Biografia Apocrifa Numero Zero_Paride Leporace ( Acura Di Nerina Garofalo)
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ParideLeporace
Biografiaapocrifanumerozero
(raccoltadaNerinaGarofaloaVicoPadolisipercom’ènellamemoria,
ascoltandoPucciniinvinile)
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Paride Leporace, redattore capo de il Quotidiano della Calabria, fondatore di Calabria
Ora e oggi direttore responsabile de il Quotidiano della Basilicata, pubblica per la
Newton Compton, nel gennaio 2009, il suo primo libro, Toghe rosso sangue - La vita e lamorte dei magistrati italiani assassinati nel nome della giustizia. Il libro, che è unostraordinario documento della passione narrativa e giornalistica del direttore calabrese, è
ora in pochi mesi alla sua terza edizione, rappresenta un caso editoriale, e testimonia,insieme all'attività giornalistica, di una passione civile densa e puntuale. La biografia
personale e professionale di Paride Leporace, intrecciata ai luoghi dell'impegno e della passione dolente del sud del sud, è una testimonianza di come l'amore per le cose, le
persone e i luoghi, in sinergia con l'impegno e la dedizione al proprio progetto professionale e di vita, possa sovvertire il sentimento di impossibilità che spesso abita il
soleggiato confine meridionale di questa nostra nazione.
Quarantacinque anni, due figli, una compagna che definisce sua "maestra",un'adolescenza e una prima adultità passate nei luoghi della nascita, in quella Cosenza
che porta in sé le contraddizioni della grande intelligenza culturale accostata al torpore dicerta provincia di sole apparenze, Paride Leporace accetta qui di raccontarsi, a me che
vengo dalla stessa radice, nella prospettiva della sua missione di "narratore sociale". Loringraziamo e lo ascoltiamo narrare…
Carissimo Paride, voglio partire da una sorta di ossimoro contenuto nel sottotitolo
del tuo libro: "magistrati italiani, assassinati nel nome della giustizia". La frase
sembra cogliere, accanto alla necessaria denuncia del silenzio di una memoria
sociale spesso indolente, una tensione narrativa specifica, che allude al desiderio di
scoprire, nelle pieghe delle storie riportate alla vita dal tuo libro, anche le ragioni(sia pur controverse e violente) dei soggetti portatori di morte. Raccontaci di questo,
e di come è nato un progetto letterario che usa la chiave della biografia sociale per
raccontare le persone e le cose.
A proposito dell'ossimoro. E' stata un'idea di Armati, il mio editor. Cui va soprattutto ilmerito di avermi modificato il titolo da me proposto che era "Cadaveri eccellenti"
mutuato dal film di Francesco Rosi. Toghe rosso sangue è molto più attuale per colpirel'immaginario civile del 2009. Quando ho visto la copertina ho espresso perplessità sul
sottotitolo. Devo dire confermate mesi dopo alla presentazione di Reggio Calabria dove il parlamentare Luigi De Sena, autorevoli esponenti delle forze dell'ordine, intellettuali e
amici non ne hanno condiviso il senso e la sintassi. La tua esegesi mi conforta. E ciricorda che le parole non sono mai neutre. Toghe rosso sangue nasce per caso. Leggendo
sulla scrivania di una redazione alla vigilia di un anniversario di Capaci il manifestodell¹Associazione nazionale magistrati che ricorda i suoi caduti sullo sfondo di un fascio
di fiori tricolori. Allenavo la mia mente a ricordare quei nomi e quei fatti lontani. Allacollega al mio fianco chiedo di botto: "Tranne Falcone e Borsellino quanti nomi conosci
di questo elenco? " Lei legge e risponde: "Nessuno". In quel nessuno ho avutol¹intuizione di raccontare una storia collettiva spezzata e dispersa. Voler comprendere e
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pedinare uomini che amministrando Giustizia hanno perso la vita. In quel manifestoall¹epoca mancava la prima vittima. Agostino Pianta. Quando ho scoperto come è stato
ucciso e per quale movente il morbo del racconto non mi ha mai abbandonato fino allafine.
Un libro come Toghe rosso sangue, in un momento in cui la magistratura e lagiustizia vivono in Italia un processo di tentata delegittimazione, ha intrinseco un
compito che è anche politico, come lo delineeresti?
Io non ho voluto fare un'esaltazione della magistratura come corporazione. I caduti fanno
parte di tipologie segnanti in larga parte della borghesia italiana alle prese con il propriodovere. Mi interessava capire perché così tanti in un paese dell'Europa occidentale. E la
risposta sta nelle continue emergenze italiane. Il terrorismo rosso e nero, la criminalità, ilmalaffare e i poteri deviati. Oggi sono tantissimi i giovani che vogliono sapere quello che
non hanno vissuto. E molti vogliono rielaborare la Storia che hanno vissuto in formaideologica e militante. Con consapevolezza ho fatto Memoria. Sostiene Sepulveda che
ricordare significa resistere. Coniugalo al racconto e trovi una delle poche certezze cheabbiamo noi intellettuali in questo momento storico.
Quanto si radica nella tua origine meridionale, e nella tua storia di combattente fin
da giovane sul fronte dell'impegno civile, la scelta di scrivere, per la prima volta
nella forma del "libro", la storia taciuta di queste 26 morti non sufficientemente
narrate? Cosa differenzia un "progetto-libro" dalla narrazione giornalistica alla
quale ti sei sempre dedicato?
Penso di aver già risposto alla tua prima domanda. Ti aggiungo che io ho avuto la fortuna
di militare a Cosenza, libera città del Sud dotata di anticorpi democratici che hanno
impedito alla mia parte politica di finire per anni in un carcere oppure di venire uccisi in un conflitto a fuoco. La nostrainsorgenza non ha raggiunto livelli drammatici per queste condizioni. Per la struttura del
progetto libro invece mi sono trovato a mio agio nella tecnica di raccontare ogni giudicesingolarmente. Sono da tempo un ritrattista. Una delle tecniche migliori del giornalismo
italiano contemporaneo è quello di raccontare persone. Sostanzialmente io ho raccolto 27articoli giornalistici in forma di libro. E' stato quasi naturale per me. Ovviamente la forma
libro per me era nuova. Ho avuto difficoltà nella revisione dei testi. Nell'uso dei tempi. Nell'unicità dell'opera. Il risultato mi sembra buono a leggere ed ascoltare giudizi di
critica e di "pubblico". Il libro mi è servito a ricomporre la mia comunità di lettori. Moltida ritrovare e trovarne di nuovi in parti d'Italia dove le mie parole non erano mai state
lette.
Quando mesi or sono è arrivata da un'amica comune, prima che dalla rete e dalla
stampa, la segnalazione dell'uscita del tuo libro, ho provato una gioia profonda nel
ritrovare, nell'amico carissimo degli anni del liceo, una passione per la
"strutturazione biografica" come forma di "racconto engagé" che sento molto
vicina alle scelte da me fatte sul versante dell'azione nelle organizzazioni del lavoro.
Mi sono sentita, a gennaio, come richiamata a pensare a una radice comune che
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porta oggi, a distanza di più di vent'anni, a confermare l'assunzione di una
prospettiva narrativa biografica come chiave di intervento culturale e politico-
sociale. Quanto ha contatto, per render Toghe Rosso Sangue il bel libro pulsante che
è, l'attenzione al dato soggettivo, alla storia individuale, ai caratteri, ai luoghi,
accostato alla ricostruzione giornalistica, e alla cura per la cronaca?
Quando è nato il progetto del libro ne parlavo molto con la mia amica e collega GiulianaScura che ha sempre creduto nel progetto. E spesso condivideva con me l'ansia di come
raccontare Falcone e Borsellino. Per Capaci sono partito da dove mi trovavo io in quelmomento. Perché tutti si ricordano dove erano quando è avvenuta la strage. Ho aggiunto
dove era mia moglie e anche Francesco Febbraio un mio caro compagno che simboleggiamolte questioni della "strutturazione biografica". Per il resto sono stato molto oggettivo.
Anche quando sono andato sui luoghi degli omicidi. Certi incontri mi hanno coinvoltomolto. Soprattutto a Palermo. Quando sono stato nel "Palazzo dei veleni" ed ho
conosciuto Giovanni Paparcuri sopravvissuto alla strage di via Chinnici e autista personale di Falcone e Caponnetto. Anche nello studio del figlio del giudice Costa,
Michele, ho compreso come sia difficile raccontare la mafia a Palermo. Ho moltoimmaginato momenti e situazioni di quelle persone che mi hanno raccontato. Cosa prova
per esempio il figlio del giudice Pianta ogni mattina ad andare a lavorare nel palazzo diBrescia dove fu ucciso il padre vedendo il busto che lo ricorda. Ho provato anche a dar
conto dei segni, pochi, che segnalano con una targa, con la toponomastica, quel dolore equel ricordo. Amo i dettagli. Penso di averne disseminati molti. Servono molto di più di
un commento in una storia di questo tipo.
Quanto pensi che valorizzi la memoria collettiva, questa capacità di "prender in
carico" la storia, che il narratore mette accanto alla sapienza di ricostruzione e
analisi, del giornalista Paride Leporace?
Chi scrive ha un narcisismo e una spropositata ipertrofia dell’Io. L’autore ritiene che tuttoil mondo lo debba leggere. Sono rimasto deluso dal disinteresse di comunità tematiche
che pensavo recepissero con più attenzione questo libro. Le associazioni dei magistrati,certa antimafia ufficiale, alcune fondazioni e associazioni che portano il nome dei caduti.
Ho trovato un mondo nuovo invece molto attento e composto da esperienze diversificateche coltiva il vizio della memoria. Io mi sento molto gratificato di aver contribuito nel
dare alla Storia del mio Paese una possibilità di conoscenza. Il libro rimane. Anzicontinua. Nei video e nelle mostre allestite da studenti e associazioni, nel dibattito in rete,
tra chi ha raccolto le storie e le tiene vive nel suo pensiero e a volte persino nel suo agire.
Aiutami a scrivere una biografia di Paride Leporace per parole chiave, che ci aiuti acomprendere, come nel Sud delle impossibilità, un giovane uomo di 45 anni riesca
oggi a esprimere successo personale e professionale, e a dar vita a questa esperienza
editoriale. Scrivo per te le parole della mia memoria, e ti chiedo di raccontarle per
noi in brainstorming emozionale. Cosenza, il centro storico, gli anni '80, la piazza,
una madre sola, nel nome del padre, Radio Ciroma, ultrà allo stadio, Padre Fedele,
Arcavacata, Paride e l'amore per il cinema, il Quotidiano della Calabria, Calabria
Ora. La paternità, la direzione del Quotidiano della Basilicata, la vita altrove. Il
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look di una vita, la fantasia e l'amore per le cose e le persone.
Potremmo scrivere un libro. Innanzitutto il giovane uomo di anni ne ha 47 con qualchecapello grigio. "Cusenza è nu chiuritu". Una passione incredibile. Per molti anni per me è
stato l'equivalente di quello che rappresenta New York per Woody Allen. Conosco
uomini, pietre, fatti, leggende ed episodi fin dall¹inizio del secolo scorso avendo avuto un padre nato nel 1907. Una città del Sud che da sempre libera ha avuto una capacità di
recepire in largo anticipo le tendenze culturali con spiccato riferimento verso quelle più
eretiche. Spesso governata da uomini titanici che ricordano i despota illuminati dellegrandi Signorie comunali, tanto per polemizzare con il sociologo americano Putnam.
Cosenza è città di movimenti e scosse civili impensabili. Che causano anche gravi elunghe crisi. Per me il centro storico è "Cusenza vecchia" contrapposta a quella nuova.
Chi ha vissuto nelle antiche case negli anni Settanta ha forgiato altri stili di vita. Tutto èstato rimescolato dalla grande rinascita degli anni Novanta dove quelle case non erano
più il freddo dell'inverno, i bassi, la vecchia vita comunitaria dove convivevano malavita,miseria e nobiltà, lotta di classe e sottoproletariato inurbato dalla provincia. Un teatro
all'aperto che inglobava anche il teatro ufficiale della città. Nella mia abitazione di ViaPadolisi 9 è transitata molta gioventù cosentina. Tanti ci hanno vissuto. E' stata una casa
aperta. Sede di feste memorabili e di presenze indimenticabili. Qualche nome: i Cccp, iFreak Brothers, gli attori del Living, leader di via dei Volsci come Vincenzo Miliucci,
persone senza fissa dimora, ragazzi scappati da casa, studenti che marinavano la scuola.E' ancora la mia residenza ufficiale. Erano gli anni Ottanta. A Cosenza andava in scena
il decennio nero della malapolitica. Grazie a Tondelli ho rielaborato come siano statidegli anni estremamente divertenti in una sorta di party continuo di provinciali che
viaggiavano molto modernizzando molto il proprio luogo. Ho raccontato le mie piazze inarticoli, molti condivisi dalle mie diverse comunità dell¹epoca. Palazzo degli uffici e
piazza Kennedy. Luoghi dove trascorrevo molto tempo. Vissuti da gruppi sociali
diversissimi che si mescolavano. Anche qui boss mafiosi e nipoti di magistrati, operai e borghesi, matti e sani. Vita comunitaria intensa e cool. In questi luoghi liberati venivasenza problemi anche mamma. Mia madre è stata fondamentale nel mio percorso di vita.
Una straordinaria autodidatta proletaria. Dotata di un senso naturale nell'affrontare la vitacome società dello spettacolo in una forma eversiva per i suoi tempi. Ha scelto di amare
un uomo sposato, con una vita alle spalle, più grande di lei di 24 anni. Andava quasi ognigiorno al cinema, spesso da sola, in anni dove una donna che fumava per strada a
Cosenza veniva considerata una poco di buono. Il suo mondo e i suoi parenti lachiamavano "ciota" ma lei era capace di andare sola a Roma per bussare a casa di Silvana
Mangano e prendersi un caffè nel suo salotto. Era a piazza San Pietro quando PapaGiovanni disse "Portate una carezza ai vostri bambini". Una delle poche donne con un
figlio di quattro anni per mano presente in una tribuna del San Vito, nel 1967, quando la Nazionale giocò a Cosenza. Perché sentiva la portata dell'avvenimento. La sua grande
generosità è ancora viva in chi l'ha conosciuta. Un giorno decise che non avrebbe mai piùcucinato. Senza dirci niente da allora abbiamo sempre mangiato al ristorante o in altre
case. Moderna senza saperlo. La sua morte a cinquant¹anni è stata una perdita dolorosa, Adifferenza di quella di mio padre elaborata da me con un razionalismo forse mostruoso.
Non ho versato neanche una lacrima. In mezzo a questo otto anni di collegio. Noncapisco ancora perché mi ci mandarono. Ma sicuramente cambiarono di molto un già
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ricco romanzo di formazione. Il Convitto nazionale mi ha dato un profondo senso dilibertà. Un aspetto che ho spesso raccontato dai microfoni di Ciroma. Radio Ciroma è
stata un dono della vita. Dobbiamo a Franco Piperno questo regalo. Tornato dall'esilio per la sua innata voglia di incontrare donne e uomini ha permesso questa rigogliosa
avventura. All'inizio sembravamo i reduci che si ritrovano dopo una guerra come in un
fumetto di Giardino. Lo colpì che c'erano dei tifosi di calcio. Un'altra mescolanzacosentina. Musicisti, poeti, appassionati di astronomia. Iniziammo parlando di Sudmangiando e bevendo. Un cenacolo strampalato. Acquistammo la radio non molto
convinti. Suona ancora e oggi è forse alla quinta generazione. Non ha mai fatto pubblicitàcommerciale. Ha deciso le sorti della città candidandomi a sindaco, circostanza che ha
permesso l'elezione di Giacomo Mancini che assorbirà molte delle idee del nostro programma e che è ancora un testo utile per capire pensiero meridiano e potenze delle
città meridionali. Radio Ciroma è stato uno dei primi luoghi di sinistra in Italia dove deifascisti hanno parlato facendoci guadagnare una patente di rinnegati che oggi nessuno
comprenderebbe. Sono orgoglioso di esserne un fondatore al pari di aver costituito gliUltrà Cosenza. Quando sono arrivato a Potenza il parrucchiere di mia moglie ha detto:
"Devo conoscere suo marito, ha fondato i mitici Nuclei sconvolti" L'esperienza degliultrà ha modificato la vita della città facendone una componente essenziale di Cosenza
determinando una stile di vita diverso dell'essere tifoso organizzato in Italia. Unacomunità separata e ribelle che frullava componenti diversissime per un cocktail molto
originale. Pensa che la migliore generazione giornalistica cosentina proviene dalla curva.Un gruppo di tifosi di serie C capace di organizzare il primo raduno italiano degli ultrà di
calcio dopo la strage di Bruxelles. Ne parlarono tutti i giornali nazionali mandando fior diinviati come Leonardo Cohen. Anche perché insieme a noi c'era Padre Fedele. Per me è
padre nel vero senso della parola. Sono stato con lui due volte in Africa rischiando la vita,è stato l'unico che mi ha incontrato in carcere quando mi arrestarono per aver difeso un
giovane dal pestaggio di un vigile, ha celebrato il funerale di mamma, ha battezzato mio
figlio, mi ha fatto desistere da un tentativo di suicidio. Con lui abbiamo fondato la mensadei poveri. Per anni in città nessuno ha sofferto la fame e dormito sotto le stelle. La suavicenda giudiziaria mi rende triste. Io non credo che possa aver violentato una suora. Ha
un linguaggio da carrettiere e non è estraneo ai piaceri della carne. Penso che ha datomolto fastidio e la capacità di attrarre consenso non era gradita a molti. Spesso mi sento
un vigliacco nell'essergli poco vicino in momenti così difficili per lui. C'era anche ilgiorno della mia laurea. Un traguardo di vita vissuto in modo collettivo dai miei amici.
Quel titolo a pieni voti e lode sembrava appartenesse a tutti. Mentre festeggiavamo allagrande sempre a via Padolisi è caduto il Muro di Berlino. Sono fiero di essere un laureato
di Arcavacata. Come tutti i giovani dopo il liceo volevo fuggire dalla mia cità. Non potevo andare a Bologna al Dams per motivi economici. Stavo andando lo stesso, mia
madre mi chiese di restare. Per fortuna l'ho ascoltata. Ho potuto studiare stando a strettocontatto con docenti come Giulio Ferroni, Maurizio Grande, Dante Della Terza, Orio
Caldiron. Oltre i nomi noti anche gli altri docenti mi hanno dato delle opportunità dicrescita straordinarie. Le lezioni con pochi studenti, al massimo cinquanta, dava
l¹opportunità di farti notare. In quegli anni mi è nata la passione per lo studio. Unaformazione culturale robusta fatta di testi fondamentali. E’ stato in quel periodo che da
spettatore onnivoro di cinema (grazie a mia madre) sono diventato cinefilo. Ho fattoanche delle scuole di cinema a Roma e a Bassano del Grappa con Ermanno Olmi. Non ho
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creduto molto in me stesso come sceneggiatore e regista. Ma Barzini, quello che hascritto 'Dillinger è morto' per Ferreri mi è servito per apprendere bene il mestiere di
scrivere che mi fa vivere bene. I miei temi liceali avevano una pessima sintassi e rareintuizioni di racconto. Stavo per diventare un critico. Ho avuto la paura di dover
trascorrere la vita in una sala cinematografica. Sono approdato al giornalismo. Ho
lavorato al Quotidiano della Calabria dal giorno della sua fondazione, il 13 giugno del1995 fino al 7 dicembre del 2006. Giorno di una drammatica assemblea dove si deciseuna scissione in due tronconi che ha modificato la storia del giornalismo calabrese. Sono
entrato da un sottoscala come abusivo uscendone come caporedattore che ormaiingombrava troppo il ruolo die direttore, che è stato il mio maestro professionale. Si
chiama Ennio Simeone, è uno dei migliori giornalisti d¹Italia. Di tanto in tanto gli scrivolettere cui non ricevo mai un cenno di risposta come in un romanzo di Garcia Marquez.
Ho vissuto intensamente quegli undici anni. In quell¹esperienza ho incontrato mia mogliee centinaia di persone. Si è formata una generazione giornalistica. Non avevo mai pensato
di dover diventare direttore di un giornale. Men che meno di fondarlo. Ho avutol'opportunità di farlo potendo scegliere la grandissima parte dei miei giornalisti,
selezionati quasi sempre sulla base delle loro capacità. Ho diretto una sorta di falangemacedone capace di raggiungere qualsiasi risultato. Purtroppo chi finanziava l¹impresa
non aveva assolutamente sfondi etici e neanche comportamenti urbani. E' durata "solo"13 mesi. Straordinari. Abbiamo scritto "tutto quello che gli altri non dicono" costringendo
a scriverlo anche altri. Abbiamo realizzato degli scoop memorabili. Quello dell¹intervistaal carabiniere che uccise Carlo Giuliani al G8 di Genova smentendo la tesi ufficiale è
stato ripreso da tutti i media italiani e anche da qualche giornale europeo. E' un'esperienzache mi ha attribuito una patente di giornalista libero. Penso di meritarla. Mi sono rimasti
una trentina di processi penali e civile che affronto grazie alla benevolenza dei mieiavvocati. E' un¹esperienza che mi ha molto cambiato. Ho rischiato il suicidio e il
divorzio. E¹ stato necessaria la frequentazione di una psichiatra e ho dovuto sacrificare
molte amicizie personali, alcune che duravano da una vita e consideravo dei capisaldidella mia esistenza. Essere capo è difficile per chi vede nell¹esercizio del potere la lebbradel mondo. Il mio abbandono di quella direzione fa parte anche del processo di Salerno
sul caso De Magistris. Ancora se ne discute e in molti mi chiedono perché hoabbandonato. Perché anch'io ho diritto a vivere una vita degna di questo nome e perché le
contraddizioni non possono durare in eterno. Non ho avuto il fisico e la volontà diimpormi a chi aveva investito molti soldi nell'impresa. Per i miei editori contava solo
poter stare ai tavoli che contano per realizzare i loro affari. Non faceva per me. Me nesono andata tentando di non fare il martire. Mi sono assunto ogni responsabilità di quella
scelta cercando di non nuocere al giornale e a chi aveva scelto di lavorarci. Oggi quellatestata che ho fondato non scrive mai del mio libro né di me. In Basilicata lavoro bene
con una professionalità più distaccata. Ho la fortuna di avere un editore che legge ilgiornale la mattina dopo e che non viene in redazione a guardare nei computer per
controllare e condizionale le pagine che escono domani. Posso applicare come megliocredo la mia filosofia di bottega che recita: "l'obbligo di produrre aliena la passione di
creare". Non permettendo però al solito furbo di non fare niente. Le dimensioni dellavoro e del territorio mi permettono di essere più padre. I miei figli saltano un balcone e
spesso irrompono nella mia stanza. Sono una grande felicità. Mi hanno reso adulto e allostesso tempo mi fanno tornare bambino. Grazie a questo nuovo impegno non ho più ansia
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da territorio. La redazione come porto di quiete. L’enclave lucana dove si vive bene e cheti costringe positivamente a viaggiare. Vivo meglio anche Cosenza dove torno
saltuariamente rilevando che la qualità della vita è peggiorata. Guardo con preoccupazione alla Calabria da tutti depredata e ferita e da molti di noi abbandonata con
esodo coscienzioso. Il mio look, nono stante abiti e cravatte, continua ad essere notato
come eccentrico e fantasioso. E' uno dei miei maggiori vanti essere stato catalogato come"benvestito" dalla rubrica del Magazine del Corriere della Sera con la mia foto pubblicatainsieme al principe di Kent. Merito del mio periodo punk e sempre di mia madre che era
una capace di mettersi delle audaci rose di ceramica nell¹acconciatura dei capelli.Continuo ad amare il mondo e le persone che incontro. Non mi rammarico più di chi mi
insulta o non mi comprende. Mi fa piacere ancora emozionarmi. Piango ancora quandovedo il Dottor Zivago o quando suonano La Marsigliese in "Casablanca".
(IntervistaacuradiNerinaGarofalo–Roma,luglio2009)
Immaginida“TheDreamers”(2003),byBernardoBertolucci