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1 Paola Zaccaria La frontiera in questione è il confine, fisicamente identificabile con il corso del fiume Rio Grande/Rio Bravo che dalla fonte, nel Colorado, alla foce, nel Golfo del Messico, separa il Sud-Ovest degli Stati Uniti dal Messico. Questa lacerazione incarnata nei muri, fili spinati e controlli della migra (polizia di frontiera) viene chiamata la ferita aperta i cui orli appartengono ad uno stesso territorio, un tempo Messico, e in tempi pre-colombiani chiamato Aztlán. L’incisione risale al 2 febbraio 1848, quando a Guadalupe Hidalgo venne stipulato il trattato che sanciva i nuovi confini degli Stati Uniti che per anni aveva condotto una guerra col Messico al fine di espandere la propria frontiera verso Sud-Ovest, annettendo territori messicani, nello specifico gli stati oggi conosciuti come Colorado, Texas, Nuovo Messico, Arizona, California. Questa ferita disegnata dal trattato e chiamata, come tutto quello che è nominato in quest’area, in duplice lingua, spagnolo e inglese, herida e wound, disegnò un’area culturalmente già molto complessa. La cultura india era comunque in parte sopravvissuta nella colonizzazione spagnola, mescolandosi, oltre che alla cultura europea, a quella degli schiavi africani e divenendo un laboratorio d’incessante transizione culturale, fino a quando gli angli assoggettarono quelle terre imponendo la propria lingua, oltre che la propria cultura, politica ed economia. Il caso dei chicanos, come si chiamano i messicani americani, è un caso a se stante nella storia culturale degli Stati Uniti: all’epoca dell’annessione, essi furono dichiarati cittadini statunitensi, ma vissero questa cittadinanza come violazione; fu richiesto loro di parlare inglese, ma un popolo che aveva già subito il furto della lingua con la colonizzazione spagnola e si era creato una lingua, il messicano, che aveva caratteristiche diverse dal castigliano del colonizzatore, non intendeva farsi derubare nuovamente

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Confini

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Paola Zaccaria

La frontiera in questione è il confine, fisicamente identificabile conil corso del fiume Rio Grande/Rio Bravo che dalla fonte, nel Colorado, allafoce, nel Golfo del Messico, separa il Sud-Ovest degli Stati Uniti dalMessico. Questa lacerazione incarnata nei muri, fili spinati e controlli dellamigra (polizia di frontiera) viene chiamata la ferita aperta i cui orliappartengono ad uno stesso territorio, un tempo Messico, e in tempipre-colombiani chiamato Aztlán. L’incisione risale al 2 febbraio 1848,quando a Guadalupe Hidalgo venne stipulato il trattato che sanciva inuovi confini degli Stati Uniti che per anni aveva condotto una guerra colMessico al fine di espandere la propria frontiera verso Sud-Ovest,annettendo territori messicani, nello specifico gli stati oggi conosciuticome Colorado, Texas, Nuovo Messico, Arizona, California. Questa feritadisegnata dal trattato e chiamata, come tutto quello che è nominato inquest’area, in duplice lingua, spagnolo e inglese, herida e wound, disegnòun’area culturalmente già molto complessa. La cultura india eracomunque in parte sopravvissuta nella colonizzazione spagnola,mescolandosi, oltre che alla cultura europea, a quella degli schiaviafricani e divenendo un laboratorio d’incessante transizione culturale,fino a quando gli angli assoggettarono quelle terre imponendo la proprialingua, oltre che la propria cultura, politica ed economia. Il caso deichicanos, come si chiamano i messicani americani, è un caso a se stantenella storia culturale degli Stati Uniti: all’epoca dell’annessione, essifurono dichiarati cittadini statunitensi, ma vissero questa cittadinanzacome violazione; fu richiesto loro di parlare inglese, ma un popolo cheaveva già subito il furto della lingua con la colonizzazione spagnola e siera creato una lingua, il messicano, che aveva caratteristiche diverse dalcastigliano del colonizzatore, non intendeva farsi derubare nuovamente

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della lingua. La resistenza al colonialismo linguistico, unica nel panoramadelle culture che formano il variegato mosaico della cultura americana,derivava anche dalla consapevolezza che la terra su cui risiedevano era didiritto la loro, ereditata da civiltà antiche e composite. Inoltre, ancorprima degli insediamenti spagnoli, queste terre avevano visto continuemigrazioni, popoli in movimento e lingue in movimento: dalle varie lingueamerinde si passò allo spagnolo che nei vari transiti diviene caló opachuco (una forma di slang), spanglish (spagnolo-inglese), tex-mex ealtre varianti ibride. I chicanos sostengono che queste terre non furonogovernate dagli Aztechi, ma da culture che gli odierni studiosi chiamanocultura nativa altra o, come Alicia Gaspar de Alba, alter-nativa (de Alba1997, 2002), contemporaneamente aliena e indigena in quel tratto diterra chiamato Ovest, idealmente sentendosi abitanti di una nazionemitica chiamata Aztlán, la patria, o el otro Mexico, il cui popolo vienechiamato raza. La razza di cui si parla fa riferimento non al sangue, allabiologia, ma alla cultura – che qui non si è mai presentata come uniformee monologica – ovvero alla secolare mezcla o creolità che connota isoggetti che abitano il Sudamerica.

Uno dei primi ad usare il termine raza fu il filosofo messicano JoséVasconcelos che descrisse “una raza mestiza, una mescolanza di razzeaffini, una razza di colore – la prima razza sintesi del globo” (Anzaldúa1987, p. 119). Chiamata anche la raza cósmica, o quinta razza,abbracciava tutte le razze. Nella terminologia del border crossing, raza inultima istanza si riferisce alla popolazione etnicamente e culturalmentemista che abita i territori del Sud-Ovest degli Stati Uniti, e spesso ètermine interscambiabile con chicano. Questa raza o comunità chicana èsegnata dall’attraversamento (crossing): la geografia culturale di questospazio di frontiera è quanto mai varia, così come vari erano i popoli indinativi che abitavano quegli spazi. Questa collusione-incontro di lingue eculture, questa storia di aggressione-invasione e risoluzione nell’ibridismoculturale e nella mezcla, questa necessità di continuamente riaggiustarsia nuovi eventi, nuovi flussi e nuove colonizzazioni fanno delleborderlands, le terre di confine, un laboratorio di conflitto e convivenza.Con i movimenti radicali degli anni Sessanta e Settanta, soprattutto

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dopo la storica marcia del 1966 guidata da César Chávez da Delano aSacramento per protestare contro la violazione dei diritti umani e civilidei filippini, messicani e chicanos, questi ultimi, immessi nell’esperienzaepocale del passaggio dal consenso alla diversità, giunsero ad elaborareuna teoria della frontiera come figura per dire del loro essere in mezzo.Ma fu nell’opera di Gloria Anzaldúa, borderlands/la frontera che presecorpo un'immagine-teoria-pratica della frontiera sì come “ferita apertadove il terzo mondo si scontra con il primo e sanguina”, ma anche comeluogo di confluenze dove può nascere “un terzo paese – una cultura diconfine” (Anzaldúa 1987, p. 29). La storia di questa gente che hasempre vissuto attraversando frontiere o attraversata da frontiereimposte, che è stata in perenne movimento seguendo le richieste dellafame (come ancora oggi accade per i clandestini messicani che sfidano icontrolli, o sfuggono agli strangolamenti della politica e dell’economia),ha di necessità portato alla nominazione/elezione di una condizioneculturale di frontera/borderlands, e dei suoi affini e derivati: i confini, gliorli, le zone di contatto, i ponti, le soglie, i passaggi. Si tratta comeluogo in cui posizionarsi, secondo le teorie e pratiche della location, cosìcome è stata rivisitata da Caren Kaplan, che postula affiliazionitransnazionali fra donne che riescono a decostruire la propria culturagiungendo a vedere la propria casa-cultura con occhi-coscienza daoutsider, da migrante e quindi in grado di cogliere la propria complicitànei meccanismi nazionalistici che giocano su interno/esterno,affiliato/estraneo (Kaplan, Grewal 1994). Questa consapevolezzapermette di sviluppare prospettive multiple, letture del sé e dell’altro chemettono in crisi i concetti psico-sociali di identità fisse, autenticità, maanche concetti culturali binari di margine e centro, identità e differenza,insider e outsider. Posizionandosi in-between – terminologia più tardiripresa da Homi Bhaba – o in una posizionalità mestiza, per dirla conAnzaldúa, ciascun soggetto è contemporaneamente fuori e dentro ilmargine e, vedendosi con gli occhi dell’altro, è altro a se stesso e puòquindi smettere di vedere l’altro come estraneo. Una volta decostruito ilconcetto di frontiera come linea divisoria, muraglia che incarna il divietod’ingresso per i clandestini (chiamati bilinguisticamente mojados /

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wetbacks), come barriera, simbolo dell’oppressione del primo mondo;una volta fuoriusciti dalla contrapposizione assimilati/assimilatori oinvasori, il confronto culturale crea una percezione dei soggetti comeattraversatori, un popolo di fronterizos che può con-vivere come con-finante, come soggetto non neutramemente post-moderno ma oltre ognipost: in costante attraversamento di frontiere fisiche, psichiche,culturali. Si supera così la differenza razziale, la posizione antagonistache inchioda al duello oppressore/oppresso, dominatore/dominato e,assumendo una coscienza mestiza, ci si presenta come progenie ibrida,una specie mutevole. E da questa impollinazione razzialmente,ideologicamente, culturalmente e biologicamente incrociata scaturisceoggi una coscienza aliena, una nuova coscienza mestiza (Anzaldúa1987): la coscienza delle borderlands, terre di confine. Come AmerigoParedes sottolineava già nel 1978, la produzione culturale nata daquesto contatto interetnico è molto più segnata dalla pratica-esperienzadi border crossing presso la comunità messicana che presso quella anglo,perché, sostiene Paredes, a causa della posizione subalterna del chicanonell’ordine sociale di quell’area, i soggetti messicani fanno esperienzadegli angli, mentre questi ultimi si limitano ad osservare il messicano(Paredes 1993). Così, se per un verso i messico-americani faticano aliberarsi da un’immagine negativa di sé interiorizzata a partire dal giudizionegativo anglo sugli ispanici, non esitano a reinterpretare gli stiliamericani amalgamandoli al proprio gusto: è il caso dei vestiti sgargiantichiamati zoot-suit o della ballata popolare che nell’elaborazione chicanadiventa border corrido e conjunto, generi che evocano tradizioni musicalietniche messicane, e nello stesso tempo aprono alla transizione versol’altro soggetto/l’altra cultura sul confine. A partire dal TeatroCampesino di Luis Valdéz, si è sviluppata una produzione nel campo dellearti con forti tracce di resistenza all’egemonia culturale angla, ma nellostesso tempo proprio il ricorso ai linguaggi culturali serve a rendere piùpraticabile il contatto, a trascendere cioè l’antagonismo e a portareinsieme elementi di culture diverse per creare nuove modalità diesperienza creativa per entrambe le culture. Un argomento di granderilievo negli studi di frontiera riguarda la messa in discussione dello stato-

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nazione di origine europea e quindi l’egemonia culturale del modellopolitico e sociale eurocentrico. Questo pensiero-praticadell’attraversamento delle frontiere e di una posizionalità frontaliera hapraticamente invaso ogni ambito della vita e cultura ch icana,inscrivendosi nelle diverse pratiche artistiche che divengono tutte bordertexts segnati da contaminazione di stili e discorsualità, ovvero testiinterculturali che praticano l’attraversamento delle frontiere fra arti,generi e lingue. A partire dagli anni Ottanta, come è accaduto per tantefrange dei movimenti radicali poi trasformatisi in studi – Studi (post-)coloniali, studi di donne, studi multiculturali, ecc. – anche il movimentochicano per i diritti civili ha partorito gli studi chicani, che oggi sonocomplessivamente chiamati Border studies, e ha incrociato gli studifemministi, che hanno mostrato come il patriarcato impastava e impastad’universalismo, monologismo e oppressione tanto il mondo pre-colombiano che quello messicano e quello anglo. Fu sempre Anzaldúa,insieme a Chérrie Moraga ad aprire la riflessione femminista aproblematiche razziali ed etnografiche col loro volume This Bridge CalledMy Back (1983), che diede voce a tutto il femminismo radicale coloreddegli Stati Uniti. In Terre di confine, Anzaldúa sessualizza i discorsi echiama questa coscienza mestiza, conciencia de mujer, coscienza didonna (Anzaldúa 1987). Oltrepassare i confini o riattraversarliincessantemente diviene una pratica per ridefinire anche la propriaidentità sessuale oltre che quella psicologica e culturale. La mobilità dellafrontiera diviene paradigma di cambiamento e trasformazione: nominarsinew mestiza comporta un caminho, un processo di ridefinizione del sé edella cultura. Negli anni Novanta il discorso fu portato oltre attraverso lenuove riflessioni dei saggi, sempre a cura di Anzaldúa, intitolati MakingFace, Making Soul/Haciendo Caras (1990), e recentemente è apparso, acura di Anzaldúa e Analuise Keating, This Bridge We Call Home (2002)che fa il punto sulla teorizzazione multiculturale femminista, ma accoglieanche la voce di uomini che riflettono sulle questioni poste dalle autricinel libro del 1983 e sul loro esito. Un riconoscimento vero alla culturachicana giunse con la mostra itinerante chiamata, dal suo acronimo, CARA

(Chicano Art: Resistance and Affirmation 1965-1985), che fra il 1990 e

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il 1993 attraversò gli USA dal nord al sud, toccando città come Denver,Albuquerque, San Francisco, Washington, New York e San Antonio. Conquesta mostra le porte della casa padrone ovvero gli spazi esclusivi deigrandi musei si aprirono e divennero ambienti di stile chicano, stanze incui veniva promosso un dialogo e una riflessione interculturale (de Alba1997). Per gli artisti della raza, CARA significò trovare per la prima voltacasa in uno spazio pubblico non ghettizzato. CARA mostrò come lacultura alter-nativa si autorappresentava, creava la propria faccia, diceAnzaldúa (Anzaldúa 1990; il termine spagnolo cara significa perl’appunto faccia). Creare il volto significa raffigurare, far vedere maanche vedersi; può divenire gesto politico sovversivo: può esseresguardo penetrante che interroga e sfida, sguardo che dice “noncamminarmi addosso”, ma anche “lascia stare la mia faccia” (Anzaldúa1990, p. xv). Le scrittur-azioni di Anzaldúa, di Moraga e di altre scrittricie la sezione delle installazioni del CARA intitolate Visioni femministe hannoaiutato a decostruire l’immagine della donna chicana così come eracostruita dentro le norme patriarcali della cultura chicana e perfinodentro il Chicano Art Movement: Con un gesto da border crossing leartiste rovesciano l’antitesi virgen/puta, incarnata nella scissione verginedi Guadalupe (sintesi dell’antica mitologia azteca e della religionecattolica, del divino e umano, mediatrice per tutti i mestizos) e laMalinche (chiamata anche con nome azteco Malintzin e in messicanospregiativamente Chingada), ovvero la prima donna india venduta aHernan Cortes, colei che per prima imparò lo spagnolo e svolse funzionidi traduttrice, divenendo agli occhi del suo popolo icona della traditrice edella prostituta. Al posto di questo binarismo viene creata una figura-intersezione, simbolo di resistenza e intelligenza (voler conoscere lalingua altrui non è semplicemente tradimento, ma indice di apertura ecuriosità) in cui corpo e anima, eros e spiritualità, terra d’origine e terradel conquistatore vengono presentati non come parti separate, maimpastate e tanto la vergine di Guadalupe come la Malinche sonoraffigurate come figure ibridate, luoghi di traduzione culturale, ovvero difrontiera. Operazioni come quelle del CARA, scritture alter-native comequelle di Anzaldúa o Sandra Cisneros, Ana Castillo, Tino Villanueva, Alfred

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Arteaga sono state uno strumento di concientización (acquisizione diconsapevolezza) della gente chicana e di contestualizzazione dellacultura di gente a discendenza messico-ispanico-indio con venatureafricane nella società americana nel suo complesso. Ponendo attenzionealle tensioni fra soggettività e rappresentazione, cultura alta e culturapopolare, presentando la cultura chicana come altra eppure indigena allacultura americana, CARA e tutti i soggetti che assumonoconsapevolmente una posizione frontaliera, mettono in discussione lestrutture istituzionali, gli stili, i modelli che si fondano sull’esclusione,l’etnocentrismo e l’omogeneizzazione; mettono in crisi il mercatodell’arte tradizionale, la politica dell’autorappresentazione e la teoria-pratica della ricezione in quanto, confrontandosi con culture e comunitàeterogenee, composite, salvano l’eredità multilinguistica e multiculturalecondensata nei concetti di mestizaje e raza (de Alba 1997) e resistonoalla ideologia bianca americana del melting pot attraverso pratiche diresistenza come la coscienza oppositiva, e la metodologia degli oppressi(Sandoval 2000). La cultura del border crossing si esprime attraversouna commistione di stili e discorsi, attraverso una resistenza alla culturaalta e una predilezione per il vernacolo, il rasquache che si esprimeattraverso l’eccesso, l’ironia, i colori brillanti, gli ornamenti scintillanti.Dentro i Chicano/cultural studies si possono quindi rinvenire discorsicosiddetti contro-egemonici, anti-nativisti, anti-acculturazione checontestano la categorizzazione delle culture definite marginali in sotto-culture (scuola di Chicago, Landowki), ridotte a oggetto di scoperte, esvelano i presupposti gerarchici delle teorie che organizzando le culturein sotto-categorie, presuppongono una categoria di riferimentonormante. Questa celebrazione-pratica dell’attraversamento,impollinazione, incrocio, commistione che si disvela nella mescolanza didiscorsi locali e globali, nazionali e internazionali, tradizionali esperimentali (per es. l’inclusione di proverbi e versi di ballate inletteratura; di stilemi degli ex-voto o retablo in pittura; di strumenti eritmi tradizionali in musica contaminata), personali e politici, naïf edigitali, fa della frontiera una figurazione della modernità, unacontronarrativa; e del border crossing una pratica sociale unica,

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un’estetica nuova, mestiza – non una sotto-cultura segregata dentro lemaglie della cultura-sguardo egemonico, ma una co(n)-cultura o, per dirlacon de Alba, una alter-cultura, una cultura alter-nativa (dove alter staper altro da sé, un’altra identità). Una cultura altra che tuttavia è nativa,specifica di quella geografia, il territorio del Sud-Ovest degli Stati Unitiun tempo vissuto come estensione della Spagna dall’impero spagnolo,poi chiamato Messico del nord, quindi Sud-Ovest americano (dagli StatiUniti), e attualmente denominato dai chicanos patria chicana di Aztlán(de Alba 1997). A partire dalle teorizzazioni e pratiche culturali nate sulconfine fra Messico e Stati Uniti, i Border Studies sono saliti alla ribaltadel discorso socioculturale, presentandosi come uno degli ambiti diriflessione più nuovi e complessi degli ultimi anni: quest’area creativa eteorica sta sul confine degli studi culturali, etnici, multiculturali,antropologici e si occupa di questioni contemporanee circa i saperi,l’identità e la politica. In ambito anglo-americano il grande impulso cheviene dallo sviluppo di questo tipo di studi può oggi addirittura essereproblematico in quanto tutte le discipline appaiono suscettibili direinscrizione entro i Border studies: da quelle giuridiche a quelle politiche,a quelle identitarie (anche gli studi queer rientrano nelle teorizzazioni edinterpretazioni dei Border studies) e societarie.

(Cfr. anche American memory, Antropologia culturale, Criticaletteraria femminista, Comunicazione interculturale, Etnopsicologia Musicstudies, Studi (post-)coloniali, Studi queer, Studi sulla migrazione, Studisulla diaspora, Studi sulla traduzione, Women’s studies)

Affiliazioni transnazionali, Assimilazione, Bilinguismo, Border crossing,Border texts, Borderlands, Canone, CARA (Chicano Art: Resistance andAffirmation), Decolonizzazione, Centro, Chicanismo, Chicano studies,Cittadinanza, Classe, Contaminazione, Controcultura, Contronarrativa,Cultura alter-nativa, Culturale, Egemonia culturale, Emigrazione, Esilio,Etnotesto, Frontalieri, Fronterizos, Frontiera, Gender Studies, Ibridismo,

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Identità, In-between, Intercultura, Interlinguismo, Letteratura popolare,Malinche, Melting pot, Mestizaje, Mestizos, Metodologie degli oppressi,Migrazione, Multiculturalismo, Multilinguismo, New mestiza, Occidentale,Orientamento Sessuale, Passing, Musica popolare, Periferia, Politica dellal ocat ion , Primo mondo, Queer studies, Rasquachismo, Raza,Miscegenation, Strategie di resistenza, Subcultura, Terzo mondo, Terzospazio, Transcultura, Vergine di Guadalupe, World music.

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