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LI Le fonti Erano gli Anni Trenta quando dal- l’Archivio Storico di Arte con-tem- poranea di Venezia, in Palazzo Duca- le, pervenne a Carlo Corsi l’invito a inviare una scheda informativa con le notizie biografiche. Il maestro, che aveva allora cinquantaquattro anni, si accinse a scrivere di suo pugno una memoria della propria carriera. Recentemente sono stati ritrovati, tra i carteggi privati del pittore, alcuni fogli di malacopia intestati all’Archivio veneziano, datati 1 luglio 1933, e fir- mati. Vi si legge: Carlo Corsi, paternità fu Achille. Luogo e data di nascita: Nizza 8 gennaio 1879. Genere d’arte professato: pittura – bianco e nero. Studi fatti e titoli conseguiti: studio di Giacomo Grosso. R. Accademia Alberti- na di Belle Arti di Torino. Esposizioni cui ha partecipato: X. XI. XII. XIII. XIV Esposizioni internazionali d’arte di Venezia 1912 – 1914 – 1920 – 1922 – 1924 (invitato) I. II. III. IV. Esposizioni internazionali d’arte della “Secessione” Roma 1913 – 1914 – 1915 – 1916-17. XI Esposi- zione internazionale di Monaco 1913 - Esposizione internazione di S. Francisco 1915 - Esposizione nazionale di Rimini 1909 - I Mostra ufficiale italiana di Bue- nos Aires 1923- I. II. Mostre Biennali di Roma 1921 – 1923. Primaverile fiorentina 1922 - Qua- driennali di Torino 1923 - 1927 (invi- tato). Biennale di Brera. Promotrice di Torino. Mostre individuali: I mostra regionale del Sindacato fascista Emiliano Romagnolo 1929 – II mostra reg.le Sind. fascista Emilia Romagna 1932 – III mostra reg. le Sind. Fascista Emilia Romagna 1933 Forlì Ferrara – IV mostra interprovincia- le fascista di Belle Arti Bologna – Inter- regionale di Firenze. Segue una fitta lista suddivisa nei seguenti capitoli: Premiazioni e ono- rificenze, Opere scelte di acquisti ufficiali ed esistenti in pubbliche galle- rie, Possessori delle opere principali, Pubblicazioni in genere che riguardi- no l’artista e la sua produzione, Edito- ri e fotografi delle sue opere. In seguito, egli ebbe cura di annotare alcune aggiunte e proseguire l’elenco delle mostre, dei premi, delle pubbli- cazioni man mano che gli anni passa- vano. In particolare su un altro foglio, sem- pre autografo, si leggono altre strin- gate informazioni biografiche: Viaggi: Olanda – Belgio – Parigi Incontri e amicizie: Gaetano Previa- ti, Giglielmo Ciardi, Giacomo Grosso, Gola, Fragiacomo. Nella loro sintesi, questi fogli danno ufficialità ai dati che il pittore stesso ritenne fondamentali nel momento di accreditare istituzionalmente un curriculum che avrebbe dovuto col- locarlo in modo inequivocabile nel panorama dell’arte contemporanea italiana. Nonostante i risultati già rag- BIOGRAFIA RAGIONATA di Daniela Bellotti I cataloghi delle Mostre di Enti pubblici alle quali il Maestro ha partecipato e la raccolta fotografica.

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Le fontiErano gli Anni Trenta quando dal-l’Archivio Storico di Arte con-tem-poranea di Venezia, in Palazzo Duca-le, pervenne a Carlo Corsi l’invito a inviare una scheda informativa con le notizie biografiche. Il maestro, che aveva allora cinquantaquattro anni, si accinse a scrivere di suo pugno una memoria della propria carriera. Recentemente sono stati ritrovati, tra i carteggi privati del pittore, alcuni fogli di malacopia intestati all’Archivio veneziano, datati 1 luglio 1933, e fir-mati. Vi si legge:Carlo Corsi, paternità fu Achille.Luogo e data di nascita:Nizza 8 gennaio 1879.Genere d’arte professato:pittura – bianco e nero.Studi fatti e titoli conseguiti: studio di Giacomo Grosso. R. Accademia Alberti-na di Belle Arti di Torino.Esposizioni cui ha partecipato: X. XI. XII. XIII. XIV Esposizioni internazionali d’arte di Venezia 1912 – 1914 – 1920 – 1922 – 1924 (invitato)I. II. III. IV. Esposizioni internazionali d’arte della “Secessione” Roma 1913 – 1914 – 1915 – 1916-17. XI Esposi-zione internazionale di Monaco 1913 - Esposizione internazione di S. Francisco 1915 - Esposizione nazionale di Rimini 1909 - I Mostra ufficiale italiana di Bue-nos Aires 1923- I. II. Mostre Biennali di Roma 1921 – 1923.Primaverile fiorentina 1922 - Qua-driennali di Torino 1923 - 1927 (invi-

tato). Biennale di Brera. Promotrice di Torino. Mostre individuali: I mostra regionale del Sindacato fascista Emiliano Romagnolo 1929 – II mostra reg.le Sind. fascista Emilia Romagna 1932 – III mostra reg.le Sind. Fascista Emilia Romagna 1933 Forlì Ferrara – IV mostra interprovincia-le fascista di Belle Arti Bologna – Inter-regionale di Firenze.Segue una fitta lista suddivisa nei seguenti capitoli: Premiazioni e ono-rificenze, Opere scelte di acquisti ufficiali ed esistenti in pubbliche galle-rie, Possessori delle opere principali, Pubblicazioni in genere che riguardi-no l’artista e la sua produzione, Edito-ri e fotografi delle sue opere.In seguito, egli ebbe cura di annotare alcune aggiunte e proseguire l’elenco delle mostre, dei premi, delle pubbli-cazioni man mano che gli anni passa-vano.In particolare su un altro foglio, sem-pre autografo, si leggono altre strin-gate informazioni biografiche:Viaggi: Olanda – Belgio – ParigiIncontri e amicizie: Gaetano Previa-ti, Giglielmo Ciardi, Giacomo Grosso, Gola, Fragiacomo.Nella loro sintesi, questi fogli danno ufficialità ai dati che il pittore stesso ritenne fondamentali nel momento di accreditare istituzionalmente un curriculum che avrebbe dovuto col-locarlo in modo inequivocabile nel panorama dell’arte contemporanea italiana. Nonostante i risultati già rag-

Biografia ragionatadi Daniela Bellotti

I cataloghi delle Mostre di Enti pubblici alle quali il Maestro ha partecipato e la raccolta fotografica.

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giunti, proprio dalla metà degli Anni Trenta, il pittore ebbe un periodo di scarsa notorietà, tanto che nel 1941 ci fu la “svista” del Premio Bergamo: un’opera di Carlo Corsi in concorso ottenne il premio riservato ai giovani artisti. Peccato che egli avesse più di sessant’anni e che nessuno della com-missione del Premio si ricordasse di lui. Nelle pagine che seguono, raccon-tiamo la sua vita desunta dalle fonti: i carteggi autografi inediti, i due bre-vi scritti autobiografici già ben noti e cioè la “Dichiarazione“ del 1949 e “Al modo di un’autobiografia” del 1958, e i numerosi scritti critici e testimo-nianze coeve. Si cercherà così di fare luce sulla sto-ria di un uomo che dopo la fama e il successo fu dimenticato, e lo strano caso della sua “giovane” pittura.

1879-1906infanzia, prima giovinezza e studi Nato a Nizza nel 1879, Carlo Cor-si aveva due anni quando la famiglia di origini italo-polacche, si trasferì a Bologna. Da quel momento la città rimase la sua residenza abituale per tutta la vita, sicché egli è considerato “pittore bolognese”. La sua famiglia fu elemento determinante nello svilup-po delle sue potenzialità e predilezio-ni, in essa trovò i primi stimoli cultu-rali necessari allo sviluppo di una non comune sensibilità. In uno scritto ine-dito autografo, forse la prima stesura dell’autobiografia, si legge: “vengo da una famiglia di musicisti e di cantanti. Mio padre, cantante finissimo, era stato allievo di suo fratello, il celebre Giovan-ni Corsi, che era stato scelto da Verdi per le sue doti di cantante e di attore, a interpretare per la prima volta il Rigo-letto. Mia sorella allieva di mio padre

era il celebre soprano Emilia Corsi, che con Tamagno e con Battistini cantò nei primi teatri d’Europa e d’America”. In un ambiente in cui si respirava il gusto della bellezza e della poesia, in cui quotidianamente si diffondevano le note del pianoforte e si studiava con applicazione e disciplina il canto liri-co, la sua innata propensione per il disegno fu accolta come un dono. Per tutta l’infanzia, il suo passatempo pre-ferito fu disegnare con lapis e matite, tagliare e incollare sagome e figure su carte e cartoni, materiali di cui fu sempre abbondantemente rifornito da tutti i suoi familiari. La sua infanzia è segnata da un momento che si può definire “mitico”. Nel 1888 avven-ne, infatti, un episodio che sarebbe rimasto indelebile nella sua memo-ria: fu la visita a un “magnifico, grande avvenimento”, l’Esposizione Emiliana d’Agricoltura e d’Industria ai Gardini Margherita di Bologna, manifesta-zione concomitante alle celebrazioni per l’VIII centenario dell’Università di Bologna. I Giardini ospitavano stand sulle moderne applicazioni dell’indu-stria, sull’agricoltura e sulla musica; ma soprattutto un tram a vapore col-legava i Giardini alla vicina collina di S. Michele in Bosco, dove si svolge-va l’Esposizione Universale di Belle Arti. In quel clima di modernità e di fermento culturale, la sua attenzione fu catturata dalle opere di Giovan-ni Segantini e di Giacomo Favretto. Ancora settant’anni più tardi l’anzia-no maestro avrebbe ricordato (nella breve autobiografia) la sua giovanile emozione di fronte alla rivelazione di “insospettate possibilità della pittura”. Un’opera in particolare è citata per l’ammirazione suscitata in quella lon-tanissima circo-stanza, “Alla stanga” di Segantini. Questa testimonianza fissata a tanti anni di distanza, acquista

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peso da un punto di vista critico e va considerata alla stregua di una dichia-razione di poetica. Si possono intuire le ragioni che resero memorabile agli occhi di un bambino di nove anni il capolavoro di Segantini; era davvero a quelle date la novità italiana in pittu-ra. Una qualità della luce atmosferica e pulviscolare, il taglio “fotografico” che sviluppa la visione campestre su un piano pressoché infinito, il natura-lismo che sfiora accenti simbolisti, gli animali e le contadine come sagome nette stagliate in controluce sul tra-monto ad accentuare la malinconia dell’ora e la monumentalità della vita semplice …sono tutte caratteristiche che potevano essere colte d’istinto da una precoce sensibilità. Più sotti-le il riferimento a Giacomo Favretto, pittore veneziano che nel 1888 era morto di tifo a soli trentotto anni, nel pieno di un successo che l’aveva rapi-damente portato a grande fama e a mostre di primo piano come l’Esposi-zione veneziana del 1887. È probabile che la dinamicità del tratto chiaroscu-rato applicato a figure veriste conno-tate da caratteri di modernità, fosse di bell’impatto per la sua innata predi-sposizione al disegno. Questo aned-doto può essere considerato come un preludio rispetto all’ampio svol-gersi di una sinfonia; al giovanissimo Corsi si rivelano, con l’incanto della scoperta, elementi quali colore, luce, sintesi, modernità della visione, che troveranno completo sviluppo e per-sonale compiutezza nei decenni suc-cessivi. La fascinazione della pittura fu tale che il giovane non potrà sottrarsi e quell’incontro “fatale” resterà tra i suoi ricordi per tutta la vita. Tuttavia il rischio dell’abbandono di quella stra-da ci fu.Dopo gli studi classici al Liceo Galvani di Bologna, la famiglia, per asseconda-

re la sua passione per il disegno, inco-raggiò l’iscrizione alla facoltà di Inge-gneria. Così nel 1896 Corsi si ritrovò a frequentare senza entusiasmo l’Uni-versità di Bologna nelle aule di Inge-gneria e di Legge (come si evince da un foglio autografo). Nel novembre di quello stesso anno avvenne un fat-to che lo portò a decidere il proprio destino in modo definitivo. L’occasio-ne è legata questa volta alla musica e al teatro: la sorella fu scritturata per cantare al Teatro Comunale di Bolo-gna nella “Valchiria” di Wagner, Carlo la accompagnò e poté assistere alla rappresentazione. “Io ero sempre in palcoscenico, ammaliato da elmi scudi e corazze di quelle brave figliole di cui una la più giunonica aveva particolar-mente attratto la mia attenzione. Figu-rarsi se in piena crisi wagneriana, fra disegni di composizioni mitiche e par-ticolari di personaggi eroici, io potevo attendere alle dimostrazioni dei teoremi di algebra e geometria”, si legge nella stesura inedita dell’autobiografia. Fu quella la seconda rivelazione emozio-nale e questa volta determinante, che avveniva attraverso una forma d’ar-te globale come l’opera wagneriana. La suggestione piena e coinvolgente dello spettacolo teatrale, le luci del palco, i costumi, la gestualità sceni-ca… un mondo di immagini spetta-colari che si riverberava seducente negli occhi del giovane, per il quale si accese il desiderio di raccontare in forme e colori quel “mondo favoloso”. Da quel momento cominciò a diser-tare le aule di Ingegneria e a passare tutto il suo tempo nella Pinacoteca, contigua all’Accademia di Belle Arti e poco distante dal Teatro Comunale. Questo incontro ormai più maturo con la pittura, e in particolare con la collezione raccolta in quelle sale, offrì importanti spunti alla sua innata

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propensione. Si riavvicinò al disegno allenando questa volta la mano nella copia dei quadri antichi, nell’auto-biografia ne ricorda uno tra tutti, “La strage degli innocenti” di Guido Reni. Ancora una volta la citazione non si deve leggere solo come fedeltà a un ricordo, ma soprattutto come dichia-razione di una radice di apparte-nenza. Il capolavoro seicentesco del Reni, pittore a quelle date ancora non toccato dalla rivalutazione critica che alcuni decenni più tardi avrebbero promosso Roberto Longhi e Cesare Gnudi, deve aver fornito uno straor-dinario esempio agli occhi del diciot-tenne Corsi; nella grande tela reniana una tensione teatrale di forte dram-maticità si sublima in una definizione pulita delle figure e il movimento si ricompone in una struttura ritmica e classicamente equilibrata. Ma la lezio-ne dei capolavori antichi non poteva bastare. Era necessario acquisire le capacità tecniche per cominciare a fare pittura. Un pittore entrò a questo punto nella sua vita, inizialmente solo come conoscente, poi come amico: è Alessandro Scorzoni. Nel periodo che segue Corsi acquisisce da lui una prima formazione, dettata soprattut-to dall’ammirazione per la pittura del-l’amico. Nel sodalizio con Scorzoni si comincia a definire qualcosa anche del carattere dell’uomo, non incline alle vie più tradizionali; si direbbe che egli segua l’istinto più che una razio-nale volontà di dedicarsi allo studio accademico. Molti anni più tardi, tro-verà parole tenerissime per ricordare Scorzoni, l’amico della sua gioventù, lo definirà “un’anima candida e vergi-ne davanti ai fascini del vero”. Ma chi era Alessandro Scorzoni cui egli deve i primi fondamentali insegnamenti del mestiere? Nato a Crespellano, vicino a Bologna, nel 1858, quaran-

tenne negli anni della frequentazione con il giovane Corsi, Scorzoni stava riscuotendo proprio in quel momen-to un certo successo, nel 1898 era stato insignito Accademico d’Onore all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Nel suo stile connotato da una cer-ta “semplificazione”, l’allievo pote-va trovare un valido stimolo alle sue prime ricerche; con lui ebbe modo di scoprire la pittura “en plein air” e di mettersi alla prova sul suo esempio; Scorzoni gli poteva offrire un mode-rato impressionismo in versione pro-vinciale, derivato da un naturalismo di tradizione locale, appena sfiorato da qualche abbellimento simbolista, ma tutto sommato lontano dalla rigorosa istantaneità alla francese; tuttavia la velocità del segno, l’uso di un irraggia-mento piatto e libero della pennellata e la spigliatezza non formale dello sti-le furono certamente una validissima palestra per l’allievo.Datano al 1896 i primi disegni a car-boncino, pastelli e tecniche miste di Carlo Corsi, eseguiti dal vero, in cui già si riscontra un effetto d’indefinito, i volti sono come smarginati e mossi, dotati di una morbidezza che stem-pera fin da subito l’approccio verista per cogliere invece una notazione del carattere; sono queste le opere giovanili che aprono il suo catalogo e l’incipit ufficiale del suo percor-so. I soggetti nei primi anni della sua produzione sono piccoli paesaggi dei dintorni di Bologna e per lo più figu-re familiari, esegue il ritratto della madre, del padre e ripetutamente si impegna nel proprio autoritratto.Negli anni a cavallo del secolo Corsi comincia dunque a muovere i primi passi nel mondo dell’arte; non solo studia il museo e la tecnica, ma fin dalla prassi pittorica d’esordio egli cerca di definire la sua posizione nei confron-

La mamma di Corsi

Elisa Corsi

La moglie Bianca

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ti degli orientamenti della contem-poraneità. Il clima Belle Époque non sembra catturarlo particolarmente, soprattutto quello accademico, anzi egli sembra restare a una certa distan-za dallo stile più diffuso, improntato a un decorativismo Liberty, floreale e sensuale, in cui si rifletteva un’epoca ancora inebriata dalla speranza di un magnifico futuro, all’insegna del pro-gresso, del benessere e di strepitose conquiste della tecnologia. Per dare credito agli appunti recen-temente ritrovati, risalgono a questi stessi anni i contatti con Gaetano Pre-viati e con Guglielmo Ciardi, elencati cronologicamente prima dell’alunnato con Grosso; sono nomi che segnano un orientamento del gusto, se non una condivisione di uno stile che in Corsi, attorno ai ventidue anni, deve ancora formarsi. Si può credere comunque a una certa area di confronto con le opere più evanescenti del simbolismo luminoso del ferrarese Previati e con quelle post-macchiaiole del venezia-no Ciardi, attraverso le quali Corsi poteva presagire una soluzione oltre l’impressionismo, tendente a una dis-solvenza dei contorni del disegno tra figura e sfondo. Tra gli esuberanti sti-lemi linearistici del gusto imperante e un’attenzione a tratti più asciutti, desunti dal vero ma trasfigurati nella luce naturale o simbolica, le testimo-nianze ci portano a credere che il gio-vane Corsi sia entrato più in sintonia con questo secondo fronte, sebbene anche una certa eleganza alla moda dell’Art Nouveau finisca per integrar-si alla sua formazione. Alla fine risultò decisiva la sua ammirazione per un pittore di successo e gran virtuoso delle forme sensuali come Giacomo Grosso, particolarmente gradito alle classi aristocratiche e borghesi in vir-tù di una lussuosa eleganza formale e

di una straordinaria abilità nel ritrarre personaggi celebri rispecchiandone il lato mondano. Così, nel 1902, ormai ventitreenne, Corsi lasciò Bologna per Torino, dove Grosso viveva e insegnava; e per seguire i corsi di pit-tura di questo maestro s’iscrisse alla Real Accademia Albertina di Belle Arti. Negli anni dello studio torinese si formò in modo completo e acca-demico la sua competenza nelle varie tecniche pittoriche, anche se dallo stile del maestro, per fortuna, non si fece granché condizionare, nonostan-te sia rimasto legato a lui nel ricordo per “la stima e l’affetto che seppe ispi-rargli”. Ancora l’autobiogra-fia ci aiuta a mettere a fuoco da un punto di vista professionale il rapporto tra l’allievo e il maestro, poiché a tanti anni di distanza Corsi non può fare a meno di ricordare le loro “clamorose discus-sioni e schermaglie dialettiche” che non gli impedirono di proseguire per i suoi “primitivi intendimenti”.Intendimenti che si radicavano in una vocazione che comincia a esprimer-si in uno stile personale. Le opere di questo periodo mostrano l’influenza degli insegnamenti di Grosso solo nella misura in cui si accentua una quasi esclusiva attenzione alla figura femminile, tratteggiata con qualche accenno descrittivo particolarmen-te prezioso, a dimostrazione delle capacità tecniche acquisite. Alla fine dei quattro anni dell’Accademia, nel 1906 la permanenza a Torino s’inter-ruppe improvvisamente, Corsi tornò precipitosamente a Bologna a causa della morte del padre.

1907-1918Viaggi e primi successi I viaggi all’estero sono sempre un pun-to fondamentale nelle biografie degli

Mandato di pagamento del 1917 per un’opera venduta al Ministero della Pubblica Istruzione

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artisti. Va dato quindi il giusto rilievo al fatto che, qualche mese dopo il suo ritorno a Bologna, Corsi decida di mettersi in viaggio per completare la sua formazione con un vero e proprio tour europeo in treno, mezzo di tra-sporto che resterà per lui prediletto e fonte di eccitazione anche negli anni a venire, come si evince da diverse testimonianze. Era il 1907, la sua pri-ma destinazione fu l’Olanda. Nel suo bagaglio culturale ed “emozionale” entrò a questo punto un ventaglio di esperienze in cui i paesaggi dei luoghi raggiunti, la vita delle grandi capitali europee e l’arte dei musei si unirono in una preziosa e tempestiva esperien-za. Visitò Amsterdam, L’Aia e Anver-sa, dove le sue preferenze, come lui stesso le definì, andarono a Rembran-dt, Franz Hals e Vermeer; poi andò a Bruxelles e l’ultima tappa fu Parigi, dove dedicò quindici giorni a visitare le sale del Louvre. E l’arte contempo-ranea, i Fauve e i Nabis, gli impres-sionisti e i post-impressionisti, i pit-tori della cosiddetta l’École de Paris? Se dobbiamo credere a quanto da lui stesso raccontato, in quell’occasione non li vide; non si può escludere che ne abbia comunque avuta in qualche modo percezione. In ogni caso fu un viaggio fondamentale, una full immer-sion in un’Europa culla degli even-ti che avrebbero forgiato l’arte del XX secolo, da cui tornò entusiasta; a trent’anni fece insomma un’operazio-ne culturale di aggiornamento assolu-tamente corretta e moderna. In que-sto modo dimostrò la propria curiosità intellettuale e volontà di comprende-re l’arte in un contesto internaziona-le, oltre i confini inevitabilmente più provinciali che a Bologna lo avrebbe-ro infine accolto. Attraverso questa esperienza diretta della grande arte sebbene in una dimensione ancora

esclusivamente storica, Corsi portò a compimento i suoi studi; ne trasse soprattutto il senso di un’etica, pri-ma ancora di un’estetica, in cui verità umana e libertà sono al centro della missione dell’artista, condizioni che caratterizzeranno tutto il suo percor-so, in un certo senso impedendogli, a suo discapito, di cavalcare l’onda dei primi successi. Dal 1907 la sua pittura si accende di colore e di luce e vi si coglie una pri-ma maturità stilistica che nella sostan-za egli non tradirà più. A queste date

sperimenta soluzioni omologhe a quelle di alcuni artisti d’oltralpe, forse visti sporadicamente e in modo episo-dico a qualche mostra internazionale in Italia (soprattutto le Biennali Vene-ziane di cui fu sempre appassionato visitatore fin dagli anni giovanili), con le cui esperienze potrà confrontarsi con certezza solo qualche anno più tardi. Pertanto anche le informazioni sulle opere post-impressioniste e in particolare cézanniane, di cui sembra avvertire la traccia nella scissione del-le pennellate e nella definizione sin-

Scene di vita familiare

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sione a tempera su cartone del 1912 mostra già una soluzione matura, sul piano della resa compendiaria della superficie. Più rigoroso ed essenzia-le è l’“Auto-ritratto” sempre del ’10, dove rinuncia a esuberanze colori-stiche per cogliere efficacemente la rappresentazione di sé, affidando il colore a poche pennellate intrise di sole e ombra, che sbalzano il fascino nobile del volto e l’intensa comunica-zione dello sguardo. Nell’autobiogra-fia troviamo l’anno 1910 citato per il ricordo dell’emozionante epopea dei primi voli aerei. Poiché si può ritene-re che ogni pensiero espresso, nel-l’esiguità delle pagine scritte da Cor-si, trovi una sua precisa necessità, si affaccia l’idea di una latente predispo-sizione dell’artista per un’estetica del dinamismo, connessa ai successi della tecnologia e alle suggestioni indot-te dalle brillanti imprese dei pionieri dell’aeronautica e della velocità, tutti fattori che in quello stesso momen-to erano al centro delle tematiche e delle passioni dei primi Futuristi. In effetti, egli fu attento osservatore delle esperienze del gruppo, preco-cemente presente a Bologna, anche se non vi partecipò mai; l’interesse è comprovato dal fatto che nel 1912 si reca a Parigi per visitare la mostra dei “Peintre Futuristes Italien”; nel 1914 visiterà anche la “Esposizione di Pittura Futurista” di Firenze. Poco o nulla traspare delle ricerche futuriste nelle opere di Corsi, a queste date; tutto si risolve sul piano di una sinto-nia poetica con la straordinaria avven-tura del volo e nell’entusiasmo per le conquiste della tecnologia. Si sentiva egli stesso, secondo una sua metafo-ra, come un aereo che cercasse con fatica di decollare.Nel 1912 il decollo artistico di Corsi era cosa fatta e arrivarono per lui le

prime grandi soddisfazioni, da con-dividere anche con la moglie Bianca, sposata qualche anno prima, e che spesso troviamo raffigurata nei suoi quadri.In quell’anno fu tra i 104 artisti italia-ni accettati alla X Biennale di Vene-zia, ed egli poté vedere esposto il suo “Ritratto”. La giuria era costituta dai pittori Felice Carena, Giuseppe Carozzi, Beppe Ciardi e dagli scultori Arturo Dazzi e Domenico Trentaco-ste. In quella stessa edizione una sala era dedicata al suo maestro d’Acca-demia Giacomo Grosso.Nel 1913 fu accolto all’XI Esposi-zione Internazionale di Monaco di Baviera e partecipò alla prima mostra romana della “Secessione” con l’ope-ra “Attesa”. Con queste partecipa-zioni, nell’arco di pochi mesi arrivò non solo il successo, ma si aprirono preziose occasioni di contatto con le avanguardie artistiche dell’epoca. Da parte sua, Corsi si presentò a questi, che erano veri e propri appuntamenti con la storia, con uno stile già rappre-sentativo e un crisma autorale rico-noscibile. Avviato a soluzione appare, infatti, il rapporto tra il sog-getto e la sua innovativa trasfigura-zione, che viene affidata soprattutto al colore di tipo emozionale, anti-naturalistico, piuttosto dettato da valori “espres-sionisti”, armonizzati su gamme per-sino violente, sorrette da una stesura dinamica e anti-classica. Lo slancio vitale che dà corpo alle sue opere si allinea a parallele esperienze interna-zionali, con le quali Corsi poté con-frontarsi in modo diretto soprattutto alle esposizioni della Secessione, cui partecipò con un gruppo di pittori di Bologna, variamente accomuna-ti da intenzioni anti-accademiche. Non si sottolineerà mai abbastanza l’importanza epocale delle quattro

tetica delle superfici, sono a queste date desunte solo dalle riproduzioni a stampa in bianco e nero che si pote-vano reperire in Italia.Nel 1909 Corsi partecipò alla sua prima collettiva, l’Esposizione Nazio-nale d’arte di Rimini, dove vinse la medaglia d’argento. Fu il suo primo successo, da cui trasse conforto per il futuro; nonostante la vocazione fosse ormai consolidata, lo stile sta-va ancora superando una fase deli-cata, se non addirittura critica, era il momento “delle perplessità, dei dub-bi, degli scoramenti”. La questione da risolvere era fondamentale: si trattava di decidere quale via percorrere per abbandonare le impostazioni acca-demiche e trovare altre corde del-l’espressione. Insoddisfazione e ansia di ricerca sono la conferma di quanto intensamente Corsi fosse consapevo-le di vivere un momento cruciale e, come gli altri protagonisti del seco-lo, fosse tormentato dal pensiero di trovare la propria strada. Nel 1910-12 realizzò il quadro a olio di grandi dimensioni “Il fuoco”, nell’occasione di un concorso a tema, al quale ade-rirono altri pittori bolognesi. Nella prima versione di questa iconografia, che Corsi riprenderà più volte negli anni, dimostra come gli fosse con-geniale esplorare le potenzialità di questo spunto figurativo, per avven-turarsi nelle sperimentazioni più libe-re sul colore; l’immagine che realizza è un interno visionario, dalla tonalità rossa molto coraggiosa vicina a esiti fauve, sebbene affiori nella posa della giovane donna davanti al caminetto ancora un gusto per il grazioso che presto abbandonerà. In versioni suc-cessive, il medesimo tema della figura in un interno davanti al fuoco viene realizzata con forme molto più libe-re ed astratte, in particolare la ver-

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mostre romane della Secessione: già alla prima esposero gli impressioni-sti, Degas, Manet, Renoir, Pissarro e i post-impressionisti, Cézanne, Gau-guin, Matisse, Denis, Sisley e Signac, Bonnard, Vuillard, Munch, Schiele, Rodin. Con loro gli emergenti italiani dell’epoca, Viani, Casorati, Ferrazzi, Carena, Tosi e un nutrito gruppo di giovani che venivano da Bologna, tra cui Pizzirani, Fioresi, Romagnoli, Sec-chi, Scandellari, Sezanne e altri. Con Carlo Corsi c’era soprattutto a parte-cipare al clima stimolante della Seces-sione, l’amico Alfredo Protti con il quale in questo periodo è profonda-mente legato, tanto che i due spesso lavorano insieme agli stessi motivi e soggetti. Questo sodalizio consente di osservare e confrontare in paralle-lo le opere eseguite negli anni ’12-’14 dai due pittori. Ancora per qualche tempo l’attività artistica di Corsi, sia sul piano della produzione sia su quello delle par-tecipazioni a eventi internazionali, fu feconda e non sembrò subire turba-menti e risvolti problematici a causa dell’approssimarsi degli eventi bellici. Nel 1914 fu ancora selezionato per l’XI Biennale di Venezia; nel salone centrale, quell’anno decorato dalle Galileo Chini, fu esposta la sua opera “Forse”; il suo amico Protti partecipò con tre opere.Nello stesso anno, alla seconda mostra della Secessione, insieme ai disegni di Schiele e di Klimt, trenta quadri di Matisse e tredici di Cézan-ne, un’intera sala fu dedicata ai pittori provenienti da Bologna. Corsi espo-se il suo quadro di grandi dimensioni “Tango” accanto alla piccola “Nevi-cata” di Giorgio Morandi: entrambi furono accomunati in quella occasio-ne da una certa freddezza della criti-ca, ma da una più vivace ammirazio-

ne da parte del pubblico soprattutto degli artisti.In quell’anno Corsi trascorse un lun-go periodo a Sestola, sull’Appennino modenese; questo soggiorno è ricor-dato perché si fa risalire a questo periodo uno dei momenti più inten-si della sua produzione. Appaiono quasi improvvisamente caratteristi-che estreme, forse incoraggiate dal confronto con gli espressionisti d’ol-tralpe, visti alla Secessione: i colori diventano più violenti e aggressivi, più netti e drammatici i contrasti di luci e ombre. Questa fase lo rivela più net-tamente vicino a un registro creativo di tipo europeo e lo allontana defini-tivamente dalle più calibrate armo-nie dei compagni bolognesi, dai quali comincia a essere soprannominato “il francese”.Durante il 1914 l’Europa entrò in cli-ma di guerra. Nonostante una prima dichiarazione di neutralità, per gli Ita-liani si stava avvicinando un periodo buio, che avrebbe spazzato via per sempre gli ultimi entusiasmi della Bel-le Époque. Il riflesso sulle ricerche degli artisti sarebbe stato prepoten-te e sarebbe sfociato in un crogiuolo di reazioni diverse, con esiti stilistici straordinari. Mentre altrove in terri-tori neutrali nasceva Dada, all’insegna di una provocatoria azione contro il sistema e il linguaggio stesso dell’arte, in Italia andavano a poco a poco smor-zandosi i toni edonistici e positivi che avevano caratterizzato gli anni prece-denti. Alcuni avrebbero continuato a esprimere il dinamismo in una ver-sione distruttiva e deflagrata, altri si sarebbero ripiegati su un’espressione intimista e privata per fare affiorare una realtà divenuta dolente e riflessi-va, altri ancora avrebbero allontanato l’eco della tragedia della prima guer-ra mondiale nella quiete artificiosa di

metafisiche stanze o nel rifugio del passato italico e delle sue glorie.Nel 1915 Corsi fu presente alla prima Esposizione d’arte Italiana a San Fran-cisco, dove il quadro “Forse” ottenne la medaglia d’argento e fu acquistato per una raccolta privata di Los Ange-les. Nonostante ormai incombessero su Roma sinistri venti di guerra, alla terza mostra della Secessione erano presenti tutte le più avanzate correnti artistiche europee in uno straordina-rio slancio di civiltà e di coraggio: oltre agli impressionisti, ai Nabis e ai Fauve, c’erano Munch, Pechstein, Zuloaga e Picasso. Corsi esposte quattro ope-re: “Nel bosco”, “Sosta”, “Ritorno” e “Amiche”. I suoi quadri cominciano a essere notati dai giornalisti e dai critici, e a queste date risalgono le testimonian-ze dei suoi primi commentatori. La bibliografia essenziale, trascritta auto-grafa dal maestro in vari fogli, anno-vera sempre come primo intervento di rilievo lo studio critico di Angiolo Giordani sulla rivista “Il Comune di Bologna”, che tuttavia è successivo di diversi anni. Tra i primi a citarlo, nel 1915, è invece Diego Angeli, sulla rivi-sta letteraria pascoliana Myricae, con un piccolo ritratto poetico: “…Carlo Corsi che si inebria di sole e par dipinga con esso”. Dello stesso anno è l’inter-vento di Arduino Colasanti nel cata-logo della mostra di San Francisco: “Carlo Corsi, bolognese, è un simpatico ritrattista; è uno dei campioni di quel giovanissimo gruppo di pittori bolognesi che nelle ultime esposizioni italiane ha ottenuti tanto successo. Un suo quadro fu molto ammirato nell’ultima Biennale veneziana”. Il successo è sancito anche dalle pri-me acquisizioni pubbliche: “Posto vuoto” esposto alla IV mostra della Secessione (1916-17), cui Corsi par-

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Poi ci fu una sosta per la guerra. Corsi non riceve la chiamata alle armi e può continuare, sebbene tra notevoli dif-ficoltà, a lavorare. Alcune opere ese-guite negli anni ’17-’18 rivelano come egli continui a sperimentare sul piano di una progressiva sintesi, affidata alla costruzione dell’immagine per piani a volte anche interposti, quasi a crea-

re un filtro grafico astratto come in “Dietro la tenda” del 1917. Grazie a queste strutture si sposta decisamen-te il risultato estetico che diventa più nettamente visionario e anti-realisti-co, perdono completamente impor-tanza i dettagli, il disegno viene qua-si completamente abbandonato, le figure diventano anonime presenze senza volto, prossime a una completa osmosi con lo spazio che le contiene. Durante gli anni della prima guerra mondiale, Corsi segue una strada indi-pendente, senza fughe verso antichi e misteriosi miti né rarefatte chiusure intimiste, resta immune da qualsiasi concessione al patetismo doloroso, come dall’impegno di matrice socia-le. Continua a tener viva la brace di una passione prepotente per la vita, seppur protetta dietro velari di tende e finestre socchiuse, appena rivelata da bagliori che fanno nascere colori intorpiditi, dentro stanze abitate in cui care presenze, così certe che basta qualche grumo di colore a evocarle, riempiono la casa di paziente attesa.

1919-1945Successi, incomprensionie riscoperteAlla fine della prima guerra mondiale, per Corsi si aprirono nuovamente le strade del successo; ciò è dimostra-to dalla partecipazione nei primi anni Venti a importanti mostre interna-zionali, come si rileva anche dal cur-riculum autografo già ricordato. A quell’elenco possiamo aggiungere le esposizioni annuali dell’associazione “Francesco Francia” che si tenevano a Bologna. Il crescente prestigio è scandito dal rinnovarsi della sua pre-senza a Venezia, dove per due edi-zioni consecutive risultò tra gli artisti accettati dalla commissione. Nel 1920

Prove in studio per il grande dipinto “Ritratto della sorella, 1913”.

tecipa unico pittore del gruppo di Bologna, fu acquistato dalla 3° sezio-ne del Consiglio Superiore delle Belle Arti per la Galleria d’Arte Moderna di Roma; “Il ventaglio” fu acquistato per la Raccolta Civica di Arte Moderna di Bologna; “Wilma” fu acquistato dal Ministero dell’Educazione Nazionale per la Scuola d’Arte di Bologna.

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alla XXII Biennale furono esposte le opere “Ripresa” e “Interno”; nel 1922 alla XIII Biennale partecipò con “Intermezzo”, un interno con figura femminile (probabilmente il ritratto della moglie) davanti a un tavolo ton-do con vaso di fiori, centrino di piz-zo e un bell’effetto di luce che filtra dalle persiane; questo quadro ebbe anche l’onore di essere pubblicato in catalogo. Si tratta della stessa opera successivamente individuata col titolo “La persiana”.Vengono delineati in questi anni i cri-teri di una lettura critica; nel catalogo della mostra personale per la “Prima-verile fiorentina” del 1922, Giusep-pe Lipparini scrive “… la sua pittura, dove tutto vive per virtù esclusiva del colore e dei contrasti d’ombra e di luce, deriva da un suo concetto teorico per cui l’opera d’arte, com’egli si esprime ‹deve vivere non di ciò che descrive, ma di vita propria›, deve destare nello spet-tatore l’emozione che corrisponde ad ogni momento e ad ogni fase della real-tà. Questo sforzo di essere personale lo conduce spesso a risultati soddisfacen-ti, attraverso una tecnica aristocratica che gli è particolare”. Questo brano fu certo gradito al pittore, poiché si tro-va trascritto a mano nei suoi carteggi ed evidenziato tra i primi contributi critici di rilievo. Sempre in quegli anni partecipò alla I e alla II Biennale di Roma (1921 e 1923), fu presente alla Prima Mostra ufficiale Italiana di Bue-nos Aires (1923) e nello stesso anno espose alla Quadriennale di Torino.Nel 1924 ricevette per la prima vol-ta l’invito a esporre alla XIV Biennale di Venezia senza dover sottostare al giudizio della commissione, era que-sto un grande onore e una sorta di riconoscimento ufficiale. Corsi inviò due opere, “Nello specchio” e “Set-tembre”, quest’ultima fu pubblicata in

catalogo: pur nel bianco e nero della riproduzione d’epoca, s’intuisce il suo gesto pittorico che si condensa in una ritmica tumultuosa attorno alla defi-nizione della figura femminile seduta in un parco, per nulla di maniera, rea-lizzata con vivace contrasto. Ciò che la riproduzione non può testimoniare è il magnifico tono bruno dorato del quadro e la qualità della materia densa e assolutamente libera e astratta con cui è trattata la parte paesaggistica, gli alberi e le foglie cadute. Nonostante questa fase positiva sul piano dei risultati raggiunti, dal 1926 subentra un periodo di scarsa pro-duzione, probabilmente a causa di dolorosi eventi familiari e la perdita di persone care. Alle motivazioni pri-vate, si può aggiungere l’ipotesi che egli fosse ostacolato dal verbo nove-centista, contrario a tutte le estetiche individualiste delle varie correnti del post-impressionismo. In effetti, per stile e per temperamento egli era ben lontano del segno classicista e tendenzialmente retorico che in quel periodo veniva imponendosi come vero e proprio ritorno all’ordine, un ordine che Corsi non sentiva nelle sue corde né dal punto di vista stili-stico, né per temperamento. Certo è che proprio nel 1926 fu modificato il regolamento per esporre alla Bien-nale di Venezia e per lui, almeno per il momento, si chiusero le porte di quel prestigiosissimo palcoscenico. “Dovetti così ricominciare da capo tut-ta la lunga serie delle mostre sindacali e di quelle regionali” scriverà poi ricor-dando quegli anni. Per qualche tempo la strada tornò letteralmente in salita; di rilievo proprio in quei difficili anni la sua partecipazione su invito alla Qua-driennale di Torino nel 1927, che fu anche l’occasione per tornare nella città dei suoi studi accademici.

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Il 15 novembre del 1929, dopo la sua partecipazione alla prima mostra Regionale del Sindacato fascista Emi-liano Romagnolo, appare su “Il Carli-no della sera” un lungo articolo a fir-ma di Angiolo Giordani dedicato alla sua pittura, che finalmente interrom-pe il silenzio calato su di lui. In questo articolo, poi ripubblicato sulla rivista del Comune di Bologna nel febbraio del 1930, Giordani si impegna in una vera e propria analisi critica, la prima dedicata a Corsi; il giudizio risulta in parte contraddittorio, a causa della necessità di far riferimento ai canoni dell’arte ufficiale, ma coglie nel segno quando scrive: “… egli sente la natura con violenta effusione … la stessa viru-lenza cromatica degli impasti, la rude contorsione dei contrasti di luce e d’om-bra, l’esasperata foga di certi suoi toni crudi e crudeli, tutto il processo faticoso insomma in cui si evolve la sua pittu-ra, dicono chiaramente la difficile lotta che questo nostro pittore combatte da tempo, silenziosamente e senza tregua, per costruire intera la propria fisiono-mia artistica”. Corsi fece ristampare il testo con alcune riproduzioni, sce-gliendole tra quelle della sua manie-ra più “rifinita”, e realizzò così il suo primo catalogo monografico. Que-sto segnale di attenzione gli infuse per qualche tempo nuova energia e coincise, nel 1931, con il trasloco del-lo studio alla Torre del Malvasia, nel centro storico di Bologna. Ma il 1931 fu anche funestato dalla scompar-sa della moglie, che era stata al suo fianco fin dalla gioventù. Il lutto gettò l’artista in una profonda prostrazione e in una vita disordinata. Sotto l’influs-so di questo difficile periodo, anche la pittura perde qualsiasi traccia di serenità, lo testimoniano alcune ver-sioni rabbuiate e quasi visionarie del-le “Due Torri”, dipinte dalla finestra

dello studio che domina i tetti della città.Nel corso degli anni Trenta si va sem-pre più caratterizzando il rapporto con i materiali: più frequenti sono le tecniche miste su superfici “povere” e spesso di recupero, come carte e cartoni, l’olio è utilizzato con spessori variabili, materici e grumosi alternati a zone leggere, appena sfiorate, con pennellate scisse e leggibili una a una; vengono utilizzate insieme all’olio tin-te di consistenza diversa, tempere e acquerelli per variare la densità della superficie pittorica con stesure più veloci, liquide, a volte quasi traspa-renti, che lasciano visibile la trama del supporto e della carta utilizzata.Nel 1933 partecipa con una serie di dodici tavole alla mostra sul paesag-gio di Porretta Terme, e vince il primo premio. In quest’anno, particolarmen-te interessante per la sua evoluzione stilistica, si accentua l’attenzione al tema del paesaggio, che egli realizza con violenta immediatezza, dedican-dosi in particolare ad ambienti marini, le spiagge di Riccione e di Cesenati-co, i canali e i porti con le barche, le bagnanti che la sua pittura racconta come miraggi tremolanti sotto il sole o nel controluce dell’ombrellone. Si direbbero piccoli accadimenti quo-tidiani ispirati alle giornate di una villeggiatura e di una ritrovata pace, momenti di privata significazione, in un ambiente naturale smagliante da cogliere con tratto disinvolto e sin-tetico. Tuttavia, Corsi si spinge oltre. L’esaltazione sensoriale della stagione estiva, con i violenti contrasti di luci accecanti e ombre colorate, si tra-duce in una prassi pittorica per nulla rasserenata; la perdita delle forme è quasi completa, in favore di una cir-colazione continua dell’energia tra gli elementi naturali e le presenze

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umane che sembrano corrose dalla troppa luminosità o dissolte nell’om-bra. Opere di questo ciclo saran-no considerate dalla critica in modo quasi unanime come l’evoluzione di un “intimismo” di matrice borghese che nell’accensione coloristica e nel disimpegno dei temi, illustrativi e dia-ristici, giunge a esprimere un’intensa gioia di vivere e una sensualità pro-pria del temperamento dell’artista. Allineati su questa interpretazione saranno tra gli altri Giuseppe Raimon-di, Gian Carlo Cavalli, Luigi Carluccio, Marco Valsecchi. Voce isolata intesa a sottolineare diverse tensioni e pro-blematiche, sarà quella di Francesco Arcangeli.Da un punto di vista biografico, l’idea che Carlo Corsi negli anni Trenta e Quaranta, si sia dedicato a una pit-tura di appagante felicità, non sem-bra convincente, sebbene i riflessi di un’aristocratica joie de vivre, ancora-ta ai retaggi di un post-impressioni-smo alla francese sia stato il riscontro più immediato, che lo rese compren-sibile e gradito al pubblico. Nono-stante i soggetti siano innegabilmente disimpegnati e di carattere privato, risultano sempre più evidenti tensioni deformanti, irrispettose dell’equili-brio e della stabilità della visione, che nella cancellazione del motivo narra-tivo, più che nella sua illustrazione, trasmettono un sostanziale e irrisolto dubbio, un sentire intriso d’inquie-tudini. La pittura di Corsi “esplode” quando egli riesce a dominare quegli stessi amari stati d’animo che gli cau-sano momenti di crisi e di minor atti-vità; i pretesti naturalistici e la persi-stenza della presenza femminile sono investiti da una furia espressiva che ne sconvolge le forme e si traduce in materia pittorica bruciante che non si stacca mai del tutto da un sottofon-

do struggente. È una strada impervia, senza psicologismi, né retorica, che sfrutta consapevolmente l’equivoco figurativo per sviluppare una posizio-ne critica, in cui Corsi appare a que-ste date più in sintonia con esperien-ze espressioniste europee, che coeve ricerche italiane. Negli interni domi-nano le figure, parvenze senza volto, non più identificabili, che si fondono con lo spazio intimo e gli elemen-ti dell’atelier, il divano, il paravento, la finestra che vivono di materia di uguale peso, in una semplificazione che tende all’astratto; nel loro pallido apparire, le figure pur nell’indistinto, emanano una sensazione di fisicità fascinosa attraverso tocchi di color carnacino, o rapide annotazioni di negligé o accessori alla moda, ultimi retaggi che àncorano queste figure al loro tempo e alla loro passeggera realtà umana.Alla metà degli anni Trenta lavora anche ad alcune opere di grandi dimensioni, in cui affronta composizioni comples-se che più volte rielabora; per queste realizzazioni trae ispirazione da temi letterari classici, “Lettura del rituale”, “Ritorno da Citera”. Corsi rende così il suo personale tributo alle istanze del “monumentale” e dell’”arcaismo”, le tendenze più in voga del momento. Il risultato, di notevole impatto sce-nografico, è quanto di meno retorico e dimostrativo si possa immaginare: queste grandi immagini amplificano la sensazione di essere di fronte ad una labile apparizione, le figure sono pensate in un controluce incomben-te contro un crepuscolo di bagliori, e appaiono come fantasmi quasi inde-cifrabili, grandi ombre meditative e stanche, che solcano le acque del passato. In questo periodo Corsi continua a essere presente alle mostre del Sin-

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Ministero dell’Educazione Nazionale, che aveva a capo Giuseppe Bottai. Fu un’edizione coraggiosa, con la parte-cipazione di molti artisti non allineati che non rientravano nell’arte di regi-me, come i milanesi di “Corrente”, Guttuso, Birolli, Vedova, Cassinari, Morlotti. Si può quindi comprende-re perché in quella circostanza Cor-si decise di uscire dal suo riserbo e inviare due opere, “Le due figure” del 1934 e un grande “Nudo” del 1941 (ora della Collezione Galleria d’arte Moderna di Bologna). Sorprendente fu il giudizio della giuria che gli attri-buì il premio aggiunto per i giovani pittori; Corsi aveva sessantadue anni e nessuno si era ricordato della sua non irrilevante carriera. L’eco della clamorosa svista fu ampia e riaccese d’un tratto l’interesse su di lui. Que-sto premio costituirà per il futuro una sorta di emblema della carriera di Corsi e la conferma di quanto fosse profondamente innovativo il suo stile, anche paragonato ad artisti molto più giovani.

Sempre nel 1941 espose alla colletti-va di 8 artisti nella Sala del Sindacato interprovinciale di Belle Arti di Bolo-gna; qui per la prima volta si affianca al suo lavoro un giovane scrittore e poeta, Francesco Arcangeli, che sarà di grande importanza per Corsi negli anni a venire. Nel ’42 torna al premio Bergamo; in quell’anno un altro poeta si interessa alla sua pittura, è Alfonso Gatto, che dal ’41 insegnava Lettera-tura Italiana al Liceo Artistico di Bolo-gna e scrive con lo pseudo Dionisio su riviste letterarie come “L’orecchio” e “Primato”. Nel ’43, dopo l’esposi-zione personale nel mese di febbraio alla galleria romana di Bragaglia che gli consentì di far meglio conoscere il suo lavoro nella capitale, fu invita-to alla IV Quadriennale di Roma. Ma un’altra guerra giunse a spezzare que-sto rinnovato periodo di notorietà e a sospendere per il momento ogni ulteriore progetto.

1945-1958La stagione dei collagesAlla fine del secondo conflitto mon-diale Corsi si trovò a riallacciare le fila di una carriera cui a più riprese si era-no intrecciati potenti impedimenti, le maglie di una cultura di regime e gli eventi bellici. Pur nelle difficoltà della ricostruzione, rinasceva per lui come per molti altri la speranza di un’arte indipendente da pressioni ideologi-che e politiche. Alla fine di un anno di guerra e di liberazione, l’8 dicembre 1945, mentre Bologna si riorganiz-zava attorno alle macerie dei bom-bardamenti che avevano danneggiato metà del patrimonio edilizio citta-dino, Carlo Corsi e gli amici pittori Aldo Borgonzoni, Pompilio Mandelli, Luciano Minguzzi, Lamberto Priori e Ilario Rossi fondarono la galleria d’ar-

dacato fascista dei pittori dell’Emilia Romagna, come lui stesso aveva dili-gentemente annotato per l’Archivio veneziano; ma doveva essere per lui di poca soddisfazione, a causa di quegli intendimenti giovanili, profon-damente etici e libertari, che quegli anni stavano mettendo a dura prova, in un contesto che imponeva tutt’al-tro. Gli anni Trenta furono pertanto caratterizzati da periodi di attivi-tà qualitativamente molto intensa e altri di silenzio e isolamento. Alcuni segnali sono comunque significativi che, almeno nella sua città, la stima per lui fosse immutata. Il 25 giugno del 1938 è nominato “Accademico corrispondente” della Reale Acca-demia Clementina di Bologna; già era stato nominato Accademico d’onore della Real Accademia di Belle Arti nel lontano 3 gennaio 1915. Nonostan-te ciò, si protrasse ancora per alcu-ni anni la scelta di evitare i maggiori eventi artistici. Finché nell’estate del 1941 decise di partecipare al III Pre-mio Bergamo, evento patrocinato dal

Prove di autoritratto

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te contemporanea “Cronache”. Nata presso la sede del Partito Liberale di piazza della Mercanzia, la galleria si riallacciava nel nome al settimanale di attualità da poco fondato e diretto da un giovane Enzo Biagi. La galleria di “Cronache” diede un contributo rilevante alla circolazione delle idee e delle opere in quel delicato momento storico, offrì visibilità agli artisti che avevano preso posizioni critiche nei confronti del regime, in particolare fu in contatto con il gruppo milane-se di Corrente e ospitò ciclicamente rassegne dei soci fondatori. Nel 1946 Corsi vi espose i suoi disegni con la presentazione di Ilario Rossi. Duran-te il 1947 l’artista raccolse importanti segnali di apprezzamento: fece una personale a Milano alla Galleria del-l’Annunciata, partecipò alla mostra nazionale del premio Modena, recen-sita da Francesco Arcangeli su “Rina-scita” e soprattutto fu invitato alla V Quadriennale di Roma, che era la pri-ma grande esposizione che si teneva nella capitale dalla fine della guerra.Fin dall’immediato dopoguerra, nel-l’entusiasmo di tracciare la via per un rinnovamento dell’arte italiana, gli artisti si trovarono schierati in due fazioni, per così dire, rivali: le ragio-ni dei realisti opposte a quelle degli astrattisti, sui due fronti diversi grup-pi con programmi e idealità manifeste aggregati attorno a critici militanti. Questo clima dialettico non si esau-riva nel sostenere scelte puramen-te stilistiche, ma coinvolgeva aspetti delicati, i principi stessi alla base della ricostruzione del Paese, la volontà di testimoniare i valori della Liberazio-ne e della Resistenza, la definizione del ruolo degli artisti nelle strategie culturali di uno Stato che ricomin-ciava il cammino verso i diritti civili. In questo ampio dibattito si andava-

no caratterizzando le nascenti ani-me politiche, oltre che artistiche e intellettuali del post-fascismo. Corsi, rispettato e stimato ormai anziano pittore carico d’esperienza, parteci-pava regolarmente a incontri e confe-renze, adoperandosi attiva-mente in un contesto in cui tutti avevano sete di informazioni riguardo l’arte inter-nazionale.Poi sorprese tutti, con quella che sembrava una provocazione. Ancora oggi, testimoni di quel periodo ricor-dano lo sconcerto suscitato dai suoi primi collages. In risposta alle incom-prensioni, nell’ottobre del ’48 scrisse la “Dichiarazione - Come nacquero le mie carte”, pubblicata l’anno seguen-te in occasione della personale di Modena, interamente dedicata ai suoi “papier-collés”, presentata da Dario De Tuoni. I primi collages sono fatti risalire al febbraio del 1947, durante un mese di convalescenza e forzato riposo a casa, dopo una grave polmo-nite. Spiega Corsi che in quei giorni, lontano dallo studio, impossibilitato alla pittura, passava il tempo a osser-vare le pareti di casa, ogni angolo coperto di libri (di cui era appassio-nato collezionista) e aveva notato che “alcuni ritagli colorati sporgevano tra i diversi agglomerati. Era la salvezza. Essi mi avevano detto una parola che mi par-ve potesse preludere a un discorso che quel diavolo che ogni tanto si fa sentire dentro in me pare suggerirmi”. Quelle noiose giornate si trasformarono in un laboratorio di forme e materiali e nacquero le prime “carte incolla-te”. Con questo scritto, in cui sorvo-la sulle motivazioni intellettuali, egli delinea per i suoi collages una nascita casuale e intimista, tracciando le linee di una poetica da leggere a integrazio-ne dell’opera stessa. Questi materiali di diversa origine e provenienza, vec-

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chi appunti, pezzi di carte colorate, veline, biglietti, cartoline, pagine di quotidiani, cellophan sgualciti, cartoni da imballaggio, pezzi di corda, cartine di cioccolatini, involucri stampigliati di vari prodotti, frammenti di gran-di scritte pubblicitarie … sono i suoi objets trouvés. Grazie alla suggestio-ne magica del ritrovamento fortuito (di matrice surrealista), Corsi sposta su un differente piano linguistico l’ela-borazione del tema a lui più caro, la coscienza del proprio essere e del proprio tempo, concretamente rap-presentato ora da questi vari oggetti di cui la sua biblioteca personale nella sua vastità si rivela stratificata entità organica. Pertanto, in questi assem-blaggi, egli viene sperimentando, tra i primi, un’estetica del “relitto” di tipo esistenziale analoga a quella sviluppata in correnti artistiche di poco successi-ve, che enfatizzeranno su ampia scala lo stesso principio relittuale (i Nou-veau Realistes francesi, i New Dada americani, i primi Pop Artists britan-nici). Molteplici letture hanno analiz-zato affinità e differenze tra i collages di Corsi e quelli delle Avanguardie storiche (Cubismo, Dada, Surreali-smo). Oggi nell’approfondirsi della prospettiva storica, si può formulare l’ipotesi che egli abbia avvertito in nuce il potenziale espressivo dell’ac-cumulazione resi-duale, risacca ormai inutile lasciata da banali gesti quotidia-ni, che strappata all’oblio e innalzata a feticcio della dispersione energetica del vivere, era un’intuizione precisa che, proiettata su altra scala, sareb-be diventata fondamentale in correnti artistiche internazionali nella seconda metà del secolo. La parola “diavolo” usata per individuare l’estro creativo è un’altra spia del potere quasi esote-rico del reperto ritrovato, che molto ci dice dell’alterazione emozionale da

cui queste opere scaturiscono e della loro componente irrazionale.Il 1948 fu un anno denso di avveni-menti che danno la misura di quanto la nuova identità di Carlo Corsi emer-sa a quasi settant’anni destasse anco-ra interesse e curiosità. Soprattutto tornò dopo vent’anni alla Biennale di Venezia, giunta alla sua XXIV edi-zione, togliendosi la soddisfazione di esporre in un contesto così impegna-tivo un saggio della sua nuova discussa maniera. Nella XLVII sala con Moreni, Peverelli, la Accardi, Monachesi, Lici-ni, Messina e Soldati, furono esposte tre opere di Corsi: “Natura morta” e “Due figure” entrambi collages del ’48 e la tempera “Wilma” del ’41.Sempre nel 1948, a Bologna fu orga-nizzata la “Prima mostra nazionale d’arte contemporanea” dell’Alleanza della Cultura, cui anche Corsi parte-cipò; nel catalogo è riprodotto il suo collage “Miraggio” del ’48. Questa rassegna segnò una svolta nell’ambito del dibattito già accennato; durante il suo svolgimento si accentuarono i termini della discussione e avvenne la storica frattura tra realisti e astratti-sti. Di particolare peso politico fu la posizione di Palmiro Togliatti che con lo pseudonimo Roderigo di Castiglia firmò sulla rivista “Rinascita” (guida ideologica e culturale del PCI) un arti-colo che in pratica stroncava le ricer-che astratte e richiamava gli artisti alla necessità di un linguaggio figurativo che comunicasse in modo compren-sibile i valori sociali della sinistra. Di nuovo, le aspirazioni a un’autonomia connessa all’esercizio dell’arte entra-vano in collisione con i dettami di un’ideologia che induceva gli artisti a esprimersi secondo canoni conside-rati giusti per la causa comune.Corsi restò come sempre fedele a se stesso e alla sua interpretazione del

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contesto presente. Continuò a rea-lizzare i suoi collages astratti, provo-catori, individualisti e anche a prati-care la pittura, anch’essa sempre più astratta, ormai lontana dalla narra-zione di matrice post-impressionista della prima maniera (che pure resta la più diffusa ragione dell’apprezza-mento della critica e del collezioni-smo), per sperimentare territori più liberi, gestuali, informi, che gli valsero l’attenzione e l’amicizia di Francesco Arcangeli e che un poeta come Euge-nio Montale chiamerà “scorribande nell’informale”.Si allunga a queste date la lista dei riconoscimenti e delle partecipazio-ni: nell’estate del ’49 partecipò alla mostra “Marine d’Italia” a Riccione, insieme a Guidi, De Pisis, Sassu e altri notissimi maestri; con l’opera “Mari-na” del ’48 vinse il primo premio. Nel ’50 è alla XXV Biennale di Venezia con l’opera “Fiori del cielo” un gran-de collage del ’49; lo stesso anno è al Premio Michetti di Francavilla a Mare, manifestazione cui sarà invitato nelle successive edizioni, e che vinse nel 1952.Nel 1951 riceve il primo Premio Sassari, nel 1952 il premio della Pro-vincia di Roma alla VI Quadriennale di Roma; e ancora sarà invitato alle Biennali del ’52 e del ’54. Gli storici dell’arte scrivono approfondite pagi-ne su di lui, sempre riscoprendo e ammirando i francesismi delle sue prime stagioni, e lui, mai nel tutto appagato, continua con rigore a met-tersi alla prova, allontanandosi sem-pre più da quelle finezze che ormai profumano di piccolo mondo antico. Il curriculum a queste date si fa fittis-simo di esposizioni personali in varie città italiane: nel ’48 è alla Galleria del Cavallino a Venezia, l’anno successivo alla già ricordata mostra di collages di

Modena e a Bologna allo Studio Bassi; nel ’50 il Circolo Artistico di Bologna gli dedica una grande mostra con 100 disegni e collages.Nel 1954 è invitato alla rassegna internazionale del collage al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles, con lui espongono Jean Deyrolle, Ida Karska-ya, Jeanne Coppel, John Koenig e John Wells, tutti almeno di una generazio-ne successiva alla sua, interpreti delle ricerche più attuali gestuali e astrat-te russe, francesi, inglesi, americane. In quell’occasione tornò per qualche tempo a Parigi, dove finalmente rivi-de le opere che avevano inciso sulla sua prima giovinezza “quelli che ave-vo amato negli anni andati, gli impres-sionisti” … scriverà qualche tempo dopo nell’Autobiografia; un viaggio di riflessione sul passato e sulla sto-ria più recente, poiché aggiunge “con Matisse, Picasso e Klee si apre, per chi ne sappia intendere i messaggi, un nuo-vo mondo alla pittura”. Tre riferimenti illuminanti, tre giganti dell’arte della sua stessa generazione, anzi Matisse più vecchio di dieci anni (muore pro-prio nel ’54), Klee era già morto nel ’40; comunque artisti la cui conoscen-za in quegli anni era ancora di nicchia e non mondiale come oggi. Tre strade diverse che rimettono in gioco le defi-nizioni stesse dello spazio pittorico e del suo divenire, attraverso il loro esempio egli può meditare sull’epifa-nia dell’universale attraverso l’unicità del sé e sulla conoscenza attraverso la natura e i suoi riflessi mentali. Nel-la consapevolezza della necessità di pensare ancora una nuova stagione, si svolgerà l’opera nell’ultimo decennio del nostro artista.Alla metà degli anni Cinquanta, al suo ritorno in Italia dopo il soggior-no parigino, Corsi fu protagonista di importanti personali segno di una

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conclamata notorietà; aveva settan-tasei anni e trovava ormai ampia ed ammirata accoglienza in spazi pubblici e privati. Fu premiato alla Mostra del Fiorino a Firenze nel ’55; nello stesso anno Giuseppe Raimondi lo presen-tò alla galleria Spotorno di Milano, poi alla Strozzina di Firenze con una vasta antologica; al Circolo di Cultura a Bologna lo presentò Rodolfo Palluc-chini; nel ’58 Marco Valsecchi scrisse il testo della sua prima monografia; a Bologna nel ’59 la galleria La Loggia organizzò una rassegna di opere pit-toriche e collages.

1958-1966L’ultima Biennale, il viatico arcan-geliano Solo i grandi artisti, nella loro longevi-tà, sanno sfuggire alla sterile reitera-zione di formule già acquisite e giun-gere a una evoluzione estrema della loro identità artistica. A dimostra-zione che l’arte non è una operazio-ne logica e lineare, ma procede per slanci, ritorni, accelerazioni, momenti inevitabilmente già lontani possono essere ripensati a un livello diverso di elaborazione. Carlo Corsi ebbe tutto il tempo, la lucidità e la preparazio-ne culturale, e non ultima la curiosità per ripassare al vaglio dell’esperienza il proprio lavoro, in una sorta di rivi-sitazione, togliendo ciò che non era essenziale e scavando al cuore di quei primi e mai dimenticati “intendimen-ti”. Giunse così, superate ormai le incomprensioni dei contemporanei, immune da sentimentalismi e malin-conie, a ottenere la quintessenza di un movimento energetico che dalle sue mani fluì infine libero.Uno degli onori più alti arrivò nel 1958 e glielo riservò proprio la Biennale di Venezia, la stessa istituzione che

Vari momenti dell’inaugurazione della Mostra Antologica alla Strozzina di Firenze nel 1955.

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era stata precocemente aperta alla sua opera, ma che in anni avversi gli aveva riservato aprioristici rifiuti. La XXIX Biennale gli dedicò una mostra personale con diciannove opere e il testo di presentazione di France-sco Arcangeli. Quella XXIV sala del Padiglione Italia fu il compendio e il coronamento della carriera di Cor-si; vi erano esposte opere giovanili come “Fuoco” del ‘12 e “Donna che si veste” del ’15, tempere degli anni Trenta e Quaranta con figure e pae-saggi marini, ma soprattutto c’erano opere recenti a testimoniare le nuove ricerche, i collages “Venezia” del ’47, “Nebulosa” del ’48, e “Spazialità”, “Composizione”, “Interno nello stu-dio”, “Turbine”, “Vortice”, “Lettura del rituale” che erano tutte tempere o guazzi su carta della sua maniera più astratta. Sul catalogo fu pubblicata l’opera “Due figure”, una tempera su carta del ’55.Ma questa fu anche la sua ultima Bien-nale.Tra la fine degli anni Cinquanta e negli anni Sessanta ancora gallerie presti-giosissime sia in Italia che all’estero, organizzano rassegne a cui Corsi è invitato; da sottolineare le sue par-tecipazioni su invito nel 1956 alla Mostra internazionale di collages alla Galerie Frien Rose di New York, e nel 1956-57 alla Exposition Interna-tional Peinture Abstraite alla Galerie Raymond Creuze di Parigi. In Italia è il momento delle monografiche in cui viene celebrato come uno dei mag-giori artisti italiani, nel ’60 la galleria Gianferrari a Milano gli dedica una vasta personale, con la presentazio-ne di Rodolfo Pallucchini; nel ’61 la galleria d’arte moderna La Ruota di Parma, con Roberto Tassi; nel ’62 la Narciso a Torino con Luigi Carluccio. Alla mostra del Fiorino del ’62 riceve

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il primo premio e la medaglia d’oro; quello stesso anno riceve anche il primo premio alla Quadriennale di Roma.E finalmente il 14 giugno1964 s’inau-gura a Bologna, la sua città d’elezione, l’antologica più vasta mai realizzata per Corsi, 291 opere di cui una cin-quantina dell’ultimo periodo, curato-re Francesco Arcangeli. Durante la fase organizzativa, per la prima volta si vaglia sistematicamente tutta la sua opera, si scoprono pezzi inediti e, poiché raramente l’artista appone la data, è lui stesso a ricostruire la cro-nologia dei vari periodi.Il testo arcangeliano rispecchia la sen-sibilità del critico-poeta e le sue pre-dilezioni estetiche rappresentate dalla corrente da lui teorizzata dell’Ultimo Naturalismo, cui Carlo Corsi resta totalmente estraneo. Arcangeli tende a spostare i parametri di valore ver-so l’evoluzione più matura dell’amico pittore, in controtendenza con la let-tura più diffusa e ormai consolidata, e orienta diversamente i confronti a livello di grande arte europea. Riper-correndo gli anni giovanili, sfiora la questione della compresenza in città di Giorgio Morandi e Carlo Corsi, che egli dice accomunati soltanto da una parallela doppia immunità: entram-bi sono totalmente privi di retorica e di impazienza d’avanguardia. Già nella presentazione per la Biennale, il semi-oblio, come lo aveva definito, in cui incorre Corsi, e che portò alla svista del premio Bergamo, era stato ricondotto alla particolare situazione bolognese, che “consentì quasi a con-traggenio al lento crescere della fama di Morandi, non favorì certo il nome di Corsi”. Sembra in queste parole di sentire l’eco delle parole che Corsi era solito ripetere, “Bologna non è solo Morandi…”.

Lo scandaglio lucidissimo di Arcange-li mira a cogliere l’emergere di modi astrattizzanti, dapprima prudenti nel-le opere della prima maturità, poi già dalla metà degli anni Venti sempre più consapevoli ed evidenti. È come un filo rosso che il critico mette in risal-to decennio dopo decennio, su cui imposta coraggiosi confronti, quadro dopo quadro, con artisti come Nolde, Munch, Rouault, Soutine, Kokoschka, ponendo Corsi all’interno di un ampio orizzonte espressionista internazio-nale. Alcune frasi sono memorabili e suggeriscono un vigoroso corretti-vo rispetto alle più francesizzanti ed edulcorate interpretazioni, “in certi bozzetti o studi di figura egli riprende, sulla piccola tela, il sistema di diffusio-ne diretta della macchia cromatica; ma non più diafana ora, anzi intensamente rappresa come un grumo cromatico di materia informale”. E ancora… “Corsi non riconosce ritorni all’ordine; egli pra-tica, se mai, ritorni alla vita; ma la vita non è mai, mai più quella di prima. Essa sembra, adesso, cosa amara,…”. Infine legge le stagioni più mature, i collages “di immaginosa concezione e di fanta-stici richiami” in chiave tonale e cro-matica, e le opere più recenti, in cui riscontra l’esperienza pittorica di un flusso vitale di intensità giovanilmente miracolosa, sempre da ricondurre ad un concetto poetico di “unità cosmi-ca”, secondo una definizione dello stesso Corsi.Nel 1965, in occasione del VII cen-tenario della nascita di Dante, viene pubblicata dall’editore milanese Aldo Martello una lussuosa edizione del-la “Divina Commedia” illustrata dai più importanti artisti contemporanei. Carlo Corsi viene invitato a parteci-pare a questa realizzazione dall’ami-co Fortunato Bellonzi; per questa pregiata edizione, realizzata in 500 Il Maestro ha partecipato al Premio Fiorino nei seguenti anni:

1955 (premiato), 1956, 1959, 1961, 1962 (premiato)

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esemplari numerati, Corsi esegue due

illustrazioni, “I Lussuriosi” e “Arnaldo

Daniello”, le cui tavole originali furono

acquistate dallo Stato Italiano, tramite

il Ministero della Pubblica Istruzione

e l’Ente Autonomo della Quadrienna-

le di Roma.

Molti a Bologna ricordano il pittore

con un nomignolo affettuoso, Carlet-

to; sono tutti concordi nel descriver-

lo sempre informato sui fatti artistici

e instancabile viaggiatore col mezzo

che aveva sempre prediletto, il treno;

uomo di fine cultura, acuto e gioviale

nel dialogo, aperto al confronto con

i giovani, parsimonioso ma sempre

pronto a offrire una cena agli ami-

ci, sensibile al fascino femminile, alla

musica e al canto, amante delle sera-

te conviviali con i colleghi pittori e gli

amici scrittori e critici, gran conversa-

tore fino a tarda notte per rimandare

il momento dei saluti e del ritorno in

una casa ormai vuota di affetti familia-

ri. Tutti coloro che lo frequentavano

ricordano di aver visto con grande

ammirazione nella sua abitazione di

via Carducci la straordinaria collezio-

ne di libri d’arte di cui era gelosissimo,

che lasciava consultare solo eccezio-

nalmente agli amici più intimi. Aveva

iniziato quella raccolta da giovane,

grazie ad un’agiatezza economica

che gli aveva consentito di acquistare

volumi quando pochi pittori poteva-

no permetterselo, aveva tutti i catalo-

ghi delle mostre visitate e anche libri

rari; la sua è stata considerata a lun-

go la più vasta biblioteca specialistica

della città, con edizioni introvabili e

monografie di fine ottocento, sul-

Carlo Corsi pensieroso per la mostra personale alla Biennale del 1958. Sopra assieme al Gallerista Cardazzo all’imbarcadero il giorno dell’inaugurazione.

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l’arte francese e sulle manifestazioni

italiane e internazionali, libri raccolti

da inizio secolo fino agli ultimi giorni

della sua vita. Dopo la sua morte, la

sorella Elisa donò questo ricco patri-

monio librario con un lascito all’Acca-

demia Clementina e all’Accademia di

Belle Arti di Bologna, per onorare la

volontà più volte espressa dal pittore;

ancora più di dieci anni dopo, non era

finita l’intera catalogazione.

Negli ultimi tempi, nonostante il pro-

gredire di problemi alla vista, Corsi

dipingeva ancora, su tutto ciò che gli

capitava, carte da riutilizzare, giornali,

lettere; le sue ultime invenzioni nella

tempera fluida vivono di una strug-

gente luminescenza e della sintesi che

talvolta tocca le prove estreme dei

grandi vecchi, pensiamo a Tiziano, a

Monet. Ancora tratteggia con poche

pennellate figure sorte dalla materia

ormai vaghissima del sogno, ultimi

segnali colti dal quel “radar vitale” che

era la sua percezione del mondo, che

aveva sempre captato per vibrazioni

e forze invisibili, mentali e universali.

Dissolti ormai gli argini visivi e la net-

tezza delle cose, restavano da espri-

mere gli elementi primari, l’aria e

l’acqua, la luce e l’ombra, la notte e il

colore: le opere hanno titoli significa-

tivi in questo senso, “Turbine”, “Tun-

nel”, “Subacqueo”, “In volo”, “Acro-

bati”, “Notturno” e infine una delle

ultime carte ”Luci gialle e azzurre”.

Nell’estate del 1966 Corsi si fece

accompagnare dal suo medico anco-

ra una volta a Venezia, per vedere la

Biennale; ne è testimone Marco Val-

secchi che gli fece visita qualche gior-

no prima e con lui ebbe a ragionare

come al solito delle novità di quel-

l’edizione, e lo trovò determinato ad

andarci, nonostante lo stato di salute

precario. Possiamo solo immaginare

quell’ultima volta del maestro nella

città lagunare, luogo dei suoi primi

lontani successi giovanili e di un pieno

e maturo riconoscimento…

Quell’anno c’era la retrospettiva

dedicata a Morandi (a due anni dalla

morte), e quella di Boccioni… e come

sempre i giovani, c’erano ancora i Pop

americani e aria di cambiamenti velo-

ci che lui non avrebbe visto, la fine del

boom economico e le contestazioni,

gli azzeramenti e i ritorni alla pittura.

Qualche giorno dopo, il 27 ago-

sto 1966 Carlo Corsi morì all’età di

ottantasette anni.

Il 27 gennaio 1968 all’Accademia Cle-

mentina si tenne la sua commemora-

zione, il discorso ufficiale lo pronun-

ciò Marco Valsecchi di fronte a un

comitato d’eccellenza, Roberto Lon-

ghi, Giuseppe Raimondi, Francesco

Arcangeli, Giulio Carlo Argan, Palma

Bucarelli, Gian Carlo Cavalli, Gian

Alberto Dell’Acqua, Franco Russoli,

Carlo Ludovico Ragghianti, Luciano

Anceschi, Renato Barilli, Luigi Car-

luccio, Andrea Emiliani, e tanti amici

pittori.

… la sua “giovane” arte sarà per le nuo-

ve generazioni esempio di dedizione al

lavoro, di geniale intuizione dell’uomo

e del suo spazio vitale, di percezione

in chiave pittorica e poetica delle Sue

impronte ferme o dinamiche, per segni,

per macchie o per “collage”… disse in

quella occasione Ilario Rossi.

Nel ’68 Eugenio Montale in occasione

di una mostra postuma alla Gianfer-

rari, scrisse “Il diritto alla libertà come

un faticoso acquisto e non come una

presunzione iniziale, ecco il maggior

insegnamento di Carlo Corsi. Speriamo

(ma è molto dubbio) che qualcuno lo

raccolga”.

L’elenco delle mostre a lui dedicate

negli anni successivi indica che quello

strano destino che aveva riservato a

Carlo Corsi un’altalenante notorie-

tà, in parte proseguì; artista amato

e ricordato con importanti rassegne

subito dopo la sua scomparsa (di parti-

colare rilievo l’antologica romana del-

l’Ente Premi in Palazzo Barberini del

1969-70) subì ancora ingiuste trascu-

ratezze e solo sporadiche attenzioni

in epoche di generale rifiuto nei con-

fronti delle esperienze della pittura in

genere; ciò a causa di un non com-

pleto riconoscimento della moder-

nità del suo lavoro, che nella acce-

lerazione dell’ultimo periodo aveva

invece una potente carica innovativa,

anche extra-pittorica, che si apriva

con lungimiranti intuizioni al futuro.

Agli anni Ottanta risale l’impegno

ormai trentennale della Galleria 56 di

Bologna che ha salvaguardato molte

opere di Carlo Corsi che rischiavano

la dispersione e promosso una cam-

pagna di studi e approfondimenti in

collaborazione con critici di primo

piano, insieme alla sistematica raccol-

ta di documentazione sul maestro e

alla paziente opera di catalogazione,

di cui questo volume è il risultato.

Oggi, alla luce di una più obiettiva ana-

lisi, la figura storica del maestro Carlo

Corsi è ampiamente riconosciuta tra

le più rappresentative dell’arte italia-

na del XX secolo.