Bona Cambiaghi, Cristina Bosisio – Università Cattolica, Milano materiali... · 2012. 1. 22. ·...

121
MODULO 10 Approcci e metodi glottodidattici Bona Cambiaghi, Cristina Bosisio – Università Cattolica, Milano Pasquale Guaragnella, Raffaele Ruggiero – Università di Bari 12

Transcript of Bona Cambiaghi, Cristina Bosisio – Università Cattolica, Milano materiali... · 2012. 1. 22. ·...

  • MODULO 10 Approcci e metodi glottodidattici Bona Cambiaghi, Cristina Bosisio – Università Cattolica, Milano Pasquale Guaragnella, Raffaele Ruggiero – Università di Bari

    12

  • Indice 10.0 Guida al modulo 10.1 Alcune definizioni preliminari 10.1.1 Teoria 10.1.2 Approccio 10.1.3 Metodo 10.1.4 Tecniche e materiali 10.2 “Navigare” nell’evoluzione metodologica: percorsi possibili 10.2.1 Quando? Percorso cronologico 10.2.2 Come? Percorso strumentale 10.2.3 Perché? Percorso scientifico 10.2.4 Chi e che cosa? Dialettica dei fattori dell’atto didattico

    10.2.5 Dove? Aree di sviluppo e stagioni 10.2.6 Criterio seguito 10.2.6.1 Contesto storico

    10.2.6.2 Teorie di riferimento 10.2.6.3 Dinamica dei fattori dell’atto didattico

    10.2.6.4 Modelli operativi 10.2.6.5 Tecniche, strumenti, sussidi 10.3 Approcci pre-scientifici 10.3.1 Alcuni precursori a base pedagogica 10.3.1.1 Nel ‘500 10.3.1.2 Nel ‘600 10.3.2 Alcuni precursori a base linguistica 10.3.2.1 Nel ‘700 10.3.2.2 Nell’‘800 10.3.3 Approccio formalistico (o della grammatica-traduzione) 10.3.3.1 Il metodo della lettura 10.3.4 I Metodi diretti 10.3.4.1 Metodi diretti naturali e/o fonetici 10.3.4.2 Metodi diretti semplificati 10.3.4.3 Metodi diretti eclettici 10.4 Approcci scientifici 10.4.1 Approccio strutturalistico 10.4.1.1 Metodi audio-orali o audio-linguali 10.4.1.2 Metodi audio-visivi (SGAV) 10.4.2 Approccio comunicativo 10.4.2.1 Il “metodo” situazionale 10.4.2.2 Il “metodo” nozionale-funzionale

    13

  • 10.4.2.2.1 Le proposte europee 10.4.3 Approccio umanistico-affettivo 10.4.3.1 Risposta fisica totale (T.P.R.) 10.4.3.2 Community Language Learning / Community Counseling 10.4.3.3 Natural Approach 10.4.3.4 Suggestopedia / Ipnopedia 10.4.3.5 The silent way 10.4.3.6 Interazione strategica 10.4.3.7 Project work 10.5 La panacea: l’approccio integrato? 10.6 Sintesi conclusiva

    10.6.1 Dal non-metodo al metodo, all’approccio, alle ipotesi 10.7 Riferimenti bibliografici 10.8 Attività 10.8.1 Attività relative ai capitoli 10.1 e 10.2: Domande di sintesi

    10.8.2 Attività relative ai capitoli 10.3 e 10.4: Dai testi, agli approcci, ai metodi

    10.8.3 Attività relative ai capitoli 10.5 e 10.6: Dalla teoria alla pratica didattica: riflessioni

    10.8.4 Chiavi

    14

  • 10.0 Guida al modulo Obiettivo di questo modulo è proporre all’insegnante alcuni percorsi possibili per muoversi all’interno della glottodidattica, alla scoperta dell’evoluzione metodologica e dei principi fondativi dei singoli metodi e approcci. Il modulo si divide in sei capitoli, ognuno dedicato a un aspetto o a una tappa fondamentali per comprendere tale evoluzione. Nel primo (10.1) si forniscono alcune definizioni essenziali per la comprensione dell’intero percorso, il quale viene tracciato nel secondo capitolo (10.2) e visto come risposta ad alcune domande imprescindibili, che ne sottolineano la reticolarità e quindi la non linearità. Nel terzo (10.3) si presenta la preistoria della disciplina “glottodidattica” fra scienze dell’educazione e scienze della lingua, attraverso alcune figure di particolare rilievo e una panoramica di metodi cronologicamente evidenziati, fino ad arrivare ai cosiddetti “approcci scientifici”, cioè all’affermazione della disciplina stessa nella prima metà del secolo scorso. I tre approcci “classici”, strutturalistico, comunicativo e umanistico-affettivo, nelle loro declinazioni metodologiche, sono l’oggetto del quarto capitolo (10.4), cui seguono i due capitoli conclusivi, quinto (10.5) e sesto (10.6), sul modello di un approccio integrato, che ben risponde alle esigenze di una disciplina teorico-pratica in via di complessificazione. Ai riferimenti bibliografici utili per eventuali approfondimenti (10.7) seguono le attività connesse ai singoli capitoli, da realizzare dopo aver approfondito i contenuti, sia per verificare di averli appresi, sia per metterli in pratica e verificarli sul campo (10.8).

    15

  • 10.1 Alcune definizioni preliminari Preliminarmente a qualunque discorso metodologico è necessario chiarire alcune parole chiave. Quelle fondamentali per capire e sapersi muovere nell’evoluzione degli approcci e dei metodi glottodidattici sono le seguenti: teoria, approccio, metodo, tecnica. Tali parole chiave costituiscono l’“universo epistemologico della glottodidattica”, che può essere così rappresentato (P.E. Balboni, 2002).

    TM

    APPROCCIO (10.1.2.)

    TEORIA (10.1.1.)

    Fondato/infondato scientificamente

    Adeguato/inadeguato per realizzare l’approccio Coerente/incoerente al

    METODO

    ECNICHE & ATERIALI

    (10.1.4.)

    suo interno

    Adeguati/inadeguati al metodo e all’approccio Efficaci/inefficaci nel raggiungere gli obiettivi

    16

  • 10.1.1 Teoria Si tratta dei fondamenti teorici, delle teorie di riferimento della glottodidattica. Le scienze teoriche (la linguistica, per esempio) o altre scienze pratiche (la pedagogia generale, la psicologia dell’apprendimento, ecc.) forniscono teorie esterne di riferimento per la glottodidattica, la quale vi ricorre per trarne le informazioni e le implicazioni utili per i suoi scopi. Con la teoria si realizza la riflessione epistemologica dell’educazione linguistica sui suoi fini e sul suo rapporto con la totalità delle scienze dell’educazione. Le teorie si collocano, dunque, all’esterno dell’orizzonte didattico. Un’immagine molto chiara e significativa delle discipline dalle quali la glottodidattica trae alcuni assunti teorici per adeguarli ai propri scopi è quella del “fiore”, dove i petali (i diversi ambiti disciplinari) completano il cuore del fiore (la glottodidattica), che a sua volta li nutre con la propria personale linfa vitale. Le teorie interagiscono con la determinazione di un approccio (10.1.2).

    17

  • 10.1.2 Approccio È la dimensione in cui si individuano sia le finalità dell’educazione linguistica dell’allievo, sia gli obiettivi glottodidattici. Con la parola approccio ci si riferisce ad un insieme di indicazioni didattiche con le quali si favorisce l’apprendimento di una lingua straniera, preferendo in questo modo questa parola più vasta e flessibile a quella di metodo (10.1.3), che rimanda a qualcosa di più rigido e limitato. Un approccio si valuta in base alla fondatezza scientifica delle teorie (10.1.1) da cui ha assunto i principi, alla sua coerenza interna, alla sua capacità di generare metodi in grado di realizzare l’approccio stesso.

    18

  • 10.1.3 Metodo Il metodo definisce un piano generale per la realizzazione operativa di un approccio (10.1.2). È un insieme di principi metodologico-didattici che traducono un approccio in modelli operativi, in materiali didattici. Danesi (1988:10) afferma che un metodo è: “un insieme chiuso di criteri, procedimenti e attività pedagogiche secondo il quale si realizza il processo di insegnamento di una lingua”. Un metodo può essere adeguato/inadeguato all’approccio che intende realizzare e coerente/incoerente al proprio interno. Compito essenziale e qualificante di un metodo è la selezione delle tecniche glottodidattiche (cioè delle attività di classe e individuali), e dei materiali (10.1.4).

    19

  • 10.1.4 Tecniche e Materiali Il passaggio dalla didattica alla didassi si realizza tramite le tecniche: procedure operatorie, attività di esercizio della lingua, di classe o individuali, destinate a guidare in modo efficace l’apprendimento (Moduli 12 e 13). Le tecniche possono essere coerenti o non con il metodo (10.1.3) e l’approccio (10.1.2), efficaci o non nel raggiungere l’obiettivo didattico che si pongono. Per “materiali” o “strumenti” si intendono i libri di testo, gli eserciziari e i sussidi vari che agevolano la costruzione e la realizzazione delle tecniche.

    20

  • 10.2 “Navigare” nell’evoluzione metodologica: percorsi possibili Quali sono i metodi e gli approcci principali, più noti o più significativi, che hanno caratterizzato la storia della glottodidattica? E quali sono i criteri più efficaci per poterli definire? Conformemente alla natura interdisciplinare della glottodidattica e alla natura reticolare dei rapporti che intercorrono fra i fattori dell’atto didattico è possibile “navigare” nell’evoluzione metodologica seguendo criteri diversi, ognuno fondato su un particolare elemento da mettere in luce. Alcuni dei criteri più significativi per affrontare la “navigazione” potrebbero corrispondere, per esempio, alla comparazione di approcci e metodi sulla base delle risposte che essi forniscono alle cinque, notissime, “classiche” domande, a cui spesso si ricorre per affrontare, in modo sintetico e completo, una questione particolarmente significativa: Quando? Come? Perché? Chi e che cosa? Dove? Nei prossimi paragrafi risponderemo a queste domande singolarmente, cercando di individuare, per ognuna di esse, dei percorsi possibili, da seguire nella nostra “navigazione” nell’universo metodologico: individueremo innanzitutto un percorso cronologico, che risponde alla domanda “quando?” (10.2.1), un percorso “strumentale”, che risponde alla domanda “come?” (10.2.2) e un percorso scientifico, che risponde alla domanda “perché?” (10.2.3), per poi soffermarci, in risposta alle domande “chi? e che cosa?”, dapprima sulla dialettica evolutiva tra i fattori dell’atto didattico (10.2.4), e poi sulle aree e le stagioni di sviluppo metodologico, in risposta alla domanda “dove?” (10.2.5). Il paragrafo 10.2.6 presenta, infine, una sintesi dei criteri esposti e propone un percorso tutto particolare, sintetico ma completo, capace, a nostro avviso, di delineare i tratti salienti dell’evoluzione e delle caratteristiche dei principali approcci e metodi della glottodidattica.

    21

  • 10.2.1 Quando? Percorso cronologico Navigare nell’evoluzione metodologica seguendo un percorso cronologico è abbastanza semplice: si tratta del criterio di analisi più diffuso fra i testi divulgativi, criterio che affronta lo studio delle principali correnti e proposte didattiche a partire dalla data o dal periodo storico in cui queste sono state proposte. Seguendo il percorso cronologico l’evoluzione dei metodi e degli approcci può essere affrontata cominciando da un “anno zero”, ovvero da una data significativa anche se simbolica, dalla quale partire per definire il prima e il dopo, ovvero la “pre-glottodidattica” e la glottodidattica vera e propria. La data simbolica, alla quale si fa, per convenzione, risalire la nascita della glottodidattica come disciplina scientifica, è l’anno 1942, anno di pubblicazione di un breve saggio di Leonard Bloomfield, che rivoluziona il modo di concepire l’apprendimento linguistico, quindi anche l’insegnamento di una L2. Da questo momento nasce la disciplina, più come linguistica applicata che come glottodidattica, e ciò che viene proposto successivamente costituisce l’evoluzione storica di approcci, teorie e tecniche (10.1), i quali, tuttavia, affondano le proprie radici nelle proposte di alcuni precursori (10.3), ovvero nella cosiddetta protoglottodidattica. Secondo questo criterio, dunque, è possibile visualizzare la linea temporale della disciplina nel modo seguente: … _________________________1942_________________________________oggi … precursori … … …. approcci formalistici … … metodi diretti … approccio strutturalistico approccio comunicativo approccio umanistico-affettivo approccio integrato

    22

  • 10.2.2 Come? Percorso strumentale Un criterio possibile per la classificazione degli approcci e dei metodi può essere quello di impostare la descrizione sulla base degli strumenti, ovvero delle tecniche e dei materiali utilizzati e privilegiati dagli approcci e dai metodi stessi. Per fare questo è possibile partire da una classificazione di tecniche didattiche (moduli 12 e 13) e considerare, eventualmente in ottica evolutiva, il ruolo di tali tecniche negli approcci e nei metodi più noti. In questo senso, per esempio, è possibile proporre una classificazione metodologica sulla base del ruolo, della priorità e delle caratteristiche attribuite a certe tecniche, in particolare in riferimento alle tecniche utilizzate per lo sviluppo delle diverse abilità (modulo 9). Ecco allora profilarsi un percorso costruito sull’utilizzo o il non utilizzo della traduzione, sull’uso o il non uso della lingua materna in classe, sulla presenza o assenza di esercizi strutturali o di esercizi più creativi, sulla priorità delle abilità scritte o di quelle orali, sul ruolo dei lavori di gruppo, sull’uso e il tipo di uso di strumenti audio-visivi, ecc. Tale criterio, incrociato con quello cronologico, favorisce l’impostazione di una tabella di sintesi, in cui compare chiaramente, per ogni approccio o metodo, il ruolo delle diverse tecniche didattiche. Di seguito proponiamo un breve esempio, naturalmente da ampliare con indicazioni molto più precise sulle diverse tecniche impiegate e sulle abilità esercitate, semplici e integrate:

    approcci formalistici

    metodi diretti

    approccio strutturalistico

    approccio comunicativo

    approccio umanistico-

    affettivo

    approccio integrato

    Traduzione X X X Liste di vocaboli

    X X

    Drills X X Exercises X X X Audio-visivi

    X X X

    Produzione orale

    X X X X X

    Produzione scritta

    X X X

    Ecc… …

    23

  • 10.2.3 Perché? Percorso scientifico Tracciare l’evoluzione metodologica secondo un percorso scientifico significa rispondere alla domanda “perché?”. Significa scoprire i fondamenti teorici, linguistici ma anche psico- e sociopedagogici sui quali gli approcci, e di converso i metodi, si fondano. Il percorso scientifico, dunque, genera a sua volta molteplici percorsi, a seconda del tipo di “scientificità” considerata. I due principali riferimenti sui quali si basa il nostro percorso di esplorazione metodologica sono le teorie linguistiche e psicologiche che “alimentano” la glottodidattica. In base a questi riferimenti è possibile individuare approcci “pre” (10.3) e “post” (10.4) scientifici e, fra questi ultimi, distinguere fra approcci a base strutturalista dal punto di vista linguistico e a base comportamentista dal punto di vista psicologico, oppure approcci fondati sui concetti di nozione, di funzione e dunque di competenza comunicativa, come avviene con gli approcci cosiddetti “comunicativi” (10.4.2) e approcci che sviluppano le proprie indicazioni metodologiche intorno ai bisogni e alle caratteristiche degli apprendenti e dei loro profili, come avviene, per esempio, nella maggior parte degli approcci umanistico-affettivi (10.4.3). Tale tipo di percorso, inevitabilmente anche cronologico, favorisce, attraverso una particolare attenzione psicolinguistica, una riflessione approfondita intorno alle caratteristiche delle attività didattiche suggerite dagli approcci, e al ruolo, più o meno centrale, dell’apprendente, dell’insegnante, della lingua e del contesto (10.2.4).

    24

  • 10.2.4 Chi e che cosa? Dialettica dei fattori dell’atto didattico I fattori dell’atto didattico costituiscono il fulcro intorno al quale ruotano e interagiscono bisogni, mete e obiettivi formativi e didattici. La rete dei rapporti che intercorrono fra tali fattori e la loro dialettica sono influenzati, dal punto di vista dell’insegnante, dal tipo di approccio o di metodo adottato. I diversi approcci e, di converso, i diversi metodi concentrano la loro attenzione ora sulla lingua, ora sull’insegnante, ora sull’apprendente, ora sul contesto di apprendimento, a seconda della teoria a cui fanno riferimento, del tipo di tecniche utilizzate e, in buona sostanza, del significato che essi attribuiscono all’apprendimento, in quanto processo oppure prodotto. Da questo punto di vista, dunque, la classificazione metodologica si strutturerebbe a seconda della priorità che i vari approcci attribuiscono ai diversi fattori dell’atto didattico e darebbe luogo, allora:

    a) ad approcci centrati sull’apprendente, come ad esempio, gli approcci umanistico-affettivi (10.4.3) o quelli comunicativi (10.4.2);

    b) ad approcci centrati sulla lingua, come quelli formalistici (10.3.3), ma anche, in un certo senso, quelli diretti (10.3.4) o quelli strutturalistici (10.4.1);

    c) ad approcci centrati sull’insegnante, come quelli strutturalistici (10.4.1) e, in parte, quelli diretti (10.3.4) o anche ad alcuni approcci umanistico-affettivi (10.4.3);

    d) infine ad approcci centrati sul contesto, come avviene, ancora una volta, nel caso di alcuni approcci umanistico-affettivi (10.4.3) o dei “metodi situazionali” (10.4.2.1).

    25

  • 10.2.5 Dove? Aree di sviluppo e stagioni La “navigazione” all’interno dell’evoluzione metodologica è possibile anche seguendo un criterio spaziale, ovvero legato alle aree di sviluppo che hanno caratterizzato i momenti salienti della storia della disciplina e quindi i principali approcci e metodi glottodidattici. In questo senso è possibile parlare di stagioni francese, inglese e americana, le quali sono tuttavia inevitabilmente correlate a specifici momenti storici che, grazie ai modelli teorici proposti dai principali esponenti degli studi linguistici o socio-psico-pedagogici, hanno privilegiato ora l’una ora l’altra area geografica. Ecco dunque che, a partire dagli anni quaranta del secolo scorso, anni in cui nasce la disciplina in quanto “linguistica applicata” (10.2.1), si susseguono quattro stagioni caratterizzate da approcci diversi all’insegnamento/apprendimento di una lingua straniera:

    I) la prima stagione, americana, è quella di Bloomfield, quella dell’“overlearning”, dell’“iperapprendimento”, quindi dei metodi strutturali, audio-orali e audio-visivi (10.4.1);

    II) la seconda stagione è quella francese, legata al Français Fondamental e ai lavori del “didattologo” Robert Galisson.

    III) la terza è la stagione inglese, la stagione legata a Wilkins e dunque ai programmi nozionali-funzionali (10.4.2.2);

    IV) la quarta stagione, infine, è la cosiddetta “seconda stagione americana”, quella, per fare un nome significativo, di Curran e degli approcci umanistico-affettivi (10.4.3).

    26

  • 10.2.6 Criterio seguito Dopo avere tracciato i percorsi possibili per la navigazione nell’evoluzione metodologica (10.2.1, 10.2.2, 10.2.3, 10.2.4, 10.2.5), esponiamo in questo paragrafo il criterio seguito nel nostro modulo per presentare, in modo sintetico ma sufficientemente completo, i principali metodi e approcci glottodidattici. Si tratta di un criterio “integrato”, ovvero di un percorso “reticolare”, che sfrutta le indicazioni segnalate nei paragrafi precedenti per fornire una visione il più possibile globale e poliedrica di ogni approccio o metodo considerato. Per ognuno di essi, infatti, forniamo indicazioni circa:

    a) il contesto storico nel quale l’approccio o il metodo si sviluppano (10.2.6.1); b) le eventuali teorie di riferimento alle quali essi afferiscono (10.2.6.2); c) la dinamica dei fattori dell’atto didattico, ovvero il ruolo che nella didassi

    assumono l’insegnante, l’allievo, la lingua e il contesto (10.2.6.3); d) i modelli operativi proposti (10.2.6.4); e) le tecniche, gli strumenti e i sussidi suggeriti (10.2.6.5).

    27

  • 10.2.6.1 Contesto storico Nel definire il contesto storico nel quale approcci e metodi si sviluppano non facciamo riferimento solo alle proposte metodologiche nate nel secolo scorso, in epoca di glottodidattica affermata (dagli approcci strutturalistici a oggi – 10.4), ma consideriamo anche parte della cosiddetta “protoglottodidattica”, meno nota ma spesso illuminante per meglio comprendere certi modelli attuali (10.3.1, 10.3.2) e quegli approcci e quei metodi che, pur imponendosi ancora nella prima metà del XX secolo, hanno tuttavia radici molto più lontane. (10.3.3, 10.3.4).

    28

  • 10.2.6.2 Teorie di riferimento Nel definire l’evoluzione metodologica terremo presenti le teorie di riferimento alle quali approcci e metodi afferiscono, soprattutto, come è ovvio, per quanto riguarda i cosiddetti “approcci scientifici” (10.4), sviluppatisi in epoca di glottodidattica affermata. Per quanto riguarda gli approcci “pre-scientifici”, raramente connessi a specifiche teorie di riferimento, proporremo una riflessione “a posteriori”, sulla base dell’innovatività di certe indicazioni, che fanno di alcuni autori e di alcuni metodi dei veri e propri precursori di ipotesi verificate in epoca contemporanea.

    29

  • 10.2.6.3 Dinamica dei fattori dell’atto didattico Per una corretta “navigazione” fra i metodi e gli approcci è utile mettere in evidenza il ruolo assunto dai fattori dell’atto didattico e la dinamica delle loro relazioni, la quale conferma, di norma, i principi teorici sui quali essi si basano. Dal punto di vista dell’insegnante di italiano L2, che si trova ad adottare e ad aderire, più o meno consciamente, a certe indicazioni metodologiche, tali osservazioni sono molto utili, poiché permettono di acquisire una maggiore consapevolezza di come gestire e organizzare il rapporto con la classe e con il singolo studente.

    30

  • 10.2.6.4 Modelli operativi Il percorso nell’evoluzione metodologica considera anche i modelli operativi proposti dai vari approcci e quelli seguiti dai vari metodi: dal modello maieutico o socratico, a quello della lezione a quello dell’unità didattica o del modulo (modulo 11). Tali riferimenti permettono all’insegnante di tradurre in termini operativi e pratici indicazioni spesso troppo astratte e apparentemente inapplicabili nella didassi quotidiana.

    31

  • 10.2.6.5 Tecniche, strumenti, sussidi Una migliore comprensione delle caratteristiche e dell’applicabilità dei diversi approcci e metodi deriva anche dall’osservazione e dall’analisi delle tecniche didattiche (modulo 12), degli strumenti e dei sussidi impiegati per metterle in atto: dal libro di testo, al computer, agli audiovisivi, a internet, ai materiali più tradizionali.

    32

  • 10.3 Approcci pre-scientifici Da sempre si riflette sul modo di insegnare e/o apprendere una lingua. Nella preistoria della disciplina “glottodidattica”, o come alcuni dicono nella “protoglottodidattica”, si incontrano scritti significativi sull’argomento. Molti di questi testi, naturalmente, sottolineano l’importanza dell’uso della lingua assai più che della riflessione sulla stessa in vista di un’acquisizione pratica, spendibile nella comunicazione quotidiana. In un percorso storico cronologico, vediamo alcuni di questi precursori della glottodidattica, a base pedagogica prima e a base linguistica poi, fino ad arrivare agli approcci scientifici recenti, cioè alla glottodidattica vera e propria.

    33

  • 10.3.1 Alcuni precursori a base pedagogica 10.3.1.1 Nel ‘500 Nel XVI secolo autori come M.de Montaigne, R. Ascham, J. Florio, C. de Sainliens possono essere considerati come precursori della disciplina glottodidattica, essenzialmente sul fronte delle scienze dell’educazione. Il XXVI capitolo del primo libro dei Saggi di Montaigne, ad esempio, è un trattato di pedagogia generale, in cui si raccomandano la formazione completa del giovane, anche dal punto di vista dell’esercizio fisico e del divertimento, e l’insegnamento di una lingua viene visto come insegnamento di lingua-cultura e di cultura umana nel senso di cittadinanza del mondo a larghissimo raggio. R. Ascham è l’autore di una Scholemaster in cui si prevede l’uso frequente della lode da parte del maestro per motivare l’allievo e per sostenerlo nei momenti difficili. J. Florio nei Primi e nei Secondi Frutti, che accompagnano il volume Giardino di Ricreazione è un protoglottodidatta dell’italiano insegnato agli inglesi attraverso l’uso di proverbi e di dialoghi sul gioco del tennis, sul teatro e sull’amore. C. de Sainliens autore di un altro Schoolmaster si preoccupa anche dell’aspetto deontologico della professione insegnante, che crea il proprio materiale didattico, “entra nei locali pubblici e nelle case alla ricerca di dialoghi autentici, culturalmente validi, perché colti da un professionista che può guardare dentro la lingua con la sensibilità del bilingue”. (Titone 1986: 89).

    34

  • 10.3.1.2 Nel ‘600 Il grande pedagogista boemo del XVII secolo, Jan Amos Komensky, Comenio, fu probabilmente anche il primo protoglottodidatta completo, consapevole che qualunque educazione passa essenzialmente dall’educazione linguistica. Il suo nome è rimasto nella preistoria della disciplina in quanto autore di una Didactica Magna, che contiene le famose “otto regole d’oro per l’apprendimento efficace di qualunque lingua”, la cui ultima riassume tutte le altre, e può essere trascritta come segue: “Tutte le lingue si possono imparare con la pratica, associata alle regole più semplici, che si riferiscono solamente ai punti di differenza con la lingua già conosciuta, e mediante esercizi relativi a qualche oggetto familiare” (Titone 1986: 73). Sarebbe interessante stabilire un parallelo tra la nozione di “regola” per Comenio e quella scaturita dalla Grammatica di Port-Royal, che si diffonde negli stessi decenni nell’Europa occidentale. “Le regole, che riassumono le lingue, devono essere grammaticali e non filosofiche”, scrive Comenio nel 1627, mentre le regole del concepire, del giudicare e del ragionare ci introducono alla definizione di “proposizione” voluta dalla Grammatica generale e ragionata di Port-Royal di qualche decennio dopo. R. Titone, in chiave glottodidattica osserva che imparare una lingua significa: “Stabilire ciò che è corretto e come si costruiscono le frasi, e non tentare spiegazioni sulle cause e gli antecedenti dei fatti linguistici” (Titone 1986: 73). Attraverso tale osservazione si può intravvedere una lunga diatriba tra considerazione della lingua come uso e come riflessione sulla stessa, che investirà di sé secoli di studi grammatologici in Europa, dai quali emerge con fatica e solo in questi ultimi decenni una grammatica pedagogica. Anche una sorta di psicolinguistica applicata alla didattica è presente in questo grande pedagogista. Il principio della gradazione scaturisce infatti dagli stadi evolutivi, secondo i quali “la prima età è l’infanzia balbettante, in cui impariamo a parlare confusamente: la seconda età è la fanciullezza in maturazione, in cui impariamo a parlare correttamente; la terza età è l’adolescenza matura, in cui impariamo a parlare elegantemente; la quarta età è la virilità vigorosa in cui impariamo a parlare efficacemente”. Il passaggio graduale dal confusamente all’efficacemente, attraverso le due tappe intermedie del correttamente e dell’elegantemente, mostra una progressione di grande interesse, che potrebbe essere applicata, ancora oggi, alla didattica linguistica dell’età evolutiva sia in ambito di L1 che di L2.

    35

  • 10.3.2 Alcuni precursori a base linguistica 10.3.2.1 Nel ‘700 La proto-glottodidattica del 1700 è già intrisa di linguistica. Fra i precursori di questa disciplina spicca la figura dell’Abbé Pluche, la cui Mécanique de toutes les langues ci presenta una lingua come composta da diversi strati: il primo, più profondo, è rappresentato dalla struttura stessa del pensiero; il secondo, intermedio, è costituito dai suoni e dalle articolazioni; il terzo, l’ornamento, si identifica con la letteratura. L’art d’enseigner les langues et de les apprendre par soi-même à tout âge, di evidente contenuto metodologico, ci insegna come non sia anatomizzando le parole o addirittura il pensiero, che si imparano le lingue, ma tuffando il discente fra i parlanti autentici che lo si mette in grado di apprendere. La “grammatica” prima e poi la “stilistica” costituiscono la lingua vera e propria, in cui génie, goût, e savoir si intersecano e si intrecciano a formare un tessuto straordinario di connessioni talvolta arbitrarie e talvolta razionali, ma sempre normate dall’uso. Ignatius Weitenauer nel suo Hexaglotton del 1762 si allarga fino a dodici lingue, usando un approccio contrastivo e la traduzione interlineare per l’apprendimento intra brevissimum tempus delle lingue: gallicam, italicam, hispanicam, graecam, hebraicam, chaldaicam, anglicam, germanicam, belgicam, latinam, lusitaneam, et syriacam, e grazie ad un’appendice sulla pronuncia che rappresenta forse il primo tentativo di usare una trascrizione fonetica, ancorché approssimativa e rudimentale, riferita al sistema grafico del latino, un secolo prima della definizione dei simboli A.P.I., cioè dell’alfabeto fonetico internazionale.

    36

  • 10.3.2.2 Nell’‘800 Nel XIX secolo si costituiscono scienze come la fonetica, che diviene autonoma dalla linguistica prima che sia riconosciuta l’esistenza della linguistica sincronica stessa, e la psicologia, le quali nutrono di sé la glottodidattica, dandole spessore teorico, e contribuendo al costruirsi del suo universo epistemologico. Fra i precursori della disciplina ricordiamo François Gouin che nel 1880 pubblicò L’art d’enseigner et d’étudier les langues, che presentava il “metodo” delle Serie, cioè della ripetizione di frasi, le quali venivano drammatizzate, perché fondate sulla nozione di lingua come comportamento. Il pilastro del “metodo naturale” di Gouin consisteva nella coscienza che imparare una lingua fosse tradurre in quella stessa lingua non un autore o un altro, ma il vasto libro della propria individualità, e riprendere poi una ad una tutte le percezioni per immagazzinarle prima e per generalizzarle poi. Dal punto di vista linguistico occorreva porre una distinzione tra linguaggio oggettivo (delle Serie generali e particolari, relative alla casa, all’uomo nella società, alla vita nella natura, alla scienza e alle professioni), linguaggio soggettivo (della psiche, delle valutazioni estetiche, del giudizio) e linguaggio figurato, che, fondandosi su quello oggettivo, arriva al metaforico attraverso il tema della dominante: non insegnate mai “sradicare il vizio” senza aver prima insegnato “sradicare una pianta”. La grammatica si riduceva a tre grandi capitoli: il verbo, la proposizione, le espressioni modali. Questa essenzializzazione del discorso linguistico e di quello didattico va nella direzione di una grammatica pedagogica, non ridondante, semplice, elementare, anche se nella Francia di fine XIX secolo essa passò quasi totalmente inosservata. Mentre la moda grammaticalistica si imponeva con sempre maggior forza e il latino, lingua ormai morta da più di un secolo, si riduceva a schemi grammaticali, a declinazioni, a coniugazioni, a regole ed eccezioni, tali metodiche si andavano applicando sempre più anche all’insegnamento delle lingue vive, nella sottostima totale dell’oralità e della forza comunicativa di ogni sistema linguistico. Le reazioni, però, non tardarono ad arrivare, provenienti da ogni parte d’Europa, per bocca e sotto la penna di insegnanti e di teorici di scienze linguistiche e letterarie più o meno conosciuti. Fra questi ricordiamo Wilhelm Viëtor, il cui Der Sprachunterricht muss umkehren (L’insegnamento deve cambiare strada) circolò anonimo in Europa, per parecchi anni diffondendo l’importanza delle metodiche induttive, della fonetica, e l’inutilità del lavoro con bocconi insignificanti di frasi. Ma il cosiddetto “metodo” riformato mancava ancora di principi teorici solidi. I tre grandi precursori della glottodidattica a base linguistica, nei primi decenni del XX secolo, saranno: Henry Sweet, Otto Jespersen e Harold Palmer.

    37

  • 10.3.3 Approccio formalistico (o della grammatica-traduzione) Si tratta dell’approccio concepito per l’apprendimento della lingua latina a partire dal secolo XVII e poi impropriamente applicato anche alla didattica delle lingue “vive”. Il carattere di questo approccio consiste nel concepire la lingua come un corpus statico, analizzabile attraverso una serie di regole (e di eccezioni a quelle regole). Istituita l’identificazione tra conoscere la grammatica e conoscere la lingua, si mirava a stimolare nell’apprendente la sola competenza grammaticale. La tecnica didattica fondamentale era costituita dalla traduzione, intesa quale sistema di verifica per la conoscenza delle regole. Tale approccio, avversato da quei linguisti che intesero dimostrare la radicale differenza fra una lingua letteraria e “morta” ed una “viva” e parlata, non produceva alcuna vera competenza linguistica.

    38

  • 10.3.3.1 Il metodo della lettura Negli anni 1920 – 1930 in America si diffonde il metodo della lettura, basato esclusivamente sullo sviluppo delle abilità dello scritto (modulo 9) e quindi mirato alla lettura di opere scientifiche, professionali, letterarie, senza alcuna preoccupazione per le abilità dell’orale.

    39

  • 10.3.4 I Metodi diretti Fin dalla metà del Settecento sono state poste le basi per risolvere il problema dell’apprendimento pratico di una lingua (10.3.2.1), in opposizione all’approccio grammaticale. Viene teorizzato l’ordine naturale dell’apprendimento linguistico, in cui il “parlare” deve precedere lo “scrivere”, attraverso una successione ordinata: leggere, ascoltare, scrivere, parlare. Del pari si afferma progressivamente l’idea che la lingua straniera debba essere insegnata anche all’adulto “come la madre insegna la lingua al bambino”, e che pertanto lo studio della grammatica non debba iniziarsi troppo presto.

    40

  • 10.3.4.1 Metodi diretti naturali e/o fonetici A fine Ottocento l’elaborazione di una minuziosa scienza della fonetica articolatoria e della psicologia associazionistica consentirono da un lato di avviarsi verso metodi strutturalistici, dall’altro di concepire la lingua come azione e comportamento. In una successione di momenti didattici si procede dalla ripetizione mnemonica di modelli fonetici, allo studio delle strutture grammaticali, fino a puntare sugli aspetti lessicali che coinvolgono aspetti non-razionali nella lingua. L’aspirazione era tendere a una sorta di approccio integrato, caratterizzato dall’addestramento a nuovi abiti mentali e dalla concretezza dell’esemplificazione, equilibrato fra abilità orali e scritte (10.5). Negli ultimi anni del secolo XIX il polacco M. Berlitz fondò le sue scuole di lingua a New York, ove mise in pratica alcuni principi fondamentali miranti ad “agire con la lingua”: lettura e scrittura della lingua-bersaglio debbono essere praticati solo allorquando l’apprendimento orale è acquisito; una lingua completa e costruita per frasi intere deve essere impiegata nel corso della didassi.

    41

  • 10.3.4.2 Metodi diretti semplificati Si fondano sulla creazione di un vocabolario ridotto, scelto sulla base della frequenza d’uso. L’uso forzato di tale lingua di base conduceva però al costituirsi di espressioni stereotipe e innaturali: difetto che può tuttavia correggersi facendo appello alla graduazione delle strutture e agli esercizi strutturali orali (presentazione di frasi brevi con caratteristiche fonetico-grammaticali di base, e poi strutture via via più complesse e diversificate).

    42

  • 10.3.4.3 Metodi diretti eclettici Si basano sull’impiego di un’analisi degli aspetti fonetici della lingua, accompagnata da un vocabolario costituito dal lessico più frequente e utile e da uno studio grammaticale ad esso funzionale.

    43

  • 10.4 Approcci scientifici Si definiscono approcci scientifici gli approcci proposti dagli anni quaranta del secolo scorso, in epoca cioè di “glottodidattica” vera e propria, disciplina la cui nascita, come è noto, viene fatta coincidere con il 1942, anno di pubblicazione della Outline guide for the practicle study of foreign languages di Bloomfield. Da quegli anni, infatti, i metodi e le tecniche per l’insegnamento delle lingue straniere si basano sempre meno sull’esperienza concreta o sul buon senso, ma sono il risultato di una vera e propria “linguistica applicata” e, almeno inizialmente, della linguistica dei “costituenti immediati” (modulo 0). In questo capitolo si prenderanno in considerazione i principali approcci scientifici e cioè l’approccio strutturalistico (10.4.1), l’approccio comunicativo (10.4.2) e l’approccio umanistico-affettivo (10.4.3).

    44

  • 10.4.1 Approccio strutturalistico La nozione di struttura, cioè di costruzione morfosintattica, è centrale in questi approcci, in cui prevale una concezione meccanica, meccanicistica e regolare del fatto linguistico. Questa nozione si allea con la psicologia di Skinner, che considera l’atto di comunicazione come un semplice atto di Stimolo e Risposta, e con l’esplosione delle registrazioni della parola ad uso didattico (laboratorio linguistico, che da laboratorio passivo diventa progressivamente audio-orale-attivo-comparativo) e dà luogo ai metodi audio-orali e audio-visivi, i quali possono essere considerati gli unici “metodi” nel senso pieno del termine.

    45

  • 10.4.1.1 Metodi audio-orali o audio-linguali I Metodi audio-orali o audio-linguali sono l’applicazione più diretta dell’approccio strutturalisitico. Essi si diffondono essenzialmente in America e riducono tutto il lavoro didattico a una serie di esercizi cosiddetti à mitraillette, drills nella terminologia anglosassone, cioè esercizi strutturali di ripetizione, di sostituzione e di trasformazione. Dal punto di vista psicologico nulla è concesso alla creatività del discente e da quello linguistico domina la dimensione frastica su quella testuale, che sarà presa in conto solo qualche decennio più tardi.

    46

  • 10.4.1.2 Metodi audio-visivi (S.G.A.V.) I metodi audio-visivi (talora indicati con la sigla S.G.A.V., Strutturo-Globali-Audio-Visivi) presentano l’immagine come veicolo del significato in una impostazione strutturale, cioè morfosintattica del tutto simile a quella degli audio-orali. Nella prima stagione degli audio-visivi ogni item sonoro è collegato con un’immagine di un film fisso. Esso traduce in lingua il significato veicolato dall’immagine. Lo sforzo di ridurre la polisemia dell’immagine, che è ancora maggiore della polisemia della parola, ad una relativa monosemia, rivela presto le difficoltà di questi metodi e induce a scegliere immagini in bianco e nero piuttosto che a colori, fisse piuttosto che mobili, disegni piuttosto che fotografie, per poi abbandonarli presto, sostituendoli con metodi solo parzialmente audio-visivi. Anche dal punto di vista esercitativo sono riproposte le stesse tecniche (per la definizione di tecnica, cfr. 10.1.4) dei metodi sopra citati. Per i metodi audio-orali e audio-visivi sono di primaria importanza l’alta qualità fonetica dei materiali registrati e la cura prevalente e prioritaria dal punto di vista temporale delle abilità orali prima del passaggio allo scritto, il quale avviene però attraverso la trascrizione dell’orale stesso, senza alcuna attenzione ad una reale situazione di scrittura, che non coincide quasi mai con una reale situazione di oralità. Questi metodi si diffondono prevalentemente in Europa, dove si riscontra, prima che negli Stati Uniti, una maggiore e anticipata attenzione al contesto e quindi alla situazione di comunicazione, anche dal punto di vista teorico.

    47

  • 10.4.2 Approccio comunicativo Alla svolta degli anni settanta le analisi della lingua, sfociate nel concetto di competenza linguistica, si ampliano e si arricchiscono di numerosi componenti, fino alla definizione di “competenza comunicativa”, che comprende la competenza linguistica, ma vi aggiunge diverse altre competenze, quali la competenza sociopragmatica e quella extralinguistica, a loro volta comprensive di numerose e complementari sottocompetenze (modulo 8). La definizione di competenza comunicativa si deve a Dell Hymes, che nell’acronimo S.P.E.A.K.I.N.G. (modulo 8) riesce a inserire tutti gli elementi costitutivi di un atto comunicativo concreto. L’approccio comunicativo scaturisce dunque da una maggiore attenzione alla variazione della lingua e alla considerazione della stessa come comunicazione e interazione. Gli elementi costitutivi di tale approccio fanno riferimento agli universali linguistici (modulo 0), alle nozioni chomskiane di grammaticalità e di ricorsività delle regole, mentre mettono in ombra le analisi contrastive fondanti l’approccio strutturalistico (10.4.1) precedente. Le declinazioni concrete di tale approccio sono il metodo situazionale (10.4.2.1) e il metodo funzionale-nozionale (10.4.2.2).

    48

  • 10.4.2.1 Il “metodo” situazionale Il metodo situazionale si propone di perseguire l’acquisizione di una competenza comunicativa (conoscenza interiorizzata delle regole e capacità di impiegarle) attraverso una situazione, che da essenzialmente fisica (al bar, al ristorante, in stazione, …), come nei metodi precedenti, si trasforma in situazione verbale (chiedere per sapere / per avere, chiedere scusa / permesso, domandare un’informazione, un consiglio, …). Si introduce così il concetto di funzione comunicativa, che diventa prioritario rispetto a quello di categoria linguistica.

    49

  • 10.4.2.2 Il “metodo” nozionale-funzionale Il metodo nozionale-funzionale, presentato da Wilkins al congresso dell’AILA del 1972 a Copenhagen, supera il concetto di categoria linguistica dei metodi precedenti, introducendo quello di categoria concettuale (notion in inglese), a cui lega quello di funzione comunicativa. Le microfunzioni della didattica, che scaturiscono dalle macrofunzioni della lingua, sono essenzialmente quelle dell’io, del tu e dell’esso (rispettivamente, emotiva/espressiva, conativa e referenziale nella terminologia di Jakobson). Altro elemento fondamentale sul quale il metodo si fonda è il concetto di “bisogno comunicativo”: l’input dell’insegnante deve rispondere ai bisogni reali degli allievi, attraverso la presentazione di atti comunicativi concreti.

    50

  • 10.4.2.2.1 Le proposte europee Negli anni settanta gli esperti della cooperazione culturale del Consiglio d’Europa, coordinati dal prof. Van Ek, delineano un progetto di apprendimento delle lingue, costituito da sei livelli crescenti di competenza, in cui il terzo, il Livello Soglia, corrisponde alla minima competenza necessaria per “sopravvivere” con la L2, mentre il sesto fa intravedere un ultimo settimo livello, che corrisponderebbe al bilinguismo assoluto. I Livelli Soglia prodotti dal 1973 in avanti sono raccolte di materiali empirici che rispondono alle microfunzioni comunicative e alle micronozioni linguistiche inventariate sulla base dei bisogni di alcune categorie di utenti, fra cui studenti universitari e adulti lavoratori migranti. Nel decennio 1990-2000 vengono dati alle stampe gli studi relativi al Quadro comune europeo di riferimento, rispondente all’esigenza, emersa in quegli anni, di omologare i livelli di apprendimento delle lingue a livello europeo e di unificare, nel limite del possibile, i metodi di insegnamento e i processi di apprendimento. Un capitolo del Quadro è specificamente dedicato ai livelli di competenza, che si suddividono in tre grandi aree, ognuna a sua volta costituita da due sotto-livelli (modulo 9): A) Elementare

    A1) Contatto A2) Sopravvivenza

    B) Intermedio

    B1) Soglia B2) Progresso

    C) Avanzato

    C1) Efficacia C2) Padronanza

    51

  • 10.4.3 Approccio Umanistico-Affettivo L’approccio umanistico-affettivo nasce e si sviluppa grazie all’influenza dell’umanesimo psicologico e di studiosi, soprattutto statunitensi (Allport, Maslow), che, riprendendo un aspetto già fondamentale per gli approcci comunicativi, hanno messo in luce ulteriormente la centralità dell’allievo nell’attività didattica, fondandola sull’interrelazione, dinamica e biunivoca, tra l’io e il mondo. Dai punti di vista neurolinguistico, psicolinguistico e cognitivo, tali approcci si caratterizzano per la volontà di coinvolgere la persona dell’allievo nella sua completezza, chiamando in causa, accanto all’aspetto razionale, anche quello motivazionale, quello legato alle caratteristiche individuali di ognuno e, soprattutto, la componente affettiva. Gli approcci didattici che si possono definire umanistico-affettivi sono particolarmente attenti alla nozione di filtro affettivo, un meccanismo di difesa della personalità che, in momenti di ansia o di particolare insicurezza, si “chiude” e impedisce all’input di diventare intake. Fra gli approcci più noti ricordiamo l’approccio della Risposta fisica totale o T.P.R. (10.4.3.1), il Community Language Learning (10.4.3.2), l’approccio naturale o Natural Approach (10.4.3.3), la suggestopedia o ipnopedia (10.4.3.4), il metodo silenzioso o Silent Way (10.4.3.5), l’interazione strategica (10.4.3.6) e il Project work (10.4.3.7).

    52

  • 10.4.3.1 Risposta fisica totale (T.P.R.) Questo approccio, messo a punto negli anni settanta dallo studioso americano Robert Asher, è caratterizzato, come sottolinea il nome stesso, dalla “reazione fisica totale”, ossia dal coinvolgimento totale, psichico e fisico, del discente nell’atto dell’apprendimento e si rifà ad alcuni metodi “diretti” per l’enfasi sulle esperienze ricettive: l’allievo è posto al centro del processo di apprendimento, viene motivato, protetto dagli insuccessi, guidato verso l’autorealizzazione. La lingua viene collegata con il movimento, le azioni e la fisicità degli studenti. L’insegnante offre stimoli verbali e non-verbali, la cui acquisizione, concepita come un processo lento e personalizzato, avviene in un ambiente particolarmente attento a minimizzare situazioni ed esperienze frustranti o ansiogene. La progressione procede da semplici ordini (“apri la porta”) a sequenze di comportamenti diversi. L’approccio si fonda, dunque, sul principio dell’accoppiamento parola-azione, sia per produrre un coinvolgimento totale dei mezzi espressivi dell’allievo (linguaggio verbale e non verbale), sia per permettere la cosiddetta delayed oral practice. Tale approccio risulta particolarmente efficace per l’insegnamento precoce delle lingue straniere, anche grazie alla sua forte componente ludica (Mastromarco c.d.s.). Praticabile in aule di lingue possibilmente poco numerose, la T.P.R. ha tuttavia un limite abbastanza notevole: l’uso insistito del modo imperativo può risultare infatti troppo ripetitivo e sfociare, di conseguenza, nella monotonia e nella perdita dell’attenzione da parte degli studenti.

    53

  • 10.4.3.2 Community Language Learning / Community Counseling Questo approccio, messo a punto alla fine degli anni Settanta da Curran, psicologo gesuita americano, si fonda sulla psicologia di Rogers e traspone in didattica i modelli della seduta psicoterapeutica a gruppi. L’insegnante svolge il ruolo di “consigliere”, che aiuta, consiglia e cerca di individuare lo stile apprenditivo degli allievi, pur rimanendo fuori dal lavoro di apprendimento, che avviene prevalentemente in gruppo e in modo autodiretto. Il discente è infatti considerato un “cliente”, al quale l’insegnante fornisce risposte e sicurezza nei momenti di difficoltà (Cantoni 2003).

    54

  • 10.4.3.3 Natural Approach Malgrado talvolta si parli di metodo naturale, si tratta in realtà di un approccio (10.1.2.), basato sull’assunto per cui una lingua seconda o straniera può essere appresa seguendo lo stesso itinerario che si è percorso per l’acquisizione della lingua materna. Proposto da Terrel e Krashen, è imperniato, dal punto di vista psicologico, sul modello teorico di quest’ultimo autore: il modello del monitor. Come gli altri approcci umanistico-affettivi, l’approccio naturale attribuisce un ruolo fondamentale all’abilità di comprensione orale, rinviando la produzione fino al momento in cui il discente non si senta capace e sicuro di sé. Fra i criteri fondativi di tale approccio ricordiamo:

    a) la lingua straniera viene utilizzata, inizialmente, solo dall’insegnante, il quale permette al discente l’utilizzo della lingua materna finché egli non si ritenga sufficientemente pronto per fornire output in lingua straniera;

    b) i sussidi utilizzati per presentare vocaboli e strutture della lingua straniera sono molteplici e hanno lo scopo di facilitare lo sviluppo naturale della competenza comunicativa a livello inconscio;

    c) spiegazioni grammaticali ed esercizi strutturali alla maniera cognitiva hanno luogo solo dopo la lezione; in classe, non appena l’apprendente è in grado di utilizzare la lingua studiata senza blocchi ed inibizioni, si svolgono prevalentemente attività comunicative, con una forte attenzione alla dimensione fonologica.

    Il punto debole di questo approccio consiste, secondo lo stesso Krashen, nella difficoltà di adattarlo all’insegnamento in classe dove, spesso, la necessità di raggiungere obiettivi programmatici e la compresenza di individui dai diversi stili cognitivi rendono praticamente impossibile l’individualizzazione dell’insegnamento.

    55

  • 10.4.3.4 Suggestopedia / Ipnopedia Questo approccio, messo a punto dallo psicanalista bulgaro Lozanov negli anni sessanta, si fonda sul principio psicologico del “suggerimento”, che l’insegnante effettua al gruppo di studenti, lasciando che essi stessi dettino il ritmo dell’apprendimento. Lozanov prende spunto dalla psicologia clinica per accelerare e migliorare il processo di apprendimento di una lingua straniera, ponendosi l’obiettivo di creare un rapporto interpersonale positivo tra insegnante e allievo. In che modo?

    a) creando innanzitutto un ambiente sereno e stimolante, in cui si chiede all’adulto di “tornar bambino”, cambiando nome e fingendo di essere sicuro delle proprie capacità e di possedere un’intelligenza superiore alla norma;

    b) successivamente si impartisce un insegnamento abbastanza “tradizionale”, attraverso spiegazioni della grammatica e del lessico ed esercitazioni di ciò che si è appreso in precedenza, basate sulla conversazione, sui giochi, e sugli esercizi strutturali;

    c) la lezione termina, infine, con una séance di circa un’ora tenuta in piccoli “salotti” con poltrone comode e musica barocca dove, mentre i discenti fanno esercizi di respirazione yoga, l’insegnante presenta nuove strutture e nuovi vocaboli leggendo in lingua straniera, spiegando in lingua italiana e utilizzando toni di voce particolarmente suggestivi.

    56

  • 10.4.3.5 The Silent Way Messo a punto dallo studioso elvetico-americano Gattegno negli anni Settanta, questo approccio si fonda sul principio del silenzio da parte dell’insegnante, il quale deve limitarsi a fornire input (o a gestire la macchina che lo fornisce: registratore, video, ecc.) e a dare istruzioni, correggendo gli errori con gesti convenzionali piuttosto che con parole, e lasciando, dunque, che siano gli allievi a scoprire ed esercitare i meccanismi della lingua. Con questo approccio Gattegno porta alla massima potenza la concentrazione dell’attenzione sul discente. La silenziosa presenza dell’insegnante, che si limita a fornire i modelli della lingua e a correggere solamente attraverso lievi cenni delle dita (finger correction), è infatti finalizzata a creare un ambiente non competitivo, a minimizzare l’ansia dello studente, a farlo riflettere su quanto ha appreso e a favorire il suo intervento nell’aiuto e nella collaborazione dei compagni, per poter sviluppare, accanto all’apprendimento di una lingua straniera, anche e soprattutto la consapevolezza del proprio io.

    57

  • 10.4.3.6 Interazione strategica Tale approccio è stato teorizzato da Robert Di Pietro agli inizi degli anni ottanta e si fonda su di una particolare concezione della comunicazione verbale, che non può essere mai neutra, poiché le parole dei parlanti sono sempre strategicamente e tatticamente connotate. L’interazione, infatti, non può essere considerata un semplice scambio di informazioni, in quanto rimanda alla realizzazione di specifici obiettivi tramite negoziazioni e strategie comunicative diverse. Da ciò deriva la scelta del nome “interazione strategica”: interazione perché l’insegnamento avviene in particolari contesti, chiamati sceneggiature, le quali implicano l’interazione fra più persone; “strategica” perché tale interazione ha l’obiettivo di far risolvere una situazione difficile utilizzando in modo strategico la L2. Poiché la comunicazione è orientata al raggiungimento di un obiettivo e la lingua è lo strumento utilizzato per raggiungerlo, anche in classe è necessario, secondo Di Pietro, riproporre la complessità dello scambio comunicativo reale.

    58

  • 10.4.3.7 Project work Il Project work può essere considerato uno sviluppo degli approcci comunicativi poiché condivide con essi molti principi generali, fra cui la considerazione della lingua come sistema dinamico e risultato di un’interazione, la considerazione dell’apprendimento linguistico come processo di “negoziazione” di un significato in un contesto socioculturale, la prevalenza del contenuto sulla forma, del processo sul prodotto, dell’uso e dei bisogni linguistici sulla norma. Aspetto peculiare di questo approccio è un insegnamento linguistico basato sull’interazione fra la lingua stessa e il mondo reale:

    “il project work […] cerca di finalizzare lo studio della lingua al compimento di un progetto. Un progetto è quindi un programma di studio nel quale la L2 è un mezzo per portare avanti un compito ben definito e non un oggetto di studio in sé” (Ridarelli, 1998:173).

    Alla base di questo progetto vi è il concetto di learning by doing, noto alla didattica linguistica da molti anni, ma sviluppatosi metodologicamente solo negli anni ottanta. Fra le proposte e le sperimentazioni più note del project work, degno di nota è il Bangalore Project. L’efficacia di questi approcci, basati sulla realizzazione di precisi compiti, è per ora stata dimostrata per applicazioni a lungo termine e necessita dunque di ulteriori sperimentazioni.

    59

  • 10.5 La panacea: l’approccio integrato? Le proposte metodologiche per l’insegnamento linguistico susseguitesi negli ultimi cinquant’anni, prendendo spunto da specifiche e sempre diverse basi teoriche, hanno presentato di volta in volta innovazioni più o meno radicali nei confronti delle proposte precedenti (10.4). La principale debolezza dei singoli approcci consiste nel fatto che molti di essi non considerano la pluralità degli aspetti che caratterizzano il processo di apprendimento di una lingua straniera, ma ne forniscono molteplici visioni unilaterali. Dal punto di vista psicolinguistico, per esempio, si può affermare che, se gli approcci e i metodi cosiddetti deduttivi tendono a sviluppare nell’apprendente i meccanismi cognitivi necessari per il controllo linguistico, quelli induttivi mirano, al contrario, all’apprendimento automatico delle strutture indispensabili per realizzare una comunicazione, mentre quelli funzionali forniscono una conoscenza “pragmatica” della lingua straniera e quelli affettivi sviluppano molto lentamente le abilità grammaticali e comunicative, essendo infatti prevalentemente interessati a minimizzare l’ansia e le frustrazioni del discente. Anche dal punto di vista neurolinguistico questi metodi tendono ad attivare le funzioni svolte da un solo emisfero cerebrale, in contrapposizione ai concetti di cooperazione e di bimodalità emisferica (Danesi 1988). Tali affermazioni, da un lato, confermano il superamento del concetto di metodo in quanto “pacchetto” di regole e di indicazioni da seguire rigidamente, in favore del concetto, più ampio e generale, di approccio (10.1.2) e, dall’altro, introducono una proposta metodologica globale e completa, l’approccio integrato, in cui gli elementi costitutivi di ogni singolo metodo o approccio “tradizionale”, rivelatisi efficaci dal punto di vista didattico, non vengono abbandonati, bensì selezionati ed integrati organicamente, in modo da poter rispondere alle esigenze e alle caratteristiche più diverse determinanti il processo di apprendimento di una lingua straniera. Quest’ultimo, secondo Danesi, è infatti caratterizzato dalla somma delle singole componenti “parziali” sulle quali si fondano i diversi metodi: “la componente cognitiva (come nei metodi deduttivi), la componente comportamentistica (come nei metodi induttivi), quella interattiva (come nei metodi funzionali) e quella affettiva (come nei metodi affettivi)” (Danesi 1988: 34). Così come dal punto di vista psicolinguistico l’approccio integrato coinvolge gli spunti teorici degli approcci e dei metodi più diversi, anche da quello neurolinguistico esso tiene in considerazione la totalità delle modalità emisferiche, proponendo una didattica imperniata sui principi minimi della bimodalità: la direzionalità, la formalizzazione e l’affettività. L’approccio integrato costituisce quindi il punto di arrivo delle diverse ricerche teoriche e sperimentali nel campo della glottodidattica e fornisce quelle indicazioni metodologiche oggi indispensabili per costruire interventi didattici il più possibile completi, aperti e attenti ai bisogni dei discenti.

    60

  • Fra i modelli didattici che per le loro caratteristiche possono essere considerati forme particolari di approccio integrato ricordiamo il modello integrato di Allen, l’unità didattica di Freddi e il modello olodinamico di Titone.

    61

  • 10.6 Sintesi conclusiva

    Dopo aver navigato, in questo modulo, alla scoperta delle principali caratteristiche dell’evoluzione metodologica, è possibile sintetizzare come segue i tratti salienti del nostro percorso. Dal punto di vista metodologico è oggi possibile riconoscere alcune certezze:

    a) innanzitutto il superamento della nozione di metodo e la conseguente limitatezza di una didattica fondata su questo concetto;

    b) in secondo luogo la coessenzialità delle sfere pedagogica, psicologica e linguistica, nonché dei livelli tattico, strategico ed egodinamico e della bimodalità neurologica: elementi che, insieme, caratterizzano la globalità del processo di acquisizione/apprendimento di una lingua straniera;

    c) infine la centralità dell’allievo e delle sue esigenze linguistiche e psicopedagogiche.

    Alcuni autori riconoscono attualmente i seguenti punti fermi:

    “a) l’obiettivo strumentale primario è la competenza comunicativa, che ingloba e supera la competenza linguistica integrandola con i dati offerti dalla psico- e socio-linguistica e dalla pragmatica […];

    b) le abilità integrate assumono un ruolo centrale come punto di raccordo e di impiego realistico delle abilità di base;

    c) il ricorso alla gamma più ampia possibile di tecniche didattiche consente di rispettare e favorire i diversi stili di apprendimento degli allievi;

    d) premessa essenziale è la presenza di un buon livello di motivazione e di un filtro affettivo basso, come esiti di una didassi costantemente attenta al livello ego-dinamico;

    e) la strada maestra procede dalla ‘modalità destra’ […] alla ‘modalità sinistra’ […];

    f) il richiamo alle intenzioni comunicative e alle nozioni semantiche […] permette di partire dalla lingua in atto senza cadere negli inconvenienti dello spontaneismo velleitario;

    g) [l’importanza del] riferimento operativo all’unità didattica […]; h) il richiamo al valore del nesso lingua-civiltà e a tutte le implicazioni che ne

    derivano, come la tensione verso le ‘lingue per costruire la pace’ […]” (Porcelli 1994:251-252).

    L’approccio integrato, coordinando vecchie e nuove suggestioni metodologiche e didattiche ed essendo aperto alle evoluzioni apportate dalle ricerche teoriche e sperimentali, risponde alle caratteristiche appena esposte e costituisce a tutt’oggi la migliore modalità di insegnamento delle lingue straniere in normali contesti scolastici. Con esso è possibile infatti trasformare l’aula in un ambiente multidimensionale, multisensoriale e multimediale, dove il rapporto educativo è anche rapporto umano e dove il discente, fulcro dell’attenzione dell’insegnante,

    62

  • mantiene aperta la mente ad adattamenti e contributi sempre nuovi, provenienti dagli ambiti più diversi della teoria e dell’esperienza. Il ruolo dell’insegnante in questa nuova concezione metodologica si è dunque modificato: l’insegnante non è più detentore di un sapere che elargisce frontalmente, ma è facilitatore di apprendimento, mediatore di conoscenze, tutore, ecc.

    63

  • 10.6.1 Dal non-metodo al metodo, all’approccio, alle ipotesi Questo paragrafo conclude e completa la sintesi presentata in 10.6, annunciando il punto di arrivo di un’evoluzione teorico-metodologica finora, a nostro avviso, solo parziale. Nel presente modulo è stato possibile navigare alla scoperta di approcci e metodi molto diversi, alcuni molto noti, altri meno, alcuni senza basi scientifiche, altri quasi deterministici … Tale percorso, dal punto di vista cronologico, ha messo in evidenza il passaggio da un’era pre-scientifica, in cui vigeva il “non metodo”, a un’era scientifica, in cui al metodo, modello operativo “assoluto”, si è sostituito l’approccio, modello operativo più ampio, meno rigido e per questo più aperto alla molteplicità delle variabili intrinseche all’atto didattico. Il diversificarsi e il proliferare, attualmente, di tali variabili (si pensi agli innumerevoli tipi di oggetti, di soggetti, di agenti, nonché di contesti di apprendimento, soprattutto per quanto riguarda l’italiano L2), insieme all’affermarsi di nuovi e numerosi studi circa i processi di acquisizione/apprendimento e, di converso, di insegnamento (modulo 6), ci fanno intravvedere un gradino ulteriore fra il livello degli approcci e quello, esterno alla disciplina, delle teorie (10.1.1): il livello delle ipotesi.

    64

    TEORIE

    APPROCCIO

    METODO

    TECNICHE &

    MATERIALI

    IPOTESI

  • Si tratta di un livello che va oltre la dimensione globale dell’approccio e che meglio si lega alle diverse teorie di riferimento della glottodidattica e alla sua natura interdisciplinare grazie alla propria essenza poliedrica, indefinita e, soprattutto, sempre aperta a continue sperimentazioni, quindi a continue conferme o smentite.

    65

  • 10.7 Riferimenti bibliografici ASHER J.J., Learning another language through actions: The complete teacher’s

    guidebook, Sky Oaks Productions, Los Gatos, CA, 1977. BALBONI P.E., Didattica dell’italiano a stranieri, Bonacci Editore, Roma, 1994. BALBONI P.E., Approccio alla lingua italiana per allievi stranieri, Theorema libri –

    Petrini, Torino 2000. BALBONI P.E., Le sfide di Babele, Utet, Torino 2002. BECCARIA G.L. (dir.), Dizionario di linguistica, Einaudi, Torino, 1994. BOSISIO C., La “linguistica dell’acquisizione” e la “glottodidattica, “Rassegna

    Italiana di Linguistica applicata”, 1, 2001, pp. 5-17. CAMBIAGHI B., Lezioni di glottodidattica, I.S.U. Università Cattolica, Milano

    2000. CANTONI L., Il Counseling-Learning / Community Language Learning (C-L/CLL) di

    Charles A. Curran nella glottodidattica umanistica, in CURRAN C.A., Il Counseling learning nelle lingue seconde, Guerra Edizioni Perugia, 2003, pp. 7-83.

    CYR P., GERMAIN C., Les stratégies d’apprentissage, Clé International, Paris, 1998. COUNCIL OF EUROPE, Quadro comune europeo di riferimento per le lingue:

    apprendimento, insegnamento, valutazione, La Nuova Italia-Oxford, Firenze 2002.

    CURRAN C.A. (1972), Counseling-learning, in OLLER J.W., RICHARD-AMATO P. (eds.), Methods that work : A smorgasbord of ideas for language teachers, Newbury House Publisher, Cambridge, 1983.

    DABENE M., Quelques étapes dans la construction des modèles, in CHISS J.L., DAVID J., REUTER Y. (a cura di), Didactique du français. Etat d’une discipline, Nathan, Paris, 1995, pp. 11-32.

    DANESI M., Manuale di tecniche per la didattica delle lingue moderne, Armando Editore, Roma, 1988.

    DARDANO M., Il linguaggio dei giornali italiani, Laterza, Roma - Bari 1973. DI PIETRO R.J., Strategic interaction. Learning languages through scenarios,

    Cambridge University Press, New York, 1987. GATTEGNO C., The silent way, in OLLER J.W., RICHARD-AMATO P. (eds.),

    Methods that work : A smorgasbord of ideas for language teachers, Newbury House Publisher, Cambridge, 1983.

    GALAZZI E., L’A.P.I. à ses débuts: alphabet universel et variations, « L’analisi linguistica e letteraria », 1, 1996, pp. 47-63.

    GALIMBERTI U., Dizionario di psicologia, Utet, Torino, 1992. GALLI DE' PARATESI N., Livello soglia per l'insegnamento dell'italiano come

    lingua straniera, Consiglio d'Europa, Strasbourg, 1981 GERMAIN C., Un cadre conceptuel pour la didactique des langues, “Etudes de

    Linguistique Appliquée”, 75, 1989, pp. 61-77. KRASHEN S., The input hypothesis: issues and implications, Longman, London, 1985.

    66

  • KRASHEN S., TERREL T.D., The natural approach. Language acquisition in the classroom, ELT, Phoenix, 1983. LAGADER E., BETTI A., Leggere il giornale. Metodologia e didattica, La Scuola,

    Brescia 1989. LAMBERT M., Les profils d’apprenants comme mode de description et

    d’explication à la variabilité des apprentissages en langue étrangère, “Acquisition et Interaction en Langues Etrangères”, 4, 1994, pp. 81-108.

    LOZANOV G., Suggestology and outlines of suggestopedy, Gordon & Breach, New York-London, 1978.

    MASTROMARCO A. (a cura di), A scuola: giocare, costruire, fare per … imparare, Comune di Firenze, Firenze, in corso di stampa.

    PICHIASSI M., Fondamenti di glottodidattica, Guerra Edizioni, Perugia 1999. POCHARD J.-Ch. (éd.), Profils d’apprenants. Actes du IX colloque international

    “Acquisition d’une langue étrangère: perspectives et recherches”, Saint-Étienne, mai 1993, Publications de l’Université de Saint-Étienne, Saint-Étienne, 1994.

    PORCELLI G., Principi di glottodidattica, Editrice la Scuola, Brescia, 1994. PY B., L’apprenant et son territoire: système, norme et tâche, “Acquisition et

    Interaction en Langues Etrangères”, 2, 1993, pp. 9-24. SERRA BORNETO C., Introduzione, in Id. (a cura di), C’era una volta il metodo.

    Tendenze attuali nella didattica delle lingue straniere, Carrocci Editore, Roma, 1998, pp. 17-39.

    RIDARELLI G., Project work, in SERRA BORNETO C. (a cura di), C’era una volta il metodo, Carocci, Roma, 1998, pp. 173-187. TITONE R., Il modello olodinamico come ipotesi integrata nell’apprendimento

    educativo, R. TITONE R., Modelli psicopedagogici dell’apprendimento, Armando Editore, Roma, 1976.

    TITONE R., Cinque millenni di insegnamento delle lingue, La Scuola, Brescia 1986. TROCME-FABRE H., J’apprends, donc je suis, Les Editions d’Organisation, Paris,

    1994.

    67

  • 10.8 Attività Si consiglia di effettuare tali attività dopo avere letto i rispettivi capitoli di riferimento, al fine di verificare l’acquisizione dei contenuti fondamentali e, in alcuni casi, di metterli in pratica.

    68

  • 10.8.1 Attività relative ai capitoli 10.1 e 10.2: Domande di sintesi A) Che ruolo hanno e quali sono le teorie di riferimento per la glottodidattica? B) Cosa si intende per “educazione linguistica”? C) Approccio – metodo – tecnica: che rapporti intercorrono tra queste tre

    dimensioni? D) Quali sono i criteri utili per tracciare un percorso che definisca l’evoluzione

    degli approcci e dei metodi glottodidattici?

    69

  • 10.8.2 Attività relative ai capitoli 10.3 e 10.4: Dai testi, agli approcci, ai metodi A) Dopo avere letto gli estratti seguenti, individuate, se possibile, ai principi di

    quali approcci e/o metodi della glottodidattica a base scientifica possono ricondurre le idee e le proposte degli autori considerati.

    Estratto n° 1: Roger Ascham Estratto n° 2: Michel de Montaigne Estratto n° 3: Claude de Sainliens Estratto n° 4: Comenio Estratto n° 5: Abbé Pluche Estratto n° 6: François Gouin Estratto n° 7: Wilhelm Viëtor Estratto n° 8: Maximilian Berlitz Estratto n° 9: Otto Jespersen Estratto n° 10: Harold Palmer

    70

  • B) Analisi delle introduzioni di manuali di italiano L2: leggete le introduzioni di almeno cinque manuali di italiano L2 (pubblicati possibilmente in date diverse, recenti e non). Per ogni manuale completate la scheda seguente.

    Autore/i: Titolo: Data di edizione: Casa editrice: ____________________________________________________________________ Analisi dell’introduzione a) Riferimenti a teorie linguistiche: b) Riferimenti ad approcci o metodi glottodidattici: c) Consigli per l’uso: d) Altre osservazioni:

    71

  • C) Nella tabella seguente (tratta da Andorno, Ribotta 1999: 31), sono indicati gli schemi di lezione sul passato prossimo di due manuali di italiano per stranieri. Che tipo di approccio seguono i due manuali?

    Italiano Italiano* La lingua italiana per stranieri*

    R: Participi regolari R: Participi irregolari R: Transitivo/intransitivo E: Riconoscere verbi transitivi e intransitivi R: Paradigma completo del passato prossimo R: Ausiliare di verbi transitivi e intransitivi R: Accordo del participio R: Ausiliare con verbi servili R: Verbi con due ausiliari R: Forma negativa E: Accordare il participio E: Inserire una forma di passato prossimo

    T: Breve testo al passato prossimo E: Rispondere a domande poste al passato prossimo R: Participi regolari E: Formare participi regolari R: Transitivo/intransitivo R: Ausiliare di verbi transitivi e intransitivi R: Accordo del participio E: Inserire una forma di passato prossimo R: Paradigma completo del passato prossimo R: Participi irregolari

    * Con “T” si intende la presentazione di un testo o di un dialogo; con “R” l’esposizione esplicita di una regola; con “E” uno o più esercizi. Deduttivo Induttivo Italiano Italiano La lingua italiana per stranieri

    [I manuali citati sono: Bosc F., Peyronel S., Prevosto S, Italiano italiano 1, Cooperativa di cultura Lorenzo Milani, Torino, 1976; Katerinov K., Boriosi M.C., La lingua italiana per stranieri. Corso elementare ed intermedio, Guerra, Perugia, 1976].

    72

  • D) Osservazione degli indici: osservate gli indici di almeno cinque manuali di italiano L2 (pubblicati possibilmente in date diverse, recenti e non). La progressione e la tipologia degli argomenti suggeriscono un’impostazione tipica di approcci e/o metodi particolari?

    Manuali Titolo Progressione e tipologia degli argomenti:

    osservazioni particolari Approccio o metodo

    di riferimento

    1

    2

    3

    4

    5

    73

  • E) Sulla base dei punti seguenti (adattati da Andorno, Ribotta 1999), individuate le caratteristiche di un metodo diretto e di un metodo strutturale

    Metodo diretto Tipo di lingua utilizzato: □ scritta □ orale Abilità esercitate: □ comprensione orale □ produzione orale □ comprensione scritta □ produzione scritta Tipo di produzione: □ libera □ guidata Spiegazioni grammaticali: __________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ Particolarità: _____________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ Metodo strutturale Tipo di lingua utilizzato: □ scritta □ orale Abilità esercitate: □ comprensione orale □ produzione orale □ comprensione scritta □ produzione scritta Tipo di produzione: □ libera □ guidata Spiegazioni grammaticali: __________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ Particolarità: _____________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ F) Quali caratteristiche dovrebbe avere un manuale (tipo e progressione degli

    argomenti, tipo di esercizi, ecc.) perché possa riferirsi all’approccio comunicativo?

    G) Considerate le indicazioni degli approcci umanistico-affettivi. In che modo

    possono essere utili all’organizzazione della vostra attività didattica?

    74

  • 10.8.3 Attività relative ai capitoli 10.5 e 10.6: Dalla teoria alla pratica didattica: riflessioni

    A) Alla luce delle attuali indicazioni del Consiglio d’Europa (10.4.2.2.1; modulo

    9), in che modo pensate possa essere utile ai vostri studenti di italiano L2 la possibilità di certificare le loro competenze?

    B) Sulla base dei contenuti affrontati in questo modulo, a quale approccio vi siete

    ispirati finora? Pensate di modificare il vostro stile di insegnamento? Se sì, come e in funzione di quale approccio?

    C) Impostate un’attività, a vostra scelta, seguendo i principi dell’approccio

    integrato. Ricordate di esplicitare destinatari, prerequisiti, obiettivi, tempi, spazi, nonché criteri e modalità di valutazione.

    D) Forniamo, di seguito, una griglia utile per analizzare i manuali di italiano L2.

    Analizzatene tre, a volta scelta, e considerate infine quale risponde meglio al vostro tipo di approccio e ai bisogni dei vostri studenti.

    75

  • 10.8.4 Chiavi 10.8.1 Le risposte alle domande A), B), C) e D) sono da ricercare nei contenuti affrontati nei capitoli 10.1 e 10.2. 10.8.2 A) Con questa attività si è voluto dare all’insegnante l’opportunità di riflettere su

    alcuni testi dei precursori della glottodidattica, i cui lavori, riletti alla luce delle attuali conoscenze, permettono di apprezzare meglio certe intuizioni, che risultano innovative e quasi rivoluzionarie anche dopo centinaia di anni. Non vi sono, dunque, interpretazioni univoche per questi testi, che del resto andrebbero considerati nella loro interezza. Le indicazioni fornite di seguito sono quindi da considerare semplici e incompleti suggerimenti interpretativi, da ampliare e approfondire analizzando i brani proposti e discutendo con i colleghi.

    Estratto n° 1: Roger Ascham Si possono riconoscere tratti dell’approccio pre-scientifico formalistico (o della grammatica-traduzione). Estratto n° 2: Michel de Montaigne Si possono riconoscere tratti dei metodi diretti, ma anche di una sorta di Natural Approach ante litteram. Estratto n° 3: Claude de Sainliens Si possono riconoscere tratti degli approcci umanistico-affettivi, in particolare dell’ipnopedia. Estratto n° 4: Comenio Accanto alla centralità dei bisogni e della pratica linguistica, si possono riconoscere tratti dell’approccio contrastivo, così come di una sorta di approccio “proto-comunicativo”. Estratto n° 5: Abbé Pluche Si possono riconoscere tratti dei metodi diretti, ma anche di una sorta di approccio comunicativo. Estratto n° 6: François Gouin Si possono riconoscere tratti di approcci diversi, dai principi del metodo audio-orale, alle caratteristiche del metodo situazionale, alle tecniche della T.P.R.

    76

  • Estratto n° 7: Wilhelm Viëtor Si possono riconoscere tratti dei metodi audio-orali. Estratto n° 8: Maximilian Berlitz Si tratta dell’esempio più classico di metodo diretto, dalla cui descrizione, tuttavia, sembrano emergere germogli di un approccio comunicativo. Estratto n° 9: Otto Jespersen Si possono riconoscere tratti dei metodi diretti, ma anche dell’approccio comunicativo. Estratto n° 10: Harold Palmer Sembrano emergere tratti dell’approccio integrato. B) Risposte aperte (le risposte variano a seconda dei manuali di italiano L2

    considerati). C)

    Deduttivo Induttivo Italiano Italiano X La lingua italiana per stranieri

    X (anche se parzialmente)

    D) Risposte aperte (le risposte variano a seconda dei manuali di italiano L2

    considerati). E) Metodo diretto Tipo di lingua utilizzato: □ scritta □ orale Abilità esercitate: □ comprensione orale □ produzione orale □ comprensione scritta □ produzione scritta Tipo di produzione: □ libera □ guidata Spiegazioni grammaticali: ___assenti o molto ridotte_____________________________________ Particolarità: __si oppone all’approccio grammaticale; necessità di insegnare la lingua all’adulto come la madre la insegna al bambino; vi sono diversi “metodi diretti” (cfr. cap. 10.3.4)._________

    77

  • Metodo strutturale Tipo di lingua utilizzato: □ scritta □ orale Abilità esercitate: □ comprensione orale □ produzione orale □ comprensione scritta □ produzione scritta (trascrizione dell’orale) Tipo di produzione: □ libera □ guidata Spiegazioni grammaticali: ________prevalentemente assenti: la grammatica si acquisisce meccanicamente e automaticamente attraverso esercizi di ripetizione, sostituzione, trasformazione Particolarità: _____centralità della frase sul testo; psicologia comportamentista; metodi audio-orali e S.G.A.V. (cfr. cap. 10.4.1).________________________________________________________ F) Per la risposta si consideri il contenuto del capitolo 10.4 e se ne discuta con i

    colleghi. G) Risposta aperta. 10.8.3 Le risposte alle domande A), B), C) e D) sono aperte. Tali domande hanno l’obiettivo di far riflettere l’insegnante sul proprio operato e di mettere in comune le proprie esperienze con quelle di altri colleghi.

    78

  • La glottodidattica La glottodidattica, scienza interdisciplinare, può essere rappresentata come un “fiore a quattro petali” (Balboni, 2000):

    Scienze della cultura e

    della società

    Scienze psicologiche

    Scienze dell’educazione

    Scienze del linguaggio e

    della comunicazione

    Glottodidattica

    Torna al paragrafo 10.1.1

    79

  • Educazione linguistica Per cogliere le finalità dell’educazione linguistica riportiamo di seguito la definizione fornita dal Dizionario di glottodidattica (Balboni, 1999: s.v. “educazione linguistica”): “Con educazione linguistica si intende un processo unitario che si realizza attraverso l’insegnamento/apprendimento della:

    a) lingua materna, che nella tradizione viene identificata con la lingua nazionale o con una lingua ufficiale; in realtà ci sono molte lingue materne che non vengono insegnate, pur essendo le lingue in cui una persona pensa;

    b) lingua seconda cioè la lingua non-materna nelle aree bilingui; c) lingue straniere; d) lingue classiche, nei tipi di scuola in cui si insegnano il latino e/o il greco

    antico; e) lingue etniche, cioè le lingue dei gruppi di immigrati.

    Il concetto di educazione linguistica comporta che gli insegnanti impegnati nell’insegnamento linguistico devono procedere unitariamente e concordare sull’idea di lingua come forma o azione sociale, come norma o uso; sulla terminologia da usare; sullo sviluppo delle abilità; sul lavoro sui generi testuali; sul processo di analisi linguistica.

    La filosofia di fondo dell’integrazione delle varie lingue in un unico concetto di educazione linguistica (e, in parallelo, di educazione e letteraria e microlinguistica) consiste nello spostamento del fuoco d’interesse dalla lingua come prodotto alla lingua come processo comunicativo, espressivo e cognitivo insieme. Lo sviluppo dei processi, quindi, e non solo la realizzazione di prodotti (testi) è l’obiettivo dell’educazione linguistica, che si concretizza nelle tre mete educative generali di ogni processo formativo: la culturizzazione, la socializzazione e l’autopromozione del soggetto”.

    Torna al paragrafo 10.1.2

    80

  • Mete e obiettivi glottodidattici “Le mete sono le finalità ultime dell’educazione, mentre gli obiettivi lo sono dell’istruzione […]. Le mete rappresentano dei processi che si realizzano nel lungo periodo e non sono verificabili in maniera diretta. Le mete dell’educazione generale, di cui l’educazione linguistica fa parte, sono la culturizzazione, la socializzazione e l’autopromozione. Specifiche dell’educazione linguistica sono invece le mete glottodidattiche” (Cfr. Balboni 1999: s.v. “mete educative”). “Alcuni studiosi distinguono tra mete educative generali, che devono essere perseguite anche dall’educazione linguistica, e mete glottodidattiche che sono invece specifiche dell’educazione linguistica. Le mete glottodidattiche sono: lo sviluppo delle abilità linguistiche; il rafforzamento (in lingua materna) o lo sviluppo (nelle altre lingue) delle competenza socio-pragmatica o funzionale; il rafforzamento o lo sviluppo delle grammatiche” (Cfr. Balboni 1999: s.v. “mete glottodidattiche”). Con il termine obiettivo, invece, spesso ma non necessariamente accompagnato all’aggettivo didattico, si indica “lo scopo di un preciso atto di istruzione […], quale una lezione, un’unità didattica. Gli obiettivi sono elencabili nei curricoli e sono direttamente verificabili con operazioni di verifica, a differenza di quanto avviene per le mete educative” (Cfr. Balboni 1999: s.v. “obiettivo (didattico)”).

    Torna al paragrafo 10.1.2

    81

  • Didassi Il termine “didassi”, in glottodidattica, rimanda alla concreta pratica didattica in classe, che si contrappone alla semplice “didattica”, termine con il quale si richiamano i principi generali seguiti per realizzare la “prassi quotidiana”.

    Torna al paragrafo 10.1.4

    82

  • I fattori dell’atto didattico: dal triangolo alla costellazione Lingua straniera, insegnante (e insegnamento) e apprendente (quindi apprendimento/ acquisizione) sono le componenti principali dell’atto didattico e costituiscono i tre grandi poli del cosiddetto “triangolo didattico”. L’interrelazione fra i tre fattori determina, come è noto, la creazione di diversi modelli didattici che, in base ai suggerimenti forniti dalle diverse teorie linguistiche e psicologiche dominanti, possono essere così esemplificati:

    1) secondo il modello più antico, detto “maieutico” o “socratico”, l’allievo, alla ricerca di competenze, si rivolge al maestro poiché egli “possiede ciò che per l’allievo è l’obiettivo” (Balboni, 1994:61); il modello didattico che ne risulta vige oggi in rare situazioni in cui maestro ed allievi condividono sia le ore di lavoro e di studio, sia quelle di svago e rimanda, per alcuni aspetti, alla tradizione aristocratica delle balie straniere che guidano il bambino all’acquisizione di una seconda lingua fin dalla prima infanzia (fig. 1);

    ALLIEVO

    INSEGNANTE OGGETTO

    fig.1 2) il modello più diffuso, soprattutto negli anni cinquanta e sessanta, è quello

    definito “della lezione”, dove all’obiettivo (o meglio al prodotto dell’apprendimento) viene attribuito il ruolo centrale, e dove l’insegnante costituisce l’unico ed incontestabile strumento che permette la trasmissione diretta e frontale dell’obiettivo all’allievo (fig. 2); il modello così ottenuto è “monodirezionale ed imperniato sul docente” (Balboni, 1994:62);

    ALLIEVO

    INSEGNANTE OGGETTO

    fig. 2

    3) il modello che meglio esemplifica le attuali tendenze didattiche, conformemente alle più recenti teorie psicolinguistiche, deve invece porre al

    83

  • centro dell’attenzione il processo e non il prodotto dell’apprendimento: l’allievo dunque, non più l’insegnante, costituisce il perno dell’atto didattico che, per essere completo, deve tuttavia prendere in considerazione anche l’ambiente nel quale i tre fattori interagiscono (fig. 3);

    AMBIENTE

    ALLIEVO

    INSEGNANTE OGGETTO

    fig. 3

    Tale modello ricorda il modello S.O.M.A. (Sujet, Objet, Milieu, Agent) di Légendre (Germain, 1989), che grazie al quarto fattore, l’ambiente, amplia il tradizionale triangolo preludendo a ciò che alcuni oggi definiscono “costellazione” (Dabène, 1995), termine con il quale si vogliono evidenziare i numerosi e sempre più complessi rapporti che intercorrono tra le diverse componenti dell’atto didattico (fig. 4).

    fig. 4

    LA COSTELLAZIONE DIDATTICA

    C O N T E S T O

    E D U C A T I V O

    C O N T E S T O

    S O C I A L E

    Oggetti d’insegnamento/ apprendimento

    (Lingua, discorso, testo)

    Apprendenti Insegnanti

    Pratiche

    linguistiche

    Rappresentazioni sociali

    Discipline di ricerca

    Materie d’insegnamento

    Torna al paragrafo 10.2

    84

  • Le domande delle “5 Wh-” Con questo appellativo ci si riferisce alle cosiddette “Wh-questions” (Who, What, Where, When, Why, a cui a volte si aggiungono anche Which e How), che rimandano al modello di Lasswell (le cui radici affondano nella retorica classica), adottato da molti manuali di giornalismo come regola per impostare le unità costitutive della notizia. In ambito didattico, e non solo, tali domande vengono spesso riprese per favorire l’approccio sistematico e la comprensione di questioni o temi particolarmente significativi. Per approfondimenti si vedano: Lagader, Betti 1989; Dardano, 1973.

    Torna al paragrafo 10.2

    85

  • Leonard Bloomfield (1887-1949) Bloomfield, linguista americano, fondatore nel 1925 della rivista Language, principale strumento d’espressione della neonata società americana di linguistica, è noto alla glottodidattica soprattutto per essere stato l’ispiratore scientifico e l’animatore dell’A.S.T.P., Army Specialized Training Program (10.4.1) e per avere pubblicato, nel 1942, l’opuscolo Outline Guide for the Practical Study of Foreign languages, che costituisce la base del rinnovamento, nella società del dopoguerra, dell’insegnamento delle lingue straniere. I metodi audio-orali traggono ispirazione dalle sue teorie, in particolare, in prospettiva comportamentista, dalla considerazione dell’apprendimento linguistico come un “iper-apprendimento”, poiché, come Bloomfield stesso affermava nell’Outline Guide, “langage learning is overlearning: anything less is of no use” (10.4.1.1).

    Torna al paragrafo 10.2.1

    86

  • La “protoglottodidattica” Per “protoglottodidattica” si intende il periodo storico antecedente la glottodidattica a base scientifica, i cui esponenti possono essere considerati i precursori degli approcci e dei metodi attuali (cap. 10.3).

    Torna al paragrafo 10.2.1

    87

  • Strutturalismo La linguistica strutturalista, di ispirazione saussuriana in Europa e di ispirazione bloomfieldiana negli Stati Uniti, fiorisce tra il terzo e il sesto decennio del XX secolo e si fon