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Prima silloge poetica (2009)

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Poesie al proscenio

01/01/2009

Franco Pucci

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Questo mio primo libro è dedicato a Conny, moglie e compagna di tutti questi anni.

Senza di lei, senza il suo sprone,

probabilmente non sarebbe mai nato.

Ora è qui e le parole che lo riempiono asfaltano il primo tratto di strada di un viaggio

che si prospetta per tanti versi nuovo e affascinante

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A Conny dedicata a mia moglie a te che ami il sole e il profumo del mare a te che sorridi sempre sapendo perdonare a te che la vita ha tolto tanto e poi ti ha dato che sempre hai creduto il domani fortunato a te che ogni giorno è un giorno di vita piena a te vorrei donare una notte serena così per compensare quel tanto che è mancato amando anche l’uomo che spesso ha sbagliato a te che mentre dormi sogni bimbi nella cuna a te voglio donare stanotte la mia luna

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A due dita dal cielo alzavo lo sguardo e il cielo toccavo e mi sorrideva col suo azzurro e sognavo due piccole stanze, un balcone sul mondo di amici e di voci un gran girotondo la sola presenza di lei nella stanza tingeva il mio cielo, ridava importanza al piccolo spazio che avevo dintorno di colpo la notte brillava di giorno dalla finestra sui tetti filtrando il sole scaldava due cuori spiando io e te abbracciati così senza velo scoprendo l’amore a due dita dal cielo

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Acidamente perdersi nelle more di un girovagare inutile come anime rinsecchite dal dolore viaggiando coi pensieri corrosi da acidi facili ricerchi qualcuno che non ti somigli visi stravolti da specchi deformanti nel circo ti invitano ad un ballo che non ha mai fine scivoli piano il nirvana che cerchi non trovi nel sesso nascondi il tuo viso bambino la chiave per uscire dal labirinto è lì vicino ma non vuoi vederla non arrivi al mattino

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Agata dedicata alla mia nipotina Agata Il vecchio seduto al sole del parco scaldava i ricordi e il cuore un po’ stanco mentre lo sguardo vagava lontano struggente il rimpianto cresceva pian piano dammi la mano… cercava scavando la ragione profonda della tristezza che spesso circonda i vecchi che stanchi sul far della sera ritornano sempre ad una primavera passata, vissuta e forse tradita dalla fretta bastarda di vivere la vita ingoiando l’amore, il tempo e i sogni inseguendo da idioti falsi bisogni dammi la mano… così i pensieri chiudevano porte a nuove emozioni presenti e mai morte e mentre il vecchio sommesso piangeva la bimba felice nel sole correva dimmi il tuo nome e la bimba radiosa disse: io sono una pietra preziosa che posta sul cuore di un vecchio al mattino felice gli mostra un nuovo cammino dammi la mano… dammi la mano e stringila forte con me si apriranno di nuovo le porte che il gelo del tempo aveva serrato e la voglia di amare aveva fermato

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Amore in briciole avanzi d’amore come pane raffermo sparsi sul letto noiosi graffianti resti di un rito pagano briciole mani fameliche ancora inseguono insaziate testimoni scaglie di un pasto consumato in fretta briciole scorie che mani stizzite spazzano e sapienti ora imbandiscono una nuova tavola ho fame ancora

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Baci baci che stanchi di esser baciati baci che mandi e mai più ritornati baci che come carezze d’amore baci che a volte leniscon dolore baci che sogni più volte nel sogno baci che proprio non avevi bisogno baci che alibi sembra perfetto baci che apron le porte del letto baci che acerbi vorresti maturi baci che pensi speriamo che duri baci in silenzio così puoi tacere senza parole non sai cosa dire baci

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Basta un sasso un sassolino ben levigato pezzettini di vetro colorato che il mare di tanto in tanto regala col suo movimento prezioso tesoro nascosto di infanzia trascorsa al sole la spiaggia piena d’agosto ti accoglieva senza parole desideri e voglie assolute di giochi e libertà agognate, così tardi ahimè conquistate e poi lentamente perdute sensazioni, ricordi, rumore come mare quando tempesta ora tornano, affollano il cuore si inseguono, battono in testa la mano che stringe il tesoro sepolto tra i ricordi di ieri ritrovato chissà tra i pensieri prezioso e lucente come oro dischiude il pugno pian piano ma poi, improvviso destino si serra e scaglia lontano con forza quel suo sassolino

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C’è tempo e tempo dedicata alle genti d’Abruzzo tempo che si ferma di notte all’improvviso tempo che in un attimo ha distrutto un sorriso tempo che neanche più il sangue nelle vene tempo che nel cuore ha inflitto grandi pene tempo che la terra ha gridato il suo potere tempo che all’uomo ha imposto il suo volere tempo che vendetta del suolo insultato tempo che pretende le scuse al creato tempo che pregare vuol dire confessione tempo che qualcuno ne faccia ammissione tempo che del profitto ognuno faccia senza tempo che è ora di avere una coscienza tempo infine a noi per lenire questo strazio tempo non di parole ma di azioni in silenzio é tempo

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Chiaroscuro Spegni la luce. Ogni volta il buio, angosciante, soffocante buio. Tachicardia, asfissia incipiente, ascolto me stesso annaspare. Luce, torna la luce. Accecante, bianca, disegna contorni di mondi a me straniati rivela inganni di amori comprati. Spegni la luce. Ogni volta il buio, angosciante, soffocante buio. Luce, torna la luce. Vorrei dormire.

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Cicatrici luce accecante dolore lancinante di lama di coltello lucida sensazione di anima come velo strappato emozioni che ingombrano la mente la tua presenza il tuo viavai nei sentieri del mio cuore percorsi lievi lasciano orme pesanti come tracce di sangue rappreso ferite di un giovane amore non speso presenza lontana di ricordi scordati dolore che torna lenito dal tempo di un amore compiuto

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Coriandoli Ti sorprendi a pensare che è tutta una farsa così per giustificare la tua debolezza la tua paura di fronte alla sentenza che fa di te non più attore ma comparsa. E reciti di nuovo, stavolta la parte è breve lo show è corto e non c’è compenso reciti gratis ma ti impegni come chi deve saldare il debito col tempo trascorso. Assisti impaziente alla messa in scena dell’ultimo spettacolo: il teatro è vuoto spettatore e comparsa ti si vede appena eppure tu sei lì, un guitto poco noto. Ancora una battuta, una frase detta male scatena la critica, ferisce la Signora di colpo lei ti accusa: non hai capito ancora il tempo non perdona non è Carnevale.

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Così o cosà? Oggi che sono un po’ così ho deciso che non sarò cosà non sarò come vorrebbe chi non rispetta la mia dignità. Non sarò ogni giorno il fesso il diletto di ogni cretino che ti parla e interroga spesso con il fare da ragazzino. Oggi che sono un po’ così ho deciso che non partirò quel viaggio agognato sin qui è scaduto e non lo farò. Non andrò là dove il mondo da rifugio a chi ancora non sa che viaggiare nel buio profondo porta a galla la tua identità. oggi che sono un po’ così ho deciso, non sarò cosà

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Datemi tempo se mai rinascerò voglio avere il tempo qui ai miei piedi pronto al mio comando fermati! Vai! e quello obbedendo cambia la vita mia così in un lampo padrone del tempo potrei quando mi pare mutare il mio pensiero gli altri strabiliare conquistare fama e donne potere assoluto ma forse tutto questo è tempo perduto

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Dolcemente Dolcemente. Fallo dolcemente. Piano…piano non avere fretta. Le labbra ora si spostano e sostano sul suo collo. L’alito caldo colora lievemente il candore della sua pelle. Senti brividi dolci scorrere in superficie. Ti soffermi. Quanto? Fino a una nuova richiesta. Dolcemente. Fallo dolcemente

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Eppure... ho passato le stagioni, lottando coi desideri librato aquiloni volando coi pensieri bussato a molte porte sapendo che ai treni le ruote avean tolte non c'erano più freni eppure… quando poi ho creduto di avere ormai finito di correre una corsa senza essere mai partito le gambe come piombo il fiato tutto sprecato sul far di uno strapiombo mi sono ritrovato eppure… questo livido tramonto che gela le tue ossa ora presenta il conto di una vita mai riscossa giocandoti il tempo della tua buona sorte hai chiuso in un lampo davanti a te le porte eppure…

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Eternità è un attimo eternità è come un attimo che dura quanto una vita è come sabbia stretta in mano che scivola via dalle tue dita muore ogni giorno e rinasce ogni volta che fai all’amore quando la tua voglia cresce e le rubi ancora il cuore eternità è un cuore bambino quando gioca in girotondo e ti guarda da vicino per scavare giù nel fondo di te uomo che hai rapito la tua vita ogni momento ora che il gioco è finito serri il pugno con sgomento

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Falena Ti ho aspettato. Ho atteso a lungo sulla riva del fiume. Alla fine sei arrivato. Non ero io. Era una crisalide rinsecchita che galleggiava lentamente portata dalla corrente. Io ero già rinato, uscito dal bozzolo, con nuova livrea spiegavo le ali incontro alla vita. Poi ho avuto coraggio. Ho guardato e mi sono visto: una falena! Una splendida, meravigliosa, coloratissima falena che sull’imbrunire della vita è attratta da fantasmagoriche luci di nuove promesse. Una falena.

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Frank Coltello (la ballata di) Frank aveva un coltellino con il manico d’osso istoriato lo teneva lì sempre vicino e sedeva sull’erba del prato. Intagliava nel legno figure di animali e fiori assai strani e scacciava così le paure del suo crescere e del domani. Frank aveva un coltellino in disuso oramai invecchiato lo teneva sul comodino in attesa di essere usato. La sua donna lì stesa daccanto respirava un amore bambino trattenendo a stento il suo pianto Frank usò quel suo coltellino. Su quel prato senza un lamento intagliando animali assai strani una lama ha brillato un momento e ha fermato tutti i domani. Frank aveva un coltellino.

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Fratello sguardi smarriti freddo nelle ossa fame ancestrale il mare una fossa scappi dal mondo che niente ti ha dato e tutto ti toglie anche il passato non sei semplicemente non sei per chi ha pranzato lasciando la fame di chi reclamava un pezzo di pane per chi ha lo sguardo rivolto al passato di quando il diverso è stato ammazzato per questi fratello ti chiedo perdono non so se ho colpe ma so che son uomo.

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Gli occhi del silenzio mi ha guardato a lungo Occhi di lacrime mai piante mentre la sera vinceva hanno salato un cuore piagato. mille parole strette tra i denti mille le volte vissute da amanti Il vuoto misura lo spazio che manca immobile mentre lasci la stanza giro la testa e il cuore si infiamma. mi ha guardato a lungo il silenzio

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Ho preso a sberle i sogni vengono spesso forse al mattino ti prendono alla sprovvista e ti lasciano un sapore amaro al risveglio bugie che ti racconti senza pudore e fai finta di crederci per un attimo poi svaniscono dimentichi in un cassetto tornano allora comodi alibi al susseguirsi agitato dei tuoi pensieri notte, notte! ecco lì dove coltivi le tue piantine giovani i sogni in fasce uccidili prima che crescano o saranno padroni della tua vita

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Il coraggio dei fiori i fiori che nascono persino tra le spine come le donne che restano bambine e giocano coi cuori dei giovani amanti son fiori che resistono a tutti i tormenti con l’arcobaleno riaccendono la vita scaldando nel cuore la gioia assopita da tempo dormiente e che d’improvviso si sveglia e trasforma il dolore in sorriso ori preziosi da proteggere caramente fiori delicati che crescono tenacemente che radici profonde mettono nel cuore se schiudi finalmente le porte all’amore non è così difficile, tu dammi la mano lascia che il tuo cuore veleggi lontano con me scoprirai dopo un lungo viaggio un fiore vermiglio chiamato coraggio

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Il giardino dei padri Era il ’68 quando sei partito per un viaggio non programmato mi hai lasciato un tempo fottuto dall’egoismo che é poi dilagato tu padre non l’avresti capito tu padre non l’avresti voluto il tempo poi non ha mitigato quel dolore pian piano cresciuto ed il cuore mi ha lacerato anche adesso che sono canuto ora tu hai le chiavi del giardino che i padri ospita e a cui dai il saluto tieni aperti i cancelli ogni mattino cerchi un viso a te conosciuto quando sarò nel tuo giardino padre mi darai il benvenuto

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Il mare addosso sole che brucia i corpi, asciuga le ferite colora di bruno i fianchi svela le pose ardite di te che stesa accanto a me così distante le voglie inaridite eppure tanto mi manchi. il freddo improvviso di un’onda importuna si scioglie in un sorriso che ha il chiaror di luna sorprende nuovamente la voce tua lontana che sveglia la mia mente e suona così strana risata argentina di allegria dipinta sul volto tuo impressa artatamente finta mi chiama ad una corsa svogliata repentina la sabbia dentro agli occhi nasconde il mio pianto

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per un amore falso che non mi ha dato tanto vissuto sempre di corsa lasciando ogni rimpianto vincendo le paure sempre col fiato grosso son pochi metri eppure già sento il mare addosso

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Il viaggio binari stanchi in attesa di nuova violenza vagoni come case popolari in attesa di popolo il fischio improvviso stridore acciaio contro acciaio il treno parte Lo sguardo stralunato interroga l’accaduto. Panchine vuote. Stazione deserta. Si è mosso tutto così rapidamente. Una strana spossatezza mi attanaglia. Stanchezza, come dopo un lungo viaggio. La stazione però mi è familiare. Guardo il biglietto, è scaduto. Ho perso un treno che non è mai partito. Che anno è?

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Invece se gli occhi miei vedessero invece di guardare le orecchie mie ascoltassero invece di sentire potrei il mondo comprendere invece di capire se tutto fosse vero saprei la differenza che fa di me un uomo e non una parvenza così come son certo che parlerei al cuore senza crear sconcerto ti parlerei d’amore invece mi trastullo giocando le parole decrepito fanciullo addormentato al sole

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La cruna dell’ago la punta dell’ago ha un bagliore sinistro parole di carta han scritto il verdetto veleno ora scorre nel sangue atterrito ti vedi supino accanto al tuo letto che cerca con gli occhi un perché all’evento che muta di colpo il tuo mondo vissuto e dà alla tua vita un ritmo diverso e vedi il dolore e il male assoluto ormai tuo compagno disegno perverso di un qualche destino a te così avverso paure e timori tra speranze confuse dal troppo veleno padrone del corpo che detta i comandi alla vita e di colpo cambia l’aspetto a speranze deluse attendi che altre parole sian scritte per darti sentenza e rotte più diritte poi il capo coperto da un velo leggero si alza e di colpo uno sguardo severo di bimba che il mondo non ha ancora visto eppure soffrendo in silenzio come Cristo mi dice che forse la vita ha valore se vissuta davvero vivendo l’amore

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La giostra a volte sei un bimbo così rannicchiato nel grembo che madre ha riparato a volte supino cercando le stelle mentre un ago indiscreto ti fora la pelle e scorre veleno adesso nel sangue se un filo sottile é la vita che langue pian piano la stanza inizia a girare una macabra danza ti invita a ballare tra pezzi di vita e immagini spente di storie vissute con te mai presente tu danzi con loro, la giostra ti invita e per un momento rinneghi la vita gira la giostra, gira sempre più forte se scendi veloce hai vinto la sorte

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La mia ballerina dedicata alla mia nipotina Sara

Sara che hai sorriso aprendo gli occhi al mondo che tutti hai invitato a un nuovo girotondo di vecchi e di bambini attorno alla tua cuna ti rischiarava il viso la luce della luna. Sara che hai portato nel cuore mio bambino quel giorno nuova voglia di ritornar piccino di fare nuovi giochi con te seduta accanto e farti poi ballare per asciugarti il pianto. Sara che poi un giorno a me ormai lontano dimenticato il pianto prendendomi per mano mi invitavi ancora a stringerti e volare a dimenticare tutto portandomi a ballare.

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Sara un ballo ancora e poi sei ripartita lasciandomi il ricordo di un pezzo della vita quando hai aperto gli occhi al mondo con un sorriso ed io girando in tondo ti asciugavo il viso.

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La mia ragazza l’ha portata una conchiglia attraverso l’Egeo cresciuta al sole del Salento ha nel sangue Penelope in attesa e la malia di Circe che strega il novello Ulisse approdato sul suo seno ho navigato mari impervi protetto dal suo grembo ho vinto burrasche e venti ho conquistato anni sconfiggendo Proci di carta ora che ho finito le frecce da tempo riposa anche il telaio ora che è sera la luna ci guarda mentre abbracciati sogniamo il mare e le spiagge di Rodi la mia ragazza è poesia

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La perla e il sasso Perché accusi il sasso che hai lanciato? Immobile, fermo, la tua la mano lo ha alzato rendendolo complice di un tragico destino che ha fatto anche di lui ignobile assassino quando l’altra metà del cielo il velo ha alzato vigliaccamente allora la mano ha lapidato. Perché rinneghi il sasso con cui hai eretto muri invalicabili per chiuderci il passato nascondere a te stesso l’orrendo tuo delitto di aver di ogni donna un giorno abusato? Colpa non ne aveva l’inerte espressione del mondo che oramai ha perso la ragione. Perché disprezzi il sasso sapendo di mentire e continui a fingere e a non voler capire e non puoi chiedere al sasso aiuto insperato lui tace incosciente di averti un dì aiutato a uccidere una donna soltanto per averla mentre in silenzio urlava la morte di una perla.

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La verità negli occhi gli occhi sereni della bimba velata scrutano calmi, non hanno paura raccontano ai miei occhi uguale tortura reclamano muti un infanzia negata risposte negate da scrupolo pavido ingoiate e nascoste per finta prudenza rimangono appese su quel muro ruvido nel bianco alienante di quella stanza l’attesa accomuna l’uomo alla bimba la macchina é pronta dietro alla porta per fare al tuo corpo cieca violenza ma ridare alla vita nuova speranza e mentre nascondi mentendo timore la bimba ti guarda e dolce sorride la porta si apre, è forte il chiarore lei entra decisa, l’inerzia ti uccide e resti a fissare il bianco del muro pensieri fantasmi si agitano in petto lo sguardo di lei così calmo e sicuro ha scritto parole che mai hanno detto

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L’abito non fa il monaco tre ramarri dal caldo inviperiti all’ombra dei rovi rifugiati veloci si erano tolti i vestiti e sulle spine li avevano attaccati lasciavano il paese disperati alla stazione non erano riusciti a prendere il treno e adirati da tutti i loro guai erano fuggiti maledicendo il dì che erano nati ché di livrea sì bella li avea forniti madre natura ma non avvisati che tutti poi li avrebbero inseguiti per ricchi possidenti travisati mentre dalla folla venivano puniti pensavano “che giova bei vestiti se poi ci vogliono spogliati?”

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L’altalena occhi distratti su un letto disfatto scorrono avanzi di un amore coatto sapori languori e gemiti e seni urlati vibranti e ventri nello spasmo piegati mani che mani chiudono e stringono va e vieni continuo anche dipingono ombre cinesi sul muro accanto risa che gridano al culmine il pianto e tu che sorprendi di nuovo la scena pian piano riprendi forzata altalena

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Le scarpe Cammino. Strade assolate, sterrate cosparse di pietre. Lancinanti dolori mi costringono a soste non volute e poi ripartenze sempre più faticose. Ricerca affannata di vie meno impervie più dolci e gentili e rispettose del calar della sera che inesorabile arriva. Fermarsi stremato e voltarsi a scrutare il cammino percorso e scorgersi fermo al mattino trascorso. Dicendo a te stesso “non ho le scarpe” per giustificare il dolore del fallito destino. Muta risposta. Costretto ad ammettere, vinto che hai camminato tanto rimanendo fermo. A che servono scarpe se non hai le gambe?

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Lo scrigno Avevo uno scrigno in mano e non lo sapevo quando ti ho aperto il cuore e il tuo amore non volevo confonderlo col piacere di averti qui accanto e del tuo corpo steso godere fino in fondo lasciando posto al sesso padrone del mio mondo mentire a me stesso gridando tremebondo la noia del rapporto, fatica dell’amplesso Le frasi ripetute coi gesti troppo spesso non ho voluto credere ai segni del destino che mi chiamavano indietro dandomi del fesso finché sono affogato artefice del delirio colpevole fino in fondo del destino solitario lo scrigno avevo in mano e non l’ho voluto aprire i suoi tesori ora mi mancano da morire

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Meeting non c’è più niente da dire lasci la tavola imbandita da altri portando con te la fame di nuovi discorsi spiegati a momenti o solo subiti taglienti parole che lasciano segni cicatrici dolenti sorrisi di convenienza opportunismo bastardo che salva l’apparenza interventi gratuiti spacciati salvifici sorrisi di scherno ironie pungenti ruotano verbi parole si incrociano protesti i tuoi sentimenti convitato di pietra nessuno si accorge nessuno ha parlato qualcuno ha capito

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Ninna nanna non credere sia vero non sei diventato saggio e’ che non hai il coraggio di essere sincero così copri le spalle parlando di esperienza ma in fondo hai capito che è solo la coscienza dei limiti del tempo di voglia di lottare di battere la sorte sapendo ancora amare la vita anche se spesso ti ha preso per il culo soprattutto adesso che sbatti contro il muro del tempo per finire quello che hai iniziato prima di veder morire il giorno e senza fiato addormentarti stanco di aver mostrato il fianco e la vita gran puttana solleva la sottana

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Nonostante Ora ti ho detto tutto. Parlami di te. Ostinatamente voglio credere che le parole allevino il dolore. Riempiranno il vuoto di una vita sin qui passata a non conoscersi. Giocare a nascondino, amarsi parlando del vicino. Noia soffusa che aleggia come il fumo dell’ultima Marlboro dopo l’amore. Pizza e coca, gelato e caffè, festival dell’ovvio e del consueto. Tutto mangiato, digerito, vomitato. Come dici? Non è così? Forse è vero, ho smesso di fumare e forse parlavo di un’altra. Parlami di te.

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Notte La notte ormai da tempo compagna dei miei pensieri mi accoglie nel suo grembo matrigna fino a ieri mi coccola e spesso nel valzer delle ore che passano ignare della gioia o del dolore. Mi tiene sveglio e in piedi come novello Erode uccido le mie voglie, facendomi custode di inutili ricchezze sognate al mattino quando la luce incalza e il giorno è ormai vicino. Ripeto tutte le volte uno stanco ritornello e chiedo alla mia notte un sogno, solo quello ma la risposta tarda l’aspetto sino a sera quando di nuovo chiedo che hai fatto notte nera? E mentre mi domando se adesso lei mi ode scivola via chiedendo che vuoi bianco custode?

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Ora ora che la terra ha compiuto quello che lassù ci fu assegnato il lutto che tu porti atto dovuto nel cuore lo conservi incatenato la madre di noi tutti ha rinnegato il volere umano che ha abbrutito le sponde cristalline del creato e la bellezza per un soldo ha rapito la giusta punizione ora è dovuta per chi ha combinato tale scempio e ha truccato il gioco della vita con sprezzo del futuro così empio lo sguardo della bimba atterrita mentre la terra tremava sottostante gridava a tutto il mondo per la vita la costrizione sia a quel furfante

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Ordine e disordine rincorrersi di pensieri affastellati come bastoncini shakerati da mani sapienti e gettati nel caos della mente distrutta nella ricerca di un ordine precostituito al fine di esprimerne il senso morbida bambagia una nuvola li accoglie e li coccola e piano si distendono i pensieri riprendono un percorso più umano ma poi, perché?

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Pagine bianche. Angoscia. Alienazione. La matita nella mano compiva evoluzioni improbabili tra le dita. Era sempre così ogni volta davanti ad un foglio bianco, immacolato, intatto. Ogni volta il pensiero, l a paura di non sapere come riempirlo mi attanagliava lo stomaco strizzandolo come si strizza uno straccio bagnato. Poi, di colpo, la mano partiva autonoma seguendo percorsi a me non ancora ben definiti ma sicura, spavalda. Sapeva perfettamente dove arrivare. Così ogni volta un pezzetto di me moriva per rinascere su quel foglio in forme, pensieri e colori diversi. Vittima e carnefice insieme protagonista di una messinscena a volte sincera, spesso studiata. Ora che la matita riposa, pagine bianche come vergini speranzose attendono che mani sapienti diano loro vita riempiendole di parole. La storia si ripete. Quanto di me è rimasto da far rinascere su pagine bianche? Angoscia. Alienazione.

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Parigi o cara Ti ho aspettato a lungo. Seduto al tavolino del bistrot mentre il pastisse che stavo sorseggiando profumava d’anice quella sera parigina. Le note di un valzer musette rallegravano il cielo che si stava tingendo di rosso. Ti ho aspettata a lungo quella sera a Parigi. Inutilmente. Eri già arrivata e sedevi accanto a me. Non me ne ero accorto. La Senna scorreva pigramente. Malinconia.

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Parole senza parola le parole non dette tra noi sono figlie di muti pensieri lame sottili che lacerano cuori che risvegliano vecchi rancori le parole non dette tra noi sono figlie del senno di poi che tradisce l’ansia e l’affanno di volere nascondere il danno le parole non dette tra noi hanno tutte lo stesso sapore del veleno che spesso tu ingoi per nascondere nuovo dolore le parole non dette tra noi abortite come figlie sconfitte le parole non dette tra noi le ho pensate e forse le ho scritte

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Per un attimo Per un attimo ho creduto di averti tra le dita come una farfalla di colpo sei volata. Libera, felice della libertà ritrovata e mi hai lasciato a trascorrere la vita. Con le mani nude ho attraversato stagioni passato i confini di ogni evento. Per poi ritrovarmi in un solo momento senza perché, senza ragioni. Ho dato, ho avuto sogni a colori. Tempo passato a giocare con il tempo che scorre veloce senza pudori e cresce la voglia di tornare nel grembo. Così, per un attimo ho creduto invano di avere capito il senso della vita. Per poi accorgermi che la libertà vigilata non poteva stare chiusa in una mano. E di nuovo fuori a cercare il tempo perduto sfidando il rischio di altre sanzioni Respirando libertà, nuove emozioni come una farfalla che vive solo un minuto. Per un attimo, per un attimo ci ho creduto.

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Perché? corpi straziati da mille parole giacciono riversi sul ciglio della strada passo scostando coi piedi le ferite di chi ha venduto l’anima al potere respiri affannosi di donne discinte rincorse nel buio da occhi indiscreti descrivono atterrite lo strazio perenne del mondo che ha perso la propria ragione guardo e non vedo la morte che attende chi nella vita ha dato la morte il buio profondo dell’anima insegue la luce sperando il ritorno di un altro mattino vivo

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Pezzetti di vetro come in un caleidoscopio schegge di vetro si intrecciano ruotano multiformi colori compongono luminescenti spettacoli da ammirare spesso ho guardato senza vedere affascinato le forme mutare senza capire la differenza tra assistere e partecipare la vita ha ruotato il mosaico colorato lasciandomi spettatore del tempo ora che ho capito la differenza sono rimasti solo pezzetti di vetro senza colore

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Polvere Se assisti ad una rappresentazione che non ti appartiene, se il mondo non ti somiglia e uccide i tuoi pensieri, quando lo sconcio attorno a te urla vendetta e anche fare all’amore è un rito ormai stanco, allora è il momento di togliere la polvere da tutto ciò che l’anima teneva accanto per dare alla tua vita una parvenza vera. Questo è ciò che credi e ti illudi di ottenere spolverandoti l’anima e la coscienza. Il mondo affoga nella polvere di coscienze sporche pulite malamente.

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Primavera il freddo ha gelato il sangue nelle vene ormai dimenticato amore non conviene rincorrersi nel tempo dei ricordi e dei trascorsi fin qui tralasciati irrimediabilmente persi il freddo che ci accomuna ci fa sentire uguali e toglie anche la luna dai tuoi percorsi astrali ci lascia soli adesso che è giunta alfin la sera sfiatati a rincorrere un’altra primavera un sole ancorché pallido ci ridarebbe fiato e scalderebbe impavido il sangue che è gelato

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Rewind ho il posto in prima fila stasera nella sala polverosa della memoria va in scena una vecchia pellicola un film bianco e nero che fa storia play… immagini scorrono veloci davanti ad occhi distratti scene già viste e vissute, giochi, amori e misfatti forward… la noia mi spinge più avanti ricerco emozioni diverse che aprano il cuore ai rimpianti di scene di vita ormai perse forward… ecco improvviso apparire una scena, un volto, un sorriso il ricordo mi fa quasi morire ma io cerco invano quel viso rewind

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Riflessi e riflessioni lo specchio che rimanda l’immagine riflessa di me che non ricordo se è poi sempre la stessa ché ormai non riconosce dell’anima le angosce l’incedere smarrito dell’ uomo incattivito asciuga ora il vapore mi accorgo mano a mano vincendo il mio stupore che ho scrutato invano perché non è un riflesso un’ immagine distorta son io sempre lo stesso e l’anima non s’è accorta

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Stavolta vinco io questa volta ho la mano vincente e nei tuoi occhi leggo stupore io di solito non vinco mai niente ma improvviso è arrivato l’amore non pensare di amami soltanto per aver asciugato il tuo pianto non ti voglio così sul mio letto (oltretutto non ho il fazzoletto) certamente te l’avrei regalato non lo sai ma ho proprio barato sorridendo con far soddisfatto tu rilanci…non c’è niente sul piatto

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Sul fare della sera Cosa potrei darti oltre alla mia anima ferita, coperta corta adagiata su di un cuore che sanguina? Cosa potrei fare se non aspettare che il sole esca di nuovo dal bitume del cielo? Il desiderio sconfigge la ragione. Torno di nuovo a lastricare di fiori un sentiero di letame. Ricordi spersi nella mente riaffiorati nel fare della sera o cicatrici ancora dolenti? La sera della vita ha la mente più lucida ma la ragione più stupida.

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Tarantole e salamandre balla il fuoco nella notte accompagna giravolte frenetiche discese nel bianco della ragione a cogliere nel vuoto alibi all’esistenza vortici alienanti di occhi riflessi di fiamme che scottano l’anima attraverso il fuoco che divora i pensieri ardenti tizzoni cicatrizzano il cammino brucio la morte torno a ballare nuovamente nella notte rinasco come le salamandre

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Ti racconterò una storia ti racconterò una storia una favola, una panzana una bugia splendida narrata con voce strana che parlerà di un re che aveva quattro figli quattro nipoti piccoli ma non quattro conigli e un giorno li cercò tra i boschi del reame per farne un bel regalo per chi aveva fame ma un bel dì si perse girando tondo in tondo e non trovò la strada che riportava al mondo delle cose vere di quelle non sognate che puoi anche toccare non solo raccontate e quando il re morì allora nacque un uomo senza corona e ali che raccontava storie a un re con barba e occhiali che aveva quattro figli quattro nipoti piccoli ma non quattro conigli

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Ti ricordi di me? Ti ricordi di me? Un viso , una voce…gli occhi! Gli occhi, lo sguardo, le intenzioni espressive disegnano dentro di me un profilo. Colori, suoni, pezzetti di immagine dapprima lentamente poi sempre più velocemente si compongono fino a formare una immagine completa. Giovane amore tradito sul nascere. Dolore che riemerge prepotente. certo che ricordo e vorrei non ricordarti Dio quanti anni! Ti ricordi di me? No.

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toc toc ho sentito bussare alla porta dietro l’uscio nessuno aspettava solo un fiore sulla stuoia moriva mano a mano lo stelo piegava la speranza però non è morta e la nuova stagione che arriva é alle soglie, fra poco ti porta quell’amore che il cuore ambiva fino a ieri ho atteso quel fiore disegnandolo dentro il mio cuore poi l’attesa mi è parsa infinita aspettando ho trascorso la vita ricercando la via più sincera per provare nuove emozioni ho rubato mille fiori e canzoni per far bella la mia primavera

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Un minuto sessanta Il respiro accelera. Il sangue scorre più velocemente. Paura. Paura di non farcela. Il tempo costringe la mia mente, il mio essere ad una frenesia innaturale. cinquantanove Pensieri si affastellano nella mente. Difficile scernere, difficile focalizzare la realtà. Tutto contribuisce a far crescere l’angoscia, l’ansia. cinquantotto Sono stato invitato alla prima di un film: da chi? Poco importa. Il film mi riguarda. Trama inesistente, nanosecondi di immagini. Subliminale. cinquantasette Come un uccello volo sopra schegge di vita vissuta. Intensamente. Flash fotografici. Ricordi. Momenti di lucida sofferenza altrimenti convertita in serenità apparente. Regista ed attore, comparsa e macchietta. Recito. cinquantasei Colori. Vivi, intensi, accecanti. Ferite profonde, lacrime mai piante. Figure a me note e comunque mai conosciute scorrono veloci. Manca poco, non c’è tempo. Quello che rimane l’ho già consumato. Un minuto

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© Copyright 2009 Franco Pucci

Responsabile della pubblicazione Franco Pucci

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Stampato in Italia presso Cromografica Roma S.r.l. Roma, per Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A

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