Bloch, Marc - Apologia Della Storia

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 Marc Bloch, APOLOGIA DELLA STORIA: L’osservazione storica Torino, 1998 Un tempo questo testo veniva fatto leggere all’Università, il primo o secondo anno, come introduzione  fondamentale alla storia e ai suoi problemi. Forse perché il Liceo era vicino, o perché era lettura obbligatoria,  Bloch ha finito così per molti con il sovrapporsi alle numerose letture obbligate che legandosi a un esame escludono - per questo stesso fatto- qualunque ipotesi di godimento. O forse questa è stata la storia personale di chi scrive, senza alcuna pretesa di coinvolgere altri nello stesso errore... Questo testo ci è ricapitato in mano recentemente ed è sembrato, per alcune cose, straordinariamente attuale. Non  per la storia - Bloch sarà sempre attuale in sede di studi storici - ma per il turismo. Ovvero per quella vasta gamma di esperienze umane che lo includono e che si regge sul presupposto che l’osservazione diretta sia la grande discriminante tra chi sa e chi non sa, tra che conosce e chi non conosce. Giornalismo di qualità secondaria, turismo, spettacolo e molte altre attività si reggono sulla convinzione che vedere sia presupposto per credere. Ne nasce la leggenda dei reporter di guerra (tutti tragicamente uguali, tutti tragicamente noiosi ad esclusione del  grande Mo), quella del turista che viaggia e scrive il consueto diario, quella della televisione che poiché fa vedere in diretta ciò che c’è da vedere allora - per questo stesso fatto - “informa”.  Informa? Ma chi l’ha detto? Su cosa si regge questo assunto dell’informazione contemporanea che l’osservazione diretta sia testimoniare una realtà?  E’ qui che abbiamo trovato scientifiche, e definitive, le riflessioni di Bloch. Le porgiamo ai nostri amici nella consapevolezza che potranno talora risultare non semplicissime ma con la certezza che costituiscano un utile momento di riflessione sulla tanto decantata utilità della “diretta”. Cosa c’entra la “diretta” con Bloch? C’entra, c’entra... basta leggere! Gioverà ricordare, soprattutto ai più giovani, che Marc Bloch non è stato solo il più grande e geniale storico  francese del XX secolo, ma anche un uomo che ha sentito fino in fondo il compito morale e civile dello storico.  Arruolatosi nella Resistenza all’invasione tedesca della Francia ha combattuto l’occupazione nazista del suo paese  fino al 1944, anno in cui venne fucilato. 1 [Caratteri generali dell’osservazione storica]. [Collochiamoci risolutamente, per cominciare, nello studio del passato.] I caratteri più immediatamente visibili dell’informazione storica, intesa nel senso ristretto e usuale del termine, sono stati mille volte descritti. I fatti che studia lo storico è per definizione, ci viene detto, nella assoluta impossibilità di constatarli egli stesso. Nessun egittologo ha veduto Ramsete; nessuno specialist a delle guerre napoleoniche ha u dito il cannone di Austerlitz. Delle età che ci hanno preceduto, non sapremmo dunque parlare che sulla scorta di testimoni. Nei loro confronti, ci troviamo nella situazione del giudice istruttore che si sforza di ricostruire un delitto cui non ha assistito affatto; del fisico che, costretto a letto dall’influenza, non conoscesse i risultati dei suoi esperimenti che grazie alle relazioni d’un assistente di laboratorio. In una parola, all’opposto della conoscenza del  presente, quella del passato sarebbe necessariamente «indiretta». Che in queste osservazioni vi sia una’ parte di verità, nessuno si sognerà di negarlo. Tuttavia, esse richiedono di essere sensibilmente sfumate. Un comandante in capo, per ipotesi, ha appena conseguito una vittoria. Immediatamente comincia a stenderne il racconto, di sua propria mano. E’ lui che ha concepito il piano di battaglia. E lui che l’ha diretta. Grazie alla scarsa estensione del terreno [(poiché, decisi a mettere tutti gli atouts nel nostro gioco, ci immaginiamo uno scontro degli antichi tempi, tutto raccolto in uno stretto spazio)], egli ha potuto osservare la mischia svolgersi quasi interamente sotto i suoi occhi. Eppure, non c’è da dubitarne: per più di un episodio essenziale, sarà costretto a basarsi sui rapporti dei suoi luogotenenti. [Nel che, peraltro, non farà che conformarsi, divenuto narratore, alla condotta medesima che aveva tenuto, alcune ore prima, durante l’azione. Per dirigere allora, di momento in momento, i

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Marc Bloch, APOLOGIA DELLA STORIA: L’osservazione storicaTorino, 1998

Un tempo questo testo veniva fatto leggere all’Università, il primo o secondo anno, come introduzione fondamentale alla storia e ai suoi problemi. Forse perché il Liceo era vicino, o perché era lettura obbligatoria

 Bloch ha finito così per molti con il sovrapporsi alle numerose letture obbligate che legandosi a un esameescludono - per questo stesso fatto- qualunque ipotesi di godimento.O forse questa è stata la storia personale di chi scrive, senza alcuna pretesa di coinvolgere altri nello stessoerrore...Questo testo ci è ricapitato in mano recentemente ed è sembrato, per alcune cose, straordinariamente attuale.  per la storia - Bloch sarà sempre attuale in sede di studi storici - ma per il turismo. Ovvero per quella vasta gadi esperienze umane che lo includono e che si regge sul presupposto che l’osservazione diretta sia la grandediscriminante tra chi sa e chi non sa, tra che conosce e chi non conosce. Giornalismo di qualità secondaria,turismo, spettacolo e molte altre attività si reggono sulla convinzione che vedere sia presupposto per credere. Nnasce la leggenda dei reporter di guerra (tutti tragicamente uguali, tutti tragicamente noiosi ad esclusione del grande Mo), quella del turista che viaggia e scrive il consueto diario, quella della televisione che poiché fa ved

in diretta ciò che c’è da vedere allora - per questo stesso fatto - “informa”. Informa? Ma chi l’ha detto? Su cosa si regge questo assunto dell’informazione contemporanea che l’osservazidiretta sia testimoniare una realtà? E’ qui che abbiamo trovato scientifiche, e definitive, le riflessioni di Bloch. Le porgiamo ai nostri amici nellaconsapevolezza che potranno talora risultare non semplicissime ma con la certezza che costituiscano un utilemomento di riflessione sulla tanto decantata utilità della “diretta”. Cosa c’entra la “diretta” con Bloch? C’enc’entra... basta leggere!Gioverà ricordare, soprattutto ai più giovani, che Marc Bloch non è stato solo il più grande e geniale storico francese del XX secolo, ma anche un uomo che ha sentito fino in fondo il compito morale e civile dello storico. Arruolatosi nella Resistenza all’invasione tedesca della Francia ha combattuto l’occupazione nazista del suo p fino al 1944, anno in cui venne fucilato.

1 [Caratteri generali dell’osservazione storica].[Collochiamoci risolutamente, per cominciare, nello studio del passato.]I caratteri più immediatamente visibili dell’informazione storica, intesa nel senso ristretto e usuale del terminestati mille volte descritti. I fatti che studia lo storico è per definizione, ci viene detto, nella assoluta impossibiliconstatarli egli stesso. Nessun egittologo ha veduto Ramsete; nessuno specialista delle guerre napoleoniche ha il cannone di Austerlitz. Delle età che ci hanno preceduto, non sapremmo dunque parlare che sulla scorta ditestimoni. Nei loro confronti, ci troviamo nella situazione del giudice istruttore che si sforza di ricostruire un dcui non ha assistito affatto; del fisico che, costretto a letto dall’influenza, non conoscesse i risultati dei suoiesperimenti che grazie alle relazioni d’un assistente di laboratorio. In una parola, all’opposto della conoscenza  presente, quella del passato sarebbe necessariamente «indiretta».

Che in queste osservazioni vi sia una’ parte di verità, nessuno si sognerà di negarlo. Tuttavia, esse richiedono dessere sensibilmente sfumate.Un comandante in capo, per ipotesi, ha appena conseguito una vittoria. Immediatamente comincia a stenderne racconto, di sua propria mano. E’ lui che ha concepito il piano di battaglia. E lui che l’ha diretta. Grazie alla scestensione del terreno [(poiché, decisi a mettere tutti gli atouts nel nostro gioco, ci immaginiamo uno scontro dantichi tempi, tutto raccolto in uno stretto spazio)], egli ha potuto osservare la mischia svolgersi quasi interamesotto i suoi occhi. Eppure, non c’è da dubitarne: per più di un episodio essenziale, sarà costretto a basarsi suirapporti dei suoi luogotenenti. [Nel che, peraltro, non farà che conformarsi, divenuto narratore, alla condottamedesima che aveva tenuto, alcune ore prima, durante l’azione. Per dirigere allora, di momento in momento, i

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movimenti delle sue truppe in relazione alle vicissitudini del combattimento, quali informazioni penseremo chsaranno servite di più: le immagini più o meno confusamente intraviste attraverso il binocolo, oppure i rapporta briglia sciolta gli trasmettevano staffette o aiutanti di campo? Ben di rado il condottiero si accontenta di essertestimone a se stesso. E dunque, persino in una ipotesi così favorevole, che cosa rimane di questa famosaosservazione diretta, preteso privilegio dello studio del presente?Il fatto è che, in verità, essa non è quasi mai altro che un’illusione: quando, per lo meno, l’orizzontedell’osservatore si allarghi un pochino.] Qualsiasi raccolta di cose viste è fatta, per almeno una buona metà, di viste da altri. Da economista, studio il movimento degli scambi di questo mese o di questa settimana: ciò avviecon l’aiuto di statistiche che non ho io stesso compilato. Da esploratore dell’estrema punta dell’attuale, mi dedsondare l’opinione pubblica sui grandi problemi del momento; pongo questioni; annoto, raccolgo, elenco rispoChe altro mi forniscono se non l’immagine, più o meno goffamente espressa, che i miei interlocutori si formanquel che credono essi stessi di pensare o quella che intendono presentarmi dei loro pensieri? Essi sono i soggetdella mia esperienza. Ma, mentre un fisiologo che disseziona una cavia scorge coi propri occhi la lesione ol’anomalia cercate, io non conosco lo stato d’animo dei miei «uomini della strada» se non attraverso il ritratto  proprio loro stessi accettano di fornirmene. Poiché, nell’immenso tessuto di avvenimenti, di gesti e di parole disi compone il destino d’un gruppo umano, l’individuo non coglie mai se non un angolino, angustamente segnatsuoi sensi e dalla sua capacità d’attenzione; poiché, inoltre, dispone appena della coscienza immediata dei suoi

 personali stati mentali: qualunque conoscenza dell’umanità, qual che ne sia, nel tempo, il punto di applicazioneattingerà sempre alle testimonianze altrui per una gran parte della sua sostanza. [L’investigatore del presente, aquesto riguardo, non è affatto più favorito dello storico del passato.][Ma c’è di più.] L’osservazione del passato, anche di un passato molto remoto, è proprio certo che sia sempre c«indiretta»?E’ben chiaro per quali ragioni l’impressione di questa lontananza fra l’oggetto della conoscenza e il ricercatoresia imposta con tanta forza a molti teorici della storia. Il fatto è che pensavano prima di tutto a una storia diavvenimenti, cioè di episodi: alludo a chi, a torto o a ragione - non è ancora il momento di esaminarlo -, attribuun’importanza estrema a descrivere esattamente gli atti, i detti o gli atteggiamenti di alcuni personaggi, riuniti una scena di durata relativamente breve, nella quale si raccolgono, come nella tragedia classica, tutti gli elemencrisi del momento: giornata rivoluzionaria, battaglia, abboccamento diplomatico. Si narra che il 2 settembre 17

testa della principessa di Lamballe sia stata portata, infissa su di una picca, sotto le finestre della famiglia realevero? E falso? Pierre Caron, che ha scritto sui massacri del Settembre un libro di ammirevole probità, non osa pronunciarsi. Nella supposizione, almeno, che, avendo mantenuto [, come si può ritenere,] in quelle circostanztutto il suo sangue freddo di studioso, egli abbia avuto cura inoltre, per una giusta sfiducia nei confronti della smemoria, di annotare immediatamente le sue osservazioni. In un caso simile, senza alcun dubbio, lo storico si in confronto al buon testimone d’un fatto presente, in una posizione un po’ umiliante. Egli è come alla coda di colonna in cui gli avvisi si trasmettano, partendo dalla testa, da una fila all’altra. Non è una posizione moltofavorevole per venir informato con certezza. Non molto tempo fa, ho visto, durante un cambio notturno, trasmcosì, lungo la fila, il grido: «Attenzione! buca a sinistra! » L’ultimo lo ricevette sotto la forma: «Andate a sinisfece un passo in quel senso e sprofondò.Vi sono però altre eventualità. Nelle mura di talune cittadelle siriache innalzate alcuni millenni prima di GesùCristo gli archeologi hanno ritrovato, ai giorni nostri, in mezzo al pietrisco, [vasi pieni di] scheletrini infantili.Poiché non si potrebbe ragionevolmente supporre che queste ossa siano finite li per caso, ci troviamo evidentemdinanzi a resti di sacrifici umani compiuti proprio durante la costruzione, e ad essa legati. Quanto alle credenzesi esprimono con questi riti, sarà necessario, senza dubbio, affidarci a testimonianze del tempo, se ve ne sono,  procedere per analogia con l’aiuto di altre testimonianze. Una fede che non condividiamo, come potremmo duconoscerla se non attraverso le parole di altri? E il caso [, bisogna ripeterlo,] di tutti i fenomeni di coscienza, damomento che ci sono estranei. Quanto al fatto del sacrificio in sé, invece, la nostra posizione è ben diversa. Cenon lo percepiamo, propriamente parlando, con una presa del tutto immediata. Non più di quanto il geologo risall’ammonite della quale scopre il fossile. Non più del fisico, quanto al movimento molecolare di cui scopre gleffetti nel moto browniano. Ma il semplicissimo ragionamento che, escludendo ogni altra possibilità di spiegaz

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ci permette di passare dall’oggetto effettivamente constatato al fatto di cui questo oggetto apporta la prova -[questo] lavoro di interpretazione rudimentale, molto simile, insomma, [alle operazioni mentali istintive] senzaquali nessuna sensazione diverrebbe percezione -, nulla v’è in esso che abbia richiesto, fra la cosa e noi,l’interposizione d’un altro osservatore. Gli specialisti del metodo generalmente hanno inteso per conoscenzaindiretta quella che non arriva alla mente dello storico se non per il canale di menti umane diverse. [Il termine forse stato molto ben scelto; esso si limita a indicare la presenza di un intermediario; non si vede per quale motquesto anello debba necessariamente essere di natura umana. Accettiamo comunque, senza discutere sui terminl’uso comune. In questo senso, la nostra conoscenza dei sacrifici murali nella antica Siria non ha sicuramente ndi indiretto.Ora, parecchie altre vestigia del passato ci offrono un accesso proprio allo stesso livello. E il caso, quasi del tutdell’immensa massa di testimonianze non scritte, e anche di una buona parte di quelle scritte. Se i più noti teordei nostri metodi non avessero manifestato una indifferenza così sbalorditiva e altezzosa nei confronti delle tectipiche dell’archeologia; se, a livello documentario, non fossero stati ossessionati dal racconto, così come, a livdei fatti, dall’avvenimento, certo li si sarebbe visti meno pronti a rinchiuderci in una osservazione eternamentedipendente. Nelle tombe regali di Ur, in Caldea, sono stati rinvenuti grani di collane in amazzonite. Dal momenche i giacimenti più vicini di questo minerale sono nel cuore dell’India o nei dintorni del lago Baikal, sembròimporsi la conclusione che, sin dal terzo millennio prima della nostra era, le città del basso Eufrate intratteneva

relazioni di scambio con terre estremamente lontane. L’induzione potrà sembrare corretta o debole. Comunquegiudichi, si tratta innegabilmente di un’induzione del tipo più classico; essa si fonda sulla constatazione di un fnon vi interviene per nulla la parola di qualcun altro. Ma i documenti materiali non sono i soli, tutt’altro, a possedere il privilegio di poter essere recepiti così immediatamente. Proprio come la selce, tagliata anticamentdall’artigiano dell’età della pietra,] un tratto del linguaggio, una regola del diritto inserita in un testo [, un ritofissato da un libro di cerimonie o raffigurato su una stele] sono realtà che cogliamo noi stessi e che mettiamo afrutto con uno sforzo di intelligenza strettamente personale. [Non c’è bisogno di ricorrere ad alcun altro cervelumano come tramite. Non è affatto vero che lo storico, per riprendere il paragone di poco fa, sia di necessità rida non sapere quel che accade nel suo laboratorio altro che mediante i rapporti di un estraneo. Egli non giunge mnon dopo che l’esperienza è terminata. Ma, se le circostanze lo favoriscono, l’esperienza avrà lasciato dei residche non gli è impossibile percepire coi suoi propri occhi.]

È dunque con altri termini, sia meno ambigui, sia più comprensivi, che conviene definire le indiscutibili particolarità dell’osservazione storica.Come prima caratteristica, la conoscenza di tutti i fatti umani nel passato, della maggior parte di essi nel presenha quella di essere, [secondo la felice espressione di Franqois Simiand,] una conoscenza per tracce. Che si trattossa murate nei contrafforti della Siria, di una parola la cui forma o il cui uso riveli un’usanza, del racconto scrdal testimone d’una scena antica o recente, che cosa intendiamo, in effetti, con documenti, se non una « tracciaquanto a dire il segno percepibile ai sensi, che ha lasciato un fenomeno in se stesso impossibile a cogliersi? Poimporta che l’oggetto originario si trovi, per natura, inaccessibile alla sensazione, come l’atomo la cui traiettorresa visibile nella camera di Wilson, o ch’esso sia divenuto tale solo oggi, per effetto del tempo, come la felce,marcita da millenni, la cui impronta permane sul blocco di carbon fossile, o come le solennità, cadute dalunghissimo tempo in disuso, che si vedono dipinte e commentate sui muri dei templi egizi. Nei due casi, il procedimento di ricostruzione è lo stesso e tutte le scienze ne offrono molteplici esempi. [Ma dal fatto che molricercatori d’ogni specie si trovino in tal modo costretti a non cogliere certi fenomeni centrali se non attraversofenomeni che ne sono derivati, non consegue, tutt ‘altro, che fra loro vi sia una perfetta eguaglianza di mezzi. Pdarsi che, come il fisico, essi abbiano la possibilità di produrre essi stessi l’apparizione di queste tracce. Può dainvece, che siano ridotti ad attendersela dal capriccio di forze sulle quali non posseggono la minima influenza.] Nell’uno e nell’altro caso, evidentemente, la loro posizione sarà estremamente diversa. Che ne è degli osservatdei fatti umani? Qui le questioni di datazione riprendono i loro diritti.[Che tutti i fatti umani un po’ complessi sfuggano alla possibilità di una riproduzione o di una determinazionevolontaria, questo sembra scontato; e d’altronde dovremo ritornarci su in seguito. Certo,] dalle più elementarimisure di sensazione sino ai più raffinati test dell’intelligenza o dell’emotività, esiste tutta una sperimentazione

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 psicologica. Ma essa, alla fin fine, non si applica che all’individuo. La psicologia collettiva le è quasi totalmenrefrattaria. Non si potrebbe proprio - non si oserebbe proprio, supponendo che lo si potesse - suscitaredeliberatamente un panico o un moto di entusiasmo religioso. Tuttavia, quando i fenomeni studiati appartengon presente o al passato più prossimo, l’osservatore, per quanto incapace di forzarli a ripetersi o di piegarne a piaclo svolgimento, non si trova egualmente disarmato di fronte alle loro tracce. Egli può, letteralmente, richiamarealcune di esse all’esistenza. Si tratta dei rapporti dei testimoni.Il dicembre 1805 l’esperienza di Austerlitz non era suscettibile di replica più di quanto lo sia ai nostri giorni. Ccosa aveva fatto, comunque, durante la battaglia, questo o quel reggimento? Se Napoleone ha voluto, [qualchedopo che il fuoco era cessato,] informarsi in merito, gli sono bastate due parole perché uno dei suoi ufficiali gl preparasse un rapporto. Nessuna relazione di questo tipo, pubblica o privata, è invece mai stata stesa? Quelle csono state scritte si sono perdute? Avremo un bel farci a nostra volta la stessa domanda, essa rischierà davverorestare eternamente senza risposta [, con molte altre, molto più importanti]. Quale storico non ha sognato di pocome Ulisse, nutrire le ombre col sangue per interrogarle? [Ma i miracoli della Nekuia non appartengono al notempo e noi non disponiamo d’altra macchina per risalirlo se non di quella che funziona nel nostro cervello, comateriali forniti dalle generazioni passate.][Certo, non bisognerebbe esagerare neppure i privilegi dello studio del presente.] Immaginiamo che tutti gliufficiali, tutti gli uomini della batteria siano stati uccisi, o anche solo che, fra i sopravvissuti, non si sia più trov

alcuno la cui memoria, la cui capacità di attenzione, meritassero fiducia. Napoleone non sarebbe stato in condimigliori delle nostre. Tutti coloro che hanno preso parte [foss’anche nel ruolo più umile,] a qualche grande azilo sanno bene: capita che un particolare, talvolta decisivo, diventi, in capo a poche ore, impossibile da ricostruiAggiungiamo che non tutte le tracce si prestano [con la medesima docilità] a questa sorta di rievocazione a posteriori. Se le dogane non hanno registrato, nel novembre 1942, giorno per giorno, l’entrata e l’uscita delle mnon avrò praticamente alcun mezzo, in dicembre, per valutare il commercio estero del mese precedente. [In un parola, la differenza fra la ricerca sul lontano e l’inchiesta sul vicinissimo è, ancora una volta, soltanto di gradoEssa non tocca la sostanza dei metodi. Non è per ciò meno importante, ed è opportuno trarne le conseguenze.]Il passato è per definizione un dato che nulla più modificherà. Ma la conoscenza del passato è cosa in evoluzioche senza posa si trasforma e si perfeziona. A chi ne dubitasse, basterà ricordare ciò che, da poco più di un secsi è fatto sotto i nostri occhi. Immensi settori dell’umanità sono usciti dalle brume. L’Egitto e la Caldea hanno

lasciato cadere le loro bende. Le città morte dell’Asia centrale hanno rivelato le loro lingue, che nessuno sapev parlare, e le loro religioni, da gran tempo estinte. Una civilizzazione [del tutto] sconosciuta è appena uscita daltomba, sulle rive dell’Indo. [Non è tutto:] l’ingegnosità dei ricercatori nel frugare più a fondo le biblioteche, netracciare nuove trincee negli antichi terreni, non è sola a lavorare [né, forse, nel modo più efficace,] per arricchl’immagine dei tempi passati. Procedimenti d’indagine finora sconosciuti sono anch’essi sorti. Meglio dei nost predecessori sappiamo interrogare le lingue sugli usi, gli utensili sull’operaio. Abbiamo soprattutto imparato acalarci più profondamente nell’analisi dei fatti sociali. Lo studio dei miti e dei riti popolari compie appena i su primi passi. La storia dell’economia, di cui [, ancor poco tempo fa] Cournot, allorché elencava i diversi aspetti ricerca storica, non aveva nemmeno l’idea, inizia solo ora a costituirsi. Tutto ciò è certo. Tutto ciò consente le ampie speranze. Non delle speranze illimitate. Quella sensazione di progresso veramente indefinito che dà unascienza come la chimica [, capace di creare persino il proprio oggetto,] ci è negata.Il fatto è che gli esploratori del passato non sono uomini totalmente liberi. Il passato è il loro tiranno. Proibiscedi venire a conoscenza di qualunque cosa su di lui, che egli stesso non abbia acconsentito a lasciar loro conosceconsapevolmente o no]. Noi non stabiliremo mai una statistica dei prezzi in epoca merovingia, perché nessundocumento ha registrato questi prezzi in quantità sufficiente. Non penetreremo mai così bene la mentalità deglieuropei del secolo XI come siamo in grado di fare, ad esempio, per i contemporanei di Pascal o di Voltaire: perdi essi non abbiamo né lettere [private], né confessioni; perché su alcuni di loro non abbiamo altro che cattive biografie, in stile convenzionale. A causa di questa lacuna, tutta una parte della nostra storia assumenecessariamente la fisionomia, un po’ sbiadita, di un mondo senza individui. [Non rammarichiamocene troppoquesta rigida subordinazione a un destino inflessibile, noi - noi, poveri adepti, spesso scherniti, delle giovani scdell’uomo - non siamo più mal messi di molti dei nostri confratelli dediti a discipline più antiche e più sicure d

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quelle.] Questo è il destino comune di tutti gli studi chiamati a scrutare fenomeni trascorsi, e lo storico della preistoria, in assenza di scritti, non è più incapace di ricostruire le liturgie dell’età della pietra di quanto lo sia i paleontologo, penso, quanto alle ghiandole [a secrezione] interna del plesiosauro di cui sussiste soltanto loscheletro. È sempre spiacevole dire: « Non so, non posso sapere». Non bisogna dirlo se non dopo aver energicamente, disperatamente cercato. Ma ci sono momenti in cui il dovere più categorico dello studioso è [, daver tutto esperito,] quello di arrendersi all’ignoranza e ammetterlo onestamente.

Massimo Mastrogregori, Introduzione a Bloch,Roma-Bari, Laterza, 2001[€ 9.30, ISBN 88 420 6469 6]Mirco CarrattieriUniversità di Bologna

M. Carrattieri, "Review of M.Mastrogregori, Introduzione a Bloch,Roma-Bari, Laterza, 2001", Cromohs, 8 (2003): 1-9.<URL: http://www.cromohs.unifi.it/8_2003/carrattieri_mastrogregori.html>

1. Massimo Mastrogregori è probabilmente, tra gli studiosi italiani, quello che ha dedicato l’impegno più assidrecupero e all’analisi metodologica dei testi della tradizione annalista e di Marc Bloch in particolare. La sintetiintroduzione recentemente pubblicata presso Laterza segue infatti un’opera pionieristica come Il genio dello stdel 1987 e riprende in larga misura il successivo Il manoscritto interrotto del 1995; integra inoltre una lunga searticoli pubblicati sulla rivista che egli stesso dirige (già «Rivista di storia della storiografia moderna» ed ora«Storiografia»), e su vari altri periodici internazionali, tra i quali proprio i «Cahiers Bloch»; da oltre un

quindicennio insomma Mastrogregori si occupa, attraverso ricerche di prima mano, dello storico alsaziano e demodo di fare storia (nel duplice senso, come vedremo, di viverla e pensarla).Questo ultimo intervento, che compendia quindi un maturo itinerario di ricerca personale, va letto comunque ssfondo di un processo più generale di riscoperta di Bloch, che ha coinvolto anche l’Italia nel corso dell’ultimodecennio; e già il fatto che una importante collana dedicata ai maestri del secolo appena concluso includa tra i  primi titoli un volume su uno storico straniero appare in questo senso significativo. Sollecitato, come avremo mdi ripetere, da motivazioni assai diverse e talvolta estranee all’ambito strettamente storiografico, questo “momBloch” ha favorito pubblicazioni di portata e valore diseguale, ma ha comunque portato a maggior diffusione ilavori di tutti quegli studiosi che, come Mastrogregori, ma anche Arcangeli, Mustè o Pitocco, considerano da timprescindibile il confronto critico con gli storici francesi, e soprattutto con gli annalisti.2. L’ Introduzione inizia significativamente con la famosa definizione blochiana della storia come “scienza deguomini nel tempo” e attorno a questi tre termini articola una presentazione del contesto generale in cui Bloch strova ad operare: il dibattito sulla natura della storia e la sua crisi nella Francia di inizio secolo; le figure di mae compagni che ispirano e affiancano il suo itinerario; la situazione e le caratteristiche della professione neldrammatico scenario che segue la Grande Guerra.Il punto di partenza della riflessione di Bloch si situa proprio nelle numerose critiche rivolte da più parti a una che pure sta realizzando un grande progresso metodologico e istituzionale; nei vari ambiti nazionali questo climdiffuso di processo sollecita negli storici un esame di coscienza e la ricerca di nuove forme di “apologia” delladisciplina. Mastrogregori ribadisce l’originalità e la creatività della posizione di Bloch, che rifiuta il romanticisgli opposti positivismi che lo hanno sostituito in Francia, senza però abbracciare le alternative idealistiche omaterialistiche proprie di altri contesti.

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Riguardo alle ascendenze intellettuali blochiane, l’autore non si limita ai consueti riferimenti a Pirenne, DurkhBerr, ma ricorda anche il magistero del padre Gustave, l’influenza dei colleghi più anziani alla fondazione Thiesoprattutto l’opera dei durkheimiani di seconda generazione. A questo proposito, pur senza scendere nei particMastrogregori mostra di condividere le diffuse perplessità della critica più recente riguardo al presuntodurkheimismo di Bloch, già denunciato da Febvre. Egli chiarisce da un lato come l’influsso della sociologia,veicolato da Simiand e Halbwachs molto più che dal loro maestro, sia stato anche e soprattutto una scuola distrategia intellettuale; dall’altro come esso non abbia impedito il permanere di rilevanti distinzioni tra le dueimpostazioni disciplinari, soprattutto in merito alla salvaguardia del ruolo degli individui come agenti di storiaIn merito infine allo status degli storici ai tempi di Bloch, Mastrogregori riprende le note analisi di Dumoulin,sottolineando le difficili condizioni di accesso all’insegnamento e la rilevanza dei giochi accademici per lo svildelle carriere. Lo storico alsaziano, in virtù dello status sociale e delle ascendenze familiari, non può più essereconsiderato l’outsider descritto dalla leggenda annalista, se non altro per il riconoscimento ottenuto con la cattedi storia economica alla Sorbona; ma Mastrogregori evidenzia la sostanziale insofferenza di Bloch agliopportunismi, ricordando in particolare lo scacco subito al Collège dal suo progetto “rivoluzionario” sulla storicomparata (mentre Febvre, anche in virtù di un miglior inserimento nella comunità intellettuale parigina, avevaavuto accesso alla medesima istituzione). Già in quest’ambito viene poi ricordata la vocazione propriamente pedagogica della sua storia, che si indirizza a un pubblico più ampio della ristretta cerchia degli specialisti e ap

in generale molto attenta alle ricadute didattiche della ricerca.3. Nei capitoli successivi Mastrogregori procede ad analizzare l’opera blochiana, sovrapponendo ad un impiantsostanzialmente cronologico dei titoli che rievocano chiaramente quelli dell’ “Apologia” e corrispondono dunqalle tappe identificate da Bloch nel lavoro proprio dello storico; così facendo egli richiama, fin nel disegnocompositivo del suo saggio, il tratto che ritiene fondamentale dell’itinerario blochiano: la presenza ineludibile “vita nella storia”, sia nel senso dell’investimento di senso e passione che lo storico mette nel suo mestiere, siaquello della vitalità propria del sapere stesso in quanto “scienza in cammino”.Se è vero che l’analisi dell’opera blochiana procede abbastanza linearmente dagli scritti giovanili ai capolavorimaturità, è vero anche che Mastrogregori tiene soprattutto a delineare le risposte diverse ma coerenti che Blochvia fornisce al problema fondamentale della dignità della storia.Già nei lavori meno noti di inizio secolo egli forgia in effetti un certo modo di concepire la storiografia, in cui

scrittura vera e propria è preceduta da un lavoro paziente e meticoloso di raccolta e sistemazione dei materiali;allo spoglio rigorosissimo dei documenti Bloch associa fin da subito una spiccata capacità di osservazione del e di sfruttamento dello stesso in qualche modo come fonte, sulla base di quel cerchio ermeneutico che poi defin“metodo regressivo “.La prima guerra mondiale si rivela allora particolarmente importante non solo come luogo di apprendimento ditecniche di rilevazione o come momento di disillusione ideale, ma anche come straordinario esempio di “maccdel tempo” di cui lo storico può usufruire a parziale compensazione dell’impossibilità di creare condizionisperimentali. Riprendendo alcune osservazioni di Bianca Arcangeli, Mastrogregori sottolinea soprattutto l’idea blochiana di “esperienza naturale”, distinta sia dalla percezione immediata del vissuto che dall’esperimentoartificiale delle scienze naturali; in particolari circostanze infatti la dinamica storica espone i propri meccanismocchi dello studioso in una forma semplificata, così che egli, all’interno di questo ambito peculiarmente delimicontrollato, può analizzare l’andamento delle variabili, verificare le loro interazioni e ricavarne nuove ipotesi dricerca.Proprio sulla base del binomio osservazione-esperienza posto in questa fase dagli scritti metodologici,Mastrogregori ripercorre i vari nuclei della produzione successiva, che spazia dalla storia rurale a quella delletecniche, dalla storia sociale a quella monetaria. Rilevata la pertinenza degli interventi nei vari campi, l’autoresottolinea soprattutto la vastità tematica degli interessi di Bloch e la sua posizione d’avanguardia nell’aprire nufiloni di ricerca: in particolare si richiama il ruolo de I re taumaturghi nel concepire un modo innovativo di farstoria politica e insieme nell’aprire la strada alle forme più recenti di storia della mentalità.Mastrogregori appare particolarmente interessato alla portata strettamente metodologica delle ricerche blochiandal già citato metodo regressivo al suo ruolo di banditore, per lo più inascoltato, della storia comparata. Ma è

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soprattutto nella grande sintesi de La società feudale che l’autore può rintracciare un modello esplicativo propriamente blochiano, in cui la vocazione strutturale e l’attenzione al cambiamento si combinano in una sintcomplessa e suggestiva, che rifiuta l’idolo delle origini e quello della causa unica per compiere un continuarivisitazione, alla luce del procedere della ricerca, del rapporto tra fattori e fenomeni.4. La parte più consistente di questa introduzione è comunque dedicata ad una originale rilettura in chiave “poldel periodo successivo alla fondazione delle Annales e in particolare dei testi redatti nel corso del secondo conmondiale. Mastrogregori riprende le opere più note come La strana disfatta e L’apologia della storia, alla luceun accurato lavoro di scavo filologico, che permette di superare le immagini mitiche che vi si sono sovrapposteintegra poi in questa ricostruzione vari altri testi a torto ritenuti minori, in quanto privati, incompleti o a lungoinediti (dal progetto per Storici in laboratorio alla lezione A cosa serve la storia; dalle Riflessioni per il lettorecurioso di metodo al taccuino Mea).Questo itinerario intende far emergere la peculiare vocazione “militante” della storia blochiana, che si rivela ponon in quanto asservita ideologicamente o votata ad una intransigente idea di giustizia sociale (come suggeriscinvece la recente biografia di Raulff), bensì perché animata da un intenso afflato pedagogico verso la “città” eguidata da un’estrema fiducia nelle potenzialità critiche della storia. Non si tratta ovviamente di trascurare leconvinzioni ideali e le prese di posizione dello storico, dal progressismo laico e borghese alla scelta militare, panzi egli si dimostra pienamente consapevole delle dinamiche dell’attualità, criticando severamente il pacifism

Monaco e avvertendo con acuta sensibilità i pericoli del nazismo. Tuttavia anche lo spiccato patriottismo di Blcui non è estraneo il forte senso civico degli ambienti ebraici, ha come ricaduta storiografica non una chiusuranazionalista, bensì l’adozione di uno spazio di analisi e comparazione tendenzialmente europeo, così come l’atconsiderazione della nazione come problema storico piuttosto che come risposta pregiudiziale.5. Dopo un’appendice biografica e una bibliografia estesa e aggiornata ci viene offerta infine una movimentatadiscussione della fortuna critica di Bloch, che ha visto via via valorizzare in lui lo specialista del medioevo e dstoria economica, il capostipite delle Annales, lo storico della mentalità e, ultimamente, il martire della resisten(ma si potrebbero aggiungere l’intellettuale ebreo, l’insegnante, lo storico del presente …).Pur avendo ben presenti i termini di questo dibattito e la sua recente reviviscenza, cui già si è accennato,Mastrogregori rifiuta di appiattire la sua trattazione sulle immagini troppo schematiche che sovente ne sonoscaturite, e intraprende invece la strada di un’analisi più articolata che a partire da una attenta rilettura dell’ope

Bloch e da una seria riflessione dei suoi fondamenti teorici ne renda una rappresentazione più completa eapprofondita. Egli rifiuta quindi la riduzione dello storico francese a campione della scolastica annalista nelle svarie declinazioni generazionali, così come la sovrapposizione alla figura blochiana della sua eroica vicendaresistenziale; lo storico scienziato e l’intellettuale impegnato sono in effetti il frutto di una polarizzazione che nriesce a rendere ragione della compresenza in Bloch di spunti rilevanti in entrambe le direzioni.Il grande merito di questa introduzione è invece quello di mostrare come al grande problema del ruolo e del vadella storia, che è per Bloch personale, generazionale e professionale insieme, egli risponda collegandone lalegittimità e l’utilità attraverso un sapiente dosaggio, sempre peraltro in discussione. Se è vero che di fronte agattacchi generalizzati e generalizzanti Bloch accetta la sfida di mostrare “a cosa serve la storia”, avvertendo il pmorale, intellettuale e civile di questo compito, egli riconduce però questo impegno proprio alla dimensione diconoscenza autonoma e oggettiva della disciplina, il cui ruolo nella civiltà occidentale, soprattutto nel difficile passaggio tra i due secoli, non può che essere quello di insegnare agli uomini come gestire il peso dei ricordi inmodo da tradurlo in preziosa risorsa intellettuale ed esistenziale.6. Bloch si inserisce a pieno titolo nella riflessione epistemologica del suo tempo, intravedendo nei mutamenti campo scientifico l’occasione anche per la storia di rivendicare una sua piena ma autonoma scientificità, forte dmetodo ormai consolidato, della capacità di scegliere gli oggetti e i punti di vista, della rinnovata consapevolezdei suoi limiti e delle sue possibilità. Il Bloch metodologo della storia che ne scandisce le tappe dall’osservazioall’analisi fino all’interpretazione, è mosso dalla consapevolezza che una storia umile e artigianale, concreta e pragmatica può vantare in realtà grandi ambizioni e ampliare enormemente i suoi orizzonti; ma questo potenziaconoscitivo ha una precisa funzione sociale che non può smarrire a rischio di tradursi in vuoto gioco erudito ocorporativo.

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D’altronde la vocazione propriamente politica dell’uomo Bloch non va cercata tanto, come abbiamo detto, nelricorso all’azione come soldato e resistente, che anzi ne sancisce almeno in parte la sconfitta; bensì nel modo sdi intendere l’autonomia e la scientificità della storia come funzionali al consolidamento del legame sociale e a progredire, sempre da conquistare, della civiltà.Egli concepisce infatti lo storico utile non come un artista dilettevole, un maestro di vita o un propagandista, become un difensore della verità in grado di fornire ai suoi possibilmente numerosi lettori un’arma intellettualeindispensabile per una condotta matura e responsabile.La storia può infatti aiutare a combattere le forme più subdole di idoli e miti, a smascherare la menzogna, a gesil potere della tradizione; rendendo consapevoli delle differenze essa consente di evitare gli «anacronismidell’azione» e le «illusioni di autointellegibilità» del presente; entro certi limiti infine garantisce la possibilità deffettuare delle previsioni tendenziali o comunque di scegliere i tempi più opportuni per passare dalla riflessionall’azione.Mastrogregori mostra peraltro come questa posizione di Bloch si regga su equilibri assai delicati e sofferti, tral’impellenza di una storia “viva” e il rifiuto di una storia “serva”; e il tentativo di ricondurre la politica alla suadimensione culturale si dimostra alla fine inadeguato, nella misura in cui Bloch è costretto a deporre le armimetaforiche per imbracciare quelle reali e soccombere ad esse. Anche questo scacco però smentisce solo parzialmente il valore delle scelte precedenti: da un lato infatti il fallimento sul piano esistenziale non inficia in

assoluto le conseguenze intellettuali della condotta blochiana, che anzi il successo del modello annalista e la su perdurante vitalità tendono ad esaltare; dall’altro la scelta di dedicarsi in ultima istanza all’azione diretta non faconfermare la coerenza di Bloch nel rifiutare di asservire la storia agli interessi di parte, se è vero che nel momin cui “la via del professore “ si dimostra insufficiente, egli abbandona la storia senza rischiare di compromettestrumentalizzarla.7. In generale Mastrogregori riesce a rendere tutta la drammaticità del percorso blochiano, animato dalla tensioinesauribile tra pensiero critico e azione pubblica, senza perdersi nei meandri di una “biografia impossibile” o gioco di specchi delle interpretazioni.In questo senso è interessante notare come l’autore rifiuti il Bloch uguale a se stesso di Febvre così come quell“ravveduto” dalle esperienze di guerra descritto da Ginzburg o Lyon, per riprendere invece l’immagine proposToubert: quella di un continuo superamento di ostacoli, in cui i due conflitti rappresentano i nodi fondamentali

si inseriscono a loro volta in una continuità problematica, sollecitando l’arricchimento delle risposte blochianesi tratta però di un processo lineare: non di rado Bloch fa cadere spunti tematici e metodologici appena precedene riprende invece a distanza di tempo altri a lungo trascurati.Su questo impianto interpretativo abilmente connesso Mastrogregori è in grado di innestare numerose osservazche ampliano le suggestioni metodologiche offerte dalla storiografia blochiana: tra queste ad esempio le intuizi pionieristiche di Bloch storico della storia, sia nel passare in rassegna le tappe di formazione del metodo, siasoprattutto nell’indagine storica dei modi di azione della memoria e della rappresentazione del passato come asdella stessa civiltà occidentale.Ma anche il particolare taglio della vocazione pedagogica di Bloch laddove egli cerca di coinvolgere il “lettorecurioso di metodo” nel “laboratorio dello storico” per chiarirgli il fascino avventuroso e insieme l’intrinsecadifficoltà del suo lavoro (non sfugga a questo proposito la riproposizione dello stesso motivo a livello critico d parte di Mastrogregori, che rievoca a sua volta le tappe della propria scoperta di Bloch).O ancora le peculiarità blochiane nel lavoro di recensione e persino nei modi e nelle origini delle citazioni, cheappaiono elementi non secondari del suo intento di stabilire uno scambio intellettuale vasto e diversificato, in clivello tecnico e quello genericamente intellettuale rimangano indipendenti, ma non estranei.Il Bloch di Mastrogregori è insomma, come quello recentemente apprezzato da Noiriel, un membro attivo econsapevole del proprio gruppo professionale, di cui indaga attentamente il ruolo e la tradizione; ma rispetto aquello strettamente “disciplinare” dello studioso francese, si mostra più attento alla comunicazione col lettorecomune, anticipando anche in questo tendenze più recenti.8. Chiarito tutto il valore di questo lavoro di introduzione, che rappresenta a tutti gli effetti una vera e propriasintesi monografica, vale la pena di indicare alcuni punti rimasti in qualche modo in secondo piano, sui quali

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sarebbe interessante approfondire la posizione espressa qui da Mastrogregori, integrandola magari con alcuni sinterventi precedenti. Si avverte infatti in questa occasione l’assenza di una panoramica più ampia del “processstoria” d’inizio secolo quale ci era stata offerta ad esempio ne Il manoscritto interrotto; e soprattutto manca la puntuale ricostruzione del rapporto con Febvre che era propria invece dell’opera su  Il genio dello storico.L’ Introduzione rievoca in effetti il comune ambiente strasburghese e la fondazione delle Annales, ma per quanriguarda il confronto critico tra i due autori salta direttamente dalle recensioni giovanili alla disputa del ‘40. Fo per non riaccendere le polemiche (infondate) sull’atteggiamento di Febvre negli anni ’30, l’autore finisce per  precluderci una ricostruzione puntuale del rapporto non sempre facile fra i due direttori nella redazione della ridai dubbi del ’29 alla crisi del ’35 (dopo la morte di Pirenne), dai diversi giudizi su colleghi e collaboratori allacuriosa polemica sull’immagine blochiana dello storico come giudice istruttore.Quest’ultimo spunto riporta fra l’altro alla luce alcuni elementi irrisolti o equivoci della linea storiografica blochiana, come la questione aperta del lessico storiografico o l’assenza di una posizione precisa riguardoall’interesse storico; elementi che proprio Mastrogregori aveva altrove contribuito ad evidenziare, una voltalegittimata l’analisi dell’opera di Bloch sul piano propriamente teorico. Si ha insomma l’impressione che nellodevole intento di superare alcune critiche troppo scolastiche rivolte allo storico francese nella sua prima operMastrogregori indulga ora in qualche concessione di troppo a suo favore, proponendo estrapolazioni non sempdimostrabili riguardo alla consapevolezza teorica di Bloch e alla coerenza della sua impostazione.

Se queste considerazioni vanno indubbiamente sfumate dal richiamo al taglio sintetico dell’ Introduzione, èopportuno comunque rilevare come la sentita esigenza di sottolineare l’originalità del magistero blochiano spinforse Mastrogregori a sbrigare troppo precipitosamente il nodo del suo rapporto con la tradizione storicista. Alcritici, come Arcangeli o Oexle, sembrano infatti ravvisare non del tutto a torto tra Bloch e i suoi contemporantedeschi consonanze che vanno oltre quella generica atmosfera culturale d’inizio secolo che Mastrogregori rievattraverso la definizione cantimoriana sugli storici “scontenti e innovatori”. Se il silenzio di Bloch su Weber e critiche a Meinecke qui puntualmente ricordate testimoniano inequivocabilmente del solco che l’azione diDurkheim ha esercitato nel separare il mondo culturale francese da quello tedesco, non si può però a rigore pardi totale impermeabilità tra le due tradizioni. Senza che egli ne sia necessariamente consapevole, ritornano in Bmotivi come la salvaguardia dell’individualità o la difesa del costruttivismo razionalistico, che pur non essendodirettamente riducibili, non sono però neanche totalmente estranei alla Methodenstreit , mediata evidentemente

Pirenne e da Halbwachs.9. In conclusione è giusto ricordare come anche queste domande in parte inevase si inseriscano senza soluzionecontinuità nella riflessione di Mastrogregori, sollecitate nel lettore proprio dalla ricchezza e dalla dinamicità desua introduzione, che contribuisce indubbiamente a promuovere una migliore conoscenza di Bloch e soprattuttrestituire la ricchezza della sua lezione ed insieme del suo esempio.Chiamando la tradizione italiana ad un dialogo più costruttivo con l’autore alsaziano, Mastrogregori ci invitainsomma a riflettere senza disfattismi o vanaglorie, sulle risorse a disposizione della disciplina e in generale decultura storica per affrontare una crisi non solo storiografica quale quella del primo Novecento, ma anche,evidentemente, quella odierna.

Wojtyla e la dottrina della storia - Wojtyla and the doctrine of history by Stefano Vaccara<mailto:[email protected]>

 No. 52 - 1 April 2000 (original in Italian)

"Gli uomini sbagliano, solo i grandi uomini confessano di essersi sbagliati", diceva la grande mente illuminis

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Voltaire che non avrebbe certo immaginato che le sue parole potessero servire a commentare il discorso di un Domenica 12 Marzo 2000: Giovanni Paolo II chiede a Roma perdono a Dio per gli errori commessi dalla Ch

nella sua storia. L’"infallibile" Papa rivela che l’istituzione di cui il Giubileo festeggia i duemila annni di stori piú volte sbagliato e peccato. Un "mea culpa" che ha un grande significato non solo per il futuro dela religio

cattolica e della sua millenaria istituzione ecclesiastica, ma anche per il mondo laico che dovrá riflettere sumessaggio universale di rivalutazione della critica storica lanciato dal piú longevo centro di potere della Terra.make mistakes, only great men confess that they have mistaken",said the great mind of the enlightenment, Vol

who surely had not imagined his words would one day serve to comment on the speech of a pope. In Rome, Sunday March 12 2000, Pope John Paul II asked God for forgiveness for the errors committed by the Chur

throughout history. The 'infallible' pope revealed the institution in which, during this Jubilee, celebrated 2000 of history, has many times committed errors and sins. This "mea culpa" has great significance not only for t

future of the Catholic religion and its two thousands year old ecclesiastic institution, but for the secular worlwell, which must reflect on this universal message of reevaluation of history launched by the oldest center

continuous power on earth.Nel documento intitolato "Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passla Chiesa riconosce le sue persecuzioni, le sue guerre, le sue discriminazioni, le sue responsabilitá per le divisdella cristianitá. I "mea culpa" del Papa per la violenza delle crociate, dell’inquisizione, delle guerre di religi

contro i protestanti, descrivono tragici episodi di una lunga storia vissuta da una Chiesa ben diversa dalla pres

Ma nel chiedere perdono a Dio anche per ció che la Chiesa fece, o meglio per quello che non fece, nel terrib Novecento, Wojtyla dimostra la grandezza di cui parlava Voltaire. Sull’Olocausto degli ebrei, la Chiesa non a

ancora completamente ammesso la sua colpa, che é stata quella del silenzio. Il Vaticano di Pio XII si adoperósalvare centinaia di ebrei dallo sterminio nazi-fascista, ma puó bastare questo dato per discolpare la Chiesa daresponsabilitá? Come fu possibile per i nazisti condurre, praticamente senza resistenza, lo sterminio di milionebrei nel cuore dell’Europa cristiana? La troppa prudenza del pontificato di Pio XII contribuí a scrivere una d pagine piú buie della storia d’Europa e della Chiesa.In the document titled "Memorandum and reconciliation

Church and the errors of the past," the Church recognizes its persecutions, its wars, its discriminations, and responsibility for the division of Christianity. The "mea culpa" of the pope for the violence of the crusades, o

inquisition, of the religious wars against the Protestants, describes tragic episodes in a long history experiencedChurch very different from today’s. However, in asking God’s forgiveness for what the Church did, or better

for what it did not do during the terrible twentieth century, Wojtyla demonstrates the greatness of which Voltspoke. Concerning the Holocaust of the Jews, the Church had not yet completely admitted its guilt, which wasof silence. The Vatican of Pio XII saved hundreds of Jews from the extermination of the nazi-fascists, but is

enough to absolve the Church from any responsibility? How was it possible for the Nazi’s to conduct, almowithout resistance, the extermination of millions of Jews in the heart of Christian Europe? The exaggerate

 prudence of Pio XII contributed to writing the darkest pages of history for Europe and the Church.Stalin, a ch parlava dell’influenza che il Vaticano poteva esercitare sugli eventi, rispondeva sprezzante: "Quante divisioni

Papa?". Per quanto riguarda la tragedia dell’Olocausto, il Papa aveva a disposizione un’armata morale che prinunció a utilizzare. Papa Pacelli poteva fare di piú, molto di piú, ma invece scelse la strada sbagliata, la strad

silenzio e della prudenza, rinunciando a scuotere non solo i milioni di cattolici italiani e tedeschi, ma anchl’opinione pubblica degli Alleati (soprattutto americana).Stalin, responding to arguments on the potential influ

of the Church at the time said, "How many armed divisions does the pope have?" Regarding the tragedy of tHolocaust, the pope had at his disposition a moral arm which he refused to use. Papa Pacelli could have done m

much more, but he chose the wrong road, that of silence and prudence, refusing to influence not only millionGerman and Italian Catholics, but also the public opinion of the allies, especially America.Il grande storico fraMarc Bloch scrisse che quando interroga la propria storia, un popolo si sottopone a un esame di coscienza. Il

oggi non solo chiede perdono a Dio per gli errori commessi dalla Chiesa, ma chiede anche a tutti i cattolici (siamo convinti anche a tutta l’umanitá) di interrogare il proprio passato per farsi un esame di coscienza e trovattraverso lo strumento della conoscenza la forza per non ripetere certe tragedie.The great French historian, M

Bloch wrote that when a nation questions its history, it questions the conscience of its people. Sunday, the poponly asked God’s forgiveness for the errors committed by the Church, but asked all Catholics, as well as all

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humanity, to question their past, to examine their conscience and in that way find the instrument of knowledgorder not to repeat tragedy.Quello di Papa Wojtyla diventa cosí il riconoscimento della Chiesa alla funzion

 pedagogica della critica storica. Wojtyla ovviamente scava nel passato della sua Chiesa, ma facendolo crediamlanci anche un segnale a tutte le istituzioni di potere create dall’uomo, religiose o laiche che siano. Per affrontfuturo é fondamentale riconoscere gli errori del passato, dice il Papa alla sua Chiesa, e contemporaneamente si

ad esempio per gli altri grandi leader della Terra. Non avrebbe molto senso infatti se il ritorno della memoravvenisse soltanto a Roma, centro spirituale ancora importante ma sicuramente non piú potenza del mondo cadi determinare la storia come nei secoli passati. Il Papa con la sua "confessione" indica il futuro alla sua Chieslancia anche un messaggio a tutti gli altri poteri nel mondo: nessuno potrá entrare nel nuovo millennio e pensa

 portarlo a termine nascondendo parti del suo passato, con le sue colpe e i suoi peccati. Il Papa chiede perdono  per gli errori della Chiesa, ma anche altri dovranno riconoscere le proprie colpe e chiedere perdono questa volt

 proprie vittime. Cosí si attende ora un presidente americano che sollevi la coscienza del suo popolo e chied perdono per le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, cosí come aspettiamo un presidente russo chiede

 perdono per i massacri perpetrati contro le minoranze etniche (quello ceceno é solo l’ultimo di una lunga seridovrebbero ovviamente prostarsi per questa "confessione mondiale" anche cinesi, arabi, turchi, indiani fino a piccolo dei popoli che si é macchiato di crimini contro l’umanitá.As such, Pope Wojtyla’s speech is the Churrecognition of the pedagogic function to criticize the past. Obviously Wojtyla digs into the history of the Chu

 but in doing so, he launches a signal to all of the institutions of man, religious but also secular. To confront future, it is fundamental to recognize the errors of the past, says the pope to his Church, and contemporarily

 becomes an example for the other great leaders on the earth. It would not make much sense in fact, if this "docof history" were for Rome only, an important spiritual center, but surely not the powerful world power capab

determining history as in past centuries. With his 'confession', the pope indicates the future for its Church, alaunches a message to all other powers of the world: nobody can enter the new millennium and remain stro

hiding the past, with its sins and guilt. The pope asks God’s forgiveness for the errors of the Church, but othmust also recognize their guilt and ask in turn forgiveness of their victims. Therefore, an American president

have to lift the conscience of his people by asking forgiveness for the nuclear bombing of Hiroshima and Nagaand a Russian president will have to ask forgiveness for the massacres of ethnic minorities (that of Cecenia is

latest in a long series), and obviously in this "world wide confession" also the Chinese, Arabs, Turkish, Indian

the smallest populations tainted by crimes against humanity will have to participate.Se la Chiesa ha peccato, sedire Wojtyla, nessuno é senza peccato e nessuno ha quindi il diritto di scagliare la prima pietra per dominarealtri. "L’inizio della salvezza é la conoscenza della colpa", scriveva proprio duemila anni fa Seneca. Wojtyla

iniziato questo cammino di salvezza indicando alla Chiesa la strada per entrare nel suo terzo millennio. Spettaagli altri poteri della Terra, piú giovani della Chiesa ma non per questo senza colpe da riconoscere, seguirn

l’esempio.If the Church has sinned, Wojtyla seems to say, nobody is without sin, and therefore nobody has theto throw the first stone, to dominate others. "The first step in salvation is the recognition of sin," wrote the L

 poet Seneca 2000 years ago. Wojtyla began this walk toward salvation indicating to the Church the new road fthird millennium. It is now up to other world powers, younger than the Church, but by no means more innocen

follow the example.Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta sulla rubrica "Visti da lontano" dquotidiano "America Oggi", domenica 12 marzo, 2000This editorial was first published on the newspaper

"America Oggi" ("Visti da lontano" column) on Sunday, 12 March 2000

Per una filosofia della pace infinitaPresso l'università di Siena, un convegno internazionale su «Guerra e pace». Una riflessione non distaccata sulfuria delle armiPensieri a buon fine. Alimentata dalla visione apocalittica di un conflitto perpetuo, si è innescata la pratica di u

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guerra permanente. Ma un sapere costruttivo di pace è ancora possibile

La pace e la guerra ragionate secondo una prospettiva filosofica nel corso di tre giorni, mentre la guerra insange devasta la regione tra i due fiumi dove è fiorita tanta parte del retaggio civile dell'umanità. Presso l'Universitàdegli Studi di Siena si è discusso di Guerra e pace, come recita l'intestazione del convegno internazionale promdal Centro per la Filosofia italiana presieduto da Giuseppe Prestipino, in collaborazione con l'Istituto Italiano dStudi filosofici e con il Centro Mario Rossi per gli studi filosofici. Una riflessione di filosofi, dunque distaccatsvolta nelle separate stanze della Certosa di Pontignano, nelle stesse ore in cui la furia delle armi abbatte uominmigliaia, distrugge ed offre al saccheggio un patrimonio di memorie antichissime, le poche risparmiate dal voldi millenni? No. Esercitata sine ira ac studio, la filosofia è responsabilità di intelligenza. E sta in questaresponsabilità, forse, quel superiore prender parte che appare dote intrinseca al pensiero filosofico e che, in ogcaso, ha contraddistinto le molte, variate voci che hanno animato le quattro intense sedute del convegno apertoBernard Bourgeois. Citando l'Aristotele della Metafisica, Bernardo e Tommaso, fin dalla sessione d'inizio MarSanchez Sorondo, Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, ha richiamato il «culto disinteressato verità» come fine del sapere. La verità, ha aggiunto, che «è fine a se stessa, ma, insieme, per il bene» sicchè sosapere secondo verità consente l'incessante «opera di edificazione continua della pace».

E quale il possibile compito di un sapere costruttivo della pace quando sia innescata la pratica di una guerra permanente, alimentata dalla dimensione apocalittica di «una guerra perpetua, ultima, della fine della storia»,definita «preventiva» e dichiarata dagli Stati Uniti d'America dopo l'attentato dell'11 settembre 2001, ma, comemolti hanno precisato (Maria Luisa Boccia, Mario Tronti, Danilo Zolo, tra gli altri) elaborata a partire dal 1991allorché «sul Cremlino cala la bandiera rossa e sale il vessillo della vecchia Russia» (Tronti)?

Raniero La Valle ha detto puntuali parole su questa guerra «mai vista prima», che «rinuncia alla legittimità, mechiede legittimazione alla vittoria» e Tom Rockmore ha sottolineato il pericolo gravissimo che gli Usa corronorischiando, nel nome d'una guerra alla tirannia, un regime di «dittatura antidemocratica». In quali termini ènecessario considerare le leggi della guerra ovvero le categorie specifiche elaborate per giudicare della sualegittimità quando, identificato il nemico come «pura negazione e terrore cade ogni distinzione e confine tra

militare e civile» (Boccia) ed è «la guerra contro il terrorismo a porsi fuori di ogni legge ed a  fondare il terrori(Angelica Nuzzo) in un più ampio contesto di «nemicizzazione» dell'Altro (Annamaria Rivera)? Argomenti chLuigi Ferrajoli e Danilo Zolo hanno considerato in rapporto alla esigenza di un diritto internazionale che «sappsottoporre l'uso della forza a regole minimali per ridurre i disastri della guerra» (Zolo); che Domenico Losurdoapprofondito analizzando alcuni aspetti della cultura politica statunitense; che Carla Ravaioli, Domenico JervoTeresa Serra hanno trattato riflettendo sulla economia neoliberista, sulle culture della pace e sulle nuove sogge politiche in rapporto ad una «filosofia della liberazione».

Della guerra in atto - oggi scelta come violenza adeguata ad imporre regole di convivenza civile - e della pace oggi predicata come meta ideale e negata come prassi capace di compensare ineguaglianze e dirimere conflitti dunque tentato di ragionare. Lo si è fatto secondo i costrutti del sapere filosofico, riconoscendo nell'aderenza atema in questione e nell'intento ad una sua determinazione circostanziata, un modo del conoscere in filosofia.

Tra le armi tacciono le leggi - silent leges inter arma - ammaestra Cicerone: si intende che con la guerra le legnon hanno campo e, interdette, sospese, il loro corso interrotto riprenderà, dopo la parentesi, con la pace restauOvvero si vuol dire che la guerra interdice leges obsolete per affermare con le armi un equilibrio nuovo e percifondativo d'un nuovo diritto? Tronti si è chiesto in che modo instaurare una forza di dissuasione quando, comeaccade, il mondo è dominio d'una sola parte, se è vero che «per la pace contro la guerra è più efficace una pratiequilibrio delle forze che una regola al di sopra delle parti».

Antichi dilemmi. Erasmo ne Il lamento della pace, citando Omero, constata come gli uomini siano presi da «sa

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anche per cose gradite come il sonno, il cibo, le bevande, le danze, la musica, mentre dell'infelicità della guerrasi è mai sazi». Ci si è di nuovo interrogati sul perché di questa permanenza della guerra, come non se ne riescaestirpare la radice. E quanto, in corrispondenza, sia dichiarata universalmente una volontà di pace. Un antico adrecita più o meno così: ecco tra noi la guerra viene a spargere bugie e falsità. Ha scritto Marc Bloch nel 1921 cfalsità con la guerra «non si propaga, non si amplia, non vive che a una condizione: trovare nella società in cui diffonde un terreno di coltura favorevole. In essa, inconsciamente, gli uomini esprimono i loro pregiudizi, i lorodi, i loro timori, tutte le loro emozioni forti. Grandi stati d'animo collettivi sono i soli ad avere il potere ditrasformare in una leggenda una percezione distorta». Un enorme portato delle guerre risiede nelle poderoserappresentazioni di identità e di appartenenza costruite attraverso la morte nella speranza d'una vita nuova. E' f per questo che la realizzazione effettiva della pace, lungo il corso dei secoli, si è creduto necessario autorizzarelegittimare dalla guerra? Nessuna risposta definitiva dal convegno Guerra e pace, ma un richiamo alle parole dMarc Bloch che ci invitano a meditare sulle cruente giornate di questi mesi di «guerra preventiva infinita»: «Odal momento in cui l'errore aveva fatto versare sangue, esso era definitivamente convalidato». Che fare perchéquesto non sia?

Marc Bloch e La strana DisfattaRenzo De Felice, in una delle ultime interviste, suggerì ai giovani lettori che volevano avvicinarsi alla storia di procurarsi una copia de La strana disfatta di Marc Bloch, un volume che in italiano non era facilissimo reperire1995 però l’editore Einaudi ha colmato questo vuoto e nella bella e seriosa collana Biblioteca Studio è oggi possibile trovare, al numero uno del catalogo, una delle più originali e straordinarie opere storiografiche del nosecolo. Scritta nella clandestinità seguita all’invasione della Francia da parte della Germania nazista da un matcapitano dell’esercito francese sfuggito all’arresto, come suggerisce lui stesso, forse grazie anche ai suoi capell bianchi, La strana disfatta è però anche l’opera di un accademico di fama, eccellente medievista e già autore disaggi fondamentali come La società feudale o I re taumaturghi. Che, sia detto per inciso ma non troppo, da fed

 patriota e militare politicamente lontano da visioni estremiste, stava per abbracciare la militanza attiva nellaResistenza che lo avrebbe condotto alla tortura e poi alla fucilazione da parte della Gestapo il 16 giugno del 19Saint-Didier de Formans. La vicenda umana di Bloch si incastona alla perfezione tra le pagine de La strana dise ci offre la possibilità di capire ancora più a fondo l’onestà morale di un uomo e soprattutto di un’opera che, benché animata da uno spirito di patriottismo con pochi eguali, per i suoi contenuti e l’impietosa analisi del crototale, la disfatta per l’appunto, di un grande paese come la Francia di fronte all’invasione nazista che avvennequasi senza combattimenti, non doveva risultare gradita ai nazionalisti ed ai tradizionalisti francesi, così come,credo, anche a chi prese in mano le sorti del paese dopo la fine della guerra, e sto parlando di DeGaulle e del sumovimento politico. Queste considerazioni di ordine morale, però, non ci devono fare dimenticare che La strandisfatta è prima di tutto un’opera di indiscutibile valore scientifico e tale giudizio non cambierebbe anche se il autore non fosse diventato militante e martire della Resistenza lionese[1]. L’originalità interpretativa e l’aver travalicato i confini abituali delle opere storiche, l’aver offerto una Testimonianza, come recita il sottotitolo, canella realtà civile e militare, politica e quotidiana di un paese alle soglie del conflitto, l’aver individuato in primluogo cause morali e psicologiche per spiegare la resa incondizionata della Francia nella primavera del 1940, fde La strana disfatta un’opera che ha fornito un paradigma interpretativo di grande portata innovativa, assunto a modello. Bloch, prima che di un crollo militare, parla di un crollo della “società francese”, e, contestualmenteuna minaccia terribile per l’intera “civiltà europea”, e lascia scorrere il proprio sguardo di storico[2] dentro il pFrancia, lungo le piazze sonnacchiose, i licei, le scuole di guerra, fino a giungere negli uffici militari e nella sedel Quartiere Generale Francese. Le immagini che ne ricaviamo sono quelle di un mondo che, ancora traumatizdagli orrori della Grande Guerra e probabilmente soggiogato dalla mentalità aggressiva e “giovane” dell’esercima forse anche del popolo tedesco, vive nella convinzione che la resa sia il solo modo per sfuggire al terrore e,

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tragicamente, espone le poche frange di resistenza, militare e popolare, al massacro. Sindaci che non esitano aconsegnare i propri paesi al nemico senza che questo debba neppure abbozzare un attacco, autorità in fuga un pdovunque, costituzione di “città aperte” in tutti i centri con più di 20000 abitanti; la critica di Bloch colpisce, sacrimonia ma con lucidità e precisione, un’intera classe dirigente[3], per molti motivi incapace di offrire unaqualche risposta all’invasore. Bloch non sentenzia e non sparge giudizi che non siano sostenuti da prove, si limda storico quale è, ad osservare il paese nei giorni della resa. Attraversa le città, ascolta, recupera storia daglisguardi e dagli atteggiamenti delle persone che, come lui, osservano attonite, quando non terrorizzate, l’inopincrollo del paese. E tutte queste informazioni, poi, Bloch le associa a quanto egli ha vissuto in prima persona coufficiale dell’esercito francese, a tutte le incongruenze con cui si è dovuto confrontare, a tutta l’impreparazioneagire, anche solo a pensare di agire, che ha potuto esperire vivendo, e talvolta addirittura dormendo [4], astrettissimo contatto con l’Alto Comando Francese. E quello che si ricava è una forte, fortissima requisitoria col’atteggiamento di una nazione che, prima che dalle avanguardie tedesche, pareva essere stata sconfitta dal propatteggiamento mentale e sociale. “La nostra borghesia - scrive infatti Bloch - che resta malgrado tutto il cerveldella nazione, è oggi forse meno incline allo studio di quanto un tempo era in larga misura costituita daredditieL’uomo d’affari o di legge, il medico, svolgono oggi un’attività faticosa; al termine della giornata, non nutronoaltro desiderio che non sia quello di svagarsi. […] Quand’anche, per puro caso il divertimento assuma formaintellettuale, è raro che ci si colleghi all’azione, persino indirettamente. […] Leggiamo, se leggiamo, per saper

ciò è bene; ma il più delle volte dimentichiamo che è possibile, che anzi si deve ricorrere alla nostra cultura quagiamo”[5]. Nella sua semplicità e nell’apparente riferimento a argomentazioni che appaiono forse lontane dall’idea tradizidella storia, specie della storia militare, e credo lo apparissero ancora di più all’epoca in cui vennero scritte, ilragionamento di Bloch si rivela “storico” nel senso più assoluto del termine e porta alla sconvolgente sensazionche, in un certo qual modo, a crollare di fronte il nemico non sia stato solo un’élite di militari e politici incapacadeguarsi alla realtà del XX secolo, ma un intero popolo, rappresentato dalla sua classe sociale, anche se forse questo contesto meglio sarebbe utilizzare il concetto francese di “ceto”, più influente. E qui troviamo la forza dtutto un saggio composto da un uomo, non dimentichiamolo mai, animato da un patriottismo sincero e militantche lo porterà a cadere gridando “vive la France”, ma che ebbe anche il coraggio, lui storico reputatotendenzialmente moderato, di scrivere queste parole: “E’ giusto che in un paese libero le filosofie sociali avver

 possano combattersi liberamente. Allo stato attuale delle nostre società, è inevitabile che le diverse classi sociaabbiano interessi opposti e prendano coscienza dei loro antagonismi. La sventura della patria ha inizio quando si comprenda la legittimità di questi conflitti”[6]. Se La strana disfatta è effettivamente un atto di scarna accusaverso un intero complesso sociale, Bloch non esclude nessuno, neppure se stesso, dalla schiera degli imputati. avrà, da vecchio soldato legato ai valori tradizionali del laicismo e della lealtà nazionale[7], la coerenza, l’onesintellettuale e la forza per mettersi ancora una volta in gioco e operare, nell’unico modo che egli ritiene realmeefficace, cioè con i fatti concreti più che con i vuoti proclami, per provare a porre rimedio agli errori di tutta ungenerazione, per quanto le sue era nelle sue personali possibilità. La sua Testimonianza, di storico nella forma insegnamenti e di partigiano nella forma di impegno e azione, sono il suo lascito ai giovani che dovranno, comegli stesso scrive espressamente, prendere in mano le sorti future della Francia.Ritengo non sia possibile separare o differenziare le due vicende, l’umana e l’intellettuale, parimenti mirabili.In conclusione riporto le parole con cui Marc Bloch chiude la terza ed ultima parte del suo saggio, l’Esame dicoscienza di un francese, a guisa di monito per chi non credesse che la storia ha un fondo insopprimibile di etic“Diceva un giorno Hitler a Rauschning:«A ragione speculiamo più sui vizi che sulle virtù degli uomini. LaRivoluzione francese si appellava alla virtù. Sarà meglio fare il contrario». Si perdonerà ad un francese, e dunqad un uomo civile – che poi è la stessa cosa – se preferirà a questo insegnamento quello della Rivoluzione, e diMontesquieu: «In uno stato popolare c’è bisogno di un’energia, la virtù». Che importa se il compito è così piùdifficile? Un popolo libero, che persegua nobili obiettivi, corre un duplice rischio. Ma è forse ai soldati, sul camdi battaglia, che si suggerisce la paura dell’avventura?”[8] 

Leonardo M

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[1] Silvio Lanaro, nella sua preziosa introduzione all’edizione Einaudi, descrive in maniera magistrale e toccancome la scelta e l’opera di Bloch assurgano ad un valore di onestà intellettuale e morale assolutamente fuori dacomune e, nel mettere a confronto La strana disfatta con Après la défaite di Bertrand de Jouvenel, “un libro cheaccosta in molti snodi non secondari” ma “pronuncia parole che rispetto a quelle di Bloch suonano qua e là pretenziose, o stonate, o reticenti, e comunque assai poco persuasive.”, così conclude parlando di Jouvenel: “Ncaso quando nel 1943, quando si allarmerà perché il Servizio Informazioni di Vichy – presso il quale lavora – è procinto di scoprire il suo blando anticollaborazionismo, non troverà nulla di meglio che riparare in Svizzera; MBloch, nello stesso arco di tempo, è già diventato il “Narbonne” della Resistenza lionese.”Le citazioni sono tratte da La strana disfatta, Einaudi 1995, pagg. xxiv-xxx[2] Bloch, e questo è a mio avviso un altro degli aspetti straordinari de La strana disfatta, unisce alla testimoniadi un protagonista diretto degli eventi, il proprio valore di storico e ciò conferisce una duplice luce agli eventi egarantisce, almeno in buona parte, dall’arbitrarietà che, per loro stessa natura, i racconti dei testimoni di qualchevento finiscono spesso con l’avere.[3] Anche se il ricorso a generalizzazioni come questa non rientra nella prassi di storico di Bloch, come vedremseguito, mi pare che l’insieme di persone cui si riferisce possa efficacemente essere descritto con tale termine.[4] Sull’episodio si veda La strana disfatta, ed. cit., pagg. 101-103. Bloch racconta di come una notte, a causa dolori reumatici che lo affliggevano, avesse scelto di dormire in una barella sistemata in un corridoio del palaz

che ospitava il comando francese piuttosto che in cantina e, per pura casualità, si fosse sistemato proprio dinan porta dell’ufficio del Generale Blanchard. Ebbe così modo di sentire l’alto ufficiale parlare, ed era solo il 26maggio, quando, scrive Bloch, “avevamo ancora i mezzi, se non per salvarci, almeno per batterci a lungo,eroicamente, disperatamente, come nel luglio 1918 sulla linea avanzata del fronte della Champagne, quando i nisolotti di combattimento erano stati accerchiati; come allora, potevamo tenere in scacco davanti a noi, logoranmolte divisioni tedesche”.[5] La strana disfatta, ed. cit., pagg. 138-139[6] La strana disfatta, ed. cit., pag. 147[7] Nel proprio testamento Marc Bloch scrisse: “Estraneo ad ogni formalismo confessionale come ad ogni pressolidarietà razziale, per tutta la vita mi sono sentito anzitutto e semplicemente francese. Legato alla mia patria una già lunga tradizione famigliare, nutrito della sua eredità spirituale e della sua storia, incapace, in verità, di

concepirne un’altra in cui respirare a pieni polmoni, l’ho amata molto e servita con tutte le mie forze. Ma il miessere ebreo mi è parso di ostacolo a questi sentimenti. Nel corso di due guerre, non mi è stato dato di morire pFrancia. Almeno, che io possa rendere a me stesso questa testimonianza: muoio, come ho vissuto, da buon fran(La strana disfatta, ed. cit., pag. 164).[8] La strana disfatta, ed. cit. pagg. 158-159