Vivere senza maestri

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Porta il tuo cuore in Africa Anno XIV, n. 1 – Maggio 2014 Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 2, LO/MI www.amaniforafrica.it AMANI La lezione di Nelson Mandela ul finire dell'anno scorso, il 5 dicembre, è mancato uno dei più grandi uomini dei nostri tempi, forse il più grande, Nelson Man- dela. Già dal mese di giugno si sapeva che la sua anziana vi- ta – aveva 95 anni – era appesa a un filo. E prima di al- lora, da tempo, per tappe successive, Mandela aveva la- sciato la vita politica, e poi ogni impegno pubblico, riti- randosi progressivamente dalla ribalta mondiale che, do- po la sua uscita di prigione l'11 febbraio 1990, aveva lun- gamente occupato. Quando è morto, Mandela era insomma soltanto un pri- vato cittadino, un grande vecchio, sia pure un ex capo di Stato. In un certo senso non era nemmeno più un leader, anche se restava universalmente amato e riverito: non prendeva più posizione sui maggiori fatti politici né sul- le dispute interne al suo partito, l'African National Con- gress; non si sapeva più come la pensasse, e nemmeno se fosse realmente informato degli avvenimenti correnti. Viveva riparato dal mondo, tra le mura della sua bella ca- sa di Houghton, a Johannesburg, oppure in quella di Qu- nu, il villaggio dove era cresciuto e desiderava morire ed essere sepolto. Eppure, quando infine ha lasciato questo mondo al ter- mine di una vita lunghissima, meravigliosa, colma di straordinarie realizzazioni, dalla quale si era piano pia- no e lungamente andato allontanando, i sudafricani e un gran numero di persone attraverso i continenti lo han- no pianto come se fossero all'improvviso rimasti orfani. di Pietro Veronese* Vivere senza Maestri S © Alexander Joe/AFP segue a pag 4 Ruanda, la fatica di una memoria condivisa Vent’anni dopo il genocidio i punti di vista sui fatti del ‘94 restano profondamente lontani di Pier Maria Mazzola Lo spunto pag 2 Tiyende Pamodzi, il tour del Koinonia Youth Team Il gruppo dei giovani artisti zambiani in viaggio attraverso l’Italia Iniziative pagg 6-7 Dona il tuo 5x1000 ad Amani C.F.97179120155 Questa storia comincia con la tua firma. Passa per un banco di scuola. Come continua lo scriverà lei.

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Maggio 2014

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Page 1: Vivere senza maestri

Porta il tuo cuore in Africa

Anno XIV, n. 1 – Maggio 2014Spedizione in A.P.

D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)Art. 1 comma 2, LO/MI www.amaniforafrica.it

AMANI

La lezione di Nelson Mandela

ul finire dell'anno scorso, il 5dicembre, è mancato uno dei piùgrandi uomini dei nostri tempi,forse il più grande, Nelson Man-dela.

Già dal mese di giugno si sapeva che la sua anziana vi-ta – aveva 95 anni – era appesa a un filo. E prima di al-lora, da tempo, per tappe successive, Mandela aveva la-

sciato la vita politica, e poi ogni impegno pubblico, riti-randosi progressivamente dalla ribalta mondiale che, do-po la sua uscita di prigione l'11 febbraio 1990, aveva lun-gamente occupato.

Quando è morto, Mandela era insomma soltanto un pri-vato cittadino, un grande vecchio, sia pure un ex capo diStato. In un certo senso non era nemmeno più un leader,anche se restava universalmente amato e riverito: nonprendeva più posizione sui maggiori fatti politici né sul-le dispute interne al suo partito, l'African National Con-gress; non si sapeva più come la pensasse, e nemmeno se

fosse realmente informato degli avvenimenti correnti.Viveva riparato dal mondo, tra le mura della sua bella ca-sa di Houghton, a Johannesburg, oppure in quella di Qu-nu, il villaggio dove era cresciuto e desiderava morire edessere sepolto.

Eppure, quando infine ha lasciato questo mondo al ter-mine di una vita lunghissima, meravigliosa, colma distraordinarie realizzazioni, dalla quale si era piano pia-no e lungamente andato allontanando, i sudafricani eun gran numero di persone attraverso i continenti lo han-no pianto come se fossero all'improvviso rimasti orfani.

di Pietro Veronese*

Vivere senzaMaestri

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segue a pag 4

Ruanda, la fatica di una memoria condivisaVent’anni dopo il genocidio i punti di vista sui fatti del ‘94 restano profondamente lontanidi Pier Maria Mazzola

Lo spunto pag 2

Tiyende Pamodzi, il tour del Koinonia Youth TeamIl gruppo dei giovani artisti zambianiin viaggio attraverso l’Italia

Iniziative pagg 6-7

Dona il tuo

5x1000ad Amani

C.F. 97179120155

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Lo spunto

a Repubblica Centrafricana non interessa nessuno: non si capisce chisono i buoni e chi sono i cattivi», dice un tizio col bicchierone di popcorn in manodavanti alla tivù accesa. È una vignetta di un settimanale satirico svizzero e nonfa nemmeno troppo ridere, tanto pare fotografare bene la realtà.A vent’anni dalla più tragica data della storia africana contemporanea – il genoci-dio in Ruanda – pare invece abbastanza facile dividere i buoni dai cattivi: vittimeda una parte, genocidari dall’altra. Alle vittime spetta di diritto essere classificatetra i buoni, non per le loro virtù personali ma perché nulla può giustificare ciò chehanno subito. A maggior ragione se la motivazione del massacro è una carta d’identitàrecante la menzione dell’etnia sbagliata nel posto e nel momento sbagliati.Ma ciò comporta, per converso, l’assegnazione degli altri, tutti gli altri, ai “cattivi”?Quei cento giorni di machete, scoccati il 7 aprile 1994, non destarono subito una fat-tiva attenzione all’estero, nemmeno da parte dell’Onu, duole dirlo. (Fu Giovanni Pao-lo II il primo al mondo a parlare di «genocidio»). Peccato di omissione tanto più gra-ve in quanto fu un orrore organizzato, di cui erano noti i segnali premonitori. Dopo, vuoi per complesso di colpa vuoi perché si è creduto di capire dove stessero i buoni e dove icattivi, il Ruanda è diventato il paese d’Africa su cui l’Italia ha sfornato la maggiore produzioneeditoriale degli ultimi due decenni. Infiniti articoli su giornali e riviste nonché su internet, senzacontare documentari e anche esperienze teatrali. Per limitarci ai libri, in vista di questo venten-nale è uscito un nuovo romanzo, Nostra Signora del Nilo della ruandese Scholastique Mukasonga,mentre è atteso il nuovo saggio di Daniele Scaglione (già presidente di Amnesty International Ita-lia e autore di un’altra opera sul tema) scritto con Françoise Kankindi, radicata in Italia, di origi-ni ruandesi ma burundese perché figlia di rifugiati all’epoca del pogrom che colpì i tutsi nel 1959.A fronte di una relativa abbondanza di titoli, l’impressione è che il discorso mainstream sia un po’a senso unico. Prevale di gran lunga, cioè, il punto di vista delle vittime “ufficiali”, esposto in pri-ma persona o grazie ad autori non ruandesi; è giusto che sia così, ma altre voci (nelle liste dellamorte constavano anche tanti hutu “moderati”) potrebbero dare un contributo importante alla ri-costruzione della verità.Certo è generalmente riconosciuto che degli hutu hanno messo in salvo, a proprio rischio e perico-lo, connazionali tutsi che per la propaganda erano solo «scarafaggi» da schiacciare. Il caso macro-scopico è un maître d’hôtel divenuto poi protagonista di un film (sulla vicenda lo stesso Paul Ru-sesabagina ha scritto un libro, dove denuncia che «la tossina che circola nelle vene del mio paese èuna falsa idea della storia» e che ha il merito di ricordare i collegamenti con le vicende burundesi),e alcuni scampati hanno reso omaggio agli hutu cui devono la vita salva, come la Jeanne d’Arc diTi seguirò oltre mille colline e la Yolande Mukagasana di La morte non mi ha voluta; storie analo-ghe troviamo in Nostra Signora del Nilo, fiction ambientata in quel “prologo” del terrore che fu, peri tutsi ruandesi, il 1973.Sono però rari i testi, almeno in italiano, con un punto di vista hutu: non certo quello dell’Hutu Powero degli Interahamwe, ma di quanti erano, già da anni, critici del regime. Oltre alla testimonianzadi Rusesabagina si segnala soprattutto il libro-intervista di André Sibomana: giornalista, attivista

dei diritti umani, prete. Morto, anzi fatto morire – avendogli il governo negato ilvisto per andare a curarsi all’estero – nel 1998. In J’accuse per il Rwanda la suapersonale storia di opposizione al presidente Habyarimana lo autorizza a oppor-si, adesso, al regime di Paul Kagame: «Il fatto di attaccare una dittatura – dicel’abbé – non ti dà tutti i diritti. Combattere un regime che disprezza i diritti del-l’uomo non autorizza a usare i suoi stessi metodi». Egli denuncia al contempo chein Ruanda «nessuno può sostenere che ignorava quanto si stava preparando» (ilgenocidio). E ne ha anche per la comunità internazionale, quando ricorda comeufficiali dissidenti delle forze armate ruandesi avessero avvertito per tempo l’O-nu della pianificazione degli eccidi. Alcuni altri libri hanno dato voce, in Italia, a un punto di vista alternativo al main-stream, ma non pare abbiano granché influito sul dibattito. I titoli dell’Emi, peresempio, tra cui uno recente sulla «inadeguatezza di Corti e Tribunali» in ordineal processo di riconciliazione nazionale, e a un altro del 2001, che ricostruisce lavicenda di un vescovo accusato di genocidio dal presidente della repubblica in per-sona. La giustizia ha poi scagionato mons. Misago (e il capo dello stato si è di-messo…), ma il marchio mediatico è rimasto. Un’opera uscita successivamente,il citatissimo libro di Philip Gourevitch, ha “dimenticato” l’innocenza del prela-

to… E anche l’autore di uno dei romanzi considerati più importanti sul genocidio, il senegalese Bou-bacar Boris Diop, appena quattro anni fa dichiarava, nel corso di in una conferenza in Italia, che«il massacro di Murambi è stato voluto» dal vescovo di Gikongoro…Vent’anni, insomma, sono decisamente pochi per dar vita a una memoria “condivisa”, come si di-rebbe in Italia (dove di anni ne sono passati settanta…).

I libri citati:S. Mukasonga, Nostra Signora del Nilo, 66thand2nd, 2014F. Kankindi, D. Scaglione, Rwanda, la cattiva memoria, Infinito, 2014P. Rusesabagina, Hotel Rwanda. La vera storia, Il Canneto, 2013V. Codeluppi, Le cicatrici del Ruanda. Una faticosa riconciliazione. Indagine sull'inadeguatezza di Corti e Tribunali, Emi, 2012H. Jansen, Ti seguirò oltre mille colline, Tea, 2005B.B. Diop, Murambi. Il libro delle ossa, e/o, 2004D. Scaglione, Istruzioni per un genocidio, Ega, 2003A. D'Angelo, Il sangue del Ruanda. Processo per genocidio al vescovo Misago, Emi, 2001P. Gourevitch, Desideriamo informarla che domani verremo uccisi con le nostre famiglie, Einaudi, 2000Y. Mukagasana, La morte non mi ha voluta, La Meridiana, 1998A. Sibomana, J’accuse per il Rwanda, Ega, 1998

Altri titoli fra quelli usciti in Italia (non tutti), sono reperibili su Wikipedia alla voce “Genocidio del Ruanda”; i titoli Emi sono su www.emi.it (argomento “Ruanda”).

*Pier Maria Mazzola è direttore editoriale della Emi e autore di Sulle strade dell’utopia (Emi, 2011).

AMANI

di Pier Maria Mazzola*

Ruanda, la fatica di una memoria condivisa

Algeria

Ghana

Costad’Avorio

Liberia

Sierra Leone

GuineaGuinea BissauBenin

Togo

Libia Egitto

Sudan

Rep.Centrafricana

Etiopia

Eritrea

Gibuti

RuandaBurundi

R.D.Congo

Gabon

Camerun

Nigeria

Niger

Burkina Faso

Congo

Tanzania

Uganda

Malawi

Swaziland

LesothoSudafrica

Zambia

Botswana

Namibia

AngolaMozambico

Madagascar

Comore

Seicelle

Zimbabwe

Kenya

Mauritania Mali

Marocco

Ciad

Somalia

Tunisia

SenegalGambia

Capo Verde

Maurizio

Sahara Occ.

L’Unione europea ha formalmente revocato lesanzioni nei confronti di otto alti dirigenti politi-ci dello Zimbabwe, in vigore dal 2002. Ha deci-so però di mantenere quelle a carico del presi-dente Robert Mugabe e della moglie Grace. Lesanzioni consistevano nel divieto di viaggio in Eu-ropa e nel congelamento di fondi e beni delle per-sonalità colpite. L'accusa contro di loro era di vio-lazione dei diritti umani. L'alleggerimento delle sanzioni è stato accoltoad Harare con critiche. Le più dure sono statequelle del partito al potere che attraverso un suoportavoce ha fatto sapere di non accettare “con-cessioni a metà”. Sulla vicenda è anche inter-venuto l'anziano capo di stato che ha chiesto larimozione totale e irrevocabile delle sanzioni.Robert Mugabe ha compiuto da poco novanta an-ni, trentaquattro dei quali trascorsi alla guidadello Zimbabwe.

Nessuna concessione per Mugabe

È nato in Mauritania, nella capitale Nouakchott,il cosiddetto “G5 del Sahel”. Si tratta di un or-ganismo sovranazionale costituito da Mauritania,Burkina Faso, Niger, Mali e Ciad che ha comeobiettivo quello di incrementare la cooperazio-ne regionale in campo economico e politico. Inparticolare l'organismo dovrà affrontare le con-seguenze degli ultimi avvenimenti accaduti nel-la regione. Il Sahel, infatti, secondo quanto silegge nell'atto costitutivo, è stato fortemente de-stabilizzato dalla caduta del regime di Ghedda-fi in Libia nel 2011, ed è diventato un territorionel quale si celano mercenari, contrabbandierie combattenti di gruppi jihadisti. Allo stesso tem-po il Sahel è una sorta di zona franca, in cuitransitano armi e droga. L'idea di base sulla quale è nato il “G5 del Sahel”è quella di dare il via ad una serie di progetti inzone lasciate altrimenti all'abbandono e quindisoggette a divenire aree propizie allo sviluppo delterrorismo. I paesi membri dovranno preparare unamappatura dettagliata delle problematiche, dei bi-sogni e dei progetti da realizzare essenzialmen-te nel settore delle infrastrutture, dalle strade al-la fornitura di energia elettrica. Il segretariatopermanente del “G5” sarà stabilito nella capita-le mauritana.

Il G5 del Sahel

In Costa D'Avorio, grazie ad un programma stata-le in vigore dalla fine della guerra civile e dalla scon-fitta dell'ex presidente Laurent Gbabo, circa 1500ex combattenti sono stati reinseriti nella società.Hanno seguito corsi ed esercitazioni e, dopo esa-mi e prove pratiche, sono diventati vigili del fuocoe agenti dell’Ufficio nazionale della protezione ci-vile. Lo ha annunciato la direzione dell’Autorità peril disarmo, la smobilitazione e il reinserimento. Il programma governativo per il reintegro dei gio-vani ex combattenti, dal costo stimato in 140 mi-lioni di euro, è destinato in tutto a 65.000 individuientro fine 2014; finora sono in 27.000 ad aver con-segnato le armi. Per un decennio la Costa d’Avorio è stata teatro diuna doppia crisi politico-militare, cominciata nel set-tembre del 2002 e terminata nella primavera del2011 con la sconfitta e l'arresto dell'ex presiden-te Gbabo, ora sotto processo all'Aja.

Chiamata al disarmo

In Breve

Sud Sudan

S.Tomée Principe

Guinea Eq.

a cura di Raffaele Masto

«L

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ormai assodato: la crisi eco-nomica fa male alla salute. Un’ampialetteratura scientifica comprova che lemisure di aggiustamento strutturale e diausterità uccidono, non solo metaforica-mente, la popolazione di un paese co-stretto a subirle. Le nazioni del sud delmondo, che da decenni si vedono som-ministrare queste ricette, ne sanno qual-cosa. Oggi anche i paesi dell’Unione Eu-ropea cominciano a conoscere l’amaramedicina, dai dubbi poteri terapeutici. Lodice senza fronzoli il recente studio pub-blicato sul Lancet, condotto nella Greciaal sesto anno consecutivo di contrazioneeconomica. L’aumento di mortalità regi-strato nel 2011-2012 tra la popolazionegreca over 55 quantifica le prime conse-guenze delle politiche imposte dallatroika europea, che incrementano il nu-mero delle persone prive di coperturaassicurativa e impongono una drasticalimitazione d’accesso ai servizi sanitaridel paese. La situazione è particolar-mente difficile per i malati cronici ma nonmeno trascurabile per i bambini, cheperdono l’accesso al programma nazio-nale di vaccinazioni se sono figli di ge-nitori disoccupati da oltre un anno. Difronte a queste incomprensibili traiettoriedella politica, rimbomba il silenzio del-l’agenzia che ha il mandato costituzionaledi promuovere il più alto standard di sa-lute possibile per tutte le popolazioni delpianeta: l’Organizzazione Mondiale del-la Sanità (OMS). La crescita esponenzialedelle disuguaglianze tra paesi e all’in-terno di uno stesso paese, sia in terminidi salute che di speranza di vita, segnail fallimento dell’idea che i servizi pub-blici di salute e l’universalità delle curesiano un ostacolo per la finanza pubbli-ca e per lo sviluppo della ricchezza. Maper quale motivo l’OMS non dice nulla?

Sono trascorsi tre anni da quando l’a-genzia ha deciso di intraprendere unariforma per meglio allineare priorità e ri-sorse disponibili, così da garantirsi unastabilità futura. L’iniziativa, avviata suimpulso della crisi finanziaria, avrà unimpatto decisivo sul modo in cui l’OMSsarà governata e potrà esercitare la pro-pria funzione di autorità internaziona-le per le politiche pubbliche di salute. Dadiversi anni l’OMS ha un problema mol-to serio. L’organizzazione ha perduto ilcontrollo sui propri bilanci: il 70-80%

delle risorse derivano da contributi vo-lontari, pubblici o privati, mentre la pro-porzione dei contributi regolari, non vin-colati, derivanti dal finanziamento dei193 paesi membri dell’OMS forma a ma-lapena il 20-25% di tutto il budget del-l’organizzazione. I contributi volontarisono perlopiù fuori bilancio, con una de-stinazione d’uso su progetti specifici, perun termine di volta in volta variabile, adiscrezione dell’erogatore.

Una situazione decisamente poco sana;molti rappresentanti della comunità in-ternazionale che si occupa di salute (go-verni, esponenti del mondo accademico,autorevoli gruppi della società civile)fanno notare da tempo come l’autorità ele capacità stesse dell’OMS siano messea durissima prova dal ristretto accessoalle risorse. Questo scenario viene giu-stamente attribuito alla comparsa in-controllata di nuovi protagonisti sullascena della salute globale e di una ple-tora di nuove iniziative che sfidano incampo aperto la funzione dell’OMS nel-la azione sanitaria internazionale. Ma lacrisi attuale ha radici più lontane, che ri-mandano ai primi tentativi dell’OMS diesercitare una leadership a tutto tondo,sulla base del proprio mandato istitu-zionale, in un contesto geopolitico so-vente assai sfavorevole.

L’OMS è finanziata in parte attraversol’erogazione di fondi regolari degli statimembri calcolati ogni due anni dalle Na-zioni Unite sulla base del Pil e della po-polazione. Con questo criterio un esiguomanipolo di nazioni ad alto reddito fini-sce per formare la base finanziaria del-l’agenzia. Nel 1962, per evitare di im-brigliare l’OMS nella dipendenza da unsolo donatore, si stabilì che nessun go-verno potesse sovvenzionare più di 1/3di tutti i fondi regolari. Ciò nonostante,in tutta la storia dell’OMS, il primo con-tribuente sono rimasti gli Stati Uniticon il 25% dei fondi.

Nei primi anni ’80 il ricorso esteso aifondi volontari fuori bilancio venne aconnotarsi sempre di più come un “votodi fiducia” verso specifici programmi del-l’agenzia, ma soprattutto come “un’op-zione di sfiducia” nei confronti di alcuneiniziative finanziate con i fondi regolarie ispirate ad una convinta agenda per losviluppo. Tra queste la Lista dei Far-maci Essenziali, creata nel 1977 per li-mitare le politiche commerciali delleaziende farmaceutiche, e il Codice in-ternazionale sulla commercializzazionedei sostituti del latte materno del 1981,

che aprì uno scontro con l’industria del-la nutrizione. Fu un passaggio poco no-to ma fondamentale nella storia delleNazioni Unite, ben oltre l’OMS. In unamanciata di anni, negli Stati Uniti diRonald Reagan cominciarono a fioccarepiù di 100 rapporti sull’ONU, tutti al-l’insegna di un sentimento ostile. Le Na-zioni Unite erano percepite come istitu-zioni ispirate alla regolamentazione del-le multinazionali e luogo di resistenza al-le politiche neoliberiste emergenti. La“politicizzazione” dell’ONU indusse il co-siddetto Gruppo di Ginevra – l’élite deimajor donors – a concordare una politi-ca di crescita zero dei fondi strutturaliche fu applicata a tutte le agenzie del-l’ONU. Accanto all’OMS, si intendevacolpire l’UNESCO e l’Organizzazione in-ternazionale del lavoro (OIL).

Ironia della sorte, proprio quando l’OMScercava di avviare la strategia della “Sa-lute per Tutti” coniata ad Alma Ata nel’78, la Banca Mondiale fu sollecitata adestendere il proprio mandato ai settorisociali e alla riduzione della povertà.Con massicci prestiti a sostegno di stra-tegie molto controverse, come il contri-buto diretto alle spese dei pazienti, i pae-si donatori mettevano a segno la primabordata alla leadership dell’OMS. La vi-sione macroeconomica e neoliberista del-la banca prendeva il sopravvento sullepolitiche dell’OMS, intese a pianare le di-suguaglianze strutturali già in atto nelmondo. Da allora la caduta libera deifondi regolari dell’OMS subì un’inevita-bile accelerazione.

Una certa creatività nel reagire a de-cenni di crescita zero non ha impedito al-l’OMS di proseguire nelle sue battagliea favore della salute, ad esempio con laConvenzione Quadro sul Controllo del Ta-bacco del 2003.Ma intanto gli oppositori dell’agenziasono aumentati: sono nati numerosi einfluenti partenariati pubblico-privatifinanziati dalla filantropia globale (pri-ma fra tutte la Fondazione Bill e Melin-da Gates) e abbiamo assistito a forme ine-dite di multilateralismo (ad esempio laGlobal Business Coalition, che annove-ra, tra i quasi 200 membri, multinazio-nali come la Coca-Cola, la Exxon Mobile la Pfizer) che puntano con crescente in-teresse a trasformare le attività com-merciali in “opportunità di lotta alle ma-lattie”.

Così, poco a poco, i “rivali” dell’agenziastanno prendendo in mano le leve del-l’organizzazione, grazie al supporto com-piacente di alcuni governi del nord. 38fondazioni assicurano ormai il 18% deicontributi volontari dell’OMS e, da sola,la Bill e Melinda Gates Foundation haversato nel biennio 2010-2011 oltre 446milioni di dollari, più di ogni altro con-tribuente dopo gli Stati Uniti, una som-ma 24 volte superiore ai contributi diBrasile, Russia, India, Cina e Sudafrica(gli emergenti Paesi BRICS) messi in-sieme.

Occorre giocare la partita della salute benoltre le regole dell’austerità, la mera di-pendenza da un’élite di interessi finan-ziari o dall’intraprendenza egemonicadella nouvelle vague filantropica. Utilesarebbe riaccendere questo dibattito a li-vello nazionale, per contrastare l’onda-ta di privatizzazione del sistema sanitarioin molti paesi del sud del mondo, o ilprogressivo smantellamento del siste-ma pubblico, come avvenuto recente-mente in Inghilterra. Per evitare trage-die greche, il rilancio del pieno manda-to dell’OMS è fondamentale nel momentoin cui i popoli del nord e del sud del mon-do avvertono, come mai forse nel passa-to, il senso di un destino comune. Le sfi-de, nella complessità degli scenari globali,richiedono una guida competente e ri-conoscibile. Capace, soprattutto, di riaf-fermare la visione del diritto alla saluteper tutti come una delle condizioni perla vita su questo pianeta.

*Nicoletta Dentico, giornalista, si occu-pa di questioni legate ai paesi in via di svi-luppo. Coordinatrice in Italia della Cam-pagna per la messa al Bando delle Mine,poi direttrice di Medici Senza Frontiere.Da un decennio segue a livello internazio-nale il tema dell’accesso ai farmaci essen-ziali nei paesi poveri. Attualmente lavoracome consulente dell’OMS.

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DossierDiritti negati

AMANI

Un mondosenzasalute

In alto: sciopero in Grecia contro i tagli alla sanità.Qui sotto: vaccinazione in un ospedale del Malawi.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha perso

la partita della sanità globale

di Nicoletta Dentico*

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4 AMANI

Ricordi

di Viviano Domenici*

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I nostri amici

hi era Daniele. In breveSpesso Daniele s’affacciava alla porta della Redazione Scienze. – Buongiorno, che cosa dicono oggi gli scienziati? Ho trovato una no-tiziola su un giornale francese; mi pare interessante ma è troppo bre-ve. Perché non fai scrivere un articolo che tutti possano capire!Quand’è che mi fai venire a lavorare con te? Non so nulla di scien-ze ma mi divertirei. Già altre volte aveva accennato all’ipotesi di lasciare la RedazioneSport, dove lavorava da più di vent’anni, ma avevo sempre pensatoche scherzasse. Invece chiese il trasferimento e venne alle Scienze;con tutto il suo bagaglio di curiosità. Fu un regalo.

Eravamo tutti neriOgni giorno frugava tra le notizie “minori” in cerca di quella buona. – L’ho trovata! In Africa hanno scoperto delle ossa di un nostro an-tenato di 3 milioni e mezzo di anni fa. Secondo te che ti occupi di que-ste cose, che aspetto aveva?– Questo non lo sappiamo, ma di certo era un nero!– Vuoi dire che l’umanità è nata nera? Allora anche noi bianchi untempo eravamo neri e col passare dei secoli abbiamo perso il colore?Insomma, siamo tutti neri scoloriti?– Esatto, proprio così. – Devi scrivere un articolo su questa faccenda. Chissà come sarà con-tento il mio amico africano che chiede la carità sul marciapiede. Ecome saranno incazzati i leghisti: erano neri anche loro! Che bellanotizia.

Via dal «Corriere della Sera»– La direzione del giornale mi ha proposto di passare alla Redazio-ne Cronache affidandomi un ruolo di ideazione e diproposta. Mi pare una bella offerta, tu che ne pensi? – È una bella occasione davvero. Te la meriti e non devi sentirti inimbarazzo con me. Ma fai attenzione che mantengano la promessae non finiscano per sfruttare solo la tua dedizione al lavoro. Non vor-rei che, di fatto, la bella proposta si trasformasse in un impegno mas-sacrante senza alcuna soddisfazione. Stai attento. Ne parlammo per ore, per giorni, e alla fine decise di accettare. Male cose non andarono come avrebbero dovuto e lui, sentendosi tra-dito, si dimise dal giornale da un giorno all’altro. Se fosse andato in

Direzione a chiedere una diversa collocazione certamente l’avrebberoascoltato, ma non volle farlo e se ne andò senza una parola. Da quelgiorno, e per molti anni, si rifiutò di passare davanti alla sede del«Corriere», dove aveva trascorso 28 anni della sua vita.

I malati di AidsSparì dalla circolazione e pensai avesse bisogno di stare un po’ dasolo, magari a Cremona, o chissà dove a correre in bicicletta. Quan-do il silenzio si fece troppo lungo lo cercai per telefono, a Milano e aCremona, ma senza risultato. Di tanto in tanto mi arrivava qualchenotizia vaga: sta bene, si occupa di ammalati, l’ho incontrato, è an-dato a fare una maratona all’estero, ci saluta tutti, si farà sentire,pare che voglia andare in Africa. Finché un giorno una giovane amica che non vedevo da tempo midisse che suo marito era morto di Aids. – Lo ha assistito fino all’ultimo un ex giornalista del «Corriere»; miha detto che siete amici: si chiama Daniele. Scoprii così dov’era finito, ma dopo due anni tra quei malati che mo-rivano tutti i giorni, si arrese. Non aveva più la forza di sopportaretanto dolore, che in quegli anni era senza speranza.

Cosa fai in Africa?Andava e veniva dall’Africa e quando tornava a Milano mi telefonava. – Ci vediamo? Mangiamo qualcosa insieme e parliamo. Finalmente ritrovavo i suoi entusiasmi, la passione per la vita, la gioiadi stare con gli altri. Ma farsi raccontare cosa faceva in concreto lag-giù era impossibile. Parlava facendo lo slalom tra frammenti di rac-conti, incertezze non espresse, pudori e riservatezze che conoscevobene, partite di calcio coi bambini, la tragedia delle bidonville, la gioiadi vivere degli africani, i comboniani impegnati tra i più poveri. Ungroviglio di mezze frasi, silenzi improvvisi, certezze messe in di-scussione, confronti angosciosi tra la vita qui e laggiù, interrogativisenza risposte. Non era possibile dipanare quel groviglio di parole e sentimenti; losapevo che faceva di tutto per non raccontare cosa lui faceva per glialtri in Africa. La vecchia ferita del «Corriere» s’era però rimarginatae Daniele era tornato quello che conoscevo.

All’ospedale bugie e carezzeMia moglie Francesca e io ci affacciammo alla porta socchiusa del-la camera e lui ci vide. Fece un sorriso imbarazzato come dire “chebella sorpresa, ma non dovevate disturbarvi per me”. E con un ge-sto ci pregò di aspettare un momento, giusto il tempo per non farsivedere mentre lo aiutavano a mangiare qualcosa. Ci abbracciammo.E lentamente riuscimmo a trovare inutili parole tra silenzi pesantie sconforti improvvisi, subito nascosti dietro un gesto, un finto raf-freddore, un’occhiata oltre la finestra. Scartammo cioccolatini (gli piac-quero molto) aiutandoci l’un l’altro, e si guardò le mani con le un-ghie troppo lunghe; sorrise mentre tentavo di fargli un po’ di mani-cure, e ringraziò con una carezza stanca. – Ora riposati, Daniele, ci vediamo presto. Socchiuse gli occhi perdonandoci la bugia. Sapeva che non c’era piùtempo. E con gli occhi ci salutò.

*Viviano Domenici, giornalista, responsabile per decenni delle pagine scientifichedel Corriere della Sera, ha seguito numerose spedizioni di ricerca paleontologica e an-tropologica e pubblicato monografie a carattere storico-archeologico.

È PASSATO UN ANNO DA QUANDO IL NOSTRO AMICO DANIELE PAROLINI, ATLETA, GIORNALISTA,VOLONTARIO, DIRETTORE DELLA NOSTRA RIVISTA, È MANCATO A CREMONA IL 12 APRILE 2013.

LO RICORDIAMO CON UN ARTICOLO DI UN SUO AMICO E COLLEGA

da pag 1 Vivere senza Maestri

Come se non fossero ancora davvero prepa-rati a fare a meno di lui, non sapessero comefare senza di lui. Il motivo, secondo me, èsemplice. Mandela è stato un maestro, ungrandissimo maestro (non a caso Amani loaveva scelto per la copertina del suo calendario2007, dedicato ai Mwalimu, i grandi maestridell'Africa postcoloniale). E vivere senza mae-stri è molto difficile.

Se oggi ci guardiamo intorno, non riusciamoa individuare leader di comparabile statura,che sappiano additare alle nazioni, alle gen-ti, la via da seguire. In questo senso forseMandela è stato l'ultimo rappresentante diuna specie ora estinta e giustamente i com-menti scritti in occasione della sua mortehanno sottolineato la sua appartenenza bio-grafica ed esistenziale al secolo passato.

Egli è stato un grande maestro in più di unsenso. Nella prima parte della sua vita, ha in-segnato con il comportamento personale ilcoraggio, l'idealismo, la dedizione a una cau-sa giusta e umana, e soprattutto la capacitàdi mettere sul piatto della bilancia la suastessa esistenza: «Ho dedicato la mia vita al-la lotta degli africani. Ho lottato contro la do-minazione dei bianchi, e ho lottato contro ladominazione dei neri. Ho coltivato l'ideale diuna società libera e democratica nella qualetutti vivranno in armonia e con uguali op-portunità. È un ideale per il quale intendo vi-vere e che spero di veder realizzato. Ma, seoccorre, è un ideale per il quale sono prepa-rato a morire».

Nella seconda, ha incarnato la virtù della re-sistenza, della coerenza, della fedeltà a un'i-dea, nei lunghi anni in cui tutto poteva sem-brare perduto e Mandela era diventato sol-tanto il “detenuto 46664”, un numero di-menticato su un'isola-prigione in mezzo all'o-ceano. Nella terza, infine, è diventato il GrandeRiconciliatore, il leader che ha saputo tene-re insieme e anzi riunificare una nazione spa-ventosamente divisa da decenni di oppressionee di odio. Ha usato il perdono come arma po-litica, superando le resistenze di molti nelsuo campo e conquistando i cuori degli uni edegli altri. Certo il lavoro non è compiuto,ma l'apporto di Mandela è stato gigantesco,incommensurabile se rapportato all'opera diuna sola persona, e anche senza precedenti,perché nessuno prima di lui aveva saputocon altrettanta efficacia usare in politica quel-l'arma. È stato il Mandela capo di Stato a rag-giungere una statura davvero unica e uni-versale.

Adesso però che Mandela non c'è più, c'è unquarto aspetto che forse prima non avevamosufficientemente considerato e che fa an-ch'esso di lui un maestro grandissimo. E cioèquello che abbiamo detto all'inizio: il pro-gressivo distacco, l'allontanamento pianifi-cato e realizzato in prima persona dalle re-sponsabilità pubbliche, la chiamata in pri-ma linea delle nuove generazioni, il passag-gio delle consegne, il ritiro. In un continenteche abbonda di capi di Stato a vita, di rifor-me costituzionali imposte a Parlamenti con-senzienti per moltiplicare i mandati presi-denziali, di governanti di modesta staturache si abbarbicano al potere, Nelson Mande-la ha fatto 27 anni di prigione ma solo 5 dipresidenza. E poi se ne è andato.

Noi lo sappiamo: è un vero maestro chi inse-gna a fare a meno di lui. La vera scuola è quel-la dell'autonomia. Questo cerca di fare in pic-colo Amani, accompagnando i bambini che so-no affidati alle case di Nairobi e Lusaka finoal titolo di studio, alla completezza della for-mazione. Mandela lo ha fatto al livello più al-to, nel modo più nobile. Se poi, ciò malgrado,noi lo piangiamo, e ne sentiamo crudelmen-te la mancanza, e vorremmo che fosse anco-ra con noi, questo non è un limite suo, bensìnostro. Un limite umano.

*Pietro Veronese, giornalista, segue da trent’an-ni le vicende africane.

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La risposta alla domanda che si pone Domenici: «Daniele, cosa fai in Africa?»

Daniele negli anni ’80 in Via Solferino a Milano, tra casa e Corriere della Sera

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ciao Dani

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argomento costante di discussione tra i soci, gli ope-ratori e i volontari di Amani: le Ong devono fare raccolta fondi?Ci ripetiamo spesso che sarebbe liberatorio poter lavorare pen-sando soprattutto a come esprimere al meglio le nostre capacitàe come rendere più efficaci e attuali le tecniche di intervento, masiamo consapevoli che questo può sembrare utopico.Nel nostro caso la qualità del rapporto con i partner africani, laformazione degli operatori sociali, il miglioramento dei servizidi accoglienza e alla persona, la gestione delle comunità e il lo-ro funzionamento organizzativo, la qualità nella relazione con ibambini e le bambine di strada e la cura di tutto il processo edu-cativo dovrebbero essere gli argomenti principali delle nostre gior-nate di lavoro, in Africa come in Italia.Invece non è così: oggi il fundraising si è definitivamente affer-mato come elemento dominante che ha stravolto e minato alleradici i principi che dovrebbero essere al centro delle attività diogni organismo di cooperazione internazionale.Stiamo tutti vivendo gli effetti di una lunga crisi e una rifles-sione di questo tipo sembra un lusso, ma dobbiamo continuarea chiederci come sia possibile non rinunciare alla nostra iden-

tità e allo stesso tempo avere le risorse per garantire l’operati-vità e il buon funzionamento di tutte le attività in Africa.L'unica cosa bella del ricercare e ricevere donazioni è la dina-mica della relazione che si crea con le persone che scelgono disostenerci. Ringraziarle è un obbligo morale che molto spessodiventa un piacere, perché ci mette in rapporto con il volto piùbello dell’Italia. È così che abbiamo conosciuto una signora di Milano che ave-va deciso di rendere concreta una promessa fatta a suo maritopoco prima della sua scomparsa: donare la loro casa tanto ama-ta, un edificio con 4 appartamenti nel centro storico di Ponte diLegno, ad una realtà seria che si prendesse cura dell’infanziapiù sola e bisognosa di aiuto in Africa.In piena crisi immobiliare Amani ha dunque dovuto cominciarea gestire uno stabile di valore, che non poteva essere venduto sen-za svalorizzarlo e senza infrangere la promessa fatta alla dona-trice, cioè trarne la maggior rendita possibile. Abbiamo quindi de-ciso di affittarlo, ritrovandoci a svolgere un’attività che, seppurimportante e in grado di generare risorse da reinvestire nei pro-getti, non è esplicitamente contemplata dal nostro statuto. Grazie ai consigli dei nostri revisori dei conti abbiamo matura-to la scelta di separare chiaramente l’attività di cooperazione in-ternazionale (che è il cuore della nostra azione quotidiana) dal-la gestione e dall’amministrazione di risorse in denaro, beni mo-bili ed immobili.

A poco più di un anno dalla donazione di Ponte di Le-gno, nel luglio 2011, abbiamo dunque costituito Fon-dazione Amani: un ente giuridico in grado di «canalizzare,amministrare e destinare risorse economiche e finanziarie, conscopi di utilità sociale».Fondazione Amani nasce con un mandato ben preciso che sirealizza nel lungo periodo: garantire continuità e sostenibilitàalle iniziative in Africa.Il Consiglio di Amministrazione della fondazione, eletto dai so-ci di Amani, è composto da persone di indubbia esperienza eprofessionalità che hanno avuto modo di conoscere in primapersona le realtà sostenute da Amani in Africa e che ne han-no a cuore le sorti. Questo loro impegno nella fondazione è ga-ranzia di competenza, trasparenza, rigore contabile e capacitàdi valorizzare le risorse trasformandole in un aiuto concretoe duraturo nel tempo. Crediamo che tutto questo sia normal-mente dovuto ad ogni persona che desideri affidarci un lasci-to importante.Il primo progetto realizzato da Fondazione Amani è stato laristrutturazione e ampliamento di una scuola di informaticaal Mthunzi Centre di Lusaka, intitolata a Margherita Ferra-rio, volontaria di Amani, venuta a mancare nel dicembre 2012.Parte dei risparmi di Margherita sono stati affidati dalla suafamiglia a Fondazione Amani, che grazie all’opera dei suoiamministratori ha fatto sì che la scuola iniziasse la sua atti-vità e la farà vivere nel tempo. Ora ad Amani siamo più tranquilli perché sappiamo di averfatto un passo importante per rimanere sempre entro i terminiprevisti dalla legge, con il valore aggiunto della professiona-lità specifica nel settore amministrativo.Questa nostra riforma è certamente una piccola cosa, ma for-se potrà far vivere sempre meglio quella grande tradizione dimecenatismo dell’educazione e dell’assistenza privata in cuiproprio l’Italia, per secoli, ha rappresentato un’eccellenza.

*Gian Marco Elia è presidente di Amani.

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News

Il progetto Ndugu Mdogo Rescue Centres è stato selezionatotra i 20 finalisti del bando Nutri-amo il Futuro di FondazioneMediolanum Onlus.

Dal 7 al 30 aprile 2014 è stato possibile votare online per esprimerela propria preferenza e sostenere i centri di prima accoglienza del-le baraccopoli di Riruta e Kibera, a Nairobi.

Il bando prevedeva un finanziamento per i 3 progetti col maggiornumero di voti, e Ndugu Mdogo Rescue Centres si è classificato se-condo grazie ai voti di circa 2.000 sostenitori.

Grazie a tutti coloro che hanno voluto contribuire a questo risulta-to fondamentale, reso possibile solo dall’impegno, dal passaparo-la e dalla testimonianza personale di ciascuno di voi.

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PERCHÉ È NATA FONDAZIONE AMANIdi Gian Marco Elia*

Ndugu Mdogo ottiene il secondo posto al bando di Fondazione Mediolanum Onlus

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Iniziative

Tiyende Pamodzi è stato soprattutto un’esperienza for-mativa, un viaggio “di conoscenza” per 16 ragazzi del Koi-nonia Youth Team del Mthunzi Centre.

Il gruppo, accompagnato dagli educatori di Koinonia eAmani, ha viaggiato dal 23 novembre al 15 dicembre 2013lungo 14 città italiane (Torino, Milano, Brescia, Piacenza,Bologna, Rimini, San Marino, Senigallia, Agugliano, Bari, Ma-tera, Rionero in Vulture, Caserta, Roma) incontrando le co-munità locali attraverso momenti di scambio culturale,l’accoglienza in famiglia, visite nelle scuole e la presenta-zione di uno spettacolo di danze tradizionali zambiane.

Nelle scuole, grazie all’aiuto delle insegnanti e dei volon-

tari, i ragazzi hanno potuto presentarsi e raccontare le lo-ro storie, interagire con gli studenti e confrontarsi con lo-ro sui diversi sistemi scolastici, sull’importanza dell’istru-zione come strumento di crescita e riscatto, sulle attivitàextrascolastiche e le proprie passioni.

Valore aggiunto è stata l’accoglienza delle famiglie, che han-no ospitato i giovani zambiani aprendogli le proprie case,facendogli assaporare la cordialità italiana e il calore do-mestico.

In ogni città i ragazzi si sono esibiti in uno spettacolo di can-ti e danze tradizionali zambiane con una media di 300spettatori a tappa.

Nella tappa romana sono stati onorati anche dalla pre-senza di alcuni membri dell’Ambasciata della Repubblicadello Zambia. Domenica 15 dicembre 2013, a San Pietro,hanno partecipato all’Angelus, ricevendo un saluto e unabenedizione rivolta proprio a loro da Papa Francesco.

Accompagnati dalle famiglie ospitanti e dai volontari diAmani che, per l’occasione, si sono preparati a far da gui-da della loro città in lingua inglese, i giovani zambiani han-no avuto modo di visitare i principali monumenti, i museie le bellezze paesaggistiche: hanno visto per la prima vol-ta la neve a Torino e il mare a Rimini; sono rimasti incan-tati di fronte alla bellezza di Matera e alla maestosità delColosseo a Roma.

KENYAKivuli Centre: progetto educativo che accoglie in forma residenziale 60 ex bambini di strada, copre le spesescolastiche di altri 70 bambini ed è aperto a tutti, proponendo diverse attività. Kivuli è diventato un punto di riferimentoper i giovani del quartiere circostante, con laboratori artigianali di avviamento professionale, una biblioteca, un dispensariomedico, un progetto sportivo, un laboratorio teatrale, una sartoria, un pozzo che vende acqua a prezzi calmierati,una scuola di lingue, una scuola di computer e uno spazio sede di varie associazioni, per momenti di dibattito e confronto.

Casa di Anita: casa di accoglienza a Ngong (20 km da Nairobi) curata da due famiglie keniane. La Casa di Anitaaccoglie 20 ex bambine e ragazze di strada vittime di violenze di ogni genere, inserendole in una struttura familiaree protetta, permettendo una crescita affettivamente tranquilla e sicura, e continua a seguire le ragazze più grandiche sono rientrate in famiglia.

Ndugu Mdogo (Piccolo Fratello): progetto socio-educativo, è un punto di riferimento per i 200 ragazzi che, con leloro famiglie, sono stati accolti nel programma di assistenza e riabilitazione dal 2006 ad oggi.

Kivuli Ndogo e Ndugu Mdogo Rescue Centers: sono centri di prima accoglienza e soccorso per i bambini e i ragazziche negli immensi quartieri di Kibera e Kawangware sono ancora costretti a sopravvivere per strada senza la curae l'affetto di un adulto. Questi centri sono il primo passo di un percorso di recupero che potrà portarli poi a Kivuli,Ndugu Mdogo o alla Casa di Anita.

Borse di Studio don Giorgio Basadonna: permettono a studenti meritevoli privi di possibilità economiche diproseguire nel percorso di studi superiore e acquisire una preparazione qualificata per il loro futuro: un modoconcreto per ricordare l’impegno di tutta una vita spesa da don Giorgio per la crescita dei giovani.

Riruta Health Project (RHP): programma di prevenzione e cura dell'Aids, nato in collaborazione con Caritas Italiana,offre assistenza a domicilio a malati terminali e a pazienti sieropositivi nelle periferie di Nairobi.

Families to Families (FtoF): programma di sviluppo comunitario nato da un gruppo di famiglie italiane per sosteneregli ex ospiti dei centri nel percorso di reinserimento familiare e nella comunità locale.

Geremia School: una scuola di informatica che fornisce una formazione professionale di alta qualità, per contribuirea colmare il digital divide Nord-Sud.

Diakonia Institute: offre corsi universitari in Scienze Sociali e Sviluppo Comunitario (microcredito, impresa sociale)per formare a livello accademico figure in grado di lavorare nelle baraccopoli con professionalità.

ZAMBIAMthunzi Centre: progetto educativo realizzato dalle famiglie della comunità di Koinonia di Lusaka. Oltre ad accogliere informa residenziale 60 ex bambini di strada curandone la crescita e l’educazione, è un punto di riferimento per gli altriabitanti dei centri rurali circostanti, con il suo dispensario medico e con i suoi laboratori di falegnameria e di sartoria perl’avviamento professionale.

SUDANCentro Educativo Koinonia: due scuole sui Monti Nuba che garantiscono l’educazione primaria a circa 1200 ragazzi eduna scuola magistrale per selezionare e formare giovani insegnanti Nuba per riattivare la rete scolastica gestita dalle popolazionidella zona.

Progetti

Il tour italiano dei ragazzi dello Zambia

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Adozioni a distanza

Perché tutti insiemeL'adozione proposta da Amani non è in-dividuale, cioè di un solo bambino, ma èrivolta all'intero progetto di Kivuli, della Ca-sa di Anita, di Ndugu Mdogo, di Mthunzio delle Scuole Nuba. In questo modo nessuno di loro correràil rischio di rimanere escluso. Insomma"adottare" il progetto di Amani vuol direadottare un gruppo di bambini, garan-tendo loro la possibilità di mangiare, stu-diare e fare scelte costruttive per il futu-ro, sperimentando la sicurezza e l'affet-to di un adulto. E soprattutto adottare unintero progetto vuol dire consentirci dinon limitare l’aiuto ai bambini che vivo-no nel centro di Kivuli, della Casa di Ani-ta, di Ndugu Mdogo, del Mthunzi o che fre-quentano le scuole di Kerker e Kujur Sha-bia, ma di estenderlo anche ad altri pic-coli che chiedono aiuto, o a famiglie in dif-ficoltà, e di spezzare così il percorso cheporta i bambini a diventare bambini di stra-da o, nel caso dei bambini Nuba, di ga-rantire loro il fondamentale diritto all’e-ducazione. Anche un piccolo sostegno economicopermette ai genitori di continuare a far cre-scere i piccoli nell’ambiente più adatto,e cioè la famiglia di origine.In questo modo, inoltre, rispettiamo laprivacy dei bambini evitando di diffondereinformazioni troppo personali sulla sto-ria, a volte terribile, dei nostri piccoli ospi-ti. Pertanto, all'atto dell'adozione, non in-viamo al sostenitore informazioni relati-ve ad un solo bambino, ma materialestampato o video concernente tutti i bam-bini del progetto che si è scelto di so-stenere. Una caratteristica di Amani è quella di af-fidare ogni progetto ed ogni iniziativa sulterritorio africano solo ed esclusivamen-te a persone del luogo. Per questo i re-sponsabili dei progetti di Amani in favoredei bambini di strada sono keniani, zam-biani e sudanesi.

Con l'aiuto di chi sostiene il progetto del-le Adozioni a distanza, annualmente riu-sciamo a coprire le spese di gestione, pa-gando la scuola, i vestiti, gli alimenti e lecure mediche a tutti i bambini.

Info: [email protected]

Come aiutarciPuoi "adottare" i progetti realizzati daAmani con una somma di 30 euro almese (360 euro all'anno): contri-buirai al mantenimento e alla cura ditutti i ragazzi accolti da Kivuli, dallaCasa di Anita, da Ndugu Mdogo, dalMthunzi o dalle Scuole Nuba.

Per effettuare un'adozione a distanzabasta versare una somma sul c/c postale n. 37799202 intestato adAmani Ong - Onlus via Tortona 86 – 20144 Milanoo sul c/c bancario pressoBanca Popolare Etica IBAN IT91 F050 1801 6000 0000 0503010BIC/SWIFT: CCRTIT2T84A

Ti ricordiamo di indicare, oltre al tuo no-me e indirizzo, la causale del versa-mento: "adozione a distanza".Ci consentirai così di inviarti il mate-riale informativo.

AMANI

«Ciao Marina, sono Annamaria, ho una proposta da farti». È iniziata cosìl’esperienza che nello scorso dicembre ha visto la mia famiglia entrare neltour Tiyende Pamodzi come “famiglia accogliente”. Annamaria mi ha par-lato di Amani, della realtà di provenienza dei ragazzi, di padre Kizito e del-le finalità del loro viaggio. Di getto ho pensato che fosse un’opportunità pervalutare concretamente la mia disponibilità all’accoglienza. Ho conosciuto Padre Kizito in precedenti visite alla nostra parrocchia, co-nosco la serietà di chi mi stava proponendo questa esperienza ma, prima diaccettare, ho chiesto a mio marito e mio figlio cosa ne pensassero. Ottenu-to il via libera, ci siamo ritrovati con le altre famiglie e con gli organizzato-ri per conoscere un po’ le abitudini dei ragazzi e il programma del soggior-no a Caserta. Tutti entusiasti ma, man mano che si avvicina il momento,anche un po’ preoccupati per la novità.Il grande giorno è arrivato e ci siamo ritrovati tutti nel Teatro della parrocchiaper assistere allo spettacolo preparato dai ragazzi. Che dire, un’esplosionedi colori e di energia! È stato, per me, un momento forte di riflessione perché, confesso, quella fi-sicità con cui vengono scandite le attività e le tappe della vita – vissuta dalvivo e non attraverso lo schermo – mi ha dato il senso del “diverso” da noiche in qualche modo spaventa, proprio perché estraneo alla nostra cultura.Ma, dismessi gli “abiti di scena”, i ragazzi che abbiamo incontrato in unmomento conviviale prima che ce ne venissero affidati due, erano dei me-ravigliosi adolescenti e basta. A fine serata torniamo a casa con Chris eBornface.

Mio marito Enzo e mio figlio Andrea fanno da interpreti perché io non ho stu-diato inglese, ma i ragazzi si fanno capire e sono molto più avvezzi alle no-stre abitudini di quanto potessimo immaginare. Sono stanchi e ci chiedonodi potersi ritirare per riposare. Per due giorni il ritmo di vita cambia. Al mat-tino mi ritrovo con i due ragazzi che, tutto sommato, sembrano abbastanzaa loro agio. Noto che sono molto educati, si comportano bene a tavola, chie-dono sempre con molto garbo e ringraziano per ogni cosa. Non trascuranomai la preghiera e come i nostri ragazzi amano Facebook. Ma io vorrei par-lare di più con loro, così decido di usare il traduttore di Google e in questomodo riusciamo a condividere le impressioni su questo viaggio in Italia, sulloro modo di vivere e sulle loro aspirazioni. Ci rincontriamo verso sera neipressi della Reggia, dove hanno trascorso buona parte della giornata, ed in-sieme passiamo una bella serata casalinga. I ragazzi indossano con allegriail cappello e la giacca dell’uniforme di mio marito e si lasciano fotografare or-gogliosi, parlano con Andrea della sua scuola – che hanno visitato quella mat-tina – delle bellezze della nostra Italia e del Natale che bussa alle porte.Il mattino dopo è già il momento di salutarci. I ragazzi ringraziano, diconodi essere stati bene con noi. Ma un ringraziamento penso di doverlo fare ioa loro, a chi mi ha consentito di fare questa esperienza e a tutti quelli checon amore curano questi ragazzi. Mi fermo a pensare che fino a pochi annifa vivevano per strada senza regole, senza affetto, senza futuro, mentre og-gi possono insegnare ai nostri ragazzi e a noi la gratitudine, la forza di vo-lontà, la gioia di vivere.

Marina Gallotta Piccolo

Tiyende Pamodzi

Indovina chi viene a cena?

Njila Banda, 19 anniIn Chinyanja, la nostra lingua, Tiyende Pamodzi significa “viag-giamo insieme”. Infatti noi ragazzi del Koinonia Youth Team di Lu-saka abbiamo viaggiato attraverso l’Italia, partendo da Torino eMilano, spingendoci fino a Bari e Caserta, per poi “appendere alchiodo” i nostri tamburi nella splendida Roma. Ci siamo preparati bene prima della partenza, come fanno i ve-ri viaggiatori. Ci siamo assicurati di avere con i noi i tamburi mi-gliori e i costumi più belli, quelli fatti con la stoffa colorata kiten-ge, un tessuto che rappresenta la nostra Africa.Gli italiani sono gentili, abbiamo apprezzato molto la loro acco-glienza, soprattutto quella delle famiglie che ci ospitavano, no-nostante le difficoltà linguistiche.Una sera stavamo chiacchierando con la famiglia che ci ospita-va a Caserta e raccontavamo come per noi quest’esperienza fos-se un sogno ad occhi aperti: tutti questi bellissimi luoghi, la pu-lizia nelle strade delle città e anche il fatto che gli italiani sianodei gran lavoratori.Durante questo periodo ho realizzato l’importanza dell’espe-rienza del viaggio, dell’incontrare nuove persone e vedere nuo-vi posti.

Geoffrey Mtonga, 15 anniL’emozione più grande di questa esperienza è aver conosciutotante persone nuove ogni giorno. Avrei davvero voluto creare deirapporti più forti con molti italiani ma sfortunatamente la nostragiovane età non ci ha permesso di avere quella padronanza del-la lingua necessaria ad esprimere i nostri pensieri in inglese. La

nostra grande risorsa per farci comprendere è stato il linguag-gio dei segni, che abbiamo usato spesso e in modo anche di-vertente. In queste settimane di viaggio ho apprezzato l’impor-tanza di incontrare e condividere la cultura di un altro popolo, eho capito che siamo tutti parte della stessa umanità. Ho notatoanche le grandi differenze tra l’Italia e lo Zambia in termini di in-frastrutture, costruzioni e in generale nella pulizia delle città.Credo che in Zambia il più grande ostacolo per raggiungere que-sto obiettivo sia la corruzione.Sono molto fiero del mio paese e, anche se ammiro l’Italia, vo-glio restare a vivere in Zambia per aiutarne lo sviluppo.

Kangwa Mukuka, 20 anniRicordo che, durante un incontro in una scuola media dissi chemi piacciono molto le ragazze italiane. Immediatamente ho ri-cevuto un gran numero di proposte di matrimonio!Tutte le famiglie ospiti ci hanno accolto molto bene: c’era sem-pre un sacco di cibo nelle loro cucine, soprattutto frutta e pasta.Potrebbe essere questa la ragione dell’aumento di peso di NjilaBanda, che in sole tre settimane ha messo su 6 kg!

Langson Muyundu, 14 anniDurante lo spettacolo di Torino abbiamo fatto una performanceche ha impressionato particolarmente il pubblico [la Vimbuza, unadanza originaria della Provincia orientale dello Zambia, in gene-re eseguita dopo grandi occasioni come un buon raccolto, le ce-rimonie d’iniziazione, il Natale o i matrimoni, e di cui Langson èprotagonista, NdR].

Dopo lo spettacolo tanti ragazzi e ragazze sono venuti a chiedermicome fosse possibile per me, che sono molto giovane, fare tuttiquei passi di danza così difficili, passi che loro non sarebbero ca-paci di replicare. Ho semplicemente sorriso e mi sono sentito co-me una piccola celebrità, che tutti vogliono immortalare nelle lo-ro fotografie.

Collins Lukosi, 15 anniDurante questo viaggio abbiamo passato molto tempo insieme,condividendo lo spazio e gli impegni 24 ore al giorno. Ho capitoche è importante saper risolvere i problemi che possono insor-gere in un gruppo e che bisogna prima ascoltare per poi riusci-re a comunicare con persone che hanno una cultura e una lin-gua diverse dalla nostra.

Chipoma Mulenga, 13 anniSono il più piccolo del gruppo. Ancora oggi i miei compagni miprendono in giro perché il giorno in cui siamo atterrati in Italia,andando da Milano a Torino, quando ho visto le montagne co-perte di neve ho chiesto ai volontari di Amani che ci stavano ac-compagnando se quella per caso era una grande fotografia diuna pubblicità…

Elijha Muyumbe, 18 anni Mentre eravamo a Roma abbiamo visto case e palazzi costruitiprima di Cristo. Ricordo anche una strada sotterranea, una spe-cie di galleria. Ancora oggi ci penso e mi chiedo come sia pos-sibile realizzare delle costruzioni simili…

IMPRESSIONI DI VIAGGIO

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Chi siamoAmani è un’associazione non profit che si impegna per affermare il dirittodei bambini e dei giovani ad avere un’identità, una casa protetta, cibo, istru-zione, salute e l’affetto di un adulto.

Dal 1995 abbiamo istituito e sosteniamo case di accoglienza, centri educati-vi, scolastici e professionali in Kenya, Zambia e Sudan. Da allora offriamoogni giorno opportunità e alternative concrete a migliaia di bambini e bam-bine costretti a vivere sulla strada nelle grandi metropoli, nelle zone ruralie di guerra.

Amani ha carattere laico, apolitico e indipendente. Organizzazione non Go-vernativa riconosciuta dal Ministero degli Affari Esteri, ha sede legale a Mi-lano e gruppi locali attivi in diverse città italiane.

Collaboriamo con scuole, associazioni, enti pubblici e privati, parrocchie, am-ministrazioni locali, fondazioni e imprese.

In Italia Amani organizza iniziative e incontri culturali, di informazione eapprofondimento. Ogni anno offriamo la possibilità di partecipare a campidi incontro in Kenya e in Zambia a gruppi organizzati, giovani volontari efamiglie che desiderano conoscere in prima persona la realtà africana e vi-vere un periodo di condivisione con la comunità locale.

Come contattarciAmani Ong - OnlusOrganizzazione non governativa e Organizzazione non lucrativa di uti-lità sociale

Via Tortona, 86 - 20144 Milano - ItaliaTel. +39 02 48951149 - Fax +39 02 [email protected] - www.amaniforafrica.it

Come aiutarciBasta versare una somma sul c/c postale n. 37799202 intestato ad Amani Ong - Onlus - Via Tortona 86 - 20144 Milano, o sul c/c bancario presso Banca Popolare Etica IBAN IT91 F050 1801 6000 0000 0503 010BIC/SWIFT: CCRTIT2T84ANel caso dell'adozione a distanza è previsto un versamento di 30 euro almese per almeno un anno. Ricordiamo inoltre di scrivere sempre la causale del versamento e il vostroindirizzo completo.

Dona il 5x1000 ad Amani, basta la tua firma e il nostro codice fiscale: 97179120155

Le offerte ad Amani sono deducibiliI benefici fiscali per erogazioni a favore di Amani possono essereconseguiti con le seguenti possibilità:

1. Deducibilità ai sensi della legge 80/2005 dell’importo delle donazioni (so-lo per quelle effettuate successivamente al 16.03.2005) con un massimodi 70.000 euro oppure del 10% del reddito imponibile fino ad un massimodi 70.000 euro sia per le imprese che per le persone fisiche.in alternativa:2. Deducibilità ai sensi del DPR 917/86 a favore di ONG per donazioni de-stinate a Paesi in via di Sviluppo. Deduzione nella misura massima del2% del reddito imponibile sia per le imprese che per le persone fisiche.3. Detraibilità ai sensi del D.Lgs. 460/97 per erogazioni liberali a favoredi ONLUS, nella misura del 24% per un importo non superiore a euro2.065,83 per le persone fisiche; per le imprese per un importo massimo dieuro 2.065,83 o del 2% del reddito di impresa dichiarato.Ai fini della dichiarazione fiscale è necessario scrivere sempre ONG - ONLUSdopo AMANI nell'intestazione e conservare:- per i versamenti con bollettino postale: ricevuta di versamento;- per i bonifici o assegni bancari: estratto conto della banca ed eventualinote contabili.

Iscriviti ad Amaninews Amaninews è la newsletter di informazione e approfondimento di Amani:tiene informati gli iscritti sulle nostre iniziative, diffonde i nostri comu-nicati stampa, rende pubbliche le nostre attività. Per iscriverti ad Amaninews invia un messaggio a:[email protected]

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Editore: Associazione Amani Ong-Onlus, via Tortona 86 - 20144 MilanoDirettore responsabile: Pietro Veronese Coordinatore: Gloria FragaliProgetto grafico e impaginazione: Ergonarte, MilanoStampa: Grafiche Riga srl, via Repubblica 9, 23841 Annone Brianza (LC)Registrazione presso la Cancelleria del Tribunale Civile e Penale di Milanon. 596 in data 22.10.2001

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