BOLLETTINO ALPINISTI IV TRIMESTRE TRIDENTINI...

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1 BOLLETTINO SAT SOCIET ALPINISTI TRIDENTINI ANNO LXVIII N. 4 - 2005 IV TRIMESTRE Direttore responsabile Marco Benedetti Coordinatore editoriale Claudio Ambrosi Comitato di redazione Bruno Angelini Giorgio Balducci Franco de Battaglia Franco Gioppi Ugo Merlo Piergiorgio Motter Enzo Zambaldi Sede redazione Biblioteca della montagna-SAT Trento - Via Manci, 57 Tel. 0461.980211 E-mail: [email protected] Direzione Amministrazione: SAT - Trento - Via Manci, 57 Abbonamenti: Annuo Euro 10,50 Un numero Euro 3,00 Rivista trimestrale registrata pres- so la Cancelleria del Tribunale Civile di Trento al n. 38 in data 14 maggio 1954. Stampa: Tipolitografia TEMI, Trento - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n 46) art. 1, com- ma 2, DCB Trento - Taxe perue. In copertina: Burrone di Mezzocorona Foto: Archivio Geom. Emilio Pi- lati Sommario Editoriale 2 111 Congresso SAT. Andare in montagna: unavventura anche spirituale 5 Introduzione del Presidente Centrale SAT 5 Franco Giacomoni Lo spirituale in montagna 7 Franco Camin Per una spiritualit della montagna 13 Piero Rattin Montagne su tela 24 Franco Gioppi Gli orti della Regina, un Museo allaperto 26 Elio Caola La breve estate 27 Matteo Campolongo Il taccuino di Ulisse: rocce darte 31 Michele Azzali e Mirco Elena 28 agosto 1955: tre trentini dispersi sul Rosa 35 Franco Gioppi Val Giumela 38 Commissione Tutela Ambiente Montano Rubriche Alpinismo 46 Alpinismo giovanile 48 Sentieri 51 Dalle Sezioni 52 Lutti 65 Notizie 67 Lettere 73 Libri 75 I Soci della SAT nel 2005 78 PerchL aderire alla SAT? 81

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    BOLLETTINOSAT

    SOCIETÀALPINISTI

    TRIDENTINI

    ANNO LXVIIIN. 4 - 2005

    IV TRIMESTRE

    Direttore responsabileMarco Benedetti

    Coordinatore editorialeClaudio Ambrosi

    Comitato di redazioneBruno AngeliniGiorgio BalducciFranco de BattagliaFranco GioppiUgo MerloPiergiorgio MotterEnzo Zambaldi

    Sede redazioneBiblioteca della montagna-SATTrento - Via Manci, 57Tel. 0461.980211E-mail: [email protected]

    Direzione Amministrazione:SAT - Trento - Via Manci, 57

    Abbonamenti:Annuo Euro 10,50Un numero Euro 3,00Rivista trimestrale registrata pres-so la Cancelleria del TribunaleCivile di Trento al n. 38 in data14 maggio 1954.Stampa: Tipolitografia TEMI,Trento - Poste Italiane s.p.a. -Spedizione in AbbonamentoPostale - D.L. 353/2003 (conv. inL. 27/02/2004 n° 46) art. 1, com-ma 2, DCB Trento - Taxe perçue.

    In copertina:Burrone di MezzocoronaFoto: Archivio Geom. Emilio Pi-lati

    SommarioEditoriale 2

    111° Congresso SAT. Andare in montagna: unavventuraanche spirituale 5

    Introduzione del Presidente Centrale SAT 5Franco Giacomoni

    Lo spirituale in montagna 7Franco Camin

    Per una spiritualità della montagna 13Piero Rattin

    Montagne su tela 24Franco Gioppi

    Gli orti della Regina, un Museo allaperto 26Elio Caola

    La breve estate 27Matteo Campolongo

    Il taccuino di Ulisse: rocce darte 31Michele Azzali e Mirco Elena

    28 agosto 1955: tre trentini dispersi sul Rosa 35Franco Gioppi

    Val Giumela 38Commissione Tutela Ambiente Montano

    RubricheAlpinismo 46Alpinismo giovanile 48Sentieri 51Dalle Sezioni 52Lutti 65Notizie 67Lettere 73Libri 75I Soci della SAT nel 2005 78Perchè aderire alla SAT? 81

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    Nel mese di settembre la SAT, suomalgrado, è stata coinvolta nella pole-mica tra il giornale lAdige e le societàdegli impiantisti Buffaure e Ciampac inrelazione allarticolo Val Jumela 2005pubblicato sul nostro Bollettino n° 3con testo e foto di Cristian Ferrari dellaCommissione Tutela Ambiente Monta-no. Una polemica che la SAT non ha nécercato né voluto.

    Nonostante questo, e considerati gliinterrogativi che la vicenda può aver sol-levato tra i soci, in modo particolarequelli della Val di Fassa, la SAT non hanascosto sotto il tappeto la vicenda.

    Abbiamo verificato ulteriormente lasituazione, ci siamo confrontati conesperti, abbiamo proposto un incontroalle Società degli impianti. Non abbia-mo trovato nulla di cui pentirci, nel me-todo e nel merito, sul nostro compor-tamento.

    Con questo numero del Bollettino visottoponiamo la nostra posizione, giàinviata ai soci di Fassa, e un ulteriore ar-ticolo sulla Val Jumela che potrete leg-gere a partire da pagina 38.

    Unultima cosa ci preme sottolinea-re: come sempre, fedele al suo stile cen-tenario, la SAT, nel momento in cui nonrinuncia a evidenziare problemi e difet-ti, lo fa, con trasparenza, nel merito dellecose e non per promuovere scontri per-sonalistici o aventi secondi fini.

    Franco GiacomoniPresidente SAT

    Editoriale Tirati a forza in una marea di polemi-che

    Carissimi soci,in questi giorni avete ricevuto il Bollettino

    3/2005, in cui è riportato, fra altri, larticolosulla Val Jumela che tante polemiche ha inne-scato. Tutti lo avete letto e avete potuto capiredi cosa parla, di come ne parla e quale eviden-za gli venga assegnata.

    LarticoloLautore, della relazione sulla Val Jumela,

    membro della Commissione TAM, analizza lasituazione che ha trovato nel luglio 2005, si-tuazione che nessuno può mettere in discus-sione, vista la mole di documentazione visivaprodotta.

    Unanalisi puntuale a seguito di un interes-samento continuo in questi anni alla vicendadel collegamento sciistico, che ha dato anchecome prodotto il libro bianco assai letto e ci-tato come esempio di completezza e accura-tezza. Unanalisi moderata nei toni e negli ar-gomenti, finalizzata a verificare se erano cor-rette le analisi e le conclusioni sviluppate dal-la commissione e fatte proprie dalla SAT sulprogetto. Unanalisi che testimonia una atten-zione verso una valle che non viene dimenti-cata per il solo fatto che una battaglia ideale edi merito si è persa.

    Il casoIl caso nasce dalla pubblicazione sul quo-

    tidiano LAdige, in grande evidenza, il 20 set-tembre, di una parte dellarticolo e di alcunefoto della situazione trovata a luglio.

    Il titolo forte in prima pagina, le foto, glistralci dellarticolo hanno suscitato fortissimepolemiche, prese di posizione, smentite da par-te dello stesso giornale.

    Ma la SAT in tutto questo, cosa centra?Mentre il giornale ha lobbligo della verifi-

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    ca quotidiana delle fonti, il periodico satinocontiene testi che sono saggi, memorie, appro-fondimenti, opinioni, studi, programmati esvolti in un arco di tempo che può essere an-che molto lungo. Cè un torto in questa vicen-da e sta nel fatto che le fonti, datate luglio, ven-gono riportate come attuali, il 20 settembre,dal quotidiano in questione. Il titolo non for-nisce dubbi: Comera verde la Val Jumela.

    Cè un torto e non è della SAT.La SAT non ha promosso una conferenza

    stampa, non ha sollecitato luscita sul quoti-diano, non ha premuto sui media perché si fa-cesse ampia diffusione dei contenuti del pro-prio bollettino. Lha solo mandato on line sulproprio sito, come fa sempre.

    Larticolo de LAdige riporta al proprio in-terno in modo sintetico ma sostanzialmentecorretto quanto il relatore scrive, citando an-che il dato di luglio. Ma foto e titolo colpisco-no immediatamente, alla vicenda sono legatianni di battaglie e di attenzioni, leffetto è for-te. La polemica parte, in grande stile.

    La sede SAT è sottoposta ad una serie ditelefonate decise nei toni; si chiedono smen-tite. Ma non possiamo smentire quello chenon abbiamo detto e nemmeno mettere in di-scussione quello che abbiamo scritto.

    Se avessimo voluto cercare scontro avrem-mo fotografato la situazione alla scomparsadellultima neve non a luglio, quando la vege-tazione alpina è quasi al massimo del suo ri-goglio. Se avessimo voluto essere polemici, seavessimo voluto fare clamore, avremmo po-tuto convocare una conferenza stampa a lu-glio: nessuno avrebbe potuto negare che levi-denza era quella. Ma non labbiamo fatto; ab-biamo preferito scrivere una relazione, nem-meno messa in testa al bollettino, senza cla-mori, come testimonianza, ma anche comecontributo perché i ripristini siano condotticon la massima delle cure. Lo abbiamo fatto

    molte altre volte, per altre situazioni, ultimoin ordine di tempo il bollettino 2/2005 cheriportava un intervento sullo scempio in Pa-ganella. Una relazione che nelle intenzionidella commissione TAM va periodicamen-te aggiornata, a distanza di un anno o due,non per accanimento, ma proprio per far ca-pire che ci sono patrimoni ideali, morali,scientifici, naturali, che sono di tutti, non solodei titolari di proprietà, non solo dei conces-sionari, non solo di chi usa il bene per trarneprofitto.

    Come la torre di Pisa è patrimonio nonsolo dei pisani, come il Colosseo non è deisoli romani, o le Cime di Lavaredo non sonoesclusivo possesso delle regole Cadorine.

    Perché larticoloLattenzione nostra è sempre stata co-

    stante; è servita, e nessuno può negarlo, amodificare in senso migliorativo il proget-to, eliminando ad esempio limpatto notevo-lissimo del paravalanghe, o della pista sul ver-sante destro della valle.

    Serve ora, perché è dovere di tutti lascia-re la traccia più lieve possibile del propriocammino. Non siamo stati daccordo con ilcollegamento, saremo vigili affinché minimasia lalterazione.

    E lo faremo con la consueta serietà neltrattare queste tematiche, con la prudenza edil rigore che ci ha sempre contraddistinto. Laserietà che ci ha portato in Val Jumela il 24settembre, a verificare la situazione, ripercor-rendo gli stessi passi, gli stessi punti del lu-glio precedente.

    I risultati della nuova visita e una copiadella relazione, che è stata sottoposta ad unaaccurata revisione scientifica (geologica, bo-tanica, naturalistica) è disponibile sul sitodella SAT: www.sat.tn.it

    Excelsior!

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    111° Congresso SAT

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    Il tema di questo Congresso si colloca,senza forzature, nella linea indicata ne-gli ultimi Congressi: da Dimaro, con le ri-flessioni sugli Usi Civici, antica e attualeforma di autogoverno e garanzia, se cor-rettamente gestita, di salvaguardia non spe-culativa del territorio, alla Val Rendena conUn turismo a passo duomo che, anco-ra una volta, ha sottolineato la capacitàdella SAT di vedere e proporre nuovi sce-nari per il nostro turismo, allargomentoodierno: Andare in montagna, unavven-tura anche spirituale.

    Forse come non mai, oggi, luomo, conmolte contraddizioni, è alla ricerca di spi-ritualità, magari non esattamente percepi-ta, a volte seppellita sotto stimoli, o ripeti-tivi ed inutili riti, passeggeri.

    La montagna è ricca di opportunità eoccasioni di spiritualità; è cosa nota chemolte religioni pongono sulle montagne iluoghi dove la divinità si manifesta e di-mora. Dal monte Sinai per gli Ebrei al Gol-gota per i cristiani al Kailas per induisti ebuddisti, solo per farne un essenziale cen-no, la montagna è vista come lo spazio delsacro. Di testimonianze della devozionesono ricche non solo le nostre montagne;in tutto il mondo, sulle cime, sui passi, suisentieri, sono presenti le impronte dellevarie fedi.

    Croci e capitelli, bandiere di preghiera,chorten, processioni rituali ancora presentinelle nostre valli, (penso a quella da Palùdel Fersina a Pietralba), pellegrinaggi, ritipropiziatori degli sherpa. Testimonianze

    di ricerca e accettazione della spiritualità.

    Anche il pensiero laico, sente la forza,limportanza e linsegnamento della natu-ra che fluisce dalla montagna.

    Non è un alpinista Cesare Pavese, ep-pure, ne I dialoghi con Leucò scrive:Basta un colle, una vetta, una costa. Che fosseun luogo solitario e che i tuoi occhi risalendo sifermassero in cielo. Lincredibile spicco delle cosenellaria oggi ancora tocca il cuore. Io per me cre-do che un albero, un sasso profilati nel cielo, fosse-ro dèi fin dallinizio.

    Julius Kugy, il cantore delle Alpi Giu-lie, sente sopra di sé limmanenza dellemontagne:

    Il tempo cammina e, uno dopo laltro, noientriamo nellombra, lo sguardo ancora fisso alfulgore dei monti. Ma essi brillano, sopra i destiniumani, oltre le generazioni nella loro inesaustabellezza. E ancora: il lungo viaggio nella lucee nella bellezza è compenso a molti calvari. Can-cella molti dolori, allevia molti pesi. Rende puri,forti, liberi.

    Molte volte, anzi, quasi sempre, colle-ghiamo quanto la montagna offre al be-neficio che ne consegue: turismo, prodot-ti, risorse. Oggi parleremo e rifletteremosu una cosa diversa: un bene immateriale,e quindi di maggior valore, disponibile pergli uomini, per tutti gli uomini che sappia-no vedere, non guardare, ascoltare, nonsentire, ricevere, non prendere.

    Annibale Salsa, in un recente interven-to nellambito del corso di formazione sumontagnaterapia e psichiatria, mirabilmen-

    Andare in montagna: unavventura anche spiritualeIntroduzione del Presidente Centrale SAT Franco Giacomoni

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    te organizzato dalla Sezione di Riva delGarda al Rifugio Pernici, parlava dellas-senza di senso che angoscia la società oc-cidentale, lo spaesamento delluomo afronte del moltiplicarsi di non luoghi.

    Non luoghi possono essere lautostra-da, laeroporto, il megacentro commercia-le, le periferie urbane ma anche il villaggiovacanza e qualche nostro paese alla finedella stagione turistica.

    E di converso, come lAlpe sia luogo,luogo di relazione tra montagna e mondoumano che si contrappone, con le sue di-scontinuità, (il bosco, il pascolo, la malga,il sentiero, il ghiacciaio, la vetta), allomo-geneizzazione del paesaggio, al grigiore,

    allangoscia derivante appunto dai non luo-ghi. La crisi di valori, di comportamenti,di etiche deriva da quella che è lassenza disenso della vita. La montagna, in tutte lesue frequentazioni, può essere ed è capa-ce di aiutarci a riacquistare un senso allanostra esistenza.

    Con questo Congresso, pertanto, laSAT pone ad un livello più alto il suo con-tributo alla società trentina per la salva-guardia del territorio persuasa che il be-nessere economico non può essere di-sgiunto o contrapposto al ben-essere del-lo spirito.

    La speranza è quella di essere ascoltati.Excelsior!

    La platea dei satini ascolta le relazioni presentate al Congresso tenutosi presso il Palasport di Mezzocorona

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    Sono un praticante dal 1992 della Scuo-la ZEN Rinzai di Scaramuccia, chesorge sullomonima collina vicino ad Or-vieto, e che è la prima ed unica in Italia.

    Lo Zen è una corrente del buddismo equesta parola significa letteralmente me-ditazione. Cosa centra lo Zen con la mon-tagna vi chiederete?

    Il fondatore e responsabile della scuo-la che frequento è il Maestro Zen EngakuTaino, forse meglio conosciuto da voicome Luigi Mario, è guida alpina dal 1959,maestro di sci dal 1965 e maestro di ar-rampicata sportiva dal 1985.

    Le sue esperienze alpinistiche sono de-scritte in uno dei suoi libri: Con gli scar-poni e la corda legata in vita.

    Il suo insegnamento Zen include, perchi lo desidera, specifiche attività che sisvolgono in montagna quali larrampica-re, lo sciare, il camminare.

    Sul tema della spiritualità in montagna,egli già nel 1965 scrisse larticolo Lartedi arrampicare in roccia e lo Zen ancoraprima di entrare in un monastero giappo-nese, di esservi rimasto per sei anni, di es-ser diventato monaco Zen e di aver rice-vuto nel 1973 lautorizzazione a trasmet-tere linsegnamento Zen in Italia dal suomaestro giapponese. La sua ricerca di spi-ritualità nellalpinismo parte quindi da mol-to lontano.

    Il tema di questo congresso è lo spiri-tuale in montagna ed io sono stato invi-tato per parlare su questo tema da un pun-to di vista, da una visione diciamo così

    orientale. Ognuno parla usando le paroledel mondo dove è cresciuto fisicamente eculturalmente, perciò quando usiamo laparola spirituale in Italia ed in generale nellacultura occidentale intendiamo qualcosache è diverso dal materiale, da quello cheattiene principalmente al corpo. Cioè ingenerale spirituali sono le cose più attinentialla religione, ai pensieri elevati, celestialio artistici.

    Per quanto riguarda loriente, il Giap-pone e lo Zen in particolare non cè fon-damentalmente questa separazione tra lecose spirituali e le cose materiali, ogni cel-lula del nostro corpo è sia spirituale chemateriale. Usiamo convenzionalmentequesti termini anche se essenzialmente nonhanno una base reale, si usano per specifi-

    Lo spirituale in montagnaRelazione al 111° Congresso SAT di Franco Camin

    Franco Camin

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    care due aspetti della stessa realtà.Nello Zen, disciplina alla quale faccio

    riferimento, il corpo e le esperienze cheesso ci permette di fare sono fondamen-tali per la Conoscenza con la C maiuscolae per un percorso evolutivo, di autorealiz-zazione.

    Premesso che lo spirituale può concre-tizzarsi in unesperienza in qualsiasi con-testo, vedremo come lambiente di mon-tagna sia facilitante per il suo manifestarsi.Parlerò di cose comuni, ovvie, di aspettiche fanno parte del quotidiano come cam-minare, respirare, vedere, ascoltare, agire.

    Nonostante le stupefacenti scoperte,invenzioni scientifiche e il benessere checi consente di usufruirne anche personal-mente, langoscia esistenziale e la ricercadi significato della vita sono presenti forsepiù che nel passato nelle profondità diognuno di noi.

    Per noi occidentali lascesi è ritenuta unapossibilità esclusiva degli asceti, in orientee ora, mi riferisco al Giappone, sono stateideate delle arti pratiche che possono di-ventare mezzo di ascesi per tutti.

    Bere una tazza di tè, comporre un maz-zo di fiori, usare il pennello per tracciareuna calligrafia sono atti possibili per tuttianche in tempi difficili e se fatti in un cer-to modo diventano vere e proprie vie diascesi, vie di conoscenza, di armonia e dirisveglio.

    Buddha vuol dire risvegliato, illumina-to. Così sono nate: larte della cerimoniadel tè, larte di comporre i fiori (ikebana),la calligrafia, il tiro con larco.

    Anche landare in montagna può esserfatto diventare unarte come quelle appe-na dette, io ritengo che la montagna e il

    modo di frequentarla in tutti i suoi aspettioffra oltre che divertimento, una occasio-ne di spiritualità alla portata di tutti quelliche la cercano.

    Per molti andare in montagna è diver-timento, scarico dallo stress, competizio-ne con altri o con se stessi, ma a qualcunotutto ciò non basta, non lo soddisfa pie-namente, non sono queste le motivazionivere e si mette a cercare qualcosaltro.

    A queste persone può venire il deside-rio di andare in montagna anche per unaltro motivo e di andarci in un altro modo.

    È a quello che muove queste personeche mi rivolgo.

    La motivazione infatti non è uguale pertutti. Oltre i motivi già detti che spingonoa frequentare o vivere la montagna: svago,relax, compagnie, prestazioni, competizio-ni ecc. per non parlare di chi ci vive pernascita o per scelta, esiste qualcosaltro diinspiegabile, che attira, seduce, fa sentirbene. Molti, forse più di quanti si pensa,vanno in montagna perché attratti da qual-cosa che li mette a contatto con parti pro-fonde di se stessi.

    Quando si cammina in montagna capi-ta di incontrare, affiancare, superare altricamminatori; quasi tutti questi incontrisono fatti di fuggevoli cenni di saluto, poiognuno prosegue per la sua strada. Ma tal-volta si crea un contatto particolare da su-bito, il modo stesso di camminare, una fra-se su una sensazione, un commento sullabellezza di un panorama, sulla luce parti-colare del momento ecc. si stabilisce uncontatto che se pur di brevissima duratarivela che abbiamo fatto esperienza dellestesse percezioni sottili, che abbiamo in-

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    contrato un altro essere con motivazioniaffini alle nostre; da qui può nascere unfeeling, le nostre dimensioni spirituali han-no trovato corrispondenza nellaltro. Nonsuccede spesso e non dura a lungo, in que-sta dimensione le cose sono eteree, comeil profumo si dileguano facilmente.

    Si capisce che non è solo questione diavere gli stessi gusti, è un incontro che ri-guarda aspetti più profondi.

    Lambiente di montagna facilita la pos-sibilità di espressione di queste nostre par-ti? In ogni essere esiste il bisogno di silen-zio, di bellezza, di pace, ma esiste ancheuna spinta verso le sfide, le prove, il nuo-

    vo. La montagna possiede in sé questi re-quisiti, cioè è bellezza autentica non codi-ficata, è silenzio, è pace, è contestuale pre-senza di nuovo e vecchio come un fioreche sta sbocciando su una roccia di milio-ni di anni, ma è anche luogo che favorisce,stimola e accoglie imperturbabile le nostresfide, il nostro metterci in gioco.

    Noi percepiremo laspetto della mon-tagna che in quel momento risuona di piùcon quello più simile dentro di noi.

    Ma se ci portiamo nello zaino tutti gliatteggiamenti, gli obiettivi e i bisogni cherincorriamo nelle attività quotidiane, que-sto non faciliterà la percezione, è come seuna trasmissione radiotelevisiva fosse di-

    La sfilata per le vie del paese

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    sturbata, il segnale che proviene dal no-stro interno non arriva ad esprimersi inmodo pulito e così ci troviamo a cammi-nare, sciare, arrampicare, sovraccaricati dialtre aspettative, estranee allattività chestiamo svolgendo.

    La preparazione a questo atteggiamen-to può avvenire ancora prima di essere sulsentiero o sulla parete o sugli scii, anchenel preparare lo zaino, nello scegliere cosaè necessario portarsi e cosa invece è su-perfluo.

    Non è tanto una questione di tecnica,non basta andare da una guida o comprar-si un libro e cercare di fare ciò che vienesuggerito, certo cè anche bisogno chequalcuno ci indichi come fare, perché eglistesso ci è già passato prima, ma lespe-rienza spirituale resta comunque un fattoindividuale, una cosa che ognuno può edeve scoprire da sé.

    Certo un corpo forte e ben allenato saràfacilitato per laspetto fisico, una mentechiara, libera sarà meglio di una confusa eappannata, ma cè ancora dellaltro e que-sto altro è meno definibile verbalmente, cisi parla intorno, con la consapevolezza chenon si sta parlando di quello.

    Nellesperienza spirituale, la cima dellamontagna è trascesa, la brama della suaconquista non rappresenta più lobiettivofinale, subentra piuttosto un distacco datutto ciò che non riguarda lazione stessache si sta compiendo ed il gusto di farlanel modo più leggero ed impeccabile pos-sibile, con la mente libera da preoccupa-zioni, problemi, idee o scopi precostituiti.

    Da un certo punto di vista relativo noicamminando o arrampicando avanziamo,facciamo dei metri di dislivello che ci fan-

    no avvicinare alla vetta, ma da un punto divista della nostra essenza noi continuiamoa fare la stessa cosa, con più o meno fati-ca, un po più in alto o un po più in basso.

    Ma quello che ci interessa scoprire perla nostra necessità interiore è essenzialmen-te sempre li, esattamente dove ci troviamonoi, né più in alto né più in basso, è pro-prio lì in quel momento e in quellazione.

    Nello Zen tutte le pratiche e le attivitàsono finalizzate al raggiungimento dellacosiddetta illuminazione, che è farelesperienza della propria reale natura, danon intendere come nirvana, paradiso, luo-go beatifico privo di problemi.

    Illuminazione è sperimentare che, istan-te per istante noi siamo un qualcosa chemuore e rinasce, indipendentemente dalruolo, dal possesso di beni, dalla cultura,dallapprovazione esterna, un qualcosa chepur nella sua individualità nella sua essen-za non è separato e diverso dal resto delcreato. Forse un esempio può chiariremeglio quello che voglio dire.

    Un discepolo chiese al suo maestro zen:come vive lei che ha raggiunto lillumina-zione? lì maestro rispose: quando cammi-no cammino, quando mangio mangio.

    Ora ognuno potrà dire: ma tutti lo fan-no, tutti quando camminano camminanoe invece è proprio qui che le condizioni sidividono, ed è di questo che ho intenzio-ne di parlarvi perché forse latto più co-mune che compiamo andando in monta-gna è quello di camminare.

    Se guardiamo le persone camminarevedremo che pochissimi camminano, men-tre quasi tutti sono camminati, sonocamminati dai loro pensieri, dai loro pro-

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    getti, dai loro ricordi ecc.Osservate come va inmontagna, chi è con unamico, chi fa parte di unacomitiva organizzata, chi ècon la famiglia e chi è dasolo; è diverso il modo dicamminare e di parlare.

    Ma cosa fa la differen-za tra quel camminare cheintendeva e praticava il ma-estro zen ed il comunecamminare?

    Lo stato dì consapevo-lezza e di risveglio interio-re. Nellarte, Matisse il fa-moso pittore, diceva chequando aveva davanti a sé una mela permangiarla, per lui non era la stessa melache qualche ora prima osservava per di-pingerla.

    Così Kandinskij, un altro grande dellapittura, nel suo libro Lo spirituale nellar-te, riferendosi allatteggiamento dellarti-sta, scrive: il suo occhiodeve essere puntato versola sua vita interiore e il suoorecchio teso verso la vocedella necessità interiore.

    Questo ci fa capire cheanche un artista quando di-pinge dipinge e quandomangia mangia.

    Anche per la cammina-ta è così, un atto ordinariosi trasforma in esperienzastraordinaria, se diventauna pratica di risveglio cherisponde ad una necessitàinteriore.

    Ma come è possibile rispondere a que-sta necessità? Camminare come meditare,medit-are andare verso il centro, versoil proprio centro.

    Anziché farci portar fuori dai nostristessi passi, potremmo incamminarci ver-so noi stessi. Rientrare in sé, nello Zen si-

    Coro Croz Corona

    Coro della SAT

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    gnifica rientrare nella realtà, rientrare in unadimensione di assoluto e nellassoluto cèluniverso intero.

    Molte tradizioni spirituali, non soloorientali, includono il camminare tra gliesercizi di pratica spirituale, nei nostri con-venti i pavimenti dei chiostri sono consu-mati dai passi dei monaci che li hanno cal-pestati in lunghe camminate meditative.

    Il modo di camminare di cui parlo deveavere alcuni requisiti:- la consapevolezza: del ritmo, di come e

    dove si stanno mettendo i piedi, dicome è la postura corporea, di come sista respirando, ma si percepisce anchelambiente intorno a sé, vista, udito, tat-to, sono acutamente attivi;

    - il ritmo, segue un ritmo armonico eadatto alle capacità del camminatore;

    - il silenzio, un silenzio soprattutto inte-riore che crea uno spazio particolare,libero dal vorticoso fluire dei pensieriordinari;

    - larmonia, esteticamente gradevole;- la concentrazione naturale;- larmonia con il respiro.

    È interessante ad esempio provare ladifferenza del camminare dopo una pre-parazione interiore con esercizi meditativiadeguati.

    Queste premesse possono favorirelesperienza che non siamo più solo uncorpo che si muove, ma siamo uno con iltutto, male alle gambe compreso. Non cèpiù differenza fra noi, il nostro respiro, ilsentiero, lambiente e il male ai piedi.

    Nei momenti in cui non giudichiamopiù con le categorie del bello o brutto,importante e trascurabile, la cima e la val-le, siamo nello spirituale.

    Scegliere tra le attività di montagna quel-la più adatta a favorire unesperienza spiri-tuale è forse scorretto, direi peraltro chelarrampicata, per la totale dedizione fisicae mentale che richiede, ad ogni movimen-to, ad ogni piccolo appoggio del piede, adogni inaspettato appiglio per le dita, offreun particolare tipo di esperienza che si rin-nova ad ogni istante.

    Più riusciamo a liberarci dallidea cheesiste una vetta, una catena alla fine del tiro,un chiodo due metri sopra la nostra testae più potremo godere del puro momentoche si sta vivendo, cioè il qui ed ora dovetutto è nuovo e tutto è importante.

    Ma come tutte le cose anche lo spiri-tuale va coltivato dentro di noi, richiedepreparazione non tanto e non solo fisica.

    Anche i ritiri delle squadre di atleticurano sempre di più aspetti non solofisici, perché dovrebbe essere diversoper chi si propone di praticare lo sportdello spirito?

    Ho letto che lanno scorso il preceden-te congresso si è concluso dicendo cheessere soci SAT significa andare in mon-tagna non soltanto con i piedi, ma vuoldire andare in montagna soprattutto conla testa.

    Questanno, dato il tema indicato perquesto congresso potremmo dire: andia-mo in montagna e cerchiamo di incontra-re noi stessi, questo noi stessi non è neipiedi o nella testa ma nel nostro cuore.

    Il cuore di cui parlo non è quello fisi-co Esso può essere leggero più di unapiuma o pesante come la montagna in-tera!

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    Premessa: una spiritualità affidabileCredo occorra precisare il senso delleparole prima di cominciare a trattare unargomento come questo (non è affatto raroal giorno doggi che a stesse parole si dia-no significati diversi).

    Spiritualità in riferimento alla monta-gna, ma non solo è un termine che si sentecon una certa frequenza da qualche tempoa questa parte, e non solo in stretto riferi-mento con una visuale religiosa (quale chesia) come è sempre accaduto in passato, maanche prescindendo da quel tipo di riferi-mento: spiritualità in senso laico. Addi-rittura cè chi ci tiene ad affermare comepremessa che il suo parlare di spiritualitànon ha nulla a che vedere con la religione(quasi si avesse paura a contaminarsi conun passato deleterio e nocivo dal quale cisi vuole assolutamente distanziare). Cre-do vi siano diversi livelli di spiritualità, di-verse gradazioni.

    Non vi so dire se possa obiettivamenteesistere una spiritualità laica che si basisul distanziamento pregiudiziale da ognireligione. Personalmente lo ritengo alquan-to problematico, non fosse altro perché -per la sua stessa natura - la spiritualità ha ache vedere con lo Spirito, cioè con il Tra-scendente, che è da sempre, non il mono-polio, ma certamente lo specifico di tuttele religioni. Che questo Trascendente lo sichiami Dio, o che lo si chiami con un altronome, non so quale spiritualità possa esi-stere se prescinde pregiudizialmente daesso. Forse sarebbe più onesto chiamarla

    Per una spiritualità della montagnaRelazione al 111° Congresso SAT di don Piero Rattin

    con un altro nome a quel punto: più con-tenuto, più limitato nelle sue pretese, manon spiritualità, che invece sta a indicaremodalità di approccio alla realtà non sog-gettive o individuali, non condizionate damode culturali né, tanto meno, suscettibilialla commercializzazione e al consumo.Infatti senza unanima, o quanto menouna disponibilità al trascendente ancheuna spiritualità può ridursi a manufatto dasupermercato.

    Questa premessa era doverosa da partemia per giustificare il taglio e certamenteanche il limite del mio intervento. Io inten-do dire qualcosa della spiritualità cristianadella montagna, ben consapevole che altrevisuali religiose possono avere la loro spiri-tualità. Ma so anche di parlare ad un pub-blico per il quale (a stragrande maggioran-

    Don Piero Rattin

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    za, credo), il riferimento religioso più fami-liare a livello di storia, di tradizione, di cul-tura, è quello cristiano. Spiritualità cristianadella montagna, quindi. Che il mio discorsopossa apparire nuovo quanto a contenuti,che io possa dire cose mai dette o mai sen-tite prima, non dipende dal fatto che me lesono inventate: no, la novità è solo appa-rente, nel senso che sono cose ben collau-date, anzi, perfino antiche, quelle che an-drò dicendo; hanno solo lo svantaggio (manon sono le uniche ad averlo) di essere sta-te taciute per troppo tempo. Per ragioni chenon sto qui ad elencare. Oggi, comunque nel mondo di oggi e in questepoca che èla nostra credo sia quanto mai urgente dir-le e farle conoscere. Da dove salta fuori laspiritualità cristiana della montagna? Chilha inventata?

    1. La Bibbia e la montagnaPunto di partenza e di riferimento per

    tutto ciò che è cristiano compresa unspiritualità di questo genere - è la Bibbia.

    Apro la Bibbia e colgo alcuni dati essen-ziali. Di monti e montagne si parla spesso.Certi eventi decisivi di quella lunga storiache riferisce (la storia sacra!), hanno comescenario la montagna.

    Abramo, primo credente, e padre di tutti icredenti, è su di un monte che è invitato adoffrire in sacrificio il suo unico figlio, Isac-co. È una prova: Dio in realtà non vuole ilsacrificio di nessuno, ma su quel monteAbramo impara che Dio è comunque ilSignore della vita e che ogni persona, ognivita, è davvero al sicuro soltanto se appar-tiene effettivamente a Dio (Gen 22,1-19).

    Mosè, pastore nel deserto del Sinai, ha il suo

    Panoramica sulle belle mostre che hanno fatto da contorno alle manifestazioni svoltesi durante il Congresso

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    primo incontro con il Si-gnore allOreb: quello di-venterà, per lui e per il suopopolo, il monte di Dio(cfr. Es 3,1-15). La carova-na degli oppressi che faràuscire dallEgitto, sosterà alungo alle falde di quelmonte; Mosè vi salirà a piùriprese La presenza diDio sulla vetta è contrasse-gnata da una nube: Mosèstesso ne è avvolto e quan-do entra in quella nube ècome se il tempo si fermas-se (cfr, Es 24,18). È a quellaltezza che Diopermetterà al suo amico Mosè, non di ve-derlo in volto, come aveva chiesto, ma dipercepire qualcosa di più del suo Mistero:perché il volto dellEterno non lo si può ve-dere e restare vivi (cfr. Es 33,18-23; 34,5-9).Anche lo scenario della morte di Mosè ècostituito da un monte: il Nebo, nellattua-le Giordania (Dt 34). Così del resto era ac-caduto anche a suo fratello Aronne: almonte Cor, nella stessa regione (cfr. Nm20,22-29). Si direbbe che, per certuni tra igrandi amici di Dio, solo il monte offra loscenario adatto per questo congedo dalmondo, quasi a voler insinuare che il mori-re, per loro, non è un andarsene, ma unsalire: allincontro senza ritorno. E Mosèsale da solo quellultima montagna, perchéverso certe mete non si può altro che in-camminarsi da soli. Mosè morì in quelluogonessuno sa dove sia la sua tomba (Dt34,5.6).

    Anche Elia, il rappresentante di tutti i profe-ti, risoluto a non piegarsi di fronte a nessu-no che non fosse Dio stesso, sperimenta

    quel grande incontro sul monte: lo stessodi Mosè, lOreb (cfr. 1Re 19,1-18). Dio,però, non gli si rivela in quellalone straor-dinario chegli sattendeva: Dio si rivelanella brezza silenziosa della montagna.

    Tale è la suggestione del monte per ilpopolo della Bibbia da farne lo scenarioideale di quellutopia mai spenta, che è lapace, il convergere di tutti i popoli in unaconvivenza finalmente armoniosa. Il pro-feta Isaia se ne fa portavoce in uno splen-dido oracolo: Alla fine dei giorni,il monte deltempio del Signore sarà eretto sulla cima dei montie sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte legenti Forgeranno le loro spade in vomeri, le lorolance in falci; un popolo non alzerà più la spadacontro un altro popolo, non si eserciteranno piùnellarte della guerra. (Is 2,2-5).

    Se la pace a questo mondo è ardua e dif-ficile da raggiungere, probabilmente dipen-de dal fatto che è un cammino in salita, nonè affatto un girovagare spensierato sul pia-no. Occorre che gli itinerari dei popoli con-vergano verso lalto per potersi incontra-re: in basso, si incrociano, si scontrano, ma

    Un momento di ristoro nel tendone allestito al Campetto dellOratorio

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    non convergono, non si incontrano. AncheGesù Cristo ha manifestato le sue simpatie per lamontagna. È da una montagna infatti che egliproclama quel bellannuncio che è venutoa portare tra gli uomini e che avrà il nomedi Evangelo (Mt 5-7). La montagna offresovente anche a Gesù il contesto abitualedei suoi incontri notturni con Dio, il Pa-dre: salì sul monte a pregare troviamo scrit-to (cfr. Mt 14,23; Mc 6,46). Due sono glieventi, particolarmente importanti, che iVangeli situano sullo scenario della mon-tagna. Il primo è la trasfigurazione: Gesùconduce alcuni dei suoi su di un monte ele-vato e, giunto, sulla sommità, si trasfiguradavanti a loro, lascia cioè trasparire - attra-verso una luminosità perfino abbagliante -la sua segreta identità di figlio di Dio. Nonlo fa per esibizionismo. Lo fa per dare unadimostrazione quasi unanteprima di

    quel traguardo che è la vera meta di ognidiscepolo. I credenti in Cristo sono fatti perassumere i connotati stessi di Dio; ma oc-corre salire per questo; ascesi è lesperien-za cristiana.

    Anche il luogo della croce e della mor-te di Gesù Cristo diventerà, nella tradizio-ne, un monte: il Calvario. La via che vi con-duce è diventata via crucis: emblema diogni tragitto ed esperienza di vita allinse-gna della difficoltà, della prova, affrontatecon fede e con amore. Oltre che di traguar-do luminoso, il monte è sinonimo di sacri-ficio, di dono di sé. Non cè Tabor senzaCalvario. E non cè Calvario senza risurre-zione.

    Lultimo fatto del vangelo, localizzatoanchesso sul monte, è la missione, il man-dato di Cristo ai suoi discepoli: Andate eammaestrate tutte le nazioni (Mt 28,16-20).

    Perché, ancora una volta sudi un monte? Perché, lo sisa: è solo dalla vetta chelorizzonte si fa ampio e glisguardi possono giungeremolto lontano. Ciò non si-gnifica, peraltro, che se sivuole incontrare Dio sideva andare senzaltro inmontagna. La fede biblico-cristiana non condividelidea secondo cui lespe-rienza del trascendente sipotrebbe fare solo ad altaquota Una visuale diquesto genere, oltre chepeccare dimmanentismo(relegando cioè Dio entroun settore particolare delcosmo, qual è lambiente di

    Le autorità presenti al Congresso. Da sinistra: Luis Vonmetz (Presidente AVS),Franco de Battaglia (Coordinatore Congresso), don Piero Rattin (Relatore), Mar-gherita Cogo (Vicepresidente Giunta Provinciale), Guido Moser (Sindaco di S.Michele a/A), Franco Camin (Relatore), Franco Giacomoni (Presidente SAT),Leone Crivellaro (affezionato Socio veronese), Fiamozzi Mauro (Sindaco diMezzocorona), Giuseppe Simeoni (Presidente Convegno CAI A.A-SAT), FrancoCapraro (Presidente CAI Alto Adige), Maurizio Dellantonio (Presidento Soc-corso Alpino del Trentino), Francesco Carer (Consigliere Centrale CAI) e Bru-no Angelini (Direttore SAT).

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    montagna), ridurrebbelesperienza religiosa adevasione; occorrerebbe, in-somma, allontanarsi dallavita di tutti i giorni per en-trare in relazione con Dio,salvo poi lasciarlo allorchési deve rientrare alla base,cioè alla realtà. No, la fedebiblico-cristiana non hanulla a che vedere conlevasione. Quel Dio di cuifa esperienza non è il Diodun luogo (come molti inantico pensavano), fossepure un settore particolar-mente suggestivo del cre-ato, no: è Dio dAbramo, diIsacco e di Giacobbe, come amava ripetereGesù, cioè Dio di uomini, che ama entrarein relazione damicizia con persone concre-te. Solo che è una presenza, la sua, che solonella quiete e nella discrezione si può per-cepire; occorre fermarsi, fare silenzio attor-no a se e soprattutto dentro di sé, in quel-latteggiamento recettivo-contemplativoche certamente la montagna è in grado difavorire più di qualsiasi altro contesto. Maè alla vita poi che si è costantemente riman-dati: come per una missione; nella Bibbiasi torna dalla montagna non come deglievasi che ritornano al carcere da cui eranofuggiti, ma come testimoni di una presenzadivina e misteriosa che è proprio là, dentrolordinarietà della vita.

    Detto questo, però, io ho solo elencatodei dati, che consentono comunque di trar-re una conclusione: non siamo i primi a direche la montagna è in grado di suscitareparticolari suggestioni, anche religiose.

    Sempre è stato così. Ma una suggestionereligiosa non è affatto una spiritualità. Lasuggestione passa. Lesperienza di spiritua-lità invece è qualcosa di più: lascia un se-gno dentro la vita.

    2. I due pilastriE allora dico subito che i pilastri di una

    spiritualità cristiana della montagna sonoessenzialmente due. Lasciate che li presentibrevemente.

    a. La montagna canta la lode di Dio,ma tocca alluomo dare voce e paro-le a quella lodeIl primo è questo (lo dico parafrasando

    la Bibbia): la montagna o soprattutto lamontagna proclama la gloria di Dio. Nelsenso che tutto ciò che la montagna è, tut-to ciò che la costituisce, tutto ciò che offre,attesta la grandezza e la creatività di Coluiche lha inventata: è una lode che sale, im-percettibile e incessante, a quel Dio Crea-

    Il tavolo dei relatori

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    tore da cui proviene; ma impercettibile loè allorecchio, non certo al cuore che guar-da e osserva: tocca al cuore, infatti, spettaalluomo credente dare e voce e parole aquella lode. È anche per questo secondola Bibbia che Dio ha posto luomo al cen-tro della sua creazione.

    Sì, tutto proclama la gloria di Dio af-ferma la tradizione biblica. Ma forse cheDio ha creato il cosmo per trarne gloria,forse che ha bisogno di gloria? Dio non habisogno di niente. Dio è pienezza damoree di vita. Lunico motivo per cui ha creatoil cosmo è quello di far partecipare anchele creature a quella sua pienezza. Esse esi-stono per accogliere in continuazione quel-la pienezza damore che le fa esistere. La glo-ria di Dio è tutta nel far vivere in pienezzae bellezza ciò che ha creato. A prescinderedalle distinzioni tra mondo animato e ina-

    nimato, la fede biblica è dellidea che tutto,proprio tutto, è chiamato ad esistere nellagioia: Di gioia fai gridare la terra, o Signore!si legge nei Salmi (Sal 65). Questo esisterenella gioia è una perenne sinfonia di lodealla quale tocca appunto ai credenti darevoce e parole, e innalzarla a Dio. Luomoinfatti ogni uomo e ogni donna è postotra il cosmo e Dio come un sacerdote (latradizione occidentale ha calcato la manosul fatto che luomo è re, signore del crea-to, e ha talmente privilegiato questunicaprerogativa da ridurre luomo da signore atiranno, a pirata del creato con le conse-guenze che sono davanti agli occhi di tut-ti!). No, se è pur vero che luomo è supe-riore a tutte le creature, è altrettanto veroche quella superiorità non fonda alcun di-ritto di abuso; superiorità sì, ma nel sensodi responsabilità: verso le creature e verso

    Il pubblico presente al concerto del Coro della SAT

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    Dio. Luomo può esercita-re adeguatamente la sua su-periorità sulle creature solose si pone in relazione conesse, anzi, in comunione:solo così anche la sua altraqualifica - quella di signore- può essere esercitata conequilibrio e senza conse-guenze disastrose per il cre-ato e per le sue risorse. Ecome esercitano luomo ola donna questa qualifica disacerdote del creato? Fa-cendosi voce delle creatu-re, ponendosi in ascolto di quella lode ine-spressa che ognuna di esse porta in sé, li-berandola e innalzandola a Dio con il lin-guaggio della loro preghiera. Sì, perché ognicreatura, vivente o inanimata che sia, recain sé una tensione, un anelito, che non è ec-cessivo definire preghiera. Olivier Clé-ment, teologo e pensatore ortodosso con-temporaneo, afferma: Occorre liberaredalle cose la loro preghiera muta (e ripor-ta quasi come un fioretto francescano la testimonianza del Patriarca di Costanti-nopoli, Atenagora, che confessava: Quan-do arriva il mese di febbraio, aspetto chefiorisca il mandorlo giù nel cortile; allorascendo per unirmi al canto di lode del man-dorlo).

    La prima condizione per poter far que-sto è lascolto: non solo di suoni, di fruscii,di rumori perché lascolto non è soltan-to questione di orecchio, è emozionale;prende i sensi, la razionalità, e il cuore. Èricerca di una sintonia che è insomma co-munione con le creature, invece che distac-co o osservazione a distanza.

    La Bibbia offre dimostrazioni eloquen-ti a tale riguardo. Per esempio il Canticodella creature, che è una pagina della Bib-bia prima di trovare nuova edizione sullelabbra di Francesco dAssisi; lesecuzioneverbale è affidata alla voce delluomo (sa-cerdote del cosmo!), il quale non fa chepassare in rassegna i vari settori della crea-zione, interpellandoli espressamente;Ghiacci e nevi, benedite il Signore, lodatelo ed esal-tatelo nei secoli. Monti e colline, benedite il Signo-re, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. Benedite, sorgenti,il Signore, e voi ruscelli e torrenti, lodatelo ed esal-tatelo nei secoli. Il credente che così prega,assomiglia a un direttore dorchestra che dàa ognuno dei componenti che ha davanti ilsuo segnale dattacco, dopo di che ognistrumento inizia a sprigionare liberamen-te il suono che gli compete. È come se que-ste realtà della montagna fossero coscientie non aspettassero altro che quel segnaleper lasciar erompere la lode. È appunto lasinfonia del creato, il cantico delle creatu-re: è così che luomo assolve alla sua mis-sione di sacerdote della creazione. An-

    Un momento della serata con Hans Kammerlander

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    che la montagna, in questo senso, attendeil suo cantico delle creature.

    b. In montagna, tutto parla di Dio,ma occorre farsi attenti ed ascoltareLaltro pilastro che fa da sostegno a que-

    sta spiritualità parafrasando anche in que-sto caso la Bibbia, lo definirei così: tutto ciòche esiste, è frutto, è risultato di una Paroladetta da Dio; ogni creatura, pertanto, na-sconde in sé una parola, un messaggio ri-volto alluomo e che luomo può accoglie-re, ascoltare.

    Però questa è unaffermazione troppostringata e rischia di non essere capita. Eper capire qui occorre partire da un presup-posto, che per la fede biblica è scontato, manon lo è per chi guarda da prospettive di-verse da quella; eccolo il presupposto: ilmondo non è nato per caso, esiste perchéDio lha voluto. Ma dire che lha voluto èun parlare astratto; la Bibbia preferisce direche lha creato con la sua Parola. Le creature,tutte, devono la loro esistenza a una paroladetta da Dio. Essa le ha portate allesisten-za dal nulla; non solo: essa le mantiene con-tinuamente in esistenza.

    Ma perché la Parola? Che bisogno haDio di pronunciare una parola per crearele singole realtà? La parola ha senso soloin riferimento alla persona (sono le perso-ne che parlano e si parlano tra loro). Ap-punto: che Dio abbia creato tutto con la suaParola fa sì che ogni creatura abbia un rife-rimento personale, cioè sia fatta per direqualcosa a qualcuno: a chi? Alluomo, e achi altri se no?. Tra le creature e luomo(cioè la persona umana) cè una sintonia dipartenza, unaffinità originaria che rendepossibile lentrare in relazione. A ogni cre-

    atura del cosmo soggiace, nascosta, unaParola, un messaggio da parte di Dio. Luo-mo ne è il vero destinatario. Quella Parolacon cui Dio porta allesistenza le sue crea-ture è luomo che la può e la deve accoglie-re. Il cosmo compresa la montagna di-venta allora un oceano di simboli: dietroad ogni cosa e ad un livello certamentepiù profondo rispetto a quello dellevidenzaimmediata cè una Parola di Dio che at-tende di essere ascoltata e compresa. Il co-smo possiede anche una struttura simbo-lica, che sfugge alle ricerche di laborato-rio. La componente simbolica del cosmo,delle creature, si svela solo a chi accetta diconoscere in modo spirituale. Gli anti-chi pensatori cristiani lo ripetevano spes-so: il primo libro che Dio ha dato alluma-nità è il cosmo, il creato. Luomo avrebbepotuto leggerlo e capirlo se fosse vissutoin sintonia, in amicizia con Dio, suo crea-tore. Ma invece gli ha voltato le spalle: conle sue scelte sbagliate lumanità ha sovver-tito lintera creazione; da cosmo che era,rischia di ridursi a caos. Di quel primo li-bro originario luomo ha dimenticato per-fino lalfabeto: non lo sa più né leggere, nécapire. Dio offrì allora un altro libro: laBibbia, il vangelo. Grazie ad esso, afferma-no gli antichi pensatori cristiani, grazie adesso è possibile imparare nuovamente lal-fabeto delle origini e tornare a leggere, acomprendere, anche le parole di quel pri-mo libro che è il cosmo: quelle che Dio haposto in ognuna delle sue creature. Tra quellibro che è il cosmo e quel libro che è laBibbia, vi è una connaturale affinità, unreciproco rimando.

    Come posso allora io, credente, pormiin ascolto del messaggio che cè nelle crea-

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    ture ed esser sicuro che è giusto? Ecco al-lora la necessità del confronto: ciò che siintuisce contemplando la creazione, lo siconfronta con quello che si legge nella Bib-bia, nel Vangelo. Ma allora perché non leg-gere la Bibbia e basta? Perché la Bibbia èun libro stampato, e invece la Parola di Dioè viva e non ci sta in un libro stampato; nonle basta uno strumento unico per risuona-re bene; il messaggio celato nelle creaturee quello offerto dalla Bibbia sono come idue pezzi di un tuttuno (ecco il senso del-la parola simbolo): quel tuttuno origina-rio che è la Parola damore di Dio alluo-mo. Essa attende di essere ascoltata e ac-colta nella sua interezza.

    In riferimento alla montagna, cosa signi-fica tutto questo? Quale potrà essere la pa-rola che soggiace nascosta nel creato dimontagna? La Bibbia, anche in questo caso,ci apre la strada.

    Per i credenti di quellantico popolo, lal-tezza dei monti è evidente richiamo a unal-tra altezza: quella della giustizia di Dio, su-periore a ogni giustizia di questo mondo:La tua giustizia, Signore, è come i monti piùalti(Sal 36,7). Nelle alture che fannocorona alla Città santa scorgono una con-ferma della protezione rassicurante del Si-gnore: I monti cingono Gerusalemme: il Signo-re è intorno al suo popolo ora e sempre(Sal 125,2).La roccia poi è quella componente dellamontagna che ha avuto il privilegio di es-sere riferita con immediatezza nientemenoche a Dio stesso: quante volte si trovanonei Salmi espressioni come queste: Signo-re, mia roccia!Sia benedetta la mia rupe!Laroccia del mio cuore è Dio!. Guardare le roccee pensare allincrollabile fedeltà di Dio ènormale in una spiritualità della montagna.

    A questo punto ogni credente, dotatodi spirito di fede e di capacità di osserva-

    La premiazione dei Soci cinquantennali

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    zione, può continuare da solo a cogliere ea interpretare i simboli che incontra; sì,perché anche la montagna è un oceano disimboli. Basta soffermarsi ad osservare lavegetazione, ad esempio: le conifere, il la-rici o i cirmolo dalta quota, che a dispettodella legge di gravità che li radica saldamen-te nella terra o negli anfratti delle rocce, siprotendono comunque verso lalto, e pro-prio in quel protendersi ingigantiscono: chesimbolo sono? quale messaggio trasmetto-no? Linquietudine di ogni cuore umano,quella che faceva dire a santAgostino: Cihai fatti per te, Signore, e il nostro cuore èinquieto fin che non si riposa in te. Que-sto mispirano gli abeti e i larici dei boschidi montagna: che occorre amare la terra e,nello stesso tempo, protendersi a Colui cheè il termine ultimo dogni umana attesa.

    E i fiori: cosa potranno insinuare i fioridi montagna? Che Dio è il primo miniatu-rista in assoluto. Che i criteri della grandio-sità e dellimponenza non sono gli unici aproclamare la sua gloria, e questo vale an-che nella storia e nella vita delle persone:ecco il simbolo che parla. La realizzazionedi se stessi, sì, deve stare a cuore, ma nel-lumiltà, nella discrezione, nella saggezza.Senza sconfinare nellarroganza o nellas-surdo, perché in montagna crescono sol-tanto fiori di montagna. A volte lo fan-no con un audacia che ha dellincredibile,con risultati perfino spettacolari rispettoalle condizioni di partenza: basta osserva-re un raponzolo che splende tra le sottilispaccature di una roccia, o un cespo di stellealpine cui basta un pizzico di terra per vi-vere Non cè pietraia, non vi è aridità chenon contenga scintille di splendore e nonle possa sprigionare. Forse sono di questo

    tenore le parole che Dio ha nascosto neifiori di montagna.

    La montagna poi non è un museo nelquale le opere sono sempre le stesse. È uncosmo vivo e le parole che nasconde han-no sempre la freschezza del pane appenasfornato. I tempi che si susseguono nellar-co della giornata rendono particolarmen-te eloquente il creato di montagna. La lucedel sole nascente, che scende progressiva-mente dalle vette, o quella del tramonto,quando anche la luce si riposa, sono feno-meni carichi di suggestione e quella sugge-stione può essere soglia allascolto di unaparola. E anche nellalternanza delle sta-gioni è sempre modulata una parola, unalezione di vita, per quanti la sanno accoglie-re. Il risveglio primaverile è più lento inmontagna, si fa attendere più che in pianu-ra, ma non si smentisce mai. Appena per-cepisce il clima adatto, la terra - se puremagra e sovente scarsa - si mette alloperaobbediente. Quanto è più antica la terrarispetto alluomo che la calca con i suoipiedi? Ciononostante permane fedele eobbediente, discreta e umile; in fatto didocilità al suo Creatore, ha molto da inse-gnare agli uomini la terra.

    Lautunno, dal canto suo, con le sue ta-volozze di colori sempre più marcati via viache la stagione procede, evoca lidea di unagrande festa per la quale fervono i prepa-rativi: la vegetazione va morendo, scompa-rirà, ma vi si prepara vestendosi a festa, contonalità che sanno desultanza, dallegria.Non vi sarà anche in questo una parola,una provocazione per i credenti? Non è untacito, solenne invito a guardare al tramontodella vita con sentimenti di speranza, inve-ce che di amarezza e pessimismo?

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    Conclusione: spiritualità ovunque!Non so se da queste esemplificazioni

    riuscite a farvi unidea di che cosa significhiporsi in ascolto della parola nascosta nel-le creature. Una spiritualità cristiana per lamontagna, in ogni caso, non può prescin-dere da questi due pilastri che ho cercato dipresentare: si tratta di dar voce alla lode dellecreature e di ascoltare quelle parole che esse,proprio in nome di quel Dio che le ha fat-te, ci consegnano. Nel cercare di delinear-la, io sono partito da due presupposti. Pri-mo: unesigenza cristiana; un cristiano hapieno diritto di essere cristiano anche quan-do esce di chiesa e vive, o lavora, o si muo-ve in montagna. Ha diritto a trovare unnesso tra ciò che crede e ciò che nel contattocon la montagna sperimenta; purtroppo,invece, per non pochi cristiani, uscire dallachiesa è sempre come andare allestero, o inun altro mondo! No, no è lo stesso Dio,ovunque; e la sua Parola è la stessa che ri-suona dappertutto, anche nelle creature.Basta saperla ascoltare. Laltro presupposto

    da cui sono partito è di ordine contingentee ha a che vedere con il dibattito ecologicoin atto. A molti livelli oggi si condivide lur-gente necessità di correre ai ripari per difen-dere e proteggere la natura. Il limite di moltidiscorsi sta, però, nel fatto che si ragionatroppo spesso, o esclusivamente, dalla pro-spettiva dellutile: la natura come fonte di ri-sorse, come riserva di beni da salvaguarda-re Ma se solo di beni utili si tratta, è ine-vitabile che prima o poi qualcuno vi pongasopra unipoteca e che tutto si riduca a beidiscorsi sulla carta.

    Del resto, non bastano affatto le leggi, idivieti, o le contravvenzioni, per far cambia-re mentalità e atteggiamenti alla gente, allepersone. Gli ordinamenti etici, per quantorazionali possano essere, se non hannomotivazioni profonde, si dimostrano sem-pre più privi di significato per luomo mo-derno. Ecco perché è tanto più necessariauna spiritualità affidabile. E questa, che hocercato di delineare, se pure sommariamen-te, ho la presunzione che lo sia.

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    Lo insegnava già nellottocento JohnRuskin, notissimo scrittore e studio-so darte inglese: un paesaggio imbianca-to, un colle oppure una vallata alpina am-mantata di neve novella sono scenari su-blimi da ammirare, ma per raffigurarli de-gnamente occorre essere grandiosi. Bravicome Joseph Mallord William Turner ilpittore preferito da Ruskin, eccelsi nellusodellacquerello come Josiah Gilbert, sen-sibili al pari di Julian Falat oppure raffina-tissimi nellimpiego del colore comeEdvard Munch, il più grande artista nor-vegese del periodo simbolista.

    Rimanendo con i piedi per terra, però,fra gli artisti di notevole spessore che nelcorso del novecento si adoperarono nelrappresentare le montagne di casa, meritaessere ricordato Paul Hablitschek, archi-tetto e pittore di origini viennesi, trapian-tato in Alto Adige sin dai primi decenni

    del secolo scorso. Trascorse la sua vita traBressanone, il Renon e Bolzano Paul, in-tercalando gli impegni professionali allagrande passione per larte e per la monta-gna. Un vero e proprio Bergwanderer,ovvero un autentico girovago di monta-gna che conobbe ogni maso ed ogni an-golo dei rilievi atesini, non trascurando,peraltro, di visitare le vicine montagne tren-tine e bellunesi. Fra queste, in particolare,fu attratto dalla superbia delle Dolomiti diBrenta, dal Cristallo e dalle Tofane, dallamaestosità del Cevedale e, soprattutto, dallamontagna perfetta, quella Marmoladache nelle leggende ladine appare con il to-ponimo di Rosalya, antico sinonimo dighiacciaio fulgente e cristallino.

    Della Regina delle Dolomiti Paul ci halasciato una tela stupenda, unicona roman-tica di una montagna dal sapore ottocen-tesco che oggigiorno non esiste più, mo-dificata dai fattori meteorologici e morti-ficata dalle piste di sci estivo e dalle con-nesse strutture metalliche di servizio. Laformazione tecnica dellartista emerge so-prattutto nella composizione del sogget-to, che appare estremamente tangibile sianelle forme che nelle proporzioni. Incor-niciata dalle aguzze rocce del Serauta e dallePunte Rocca e Penia, infatti, limponentemassa glaciale della Marmolada appare giu-stamente marcata dai bacini collettori edablatori nonché separata verticalmentedalle lame rocciose del Sasso delle Undicie delle Dodici. Nella parte superiore alber-gano le chiazze biancastre delle precipita-

    Montagne su teladi Franco Gioppi

    Il Cevedale, particolare tratto da un dipinto di Paul Hablit-schek, 1931 (Collezione Wolfgang Hablitschek, Bolzano)

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    zioni stagionali, le plastiche cascate del gla-cier in movimento nonché le striature deicrepacci longitudinali e periferici. Il limiteinferiore delle nevi perenni, invece, è evi-denziato dalle strette lingue terminali, dalfronte vero e proprio del ghiacciaio e, an-cora più in basso, dalle scarse morene difondo e di deposito che sfiorano il gradi-no di valle. Lautore ha scelto di rappre-sentare la Marmolada da settentrione, pocodopo laurora, usando le gradazioni cro-matiche dellenrosadira ed esaltando egre-giamente ogni elemento caratterizzante lasovrana trentina. Ne risulta unimmagi-ne viva, elastica e possente, con sfumaturetonali che spaziano dal rosa al ruggine, dalturchese al color del piombo. La compo-

    La Marmolada in un dipinto di Paul Hablitschek, 1930 (Collezione Wolfgang Hablitschek, Bolzano)

    nente nivale si fonde con il calcare e la do-lomia delle formazioni rocciose, con lenubi volutamente aranciate e con le super-fici in ombra contrastanti le masse illumi-nate, determinando un tuttuno assai gra-devole ed armonioso.

    Cacciatori di meraviglie come i pae-sisti Gustav e Gottfried Seelos oppureprincipi dellillustrazione dolomitica al paridi Edward Theodore Compton plaudireb-bero con noi per leccellente, quanto si-lenziosa, opera pittorica profusa da PaulHablitschek, meritevole, soprattutto, diaver saputo trasmettere con grande forzaanimistica la grandiosità di una natura su-blime esaltandone magistralmente i suoicampi immacolati.

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    Il toponimo Orti della Regina nasce dauna leggenda popolare: si narra che labellissima Regina di Ragoli, insidiata dai ne-mici, si rifugiò in un ripiano nascosto fra lecenge rocciose della Pietra Grande, nelgruppo del Brenta. I Cavalieri al suo segui-to rimossero il terreno pietroso per render-lo più accogliente e lo innaffiarono con lac-qua della sorgente: dincanto spuntaronofiori ed erbe, formando un profumato esoffice tappeto sul quale la Regina si potériposare. Posti sulle pendici sud ovest dellaPietra Grande gli orti della Regina sono rag-giungibili seguendo il sentiero SAT n° 336che parte dal Rifugio Grosté G. Graffer.

    Dopo un facile e breve percorso, supe-rate delle balze rocciose, si entra in una con-ca (circolo di origine glaciale) coperta dizolle erbose e tempestato da frammentirocciosi franati dalle pareti dolomitichesoprastanti. I massi, di grandi dimensioni,

    sono questi interamente costituiti da formedi animali marini fossilizzati.

    In grande prevalenza appartengono allaspecie dei bivalvi i lamellibranchi (megalo-don) chiaramente riconoscibili nelle loropiù dettagliate caratteristiche strutturali,custoditi in scrigni indistruttibili, testimo-nianze straordinarie della vita sottomarinadi 200 milioni di anni fa. Sul tappeto verdee dalle fessure rocciose spuntano erbe e fioridi grande varietà e pregio. Da un rilevamen-to eseguito in quellarea da esperti botaniciin una unica passata, e quindi probabilmen-te incompleta, sono state accertate comepresenti le seguenti specie:

    Leontopodium alpinum - Papaver rhaeticum - Alliumsibiricum - Valeriana supina - Artemisia nitida - Daphnestriata - Nigritella nigra - Nigritella rubra - Trollius euro-paeus - Soldanella alpina - Gentiana sspl. - Armeria alpina- Silene acaulis - Aster alpinum - Senecio doronicum - Saxi-fraga oppositifolia - Geum montanum - Clematis alpina - Al-chitella clavenae - Pulsatilla alpina - Doronicum grandiflo-

    rum - Vaccinium uliginosum - Poten-tilla nitida

    Gli orti della Regina co-stituiscono un regale or-to botanico alpino, spon-taneo e incontaminato, rac-chiuso in un sito ecologicostraordinario, che va offer-to alla conoscenza ed al ri-spettoso godimento di tuttie frequentatori di questezone privilegiate del Parco,occasionalmente visitataanche da un innocuo e sim-patico ospite deccezione:lorso bruno.

    Gli orti della Regina, un Museo allapertodi Elio Caola

    Masso dolomitico costituito da forme di animali marini bivalvi fossilizzati (fotoElio Caola, 2002)

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    Una breve estate quella del 2005, comenoi tutti labbiamo vissuta, tra le biz-ze della meteo e i danni causati dalluomoa madre natura. Le ferie, per fortuna, esi-stono ancora anche se non ci si può piùpermettere tre settimane a Jesolo come sifaceva da bambini, con il papà alla guidadella vecchia Cinquecento, che impiegavaventi minuti per superare una fila di tre au-totreni. Non è che ora la situazione sia poimigliorata molto visto che la nostra FiatTipo, che sfreccia verso le Calanques diMarsiglia, conta già sedici primavere e cicostringe a viaggiare costantemente nellacorsia lenta. Ma per noi ormai lestate ètale solo se cè anche il mare, quello belloe obbligatoriamente con qualche via lun-ga dove arrampicare. Questanno iniziamola serie di vacanze toccata e fuga a mag-gio, con la visione veramente unica dellagola di En Vau, nelle Calanques di Marsi-glia, nella Francia del sud. Un terreno digioco veramente immenso con un ambien-te stupendo; i bianchi torrioni calcarei, cheformano le frastagliate spalle di un grande

    La breve estateAlcune proposte per serene arrampicate marine

    di Matteo Campolongo (Sezione SAT Mori)

    Pini Larici ultrasecolari sovrastati dalla mole del Pic Lom-barduccio, Alta Valle Restonica, Corsica, Francia. Luglio2005

    La via Sirene Liautard, 100 m, 5a

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    altipiano carsico, cadono a perpendicolonellazzurro del mare mediterraneo. Io eEdoardo abbiamo solo quattro giorni e unasalita al dì ci basta, visto che i gradi sonoabbastanza stretti; non per niente molte vieportano il nome di Gorge Livanos (1923-2004). Qui il drago, come era chiamatoin dolomiti, era di casa. Con questi pre-supposti la nostra coscienza di arrampica-

    tori medi è serena, anchementre facciamo i turisticon la tipiche baghettesotto lascella sudata. Èusanza portarle così.

    Come al solito tornia-mo al lavoro più stanchi diprima ma di lì a poco il ri-chiamo del mare si fa pre-potente.

    Ed ecco a giugno, neisoliti quattro giorni cano-nici, io e Giorgio arranca-re sotto il caldo sole diChiessi, allIsola dElba,

    sullerto sentiero che porta alla base delMonte S. Bartolomeo. È tradizione ormaiche a giugno lappuntamento sia su que-sto bel panettone granitico, per salire unavia di più tiri. Infatti questa è lunica pare-te dellisola di un certo sviluppo, dove sipuò praticare una sorta di arrampicata inambiente. Assolutamente nulla di estremoma la vista del mare, seicento metri più

    sotto, e delle Isole di Mon-tecristo e Pianosa, da solagiustifica una visitina. Conassenza di foschia è consi-gliabile attardarsi sulla co-moda cima per gustarsilimpareggiabile tramonto,con le vette innevate dellaCorsica in lontananza.Scendendo dal monte dinotte, memorabile rimanelo spavento causatoci da unenorme cinghiale uscitosullangusto sentiero daicespugli laterali: per allon-tanarlo ci ritroviamo en-Calanques Den Vau, Marsiglia, Francia, maggio 2005

    La via Gigli Martagoni, 200 m, 5a, al Monte S. Bartolomeo, Isola d Elba

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    trambi a grugnire in modoinconsulto, con le faccestravolte e le gambe molli.Il tempo vola e si torna inTrentino.

    La Corsica! La sola vi-sta da lontano mi mettenostalgia e così, dopo unaltro mesetto di lavoro, aluglio, riesco a convincereFranco, ghiacciatore sfega-tato, a seguirmi su Kalliste,lisola della bellezza per gliantichi greci. Come smen-tirli! Infatti, anche se allini-zio il buon Franco si era letteralmente im-barcato per accontentarmi e smettere con-seguentemente di sentire ogni anno la stes-sa assillante proposta estiva, poi si è dovu-to positivamente ricredere. La vecchiaTipo ci ha scorazzati in giro per cinquegiorni sulle ardite stradine corse e ci ha per-messo di concatenare alcune belle vie lun-ghe, su di un granito da fa-vola, nei profumi tipici del-la macchia mediterranea.Forse la via più estetica del-la serie è stata la via Sym-phonie dautomne, chesale uno sperone diretta-mente sopra il lago di Ca-pitello, a 1700 m di quota.In chiusura, ogni sera, unaottima birra corsa.

    Ferragosto 2005. Io edEdoardo reputavamo cheforse a Paklenica, in Croa-zia, sarebbe stato troppo

    Lago di Capitello in Corsica, la via Symphonie dautomne, 200 m, 6a

    Franco con il sole inverso sul granito di Corsica, Francia, luglio 2005

    afoso per arrampicare. Eccome no! Giun-ti lì abbiamo dovuto tirare fuori anche imaglioni pesanti e penso che, dei ferrago-sti degli ultimi 100 anni, questo sia statolunico con una settimana di pioggia, an-che poco sopra Spalato ed in pieno medi-terraneo. Forse i Balcani hanno fatto la loroparte, fatto sta che in questi canonici quat-

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    tro giorni la paretona dellAnika Kuk, perla quale eravamo giunti fin qui, risulta pres-soché impraticabile. Ci accontentiamo dialcune vie sui 150 metri nella parte bassadella valle, quella più comoda per even-tuali fughe sotto la pioggia. Queste comun-que ci fanno ampiamente apprezzare unaroccia calcarea compatta e lavorata, comela si trova in pochi posti in Europa. In al-cuni tratti un eventuale caduta accidentalesu queste lame taglienti formate dai cam-

    Pakleni ca ,C r o a z i a .Pa s s a g g i oBoulder di7c, a testa ingiù. (Formicarufa adibitaalla difesa delformicaio)

    Paklenica, Croazia, via Armadillon sul Kuk od Skardelin, 120 m, 6a

    Lame pocorassicurantisul l ot t imocalcare, Cro-azia, agosto2005

    pi careggiati(fenomeni carsici di superfi-cie causati dallazione chimico-fisica del-lacqua sulle rocce calcaree) avrebbe comeconseguenze il tagliuzzamento del mal-capitato e probabilmente la rottura dellacorda di sicurezza. Ciò non toglie che que-sto sia, per la qualità della roccia, un au-tentico paradiso per larrampicata; ed in piùcè il mare a farla da padrone, appena fuo-ri dalla gola di Paklenica. Linterno inveceè tutelato da un parco naturale, che oltre aproteggere le notevoli ricchezze ambien-

    tali, sembra fungere da volano per unau-spicata ripresa economica della zona, uscitasolo dieci anni fa da una assurda guerra

    fratricida.È si, la breve estate è

    volata e la voglia di sole emare rimane. Ora giunge-rà linverno e noi, da braveformichine scenderemodai sogni ed inizieremo adaffilare le becche delle pic-cozze e le lamine degli sci,per esser pronti a coglierei frutti che questa nostrabella terra trentina ci offri-rà con il gelo. Però, maga-ri, una puntatina a finemarzo con le pelli di focasul Monte Cinto, 2706 m,in mezzo alla Corsica

    magari, forse. Lavventura continua ma ov-viamente

    Ferie a rate!

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    Tra le più belle montagne della nostraregione vi sono certamente quelle cal-caree e dolomitiche. Le loro forme slan-ciate, i pinnacoli, le grandi pareti offronovedute indimenticabili. Queste zone risul-tano però interessanti anche su una scaladiversa, più piccola, attenta al dettaglio.Affascinanti aspetti si possono infatti tro-vare nei fenomeni dovuti al carsismo e alladissoluzione delle rocce.

    Ci soffermeremo oggi sulle strutture -

    appariscenti ma spesso trascurate - in cuici possiamo imbattere nel corso di unaescursione nel Gruppo di Brenta. Sonopiccole ma belle, talora artistiche e senzadubbio assai degne di attenzione e studio,soprattutto per linsolito meccanismo re-sponsabile della loro formazione.

    Diamo innanzitutto una definizione:con carsismo si intende quellinsieme difenomeni di corrosione chimica provoca-ta dalle acque piovane su rocce che risul-

    Il taccuino di Ulisse: rocce dartedi Michele Azzali e Mirco Elena

    Il pendio piuttosto erto che porta al pianoro da cui si eleva lo spuntone roccioso del Croz dellAltissimo. Molte delle roccesono modellate dalla dissoluzione, come si vede in particolare nella fascia pietrosa posta più in basso, poco sotto il laricepresente al centro dellimmagine, dove si notano le cosiddette docce carsiche. (Foto Mirco Elena)

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    tano solubili, quali quelle contenenti car-bonato di calcio (calcari, dolomie, marne),gessi e depositi salini. Come è noto, il ter-mine carsismo deriva dal Carso, cioè daquella zona delle Alpi orientali compresatra lIsonzo e il golfo del Quarnaro e chesi estende principalmente in Slovenia eCroazia e solo in piccola parte in territo-rio italiano, nel Friuli Venezia Giulia, e cheè particolarmente ricca di tali fenomeni.

    Ma come nascono indettaglio le grotte e le altreforme (doline, campi car-reggiati, crepacci, canalet-te, solchi e scanalature, va-schette, clessidre, ponticellinaturali, ecc.) tipiche delcarsismo? Il fenomeno èdovuto alla debole aciditàche caratterizza lacqua incui si trovi dissolta dellani-dride carbonica (CO2).Dato che questa è semprepresente nellaria, ne risul-ta inevitabilmente che lac-qua piovana contiene CO2.La quantità è variabile ed èinfluenzata da fattori comeil tempo di permanenza inaria delle gocce, la tempe-ratura (tanto più questa èbassa, tanto maggiore ri-sulta il contenuto di gas inessa solubile), ecc. Capia-mo quindi che in ogni casolacqua piovana è sempreun po acida. Quando que-sta bagna il carbonato dicalcio, che di per sé è inso-lubile, esso viene trasfor-

    mato in bicarbonato, che facilmente si scio-glie e viene asportato dallo scorrere del li-quido. È ovvio che i processi di dissolu-zione delle rocce chimicamente attaccabi-li sono lenti, essendo molto bassa laciditàdellacqua, alta la resistenza delle rocce erelativamente breve il tempo di contatto.Il loro effetto si rende visibile solo dopolunghi periodi di tempo, che tuttavia nonmancano certamente nellambito dei feno-

    Larea ondulata, ma grosso modo pianeggiante, che si trova alla base del cornoroccioso del Croz dellAltissimo, presenta numerosi ed ampie distese a campicarreggiati e superfici rocciose incise pesantemente dalla dissoluzione carsica. Lungoil sentiero che dal Rif. Montanara porta alla cima del Croz dellAltissimo (352bis). (Foto Mirco Elena)

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    meni geologici. Ma le rocce, ovviamente,non sono tutte ugualmente soggette alladissoluzione da parte dellacqua acida: inparticolare, le rocce dolomitiche, comequelle del gruppo di Brenta, sono addirit-tura venti volte meno solubili dei calcari.Nel massiccio montuoso che svetta traAndalo e Campiglio non possiamo quindiattenderci di trovare grandi e frequentistrutture come nel Carso. Tuttavia vi sonoalcune grotte (presumibilmente formatesisolo per la preesistente presenza di nume-rose fratture nella roccia e di corsi dacquasotterranei piuttosto importanti), varie de-pressioni doliniformi (tra le più cospicue:Pozza Tramontana, Pozza di val Nardìs,Pozzol di Tuenno), numerosi crepacci ecampi carreggiati, costituiti da uninfinità dimicroforme dovute alla dissoluzione dellaroccia su superfici inclinate (siano essegrandi e regolari strati o più semplicementemassi) come le scanalature, le vaschette, iponticelli, le clessidre, e tante altre struttu-re che paiono il risultato di una fine operadi decorazione artistica di questi blocchirocciosi, più che il prodotto di fenomeninaturali. Il modo più semplice per incon-trare talune di queste strutture è di fareunescursione nelle zone adatte; alcune diqueste richiedono un certo impegno, do-vendosi recare in quota e fare una lungacamminata di tutto un giorno o buonaparte di esso; altre si possono effettuareanche in un tempo assai limitato, essendotalora in vicinanza del fondo valle e addi-rittura avvicinabili fino a poca distanza inautomobile. Una distesa a campi carreggiatimolto bella ed estesa si trova in prossimitàdel Rifugio Tuckett, poco a sinistra (a nord)salendo lungo il sentiero 317. Giunti pra-

    ticamente in vista del rifugio, si lascia ilsentiero (che compie un breve aggiramentosulla destra) e si punta diritti verso ledifi-cio, superando alcuni gradini e lastronirocciosi. Ci si trova in breve su una distesarocciosa intagliata da lunghe spaccature;alcune sono strette e poco profonde, men-tre altre hanno dimensioni più rilevanti,richiedendo talora la ricerca del punto mi-gliore per superarle.

    Anche poco distante, sullaltopiano delGrosté, a monte del rifugio Graffer, lungoil percorso del sentiero Benini (numero 305nel catasto SAT), si trovano vari fenomenicarsici e paracarsici meritevoli di osserva-zione, come, per citare anche un esempiosul lato est del gruppo, quelli lungo il sen-tiero 325, poco sotto il Rifugio Agostini.

    Alcuni crepacci rocciosi veramentenotevoli si trovano lungo il sentiero 352b,che dal Rifugio Montanara porta alla cimadel Croz dellAltissimo. Giunti sul penul-timo ripiano prima di giungere sulla vetta,alla base di un erto pendio ricco di affio-ramenti rocciosi, si attraversa una zona at-traversata da alcune spaccature, profondediversi metri e di diversa larghezza. Sul lorofondo si conserva la neve fino a stagioneinoltrata (peccato che talune siano stateutilizzate come discarica per ogni genere

    Dolina: una conca chiusa, che si riempirebbedacqua se le pareti ed il fondo fossero imper-meabili; lacqua invece viene assorbita attra-verso vie sotterranee, il cui ingresso è in gene-re mascherato da terriccio o detrito.Può avere la forma di un grosso piatto, di unascodella, di un imbuto o di un pozzo. Il dia-metro può variare da 10 a 1000 m e la profon-dità da 2 a 200 m.

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    di immondizia, da parte di poco correttialpinisti). Tutte le rocce circostanti, an-che sopra o sotto il ripiano, se osservatecon attenzione, presentano belle strutturecarsiche, in particolare solchi (talora carat-terizzati da una certa sinuosità), depressionie altre cesellature molto artistiche. Toc-cando con la mano alcune delle creste chedelimitano i solchi ci si renderà conto diquanto siano aguzze, quasi taglienti. Lasuperficie della roccia sottoposta a disso-luzione è comunque ruvida e con piccole

    irregolarità, il che garantisce una grandio-sa tenuta agli scarponi. In alcuni punti diquesta zona bisogna anche fare attenzio-ne, specie se si è accompagnati da bambi-ni, alla presenza di profondi, stretti e ver-ticali buchi, assolutamente non segnalati.Unindicazione che lì il carsismo è giuntoad una fase più avanzata di sviluppo.

    Fenomeni del tipo di quelli che stiamotrattando sono infine facilmente visibilianche alle propaggini del Brenta e specifi-camente in diversi punti del Sentiero Ge-

    ologico Stoppani, che col-lega le varie marmitte diorigine glaciale nella zonadi Vezzano (v. BollettinoSAT nº 2 2005). In parti-colare vicino al Pozzo diSan Valentino molte roccesono decorate in modoevidente dai fenomeni didissoluzione. Con una bre-ve camminata è possibileritrovare i segni prodottinel corso di secoli e mil-lenni dal modesto e inco-spicuo fluire dellacqua sul-le superfici dei massi e dellepietre. Sorprende che il ri-sultato finale di un proces-so così casuale e anonimosia così piacevole ed este-ticamente soddisfacente.Un caso che dimostra unavolta di più come, tra cieloe terra, vi siano caratteri-stiche notevoli in misuraassai maggiore di quanto lafantasia delluomo avrebbemai potuto immaginare.

    Grande crepaccio, lungo varie decine di metri e profondo diversi metri, ancoraparzialmente riempito dalla neve invernale, in una zona pianeggiante lungo ilsentiero 352 bis. (Foto Mirco Elena)

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    Sono solite trascorrere le loro estati inval di Sella Anita ed Assunta. Le hoincontrate qualche volta alla Lanzola op-pure indaffarate a passeggiare serena-mente fra i faggi che orlano i prati dellavalle. Con Anita, sempre sorridente edaperta al dialogo, ho effettuato anche qual-che escursione ed ho avuto quindi mododi conversare più frequentemente. Parla-vamo dei Lagorai, degli amici comuni edelle cose della vita.

    Sapevo che allinizio degli anni cinquan-ta era solita frequentare lambiente satinodi Trento e che aveva stretto amicizia coiBoci della SAT, col gruppo degli arrampi-catori autonomi, e soprattutto, con gliuniversitari della Susat. Fra loro, Franco,Giordano, Berto, Roger ma anche Mariet-to, Carlo e tanti, tanti altri ancora. Sapevo,inoltre, che in gioventù Anita ed Assuntaavevano vissuto una tragica esperienza sulleAlpi occidentali e che ne erano uscitevive soltanto per miracolo. Di quellepi-sodio, però, non avevo avuto che notiziedi terza mano. Anita non me ne aveva maiparlato e, tantomeno, Assunta.

    Conobbi invece i particolari di quel-levento solo qualche anno fa, leggendo illibro di Franco Giovannini Arrampicare erail massimo. Con un balzo allindietro di ol-tre quarantanni, lautore infatti ritornavaa quei giorni lontani:

    sento la radio che racconta di alpinisti di-spersi sul monte Rosa e delle squadre che li stan-no cercando. Allinizio mi pare una storia nor-

    male, di quelle che succedono continuamente inestate, però un tale mi fa segno di un giornale chesta riportando la notizia. Lo apro e il titolo è giàuna condanna perché parla di Trentini inchioda-ti da giorni sulla Signal e delle voci di due ragaz-ze, mentre non si sente quella delluomo, che do-vrebbe essere insieme a loro. Anche la data corri-sponde perché sono su da 4 giorni, però il mal-tempo ha impedito le ricerche. Rimango lì senzapotermi muovere; mi sembra di leggere il mio ne-crologio.Intanto la gente parla. [] Mille domande; peròlunica cosa è correre a vedere sul posto. Correredove? Il giornale parlava di Macugnaga. []

    28 agosto 1955: tre trentini dispersi sul Rosadi Franco Gioppi

    Giordano Pedrotti

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    Mi sorpassa unautomobile, vedo che è targataTrento. Alzo il braccio e si ferma. Scendono intre, due sono i fratelli delle ragazze. Ne sannomeno di me [] Parlano di un telegramma arri-vato alla SAT a Trento, ma solo per avvertireche probabilmente cerano degli alpinisti incroda-ti. Ripartiamo subito.Finalmente arrivo a Macugnaga, in piazza vedoil Mario e lAldina, i genitori di Giordano: ciabbracciamo. Loro mi ripetono la storia del gior-nale, che la squadra di soccorso è su da due gior-ni, che forse il Dano è ferito, che non sanno nien-te. Mi pare che non vogliano sapere e capire. Vadoal CAI e mi presento. In quel momento cè unaradio che chiama e un tale dice che sono arrivatiin cima, alla Capanna Margherita, che final-mente sono fuori tutti; sento anche la voce del-lAssunta che conferma di stare bene. I genitorisono ancora in piazza. Tento di farmi spiegare.Il primo giorno il Dano e le ragazze erano salitialla capanna Resegotti sotto la Signal.Il mattino seguente il tempo era brutto e loro ave-vano aspettato fino alle 8 prima di partire. Nel-la capanna non cera nessuno e sul libro avevanoscritto i loro nomi, litinerario e lora di parten-za. Verso mezzogiorno erano arrivati su daMacugnaga due ragazzi che si erano poi spintisin sotto lo spigolo, che era sempre avvolto dallenuvole. Qui avevano sentito la voce di due ragaz-ze che gridavano aiuto.Di ritorno a Macugnaga avevano dato lallar-me. La prima squadra era salita il giorno dopoma il tempo li aveva fermati. Allora avevanodeciso di fare il giro da Alagna ed erano discesidalla cima. Adesso erano risalti insieme allaCapanna Margherita ed era tutto finito.Il Giordano non cera, probabilmente era cadutoe per questo le ragazze si erano fermate. La ra-dio non aveva trasmesso altro. Esco e incomin-ciamo a parlare: le ragazze sono salve, manca il

    Dano, domani scendono ad Alagna e noi andre-mo lì a incontrarle, chissà se è caduto, forse èdisperso. I genitori continuano a chiedere e cèsempre un filo di speranza nella loro voce, perchéIl Giordano è forte, stava via giornate intere an-che da solo, magari è in qualche buco per riparar-si dal freddo, domani sapremo tutto dalle ragaz-ze. [] Nel frattempo arriva la notte e vado incanonica dove trovo tutti che parlano di altre cose,chissà come fanno. Dopo recitiamo il rosario eviene anche altra gente, come se sapessero cosa èsuccesso.La mia notte è piena di incubi e continuo a sve-gliarmi. I minuti sembrano ore come quando sibivacca sul difficile e sei sempre lì che scruti loro-logio, ogni quarto dora.La mattina, dopo la messa, partiamo: piovvigi-na e fa freddo. Arriviamo ad Alagna che è quasimezzogiorno. Cè gente che ci aspetta e ripete lasolita storia. Prendiamo una seggiovia che do-vrebbe portarci su, incontro alle ragazze. Arri-vato in cima mi avvio. Dopo un poco vedo ungruppo di persone, cè anche lAssunta e lAnita,stanno scendendo a salti. Mi fermo a guardarle emi sembra di vedere anche un pezzo del mio amicoche non può non esserci se erano tutti insieme.LAssunta mi vede e mi chiama, allora ci ab-bracciamo. Io finalmente incomincio a piangere,piangiamo tutti e tre ma piano, cercando di al-lontanarci in cerca di un nascondiglio.Loro due stanno bene, non faceva troppo freddo eerano su una cengia abbastanza larga. Potevanoanche mangiare. Avevano sbagliato via e pensa-vano di dovere salire diritti, su per un diedro li-scio. Il Giordano era passato, però non era tantoconvinto e voleva vedere come si poteva prosegui-re. Cera anche molta foschia e non riuscivano acapire come muoversi. Allora, prima di far salirele ragazze, lui si era slegato ed aveva provato adandare avanti da solo. Loro, dal basso, non lo

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    vedevano. Dopo un poco forse aveva capito di aversbagliato e aveva deciso di discendere.In quellattimo era volato e lo avevano visto cade-re. Avevano visto passare unombra con un sof-fio daria. Allora si erano messe a gridare. Cera-no le nuvole basse e non si vedeva niente; lariaera calma. Dopo qualche ora avevano sentito unavoce lontana, in basso. Forse qualcuno le avevasentite e cercava di rispondere ai loro richiami.Più tardi era cominciato a nevicare; non riusci-vano più a muoversi. Erano anche senza corda.Avevano organizzato quel piccolo spazio comeun bivacco ed era incominciata la lunga attesa.Nei giorni successivi sentivano ogni tanto dellevoci, a volte avevano anche visto dei soccorritori,vicinissimi, a dieci metri. Però era notte e nonpoteva essere; erano solo sogni o allucinazioni.[] Il giorno dopo andiamo su con una squa-dra fino alla capanna e la mattina successivaarriviamo fino sul ghiacciaio, sotto la cresta dellaSignal. Col binocolo riesco a trovare la corda chepenzola dal terrazzino. Dovrebbe essere volatoproprio da quel punto. Mi metto a frugare quellalinea verticale, metro per metro, ma il binocolonon trova niente. Ci spostiamo e facciamo il girodel ghiacciaio. Ci saranno mille crepacci, alcunienormi. [] Ad Alagna, la sera arriva il Bertocol Cesare e il Pietro. Sono come matti e mi chie-dono tutto. Racconto quello che so e il Cesare diceche bisogna salire dal basso, dal ghiacciaio lungola linea di caduta perché il Dano si è sicuramentefermato su qualche cengia. [] Partiranno lamattina dopo. []Alla fine tutto sarà inutile, il mio girare per ilghiacciaio, la ricerca del Berto e del Cesare, quel-la col rilevatore magnetico e il grande lavoro delleguide. Tutto inutile per ritrovare il Dano ma chesollievo quellimpegno, quel frugare in tutti gliangoli sempre lì vicino, sapendo che lui era nasco-sto da qualche parte e che probabilmente ti vede-

    va. Noi non potremo ritornare a trovarlo come sifa con quelli che sono al cimitero, ma almeno sap-piamo che è sepolto in quellenorme catino biancoche si illumina tutte le mattine di rosa, allalbaquando nasce il sole. E se anche solo una centesi-ma parte di quanto abbiamo sempre discusso sulvalore della montagna è vero, allora il Giordanosarebbe sepolto nel più bel cimitero che cè almondo.

    È trascorso mezzo secolo da quei dram-matici, luttuosi giorni.

    Le ragazze trentine disperse sul Rosasono ormai nonne e talune delle guide cheparteciparono ai soccorsi hanno lasciatodefinitivamente questa terra.

    Giordano Pedrotti non è stato mai piùritrovato, ma non per questo dimenticatodagli amici più cari. Alcuni mesi fa, infatti,Anita Girardelli ed Assunta Simoni han-no voluto ricordarlo e, nelloccasione, riab-bracciare i volontari cui debbono la vita.Si sono quindi incontrate con loro in unabreve cerimonia di commemorazione or-ganizzata dalla Stazione Soccorso Alpinodi Macugnaga dove erano presenti ancheGiuseppe Oberto e Cesarino Ruppen che,primi fra tutti, le trassero in salvo dalla cen-gia della Signal laddove erano rimaste bloc-cate, a meno di unora di cammino dallacapanna Regina Margherita - m. 4559.

    Con Carlo Lanti e Walter Berardi delSoccorso, il coro Monte Rosa e linsepa-rabile amico Franco Giovannini si sonoquindi recate al cimitero di Chiesa Vecchia.Lì, una lapide ricorda il Dano, un giovanetrentino di appena 24 anni che riposa tremila metri più in alto, nel Campo Santopiù bello del mondo, fra cristalli verda-stri e colossali paesaggi immacolati.

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    Non appaia fuori luogo questa insisten-za sulla Val Jumela. Le affermazio-ni di fine settembre 2005 del quotidianolAdige, La Val Jumela è tornata verde sia-mo solo stati indotti in un´errata valutazione dalbollettino della Sat e degli impiantisti Per-ché ci si ostina a non voler riconoscere che l´ im-patto visivo in val Jumela è veramente modesto,anche al limite della riconoscibilità e inoltre in viadi ulteriore attenuazione?1 non ci hanno la-sciato altra strada se non quella di una ve-rifica dellanalisi condotta nei mesi prece-denti. Non insistiamo perché permalosi operché non vogliamo riconoscere la real-tà. Siamo stati seri e rigorosi in luglio, losiamo stati anche in settembre. Seri, per-chè non abbiamo voluto fare alcun tipo dipolemica, rigorosi perché la nostra analisinon è il frutto di una visita affrettata, di

    una sensazione, di uno sguardo dallalto.Tuttaltro: lo studio è stato sottoposto arevisione da parte di tecnici e professioni-sti esterni alla commissione, trovando ap-prezzamento per il metodo e laccuratez-za. Qui presentiamo una sintesi di un do-cumento che potete scaricare per intero dalsito SAT. Possiamo molto brevemente af-fermare che da luglio a settembre la situa-zione si è modificata in senso positivo inalcuni punti, ben individuati. Permango-no invece, in parecchie aree, situazioni pro-blematiche per la riuscita degli inerbimen-ti, per lattecchimento delle zolle, per la in-stabilità di tipo idrogeologico superficialerelativa alla cotica e al terreno sulle qualilattenzione deve essere massima.

    Non ignoriamo come la società impian-tistica abbia operato, nel tentativo di mini-

    Val Giumelaa cura della Commissione Tutela Ambiente Montano

    Associazioni vegetali,specie arbustive, ende-mismi e relitti botani-ci fanno della torbierae dellintera valle unoscrigno di biodiversitàfloristica unico.I pascoli sono un in-cantevole giardino er-boso frutto delle seco-lari fatiche degli alpi-giani fassani, testimo-nianza di una culturaalpina da preservareper le generazioni fu-ture. (Boll. SAT 2/2000)

    Sella del Brunech 2003 - Ai tempi in cui la val Jumela suscitava forti emozioni.

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    Sella del Brunech, luglio2005Passato il primo in-verno dalla realizza-zione del collegamen-to sciistico, nel pienorigoglio vegetativo, lavalle si presenta conlevidentissima tracciadelle alterazioni sullacotica erbosa e delmodellamento delterreno. La teoria deitralicci segna il ver-sante destro della val-le. Sullo sfondo le sta-zioni di arrivo. Lin-canto è svanito.

    Sella del Brunech, 24 set-tembre 2005

    Uno sguardo dallaltocoglie il verde chiazza-to delle semine che siallarga al di là del trac-ciato della pista men-tre intorno la vegeta-zione si prepara allin-verno. Restano traccemeno evidenti, mascendendo e verifican-do sulle piste gli effettidellintervento, ci ac-corgiamo che i proble-mi rimarcati a lugliosono ancora presenti.

    mizzare gli impatti, con una cura ed unimpegno non riscontrabili in altre gestio-ni ed altre situazioni, una fra tutte lareadella Paganella, per non parlare di Marmo-lada. Nello stesso tempo però non igno-riamo come le caratteristiche stazionali edambientali in cui si colloca lintervento si-ano delicatissime. Le alterazioni ci sono

    state, sono visibili, i ripristini richiederan-no tempi e sforzi notevoli. Se linteressedi tutti è che il prezzo da pagare in terminidi modifica del territorio montano sia ilminore possibile, la SAT offre questo do-cumento, frutto di attenzione, conoscen-za e amore per la montagna, come contri-buto, per quanto critico. Nella speranza che

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    come tale venga accolto nelle sedi op-portune.Nel caso in esame possiamo dire che:- con gli interventi di costruzione di piste

    ed infrastrutture si è verificato un forteimpatto di tipo paesaggistico ed ambien-tale che ha modificato il quadro origina-rio della valle. Non poteva essere altri-menti.Da qui la nostra opposizione a tuttaloperazione del collegamento.

    - Da luglio a settembre la situazione si èmodificata in senso positivo in alcunipunti, ben indi