1 2018 DELLA ERA Getty III e le Carr , maestri di morale · 2018. 12. 30. · Getty III e le Carr ,...

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DOMENICA 1 APRILE 2018 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 37 Intervista Ha vinto un Oscar per «The Millionaire». Ha sceneggiato la serie sul celebre rapimento del 1973 («un film come ha fatto Ridley Scott è troppo poco per sviscerare quella famiglia»). Porterà in tv «La spia che venne dal freddo». Così lavora Simon Beaufoy Getty III e le Carré , maestri di morale di COSTANZA RIZZACASA D’ORSOGNA A teatro continua a riempire le sale con la pièce tratta da The Full Monty, il film del 1997 su un gruppo di operai inglesi di- soccupati che gli valse la prima candidatura all’Oscar. Ma presto Simon Beaufoy, cinquantunenne sceneggiatore inglese tra i più rispettati, sarà impegnato in quello che considera «il più difficile degli adattamenti». La spia che venne dal freddo, dal bestseller di John le Carré che quando uscì, nel 1963, rimase in vetta alle classifiche per oltre 30 settimane, e due anni dopo fu portato al cinema con Ri- chard Burton nel ruolo di Alec Leamas, agente britannico infiltrato in Germania Est. Il romanzo di spionaggio forse più emblematico della guerra fredda per la serie più attesa del momento, oggi che con il riesplodere delle tensioni diploma- tiche Usa-Russia (ed Europa-Russia), il conflitto tra i blocchi occidentale e orien- tale torna d’attualità — e non a caso le Carré ha da poco pubblicato il sequel (Un passato da spia, Mondadori). Il progetto, dagli stessi produttori di The Night Manager (Amc-Bbc-Para- mount), subirà qualche ritardo per per- mettere a Beaufoy di lavorare alla seconda stagione di Trust, la serie antologica di Fx in onda su Sky Atlantic, con Donald Su- therland, Hillary Swank e Brendan Fraser, di cui il premio Oscar per The Millionaire è creatore, sceneggiatore e produttore esecutivo. Diretta da Danny Boyle, la pri- ma stagione, ambientata nel 1973, si oc- cupa del rapimento, per mano della ’ndrangheta, di John Paul Getty III, erede sedicenne della famiglia di petrolieri. La storia è nota: il nonno, Getty Senior, rifiu- tò di piegarsi al riscatto, dichiarando: «Se pago un penny adesso finirò con 14 nipoti rapiti». Si decise solo quando al quotidia- no «Il Messaggero» venne recapitato l’orecchio del nipote, con la minaccia di mandare il resto a pezzettini. Allora pagò, ma con un prestito che il figlio avrebbe dovuto ripianare al 4% d’interessi. Nella serie anche Luca Marinelli, e un intero episodio, l’8°, diretto da Emanuele Criale- se, in dialetto calabrese. «Trust» è una serie a forte sfondo morale: la famiglia più ricca d’America è anche la più infelice. Davvero il dena- ro è così corrosivo? E la cultura, la lette- ratura, hanno bisogno di moralità? «È certamente un’opera morale sul de- naro, ma anche sulla mancanza d’amore. Per tre generazioni, dal capostipite, pri- mo miliardario certificato, la famiglia Getty ha rimpiazzato l’amore con i soldi. Addirittura, Getty III ne riceve così poco che decide di farsi rapire. È l’estrema ri- chiesta di attenzione: “Pagheranno per- ché mi amano”. Solo che non andrà così, e da quell’esperienza il giovane non si ri- prenderà più. Una metafora straordina- ria. Il vero mistero, in Trust, non è il rapi- mento, ma la totale mancanza di empatia di questa gente ridicolmente ricca. Quello che i Getty si sono tramandati per genera- zioni non è il denaro, è l’assoluta man- canza di comprensione delle emozioni umane. L’unica a cui frega qualcosa del ragazzo è la madre, che però non ha un soldo. È una tragedia shakespeariana». Una normale famiglia disfunzionale, insomma. O, capovolgendo Tolstoj, tut- te le famiglie infelici si assomigliano. E però «Tutti i soldi del mondo», il film di Ridley Scott sullo stesso tema, è stato un flop. Perché la saga dei Getty do- vrebbe interessarci, oggi che i poveri sono sempre più poveri e i ricchi ric- chissimi? «Esattamente per questo. Ogni era è stata affascinata dal denaro. In Trust in- dago su ciò che può succedere quando, se è vero che i soldi e l’amore fanno girare il mondo, hai troppo degli uni e troppo po- co dell’altro. Solo dopo aver avuto il via li- bera per Trust ho saputo che Scott stava lavorando a un film sullo stesso argo- mento. Ma sono convinto che alla com- plessità di questi personaggi servisse lo spazio di una serie. Sviscerandoli, lo spet- tatore non s’identifica con loro, ma ne ca- pisce i comportamenti». Sta dicendo che il non essere ricchi dovrebbe farci sentire meglio? Ride. «Forse sì. Ma soprattutto do- vremmo capire che i ricchi sono incasina- ti come noi, hanno solo problemi diversi. Crediamo che il denaro dia la felicità, ma non è così. Qualche settimana fa uno stu- dio americano ha calcolato il reddito an- nuo ideale per essere felici: è tra 60 mila e 75 mila dollari, con un picco massimo a 95 mila. Superata questa soglia il denaro si trasforma in un boomerang: diventia- mo ossessionati dai nostri beni materiali e quindi infelici». Il titolo, «Trust», ha un doppio signi- ficato. «Il trust è l’istituto giuridico al cuore dei dissidi familiari, uno strumento di tu- tela del patrimonio. Sulla carta sei un multimilionario, in realtà quei soldi non li puoi toccare e hai debiti con tutti. Per i Getty, un’enorme fonte di risentimento e rabbia. Tutti implorano attenzione, tutti chiedono: “Quanto valgo io? Dimostrate- melo”. Altrettanto importante è il signifi- cato di “fiducia”. Perché ne occorre mol- tissima per farsi rapire. La principale dif- ferenza col film è proprio questa: per Scott, il ragazzo è solo una vittima, in Trust è la mente di una frode che va a fini- re male. Aveva molti debiti di droga: va a trovare il nonno, che non vede da anni, e gli chiede dei soldi. Invece lui gli offre un lavoro. Allora Getty III torna in Italia e mette in pratica il suo folle piano. Che va a rotoli quando il nonno si rifiuta di pagare. Altra importante differenza è nel livello di sperimentazione. Il nostro è un racconto non lineare, con punti di vista diversi, schermo diviso a metà e un narratore (Ja- mes Fletcher Chace, capo della sicurezza di Getty, ndr) che parla direttamente al pubblico. Oggi la tv è così affollata che de- vi essere originale». Su che cosa verteranno le prossime due stagioni? «La seconda sull’origine dei mali dei Getty. La storia di un uomo, Getty Senior, che diventa ossessionato dal denaro al punto da installare in casa telefoni a get- toni per non farsi scroccare le telefonate. Cosa accadde di traumatico nell’infanzia di quell’uomo per renderlo così? La terza stagione guarderà invece agli anni suc- cessivi al 1973, quando la famiglia si riu- nisce e decide che l’unico modo per so- pravvivere è sciogliere il trust. Una bella parabola». In «Tutti i soldi del mondo», Kevin Spacey, che interpretava Getty Senior, è stato sostituito in corsa dopo le accuse di molestie. Se quelle accuse avessero riguardato Donald Sutherland, lo avre- ste sostituito? «Sulla carta sarebbe stato impossibile, perché al contrario di Spacey, Sutherland è in un sacco di scene. Ma è una domanda complessa. Il rispetto è fondamentale, ma bisogna anche chiedersi se sia giusto che il comportamento di un artista di- strugga la sua arte. In passato, nell’opi- nione pubblica, era l’arte a prevalere sul- l’artista, oggi la sensibilità è cambiata. Comprensibile, ma anche molto estremo. Perché per trent’anni dello stupro di Ro- man Polanski non ce n’è fregato nulla? Forse andrebbe separata l’arte dall’artista. Anche perché, quando si tratta di un film o di una serie, non distruggi solo il suo la- voro, ma anche quello di tutte le persone che vi hanno collaborato». @CostanzaRdO © RIPRODUZIONE RISERVATA Il personaggio Lo sceneggiatore inglese Simon Beaufoy (Keighley, Gran Bretagna, 1967) ha vinto l’Oscar per The Millionaire di Danny Boyle La serie Girata tra Roma, Calabria e Surrey, la prima stagione di Trust è in onda su Sky Atlantic ogni mercoledì (10 episodi). Narra il rapimento di John Paul Getty III, nipote del petroliere, nel 1973. La seconda stagione sarà ambientata negli anni Trenta I progetti Beaufoy, oltre alla serie da La spia che venne dal freddo di John le Carré, lavora a una miniserie da Undercover, bestseller di denuncia del 2013 sullo scandalo degli agenti di polizia britannici infiltrati per cinquant’anni nei movimenti di protesta L’immagine A sinistra: Paul Getty III (1956-2011) con il nonno, il petroliere Paul Getty (1892- 1976); a destra: lo scrittore John le Carré (1931); illustrazione di Sr García i La foto in bianco e nero di due binari che si perdono all’orizzonte apre la raccolta Brown di Kevin Young (Knopf, pp. 176, $ 27). Il marrone evocato nel titolo è il colore della pelle, identità e guida in un viaggio che dal Kansas degli anni Settanta porta in diversi luoghi degli Stati Uniti assieme a personaggi- simbolo come James Brown, Prince e Public Enemy. Poeta, narratore e saggista, Young è l’editor di poesia del «New Yorker». Dal Kansas fino a oggi { Stanze di Angela Urbano Maschere Televisione S S S di STEFANIA CARINI P rodotto nel 2015 dal servizio pubbli- co norvegese, Skam (vergogna) è un teen drama diventato presto un successo anche globale grazie al web. È già disponibile la versione italiana, pri- ma produzione di Timvision: durante la messa on line il sito skamitalia.timvi- sion.it è «crashato» più volte per troppi accessi. Funziona così: frammenti di vita dei giovani protagonisti sono postati a una determinata ora del giorno, come se accadessero in quel momento. Dopo una settimana tutti i frammenti sono raccolti in un’unica puntata. La storia però si dipana anche sui profili Instagram dei personaggi, con story, chat, selfie. Per aggiornamenti c’è un canale su What- sApp. Come l’edizione originale, anche quella italiana (ce ne sono altre, quella Usa sarà prodotta da Facebook) affida il suo successo al passaparola dei fan, pubblico difficile da catturare, di cui si cerca di imitare la fruizione molteplice. Skam è un transmedia storytelling, un testo espanso, un prodotto crossmediale. Termini già utilizzati ai tempi di Lost e 24. Adesso però il panorama è maturo. Lo streaming è cosa ovvia insieme ai social. La diretta tv è ora real time sul web. Niente binge watching ma attesa del prossimo appuntamento, breve ma quo- tidiano. Infine il frammento da collocare in una rete narrativa più ampia è un gioco cui le nuove generazioni sono alle- nate dalla nascita, grazie anche alla se- rialità moderna. Eppure non conta solo la forma: il successo di Skam sta anche nel saper ben rappresentare una generazione tra sfide e valori. Cos’è la vergogna oggi? © RIPRODUZIONE RISERVATA Tesi BOCCONCINI DI VERGOGNA Valori «“Trust” è una storia sul denaro ma anche sulla mancanza d’amore». E la crisi tra Occidente e Russia rilancia la celebre spy story S S S

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  • DOMENICA 1 APRILE 2018 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 37

    Intervista Ha vinto un Oscar per «The Millionaire». Ha sceneggiato la serie sul celebre rapimento del 1973 («un film come ha fatto Ridley Scott è troppo poco per sviscerare quella famiglia»). Porterà in tv «La spia che venne dal freddo». Così lavora Simon Beaufoy

    Getty III e le Carré, maestri di moraledi COSTANZA RIZZACASA D’ORSOGNA

    A teatro continua a riempire lesale con la pièce tratta da TheFull Monty, il film del 1997 suun gruppo di operai inglesi di-soccupati che gli valse la primacandidatura all’Oscar. Ma presto Simon Beaufoy, cinquantunenne sceneggiatore inglese tra i più rispettati, sarà impegnatoin quello che considera «il più difficiledegli adattamenti». La spia che venne dalfreddo, dal bestseller di John le Carré chequando uscì, nel 1963, rimase in vetta alleclassifiche per oltre 30 settimane, e dueanni dopo fu portato al cinema con Ri-chard Burton nel ruolo di Alec Leamas,agente britannico infiltrato in GermaniaEst. Il romanzo di spionaggio forse piùemblematico della guerra fredda per laserie più attesa del momento, oggi checon il riesplodere delle tensioni diploma-tiche Usa-Russia (ed Europa-Russia), ilconflitto tra i blocchi occidentale e orien-tale torna d’attualità — e non a caso leCarré ha da poco pubblicato il sequel (Unpassato da spia, Mondadori).

    Il progetto, dagli stessi produttori diThe Night Manager (Amc-Bbc-Para-mount), subirà qualche ritardo per per-mettere a Beaufoy di lavorare alla secondastagione di Trust, la serie antologica di Fxin onda su Sky Atlantic, con Donald Su-therland, Hillary Swank e Brendan Fraser,di cui il premio Oscar per The Millionaireè creatore, sceneggiatore e produttoreesecutivo. Diretta da Danny Boyle, la pri-ma stagione, ambientata nel 1973, si oc-cupa del rapimento, per mano della’ndrangheta, di John Paul Getty III, eredesedicenne della famiglia di petrolieri. Lastoria è nota: il nonno, Getty Senior, rifiu-tò di piegarsi al riscatto, dichiarando: «Sepago un penny adesso finirò con 14 nipotirapiti». Si decise solo quando al quotidia-no «Il Messaggero» venne recapitatol’orecchio del nipote, con la minaccia dimandare il resto a pezzettini. Allora pagò,ma con un prestito che il figlio avrebbedovuto ripianare al 4% d’interessi. Nellaserie anche Luca Marinelli, e un interoepisodio, l’8°, diretto da Emanuele Criale-se, in dialetto calabrese.

    «Trust» è una serie a forte sfondomorale: la famiglia più ricca d’Americaè anche la più infelice. Davvero il dena-ro è così corrosivo? E la cultura, la lette-ratura, hanno bisogno di moralità?

    «È certamente un’opera morale sul de-naro, ma anche sulla mancanza d’amore.Per tre generazioni, dal capostipite, pri-mo miliardario certificato, la famiglia Getty ha rimpiazzato l’amore con i soldi.Addirittura, Getty III ne riceve così pocoche decide di farsi rapire. È l’estrema ri-chiesta di attenzione: “Pagheranno per-ché mi amano”. Solo che non andrà così,e da quell’esperienza il giovane non si ri-prenderà più. Una metafora straordina-ria. Il vero mistero, in Trust, non è il rapi-mento, ma la totale mancanza di empatiadi questa gente ridicolmente ricca. Quelloche i Getty si sono tramandati per genera-zioni non è il denaro, è l’assoluta man-canza di comprensione delle emozioniumane. L’unica a cui frega qualcosa delragazzo è la madre, che però non ha unsoldo. È una tragedia shakespeariana».

    Una normale famiglia disfunzionale,insomma. O, capovolgendo Tolstoj, tut-te le famiglie infelici si assomigliano. Eperò «Tutti i soldi del mondo», il film diRidley Scott sullo stesso tema, è stato un flop. Perché la saga dei Getty do-vrebbe interessarci, oggi che i poverisono sempre più poveri e i ricchi ric-chissimi?

    «Esattamente per questo. Ogni era èstata affascinata dal denaro. In Trust in-dago su ciò che può succedere quando, seè vero che i soldi e l’amore fanno girare ilmondo, hai troppo degli uni e troppo po-co dell’altro. Solo dopo aver avuto il via li-bera per Trust ho saputo che Scott stavalavorando a un film sullo stesso argo-mento. Ma sono convinto che alla com-plessità di questi personaggi servisse lospazio di una serie. Sviscerandoli, lo spet-tatore non s’identifica con loro, ma ne ca-pisce i comportamenti».

    Sta dicendo che il non essere ricchidovrebbe farci sentire meglio?

    Ride. «Forse sì. Ma soprattutto do-vremmo capire che i ricchi sono incasina-

    ti come noi, hanno solo problemi diversi.Crediamo che il denaro dia la felicità, manon è così. Qualche settimana fa uno stu-dio americano ha calcolato il reddito an-nuo ideale per essere felici: è tra 60 mila e75 mila dollari, con un picco massimo a95 mila. Superata questa soglia il denarosi trasforma in un boomerang: diventia-mo ossessionati dai nostri beni materialie quindi infelici».

    Il titolo, «Trust», ha un doppio signi-ficato.

    «Il trust è l’istituto giuridico al cuoredei dissidi familiari, uno strumento di tu-tela del patrimonio. Sulla carta sei unmultimilionario, in realtà quei soldi nonli puoi toccare e hai debiti con tutti. Per iGetty, un’enorme fonte di risentimento erabbia. Tutti implorano attenzione, tuttichiedono: “Quanto valgo io? Dimostrate-melo”. Altrettanto importante è il signifi-cato di “fiducia”. Perché ne occorre mol-tissima per farsi rapire. La principale dif-ferenza col film è proprio questa: perScott, il ragazzo è solo una vittima, in Trust è la mente di una frode che va a fini-re male. Aveva molti debiti di droga: va atrovare il nonno, che non vede da anni, e

    gli chiede dei soldi. Invece lui gli offre unlavoro. Allora Getty III torna in Italia emette in pratica il suo folle piano. Che va arotoli quando il nonno si rifiuta di pagare.Altra importante differenza è nel livello disperimentazione. Il nostro è un raccontonon lineare, con punti di vista diversi, schermo diviso a metà e un narratore (Ja-mes Fletcher Chace, capo della sicurezzadi Getty, ndr) che parla direttamente al pubblico. Oggi la tv è così affollata che de-vi essere originale».

    Su che cosa verteranno le prossimedue stagioni?

    «La seconda sull’origine dei mali deiGetty. La storia di un uomo, Getty Senior,che diventa ossessionato dal denaro alpunto da installare in casa telefoni a get-toni per non farsi scroccare le telefonate.Cosa accadde di traumatico nell’infanziadi quell’uomo per renderlo così? La terzastagione guarderà invece agli anni suc-cessivi al 1973, quando la famiglia si riu-nisce e decide che l’unico modo per so-pravvivere è sciogliere il trust. Una bellaparabola».

    In «Tutti i soldi del mondo», KevinSpacey, che interpretava Getty Senior, èstato sostituito in corsa dopo le accusedi molestie. Se quelle accuse avesseroriguardato Donald Sutherland, lo avre-ste sostituito?

    «Sulla carta sarebbe stato impossibile,perché al contrario di Spacey, Sutherlandè in un sacco di scene. Ma è una domandacomplessa. Il rispetto è fondamentale,ma bisogna anche chiedersi se sia giustoche il comportamento di un artista di-strugga la sua arte. In passato, nell’opi-nione pubblica, era l’arte a prevalere sul-l’artista, oggi la sensibilità è cambiata.Comprensibile, ma anche molto estremo.Perché per trent’anni dello stupro di Ro-man Polanski non ce n’è fregato nulla?Forse andrebbe separata l’arte dall’artista.Anche perché, quando si tratta di un filmo di una serie, non distruggi solo il suo la-voro, ma anche quello di tutte le personeche vi hanno collaborato».

    @CostanzaRdO© RIPRODUZIONE RISERVATA

    Il personaggioLo sceneggiatore inglese

    Simon Beaufoy (Keighley,Gran Bretagna, 1967) ha

    vinto l’Oscar per TheMillionaire di Danny Boyle

    La serieGirata tra Roma, Calabria eSurrey, la prima stagione di

    Trust è in onda su SkyAtlantic ogni mercoledì (10episodi). Narra il rapimentodi John Paul Getty III, nipote

    del petroliere, nel 1973. Laseconda stagione sarà

    ambientata negli anni TrentaI progetti

    Beaufoy, oltre alla serie daLa spia che venne dal freddo

    di John le Carré, lavora a unaminiserie da Undercover,

    bestseller di denuncia del2013 sullo scandalo degliagenti di polizia britanniciinfiltrati per cinquant’anninei movimenti di protesta

    L’immagineA sinistra: Paul Getty III

    (1956-2011) con il nonno, ilpetroliere Paul Getty (1892-

    1976); a destra: lo scrittoreJohn le Carré (1931);

    illustrazione di Sr García

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    La foto in bianco e nero di due binari che si perdono all’orizzonte apre la raccolta Brown di Kevin Young (Knopf, pp. 176, $ 27). Il marrone evocato nel titolo è il colore della pelle, identità e guida in un viaggio che dal

    Kansas degli anni Settanta porta in diversi luoghi degli Stati Uniti assieme a personaggi-simbolo come James Brown, Prince e Public Enemy. Poeta, narratore e saggista, Young è l’editor di poesia del «New Yorker».

    Dal Kansas fino a oggi

    {Stanzedi Angela UrbanoMaschere Televisione

    SSS

    di STEFANIA CARINI

    P rodotto nel 2015 dal servizio pubbli-co norvegese, Skam (vergogna) è unteen drama diventato presto unsuccesso anche globale grazie al web. È già disponibile la versione italiana, pri-ma produzione di Timvision: durante la messa on line il sito skamitalia.timvi-sion.it è «crashato» più volte per troppi accessi. Funziona così: frammenti di vita dei giovani protagonisti sono postati a una determinata ora del giorno, come se accadessero in quel momento. Dopo una settimana tutti i frammenti sono raccolti in un’unica puntata. La storia però si dipana anche sui profili Instagram dei personaggi, con story, chat, selfie. Per aggiornamenti c’è un canale su What-sApp. Come l’edizione originale, anche quella italiana (ce ne sono altre, quella Usa sarà prodotta da Facebook) affida il suo successo al passaparola dei fan, pubblico difficile da catturare, di cui si cerca di imitare la fruizione molteplice. Skam è un transmedia storytelling, un testo espanso, un prodotto crossmediale. Termini già utilizzati ai tempi di Lost e 24. Adesso però il panorama è maturo. Lo streaming è cosa ovvia insieme ai social. La diretta tv è ora real time sul web. Niente binge watching ma attesa del prossimo appuntamento, breve ma quo-tidiano. Infine il frammento da collocare in una rete narrativa più ampia è un gioco cui le nuove generazioni sono alle-nate dalla nascita, grazie anche alla se-rialità moderna. Eppure non conta solo la forma: il successo di Skam sta anche nel saper ben rappresentare una generazione tra sfide e valori. Cos’è la vergogna oggi?

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

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    denaro ma anche sulla mancanza d’amore». E la

    crisi tra Occidente e Russia rilancia la celebre spy story

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