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Ora che per la leader birmana si apre di nuovo una stagione pubblica, è bene far memoria di cosa sono stati i suoi anni di isolamento. Lo racconta a Vita la “signora N.”, fuggita a New York dopo essere stata per anni una delle cinque fedelissime che avevano accesso alle stanze riservate della leader. E che ancora teme per i suoi figli... Una donna integra, con un senso di giu- stizia assoluto, che per la giustizia ha messo in gioco libertà personale, famiglia, affetti privati, tutto. Questa è l’immagine pubblica di Aung San Suu Kyi, diventata icona della pace nel mondo. «È davvero così, anche nel privato: una persona fine, gentile, gene- rosa». A parlare è N., oggi citta- dina americana, che vive a New York grazie all’aiuto del genero. Birmana, poco più che sessantenne, mostra con or- goglio la tessera di appartenenza alla Lega nazionale per la democrazia. Ne è stata un’accesa militante e, dal 1995 al 1999, si è recata a casa della Suu Kyi ogni giorno, dal lunedì al venerdì, dalle otto di mattina alle cinque del pomeriggio. «Ogni mattina c’era una macchina ad aspettarmi fuori casa, che mi conduceva da lei. Io portavo la spesa del cibo fatta con i pochi soldi che riusciva a darmi, visto che non ne aveva tanti neanche per sé, e poi cucinavo, sistemavo casa, stavo con lei». N. è una donna semplice, con una sorprendente dignità negli occhi. Avrebbe voglia di raccontare molto più di quello che riesce in un inglese Amnesty Appello per gli “altri” Per Suu Kyi la condizione per negoziare è il rilascio dei prigionieri politici. Nonostante, con l’amnistia dell’11 ottobre, il numero di quelli tornati in libertà quest’anno sia arrivato a 300, si tratta sempre di una piccola parte di un totale che si colloca ancora intorno ai 2mila detenuti. Uno di loro è U Gambira, il trentaduenne monaco buddista che ha guidato la “rivolta dello zafferano” contro la giunta e che dal 2007 è detenuto in isolamento. Secondo Amnesty International, che cita testimonianze di ex compagni di prigionia, le sue condizioni di salute si sarebbero aggravate a causa delle torture subite. Le condizioni detentive in tutta la Birmania sono pessime. Le torture sono all’ordine del giorno, favorite anche dall’isolamento dagli altri detenuti e dall’assenza di visite dei familiari e degli avvocati. Chi protesta, subisce rappresaglie disumane. Come i 15 prigionieri politici del carcere di Insein, nell’ex capitale Yangon, che il 26 ottobre hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la mancata riduzione della loro pena, concessa invece a criminali comuni. Il 27 ottobre, la direzione del carcere ha vietato la distribuzione dell’acqua, ponendo i detenuti in sciopero della fame a rischio di morte per disidratazione. di Barbara Pianca Birmania Getty Images (2) che, dopo dieci anni negli Stati Uniti, non ha ancora imparato decentemente. Ma ha ancora paura. «Due dei miei quattro figli vi- vono in Birmania», spiega, «e se si viene a sapere che dall’estero parlo di Aung San Suu Kyi potrebbero venire arrestati, torturati, o potrebbero scomparire». Di que- sto si tratta. Una vita in fotografia N. ha perso il conto del numero di perquisizioni che ha subìto in casa propria. Quando è uscita dal suo Paese ha nascosto nel doppio fondo della valigia la tessera del partito e una manciata di foto che la ritraggono con il premio Nobel, e che ora mostra continuando a sfogliarle e risfo- gliarle come se tutto quello che ha da dire fosse racchiuso lì, in quegli scatti. «I love her so much», ripete guardandola nelle foto. «È stata a casa mia», ricorda, «ha conosciuto la mia famiglia, si informava sempre sulla salute dei miei cari ed era presente al ma- trimonio di mia figlia (mostra una foto in cui dietro agli sposi spunta proprio lei, la Suu Kyi, sistemata davanti a tutti gli altri, ndr). Poi, nel 2002, sono andata nell’ufficio del Partito a salutarla. “Vado a vivere a New York”, le ho detto. Ci siamo abbracciate e sapevamo che non ci saremmo mai più sen- tite, almeno finché il nostro Paese non di- «Se in Birmania si viene a sapere che all’estero parlo di Aung San Suu Kyi, i miei figli verrebbero arrestati e torturati» Quei lunghi anni bui nella stessa stanza di San Suu Kyi Sud-Est asiatico VITA 16 DICEMBRE 2011 20 MONDO

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Ora che per la leaderbirmana si apre di nuovouna stagione pubblica, è bene far memoria dicosa sono stati i suoi annidi isolamento. Lo racconta a Vita la“signora N.”, fuggita aNew York dopo esserestata per anni una dellecinque fedelissime che avevano accesso alle stanze riservate della leader. E che ancorateme per i suoi figli...

Una donna integra, con un senso di giu-stizia assoluto, che per la giustizia ha messoin gioco libertà personale, famiglia, affettiprivati, tutto. Questa è l’immagine pubblicadi Aung San Suu Kyi, diventataicona della pace nel mondo. «Èdavvero così, anche nel privato:una persona fine, gentile, gene-rosa». A parlare è N., oggi citta-dina americana, che vive a NewYork grazie all’aiuto del genero. Birmana,poco più che sessantenne, mostra con or-goglio la tessera di appartenenza alla Leganazionale per la democrazia. Ne è stataun’accesa militante e, dal 1995 al 1999, si èrecata a casa della Suu Kyi ogni giorno, dallunedì al venerdì, dalle otto di mattina allecinque del pomeriggio. «Ogni mattina c’erauna macchina ad aspettarmi fuori casa, chemi conduceva da lei. Io portavo la spesa delcibo fatta con i pochi soldi che riusciva adarmi, visto che non ne aveva tanti neancheper sé, e poi cucinavo, sistemavo casa, stavocon lei». N. è una donna semplice, con una

sorprendente dignitànegli occhi. Avrebbevoglia di raccontaremolto più di quello cheriesce in un inglese

AmnestyAppello per gli “altri”Per Suu Kyi la condizione per negoziare è ilrilascio dei prigionieri politici. Nonostante,con l’amnistia dell’11 ottobre, il numero diquelli tornati in libertà quest’anno siaarrivato a 300, si tratta sempre di unapiccola parte di un totale che si collocaancora intorno ai 2mila detenuti. Uno di loroè U Gambira, il trentaduenne monacobuddista che ha guidato la “rivolta dellozafferano” contro la giunta e che dal 2007 èdetenuto in isolamento. Secondo AmnestyInternational, che cita testimonianze di excompagni di prigionia, le sue condizioni disalute si sarebbero aggravate a causa delletorture subite. Le condizioni detentive intutta la Birmania sono pessime. Le torturesono all’ordine del giorno, favorite anchedall’isolamento dagli altri detenuti edall’assenza di visite dei familiari e degliavvocati. Chi protesta, subisce rappresagliedisumane. Come i 15 prigionieri politici delcarcere di Insein, nell’ex capitale Yangon,che il 26 ottobre hanno iniziato unosciopero della fame per protestare contro lamancata riduzione della loro pena,concessa invece a criminali comuni. Il 27ottobre, la direzione del carcere ha vietatola distribuzione dell’acqua, ponendo idetenuti in sciopero della fame a rischio dimorte per disidratazione.

di Barbara Pianca

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potrebbero scomparire». Di que-sto si tratta.

Una vita in fotografiaN. ha perso il conto del numerodi perquisizioni che ha subìto in

casa propria. Quando è uscita dal suo Paeseha nascosto nel doppio fondo della valigiala tessera del partito e una manciata di fotoche la ritraggono con il premio Nobel, e cheora mostra continuando a sfogliarle e risfo-gliarle come se tutto quello che ha da direfosse racchiuso lì, in quegli scatti. «I loveher so much», ripete guardandola nelle foto.«È stata a casa mia», ricorda, «ha conosciutola mia famiglia, si informava sempre sullasalute dei miei cari ed era presente al ma-trimonio di mia figlia (mostra una foto incui dietro agli sposi spunta proprio lei, laSuu Kyi, sistemata davanti a tutti gli altri,ndr). Poi, nel 2002, sono andata nell’ufficiodel Partito a salutarla. “Vado a vivere a NewYork”, le ho detto. Ci siamo abbracciate esapevamo che non ci saremmo mai più sen-tite, almeno finché il nostro Paese non di-

«Se in Birmania si viene a sapere cheall’estero parlo di Aung San Suu Kyi,

i miei figli verrebbero arrestati e torturati»

Quei lunghi anni buinella stessa stanza di San Suu Kyi

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