanza, divorata nella sua fragilitdallangoscia, non mai riuscita ariemergere dalle parole straziate diMaria Teresa. Solo quando la

  • condizione depressiva ha incominciatoa declinare, la speranza venuta amano a mano rinascendo: Ieri misentivo dentro una speranza nonmotivata. Avevo solo nel cuore unasperanza: la speranza. Prima pensavo dinon potere sperare se non in unasperanza determinata: ieri,improvvisamente, nata in me unadiversa speranza. Nel cuore, questasperanza. Era bello: bench sia duratapoco. Oggi, ad esempio, non c piquesta speranza nel cuore. Lavevo cosnegata questa speranza. Ma orarinasceva una speranza checomprendeva il futuro che era vita. Ilfuturo mi spaventava, prima, perch

  • vedevo la ripetizione di un presente.Ieri, non avvertivo pi questo sensonegativo: il futuro diveniva unasituazione aperta. La speranza che siapriva, ed era come una nuova vita.

    Nellesperienza radicale delladepressione non ci sono se nondisperazione e angoscia, e non c senon linfinita ripetizione di un presentestralciato da ogni agostinianaarticolazione con il passato e con ilpresente. Quando la depressionedeclina, rinasce allora una speranza cherecupera il passato, e lo immergenellorizzonte di un futuro aperto; equesto ci dice ancora come la speranza

  • sia una forma di vita fragile,fragilissima, che rischia continuamentedi venire meno e di dissolversi, e chetuttavia non scompare mai:sopravvivendo anche in situazionidolorose e desertiche come sono quellecontrassegnate da una condizionedepressiva radicale.

    Conoscere, o almeno cercare diconoscere, gli andamenti dellasperanza, delle sue fragilit e delle suerisorse, nel contesto non solo delleesperienze psicopatologiche ma dellavita, senzaltro molto utile al fine diseguirne e di valutarne le ricadute. Lasperanza fragile, certo, si frantuma

  • facilmente dinanzi agli avvenimentidolorosi della vita, ed necessarioriconoscerla, e cercare disalvaguardarla, perch essa nella suatrascendenza ci rimette in continuarelazione con il mondo delle persone edelle cose. Le sue eclissi siaccompagnano ai naufragi nelle ombree nelle notti oscure dellanima, con leloro angosce e con le loro lacerazioni.Non dimentichiamo mai di ricercarle, edi comprenderle nei loro sconfinatiorizzonti di senso.

  • Le amicizie stellari

    Lessenza dellamicizia, delleamicizie possibili, rinasce con i suoifulgori e con le sue fragilit dalle parolescintillanti di Nietzsche. Eravamoamici e ci siamo diventati estranei. Ma giusto cos e non vogliamo dissimularcie mettere in ombra questo come sedovessimo vergognarcene. Noi siamodue navi, ognuna delle quali ha la suameta e la sua strada; possiamobenissimo incrociarci e celebrare unafesta tra di noi, come abbiamo fatto:allora i due bravi vascelli se ne stavano

  • cos placidamente allancora in unostesso porto e sotto uno stesso sole, cheavevano tutta laria di essere gi allameta, una meta che era la stessa pertutti e due.

    Come pu avvenire nella vita diciascuno di noi, le cose cambiano: lenavi si allontanano e si fanno lunaestranea allaltra; e, bench non sisappia se questa lontananza siatemporanea, o sia definitiva, questosignifica che, anche in unesperienzacos bella e cos luminosa, come quelladellamicizia, ci sono le indicibili traccedella fragilit.

  • Ancora Nietzsche: Ma proprioallora lonnipossente violenza del nostrocompito ci spinse di nuovo lunolontano dallaltro, in diversi mari e zonedi sole e forse non ci rivedremo mai forse potr anche darsi che ci si veda,ma senza riconoscerci: i diversi mari esoli ci hanno mutati! Che ci dovessimodivenire estranei la legge incombentesu noi: ma appunto per questodobbiamo diventare pi degni di noi!E la conclusione di questo testo, cherecupera fino in fondo lorizzonte disenso di una condizione umana, comequesta dellamicizia, cos umbratile ecos fragile, cos banalizzata e coscontaminata dalla vita di ogni giorno, si

  • apre nondimeno a una inesprimibilesperanza: Ma la nostra vita troppobreve, troppo scarsa la nostra facoltvisiva per poter esser pi che degli amicinel senso di quella nobile possibilit. Ecos vogliamo credere alla nostraamicizia stellare, anche se dovessimoessere terrestri nemici lun laltro.

    Cosa potrei dire, ancora, di questaforma di vita cos fragile e cos radiosa?Lamicizia ha in s il significato di undialogo infinito che continua anchequando non ci si vede, non ci siincontra e non ci si parla. Quando ci sirivede con una persona amica, sicancella il silenzio e si rimuove

  • lassenza: si ricostituisce il dialogo soloapparentemente perduto ma, in realt,mai interrotto. Il tempo, il tempointeriore, non si slabbra, e nemmeno siincrina, nonostante le intermittenze deltempo della clessidra; e il linguaggio delsilenzio ritorna a essere il linguaggiodella parola: il linguaggio dei volti che siriflette negli occhi e negli sguardi.

    Amicizia come dialogo, certo, comedialogo nel silenzio e dialogo nellaparola; e amicizia come corrente carsicache scorre nascosta fra persone amiche:lontane e vicine, assenti e presenti, e inogni caso consapevoli che, in qualsiasimomento, quando suona la campana, ci

  • si possa sentire, ci si possa parlare, ci sipossa incontrare, annullandosi ognidistanza e ogni apparente indifferenza.Lamicizia, quando si sta scendendolungo la china del dolore e dellatristezza, zattera che ci consente disalvarci; e, nella misura in cui siaspontanea, e non importa se antica orecente, in ogni amicizia rinasce unascintilla di comunione che non sispegne facilmente.

    Lamicizia, come ogni cosaessenziale della vita, pu essere solodonata; ma ci sono forme diverse diamicizia, mai statiche e immobili:salgono, e scendono, sulla scia di

  • vicinanze e di lontananze impreviste, eanche delle vicende della vita. Comediceva Nietzsche, ogni nave ha la suameta e la sua rotta; ma ogni nave purichiamare intorno a s altre navi: in uncircolo di reciprocit e di solidariet nelquale si riconosce, forse, lessenza diunamicizia aperta, e non chiusa.Lamicizia, infine, come memoria: comememoria vissuta, e non come memoriacronologica, come memoriainteriorizzata che attualizza ogni volta ilpassato, ridonandogli significati nuovi ecreativi.

    Ma non si dovrebbe dimenticaremai che anche lamicizia fragile, ed

  • esposta alle ferite della stanchezza, dellanoncuranza, della disattenzione, dellapreoccupazione, o delle influenzeesterne non sempre riconoscibili neiloro aspetti perturbanti. Benchlamicizia non sia cos fragile come lagioia e la speranza, la gentilezza e latenerezza, la timidezza e la tristezzadellanima, la delicatezza e la sensitivit,anche in essa si pu nascondere il maledi vivere che la ferisce.

  • La malattia rendefragili

    La malattia modifica il modo divivere di ciascuno di noi: ci rendeancora pi fragili di quello che gi nonsi sia quando non siamo malati. Lamalattia fisica porta alla luce ogni nostraumana fragilit, presente in ogni ora ein ogni stagione della nostra vita, e necrea altre: ancorate allangoscia, chenon se non angoscia della morte, e citrascina negli abissi della solitudine.Ciascuno di noi rivive la malattia in

  • modi diversi; ma, se si vuole essere diaiuto a chi ne avverta la presenza conangoscia e disperazione, necessarioascoltare le parole inespresse del doloree della solitudine, del silenzio e dellafatica di vivere, che si accompagnano aogni umana esperienza di fragilit, e inparticolare in quella causata dallamalattia.

    S, la fragilit vive in noi e fa partedella condizione umana, e nondimenoessa riemerge nelle sue epifanie nonsolo quando sia presente in noi unamalattia fisica, ma soprattutto quando cisia in noi una malattia psichica, la follia,sorella sfortunata della poesia, con il

  • suo lancinante dolore dellanima, con lasua stremata sensibilit, e con la suastraziata nostalgia di vicinanza e diamore. Non c follia che non siaccompagni a fragilit, a una immensafragilit, e a sensibilit, a nostalgia divicinanza e di amore, che hannobisogno di unaccoglienza nutrita digentilezza dellanima, e di umanasolidariet. Ma della follia vorrei poidire altre cose che ne testimoniano glienigmi, certo, ma soprattutto lasensibilit e la fragilit.

  • La fragilit del corpomalato

    In un suo bellissimo libro sulpudore, che definisce un luogo dilibert, Monique Selz si confronta conla fragilit del corpo malato, e con leferite non di rado causate da chi cura; escrive: quasi banale dire che lamancanza di rispetto per il pudore deimalati a volte rasenta lo scandalo. Neglianni Settanta circolava, nei discorsi deiterapeuti, lidea che bisognasseumanizzare gli ospedali. Si trattava di

  • ricordare che la medicina si rivolgeanzitutto a esseri umani; e ancora:Oggi, pi che mai, il corpo umano strumentalizzato, sezionato, manipolatoda tecniche esplorative e di cura semprepi competitive, ai fini delprogresso. I medici, diventati deisupertecnici, non hanno semplicementepi tempo per parlare con i malati e leloro famiglie. La visita del primario,con il corollario delle venti persone checircondano il letto di un malato,potrebbe sembrare il segnale che ci siinteressa davvero alla patologia delpaziente. Ma questo significadimenticare un po troppofrettolosamente che dietro quel caso

  • medico c una persona che, per quantosoddisfatta di suscitare linteresse di chila deve curare, desidererebbesoprattutto non essere esibita a quelmodo di fronte a tanti sguardi curiosi.

    La malattia ci rende fragilinellanima, e nel corpo, certo, e lafragilit delluna e dellaltro legata allapresenza di comportamenti noncontrassegnati da gentilezza e dacomprensione, da accoglienza e darispetto del dolore e dellangoscia; ebasterebbe a volte un sorriso a lenirnela sofferenza.

  • La fragilit nellafollia

    Non degli aspetti psicopatologici eclinici della follia vorrei ora parlare madegli aspetti fenomenologici che neindicano la dimensione umana, e lafragilit: la vulnerabilit. La follia non violenza, la follia non evento naturalebruciato dalla insignificanza, ma esperienza storica ed esperienza sociale:non c follia nel regno animale. Lafollia non qualcosa di estraneo allavita: in alcuni fra noi essa si manifesta

  • con grande intensit, e con un diapasonfiammeggiante di angoscia e di tristezza,di disperazione e di dissociazione; ma lafollia nella sua radice pi profonda una possibilit umana, che inciascuno di noi, con le sue ombre pi omeno dolorose, e con le sue penombre,con le sue agostiniane inquietudini delcuore.

    La follia non qualcosa che, comeun tumore, separi e allontani quelli chene sono colpiti, e quelli che non losono; e questo perch la distanza tra lafollia e la nonfollia non tantoqualitativa quanto invece quantitativa.Langoscia, ad esempio, unesperienza

  • di vita che presente, pi o meno, inciascuno di noi (come ha scritto unavolta Kurt Schneider, uno dei grandipsichiatri del secolo scorso, nondovremmo preoccuparci di provare, o diavere provato, nella nostra vitaesperienze di angoscia, ma di nonaverle provate mai) e che, solo quandosi accresce e si accentua, si fa rovente esi fa inafferrabile, diviene alloramalattia che ha bisogno di terapiefarmacologiche. Non c follia, del resto,che non si accompagni a fragilit e avulnerabilit, a sensibilit e a doloredellanima, a nostalgia di vicinanza e diamore; e queste esperienzepsico(pato)logiche e umane sono talora

  • la premessa alla genesi di formescintillanti di creativit.

    Non c cura della follia se nonquando la somministrazionefarmacologica sia inserita in un contestodi ascolto e di dialogo senza fine; e ilsenso radicale di ogni discorso possibilerinasce da alcune splendide parole diGeorg Trakl, il grande poeta austriaco,che ne ha sperimentati i grandi ventisotterranei: La vita risuona di armoniae di morbida follia.

    La follia fragile nel senso cherinasce da una condizione umana nonmurata nelle sue emozioni, e chiusa alle

  • emozioni altrui, ma solcata da unaparticolare vulnerabilit che la esponealle ferite dellindifferenza e dellanoncuranza. La follia fragile nellamisura in cui fa sgorgare in noi alcuneprofonde realt della condizione umanache restano altrimenti nascoste. Questofiume ininterrotto, che la vita, questofiume nel quale siamo quotidianamenteimmersi, ci travolge e non ci consente diriflettere e di riguardare cosa sinasconde nelle sue acque profonde, chesono poi le acque della nostrainteriorit; e talora solo quando la follia in noi le acque del fiume si arrestano,e in esse troviamo strutture disignificato non altrimenti visibili.

  • Cosa possibile scorgere nelle faldeprofonde della nostra interiorit, dellanostra soggettivit, cosacontraddistingue la loro fragilit e laloro vulnerabilit, quando la follia entranel nostro mondo psicologico e umano?Lesperienza della colpa e della malattia,quella dellangoscia e della tristezzadivorante, quella delle attese infrante,quella delle emozioni che non dannopi ali al pensiero, quella dellasolitudine che giunge fino a unacondizione di isolamento autistico,quella del cambiamento di senso deltempo vissuto e dello spazio vissuto,quella della libert ferita, quella dellanostalgia di incontri aperti alla speranza

  • che muore, quella, insomma, dellafragilit e della vulnerabilitdellesistenza, sono tra le forme di vitapi dolorose e sconvolgenti che nascanodalla follia.

    Certo, sono esperienze che ognipaziente, in misura pi o menoprofonda, pu cogliere in s, nella suavita interiore, e che riesce a esprimerese, da parte dellambiente familiare esociale, ci sono capacit diimmedesimazione e di partecipazioneemozionale. Se questo non avviene, seci sono relazioni interpersonalighiacciate e pietrificate, se non ci sonodialogo e colloquio, ogni paziente si

  • immerge sempre pi nel suo mondointeriore: nella sua solitudine chiusaalla speranza.

    La storia della vita in ciascuno dinoi si svolge, e viene articolandosi, nelpassaggio da unet allaltra:dallinfanzia alladolescenza, da questaallet adulta, dallet adulta a quellaanziana; e ciascuna di esse, nel suosvanire e nel suo lasciare il posto alletche la segue, non pu non incorrere inuna possibile crisi psicotica, che pifrequente nel passaggio dalladolescenzaalla postadolescenza: con limpetuosocambiamento di orizzonti di senso e divalori nelluna e nellaltra, e con la

  • coscienza straziata della complessit edella fragilit sempre pi laceranti allequali si va incontro. Alla crisi psicoticache ne consegue, sono esposti inparticolare quelli fra noi che sono i pisensibili, e i pi fragili dinanzi allenuove problematiche della vita.

  • La morte volontaria

    La fragilit e la smarrita stanchezzadi vivere, il dolore e la nostalgia dellamorte, si sono accompagnate alla vita ealla poesia di Antonia Pozzi, e alla suascelta di morire a ventisei anni nel1938. Le sue poesie, le sue lettere e isuoi diari consentono di intravederequalcosa di quello che, in una forma divita segnata da una infinita fragilitpsicologica e umana, si costituisce amano a mano come la possibile soglia diuna morte volontaria; bench non sipossa mai dimenticare che la decisione

  • ultima di farla finita con la vita sia inogni caso immersa nel mistero che nonpu essere se non rispettato, esalvaguardato. Ma nella mortevolontaria di Antonia Pozzi sirispecchiano, vorrei dire, le ultimestraziate conseguenze alle qualigiungono la fragilit e la sensibilit, ladebolezza e la vulnerabilit, diunadolescenza divorata da unardenteimmaginazione creatrice rimastasconosciuta a tutti. (Questo mi induce ariprendere ancora una volta, mamuovendo da un diverso punto di vista,il discorso senza fine sugli sconfinatiorizzonti di senso del suicidio comescacco fatale, non di rado maturato

  • nellarea della sensibilit e della fragilitlacerate dalla vita).

    Sono poesie che ci consentono dicogliere i diversi modi di rivivere, e diesprimere, gli indicibili turbamentidellanima che attraversanoladolescenza e la giovinezza, e che illinguaggio della poesia fa conoscerenella loro palpitante verit psicologica eumana. Sono poesie che ci immergononelle voragini di conflitti interioriadolescenziali, e che ci avvicinano ognivolta di pi agli enigmi straziati deldolore dellanima che non se nonmalinconia, e perduta e inanimatasolitudine. Sono poesie che ci dicono

  • qualcosa sul destino di morte che haaccompagnato la vita di Antonia Pozzi apartire dalladolescenza. Sono poesiedalle quali riemerge la condizione dimalinconia, di profonda tristezza, che stata nella sua anima, e che non ha maiassunto una dimensione patologica:non mai stata una tristezzamalattia,ma solo una tristezza - stato danimo:bench immersa in una condizione diestrema sensibilit e di estenuatafragilit.

    Vorrei citare due sole poesie, scrittala prima a diciotto anni e la seconda adiciannove, nelle quali la nostalgia dellamorte acuta e straziante: specchio di

  • una lacerazione dellanima che lhaaccompagnata lungo gli anni, brevicome un sospiro, della sua vita; una vitae una morte che sono state in lei, e ininfinite altre adolescenze, laconclusione di fragilit e di sensibilitferite, e forse mai presagite.

    La prima poesia (Novembre) questa:

    E poi se accadr chio mene vada rester qualche cosadi menel mio mondo

  • rester unesile scia disilenzioin mezzo alle voci un tenue fiato di biancoin cuore allazzurro Ed una sera di novembreuna bambina gracileallangolo duna stradavender tanti crisantemie ci saranno le stellegelide verdi remote Qualcuno piangerchiss dove chiss dove

  • Qualcuno cercher icrisantemiper menel mondoquando accadr che senzaritornoio me ne debba andare.

    Non lasciamoci ingannare dalleapparenti incrinature decadenti dellapoesia: in essa risplendono immaginiluminose, e il destino di morte diAntonia Pozzi sembra segnato da unairrevocabile determinazione che, ottoanni dopo, la porter al suicidio. Non

  • c bisogno di dire ancora una voltacome ogni suicidio abbia in s zolleinsondabili di mistero, e questo inparticolare quando il suicidio avvengain adolescenza: let leopardianamentepi bella della vita. La morte, cos alungo coltivata nel cuore di AntoniaPozzi, si riflessa non solo nel diarioma anche nelle poesie: specchiodellanima ferita che bruciava in lei.

    A diciannove anni, lattesa dellamorte si annuncia in unaltra splendidapoesia (La porta che si chiude), che haimmagini misteriose e arcane, temerariee sfiorate dallindicibile, e dalla qualevorrei stralciare alcuni versi che

  • annunciano ancora lontane decisioniestreme:

    Oh, le parole prigioniereche battono battonofuriosamentealla porta dellanimae la porta dellanimache a palmo a palmospietatamentesi chiude!Ed ogni giorno il varco sistringeed ogni giorno lassalto

  • pi duro.E lultimo giorno io lo so e lultimo giornoquando ununica lama dilucepiover dallestremospiragliodentro la tenebra,allora sar londamostruosa,lurto tremendo,lurlo mortale

  • delle parole non nateverso lultimo sogno di sole.E infine:E poi,con le labbra serrate,con gli occhi apertisullarcano cielodellombra,sar tu lo sai la pace.

    La fragilit e la sensibilit, latrasognata e adolescenziale capacit di

  • introspezione di Antonia Pozzi nonriemergono solo dalle poesie, ma ancheda un quaderno e dai diari. Aquattordici anni, in un quaderno, questipensieri: Ho paura, e non so di che:non di quello che mi viene incontro, o,perch in quello spero e confido. Deltempo ho paura, del tempo che fuggecos in fretta. Fugge? No, non fugge, enemmeno vola: scivola, dilegua,scompare, come la rena che dal pugnochiuso filtra gi attraverso le dita, e nonlascia sul palmo che un senso spiacevoledi vuoto. Ma, come della rena restano,nelle rughe della pelle, dei granellinisparsi, cos anche del tempo che passaresta a noi la traccia.

  • E ancora con parole temerarie,animate da una febbrile e sconvolgenteintuizione dei trasalimenti dellanima, enella vertigine di una estremainesprimibile fragilit: forse perquesta piena di sentimenti, per cui inuna giornata soffro e godo ci cheapparentemente si pu soffrire e goderein tutta unesistenza, che rimpiango ilpassato, che adoro il presente, che nondesidero lavvenire; perch sonocontenta di essere io, con i miei difetti econ le mie poche virt, perch non so sein avvenire potr ancora essere cos.

    Dai diari, scritti dal febbraio 1935 alfebbraio 1938, alla vigilia della morte,

  • vorrei riportare un solo frammento (della fine del 1936): Oh, essere ancorain braccio a te come oggi, nonna, con gliocchi chiusi, vicino alla tua vecchiatepida carne, pensare soltanto: o venirecon te, nella tua prossima bara, da teereditare, come un dolce vino di sonno,la morte, mia cara nonna, unica animasorella, unica carne che sento ugualealla mia, mai mai lasciarmi separare date, venire con te e sentire il tuo fiatodopo morta. Sarebbe la pace. Non hofatto niente per meritarla, lo so: prestoper essere stanchi. Ma se non ho piforza, se tutti mi vincono, se sonoinferiore, perch lottare ancora e ansaree piangere?

  • Questo sentirsi inferiore, questosentirsi sola, ed estenuata, manifestaancora una volta la fragilit di AntoniaPozzi: del suo destino che n i genitorin le persone amiche sono riusciti acogliere nelle sue ferite e nelle sueinfrante speranze.

    Da quella che considerata lultimalettera di Antonia Pozzi, con la data del1 dicembre 1938, anche se stataricostruita dal padre, riemergonopensieri e immagini di una indifesaaccettazione della morte, e di unastremata, fragile tenerezza, chesembrano essere, almeno in parte,quelle che scorrono lucenti e stupefatte

  • lungo il suo cammino esistenziale elirico. Nemmeno limminenza dellamorte lascia intravedere, nelle parolescritte il giorno prima dellattuazionedel suicidio, le ombre di un qualchesfinito risentimento. Le sue parole:Pap e mamma carissimi, non maitanto cari come oggi, voi dovete pensareche questo il meglio. Ho tantosofferto Deve essere qualcosa dinascosto nella mia natura, un mal deinervi che mi toglie ogni forza diresistenza e mi impedisce di vedereequilibrate le cose della vita Ci chemi mancato stato un affetto fermo,costante, fedele, che diventasse lo scopoe riempisse tutta la mia vita. Anche i

  • miei bambini, che lanno scorsobastavano, ora non bastano pi. I loroocchi che mi guardano mi fannopiangere Fa parte di questadisperazione mortale anche la crudeleoppressione che si esercita sulle nostregiovinezze sfiorite Direte alla Nenache stato un male improvviso, e chelaspetto. Desidero di essere sepolta aPasturo, sotto un masso della Grigna,fra cespi di rododendro. Mi ritroveretein tutti i fossi che ho tanto amato. Enon piangete, perch ora io sono inpace. La vostra Antonia.

  • I segreti dellanima

    Nelle poesie, nei diari e nelle letteredi Antonia Pozzi la nostalgia e ilpensiero della morte, della mortevolontaria, si colgono nella loro stregatafascinazione; e, vorrei semprechiedermi, come stato possibile cheuno stato danimo di questa disperatamalinconia, e di questa febbriledeterminazione, sia sfuggito agli occhi eallintuizione della madre e dellanonna, del padre, e dei filosofi, e deipoeti, che lhanno conosciuta? Non cisono risposte a queste domande: ogni

  • esistenza ricolma di silenzio e dimistero, di discrezione e dinascondimento, e la loro cifra segreta,lucente e oscura, aperta alla speranza etrafitta dal dolore, e dallinsicurezza, siaccompagna alla nostra vita.

    La dicotomia, e la scissione, fra lavita interiore, le emozioni realmenteprovate, e la vita esteriore, le emozionitenute nascoste, inducono ogni volta aripensare ai segreti inesplorabilidellanima, che vivono in ciascuno dinoi; e fanno ripensare alle infinitenietzscheane maschere che sono suinostri volti, riarsi dal dolore, senzaessere mai decifrate: come avvenuto

  • in Antonia Pozzi. Certo, la nostalgiadella morte era in lei, ginelladolescenza, nutrita della domandatemeraria sul senso del vivere e delmorire, e accompagnata dalle penombreluminose della fragilit e dellasensibilit: cos involontariamente feriteda persone a lei care, e a lei legate daogni possibile affetto.

    Cos, immersa in una deserticasolitudine, che le poesie non bastavanoa riempire (venivano ritenuteinsignificanti da Enzo Paci), AntoniaPozzi non sfuggita alla malinconia chesi accompagnata alle fiamme divorantidellangoscia. Leggendo le sue poesie, i

  • suoi diari e le sue lettere, non possibile non confrontarsi con il destinodi vita e di morte, di dolore e diimmaginazione creatrice, che ha unitolesperienza lirica e umana di AntoniaPozzi, con una sua inimitabile grazia, aquelle di Ingeborg Bachmann e diMarina Cvetaeva, di Alejandra Pizarnike di Sylvia Plath. Destini femminilisigillati dai bagliori della fragilit e dellaispirazione poetica, e dalla ricerca dellamorte volontaria, e accompagnati dalladistrazione e dalla noncuranza,dallindifferenza e dalla solitudine chehanno incontrato nella loro vita, e chesono confluite alla fine nel suicidio.

  • Le adolescenze

    Alladolescenza, unadolescenzalontana nel tempo, e tuttavia nonestranea alle problematiche di oggi,sono legate le radici della fragilit edella sensibilit, della vulnerabilit, chelungo cammini misteriosi hannocondotto alla morte volontaria diAntonia Pozzi. E ora vorrei rifletteresulle adolescenze di oggi: sulle lorofragilit e sulle loro sensibilit ferite.

    Ladolescenza let nella quale lacrescita e il tumulto delle emozioni

  • hanno forme e tematiche radicalmenteoriginali, contrassegnate dallaimmediatezza e dalla spontaneit delleesperienze; ma nelladolescenza ildistacco dallinfanzia, dallaimproblematicit dellinfanzia, nonsempre riesce, e non sempre avvienesenza lasciare ferite che non si risanano.Il salto profondo e radicale tra linfanziae ladolescenza rappresentato dal fattoche in questa rinasconoimprovvisamente le grandi domandesul senso del vivere e del morire; enascono i grandi ideali a cui consegnareun senso alla vita: un senso alto eluminoso che ne metta in fuga leombre. Ma queste domande, e questi

  • ideali, si confrontano con le abitudini ela lontananza, la distrazione elestraneit del mondo degli adulti, eallora ne scaturisce la ricerca dellasolitudine, il distacco dal mondo e ilripiegamento nella propria interioritche si sente ferita, e sempre pi fragile.

    C solitudine e solitudine: lasolitudine che fa sgorgare le risorsedella propria anima e la solitudine checorrode lanima, e la fa soffrire,dilatando la coscienza della propriafragilit e arrendendosi al fascinostregato delle tecnologie, dei socialnetwork, che si rivelano poi nella loroprecariet e nella loro destituzione di

  • senso. Nelladolescenza, ogni esperienzadi vita nasconde in s il desideriorovente di contatto interpersonale, direlazione, che non di rado si confrontacon il deserto, o almeno con il rischiodellindifferenza e della noncuranza,della neutralit e della pietrificazioneemozionale: degli insegnanti, certo, matalora dei genitori che non hannosempre una formazione psicologica taleda consentire loro di cogliere, o almenodi intravedere, le ragioni profonde dicomportamenti e di vissuti solodecifrabili con il linguaggio, e conlascolto, delle emozioni, e non con illinguaggio arido della ragionecalcolante.

  • Ci sono passioni deformate epassioni che deragliano lungo i binaridistorti di una tossicodipendenza; e inogni adolescenza si sfiorano gli abissidellangoscia e della disperazione, delladissociazione e dello smarrimento. Main questi abissi di dolore e di sgomentoadolescenziali si scivola e si precipitanella misura in cui la temerariarisolutezza delle emozioni, e glisconfinati orizzonti ideali che in esse simanifestano, si confrontino con linerziae lindifferenza, con lapatia e lanoncuranza delle risposte (dellemancate risposte) alle febbrili domande.Le famiglie non sono sempre animateda capacit di dialogo e di ascolto, di

  • immedesimazione e di comprensioneemozionale; e i modelli di educazione edi formazione, a cui la scuola siuniforma, tendono a essere ispirati amolta rigidit formale, e alla rinunciaalla rilettura emozionale deicomportamenti e degli avvenimenti. Neconseguono ovviamente sbagliateinterpretazioni di dfaillancesscolastiche che non sono capite nelleloro cause psicologiche, e che sonofacilmente ricondotte a disinteresse e anegligenza.

    Ogni et della vita pu essererappresentata, come dice RomanoGuardini, in circoli chiusi che si

  • susseguono gli uni agli altri, e chehanno una loro propria fisionomiapsicologica, un loro proprio orizzonte divalore; e, cos, in ogni et della vitacambia il modo di vivere e dirispondere agli avvenimenti esistenziali,ma cambia anche la risonanza interiore,e la capacit di immedesimazione,dinanzi al destino degli altri. Non hasenso la trionfalizzazione generalizzatadei modi di vivere e di sentiredelladolescenza, come non ha senso lacontestazione critica improblematica deimodi di vivere e di sentire delletadulta. Non possibile in ogni casosfuggire alla dolorosa percezione che inquesta le emozioni, quelle orientate alla

  • disponibilit e alla generositsoprattutto, tendano a indebolirsi, e aessere vissute come subalterne agliorizzonti razionali di vita: nel contestodi unesistenza assediata dai modelliindividualistici di esperienza e dicondotta che si realizzanonellambizione, nellorgoglio,nellalterigia, nellimpegno politicostralciato da ideali, nellansia febbriledel potere, e nella ricerca di unbenessere economico senza fine.

    Cose, alcune delle cose, queste, chedeterminano, e accrescono, le ragioni difragilit e di vulnerabilit, di sensibilitferita, in cui sono immerse le

  • adolescenze di oggi: nelle quali, delresto, rinasce la contraddizionedilemmatica fra il modo di essere delcorpo preadolescenziale, che non sivuole perdere, e quello del corpo postadolescenziale, che incombe comerealt contestualmente ricercata erifiutata, con le crisi conseguenti chesono crisi di crescita e di maturazione.Si assiste allora allinsorgenza diunangosciata ambivalenza nei riguardidella vita sessuale, del corpo che si aprealla vita sessuale, e alla mancataaccettazione del cambiamento psichicoe biologico del proprio corpo, che nellesue impetuose metamorfosi si allontanadalla sua immagine preadolescenziale

  • eterea e indifferenziata.

    Queste sono solo alcune delleconsiderazioni possibili sullacostituzione psicologica efenomenologica delladolescenza; mabastano, direi, a indicare e aimmaginare quanto profonde siano leragioni di fragilit e di sensibilit che lacontrassegnano radicalmente.

  • La condizioneanziana

    Quali sono gli stati danimo con cuisi guarda alla condizione anziana, e concui la si rivive? Un filo spinato, il filo delpregiudizio, circonda questa ultima etdella vita nella sua fragilit, e nedetermina gli stati danimo di chi fuori, e di chi dentro, nella cittadellaassediata di questa et, di questa etconsiderata inutile; e non facilesfuggire al fascino stregato delpregiudizio che nasconde in s un

  • segreto disprezzo per la debolezza che simanifesta nella vita incrinata dallamalattia, dagli handicap e dallacondizione anziana. (Semmai ildisprezzo si converte nel migliore deicasi in compassione: in arida eghiacciata compassione).

    Il pregiudizio si pu immaginarecome una lente che metta a fuoco unmomento particolare della realt e,amplificandolo, ne dilata e neassolutizza limportanza; e il pregiudizioinduce a sostenere lequivalenza fracondizione anziana e destino biologico,e a essa consegue la tesi, oscura esegreta, di una vita non pi degna di

  • essere vissuta quando si giunga a questaultima et: cos fragile e cos lontanadagli orizzonti di senso oggi dominanti.Come possibile dimenticare che ogniet della vita, anche quella anziana, non solo destino biologico ma anchedestino sociale? Noi non siamoesistenze chiuse e pietrificate dallabiologia, ma esistenze immerse nellerelazioni con gli altri; e le relazioniinterpersonali e sociali condizionano ilnostro modo di essere in ogni et dellavita.

    Certo, sono ancora oggi dominantile idee che non abbia senso una vitavissuta nella fragilit, nella perdita

  • dellindipendenza, della produttivit edel lavoro: considerato come valoreassoluto, come supervalore, che decidedel senso, o del nonsenso, della nostravita. Il contesto culturale e storico nelquale vivono le persone anziane, ancoraprima che non le dfaillances, legate allasolitudine e alla fragilit, alla perdita dipersone care e allesperienza dellamorte non pi cos lontana, influenzato da queste tesi sulla perditadi senso della vita anziana. Sono tesiche creano patologia e malattia dallequali poi impossibile allontanarsi.

    Quale la vita emozionale nellacondizione anziana, e quale importanza

  • ha in essa la fragilit? Sono due lerisposte che abitualmente vengonodate: la prima guarda alla condizioneanziana come a una vita nella quale leemozioni, gli stati danimo, siinaridiscono e si svuotano di ognitrascendenza; e la seconda considera lacondizione anziana come let nellaquale le emozioni, gli stati danimo,sono rivissuti con una incandescenzatale da sfuggire a ogni controllo, e danon consentire una razionale presa dicoscienza delle cose.

    Ma non cos: la vita emozionalepermane autentica e dotata di sensoanche nella condizione anziana, e la sua

  • apparente dissolvenza si ha quando inessa sia presente una depressione chenon di rado laccompagna, e lacontrassegna. Come non capire allorache alla depressione, alla depressioneche cos frequente in ogni et dellavita, anche in quella adolescenziale, siricollegano gli stati danimo dolorosi eangosciati che trascinano con sisolamento e solitudine, solo apparenteperdita di emozioni? Certo, quando unamalattia, una malattia somatica o unamalattia psichica, si inserisce nel mododi essere, e nel modo di vivere, di unavita anziana, non possono non nascerneoscillazioni e tempeste emozionali, nonsempre arginabili.

  • Si muore vivendonella malattia di

    Alzheimer

    Vorrei avviarmi, ora, lungo i sentieriche portano allinterno della nostra vita,dei nostri sentimenti e delle nostreemozioni quando ci confrontiamo conuna condizione anziana nella quale lafragilit e la tristezza dellanimanaufragano nella malattia estrema: nellamalattia di Alzheimer. Cosa proviamodentro di noi, dentro la nostra

  • interiorit, quando questo avviene? Cirendiamo conto del fatto che la nostrareazione alla malattia condizionata,ancora prima di analizzare quello cheproviamo, dal filo spinato delpregiudizio? Quanta capacit ditolleranza abbiamo dinanzi alla fragilitestrema, e indifesa, di chi discendanegli abissi della malattia di Alzheimer?Conosciamo bene i nostri pensieri e inostri sentimenti? Siamo sicuri chequesti pensieri, e questi sentimenti,sulla insignificanza umana dellacondizione anziana non vivano in noi?Se fosse cos, sarebbe molto meglio nonoccuparsi n di persone anziane n dipersone malate di Alzheimer, che non

  • sopporteremmo nella loro malattia enella loro vecchiaia. La premessa allacura e allassistenza non pu non esseresubordinata alla nostra disposizione allaricerca e allanalisi di quello che siamo,e di quello che proviamoemozionalmente, dinanzi a chi soffra diquesta malattia.

    Ci sono comportamenti chedovremmo sempre essere capaci dimettere in atto, quando ci incontriamocon questi pazienti: saperli guardarenegli occhi, ascoltarli e nonsomministrare test, stringere loro lamano e non considerarli oggetto diosservazione. E, ancora, non sondare la

  • memoria cronologica, la memoria deifatti, che ha a che fare con il tempodella clessidra e che ovviamentecompromessa, ma sondare la memoriavissuta: dalla quale rinascono i ricordi,le schegge dei ricordi, che hanno datoun senso alla propria vita e a quelladelle persone amate, e che molto pi alungo resistono alla malattia, quasinutrendo la vita interiore dei pazienti.Senza confondere la tristezza che faparte della condizione anziana normalecon quella che, patologica, si costituiscecome un possibile sintomo iniziale dellamalattia di Alzheimer.

    Non facile immedesimarsi nelle

  • condizioni psicologiche e umane di chiabbia a sentirsi immerso, come nellamalattia di Alzheimer, nel vortice enelle voragini di emozioni e di pensierifrantumati; e allora come consegnare, eridare, un senso a incontri che rischianocontinuamente di trasformarsi insequenze di gesti sempre uguali, e diparole sempre vuote? Non muoia in noila speranza: solo per chi non ha pisperanza ci data la speranza, che non la speranzaillusione, ma la speranzache mantenga aperta in chi sta male ein noi una scintilla, o una goccia, disperanza contro ogni speranza.

    Ma cosa dire a una persona che si

  • tema, o si sappia, malata di Alzheimer,e cosa dire ai suoi familiari? Comeindicare parole che non si possonoinsegnare, e si possono solo sentire innoi, nella nostra interiorit e nellanostra immaginazione? Non potrei nondire che necessario salvaguardare ildiritto di non sapere, e il dovere di nondire sempre la verit, quella che talora solo la verit apparente; nondimenticando mai che, come dicevaHugo von Hofmannsthal, difficile direla verit senza mentire, e ancora chedire la verit al malato significa non dirado immergerlo nellangoscia e nelladisperazione. E non facile, e forse impossibile, valutare la soglia di

  • tolleranza al dolore, e anche allaconoscenza della verit clinica, che innoi e negli altri da noi.

    Il problema, e il mistero, dellacomunicazione: quali parole dire a ogniincontro con una persona anzianaimmersa negli abissi della malattia diAlzheimer? Come ritrovare in noiparole bianche, parole a noi leggere,parole che nascano dal silenzio e dalcuore, parole che non spengano lasperanza, parole fragili come vetri, enondimeno fulgide, e temerarie: alte earcane?

    Sono bellissime le poesie che

  • Roberta Dapunt ha scritto sulla malattiadi Alzheimer di una donna chiamata inladino Uma, ma che lautrice consideracome nome universale, e che sgorganoda una umanissima, profondapartecipazione al suo destino di doloree di disperazione: alla sua indicibilefragilit. Vorrei citarne una (il pranzo),e ricordare la straziante dedica a Uma:Non guardarmi mentre mangi, nonalzare lo sguardo, potresti incontrare ilmio giudizio e approvarlo.

    La poesia questa:

    Va a rilento il mezzogiorno,

  • privo di colonna sonora,appena udibile il nostropranzo.Stiamo entrambe in ascoltodel nostro silenzio,che da l, solamente dal tuodove lontano mi staiaccanto.Di fronte io, che nonguardo.Accolgo cos il tuo stareseduta che non trovaespressione,

  • la tua unica offerta perme. E io confessosenza parole e mi sembra diurlare,che qui in questo luogoho solo il corpo a crederealla vita,poich il resto non cheunerba ruvida da falciare.

    E mentre che il nostro muto desinare Uma,fuori c il mondo,

  • fuori sono le genti, la terrae il cielo. E anche la morte,cavalca veloce di guerra inguerra.Fuori colui cheabbandona le carnie uno scoppio per risorgereforsee fuori sono le pene dimorte e le morti diverse,cos diverse cheattraversano mari econtinenti

  • per risolvere lunica vita.

    Ma qui, amabile luogo, quiniente accade,tranne che ininterrottaunumile esistenza.Eppure, a me sembra disentire lo spirito colmarsi.

    Sono poesie nelle quali si riflettonole ombre riarse della malattia, lelancinanti risonanze interiori di unafiglia dinanzi al dilagare della malattianella madre, le tracce di dialogo nelsilenzio fra madre e figlia, il venire

  • meno di ogni espressione nella madre,ma anche il rispetto della dignit che leparole poetiche cos fragili, e coslacerate, cos arcane, e cos delicate,mettono in chiara evidenza. Sonoparole che indicano con una leggerezzastraziata come ci si incontra con lamalattia: come lamore di una figlia peruna madre possa accoglierla, e possaumanizzarla, sulla scia di un passato chenon ha futuro, e che tuttavia continua avivere, dando un senso al presente.Sono poesie che tracciano un difficilecammino, forse un impossibilecammino, di accoglienza e di cura; nelsegno di una speranza che non diquesto mondo.

  • La fragilit sinasconde

    Non ci sono solo le fragilit che sirivelano nella malattia fisica e psichica,e nelle condizioni di indigenza e diisolamento, di abbandono e diemarginazione, di esilio e diemigrazione; ci sono anche le fragilitche si nascondono nelle sensibilit feritedalla timidezza e dallo smarrimento, dalsilenzio e dalla sventura. Sono umanefragilit che ci passano accanto nellavita di ogni giorno con le loro scie di

  • impalpabili penombre e di inafferrabilifluorescenze, e che non facilericonoscere. Sono fragilit che gridanonel silenzio dellanima, e che sono uditesolo quando in noi ci siano le traccedella sensibilit e dellattenzione che, laparola ancora di Simone Weil,appartiene allordine della grazia.

    Riconoscere queste fragilit, lefragilit che vivono segrete nel cuoredelle persone con cui ogni giorno ciincontriamo, cosa ancora piimportante che non quella diriconoscere le nostre fragilit.

  • Le parole di sanPaolo

    Le parole di san Paolo nella Secondaai Corinti (12, 9-10) ci diconomirabilmente qualcosa di ancora piessenziale, e di ancora pi profondo,sulla ragione dessere della fragilitumana che, redenta da ogni fatica divivere, si fa grazia.

    Le sue parole: Ed Egli mi disse: Tibasta la mia grazia, poich la potenza hacompimento nella debolezza. Tanto pi

  • volentieri dunque mi vanter nelle miedebolezze, affinch la potenza delCristo si accampi su di me. Per questomi compiaccio delle mie debolezze,delle prepotenze, delle costrizioni, dellepersecuzioni e delle angustie per Cristo,poich quando sono debole, allora sonopotente.

    Parole bellissime che sono lapremessa trascendente e metafisica,umana e cristiana, alla fragilit e allesue diverse articolazioni tematiche.Certo, c la fragilit di chi si ammala, etalora la fragilit di chi cura, che giungecos a una pi profonda comprensionedel senso del dolore e della sofferenza, e

  • c la fragilit che il nostro destino.Ma quella che, agli occhi del mondo,appare come fragilit, come insicurezzao come ricerca di un infinitoirraggiungibile, il riverbero della luceardente della speranza, di una speranzache rinasce dallangoscia e dalladisperazione, negli orizzontiinconoscibili del mistero che hannofatto dire a Teresa dvila che, coloroche Dio molto ama, li conduce persentieri di angoscia: parole non lontaneda quelle di san Paolo.

    In ogni caso, la fragilit comestruttura portante della vita, comematrice delle infinite forme di fragilit

  • umana, comune alla donna ealluomo, bench possano in lorocambiare i modi di vivere la fragilitnelle diverse situazioni esistenziali. Lafragilit insomma una condizione divita che oltrepassa le differenze digenere, e non possibile nonintravedere in essa una forma di vitanella quale le differenze di genere siriconciliano.

  • Le esperienzemistiche

    Le esperienze mistiche ci fannoriflettere sugli abissi dellanima, sullesue sofferenze e sulle sue lacerazioni,sulle sue attese e sulle sue dissolvenze,sulle sue speranze e sulle sue ferite, e infondo sulle fragilit che a esse siaccompagnano con le loro ombre e conle loro luci. Lesperienza della notteoscura dellanima, la parola tematica dialcune radicali forme di vita mistica,sono metafora di fragilit umane che

  • non sono estranee alla vita, e non solo aquella mistica, quando il destino ciimmerge nelle parabole agoniche deldolore e della fatica di vivere, dellanostalgia di un altrove inconoscibile enel silenzio di Dio. Ancora una volta,lincomparabile parola poetica diHlderlin ci dice come in vita tutto siaconnesso, e allora esperienza mistica edesperienza della fragilit sonomisteriosamente intrecciate lunaallaltra in una ininterrottainterscambiabilit di esperienze e diattese.

    Negli orizzonti di unesperienzamistica, come sono state quelle di

  • Teresa di Lisieux e di Teresa diCalcutta, si intravedono vertiginoselatitudini della vita: del dolore edellagonia, della gioia ferita e delladisperazione, della fragilit come lorocomune radice esistenziale. Siamo, invita, alla ricerca senza fine degli statidanimo, dei sentimenti e delleemozioni che sono negli altri e in noi, edella fragilit che le accompagna; e inquesta ricerca vorrei che ci fossero diaiuto le esperienze mistiche: cos aperteallinfinito, certo, ma cos immerse(anche) nei mari estremi, solofaticosamente sondabili, delle nostreinteriorit ferite, e lacerate dalla fragilitcome esperienza umana dilemmatica

  • nelle sue ambigue significazioni. Lestorie della vita di Teresa di Lisieux e diTeresa di Calcutta siano motivo diriflessione e di meditazione, esoprattutto di immedesimazione neiloro destini e di comprensione delmistero che in noi.

    Teresa di Lisieux.

    Lesperienza mistica di Teresa diLisieux (nasceva ad Alenon nel 1873 e

  • moriva di tubercolosi polmonare nelmonastero carmelitano di Lisieux nel1897) risplende nei manoscritti, unasplendida e dolorosa autobiografia,suddivisi in tre parti, A, B e C.

    Nel manoscritto A, scritto aventanni, Teresa di Lisieux ricostruivala storia interiore della sua infanzia edella sua adolescenza: incrinate dafragilit e da tristezza, da angoscia e daaridit spirituale. Cos scriveva quandoaveva dodici anni: Lanno che segue lamia prima Comunione pass quasi tuttosenza prove interiori per lanima mia, efu durante il mio ritiro della secondaComunione che mi vidi assalita dalla

  • terribile malattia degli scrupoliOccorre essere passati attraverso questomartirio per capirlo bene: dire quelloche ho sofferto durante un anno emezzo, mi sarebbe impossibile Tutti imiei pensieri e le mie azioni pisemplici divenivano per me soggetto diturbamento; non avevo riposo cheraccontandoli a Maria, e la cosa micostava molto, perch mi credevoobbligata a dirle i pensieri stravagantiche avevo su lei stessa. Appena avevodeposto il mio fardello gustavo unistante di pace, ma questa pace passavacome un lampo, e ben presto il miomartirio ricominciava. La tristezza elangoscia si accentuavano nel momento

  • in cui, a diciassette anni, dovevadivenire carmelitana. Le mie tenebreerano cos grandi che non vedevo ncapivo altra cosa: io non avevo lavocazione Ah! Come dipingerelangoscia della mia anima? La mattinadella consacrazione a Dio una grandepace interiore ne cancellava nondimenolangoscia e la disperazione.

    Nel manoscritto B, che risale algiugno 1897, lanno della morte,lesperienza religiosa non ha pi abissidi angoscia e di dolore, e le feritedellanima sembrano risanate; ma nelmanoscritto C, concluso poco primadella morte, le ombre di un grande e

  • straziante dolore dellanima rinasconosulla scia di una sanguinante fragilit.Ma di colpo le nebbie che micircondano diventano pi spesse, essepenetrano nellanima mia e laavvolgono in modo tale che non mi pi possibile ritrovare in essalimmagine cos dolce della mia Patria,tutto sparito! Quando voglio riposareil mio cuore stanco delle tenebre che locircondano, con il ricordo del paeseluminoso verso cui aspiro, il miotormento raddoppia; mi sembra che letenebre, facendo propria la voce deipeccatori, mi dicono facendosi schernodi me: Tu sogni la luce, una patriaodorosa dei pi soavi profumi, tu sogni

  • il possesso eterno del Creatore di tuttequeste meraviglie, tu credi di uscire ungiorno dalle nebbie che ti circondano!Avanza, avanza, rallegrati della morteche ti dar, non ci che tu speri, mauna notte pi profonda ancora, la nottedel nulla. La malattia avanzavaimplacabile, e la morte si avvicinava, edalla disperazione rinascevamisteriosamente la speranza: lamore diDio annullava langoscia e il doloreinfinito dellanima.

    Una vita, quella di Teresa diLisieux, vissuta nella solitudine di unmonastero carmelitano e spezzata dallamalattia mortale in cos giovane et, che

  • testimonia non solo di una esperienzareligiosa e mistica di inesprimibileprofondit ma anche di unesperienzaumanissima di fragilit e diinquietudine dellanima, che ci aiuta acogliere le ultime dimensioni della vita.Le parole di questa giovane carmelitanaci dicono come da unadolescenzaincrinata dalla fragilit e dalle feritedellanima, dallangoscia e dal silenziodi Dio, possa rinascere un moriretrasfigurato dalla speranza e dallamore.Forse, in Teresa di Lisieux e in Teresadi Calcutta, e anche in Simone Weil,risuonano la bellezza struggente, e laverit religiosa e umana, di unasplendida riflessione di Georges

  • Bernanos: Sempre pi sono persuasoche ci che chiamiamo tristezza,angoscia, disperazione, come se si abbiaa che fare con alcuni movimentidellanima, sia invece questa stessaanima.

    Ma, ancora, non c forse esperienzamistica di inesprimibile profondit chenon sia sgorgata da una vita sigillatadalla fragilit e dal dolore; antennesensibilissime che ci portano a coglierele tracce dellindicibile e dellinvisibile:dellinfinito che immagine insondabiledi Dio.

  • Teresa di Calcutta.

    Radicalmente diverse da quelle diTeresa di Lisieux sono state la vita e lamorte di Teresa di Calcutta (nasceva aSkopje nel 1910 e moriva a Calcutta nel1997), immerse in una incandescenteesperienza religiosa e mistica che non si svolta in un monastero ma nel cuoredel mondo: del mondo divoratodallangoscia e dallestrema indigenza,dal dolore e dalla disperazione, dallamorte e dal morire nel deserto di una

  • incolmabile solitudine. Ma la suaesperienza religiosa, bruciata dal fuocorovente di una dedizione agli altri, diuna carit e di un amore verso ilprossimo che non hanno mai avuto npause n confini, si accompagnatacome in Teresa di Lisieux aintermittenti dissolvenze della fede edella speranza, a una profondasolitudine esistenziale, e infine alsilenzio di Dio.

    S, lesistenza di Teresa di Calcutta stata immersa nelle acque profondedella fragilit, della fragilit del corpo:non possibile non ricordarla in questasua stremata fragilit che la rendeva

  • quasi impalpabile, e quasi invisibile,nella sua figura bianca incrinatadallazzurro; e a essa si guardava conocchi stupefatti, e impregnati di lacrime,temendo che non resistesse alla suameravigl