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1 Via Vitorchiano 23 00189 - Roma Tel. +39 3330078 Fax +39 1782265867 - Mail: [email protected] COBASE Cooperativa Tecnico Scientifica di Base Per sostenibilità intendiamo l’aumento della diversità o, almeno, il suo mantenimento BIOECONOMIA E SVILUPPO Testo e progetto depositati. Tutti diritti riservati alla COBASE Audizione di Massimo Pieri Presidente COBASE e Stefano Mannacio Project Director COBASE VIII a e X a Commissione (Ambiente e Attività Produttive) Camera dei Deputati 21 marzo 2014 Indagine Conoscitiva sulla Green Economy

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Per sostenibilità intendiamo l’aumento della diversità o,

almeno, il suo mantenimento

BIOECONOMIA E SVILUPPO Testo e progetto depositati. Tutti diritti riservati alla COBASE

Audizione

di Massimo Pieri

Presidente COBASE

e Stefano Mannacio

Project Director COBASE

VIIIa e X

a Commissione

(Ambiente e Attività Produttive)

Camera dei Deputati

21 marzo 2014

Indagine Conoscitiva sulla Green Economy

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INDICE

LA BIOECONOMIA ANALISI…………………………………………………………….PAG. 3

BIOECONOMIA E CRISI…………………………………………………………………..PAG. 5

BIOECONOMIA, CRISI DEI DIRITTI ED ESCLUSIONE SOCIALE………………..PAG. 6

BIOECONOMIA VERSUS GREEN ECONOMY………………………………………..PAG. 8

ENERGIE RINNOVABILI INEFFICIENTI……………………………………………..PAG. 10

GREEN ECONOMY LA MISTIFICAZIONE DEGLI SPRECHI……………………..PAG. 12

GREEN ECONOMY E SVILUPPO SOSTENIBILE……………………………………PAG. 13

SOFFERENZA DEGLI ANIMALI E CAMBIAMENTI CLIMATICI………………...PAG. 14

DIRITTI DEGLI ANIMALI E PROPRIETA’ INTELLETTUALE……………………PAG. 16

FARMACOPEA E FITOTERAPIA…………………………………………..…………..PAG. 17

CITTA’ ELETTRICA E PARCHI AGROECOLOGICI………………………………..PAG. 18

LA BIOECONOMIA PER RISOLVERE LA POVERTA’………………………..…….PAG. 18

INDICAZIONI PROPOSTE PROGETTI………………………………………………...PAG. 20

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Gentile Presidente,

prima di tutto desidero ringraziarLa per la possibilità di essere auditi da questa

Commissione, al fine di fornire un contributo alla migliore definizione critica della

cosiddetta “Green Economy”.

Prima di entrare nel merito dell’audizione va specificato che la COBASE, Associazione

Tecnico Scientifica di Base è un’organizzazione indipendente, scientifica e di ricerca, senza

fine di lucro, costituita da ricercatori e professionisti. Essa è Major Group con il

Dipartimento per lo Sviluppo Sostenibile nel settore “Scientific and technological

communities” delle Nazioni Unite, gode dello status consultivo speciale con il Consiglio

Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) e partecipa all’attività del Subsidiary

Body for Scientific Technical and Technological Advice (SBSTTA) della Convenzione

sulla Diversità Biologica (CBD), della Convenzione per la Lotta alla Desertificazione

(UNCCD) e della Convezione Quadro sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC).

La COBASE è stata nominata delegato di numerose delegazioni del Governo Italiano in

lavori e conferenze dell’ONU e dell’EU e ha partecipato in qualità di membro effettivo al

Selection Panel della Convenzione per Combattere la Desertificazione, alla Commissione

intergovernativa “Ambiente Globale”, al Comitato Nazionale per la Giornata Mondiale

dell’Alimentazione e alle Conferenze di Rio su Ambiente e Sviluppo del 1992 e del 2012,

dove ha organizzato vari eventi speciali.

LA BIOECONOMIA: ANALISI

L’economia può essere vista come lo studio delle trasformazioni di materia ed energia

realizzate dall'attività umana e il risultato di qualsiasi processo economico è legato

strettamente ai costi che derivano da ogni spreco o dissipazione.

Da questa osservazione deriva che i processi economici sono vitali e, come qualsiasi

processo vitale, sono irreversibili e sembrano limitarsi a trasformare le risorse naturali in

scarti. È innegabile che gli scarti e il loro rilascio nell’ambiente, pur assenti nell’analisi

standard, hanno una valenza economica al pari delle risorse naturali.

E’ anche evidente che, data la natura entropica dei processi economici, gli scarti

costituiscono un output inevitabile; nonostante ciò, l'inquinamento èsempre menzionato solo

in modo analiticamente superficiale. E’ un fatto che l’economia neoclassica, basando il

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proprio nucleo analitico sul concetto di abbondanza (o scarsità) relativa delle risorse in un

dato momento, utilizzando solo le informazioni di mercato date nello stesso momento, non è

in grado di incorporare il concetto di finitezza di una risorsa a bassa entropia o il concetto di

abbondanza di uno scarto ad alta entropia. Staticità, riproducibilità, ciclicità omogenea,

simmetria, equilibrio dei processi economici ad infinitum, sono gli strumenti neoclassici.

Dinamicità, diversità, asimmetria, ciclicità eterogenea, omeostasi dei processi di

trasformazione costituiscono al contrario gli elementi analitici base della bioeconomia.

I processi vitali, infatti, visti come "macchine termodinamiche", devono attingere da fonti di

bassa entropia, che è una condizione necessaria per il loro funzionamento, perché nel nostro

mondo, tutto ciò che per noi ha una qualche utilità è costituito da bassa entropia. Per questo

ogni processo economico è entropico in tutte le risorse che utilizza. Le risorse energetiche e

materiali una volta utilizzate e trasformate in parte o in tutto in scarti possono essere

riutilizzate (riciclate) e rientrare nel ciclo produttivo solo a costo di utilizzare altre risorse a

bassa entropia con ulteriore carico ambientale. Qualsiasi processo economico che produce

merci materiali diminuisce la disponibilità di energia e di materia nel futuro e quindi la

possibilità futura di produrre altre merci e cose materiali.

I due processi, di trasformazione della materia ed economici, sono entrambi entropici, ma si

differenziano perché nella trasformazione della materia i processi sono automatici, mentre

in economia le variazioni di entropia dipendono dall’attività umana, la quale dirige e

canalizza l’uso delle risorse dell'ambiente secondo regole che variano nel tempo e da luogo

a luogo, a seconda delle scelte. Questa attività produce alta entropia, cioè più rifiuti, mentre

nei processi naturali non esistono gli scarti e non esiste la povertà. Qual è allora il

vantaggio di tali processi? Dobbiamo renderci conto che il prodotto effettivo di un processo

economico non è un flusso materiale e la dissipazione di energia, ma il puro godimento

della vita. Il reddito reale, il lavoro e il tempo libero costituiscono solo una "misura"

materiale di quel flusso. Questa è la caratteristica che differenzia i processi naturali da

quelli economici.

Da ciò deriva la necessità di ripensare la scienza economica, in termini di bioeconomia,

rendendola capace di incorporare il principio dell'entropia e i limiti imposti dalle condizioni

ecologiche e diventarne dipendente. Con la bioeconomia si può stabilire la fondamentale

differenza tra sviluppo e crescita: lo sviluppo è l’introduzione di un’innovazione che non è

solo creazione di nuovi beni ma anche di nuovi processi e di nuovi indirizzi; la crescita,

invece, è data dall’aumento di beni esistenti e del consumo di risorse già disponibili. E’,

perciò, necessario fare attenzione a distinguere fra crescita e sviluppo.

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D’altra parte, durante la crisi, applicando i principi bioeconomici è possibile raggiungere il

benessere senza aumentare i consumi di beni e risorse già esistenti, prendendo come misura

le modalità di produzione e conservazione della natura e della sua diversità, le uniche entità

certamente sostenibili. E’ possibile raggiungere un certo livello di benessere in maniera

indipendente dalla crescita economica con altri modelli di sviluppo (non di crescita), per

esempio attraverso la rivitalizzazione di economie locali. In questa maniera il modello

bioeconomico, che intreccia temi sociali, economici, ecologici e dei beni comuni, permette

di riprogettare, in agricoltura, industria e architettura, gli insediamenti umani e ambientali

che soffrono, utilizzando il territorio e le sue risorse e cercando di imitare, secondo la

conoscenza tradizionale, legami e relazioni che si ritrovano in natura. Così si possono

ottenere abbondanza di risorse, alimenti e filiere sostenibili a basso costo per coprire le

esigenze locali. Tale impostazione permette anche di considerare il problema della povertà e

la sua soluzione come una variabile economica ed ecologica del sistema stesso.

BIOECONOMIA E CRISI

La gravità e la contemporaneità delle diverse dimensioni della crisi dà sempre maggiore

evidenza alla insostenibilità del corrente modello economico, tanto che risanare l’economia

in sé dalla stessa crisi, ci sembra che non sia possibile. La crisi economica finanziaria,

ecologica e sociale ha messo sempre più in evidenza i limiti, fino al rischio della

irreversibilità del modello economico attuale e del suo sistema finanziario. Le speranze di

una ripresa spontanea della crescita e del “business as usual” (che tutto ritorni come prima)

e, quindi, di un ritorno a scelte e comportamenti che hanno prodotto questa crisi non danno

affidamento riducendosi a concetti e convinzioni di mera retorica: l’uomo è il padrone della

natura e delle risorse e ne detiene il dominio, il mercato finanziario può risolvere qualunque

problema, le risorse a disposizione sono illimitate, la fiducia nella scienza è infinita. E’

evidente che non può essere il modello che ha prodotto la crisi lo stesso che può risolverla.

Questa problematica nasce dall’osservazione delle difficoltà della scienza e dell’economia

moderne a dare risposte soddisfacenti al problema dello sviluppo sostenibile, argomento

all’ordine del giorno dei più importanti negoziati, trattati e attività d’agenzie internazionali

su economia, popolazione e sviluppo. Da questa difficoltà deriva l’incapacità di colmare il

divario tra la crisi del mercato, le comunità umane e la biodiversità, fra potere e utilità.

Il tema della sostenibilità rappresenta un argomento che nel suo insieme racchiude i diversi

elementi della convivenza armoniosa dell’uomo e le relazioni tra esseri umani e risorse. In

questo contesto si può dire che l’Europa (in particolare l’Italia) è un’ unione dove la varietà

ambientale, biologica, dei prodotti e dei processi si è formata e si è mantenuta grazie alla

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diversità delle culture, che hanno contribuito alla sua essenza anche economica e quindi può

rappresentare un’ipotesi di esempio di sostenibilità.

Per combattere la crisi, ecologica, finanziaria, sociale, scientifica e della conoscenza, è

necessario superare il corrente modello economico basato sull’economia neoclassica e la

cosiddetta “economia verde di mercato” che serve a dare una mano di vernice su una

sostanza economica ispirata ai consueti principi di crescita esponenziale dei consumi privati.

“Bioeconomia e Sviluppo” è un progetto della COBASE per l'utilizzo e la produzione di

beni e prodotti per generare sicurezza e reddito attraverso programmi di produzione

innovativi; si definiscono nuovi settori di intervento e si mette a punto una nuova strategia

politica per indirizzare programmi economici verso un uso appropriato e sostenibile delle

risorse naturali, biologiche, locali necessarie alla produzione di alimenti sicuri, ma anche

beni materiali, energia, biomasse, edilizia e altri prodotti e per uscire dalla crisi in modo

stabile e duraturo.

Con i principi, gli obiettivi, gli strumenti, i piani e i progetti bioeconomici si può procedere,

utilizzando indicatori economici e ecologici, verso un nuovo sviluppo, l’aumento

dell’occupazione, il miglioramento della qualità della vita e l’efficienza dei servizi, tenuto

conto dell’aumento della popolazione mondiale e della scarsità delle risorse naturali.

Noi pensiamo che con la bioeconomia sia possibile raggiungere il benessere senza

aumentare i consumi di beni già esistenti, prendendo come misura le modalità di produzione

e conservazione della natura, certamente sostenibili. La bioeconomia che con l’economia

intreccia temi di agricoltura, ecologia, architettura (urbanistica), diritti umani e degli

animali, permette di riprogettare gli insediamenti umani che soffrono la povertà.

BIOECONOMIA, CRISI DEI DIRITTI ED ESCLUSIONE SOCIALE

La crescita della ricchezza materiale, misurata esclusivamente secondo indicatori monetari e

finanziari, può avvenire a danno della qualità della vita e sottovalutando le reazioni degli

esclusi. Gli esclusi sono incorporati nell’analisi neoclassica come inoccupati. Un tasso

frizionale di disoccupazione fa parte dell’analisi neoclassica che tende alla piena allocazione

dei fattori produttivi e quindi anche dei lavoratori.

Partendo dall’ipotesi che, in un dato istante, tale condizione sia sempre soddisfatta, essa non

è in grado di interpretare la dinamica dei processi sociali in cui tale obiettivo non si realizza.

La discrasia (la crisi) di un modello che prevede ciò che è diverso dalla realtà fattuale può

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implicare forme di controllo sociale o spinte autoritarie per includere a forza la crisi nel

modello senza però modificarne i paradigmi analitici.

Il cuneo degli esclusi è tanto più grande e critico quanto critica è la differenza tra il valore

reale dei processi di trasformazione della materia e il valore finanziario degli stessi. Le

grandi crisi rappresentano i punti più critici di tali differenze, dove, al massimo dello stock

di capitale finanziario, corrisponde, poi, il massimo stock di capitale umano escluso. Il

problema analitico è, quindi, complesso.

L’economia neoclassica, infatti, per allocare pienamente le risorse, deve crescere in termini

di valore indipendentemente dai flussi materiali prodotti. La differenza che si crea fra la

crescita economica finanziaria e quella reale produttiva rappresenta il momento della crisi

da cui deriva un processo distruttivo per la ristrutturazione degli scambi economici.

La bioeconomia si basa, al contrario, sullo sviluppo inteso come continua innovazione dei

processi volta al mantenimento dell’omeostasi che consiste nel tentativo di conservare il

proprio livello strutturale e informativo, contrapponendosi all’aumento dell’ entropia.

Essa non ha analiticamente bisogno di una crisi per innovare i processi perché opera un

costante affinamento degli stessi. La bioeconomia, come i processi naturali, è una

ristrutturazione permanente e si muove con delicatezza come un equilibrista sul filo che

aggiusta l’asta in modo quasi impercettibile ma costantemente.

Partire da questo presupposto, che implica la ricerca di un equilibrio dinamico non

individuabile con criteri meccanicistici, significa procedere verso uno sviluppo armonico, in

cui le persone mantengano il controllo sulla produzione di beni e servizi necessari ai bisogni

sociali, con una fruizione più consapevole e partecipe degli stessi.

Con la bioeconomia si tende ad un equilibrio dinamico e omeostatico, che si fonda sulla

diffusione di un modello di vita incentrato su un uso appropriato dei consumi e dello spreco,

sulla concorrenza perfetta e basato sulla ricerca dell’ottimo paretiano ed ecologico, della

soddisfazione e del benessere.

E’ bene osservare che le ricchezze complessive della società non sono solo i beni durevoli,

ma anche la conservazione del capitale naturale ed ecologico, il rapporto con gli animali e le

piante, la socialità e il tempo libero, la conoscenza, la diversità biologica e culturale, che

consentono all'uomo di incrementare le sua capacità di produrre benessere, come avviene

per i popoli indigeni e la conoscenza tradizionale.

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BIOECONOMIA VERSUS GREEN ECONOMY

In tale contesto si parla di “Green Economy” come un coacervo di attività volte

genericamente a salvaguardare l’ambiente e produrre nuovi livelli di occupazione. Esiste un

profonda discriminante di natura tecnica scientifica e politica per distinguere le attività

economiche che possono far parte dell’economia verde e quelle che, prendendo spunto da

un approccio bioeconomico fondato sui rendimenti del sistema, sono da considerarsi

operazioni di pura cosmesi, se non vere e proprie mistificazioni.

Chi controlla l'economia verde (e l’economia blu)? (dati sono forniti da “etc group”)

La 'Green Economy' può evocare immagini iconiche di pannelli solari e turbine eoliche (al

posto di foreste e alberi) ma non è su questi che si concentra veramente l'attività delle grandi

aziende. Mentre le energie “rinnovabili” non-idro e non-nucleari rappresentano solo una

piccolissima porzione (1,8%) del consumo globale di energia, la quasi totalità di queste

consiste nella raccolta e la combustione di biomassa per produrre energia, carburanti e, ora,

prodotti chimici. E’ interessante notare come i riallineamenti dei grandi gruppi aziendali

alla nuova 'economia verde' avvengono intorno alla biomassa vegetale e animale.

La grande trasformazione tecnologica verde, che si evoca continuamente, porterà ad una

"green economy" per aiutarci a salvare noi stessi e il nostro pianeta? O servirà a coloro che

già controllano l’attuale “greed economy”(economia avida)?” Nuovi studi forniscono

un'immagine del livello del controllo societario delle grandi aziende in più di una dozzina di

settori economici rilevanti per l'economia verde (comprendente i semi, l’energia, la

bioinformatica e i prodotti alimentari), da cui si deduce che, in assenza di una governance

efficace e socialmente sensibile, l'economia verde provocherà una convergenza del potere

di organizzazioni, che operano con assetto monopolistico o oligopolistico, ancora maggiore

e potrà scatenare il più massiccio accaparramento di risorse mai visto con conseguenze

economiche ambientali inimmaginabili.

Con dati specifici e qualificati sulle più grandi e più potenti aziende concorrenti che

controllano 25 settori dell’economia reale, sono stati assemblati gli elenchi delle prime dieci

compagnie (quotate dal mercato) relative ai 18 principali settori economici rilevanti per

l'economia verde. Questi elenchi includono i primi 10 protagonisti nei settori dell’acqua,

energia, sementi, pesca e acquacoltura, processamento e vendita di cibo, prodotti chimici,

fertilizzanti, pesticidi, miniere, prodotti farmaceutici, biotech, commercio del grano e altro

e considerano anche una manciata di protagonisti di nuovi ed emergenti settori industriali

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tra cui la biologia sintetica, i big data, la produzione di alghe marine e la genetica del

bestiame.

Analizzando l’andamento economico e

produttivo delle grandi aziende e corporazioni

si vede che la tendenza monopolistica è

costante. Ad esempio le prime 10 società

multinazionali del seme ora controllano il 73%

del mercato delle sementi commerciali di tutto

il mondo, le 10 aziende di pesticidi più grandi

al mondo ora controllano un enorme 90% di un

mercato globale dei pesticidi da 44 miliardi di

dollari, 10 compagnie controllano il 76% delle

vendite di prodotti farmaceutici per animali, 10

aziende di mangimi animali controllano il 52%

del mercato globale di alimenti per animali, 10

imprese chimiche hanno in mano il 40% del

mercato chimico, 10 aziende forestali controllano il 40% del mercato forestale, 10 aziende

minerarie controllano un terzo del mercato minerario e le prime dieci società di energia

controllano un quarto del mercato mondiale dell'energia.Si determinano nuove convergenze

aziendali, che attraversano diversi settori industriali, non appena le grandi corporazioni si

posizionano per dominare l”economia verde”, dando così vita a nuovi oligopoli “green”. Un

esempio calzante è la società DuPont, la seconda più grande compagnia sementiera al

modo, la sesta più grande compagnia chimica e la sesta più grande compagnia di pesticidi,

che sta ora emergendo con un ruolo primario nei settori del biotech, dei biocombustibili e

delle bioplastiche, della biologia sintetica, delle alghe, di ingredienti ed enzimi, mentre

definisce una partnership con la terza più grande compagnia energetica al mondo, la BP.

Agli inizi del 1990 la prima commercializzazione delle tecnologie di ingegneria genetiche

guidò la riorganizzazione massiccia dei settori delle sementi, dei prodotti dell’agrochimica e

farmaceutici e la comparsa di giganti di 'scienze della vita' come Monsanto e Novartis.

Oggi le nuove tecnologie della biologia sintetica stanno provocando un'altra frenesia di

fusioni, acquisizioni e joint venture, intorno all’economia “verde”della biomassa,

delineando grandi protagonisti del mercato della grande energia e chimica come Dow,

DuPont, BP, Shell , Exxon, Chevron e Total in nuove alleanze con giganti del grano, delle

foreste e dei semi come Monsanto, Cargill, Bunge, Weyerhaeuser and ADM. Al cuore di

queste nuove alleanze vi sono sorprendentemente le nuove compagnie di biologia sintetica

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come Life Technologies Inc, Amyris, Solazyme e Evolva tutte rapidamente promosse a un

ruolo significativo nei settori del cibo globale , energia e prodotti farmaceutici e chimici.

Le dimensioni del mercato globale dell'energia ammontano a circa 7 trilioni di dollari e

sovrastano, di gran lunga, ogni altro settore economico. Secondo le ultime analisi, tuttavia,

il mercato alimentare globale si avvicina all’energia, anche quando si prendono in

considerazione i sussidi governativi con cui si pagano i produttori di energia, così i capitali

del cibo (e del suo controllo) potrebbero surclassare i capitali dell’energia (e del suo

controllo).

La biomassa rilevata negli oceani e gli ecosistemi acquatici rappresenta il 71% della

superficie del pianeta. Questo è il motivo per cui compagnie dell’energia e della chimica

come Du Pont, Statoil, DSM, Exxon, Mitsubishi, Monsanto, Chevron e il gigante dello

shippingStolt Nielsen guardano alla frontiera acquatica alla ricerca di nuovi zuccheri e olii

per alimentare l'economia basata sulle biomasse, proponendo lo sfruttamento su larga scala

delle alghe, dei pesci e tutta la biomassa acquatica che si trova nei laghi, nei fiumi e negli

estuari costieri.

ENERGIE RINNOVABILI INEFFICIENTI

Il primo punto è di carattere tecnico e riguarda l’efficienza energetica in relazione al

dibattito sulle cosiddette energie rinnovabili. Solo una strategia oppressiva di manipolazione

mediatica, finanziata per anni sia dal settore pubblico che da quello privato, è stata in grado

di convincere il grande pubblico che tecnologie a basso rendimento energetico sono in

grado di migliorare la qualità ambientale e addirittura la qualità della vita e ha potuto

imporre a scienziati, politici, NGO, Agenzie, media, un modello monoculturale che con il

“Green” prefigura un mondo ricoperto di pannelli solari, pale eoliche, biocarburanti

provenienti da biomasse.

Desideriamo infatti ricordare che

il solare e l’eolico sono due fonti

di energia rinnovabile a basso

rendimento energetico la cui

messa in opera è stata finanziata

dagli utenti che usano energia

prodotta con fonti tradizionali

che, di norma, sono le persone

più svantaggiate, inquilini e piccoli proprietari di condomini.

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Il solare è stato prevalentemente scelto da proprietari di ville, di terre, di aree di parcheggio,

quindi solo allo scopo di incassare incentivi.

Posto il valore degli stessi pur in lenta decrescita ammonta alla mirabolante cifra di quasi

sette miliardi di Euro basterebbe solo una semplice indagine statistica per scoprire che tale

misura sia stata ed è un trasferimento di danari dai poveri ai ricchi?, del tutto ingiustificabile

socialmente se non attraverso una mistificazione di natura ideologica.

Anche tenendo conto delle esternalità prodotte dalle fonti energetiche che generano

combustioni il costo delle energie rinnovabili non è sostenibile, perché si dovrebbe

considerare il fatto che la produzione di pannelli di silicio, per esempio, richiede potenze

non raggiungibili con l’energia solare.

La Germania, per esempio, considerata un modello della “green economy” sta fallendo nel

suo programma di incentivazione delle energie alternative creando, come decritto

recentemente da Financial Time, 6,9 milioni di famiglie che spendono in elettricità più del

10% del loro reddito, a causa del fatto che il costo delle energie rinnovabili ha causato in

aumento del costo dell’energia dell’80% dal 2000 al 2013 secondo dati OCSE. Anche in

questo caso gli operai della Ruhr pagano prezzi di energia alti per finanziare i ricchi

proprietari della Bavaria che installano i pannelli solari.

Il biocarburante, invece, non ancora particolarmente sviluppato in Italia, ma, soprattutto, in

Brasile, pone gravissimi problemi di gestione delle coltivazioni e di sottrazione di terre

destinate ad uso agricolo.

L’operazione di sussidiare tali fonti di energia rinnovabile a basso rendimento ha inoltre

generato un’occupazione precaria costituita da installatori di pannelli per il solare e lobbisti

nella pubblica amministrazione per l’eolico. Sulle commistioni tra malaffare e installazione

di impianti eolici non ci dilunghiamo, anche se non sono pochi i casi i casi descritti dalla

cronaca, anche quella giudiziaria.

Osserviamo inoltre una carenza di protagonismo tecnico e scientifico del nostro paese nella

ricerca di base. Il solare a pannelli di silicio e l’eolico a pale sono ormai due tecnologie

mature a bassissimo rendimento energetico. Esiste ricerca sul solare come nell’eolico ma il

nostro paese non è di certo protagonista, come sui metodi di trasporto dell’energia elettrica

fino ai superconduttori.

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GREEN ECONOMY LA MISTIFICAZIONE DEGLI SPRECHI

Sono in atto campagne contro lo spreco di cibo, acqua ed energia lanciate dalla UE e da altri

organismi e diverse iniziative sono state messe a punto con l’obiettivo di ridurre gli sprechi

alimentari da parte di università ed enti assistenziali. Ma, le proposte che mirano a contenere

lo spreco con programmi surrettizi, come la beneficenza, senza scalfire il modello

economico, sono solo indicazioni demagogiche e poco più che palliativi, che non

interessano alcuna fase del ciclo di produzione, né il mercato.

E’ necessario fare una distinzione fra prodotti, scarti, rifiuti e spreco. I prodotti sono beni o

servizi che il consumatore acquista o utilizza per soddisfare delle necessità. Scarti sono

oggetti e materiale eliminato durante il processo di produzione in seguito ad una cernita

effettuata per i più diversi motivi; la produzione standardizzata, ad esempio, implica sfridi,

ovvero materiale di scarto di lavorazione. I rifiuti sono il prodotto finale del processo, gli

avanzi delle più svariate attività dell’uomo. La differenza fra prodotto, scarto e rifiuto non è

sostanziale se consideriamo il processo economico solo come processo di trasformazione

della materia; ma, mentre i prodotti producono benessere, i rifiuti e gli scarti, per produrre

benessere, devono essere riciclati impiegando nuove risorse.

Lo spreco - sia individuale che collettivo, sia del consumatore che del produttore - non è,

come i prodotti, i rifiuti e gli scarti, un output del processo ma una caratterista dell’attuale

sistema economico. Lo spreco, inteso come produzione scriteriata, o inutile, o come

un’attività che non produce valore, in realtà, non esiste, è un’invenzione; si dovrebbe

parlare, piuttosto, di eccesso di consumi ed eccesso di produzione che sono conseguenze

inevitabili del sistema economico neoclassico, tanto è vero che nei paesi occidentali, oltre

un terzo del consumo alimentare viene buttato nella pattumiera e, così, una gran quantità di

prodotti industriali obsoleti rimangono inutilizzati e sono destinati ai rifiuti.

Questa enorme quantità di cibo e di prodotti inutilizzati è necessaria, perché serve per

l’ottimizzazione del processo, che è un vantaggio sia per il produttore che per il

consumatore. Se in un ristorante si vuole garantire un menù variegato, bisogna preparare

una maggiore quantità di cibo di quella che bisogna preparare con un menù fisso. Quella

quantità è necessaria e il prezzo finale terrà conto del cibo non consumato, che, essendo già

pagato, non è spreco. Statistiche, regole di mercato, sondaggi, potranno proporzionare

domanda ed offerta, ma quest’ultima, sarà sempre superiore per corrispondere al

necessario.

Qualcuno sostiene che lo spreco è un vero e proprio valore aggiunto del mercato: noi

dobbiamo vendere, vendere, vendere e comprare, comprare, comprare, indebitandoci,

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altrimenti il sistema economico non cresce, si ferma. L’eccesso di produzione è, quindi, un

valore necessario affinché i prodotti arrivino sugli scaffali in immense quantità per coprire

la domanda dei consumatori.

La domanda è crescente per assicurare il funzionamento del sistema e la crescita economica,

la merce è sovrabbondante per assicurare adeguata qualità e quantità dei prodotti a tutti,

anche a chi non compra, in ogni momento. Con modelli, colori, tipi, case produttrici, la

merce sovrabbondante è continuamente selezionata in funzione dei nuovi requisiti

normativi, sanitari, di qualità, gusto, moda, tecnologia. Insomma, è necessario produrre quel

surplus che viene chiamato spreco, ma che non è altro che una caratteristica, vitale,

dell’attuale processo economico.

Non si deve ridurre l’economia ad un questione di assistenzialismo moralistico, infantile e

ridicolo come fa chi giudica lo spreco un male assoluto. Dal punto di vista dei sostenitori

del modello economico neoclassico lo spreco è un valore positivo perché è garanzia di

ricchezza e benessere ed assicura il funzionamento del sistema, il quale gira proprio grazie

all’accumulo di sovrabbondanti quantità di prodotti. Ciò implica un’enorme produzione di

scarti e rifiuti che qualcuno, per attribuire un valore morale negativo, ha deciso di chiamare

spreco.

Non è lo spreco il vero difetto del sistema economico neoclassico, bensì la coercizione al

consumo e alla produzione, in una società che non tiene conto della limitatezza e della

scarsità delle risorse e delle regole per la loro gestione.

GREEN ECONOMY E SVILUPPO SOSTENIBILE

La Conferenza di Rio sullo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite è stata il culmine di un

processo di mistificazione, ideologica e culturale, senza precedenti. Nonostante non vi sia il

minimo dubbio che lo sviluppo sostenibile sia un concetto nocivo, un ossimoro o

un’antinomia, e che la Green Economy sia solo un nuovo strumento a servizio di industrie

di natura oligopolistica o monopolistica (trasporti, impiantistica, energia, informatica), il

Documento Finale del Simposio ha voluto individuare in questo modello teorico, il futuro

pilastro dello sviluppo economico. Nessun impegno o programma per i Governi o per le

Agenzie.

La Conferenza non è stata solo il fallimento di un percorso iniziato vent’anni fa, ma anche

un’autoritaria affermazione del Brasile, complice l’Italia, entrambi membri del Bureau della

Conferenza; i due Paesi si sono adoperati per celebrare il settore privato delle grandi

industrie del Green al quale, mediante un’ondata di rimedi pseudoscientifici e palliativi, di

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tecnologie verdi inefficienti e di oscuri finanziamenti pubblici, sarebbe demandata la

soluzione dei problemi del mondo, povertà, fame, riduzione della biodiversità,

desertificazione, cambiamenti climatici, deforestazione, acqua, rifiuti.

La Green Economy, nella Conferenza, ha esaltato l’idea del trasferimento tecnologico “one

way”, mentre le industrie fanno il loro business introducendo nel mercato prodotti a

rendimento energetico e tecnico praticamente nullo, spacciati per baluardi di salvaguardia

ecologica.

L’esaltazione del “Green” ha annullato i preziosi riferimenti ai diritti umani e dei popoli

indigeni, alla conoscenza olistica ed interdisciplinare delle questioni ambientali e dell’uso

corretto delle risorse. La Green Economy è inoltre fonte di mistificazione e impoverimento

nei programmi di cooperazione internazionale e propone di fatto una forma di colonialismo

energetico e sul trasferimento unilaterale di tecnologie.

Il vertice dei Popoli, presente a Rio, ha dichiarato che l’economia verde è il lifting del

capitalismo, voluto dall'attuale sistema per dare un volto verde al capitalismo ma senza la

volontà di rivedere lo sviluppo vigente e di cambiarlo a livello strutturale. “La cosiddetta

economia verde è una delle espressioni dell'attuale fase finanziaria del capitalismo,

caratterizzata dall'utilizzo di meccanismi vecchi e nuovi, come l'aumento dell'indebitamento

pubblico-privato, la spinta eccessiva ai consumi, l'appropriazione e la concentrazione nelle

mani di pochi di nuove tecnologie, i mercati del carbonio e della biodiversità,

l'accaparramento di terre spesso da parte di stranieri, i partenariati pubblico-privato”

(documento finale del vertice del Popoli).

La green economy, in buona sostanza vuole solamente sostituire i prodotti convenzionali

con i prodotti cosiddetti biologici o passare alle energie pulite gestite dai grandi gruppi

industriali.

SOFFERENZA DEGLI ANIMALI E CAMBIAMENTI CLIMATICI

L’effetto “riscaldante”dei Greenhouse Gas (GHG)è espresso come CO2eq (CO2

equivalenti): l’anidride carbonica è il punto di riferimento. Il suo potenziale riscaldante

globale (GWP, global warming potential) è considerato pari a 1, quello del metano e

dell’ossido di azoto sono rispettivamente pari a 25 e 298.

A parità di quantità, metano e ossido di azoto contribuiscono quindi al riscaldamento

globale 25 volte e 298 volte rispettivamente in confronto a quanto contribuisce l’anidride

carbonica.

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Anidride carbonica, metano e ossido di azoto sono prodotti naturalmente dai processi

biologici, ma l’industrializzazione e l’intensificazione sempre più spinta di agricoltura e

zootecnia hanno esasperato questa situazione, producendo livelli di GHG che gli ecosistemi

non sono in grado di tamponare e così, liberati in grandi quantità nell’atmosfera, i gas hanno

avuto e hanno tuttora come effetto un surriscaldamento del clima globale. L’attività di

produzione animale e l’aumento della temperatura globale sono strettamente connessi tra

loro, infatti la produzione di carne e di latte negli allevamenti intensivi è una delle principali

responsabili dell’emissione in atmosfera di GHG.

Nel Rapporto FAO del 2006 Livestock’s

long shadow è stato calcolato che gli

allevamenti intensivi producono il 18%

di anidride carbonica, metano e ossido di

azoto. Di tutti i GHG di origine umana,

almeno il 21% della CO2 deriva dalla

produzione animale

In maniera indiretta, ma molto

consistente, gli allevamenti sono inoltre

responsabili dell’elevata presenza di

CO2 nell’atmosfera, anche per la

distruzione di migliaia di ettari di foreste per fare posto ai pascoli.

Il 72 % del metano totale, per esempio, derivante da attività umane emesso in atmosfera

proviene sia direttamente dai processi digestivi dei ruminanti (bovini, ovini, caprini) che

dall’evaporazione dei composti presenti nel letame.

Gli allevamenti intensivi contribuiscono anche in un altro modo alla presenza di una

eccessiva quantità di GHG nell’aria: per far posto ai pascoli necessari infatti, ampie zone

sono state deforestate. I vegetali, a differenza degli organismi animali, sono in grado di

catturare la CO2 presente nell’aria, liberando poi ossigeno ed utilizzando il carbonio per

crescere: è la cosiddetta fotosintesi clorofilliana.

L’eliminazione massiccia di migliaia di ettari di alberi ad alto fusto ha come effetto la

diminuita capacità di catturare l’anidride carbonica.

Il rapporto della FAO evidenzia inoltre che:

FAO - LIVESTOCK LONG SHADOW - 2006

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– il 26% delle terre libere da ghiacci sulla Terra è occupato da pascoli,

e che, globalmente:

– il 33% dei terreni agricoli è occupato dalla coltivazione di foraggio;

– un terzo dei cereali raccolti sono impiegati come foraggio per gli animali;

– il 20% dei pascoli sono degradati

DIRITTI DEGLI ANIMALI E PROPRIETA’ INTELLETTUALE

Il problema dei cambiamenti climatici e degli allevamenti intensivi si confronta con un tema

fondamentale trascurato completamente dalla Green Economy, ovvero quello della

sofferenza degli animali, del loro diritto alla felicità, a non soffrire, a non essere reclusi in

quelli che possiamo definire campi di concentramento presenti a pochi chilometri da casa

nostra, nel nostro silenzio, nella nostra indifferenza.

Tale tema può essere affrontato da molte angolazioni. La prima è, appunto, quella che ormai

viene sempre di più percepita come una posizione animalista, che implica l’assunzione di

una dieta priva di carne ed eventualmente derivati per motivi non di salute ma etici. I

vegetariani o i vegani per tale ragione sono sempre di più, specialmente in Italia, e

assumono come profondamente reale l’affermazione del grande scrittore Singer secondo il

quale per gli animali è ancora una eterna Treblinka.

Esiste però un aspetto che deve essere valutato attentamente. Secondo dati forniti dalla

Coldiretti il livello di contraffazione dei nostri prodotti alimentari farebbe perdere circa 60

miliardi di Euro annui, cui una buona parte va attribuita a prodotti di origine animale

(formaggi e insaccati).

Esiste d’altra parte un movimento che promuove i nostri prodotti di derivazione animale

nella loro veste DOP, bio, organico, allevato a terra, verde non tanto a chi si pone il

problema della sofferenza degli animali ma che è sensibile alla presunta salubrità dei

prodotti certificati.

Purtroppo basta andare a vedere nei disciplinari di produzione dei nostri prodotti di

eccellenza per scoprire che non è così. Vendiamo prodotti tradizionali che hanno alla fonte

un processo industriale proveniente sempre da allevamenti intensivi, salvo alcune nicchie

destinate a coprire target di clientela in grado di permettersi elevati livelli di spesa.

Il problema quindi è serio perché la sensibilità nei confronti del Green è soddisfatta dal

mercato da prodotti che di verde possono avere al limite il colore della confezione o qualche

dichiarazione accessoria in merito all’alimentazione degli animali, niente di più. Se, per

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esempio, un prosciutto di Parma lo è solo perché ha respirato le nebbie della pianura

padana, con tanto di emissioni di gas serra prodotti da immense porcilaie italiane o olandesi,

non basta o non basterà più a rendere quel prodotto unico e inimitabile.

Così è anche per tutti i formaggi dove al gusto si associa la separazione della madre dai

figli. In sintesi ci troviamo di fronte ad una scelta in un settore strategico come quello

alimentare italiano: quella di costruire filiere di prodotto in cui al cibo tradizionale sia

associato un allevamento tradizionale con caratteristiche, indicatori, spazi, tempistiche per la

macellazione realmente orientate al benessere dell’animale.

Inoltre nel settore agricolo noi vendiamo delle eccellenze certamente autoctone, come vino e

olio e dall’altra di provenienza alloctona. Una riflessione va senz’altro fatta sui questi ultimi

prodotti per formulare nuovi livelli di partnership con le popolazioni dell’America Latina in

materia di biotecnologie orientate a produrre diversità di prodotti.

Ripartire, per esempio, da ciò che è diventato un simbolo della nostra alimentazione, il

pomodoro, per sperimentare quanto da questo prodotto si può ancora scoprire ritornando

alle sue origini e alle sue infinite sfumature può costituire una nuova ipotesi di ricerca e nel

contempo la via corretta per un nuovo approccio alla cooperazione internazionale.

Questo vale per molti prodotti e molti processi in cui l’Italia potrebbe rivelarsi un leader

nelle biotecnologie applicate a prodotti tradizionali, con la partnership della conoscenza

tradizionale. Un nuovo modello di relazioni e di ricerca che potrebbe costituire un

contributo concreto per realizzare gli scopi del prossimo Expo.

FARMACOPEA E FITOTERAPIA

Una ricerca mirata e un approccio alle biotecnologie può riguardare sia il settore

farmaceutico, di cui l’Italia è un leader di mercato e quello della fitoterapia. La

collaborazione con la conoscenza tradizionale che vive in luoghi in cui ancora è presente

l’80% della biodiversità del mondo deve essere vista come occasione e opportunità per

creare una nuova concezione di partnership, contratti e royalties, salvaguardia dei diritti di

proprietà intellettuale.

CITTA’ ELETTRICA E PARCHI AGROECOLOGICI

Il fenomeno dell’urbanizzazione pone un problema importante, che riguarda il 70% della

popolazione mondiale, ovvero quello di aumentare l’efficienza complessiva di un

ecosistema, come quello urbano, in cui avvengono una moltitudine di scambi e il cui

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innalzamento dell’entropia complessiva deve essere compensato attraverso l’immissione di

flussi energetici consistenti.

Se ciò e vero, la città dovrebbe diventare sempre di più elettrica, ovvero puntare su una

fonte di energia ad alto rendimento evitando combustioni, oppure ibrida, operando in un

regime di coppia massima usando reti di tele riscaldamento e tele raffreddamento.

La città elettrica a bassa entropia naturalmente è una variante del concetto di smart city cui

si deve accompagnare l’ottimizzazione dei flussi di informazione e delle modalità di

trasporto e logistica.

Le città sono, però, anche agricole. La realizzazione di Parchi agro-ecologici (PAE®), con

biodiversità e colture, permetterà di riqualificare il sistema urbano agricolo. I PAE

permetteranno di salvaguardare sia la produzione di cibo, sia la biodiversità consentendo di

unificare le molte cesure tra centro, periferia e hinterland dell’ecosistema urbano.

Si tratta di progettare insediamenti umani che imitano gli ecosistemi naturali, che

permettano, con lo sviluppo dell’asimmetria delle strutture e con lo sviluppo dell’agricoltura

locale tradizionale, di ripristinare l'equilibrio di sistemi urbani critici.

La città elettrica sarà lenta negli spostamenti, veloce nei flussi di informazione, in grado di

nutrirsi con prodotti di qualità e ad alto livello di rendimento energetico, perché corrisponde

alle indicazioni dei MDGs (oggi SDGs), al Protocollo di Kioto, alle tre Convenzioni di Rio:

UNCCD, UNCBD, UNFCCC. PAE corrisponde anche alle indicazioni dell’UE incluse nel

documento finale della Conferenza Rio+20: “Il futuro che vogliamo”.

LA BIOECONOMIA PER RISOLVERE LA POVERTA’

Il concetto di povertà ha attraversato la storia del mondo occidentale con un ruolo

determinante in momenti decisivi per il suo sviluppo e ne alimenta intensamente il

complesso della riflessione etica, filosofica, politica, scientifica. A queste ultime è conferita

la nobile prerogativa di sanarne definitivamente la piaga, ma per farlo occorre riflettere sulle

cause e sulla definizione di povertà.

Dal punto di vista occidentale i poveri sono coloro che hanno un reddito pro-capite inferiore

ad un dollaro o a due dollari al giorno, insufficiente a garantire salute e benessere. In questa

visione l’obbiettivo da raggiungere è il reddito e la capacità di consumo.

Dal punto di vista tradizionale o indigeno, povero è colui che non è in grado di mangiare

due volte al giorno. In questa definizione è contenuta un’informazione fondamentale: la

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condizione più elementare e necessaria per la vita di un essere umano è il poter mangiare. In

questo caso l’obbiettivo da raggiungere è il cibo. Apparentemente questa definizione è una

versione elementare della prima, se s’intende il “mangiare due volte” come assorbito nel

calcolo dei consumi individuali. In realtà si tratta di rappresentazioni molto diverse

Nella definizione occidentale l’agricoltura è associata ad un più elevato livello di benessere

e la raccolta appare come una tecnica primitiva, mentre nella definizione indigena si

individua nel cibo la prima risorsa di una comunità ed essa e i suoi membri non sono

“poveri” se sanno come procurarlo. In questa definizione ciò che è ricchezza per una

comunità non soddisfa alcuna classificazione comparativa delle tecniche perché ciò che

conta è il cibo, come risultato dell’applicazione di ogni tecnica utile per ottenerlo.

Nella conoscenza e nelle regole tradizionali alimentari e sociali, sono contenute le tecniche

necessarie al sostentamento di una comunità. Perdere questa conoscenza significa perdere la

capacità di provvedere al cibo e quindi entrare a far parte della geografia della povertà e

della fame. Povertà e fame estrema, colpiscono in particolare aree geografiche e popolazioni

che hanno subito nei secoli sfruttamento, schiavitù, deportazione di milioni di persone e, di

conseguenza, conflitti e catastrofi umanitarie ed ambientali, come il processo di

desertificazione, senza trovare una soluzione adeguata.

Il fenomeno della povertà e della fame è un problema che nelle aree più a rischio sembra

non ammettere soluzioni e che si presenta estremo, radicato e incurabile. La produzione di

cibo senza regole è responsabile, ad esempio, di circa un quinto del totale delle emissioni di

gas serra. Agricoltura e allevamenti intensivi in Africa, che rappresentano un'ampia

percentuale dell'estensione complessiva del territorio, hanno forti conseguenze ecologiche e

sulla povertà; la produzione di carne monopolizza grandi aree di terra dedicate

all’allevamento e alla produzione di foraggio e causa un enorme spreco di risorse di acqua e

di cibo.

Bisogna però considerare che la presenza di comunità e popoli, in grado di gestire la propria

esistenza in relazione con l’ambiente circostante anche nelle condizioni più estreme, può

essere interpretata come la prova della validità della diversità culturale nel contesto generale

dell’economia vitale.

Un programma serio di cooperazione internazionale finalizzato a garantire la sicurezza del

cibo, dell’energia, dei servizi e di altri prodotti materiali e per combattere la povertà deve

essere basato, prima di tutto, sul riconoscimento e l’uso appropriato delle risorse locali. Per

questo sono necessari interventi di assistenza tecnica, bioeconomica, agroecologica, eco-

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produttiva di alto valore economico, sociale e tecnico, per la conversione di materiali

biologici di base in prodotti alimentari, medicinali, ed energetici.

In tale contesto si dovrebbero orientare gli interventi e la progettazione verso un approccio

bioeconomico teso a ristrutturare le conoscenze tradizionali per ripristinare i relativi

ambienti e risorse, alimentari e culturali.

INDICAZIONI PROPOSTE PROGETTI

ENERGIA

Ridurre i consumi di energia;

Aumentare l’efficienza energetica nell’industria, in agricoltura, nelle abitazioni, nei

trasporti;

Migliorare le prestazioni energetiche e ambientali delle centrali termoelettriche e

idroelettriche esistenti;

Migliorare le prestazioni energetiche e ambientali di tutti i combustibili disponibili

per almeno 30 anni;

Consentire la costruzione di nuove centrali, solo di piccola taglia, solo per uso locale

e previo consenso partecipato dei cittadini coinvolti;

Sviluppare la cogenerazione elettricità calore;

Sviluppare il teleriscaldamento e il teleraffreddamento;

Sviluppare la ricerca su idrogeno e fusione fredda e sulle tecnologie di trasferimento

dell’energia;

Consentire l’uso delle energie “rinnovabili”, solo se si garantisce un rendimento

netto, certificato, non inferiore al 40% per 30 anni e previa analisi del rischio

ambientale;

Limitare o escludere l’uso di biomasse e dei suoli per usi energetici;

Defiscalizzazione e incentivi su ricerca fonti energetiche rinnovabili e tecnologie di

trasferimento dell’energia elettrica, ad alta efficienza.

CITTA’ ELETTRICA

Si tratta di progettare insediamenti umani che imitano gli ecosistemi naturali, che

permettano, con lo sviluppo dell’asimmetria delle strutture e con lo sviluppo dell’agricoltura

locale tradizionale, di ripristinare l'equilibrio di sistemi urbani critici.

Nella città sarà consentito solo l’uso di energia elettrica che è la produzione a più alta

efficienza realizzata dall’uomo.

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L’energia viene prodotta fuori della città con la cogenerazione e trasportata nella città con il

teleriscaldamento e il teleraffreddamento. L’energia entra nella città solo sotto forma di

elettricità, di calore e di freddo.

Nella città non sarà consentita alcuna combustione.

Le attività produttive ad alto impatto ambientale ed energetico saranno fuori dalla città,

mentre saranno consentite attività produttive di piccole dimensioni a basso impatto

ambientale ed energetico.

I rifiuti industriali dovranno essere abbattuti dai produttori.

Saranno consentite attività commerciali e dei servizi a basso impatto ambientale e ad alta

efficienza energetica, certificati.

Sarà incentivato l’uso dei mezzi pubblici elettrici ad alto rendimento energetico e sociale.

Si dovrà ridurre fino ad esaurirsi l’uso di batterie.

Agricoltura e biodiversità potranno penetrare nella città.

I rifiuti saranno trattati in centrali fuori dalla città con cicli sostenibili localmente ad alta

efficienza energetica e ambientale.

Imballaggi e rifiuti dovranno essere ridotti e comunque riciclabili e biodegradabili. Incentivi

e facilitazioni fiscali potranno essere concessi ai produttori virtuosi di merci.

ANIMALI E NUTRIZIONE

Ridurre gli allevamenti intensivi.

Biotecnologie orientate alla diversità dei prodotti e dei progetti.

Valorizzazione della conoscenza tradizionale tramite partnership innovative e forme

contrattuali che riconoscano i diritti collettivi su biotecnologie, prodotti e processi

innovativi.

COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Uso della bioeconomia per un nuovo concetto di aiuto allo sviluppo teso al ripristino della

conoscenza tradizionale.

MERCATO E CONCORRENZA

Procedure di elezione delle autorità Garanti della Concorrenza tramite audizioni pubbliche

nelle commissioni competenti e consenso parlamentare.

PARCHI AGROECOLOGICI, PARCHI ECOPRODUTTIVI. Si tratta di progettare insediamenti che permettano, con lo sviluppo dell’agricoltura locale

tradizionale, di ripristinare l'equilibrio di sistemi degradati e non e per definire nuove aree

di sviluppo e programmi economici e di cooperazione allo sviluppo che dipendono dalle

condizioni ecologiche e dall’uso appropriato delle risorse scarse biologiche, naturali e

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locali. Un progetto per l'utilizzo di prodotti e beni nei settori agricolo, alimentare,

conserviero, chimico, energetico e altri per la sicurezza e per generare reddito attraverso

programmi di produzione innovativi. Esso prevede la realizzazione di Parchi Agroecologici

e di Parchi Eco-Produttivi, nonché strutture e piani per la tutela della biodiversità, nutrire le

città, i villaggi, la gente e programmi per curarsi con gli alimenti. Si fa uso dell’agricoltura

permanente con cui si preserva la fertilità naturale della terra tramite l’imitazione della

natura applicando un approccio olistico che tenti la costruzione di un equilibro fra ambiente

naturale e presenza umana in zone critiche, con la realizzazione di strutture tecnologiche

produttive ad uso produzione industriale e agroindustriale.

(RI)EDUCAZIONE PERMANENTE per ricostruire i legami perduti, conoscitivi e

tradizionali con l’ambiente produttivo preesistente ed applicare i principi e le strategie

ecologiche utili.

Un obiettivo sarà rappresentato dal fatto che dovrà trattarsi di un programma a favore della

comunicazione accessibile a sostegno del superamento del digital divide nei confronti

d’alcune categorie sociali o d’intere zone. In accordo alle linee guida e a normative

internazionalmente riconosciute per i progetti formativi in modalità e-learning nelle PA, il

progetto dovrà essere accessibile e usabile, senza divario digitale. Si devono lanciare

programmi per un sapere minimo partecipativo che riguardi Entropia , Ecologia, Diversità,

sistemi complessi, fotosintesi clorofilliana e organizzare allo scopo corsi e master

interdisciplinari.

ORGANIZZAZIONE PERMANENTE. Limitare il nostro consumo alle nostre necessità per condividere le risorse della terra.

L’organizzazione permanente per gestire collettivamente beni e risorse comuni come cibo,

energia, acqua, e per ricostituire i livelli di benessere e civiltà, che risultino sostenibili da un

punto di vista ecologico, sociale e civile. L’idea è quella di organizzarsi collettivamente in

modo che la diminuzione della produzione di merci non costituisca riduzione dei livelli di

civiltà. Organizzare una campagna per l’analisi del rischio climatico permanente e per

sicurezza alimentare ed energetica risponde alla necessità di stabilire condizioni di benessere

che garantiscono la sostenibilità e il benessere.

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23 Via Vitorchiano 23 – 00189 - Roma

Tel. +39 3330078 – Fax +39 1782265867 - Mail: [email protected]

COBASE – Cooperativa Tecnico Scientifica di Base

Per sostenibilità intendiamo l’aumento della diversità o,

almeno, il suo mantenimento

ALTRI PROGETTI

COBASE HOLISTIC DATABASE (CHDB)

Danni - Cause - Riparazioni

Sostenibilità Ambientale e Povertà

Il database CHDB, finalizzato alla soluzione dei Problemi Ambientali e della Povertà, è

costruito nel pieno rispetto della proprietà intellettuale e delle regole della comunicazione

accessibile. Il database, una

raccolta organizzata di dati e

documenti, è progettato come

uno strumento tecnico-

scientifico operativo e sarà

collegato ai portali della

sostenibilità ambientale, della

povertà e della diversità

culturale che sono il luogo del

confronto e dello scambio delle

conoscenze. Il CHDB, a

disposizione dei popoli e paesi

coinvolti, dei Laboratori di

Ricerca, del MAE consente

studio, ricerca, trasferimento di dati, di procedure e pratiche tradizionali e moderne nei

luoghi di intervento e di studio. Una raccolta di danni ambientali, cause e riparazioni.

PARCO AGROECOLOGICO

MAE- EXPO 2015

CURARSI CON IL CIBO IN AFRICA

LA FABBRICA DEL BAOBAB

CURARSI CON IL CIBO IN AMERICA

LA FABBRICA DEL MAIS

ITALY FOR SUSTAINABILITY (IFS) PER UN NUOVO SVILUPPO

BIOECONOMIA E SVILUPPO OLTRE LA CRISI UN NUOVO MONDO

PARCHI AGROECOLOGICI DESERTIFICAZIONE CAMBIAMENTI CLIMATICI

POVERTY KNOWLEDGE

Con il progetto di sviluppo e multidisciplinare (salute, educazione, economia, agricoltura)

Poverty Knowledge (PK) della COBASE, si intendono creare sistemi produttivi che durano

nel tempo e che sono sostenibili, equilibrati e stabili, ovvero in grado di superare il

\

CHDB

COBASE

HOLISTIC

DATABASE

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24 Via Vitorchiano 23 – 00189 - Roma

Tel. +39 3330078 – Fax +39 1782265867 - Mail: [email protected]

COBASE – Cooperativa Tecnico Scientifica di Base

Per sostenibilità intendiamo l’aumento della diversità o,

almeno, il suo mantenimento

problema della fame e di mantenersi e rinnovarsi con un basso input di risorse. Si dovrà

produrre cibo in maniera sufficiente per combattere la povertà e la fame e fornire assistenza

nutrizionale e terapeutica in particolare ai bambini. Per sviluppare questo programma è

necessario attuare l’indicazione “Aiutare gli altri ad aiutare se stessi”, prendendosi cura

della terra, degli animali, delle piante e della gente e condividere le risorse.

I progetti della COBASE soddisfano le indicazioni dei MDGs e dell’Agenda 21, nonché le

prescrizioni delle tre Convenzioni di Rio - UNCCD (the United Nations Convention to

Combat Desertification), CBD (the Convention on BiologicalDiversity) e UNFCCC (the

United Nations Framework Convention on ClimateChange).

PAROLE CHIAVE

Omeostasi, asimmetria, concorrenza perfetta, entropia, sostenibilità, entropia,

ASSI DI INTERVENTO DELLA BIOECONOMIA

Diritti umani, agricoltura, diversità biologica, ecologia, sistemi di mercato, lotta agli

oligopoli, gestione delle risorse, cooperazione internazionale, risoluzione culturale dei

conflitti, proprietà intellettuale, lotta alla povertà.

COMMISSIONI PARLAMENTARI INTERESSATE

Esteri, Attività Produttive, Finanze, Agricoltura, Cultura, Affari Sociali, Ambiente,

Giustizia.

MINISTERI INTERESSATI

Esteri, Sviluppo Economico, Ambiente, Infrastrutture, Giustizia, Economia

CONVENZIONI INTERNAZIONALI E ARENE INTERNAZIONALI

INTERESSATE

Convention On Biological Diversity (CBD), Council Of Human Right, United Nations

Framework Convention on Climate Change (UNFCCC), United Nations Convention to

Combat Desertification (UNCCD), United Nations Convention on the Rights of Persons

with Disabilities (UNRPD), Commission on Sustainable Development, UN Permanent

Forum On Indigenous Issues (UNPFII),UN Human Settlements Programme

(UNHABITAT), UN Industrial Development Organization (UNIDO)