BN25_IL BACIO DELLA NOTTE

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BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico quindicinale n. 25 del 15/10/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/3/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 5 6 7 8

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Blue Twilight MIRA Books

© 2005 Margaret Benson Traduzione di Gigliola Foglia

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto

di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con

Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

persone della vita reale è puramente casuale.

© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Bluenocturne

ottobre 2010

Questo volume è stato impresso nel settembre 2010 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)

BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X

Periodico quindicinale n. 25 del 15/10/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/3/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Prologo

La donna stava rannicchiata sulla chaise-longue di velluto marrone del salotto, gli occhi dilatati dalla paura. Occhi az-zurri. Capelli rosso fiamma. Lui avrebbe preferito una bionda dagli occhi neri come il carbone... quello sbalorditivo contrasto non mancava mai di eccitare la sua passione. Oppure la sua memoria. Ma fintan-toché ci fosse stato in vista il ritratto, qualsiasi femmina l'a-vrebbe fatto. Doveva essere il salotto. Lui portava sempre lì le sue vittime. Fieldner gli aveva portato un gustoso bocconcino quella notte. Era forse vicina al trentesimo anno della sua vita mortale. Benché fosse alta e snella, e lui le preferisse minute, stava tremando in un modo che lo eccitava. Il viso dalla pelle chiara era fine, le labbra piuttosto sottili, il naso un tantino troppo diritto, ma gli zigomi erano alti e prominenti. Adora-va i begli zigomi in una donna. Sì, il suo drone si era comportato bene quella volta. La paura negli occhi della donna, tuttavia, quella doveva an-darsene. Si mosse verso di lei, esibendo un sorriso smagliante e sperando di apparirle attraente. Le donne avevano meno paura degli uomini attraenti. Stupido, certo, ma vero. Era dura non potersi guardare allo specchio per giudicare

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il proprio aspetto e il proprio impatto su una donna. Lui sa-peva di avere capelli lunghi e scuri, e occhi marroni profon-damente incassati. Tuttavia era difficile rammentare la strut-tura precisa del proprio viso, o valutare quanto potesse sor-ridere senza svelare l'innaturale lunghezza dei canini, ta-glienti come rasoi. Anche se lui fosse stato spaventoso a vedersi, comun-que, poteva cancellare la paura dalla mente di lei. Teneva una città intera in schiavitù... giorno e notte. Nel sonno o nella veglia. Un'unica donna terrorizzata non era certo una sfida. «Non hai niente da temere» le disse, avvicinandosi pian piano, infondendo forza nelle parole pur mantenendo la voce bassa. «Questo non è niente più che un sogno. Una fantasia. Niente può farti male, qui.» Gli occhi spalancati di lei sfarfallarono. Un respiro tremo-lante uscì dalle sue labbra. «Guardami negli occhi, carina. Ascolta le mie parole. Sentile. Tu non sei spaventata. Sei al sicuro, e al caldo, e del tutto rilassata.» Osservò mentre un po' della tensione le abbandonava il corpo: gli occhi non erano più spalancati ma le palpebre si facevano pesanti. Si avvicinò, le toccò la guancia. «La tua mente è del tutto rilassata, ora. Hai abbandonato ogni controllo, ogni responsabilità... consegnandoli a me. Sai soltanto ciò che ti dico. Vuoi soltanto ciò che io ti dico. Provi solo ciò che ti faccio provare.» Gli occhi le si chiusero; un lento, profondo sospiro fru-sciò dalle sue labbra. La tensione delle spalle si allentò. Così era molto, molto meglio. «In questo momento, quello che vuoi, mia diletta, sono io. Il mio tocco. La mia carezza. E lo desideri più di quanto tu desideri vivere. Più di quanto tu abbia mai desiderato qualsiasi altra cosa. Non è vero?»

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«Sì» mormorò lei, strusciando la guancia contro la sua mano. «Conoscerai il piacere più squisito che tu abbia mai pro-vato, stanotte. Forse anche per un'altra notte, o magari più d'una. Lo vuoi questo?» «Sì» sussurrò. «Molto bene.» Per ricompensarla, lasciò scivolare la mano lungo la guancia, la mascella e il collo, e giù fino a sfiorarle il seno. La reazione fu un brivido. Lui si sarebbe assicurato di donarle piacere. Avrebbe scandagliato la sua mente, trovato le sue più profonde fan-tasie per adempierle tutte. E lei non avrebbe ricordato niente quando fosse finito. Sarebbe stata riportata a casa propria senza patire alcun danno. E lui si sarebbe saziato. Almeno per un po' di tempo. La donna si alzò e si sbottonò il vestito, poi se lo fece scivolare dalle spalle e lo lasciò cadere sul pavimento. Lui la guardò togliersi reggiseno e slip senza un'ombra di inibi-zione, e fu attento a mantenere l'attenzione sul corpo, non sul viso. L'unico viso che voleva vedere era sopra e dietro di lei, e lo guardava con amore negli occhi. Trasse a sé la donna, la toccò e l'accarezzò, usando la mente quanto le mani per farle provare sensazioni ovunque, nello stesso momento. E sondò nella sua testa per udire ogni desiderio. Quando lei desiderò che le toccasse i seni, lo fece, acca-rezzandola finché lei non chiese di più, poi tirando i capez-zoli reattivi, pizzicandoli e titillandoli tra le dita. Quando lei volle la sua bocca, la baciò, poi l'appoggiò all'indietro sulla chaise-longue. Quando lei aprì le gambe, insinuò tra di esse la mano, ogni tocco pervaso del suo potere. Avrebbe potuto portarla

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fino all'orgasmo senza neppure toccarla, tuttavia preferiva farlo nella maniera tradizionale. Quando lei prese a contorcersi contro di lui, le si sdraiò sopra. Non si era spogliato. Non ne aveva necessità. Lei l'avrebbe sentito penetrarla anche se lui non aveva nessuna intenzione di farlo. L'avrebbe avvertito in profondità dentro di sé, e lui avrebbe ottenuto la soddisfazione che tanto gli serviva, alla propria maniera. Dalla sua gola. «Chiamami mio principe» ordinò. «Sì, tu sei il mio principe.» Le inclinò la testa all'indietro, con delicatezza scostò i capelli dal collo. Adesso si stava muovendo, dondolando le anche per riceverlo, anche se lui là non c'era. Inglobando aria e una fantasia che le aveva impiantato nella mente. «Dillo nella mia lingua, carina. Di' prin meu.» Lei ripeté la frase, mentre lui l'abbracciava, sollevandola lievemente, così da poter mantenere lo sguardo sul ritratto in alto. E poi abbassò la testa, premette la bocca sulla tenera pelle del suo collo. Lei mugolò e gli strinse la nuca, tenden-dosi per raggiungere l'apice. Ma lui non voleva permetterlo, finché non fosse stato pronto. «Dimmi di prenderti. Di berti.» «Sì, prin meu. Prendimi. Bevimi. Ho bisogno che tu lo faccia. Devi!» «Allora lo farò.» Schiuse le labbra, serrò i denti sulla sua gola e le trapassò la giugulare, gli occhi inchiodati allo sguardo d'ebano del ritratto mentre l'elisir, la materia di vi-ta, fluiva in lui. Bevve, e la donna urlò e rabbrividì mentre l'orgasmo la squassava. Sempre fissando il ritratto, lui alzò la testa, sazio. La donna si protese verso di lui, ma a un cenno della sua ma-no si rilassò di nuovo contro i cuscini, mentre gli occhi le si chiudevano.

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Lui si accoccolò sulla poltrona e la cinse con le braccia, tenendosela dolcemente contro il petto. Lanciando un'oc-chiata al ritratto, mormorò: «Puoi sentire il mio amore, là dove sei? Spero proprio di sì, cuore mio. Eri tu, questo lo sai. Eri tu. Lo sono tutte».

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White Plains, New York «Lui verrà qui» dichiarò Maxine Stuart lisciando il nastro a-desivo sui risvolti di una scatola di cartone. «In nessun mo-do mi lascerà partire senza venire a salutarmi. È cotto di me.» Stormy si piegò col suo pennarello nero e scarabocchiò Cucina sulla parte superiore. Poi mise il cappuccio al pen-narello e lo infilò in tasca. «Oh, ecco fatto!» esclamò. «Questa è l'ultima.» Raccolse il pacco e si avviò verso la porta. Max glielo sfilò dalle mani. «Ti ho detto di non sollevare niente di pesante.» «Dacci un taglio, Max. I dottori affermano che sto bene.» Forse inconsciamente, Stormy si passò una mano sui capel-li. Erano ricresciuti ormai, corti, dritti, biondo platino e ac-conciati con la spuma, proprio com'erano sempre stati. Co-privano la cicatrice dove il proiettile le era schizzato attra-verso il cranio solo pochi mesi prima, sprofondandola nel coma e quasi uccidendola. Anche se non poteva vederla, Max era acutamente con-sapevole che la cicatrice restava. Non avrebbe mai dimenti-cato quanto fosse andata vicina a perdere la sua migliore amica. La scuoteva ancora ricordarlo.

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«Piantala di guardarmi così» si sentì ammonire. «Così come?» «Come se quei tuoi ricci di rame stessero per prendere fuoco per l'intensità. Sul serio: sto bene.» «Sarà meglio.» Max liquidò il melodramma, sapendo che Stormy lo detestava. «Bada alla porta, vuoi? Qui mi si stan-no spaccando le braccia.» Stormy aprì la porta ed entrambe uscirono dalla comoda casetta bianca in stile Cape Cod, giù per i gradini di cemen-to, e girarono dietro il furgone di color giallo vivo noleggia-to, che attendeva sul viale. Le portiere del retro erano spa-lancate. Max si issò a bordo e incastrò l'ultima scatola nell'unico spazio rimanente, vicino alla cima della pila. La sua vita in-tera, pensò, era in quel furgone. Sospirando, saltò giù e chiuse i portelli. «Eccitata?» chiese Stormy. «Di stare per iniziare una nuova vita, sì. E tu?» «Se non lo fossi, non avrei acconsentito a venire con te. Inoltre, come si può non emozionarsi? Stiamo per traslocare in una dimora restaurata. Affiggere la nostra insegna. Inizia-re una nuova attività.» «Pensi che avrà successo?» «Io credo che sfonderà.» Sorrise raggiante. «E quei volan-tini che abbiamo mandato in giro con le nostre foto, nien-temeno che a colori? Ci fanno sembrare la miglior agenzia investigativa dai tempi di Sam Spade. E poi... noi due siamo ganze.» «Siamo ganze» confermò Max. Stormy s'imbronciò. «Tu non hai l'aria molto eccitata. Hai l'aria di una a cui si sta spezzando il cuore.» Max si appoggiò di schiena contro il furgone e contem-plò la casa dov'era cresciuta, le sue siepi ben potate e il pra-to appena tosato. «Sono un po' scocciata perché dovremo

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fare due viaggi. Voglio dire, se mi fidassi a guidare questo furgone con la macchina agganciata dietro... ma non sono così spavalda.» Stormy incrociò le braccia e picchiò il piede, scoccandole un'occhiataccia: sapeva perfettamente che non era quello a disturbarla. Max annuì e cedette. «Pensavo davvero che Lou avrebbe acconsentito a mettersi in affari con noi. Intendo, tu e io abbiamo due licenze da investigatore privato e alcuni con-tatti piuttosto potenti...» «Anche se sono per la maggior parte morti» fu la replica, accompagnata da una strizzata d'occhi. «Ma niente può stare alla pari con un poliziotto in pen-sione, con vent'anni sotto il cinturone.» «Io credo ci sia altra roba, sotto il suo cinturone, che ti interessa di più.» «A meno di dargli un colpo in testa e saltargli addosso, non credo arriverò a meno di un miglio dal suo cinturone. Tanto meno da quel che ci sta sotto.» Stormy inclinò la testa di lato. Il sole colpì la pietruzza inserita nella sua narice e la fece scintillare. All'anello sul sopracciglio aveva rinunciato. Durante il coma gliel'avevano tolto e il buco si era chiuso. Ma per festeggiare la guarigione aveva aggiunto il piercing al naso. Personalmente, a Max piaceva di più. Era minuscolo e ardito, proprio come lei. «Mi stai dicendo» chiese a Max in tono incredulo, «che per il tempo in cui sono stata in coma, e voi due eravate nel Maine a salvare tua sorella da famigerati cacciatori di vampi-ri e a rintracciare il bastardo che mi sparò, voi mai una vol-ta...?» «Non pensi che te l'avrei raccontato?» «Avresti affittato uno spazio pubblicitario.» Sospirò. «Co-sì adesso stai gettando la spugna?»

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«Se io vivrò nel Maine e Lou insiste per restare qui a White Plains, non vedo che scelta possa avere.» Si era im-bronciata. L'amica la guardò, un misto di compassione e scettici-smo nei vividi occhi color zaffiro. Lentamente, Maxine si raddrizzò, guardò verso la strada e sorrise. «Non sono ancora sconfitta. Eccolo che arriva.» Accennò con la testa alla grossa auto rugginosa che stava accostando al cordolo del marciapiede, e che andava ad ag-giungersi al furgone a nolo e alla piccola Miata rossa di Stormy. Il Maggiolino Volkswagen verde di Max era nel ga-rage. Lou spense il motore, poi smontò, e Max si beò della sua vista. Oh, lui cercava davvero, specialmente a suo beneficio, pensava Max, di portare avanti la messinscena dell'ex poli-ziotto rammollito, bruciato. Con i suoi abiti larghi e le cra-vatte sempre di traverso, e il parlare e camminare lento, cer-cava di essere la prova vivente che un quarantaquattrenne era sulla via del declino. E decisamente troppo vecchio per una ventiseienne. Ma lei vedeva attraverso la recita. Lui non era troppo vecchio; era solo troppo dannatamente guardingo. L'unica cosa bruciata in Lou Malone era il cuore, anche se lei non sapeva perché. Aveva sempre avuto intenzione di aggiu-starglielo, che gli piacesse o no. Adesso, però, il tempo sta-va per scadere. Lui attraversò il viale, lanciando un'occhiata al furgone, poi a lei. Gli occhi s'incontrarono, ressero lo sguardo, e lei credette di vedervi un qualcosa di triste prima che un sorri-so lo coprisse. Era forse possibile che fosse dispiaciuto di vederla andare via? Lui spezzò il contatto di sguardi e salutò Stormy con la testa.

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«Ehi, Lou» chiamò lei. «Avevamo appena pensato che non saresti venuto a vederci partire.» «Non me lo sarei perso per niente al mondo. Come stai, Stormy?» «Bene, a parte avere la nausea di tutti quelli che mi do-mandano come sto.» Ammorbidì le parole con un sorriso. «Tu?» «Non mi posso lamentare.» Adocchiò il furgone, lo sguardo che lungo il tragitto vagò sul sedere di Max. Ottimo, pensò lei. Sarebbe stato uno spreco di jeans a vita bassa e maglietta cortissima se lui neppure avesse nota-to la striscia di pelle nuda tra i due. Lui si schiarì la gola. «Dovrai fare vari viaggi con quel co-so, Max?» «Macché. Tutto quello che parte è impacchettato e pron-to. Tranne la mia macchina, comunque. Dovrò tornare a prenderla.» «Tutto?» Inarcò le sopracciglia. «Non puoi averci fatto stare i mobili, là dentro.» «Sei stato a casa di mia sorella, Lou. Nel testamento Morgan mi ha lasciato tutto, mobilio incluso.» «Avresti bisogno di qualcosa di tuo.» «La maggior parte della roba in questa casa non è mia comunque. È quasi tutto lasciato dai miei genitori.» Non specificava mai la parola genitori con l'aggettivo adottivi. «E poi, che cosa ho qui che sarebbe adeguato laggiù? Quel po-sto è... lussuoso.» «Già, ma non è te.» Lei mise le mani sui fianchi. «Questo cosa dovrebbe si-gnificare? Che io non sono di lusso?» Lui le lanciò un'occhiataccia. «Non era un insulto, sol-tanto un'osservazione. La casa di Morgan è... diavolo, è Morgan. Drammatica, cupa, ricca. Tu dovresti essere in un posto che sia... non so... brillante, strano, divertente.»

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«Sexy?» Lui le inviò uno sguardo di rimprovero. Lei gli rispose facendogli l'occhiolino. «Questo è ciò che intendevi, e lo sai. Ma non preoccuparti, Lou. Una volta che mi sarò sistemata, ho intenzione di riarredare una serie di stanze solo per me. Però non posso rivoluzionare tutto. Non è come se Morgan fosse morta davvero, in fondo.» «No, suppongo di no.» Chinò la testa, scuotendola len-tamente. «Che c'è?» «Ne parliamo con tale noncuranza. Come se non fosse niente. E poi di tanto in tanto mi colpisce. Tutto quello che è avvenuto. Tutto ciò che abbiamo visto. Roba che pensavo fosse nient'altro che superstizione. Il fatto che una delle teorie di cospirazioni di Mad Maxie Stuart si è rivelata asso-lutamente vera.» Lo disse con un sorriso scherzoso che le fece desiderare di sporgersi verso l'alto e baciarglielo via dalla faccia. Invece si limitò a fare spallucce. «Vorrei che tu stessi venendo con me.» «Già, ecco, te l'ho spiegato, non mi sono congedato dal-la forza pubblica con l'obiettivo di tornare a lavorare a tem-po pieno.» «Giusto. Invece intendi comprare una barca da pesca e passare tutto il tempo stravaccato da qualche parte, puz-zando di esche e mettendo su una pancia da bevitore di bir-ra.» «Suona come il paradiso, o no?» «Per un settantenne dalla salute precaria, forse.» Lui la scrutò, forse vedendo un po' oltre le parole, così lei distolse gli occhi. Non aveva avuto intenzione di suonare così petulante o imbronciata. Infantile era l'ultimo aggettivo con cui voleva che lui la pensasse.

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«Verrò a trovarvi, prometto.» Lei gli sparò di nuovo gli occhi addosso. «Quando?» «Quando? Ecco... non so.» «Che ne dici di adesso?» «Adesso?» «Oggi.» «Maxie, a volte non so nemmeno come seguire i tuoi di-scorsi.» Lei roteò gli occhi. «Diavolo, intendi farmelo ammettere, vero?» Lui alzò entrambe le mani, scuotendo la testa, come se fosse stato frainteso. «Non sono sicura di saper guidare quel... coso.» Accen-nò con la testa al furgone. «È enorme, e riesco a malapena a vedere al di sopra del volante. Ha lo sterzo come un ca-mion, marce come un carro armato, prende ogni brezza come una barca a vela. Dondola e sobbalza, e non riesco a vedere dietro, con quegli stupidi specchietti.» Lui guardò il furgone, poi lei. Stormy annunciò: «Io torno dentro, ad assicurarmi che tutto sia chiuso, spento, bloccato, capite». «L'hai guidato fin qui dall'autonoleggio» obiettò Lou, come se non avesse neppure udito l'annuncio della bionda, che allora scosse la testa, inviò a Max un furtivo segnale di pollice in su, e si affrettò a tornare in casa. «Certo» ammise Max. «Come credi che faccia a sapere quant'è difficile da guidare?» «Io credo che tu stia cercando di costringermi a salirci sopra.» «Riesco a pensare a un sacco di uomini a cui non sareb-be necessario puntare la pistola alla testa.» «Allora prenditi uno di quelli per guidare.» «Non voglio uno di quelli. Voglio te.» Lui finse indifferenza.

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Era dannatamente irritante. A tutto il suo corteggiamento lui rispondeva a quel modo, fingendo che gli passasse sopra la testa (quando lei sapeva benissimo che non era così, dal lampo di fuoco che a volte gli suscitava negli occhi) o cam-biando argomento. Max cominciava a pensare che non prendesse affatto sul serio i suoi tentativi. «Devo andare a pescare nel fine settimana» disse Lou. «Sto andandomene da qui, in effetti. Ho il mio borsone bel-l'e fatto in macchina, e un amico con una grossa barca che mi aspetta al pontile.» «Dio non voglia che io interferisca.» «Te la caverai benone da sola. Sei la donna più in gamba che io conosca.» Lei sospirò. «Benone. Solo benone. Vuoi almeno restare nei paraggi finché non tiro fuori il bestione in retromarcia dal viale? Puoi far finta di essere di nuovo nella polizia stra-dale.» «Ah, i bei vecchi tempi.» Lui guardò verso la casa. «Devi aspettare Stormy?» «Lei verrà con la sua macchina. E conosce la strada.» Frugò nei jeans in cerca delle chiavi, poi si arrampicò nel furgone e avviò il motore. Attraverso il lunotto, scorse l'a-mica chiudere la porta. Le inviò un sorriso enigmatico. Max guardò negli specchietti laterali. Vide Lou in piedi sulla strada, che faceva segnali con le mani per dirle di usci-re. Mollò di colpo la frizione. Il furgone fece un balzo e si spense. Lo riavviò, e stavolta arretrò un po' prima di far comin-ciare i saltelli e l'ansimare. Continuò la trafila (avvio, stop, avvio, stop, strattone, sputacchio, avvio) finché lungo la strada arrivò una macchina e Lou cambiò la posizione delle mani in una di stop. Allora, e solo allora, lei arretrò scorre-vole e rapida, sopra la cassetta della posta, puntando dritto sulla traiettoria dell'auto in arrivo.

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Squillo di clacson. Stridore di freni. Stormy strillò, e Lou pure. Max fermò di nuovo il furgone e smontò, lasciandolo piazzato lì, col didietro sporgente sulla strada. L'auto si era fermata in scivolata a un metro e mezzo di distanza, e il conducente, un vicino che lei riconobbe, scese con aria spaventata a morte. «Mi dispiace, signor Robbins» gridò, indirizzandogli un gesto imbarazzato e dirigendosi dietro il furgone. Lou e Stormy la raggiunsero lì, mentre guardava con tristezza la cassetta delle lettere schiacciata e scuoteva la testa. «Okay, non è poi così terribile» dichiarò. «Semplicemente lo riporte-rò dentro e ricomincerò da capo.» Guardò il viale, dov'era parcheggiata l'auto di Stormy. «Uhm, forse dovresti spo-starla.» Il signor Robbins stava borbottando, scuotendo la testa e tornando a grandi passi alla sua auto. Montò, fece manovra in retromarcia e si allontanò, mentre Stormy si avviava a mettere in salvo il proprio macinino. Lou chiese: «Non mi hai sentito dire di fermarti?». «Sì. Solo che ho schiacciato il pedale sbagliato. Farò me-glio stavolta, prometto.» Andò verso la portiera, si protese e poggiò il piede sul predellino. Le mani di Lou si chiusero attorno alla sua vita, la solle-varono e la riappoggiarono sul vialetto. Lei dovette resistere all'impulso di mugolare di piacere, perché adorava le sue mani forti su di sé. A suo tempo e luogo, però. In effetti non ci aveva provato abbastanza convinta con lui, pensò. Civettare era civettare. Tuttavia gli uomini sapevano essere orribilmente imbranati nel cogliere i suggerimenti. Forse avrebbe dovuto prenderlo di petto e dirglielo piatto. Se lo immaginò. Lei che lo guardava negli occhi e mormo-rava: Lou, ti voglio. Ti voglio nella mia vita e nel mio letto e

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in ogni altro modo che importi. Che cosa ne pensi?. Probabilmente lui non avrebbe replicato, pensò. Sarebbe rimasto senza parole per lo shock. No, proprio non ci aveva provato abbastanza convinta. E adesso era troppo tardi... a meno che il piano ideato in fretta e furia non funzionasse come intendeva. Si limitò a guardarlo battendo le ciglia, gli occhi grandi d'innocenza e di domande. Lui sospirò, chinò la testa. «Hai vinto, Maxie. Guiderò io.» S-sì-ì-ìììì! «Non essere sciocco, Lou. Non sei tenuto a far-lo.» «Sì, invece.» «Ma la tua battuta di pesca...» «Aspetterà un altro momento.» Lei gli gettò le braccia al collo e lo abbracciò. E Lou le mi-se le mani sulla vita dopo un momento, tuttavia anziché attirarla più vicino sembrò più interessato a tenerla a distan-za di sicurezza. Max non insistette, perché aveva bisogno di prendere le cose con calma e con cura. Era una seconda occasione... non poteva sciuparla. Compita, disse: «Grazie, Lou». «Non rimarrò, Max.» Dio, com'era riuscito a leggerle dentro con tale precisio-ne? Le tolse le braccia dal proprio collo, tenne i suoi polsi nelle mani come per impedirle altre mosse e la fissò dritta negli occhi. «Guiderò il furgone fin laggiù, ti aiuterò a scari-care, e poi tornerò indietro difilato. Intesi?» «Ma certo.» Lei accennò alla sua sgangherata auto. «Puoi lasciarla in garage. Meglio portare quel borsone da weekend che hai preparato, però.» Lui la guardò battendo gli occhi. «Dolcezza, ti ho appena detto che non mi fermerò.»

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«Questo lo so. Ma accidenti, Lou, è una tirata di otto ore. Come minimo vorrai farti una doccia e cambiarti i vestiti prima di ripartire.» Lui la osservò a occhi socchiusi. «Non mi servirà la bor-sa» ripeté. «Non mi fermerò.» «D'accordo, d'accordo. Come preferisci.» Max risalì il viale e sollevò la saracinesca del garage. «Ehi, se guidi tu, allora possiamo usare il gancio e rimorchiare la mia macchina, no?» gridò, come se avesse appena avuto un'idea brillante. «C'è un gancio?» «Già, montato sotto il furgone.» Lui annuì, andò a togliere il furgone dalla posizione pre-caria in cui si trovava e lo parcheggiò al sicuro lungo la stra-da. Dietro lasciò spazio per il Maggiolino di Maxie. Smontò e si portò dietro per armeggiare col gancio. Stormy raggiunse Max in garage, che la accolse con un sorriso. «Verrà con noi, vero?» «Ecco, non poteva proprio lasciar guidare me, dopo aver visto quanto fosse probabile che mi ammazzassi lungo il tragitto. O sì?» «È stato piuttosto rischioso. Immagina se il signor Rob-bins ti fosse venuto addosso...» «Aveva un sacco di spazio per frenare. Non sono stupi-da.» «No, no, sei tutt'altro che stupida.» Scosse la testa. Max le lanciò un mazzo di chiavi. «Mi fai il favore di ti-rarmi fuori la macchina dal garage e metterla dietro il furgo-ne, così Lou può agganciarla?» «Certo.» Stormy salì sull'auto e uscì con cautela dal ga-rage. Max si avvicinò all'auto di Lou e vide che le chiavi erano ancora nel cruscotto. L'avviò e la portò nello spazio ora vuoto del garage. Quando smontò guardò sul sedile poste-

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riore. C'era una grossa sacca, gonfia fino a scoppiare, in-sieme ad alcune lattine di birra e a un sacco di arnesi da pe-sca. Guardò fuori. I due amici erano affaccendati dietro il furgone. Inumidendosi le labbra, agguantò la sacca. La trascinò fino all'auto di Storm, dove la infilò. «Rapida e furtiva» bor-bottò. Poi tornò al garage per chiuderlo. Quando ebbe finito, arrivò al furgone a passo di valzer e consegnò le chiavi a Lou. «La tua Buick è nel mio garage. Sarà sana e salva lì finché non torni.» Lui le gettò un'occhiata carica di sospetto. Stormy gli batté sulla spalla. «Non seminarmi, eh. Sarò proprio dietro a voi due ragazzi, okay? Tenete i cellulari ac-cesi.» «Lo farò.» Maxie si domandò perché sembrasse nervosa per il viaggio. «Tesoro, sei preoccupata per qualcosa?» Stormy lo negò un po' troppo in fretta. «Sono soltanto preoccupata di non perdermi. Dunque non guidate troppo veloce.» Si affrettò alla propria auto e avviò il motore. Non notò nemmeno la borsa in più dietro il sedile del passegge-ro. Non che avrebbe detto qualcosa se l'avesse notata. In quella faccenda stava dalla parte di Max. In tutto. Era la sua migliore amica... ecco perché Max la conosce-va abbastanza da preoccuparsi: non era lei, non più, dopo il coma. Nel frattempo Max si tese verso Lou, decidendo di ap-profittare di un'altra occasione di contatto fisico. «Mi aiuti a salire su questo affare?» domandò, accanto alla portiera del passeggero. Lui s'imbronciò. «Non resterò» ribadì, una mano sulla sua schiena, l'altra a sorreggerle l'avambraccio mentre la issava sul camioncino. «Piantala di ripeterlo. L'ho già capito.» Si allacciò la cin-

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tura di sicurezza, si mise comoda per il lungo tragitto, e si disse che aveva le prossime otto ore per escogitare come convincere Lou a restare con lei nel Maine. Il fallimento era un'eventualità che non si disturbò nep-pure a considerare.

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I Nuovi Special

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La suspense è donna

L’ossessione può condurre alla menzogna… e le verità nascoste possono uccidere.

“Brenda Novak sa creare intrecci unici, dove pericolo, amore e protagonisti affascinanti si uniscono in un mix realistico e mozzafiato.” - Chicago Tribune

Dopo il grande successo de Il decimo caso, una nuova causa

per l’affascinante avvocato Jaywalker: un caso difficile

e controverso, ma a cui è impossibile rifiutare. Ma un

apparente trionfo, potrebbe avere risvolti inaspettati. E pericolosi.