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41 il medico omeopata Biodinamica, malattia e similitudine Parte terza: Omeoterapia (la cura mediante il “simile”) Introduzione Dopo aver messo in luce, nei precedenti lavori di questa serie, le basi fisiologiche che sottostanno alla concezione omeopa- tica di “forza vitale” (1) e le teorie ezio- patogenetiche sulla “malattia” che sono coerenti con tale concezione (2), qui si affronta la questione dei possibili modi d’azione della terapia omeopatica. Qualsiasi campo della terapia medica pre- senta un’ampia serie di problemi, affron- tabili con l’investigazione scientifica, compendiabili in due grandi filoni: da una parte le prove d’efficacia clinica, dal- l’altra le ipotesi e le teorie sul meccanismo d’azione. In questa sede non v’è spazio per affrontare la questione degli studi cli- nici, un argomento in ogni modo reperi- bile nella letteratura medica corrente: prove d’efficacia ci sono, basta volerle e saperle trovare (utilizzando metodi cor- retti e adeguati). I risultati dei trials e degli studi osservazionali sono stati il più delle volte positivi, ma non mancano lavori negativi ed altre volte controversi, come avviene in molti settori della ricerca clinica avanzata. In questo lavoro con- centriamo l’attenzione sulle spiegazioni scientifiche e razionali dell’omeopatia e particolarmente del principio-cardine ela- borato da Hahnemann, la similitudine. Come dice L.J. Boyd, autore di un testo molto utile per comprendere l’evoluzione del rapporto tra omeopatia e scienza: L’omeopatia s’interessa del principio di similitudine e della sua applicazione nel trattamento delle malattie. Se tale prin- cipio, propriamente interpretato, fosse falso, l’intera struttura dell’omeopatia automaticamente crollerebbe e non ci sarebbe molto da dire di più. Quindi è logico che si debba dirigere maggiore attenzione a questo punto-chiave” (3). Per concentrare l’attenzione sul “simile” abbiamo scelto di riservare solo qualche cenno alla pur importante questione delle dosi cosiddette infinitesimali, anche perché essa è di portata così ampia da richiedere specifiche trattazioni, per cui si rimanda alla bibliografia (4-7). È oppor- tuno, a tale proposito, ricordare che molte linee di ricerca stanno fornendo supporto all’ipotesi che il principio di similitudine (quindi l’omeopatia) sia applicabile nel campo delle basse dilui- zioni di medicinali come in quello delle alte diluizioni. Infatti, tale principio, se si dimostra valido nella regolazione farma- cologica-molecolare (quella maggior- mente considerata dal paradigma scienti- fico prevalente in medicina) vale anche nel campo delle regolazioni cibernetiche di tipo biofisico-elettromagnetico (8-12) e persino psico-sociale, che usano diversi linguaggi. Lo scambio di informazioni biologiche è talmente importante per la connessione delle reti e l’organizzazione dei fenomeni vitali che la natura ha svi- luppato molteplici sistemi di comunica- zione, servendosi di vari supporti per raggiungere lo stesso scopo, vale a dire la regolazione omeodinamica ottimale dei sistemi stessi e l’interscambio energetico- informazionale con l’ambiente. Eppure, le “regole del gioco” (che non è poi tanto un “gioco”, trattandosi della vita e della morte) sono fondamentalmente le stesse e sono quelle dei sistemi dinamici e com- plessi. Pertanto, per comprendere i possi- bili meccanismi della similitudine omeo- Omeopatia e scienza Paolo Bellavite [email protected] Professore di Patologia Generale, Università di Verona SUMMARY Biomedical therapy is conventionally addressed to correc- tion of single or multiple environmental and genetic fac- tors but this approach often fails, due to undervaluation of the true complexity of individual diseases. The homeopa- thic approach is aimed to introduce systemic regulation, in order to recruit the associative memory of the network in a way that is coherent with its endogenous healing capa- bility. In order to do this, the medicine should carry a glo- bal pattern of informations that increases network con- nectivity and addresses its trajectories in the energy space. The simile” medicine may be perceived by specific centers (or “nodes”) of network regulatory systems as a complex information, regarding whole disease dynamics. Looking at the problem of chronic diseases as new pathologic attractors, the medicine should be able of “unsticking” the system from this attractor, shifting it in opposite direction and “catching” it on the rebound which the network natu- rally produces in response to any disturbance. The pheno- menon of “inversions of effects” or “paradoxical pharma- cology” may activate an integrated local feedback. Symptom patterns are external expressions of complex reactions caused by a medicine (in sensitive provers) and by disease (in sick persons): so, the classical “similitude of symptoms” - according to which the correct drug may be chosen on the basis of careful analysis of symptoms - may bypass the possible ignorance of molecular details of disease. High specificity of remedy actions may be based on the sensitization (priming) of involved network nodes and on the complexity and coherence of remedy actions at various levels. Since ultra-low doses of medicines are used, they touch only nodes having enhanced susceptibi- lity. So we have several different mechanisms of operation for the simile, which are not in contrast but may superim- pose according to different situations.

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41 il medico omeopata

Biodinamica, malattia e similitudineParte terza: Omeoterapia (la cura mediante il “simile”)

IntroduzioneDopo aver messo in luce, nei precedentilavori di questa serie, le basi fisiologicheche sottostanno alla concezione omeopa-tica di “forza vitale” (1) e le teorie ezio-patogenetiche sulla “malattia” che sonocoerenti con tale concezione (2), qui siaffronta la questione dei possibili modid’azione della terapia omeopatica.Qualsiasi campo della terapia medica pre-senta un’ampia serie di problemi, affron-tabili con l’investigazione scientifica,compendiabili in due grandi filoni: dauna parte le prove d’efficacia clinica, dal-l’altra le ipotesi e le teorie sul meccanismod’azione. In questa sede non v’è spazioper affrontare la questione degli studi cli-nici, un argomento in ogni modo reperi-bile nella letteratura medica corrente:prove d’efficacia ci sono, basta volerle esaperle trovare (utilizzando metodi cor-retti e adeguati). I risultati dei trials edegli studi osservazionali sono stati il piùdelle volte positivi, ma non mancanolavori negativi ed altre volte controversi,come avviene in molti settori della ricercaclinica avanzata. In questo lavoro con-centriamo l’attenzione sulle spiegazioniscientifiche e razionali dell’omeopatia eparticolarmente del principio-cardine ela-borato da Hahnemann, la similitudine.Come dice L.J. Boyd, autore di un testomolto utile per comprendere l’evoluzionedel rapporto tra omeopatia e scienza:“L’omeopatia s’interessa del principio disimilitudine e della sua applicazione neltrattamento delle malattie. Se tale prin-cipio, propriamente interpretato, fossefalso, l’intera struttura dell’omeopatiaautomaticamente crollerebbe e non ci

sarebbe molto da dire di più. Quindi èlogico che si debba dirigere maggioreattenzione a questo punto-chiave” (3). Per concentrare l’attenzione sul “simile”abbiamo scelto di riservare solo qualchecenno alla pur importante questione delledosi cosiddette infinitesimali, ancheperché essa è di portata così ampia darichiedere specifiche trattazioni, per cui sirimanda alla bibliografia (4-7). È oppor-tuno, a tale proposito, ricordare chemolte linee di ricerca stanno fornendosupporto all’ipotesi che il principio disimilitudine (quindi l’omeopatia) siaapplicabile nel campo delle basse dilui-zioni di medicinali come in quello dellealte diluizioni. Infatti, tale principio, se sidimostra valido nella regolazione farma-cologica-molecolare (quella maggior-mente considerata dal paradigma scienti-fico prevalente in medicina) vale anchenel campo delle regolazioni cibernetichedi tipo biofisico-elettromagnetico (8-12)e persino psico-sociale, che usano diversilinguaggi. Lo scambio di informazionibiologiche è talmente importante per laconnessione delle reti e l’organizzazionedei fenomeni vitali che la natura ha svi-luppato molteplici sistemi di comunica-zione, servendosi di vari supporti perraggiungere lo stesso scopo, vale a dire laregolazione omeodinamica ottimale deisistemi stessi e l’interscambio energetico-informazionale con l’ambiente. Eppure, le“regole del gioco” (che non è poi tanto un“gioco”, trattandosi della vita e dellamorte) sono fondamentalmente le stessee sono quelle dei sistemi dinamici e com-plessi. Pertanto, per comprendere i possi-bili meccanismi della similitudine omeo-

Omeopatia e scienza

Paolo [email protected] di Patologia Generale, Università di Verona

SUMMARY

Biomedical therapy is conventionally addressed to correc-tion of single or multiple environmental and genetic fac-tors but this approach often fails, due to undervaluation ofthe true complexity of individual diseases. The homeopa-thic approach is aimed to introduce systemic regulation, inorder to recruit the associative memory of the network ina way that is coherent with its endogenous healing capa-bility. In order to do this, the medicine should carry a glo-bal pattern of informations that increases network con-nectivity and addresses its trajectories in the energy space.The simile” medicine may be perceived by specific centers(or “nodes”) of network regulatory systems as a complexinformation, regarding whole disease dynamics. Lookingat the problem of chronic diseases as new pathologicattractors, the medicine should be able of “unsticking” thesystem from this attractor, shifting it in opposite directionand “catching” it on the rebound which the network natu-rally produces in response to any disturbance. The pheno-menon of “inversions of effects” or “paradoxical pharma-cology” may activate an integrated local feedback.Symptom patterns are external expressions of complexreactions caused by a medicine (in sensitive provers) andby disease (in sick persons): so, the classical “similitude ofsymptoms” - according to which the correct drug may bechosen on the basis of careful analysis of symptoms - maybypass the possible ignorance of molecular details ofdisease. High specificity of remedy actions may be basedon the sensitization (priming) of involved network nodesand on the complexity and coherence of remedy actionsat various levels. Since ultra-low doses of medicines areused, they touch only nodes having enhanced susceptibi-lity. So we have several different mechanisms of operationfor the simile, which are not in contrast but may superim-pose according to different situations.

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patica è possibile, almeno in primaapprossimazione, ragionare in terminimolecolari (ad esempio secondo il para-digma ligando-recettore) i quali sonomolto più familiari alla cultura medico-scientifica corrente. Fra l’altro, l’omeo-patia è nata e si è sviluppata all’inizioutilizzando dosi piccole – ma ponderali –di sostanze e la diluizione estrema, intro-dotta in seguito, non comprende che unaparte dei medicinali omeopatici.

1. La terapia razionaleIn ogni pratica della medicina, una certaconcezione di malattia determina l’impo-stazione diagnostica e l’intervento tera-peutico, anche se ciò non è immediata-mente percepito e riconosciuto. È pertantonecessario domandarsi se l’omeopatia, edin particolare la similitudine, suo prin-cipio-cardine, siano coerenti con le attualiconoscenze di fisiopatologia. In casoaffermativo, l’omeopatia dovrebbe trovaresistemazione tra le discipline medico-scientifiche: la “scientificità”, infatti, nondipende tanto dalle “prove d’efficacia” –sempre provvisorie e discutibili soprat-tutto in campo farmacologico - quanto daiprincipi teorici e dall’adesione al metodosperimentale. In caso contrario, invece,l’omeopatia sarebbe destinata a restare trale pratiche mediche dall’incerto statutoepistemologico e dalla dubbia eticità diapplicazione in campo medico: la medi-cina, infatti, è un’arte ma anche unascienza (si può invertire il binomiosecondo i punti di vista); le due compo-nenti sono complementari ed inscindibili. Per comprendere adeguatamente il possi-bile modo d’azione dell’omeopatia, ènecessario inquadrare il problema all’in-terno di una concezione di patologia adimpostazione sistemica, che trova moltosostegno nelle scoperte della scienza bio-medica, pur non essendo (ancora) laveduta prevalente nella medicina con-venzionale (13,14). Sintetizzando al mas-simo quanto esposto nei precedenti lavoridi questa serie (1,2) ed in un recentelavoro di rassegna (15), le malattie sonofenomeni complessi e dinamici di cui sipossono evidenziare i seguenti aspetti: 1. Per quanto riguarda le cause, vi sonomalattie in cui è presente una causa ben pre-

cisa (es. le malattie genetiche a trasmissionemendeliana, i traumi, le epidemie, ecc.) emalattie in cui sono evidenziabili molti fat-tori patogeni esterni e interni, nessuno deiquali decisivo ma piuttosto concorrente allapatologia (le cosiddette malattie multifatto-riali). La maggior parte delle malattie, cheaffliggono le moderne società occidentali,sono di questo secondo tipo.2. Per quanto riguarda i possibili mecca-nismi attraverso i quali il fattore patogenocausa il danno e le successive dinamichereattive dell’organismo, anche qui si evi-denziano due aspetti: da una parte è possi-bile identificare dei precisi meccanismimolecolari implicati (per fare un esempio,nell’infiammazione la produzione di pro-staglandine, nella trombosi un difetto di unfattore anti-coagulante, nell’autoimmunitàun particolare antigene di istocompatibi-lità), dall’altra si evidenziano i comporta-menti dinamici e complessi (auto-organiz-zazione, non-linearità, biforcazioni, eventiquantistici, caos). Come si è ampiamentedimostrato, questo secondo “punto di vista”sulla patogenesi è solitamente sottovalu-tato, ma ha spesso un’importanza decisivanella “scelta” evolutiva (o distruttiva) delsistema biologico. Salute e malattia sonoproprietà sistemiche, legate all’efficienza dellecomunicazioni interne (reti) e agli scambi dienergia con l’ambiente (figura 1).3. I principali processi reattivi e fisiopa-tologici hanno una “doppia faccia”, posi-tiva e negativa assieme e spesso difficil-mente distinguibile (es. infiammazione,coagulazione, crescita cellulare/apoptosi,immunità, ecc.). Ciò rende difficile iden-tificare il giusto intervento regolatorecon un approccio riduzionistico e mecca-nicistico classico.Accentuare l’importanza dei fenomenicomplessi non cambia di una virgola leconoscenze anatomopatologiche, biochi-miche e molecolari, solo le colloca in unacornice adeguata e realistica, che tieneconto delle variazioni dinamiche (neltempo) e dei collegamenti sistemici. La visione dinamica del processo patolo-gico (2), cui è necessario riferirsi per col-locare nella giusta posizione l’interventomedico, è condensata in figura 1. Lastoria patobiografica dell’individuo, rap-presentata da fattori predisponenti di tipo

genetico e di incontri con i molteplici fat-tori patogeni, presenta continuamentefasi reattive lontane dall’equilibrio, nellereti omeodinamiche locali e sistemiche(schema 1). L’evoluzione di tali processireattivi nella maggior parte dei casi ter-mina col raggiungimento spontaneo(auto-organizzazione) di nuovi stati d’e-quilibrio, descrivibili come attrattorifisiologici (schema 2). Tuttavia, quando ildanno è molto grave e/o non è rapida-mente riparato, il sistema continua adallontanarsi dall’equilibrio (malattiaacuta, schema 3), oppure si sposta in unnuovo attrattore (malattia cronica,schema 4). La malattia cronica rappre-senta un fattore predisponente ad unaprogressione acuta o cronica (schema 5).Si è spiegato che l’“errore di valutazione”che spesso causa la malattia può essereidentificato anche (non solo) in unoscarso controllo sistemico (nodo “S”)delle dinamiche locali della rete. La malattia “acuta” può guarire sponta-neamente – anche se spesso a prezzo dimarcati sintomi e di perdite di tessuto -perché appartiene allo stesso “bacinod’attrazione” della fase reattiva e dell’at-trattore fisiologico, ma può costituire unmomento critico in cui il sistema cambiail bacino di attrazione. La malattia cro-nica consiste sia in una forma di “adatta-mento”, cosicché il nuovo attrattore in séè una forma di ordine con una certa sta-bilità energetica, sia in un “disordine”della gestione dell’energia, quindi dellecomunicazioni e delle informazioni,espresso nello schema 4 come un “blocco”del flusso informativo tra i nodi (nellafattispecie tra il nodo A ed il nodo B).Essenzialmente per questi due motivi lamalattia cronica non può guarire da solae, allo stesso tempo, è questo il punto incui si può vedere un grande spazio per unintervento terapeutico basato sulla com-plessità dell’informazione sistemica (comequello omeopatico), piuttosto che per unintervento settoriale e meccanicistico(come quello allopatico)1.

1. Qui per allopatia intendiamo in senso lato la medicina chesi oppone alla malattia cercando di controbattere i sintomiderivanti dalle reazioni del corpo, più che la causa. In sensostretto, Hahnemann aveva chiamato questa medicina “anti-patica”, mentre per allo-patia intendeva il tentativo dicurare “deviando” verso altri organi o altre manifestazioni

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Biodinamica, malattia e similitudine

Questa sommaria presentazione è suffi-ciente per impostare razionalmente iltema dei possibili interventi medici. Afronte di qualsiasi malattia, la prima“cura” è rimuovere la causa, come soste-neva - ed è importante rilevarlo - lostesso Hahnemann: “Si capisce che ilmedico intelligente deve dapprima allon-tanare la causa occasionale: in tal caso ilmale sparisce di solito da sé. Egli dovràquindi allontanare dalla stanza fiori dalforte odore, se provocano svenimenti estati isterici, estrarre dalla cornea corpiestranei che producono fatti flogistici,togliere il bendaggio troppo stretto, ecc...”(Organon, 6 ed., nota al par. 7).Se non è possibile o sufficiente agire sullacausa, si può cercare di agire sui mecca-nismi di reazione, o puntando a diminuirei sintomi (ciò vale soprattutto per lemalattie acute) o favorendo il processo diguarigione (terapia di regolazione). Ed è

proprio qui che sorgono i problemi, con-cettuali e pratici. Se è vero che sarebbesempre auspicabile ridurre i sintomi dellemalattie – ed i mezzi farmacologici e nonsolo sono molteplici – è altrettanto veroche non sempre è opportuno puntare solosui sintomi come obiettivo della terapia.Nelle malattie acute, risolvere i sintominon è sufficiente - ad esempio se si trattadi malattie infettive - ed è talvolta persinocontroproducente quando l’analgesico,l’antinfiammatorio o l’ansiolitico soppri-mono delle importanti funzioni regolativedell’organismo. Nelle malattie croniche,l’impostazione prevalentemente sintoma-tologica tende a perpetuare la malattia,aggiungendo ad essa i problemi tipici deitrattamenti cronici, specialmente glieffetti avversi dei farmaci. Non inten-diamo soffermarci su questo tema perchéporterebbe troppo lontano dall’obiettivodella presente trattazione, ma si può rile-vare che l’accusa di “assurdità scientifica”- avanzata frequentemente contro l’o-meopatia da rappresentanti di istituzionimediche ufficiali e di prestigiosi centri diricerca farmacologia - andrebbe, piut-tosto, ribaltata contro quei metodi tera-peutici che pretendono l’efficacia senzatener conto delle vere e profonde dina-miche che regolano la salute e la malattia.Rimane quindi il tema della regolazione,vastissimo campo d’incontro e integra-

zione di diverse impostazioni preventive eterapeutiche: scienze dell’alimentazione,fisioterapia, psicoterapia, immunoterapia,medicine complementari (16,17).In teoria, anche la medicina ad imposta-zione riduzionista e meccanicisticapotrebbe tentare di affrontare il tema dellaregolazione, puntando sulla definizionedei diversi livelli – molecolari, cellulari,organici e funzionali – dove si dimostrauna dis-regolazione. Tuttavia, quando esi-stono tanti meccanismi e tra loro intrec-ciati, tale approccio mostra dei limiti teo-rici e pratici quasi insanabili. Di fatto, afronte delle malattie complesse e multifat-toriali la moderna medicina meccanici-stica, pur con tutti i suoi meriti, si trova inuna “impasse” non così lontana da quellache giustificò il tentativo di innovazionedi Hahnemann. Questa impasse teoricagiustifica l’emergere della medicina“basata sulle evidenze”: visto che non èpossibile conoscere e dominare la com-plessità del fenomeno, ci si accontenta disapere se un certo farmaco è statistica-mente più efficace che dannoso. Ma laprobabilità statistica non soddisfa total-mente le necessità di cura individuali.D’altra parte, si spiega la crescita dellemedicine che hanno radici concettuali ditipo “sistemico” (omeopatia, medicinacinese e indiana, varie pratiche psicotera-piche e fisioterapiche complementari).Purtroppo, la medicina accademica emolte istituzioni mediche ufficiali, salvoeccezioni, non pare si rendano conto dellecause profonde di questa impasse (attri-buendola ad esempio solo al deteriorarsidell’approccio umanistico, mentre il pro-blema è anche e soprattutto di tipo scien-tifico e metodologico). Piuttosto, si assistea prese di posizione dure e scomposte, masoprattutto irrealistiche, come se il nemiconon fossero le malattie ma le medicine checercano in qualche modo approcci alter-nativi al problema. Il diffondersi di medi-cine sistemiche è un sintomo, non la causadel malessere della medicina.

2. La malattia “simile”Passiamo quindi a considerare meglio laproposta dell’omeopatia, ripartendo pro-prio dal primo paragrafo dell’Organon.Hahnemann sosteneva che lo scopo della

Figura 1. Riassunto delle varie fasi di malattia, rappresentate concettualmente come modifiche delle reti omeodinamiche nello spazio dell’energia (v. bibliografia 1,2,15). A-B-C-D-E: nodi della rete locale; S: nodi esterni alla rete, controllo sistemico.

la forza della malattia (esempio i purganti, i diuretici e tuttele pratiche che causavano manifestazioni essudative cuta-nee). Va precisato che il termine allopatia viene impropria-mente attribuito a tutta la medicina scientifica la quale,invece, usa anche il principio di similitudine seppure inmodo molto rudimentale (ad esempio, la terapia con cito-chine, o la desensibilizzazione). Noi identifichiamo il“difetto” della medicina prevalente (convenzionale, accade-mica, istituzionale) non tanto e non solo con l’impostazioneallopatica, da molti superata almeno teoricamente, quantocon l’impostazione meccanicistica, soprattutto quando essaè presentata o praticamente seguita come quella esclusiva.Per questo, preferiamo chiamare la medicina convenzionalecome “medicina meccanicistica”.

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Omeopatia e scienza

medicina è guarire, e sapeva benissimoche la migliore terapia è quella cherimuove la causa della malattia (v. sopra),ma come guarire se non si conosce lacausa e il meccanismo della malattia?Come farlo se, di fatto, le “cause pre-cipue” sono “nascoste”? L’intuizione fondamentale di Hahnemannè nata, come indica egli stesso in uno deiprimi lavori (18), dall’osservazione chetalvolta le malattie coniche guarisconoper la sovrapposizione di una malattiasimile: “Uno imita la natura, che talvoltaguarisce una malattia cronica medianteun’altra; usa quindi nella malattia quellamedicina che è in grado di provocareun’altra malattia artificiale più similepossibile alla precedente, cosicché essasarà guarita: similia similibus”. Il razio-nale di questa proposta, apparentementebizzarra ma frutto di osservazioni meti-colose dell’autore sulle malattie infettivedel tempo, si può capire osservando lafigura 1. Partendo da una situazione dicronicità come nel caso dello schema “4”(dove è impossibile per ragioni energe-tiche e per i blocchi interni la guarigionespontanea), è plausibile che il soprag-giungere di altri fattori patogeni chesiano in grado di “evocare” la rispostareattiva che assomiglia allo schema ditipo “1” (fase di reazione) possa compor-tare per il sistema intero – che altrimenti

resterebbe nel bacino di attrazione delloschema “4” – lo spostamento dell’equili-brio dinamico verso lo schema “1”. In talcaso, la seconda malattia (perturbazionedel sistema) avrebbe un significato posi-tivo nel senso della regolazione. Infatti,la seconda malattia “simile” fa quello chela rete “intrappolata” nell’attrattore “4”non riesce a fare, in pratica attiva il nodo“B”, che è funzionale all’omeodinamicaottimale della rete, e nell’insieme spostail sistema –che si comporta in modo uni-tario - verso una posizione lontana dal-l’equilibrio (fase “1”), da cui più facil-mente raggiungere per evoluzione spon-tanea lo stato “2”, vale a dire verso l’at-trattore fisiologico. In questo ragionamento, l’importante èche le due malattie siano “simili”, perchéla guarigione non avviene se si sovrap-pongono due malattie diverse. Ciò ha unasua plausibilità poiché la rete ha a dispo-sizione moltissime varianti (gradi dilibertà) che possono essere raggiuntemediante perturbazioni delle sue dina-miche auto-organizzative (vedi il prece-dente lavoro in ref. 1), ma solo le pertur-bazioni che la porteranno verso unoschema simile alla fase “1” sono funzio-nali alla guarigione. La fase “1” e “4”hanno molti aspetti “simili”, essendo coin-volta la stessa rete. Inoltre, nella storiapatobiografica, lo schema “4” è un’evolu-

zione dinamica di “1”. Se allo schema “4”si “aggiungessero” altre perturbazioni oaltri danni completamente diversi, chenulla hanno a che fare con “1”, quindi conla storia patobiografica dell’individuo econ le capacità reattive fisiologiche neces-sarie per guarire “4”, ecco che si avrebberosolo delle complicazioni, il ritorno delloschema nello stesso attrattore o persino lospostamento in attrattori più patologicirispetto a quello attuale (schema “5”).È forse superfluo precisare che quanto quidiscusso non ha lo scopo di dimostrare larealtà dell’osservazione hahnemanniana:ciò richiederebbe ricerche adeguate e pro-babilmente, almeno sulla base delleattuali conoscenze epidemiologiche, fini-rebbe col dimostrare che l’evenienza diuna guarigione indotta da un’altramalattia “simile” è un caso alquanto raro.Qui interessa invece averne illustrata laplausibilità, nel senso che è possibile chequalche caso di questo genere si possaverosimilmente realizzare e quindi abbiaeffettivamente ispirato la fervida intui-zione del fondatore dell’omeopatia.

3. La medicina “simile”Il secondo passaggio concettuale edosservazionale di Hahnemann “assimila”le manifestazioni delle malattie spon-tanee alle manifestazioni di quellemalattie “artificiali”, che si possono pro-vocare e studiare mediante sperimenta-zioni sui soggetti sani (figura 2).In medicina si è sempre data grandeimportanza ai sintomi della malattia, maper lo più a scopo “diagnostico” (dare unnome alla malattia) o a scopo di monito-raggio (segnalando miglioramenti e peg-gioramenti). In altre tradizioni mediche esoprattutto in omeopatia, il segno-sin-tomo assume un’importanza maggiore,perché ad esso si attribuisce la capacità di“descrivere” nel modo più fine la dina-mica di malattia individuale e le proprietà“pure” (provate sul sano) dei medicinali.Tale intuizione è stata, per quei tempi, unpassaggio geniale perché ha permesso disuperare la grossolana mancanza di cono-scenze sulla natura “interna” dellemalattie (qualcosa si cominciava a cono-scere sulle modificazioni anatomiche cel-lulari e tessutali, ma prevalentemente a

Figura 2. Rappresentazione del concetto di similitudine tra malattia e medicinale. I sintomi sono l’emergere esterno del disordinedi molteplici sistemi omeodinamici interni, indotto dai fattori patogeni (nella malattia) o dai medicinali (nel proving omeopatico).

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Biodinamica, malattia e similitudine

livello di anatomia patologica, vale a direa livello di danno e non di dinamica diinformazioni biologiche e molecolari) ediniziare le sistematiche sperimentazionisull’effetto dei medicinali. Secondo la proposta omeopatica, lamalattia come disordine interno ed i sin-tomi esterni sono un unico complessofenomenologico. A tal proposito, vale lapena riportare come si esprimeva Hahne-mann: “L’osservatore imparziale, cono-scendo il nessun valore dei reperti fanta-stici, che non si possono dimostrare, nonvede nelle malattie se non le alterazionidel corpo e dello spirito riconoscibili coni sensi (sintomi) ossia le deviazioni dallostato sano, preesistente nell’individuo oramalato, deviazioni avvertite dal malatostesso, notate dai conviventi e costatatedal medico. Tutti questi segni osservaticostituiscono la malattia nel suo com-plesso totalitario, ossia costituiscono laforma morbosa vera ed unica concepi-bile”. Nota: “Non concepisco quindi comefosse possibile – al letto del malato, senzabadare accuratamente ai sintomi esecondo loro procedere alla cura – pen-sare di dover cercare e trovare il guaribiledella malattia soltanto nell’internosegreto e irriconoscibile dell’organismo e– col pretesto vanitoso e ridicolo di rico-noscere le alterazioni nell’interno invisi-bile senza badare ai sintomi – di riportarela salute con medicamenti ad azioneignota. Come è possibile chiamare questoprocedimento “cura radicale e razio-nale?” (Organon, 6a Ed., par. 6). Questo passaggio fondamentale meritaun breve commento, perché si presta acattive interpretazioni: se è vero che aitempi di Hahnemann si sapeva tantopoco dei fenomeni interni da rendereinutile ogni tentativo di definire lamalattia in termini fisiopatologici, bio-chimici e molecolari, oggi sappiamomolte più cose e possiamo tentare diidentificare molti eventi “segreti” con testdi laboratorio, indagini elettrofisiolo-giche e mediante immagini. Tuttavia, ciònulla toglie al concetto hahnemannianodell’importanza dei sintomi, perchéanche in omeopatia si potrebbe oggiaffiancare alla “presa del caso” anamne-stica anche quella strumentale. In ogni

caso, non va trascurato che i sintomihanno una grande capacità di dare infor-mazioni molto sensibili e indicative,anche sul piano soggettivo e individuale,ma per questo devono essere visti nelloro insieme: “I sintomi emergono inmodo concomitante, come patterns uniciper ciascun individuo e tipicamente coin-volgono il livello sistemico, organismico,d’organizzazione (es. astenia, problemicognitivi, cefalea, palpitazioni, distressgastrointestinale, dolori articolari), nonun singolo subsistema corporeo” (19). Èimportante considerare i sintomi comeproprietà “emergenti” della rete comples-siva e dinamica. I sintomi ed i segniesterni rappresentano un fenomeno uni-tario, che è dovuto alle modificazioniunitarie della rete omeodinamica interna.Il concetto di “pattern di sintomi” (o “sin-drome”) deve essere fortemente rivalutatosia nel proving, sia nella scelta del medi-cinale. Nella formulazione dei repertoriomeopatici i diversi sintomi registratidagli sperimentatori sono stati catalogatied a ciascun sintomo sono stati associatidiversi medicinali capaci di causarne lacomparsa (sia pure in diversi gradi d’in-tensità e di probabilità). Ciò comportache, anche se un medicinale avesse cau-sato regolarmente la comparsa simul-tanea di tre sintomi (cioè una sindrome),ciascuno dei tre sintomi nel repertoriosarebbe stato suddiviso nelle diverserubriche, perdendo l’informazione dellasindrome. Lo stesso sintomo, nel reper-torio, si trova associato a quel medici-nale, ma anche ad altri medicinali cheprovocano quel sintomo, anche se inun’altra sindrome. In altre parole, neirepertori si è dispersa l’informazionelegata alla complessità, e ciò è solo par-zialmente compensato dalla fine descri-zione dei sintomi e delle modalità con cuiessi si presentano. Di conseguenza, ilrepertorio omeopatico fornisce l’indica-zione del “punteggio” di un medicinale (ouna rosa di medicinali) come somma dipunteggi di singoli sintomi. Così facendo,però, si tralascia la connessione tra i sin-tomi, vale a dire il pattern specifico delmedicinale, il fatto che che nelle speri-mentazioni di un certo medicinale queitre sintomi andavano sempre insieme.

Abbiamo avuto già occasione di sugge-rire che, con le attuali potenzialità del-l’informatica, si potrebbe andare a recu-perare tali informazioni dalle materiemediche e quindi implementare il mododi riportare i sintomi nei repertori, “recu-perando” le sindromi e valorizzandolecome tali (20).Il modello concettuale della figura 2 pre-vede una stretta associazione tra qual-siasi modificazione fisiopatologia dellarete e specifici segni e sintomi2: ragio-nando nella complessità, ad un pattern dimodificazioni di una rete e dei suoi con-trolli sistemici, deve corrispondere unpattern di segni e sintomi, locali e gene-rali. L’obiezione secondo la quale alcunemodificazioni interne non si esprimonomediante segni e sintomi non tiene,perché ciò dipende solo dalle capacitàd’osservazione e misurazione, non da undifetto del modello teorico. Viceversa, èovvio che qualsiasi sintomo abbia deicorrelati biochimici, bioelettrici, neurofi-siologici, endocrini, ma anche dei corre-lati che possono essere descritti secondoaltri schemi interpretativi (ma sempreschemi) di tipo psicosomatico, neurolin-guistico, simbolico, o secondo la letturaofferta dai modelli medici proposti dallamedicina orientale e via dicendo.Poiché tutti i sintomi esprimono qualchealterazione dei sistemi omeodinamiciinterni in qualche modo collegata, anchei sintomi associati a tali alterazioni sipossono catalogare in varie tipologie. Si possono considerare quindi: 1. sintomi associati al danno, da esso diret-tamente causati (es. dolore di un trauma,emorragia causata da una ferita, ascitecausata da cirrosi epatica, soffio cardiacocausato da insufficienza valvolare), 2. sintomi da aumento di attività di qualcheorgano o sistema, associati alla reazioneomeodinamica al danno (es. febbre, tachi-cardia, arrossamento cutaneo, agitazione), 3. sintomi da diminuzione di attività di

2. Precisamente, i sintomi sono tutte le manifestazioni, in qual-che modo avvertite dal paziente, della perturbazione dell’o-meodinamica, delle reazioni e della malattia. I segni sono lemanifestazioni osservabili o misurabili, non solo dal paziente,ma anche da altri, spesso con adeguati strumenti (es. stetosco-pio, laboratorio, immagini, ecc.). Ma, spesso ed anche in que-sto lavoro, segni o sintomi sono usati come sinonimi.

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qualche organo o sistema, associati allareazione omeodinamica al danno (es.inappetenza, astenia, sonno, diminuzionedella libido); tra questi si includono anchequelli da perdita di sensibilità, dovuti alblocco delle comunicazioni descritto nelloschema delle malattie croniche,4. sintomi da “priming” o “memoria asso-ciativa”, relativi a qualche funzionereclutata nella fase di reazione ma“attualmente” non attiva: trattasi di unostato di iper-sensibilità che appare solocome “modalità di risposta” a qualchestimolo esterno, come “sensibilità” aduno stimolo, come espressione di rea-zione solo se occorrono altre condizioniconcomitanti e sinergiche (es. fobie aparticolari agenti o situazioni, desideri edavversioni verso qualche alimento, irrita-bilità sul lavoro o meteopatie, ma ancheallergie specifiche, ipersensibilità ai far-maci). Per questo tali sintomi possonoessere designati anche come sintomi“indiretti” (6, 21). In breve, i sintomi sono elementi preziosi evanno rivalutati come vie alla descrizionee soprattutto alla comprensione dellemanifestazioni patologiche. Spesso attra-verso i sintomi si possono cogliere aspettiindividuali, che altrimenti andrebbero per-duti: essi rivelano la peculiare sensibilità ereattività individuale, il “modo di vivere”la malattia (che spesso è la cosa che piùconta). Il linguaggio dei sintomi è per suanatura psico-somatico e quindi chiedeun’interpretazione complessa e globale.Inoltre, la comparsa di sintomi è spessouna delle più precoci manifestazioni deldisordine dell’omeodinamica. L’altro versante del “simile” riguarda ilmedicinale (schema a destra in figura 2).Si può acquisire conoscenze sugli effetti“puri” dei medicinali, cioè quegli effettiche i medicinali provocano sull’uomosano quando perturbano la sua omeodi-namica fisiologica: “Quando le medicineagiscono come rimedi, lo fanno solo per illoro un potere di gli stesi sintomialterarelo stato di salute dell’uomo producendopeculiari sintomi; pertanto, noi dobbiamopartire dai fenomeni morbosi che le medi-cine producono nel corpo sano comeunico modo per rivelare il loro intrinsecopotere curativo; così impariamo a cono-

scere quale potere ha ciascuna medicinadi produrre malattia e allo stesso tempoquale potere ha di curare” (Organon, par.21). I sintomi, se ben individuati e rac-colti in modo ragionato, sono l’espres-sione esterna del disordine internoindotto dal medicinale. La sperimenta-zione sul sano consente di definire l’ef-fetto del medicinale in modo molto fine edettagliato, comprendendo tutte le molte-plici manifestazioni che una certasostanza è in grado di produrre, a livellofisico e psicologico; la farmacologiaviene così enormemente raffinata in qua-lità. Allargando lo studio a molte e sva-riate sostanze chimiche o biologiche, siamplia la farmacopea dal punto di vistaquantitativo, riuscendo a definire centi-naia di diversi quadri sintomatologicicaratteristici di diversi medicinali. Quando i due versanti sono messi a con-fronto per la similitudine, si osserva che la“malattia” naturale è definita nel suo com-plesso con linguaggio e criteri analoghi aquelli che sono usati per definire gli effetti“puri” dei medicinali. Secondo il “simile”hahnemanniano, il malato si trova in unasituazione fisiopatologica di disregola-zione tale per cui i suoi sintomi sono l’e-spressione di una attivazione/inibizione dideterminati sistemi omeodinamici coin-volti nella malattia; per andare a “toccare”farmacologicamente quegli stessi sistemi,si deve usare quel medicinale che nel sanoprovoca gli stessi sintomi. A fronte di unsimile trattamento, il malato risponde inmodo che il disordine viene reversibiliz-zato avviando un processo di guarigioneintegrato su diversi livelli.Hahnemann è stato meritorio per avercompiuto molte sperimentazioni dell’ef-fetto primario dei medicinali, nel corso ditutta la sua lunga vita. Annotandopazientemente tutti i sintomi che osser-vava negli sperimentatori (incluso sestesso) ha dato corpo alla prima MateriaMedica omeopatica. Se non altro perquesta originale e indefessa attività spe-rimentale, egli è annoverato tra i grandidella medicina e specificamente della far-macologia (3).

4. Meccanismibiologici e farmacologici Il risultato terapeutico del metodo omeo-patico non è affatto magico, come alcunisono portati a credere, ma ha una suaplausibilità scientifica e fisiopatologicache risiede essenzialmente nel principiodi azione-reazione, evocato dallo stessoHahnemann nel primo lavoro in cuienuncia il simile: “Se in un caso dimalattia cronica si dà una medicina lacui azione primaria diretta corrispondealla malattia, l’azione secondaria indi-retta è esattamente lo stato del corpo chesi desidera ottenere...” (18). Nei paragrafi63 e 64 dell’Organon egli torna sulla que-stione sostenendo che qualsiasi drogacausa una certa alterazione nello stato disalute dell’essere umano per la sua azioneprimaria. A quest’azione primaria delmedicamento, l’organismo oppone la suaforza di conservazione, chiamata azionesecondaria o reazione, diretta a neutraliz-zare o compensare il disturbo arrecatodall’azione primaria. Il principio d’a-zione-reazione evocato è uno dei pilastridella fisiologia e della biochimica. Non sivede perché non dovrebbe essere validoanche in farmacologia.L’autore procede logicamente, osservandoche questa “azione secondaria” potrebbeessere impiegata come azione curativa, inquanto direzionata verso la guarigione dellostress farmacologicamente indotto. Nel suomodello terapeutico, si impiegano medici-nali che nella loro azione primaria sull’or-ganismo producono sintomi simili al disor-dine naturale (nella sua complessità e dina-micità, nel senso che si considerano anche isintomi generali e i sintomi passati). In talmodo, si evoca una reazione locale e siste-mica volta ad annullare la “malattia artifi-ciale” e, conseguentemente alla somiglianzadei sintomi, anche la malattia naturale.Una facile obiezione a tale criterio è ladomanda sul perché la medicina non causiun aggravamento dei sintomi, semplice-mente sovrapponendo lo stress farmacolo-gico alla malattia naturale. La spiegazioneè analoga a quella sopra proposta per lasovrapposizione terapeutica di duemalattie simili. La malattia è sempre un“disordine” nel senso che determinate rea-zioni avvengono in localizzazioni sbagliate

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o coinvolgendo in modo distorto compo-nenti normali, o in modo eccessivo perestensione e durata. In particolare nellacronicità sussiste un’incapacità di metterein moto una reazione efficiente e, soprat-tutto, di ritornare indietro nei passaggi chehanno portato dal momento della reazioneal danno al momento del rilassamento nelsistema in un attrattore patologico (com-pletato, spesso, da blocchi della comunica-zione tra i nodi della rete). Il farmaco“simile” viene a rappresentare al sistemauno stress patogenetico, ma al contempouna serie di informazioni preziosissime alfine di dare ordine alle risposte omeodina-miche. Poiché tale stress farmacologicorappresenta l’immagine coerente di unamalattia ed evoca una serie di reazionicoerenti e fisiologicamente coordinatenella direzione della guarigione, è possibileche il farmaco assuma la funzione di dareun senso finalizzato (teleonomico) alle rea-zioni dell’organismo che altrimenti sonodistorte, confuse ed inefficienti (soprattuttonelle malattie croniche) o persino contro-producenti (come nelle malattie acute).Ma quello che abbiamo descritto è unfenomeno reale in biologia e farmaco-logia, o una pura possibilità teorica? E seè un fenomeno reale, come avviene, nel-l’interno “nascosto” dell’organismo, l’in-versione degli effetti normalmente pro-dotti da un farmaco? Qui di seguito, siforniscono alcune dimostrazioni dellarealtà del fenomeno e varie possibilità dispiegazione, tra loro non necessaria-mente alternative (21-24).

a. Effetti stimolanti di piccole dosi diagenti inibitori o tossineÈ il caso di sostanze tossiche o di inibitoriche, se usati in piccole dosi, causanoeffetti stimolanti su cellule, animali euomo. Questo fenomeno, oggi conosciutocome “ormesi” (25,26), è frequentissimoda osservarsi con varie sostanze (es. radi-cali liberi, ossido nitrico, amiloide, trom-bina, citochine, fattori chemiotattici,endotossine batteriche, oppioidi, prosta-glandine, glutammato) e persino con leradiazioni ionizzanti (27) ed è statodescritto già nel 1888 da Arndt e Schultz:“Stimoli deboli accelerano leggermente leattività vitali, stimoli di media forza le

attivano notevolmente, stimoli molto fortile sopprimono” (28,29). Due rassegne sul-l’ormesi e sulle sue relazioni con l’omeo-patia sono state pubblicate qualche annofa (30,31) ed altri dati si possono trovarein nostri lavori (6,22,23). Fra l’altro, nelnostro laboratorio abbiamo dimostratoche una tossina vegetale (podofillotossina)in dosi omeopatiche (basse diluizioni) sti-mola la funzione dei granulociti umani,mentre in dosi elevate (allopatiche) li ini-bisce drasticamente paralizzandonemovimento e metabolismo (32). Da unaltro gruppo italiano, è stato dimostratoanche l’effetto protettivo di diluizioniomeopatiche di arsenico su piante intossi-cate da dosi ponderali dello stesso mine-rale (33). È indicativo il fatto che l’arse-nico, considerato ufficialmente un cance-rogeno, è oggi proposto come un farmacoper il trattamento del cancro (34). D’altra parte, vi sono dati attestanti chealte dosi di un farmaco inibitore diven-gono attivatori in un sistema biologico.Nel nostro laboratorio abbiamo ottenutola prova che vari farmaci antinfiamma-tori non steroidei, che in dosi medio-basse (ponderali) sono inibitori della fun-zionalità piastrinica, paradossalmente adalte dosi promuovono l’adesione e aggre-gazione delle stesse cellule (35). Ciòpotrebbe essere collegato col meccanismodi gastro-lesività di tali farmaci.Per spiegare il fenomeno dell’ormesi, sonostati indicati alcuni possibili meccanismibiologici. Il primo è legato al fatto che moltiormoni, neurotrasmettitori o fattori di cre-scita hanno dei recettori cellulari di diversotipo, con diversa affinità per il ligando:quelli di bassa affinità (che legano solo altedosi) potrebbero essere accoppiati conrisposte inibitrici o soppressorie, quelli dialta affinità (che legano anche bassissimedosi, fino a diluizioni che in termini omeo-patici potrebbero essere approssimativa-mente attorno alla 9a centesimale) quandoimpegnati avrebbero un effetto promoventela vitalità (24). Un secondo meccanismocoinvolge l’intervento delle cosiddette“proteine da shock termico” (HSP), famigliedi proteine sintetizzate dalle cellule a scopoprotettivo e soprattutto difensivo, perchésono in grado di eliminare le proteinedenaturate dal calore, dalle radiazioni, dai

radicali liberi e da altre sostanze tossiche opersino di ripararne la struttura. È plausi-bile che la sintesi di queste proteine, stimo-lata da basse o bassissime dosi di sostanzetossiche, sia così efficiente da difendere lacellula anche da alte dosi di sostanze tos-siche, uguali o simili a quelle che induconoil danno cellulare (36-38). La ricerca “con-venzionale” sull’effetto terapeutico dell’ar-senico (34) ha mostrato che esso non sicomporta come un farmaco citotossicoconvenzionale, ma a seconda delle dosi edelle preparazioni influenza distinte vie ditrasduzione del segnale, che mediano laproliferazione e l’apoptosi (protein chinasi,p53, activator protein-1 e fattore nuclearekappa B) e quindi una regolazione a livellodell’espressione genica. È significativo checiò concorda notevolmente con quanto giàriportato da lavori fatti in ambito omeopa-tico (35).Quando l’effetto protettivo delle piccole dosidella sostanza tossica si ottiene con un pre-trattamento rispetto alla somministrazionedelle alte dosi, si parla di “tolleranzaindotta” o di “precondizionamento”. In talcaso si invoca anche il meccanismo dell’in-duzione enzimatica soprattutto a livelloepatico e, più recentemente, l’attivazione dienzimi detti caspasi (implicati nell’apoptosicellulare) (39). È curioso il fatto che negliStati Uniti recentemente si siano sviluppatistudi che prefigurerebbero un impiego didosi omeopatiche di tossine potenzialmenteusate in attacchi terroristici per indurre rapi-damente la tolleranza protettiva verso letossine stesse (40). Spesso la ricerca scienti-fica è promossa da motivazioni contingentiritenute, a ragione o a torto, urgenti equindi meritorie di finanziamento.

b. Effetti inibitori di piccole dosi disostanze stimolantiVi sono vari esempi, sia sulle cellule siasull’organismo intero, del fatto che lecurve dose-risposta possono assumereanche una forma inversa a quella dell’or-mesi, vale a dire basse dosi di agenti sti-molanti fungono da inibitori. Adesempio, noi abbiamo descritto un feno-meno in cui basse dosi di peptidi chemio-tattici inibiscono l’adesione dei granulo-citi a superfici coperte da proteine delsiero, ma in alte dosi gli stessi peptidi

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causano forte aumento dell’adesione(41,42). Abbiamo anche dimostrato checiò è dovuto, probabilmente, al fatto chele basse dosi – sub-stimolatorie per ciòche riguarda il metabolismo ossidativo el’adesione - attivano prevalentemente ilrilascio di calcio e la produzione di AMP-ciclico, un messaggero intracellulare cheha un’azione inibitrice su varie vie di tra-duzione del segnale nei leucociti. Anchele alte dosi stimolano l’AMPciclico, ma intal caso l’inibizione è by-passata dallamessa in moto di segnali positivi (pro-adesivi) preponderanti.3 A livello dell’in-tero organismo, il fenomeno dell’“ormesiinversa” è evidenziato dai modelli di tol-leranza immunitaria, particolarmentenoti su malattie artificiali indotte su ani-mali da esperimento (malattie che peròsimulano quelle umane di tipo autoim-munitario): è possibile indurre la com-parsa di malattie cerebrali, articolari edendocrine mediante la somministrazioneparenterale di proteine eterologhe che inalte dosi stimolano fenomeni di auto-reattività; le stesse proteine, sommini-strate in dosi estremamente basse per viasublinguale, prevengono e curano lemalattie che sono causate da alte dosi.Una variante di questo modello terapeu-tico, su cui abbiamo lavorato anche nelgruppo veronese (43,44) prevede la som-ministrazione della sostanza “simile” pervia peritoneale. Evidentemente, neisistemi complessi qual è indubbiamente ilsistema immunitario, l’informazione ègestita in modo tale che assume impor-tanza critica sia la dose, sia la zona del-l’incontro con la molecola patogena/tera-peutica. Il fenomeno viene interpretatosulla base dell’esistenza di cloni linfoci-tari ad azione soppressiva o regolativa,cloni molto sensibili e posti in localizza-zioni strategiche (es. intestino, peritoneo)che, una volta stimolati da minime dosiproducono una risposta citochinica anti-gene-specifica, di tipo soppressore e cheva inibire le risposte immunitarie effet-

trici (45,46). Va precisato che gran partedi queste evidenze per ora sono prevalen-temente di tipo sperimentale e hannopoche applicazioni in campo umano.In questo filone di ipotesi esplicative,vanno citati i molteplici modelli speri-mentali di studio dell’omeopatia chehanno dimostrato l’inibizione del rilasciodi istamina (la voce bibliografica n. 47 èla più recente di una serie che risale all’i-nizio degli anni ‘90) e dell’infiammazione(48) da parte di istamina in basse dosi epersino in diluizioni omeopatiche: l’ista-mina è una sostanza rilasciata dallemast-cellule che ha un effetto pro-infiammatorio, ma in basse dosi ed inalte diluizioni si comporta come anti-infiammatorio. Il fatto che alte diluizionidi una sostanza farmacologicamenteattiva possano inibire gli effetti dellastessa sostanza in dosi ponderali, è statodimostrato anche col desametazone (49).

c. Ruolo del valore inizialeUn terzo importante meccanismo di inver-sione degli effetti è la dipendenza dallostato iniziale dell’organo: l’effetto finale diun certo trattamento di un sistema biolo-gico (di solito questi studi sono fatti sucellule od organi isolati) dipende non solodalla dose ma anche dallo stato fisiologicodel sistema prima del trattamento. Adesempio, molte citochine stimolano imacrofagi quando sono a riposo, ma li ini-biscono quando sono già attivati, l’adre-nalina stimola le cellule di cuore a riposo,le inibisce quando sono già stimolate, ecosì via. I farmaci antidepressivi nei sog-getti sani causano una sindrome similealla depressione, gli antinfiammatoriabbassano la temperatura solo se è elevatamentre nel sano possono causare iperpi-ressia. L’aspirina, tipico farmaco antiag-gregante, in dosi basse (simili a quelleomeopatiche) nei soggetti sani ha accele-rato l’emostasi e nell’animale da esperi-mento ha aumentato la formazione ditrombi vascolari (50). Gli immunostimo-lanti, usati per combattere le infezioniopportunistiche, se somministrati a sog-getti sani inducono sintomi in sostanzasovrapponibili a quelli delle malattie infet-tive. Il colesterolo (LDL) è un fattore dirischio cardiovascolare sfavorevole nei

soggetti normali, mentre è un fattore pro-tettivo delle coronarie nei diabetici,assieme all’obesità (51).L’importanza del fenomeno era già statasegnalata da Wilder nei primi decenni delsecolo scorso, all’epoca delle grandi sco-perte fisiologiche sul sistema vascolare enervoso, e così descritto brillantemente: “Ilrisultato finale di qualsiasi reazione vege-tativa è dipendente dallo stato dell’organo,dal grado di attività esistente prima deltrattamento. Più alto è il livello d’attivitàprecedente allo stimolo, minore è l’effettostimolante e maggiore è la fase depressoriadella reazione. Se lo stato d’eccitazionepreesistente raggiunge un alto grado, per lapresenza di un sistema agente in modoantagonistico, gli agenti stimolanti cau-sano reazioni paradosse d’inibizione.D’altra parte, se si parte da un’attività bas-sissima, azioni paradossalmente stimolantisi ottengono con sostanze ad azionedepressoria.” (52). Le dosi impiegate neglistudi di Wilder erano di 1 mg di atropinaed adrenalina e di 10 mg di pilocarpina. Simisuravano in registrazione continua lafrequenza cardiaca e la pressione arteriosa,confrontando i valori prima e dopo laterapia, tenendo conto anche della duratadell’azione. Una prima osservazione fu chepiù alto era il valore di partenza (nel sensodi un’attività simpaticotonica), minore erala tendenza a rispondere con un aumentodi frequenza cardiaca o di pressione emaggiore era la tendenza a presentare uneffetto inverso, una caduta rispetto aivalori di partenza. In altre parole, con tuttie tre i farmaci (adrenalina, pilocarpina,atropina) se c’erano già valori iniziali alti,si aveva un minimo aumento seguito dauna marcata diminuzione, vale a dire dellecurve tipicamente vagotoniche. Con bassivalori iniziali, si aveva brusco aumento esolo una leggera diminuzione.Come si può intuire, con questo tipo diapproccio ci si avvicina, partendo da unaltro punto di vista, al “simile” di Hahne-mann, che prevede un effetto opposto delmedicinale quando usato in due situazionifisiopatologiche diverse: nel malato e nelsano. Per questo vale la pena approfondireil possibile meccanismo biologico di quellache giustamente è stata definita la “regoladi Wilder” (3). A tal fine ci serviamo di un

3. Per la precisione, va detto che non tutte le sostanze testatepresentano il fenomeno della inversione degli effetti sui leuco-citi, ma solo quelle che elevano l’AMPciclico. Esteri del forboloe concanavalina A, ad esempio, causano una adesione dose-dipendente, con la classica curva sigmoidale. Ciò conferma ilfatto che questo tipo di effetti opposti sono dovuti alla attiva-zione di particolari sistemi antagonistici endogeni.

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grafico (figura n. 3) in cui abbiamo rias-sunto schematicamente le evidenze speri-mentali di questo fenomeno. Una rappre-sentazione grafica della regola di Wilder èstata proposta recentemente anche da altriautori in ambito omeopatico (53).Il tracciato n. 1 illustra che la sommini-strazione di un agente classicamente“simpaticotonico” causa un aumentotransitorio d’attività nel sistema normale,seguito da un graduale ritorno alle con-dizioni di partenza. In generale, vale adire in qualsiasi sistema biologico eccita-bile, l’arresto e poi la reversibilizzazionedell’effetto stimolante sono dovuti alconcorrere di due serie di fattori: la ces-sazione dello stimolo (inattivazione del-l’agente agonista, blocco dei recettori) ol’attivazione di un sistema omeodinamicoconcorrente (sistema regolatore), il qualesi innesca al superamento di una deter-minata “soglia” di attività. In altri lavori(1,2,15) abbiamo dettagliatamentedescritto la struttura e il comportamentodi questi tipici sistemi di retroazione e direte, che generano comportamenti oscil-lanti e auto-regolati, spesso caratterizzatida dinamiche caotiche e da estrema sen-sibilità alle condizioni e alle perturba-zioni. La regolazione a feed-back puòdipendere da un meccanismo interno allacellula (ad esempio una via collaterale ditraduzione del segnale che funge da

“gating” sulla via principale) o interno alsistema secondo un più vasto livello d’or-ganizzazione: nel caso contemplato,avviene per l’antagonismo naturale trasimpatico e parasimpatico, ma esistonoinnumerevoli controlli di questo tipo nelsistema endocrino, immunitario, cardio-vascolare, nervoso e nelle loro relazioni. Il tracciato n. 2 mostra il fenomeno per cuilo stesso agente (adrenalina), se usato perstimolare un cuore che si trova in unacondizione funzionale di simpaticotonia(pre-attivato), causa un breve stimolo,seguito da una successiva depressione, perl’intervento della reazione omeodinamica:il risultato di questo secondo trattamento,se considerato dopo un certo tempo (T1), èuna netta inibizione. Viceversa, se ilsistema si trova in una fase parasimpati-cotonica (tracciato 3), l’adrenalina causaun effetto netto molto superiore al casonormale, semplicemente perché la sogliaomeodinamica è relativamente più alta.Gli stessi concetti si possono applicare inmaniera speculare alle sostanze conazione parasimpaticotonica: esse che sulsistema normale provocano una depres-sione di attività simpatica, sul sistema chesi trova in condizioni di parasimpatico-tonia (già rallentato) provocheranno para-dossalmente un’azione simpaticotonica.Sempre secondo le osservazioni citate (3),dall’esperienza clinica si sa che esistono

individui con bradicardia ed ipotensione,in cui si rileva un aumentato tono vagale.In questi casi, l’adrenalina causa unaforte reazione simpaticotonica. Quando siraggiungono frequenza e pressione nor-mali, una nuova dose di adrenalina pro-duce una reazione vagotonica. Si devequindi stabilire una chiara differenza traeccitazione ed eccitabilità (sensibilità) delnervo: quanto più alta è l’eccitazione,tanto minore è la sua eccitabilità per l’a-zione di agenti stimolanti e tanto è mag-giore la sensibilità agli agenti inibitori.Un corollario di tale osservazioneriguarda il fatto che un individuo, lostesso individuo, risponde in mododiverso alla stessa dose di farmaco insuccessivi studi. Così: 1 mg di adrenalinaprovoca con la prima somministrazioneun aumento di pressione arteriosa di xmm di Hg sopra il valore basale. Dopoche l’adrenalina presente nel sangue haportato la pressione ad un valore più alto(iniziale + x), la somministrazione diun’altra dose avrà minor effetto. Conti-nuando ad aggiungere adrenalina si rag-giunge un massimo, finché essa cominciaad agire paradossalmente come un inibi-tore. Ora al posto di un aumento abbiamoun calo di pressione. La regola di Wilderpotrebbe spiegare anche il fatto che glianimali adrenalectomizzati reagisconoall’adrenalina più fortemente di quellinormali, poiché i primi partono da unasituazione basale di pressione più bassa.Se i vasi sono contratti per un primo trat-tamento con adrenalina, l’atropina lidilata in modo particolarmente efficace.L’adrenalina, che aumenta la glicemia nelsoggetto normale, non ha effetto o ladiminuisce nei diabetici. L’aspirinaabbassa la temperatura nel soggetto feb-brile, ma non nel sano, dove talvolta puòprovocare iperpiressia. Nella tachicardiaparossistica, atropina ed adrenalina, chedovrebbero aumentare la frequenza car-diaca, in realtà la rallentano. L’insulinaagisce più fortemente nel diabetico chenel normale e dosi successive di insulinain un periodo di 120 minuti agiscono inmodo progressivamente decrescente. Ariguardo del metabolismo del calcio, ènoto che il paratormone aumenta illivello ematico di questo minerale e lo fa

Figura 3. Grafici di risposta vascolare (pressione arteriosa o frequenza cardiaca) al trattamento con adrenalina. Schema ricostruitodai dati riportati da Boyd (3).

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con tanto maggiore efficienza quanto piùbassa è la calcemia al momento del tratta-mento; se la calcemia è elevata, il parator-mone la riduce. Si sa che la digitale funzionamolto bene solo sul cuore scompensato e lacanfora riduce la frequenza cardiaca solonella fibrillazione atriale. L’asma bronchialeè considerata una malattia con prevalenzadel tono vagale: tutte le reazioni farmacolo-giche in questo caso mostrano una vago-tonia; l’adrenalina non modifica sostanzial-mente l’attività dei bronchi normali, madilata notevolmente quelli contratti. Si potrebbero citare innumerevoli altriesempi della regola del valore iniziale cheWilder ha così sintetizzato: “La diminu-zione degli effetti stimolanti/aumentodegli effetti inibitori con un alto valoreiniziale e l’aumento degli effetti stimo-lanti/diminuzione degli effetti inibitoricon un basso valore iniziale sono pro-prietà biologiche generali, proprietà dellacellula stessa”. Alla luce delle contro-versie sulle basi scientifiche dell’omeo-patia, è interessante ed al contempoamara la seguente considerazione (3):“Finora la farmacologia non ha dedicatomolta attenzione e molto tempo allostudio della regola di Wilder”. È ovvio che le situazioni descritte in figura3 sono iper-semplificazioni di fenomenicomplessi che raramente si presentano allostato così ideale. Le complicazioni, infatti,nascono se si considera che nessun sistemaè così isolato, ma subisce continuamentestimoli e inibizioni da altri sistemi connessi.Anche il sistema regolatore, vale a dire lasoglia di reazione omeodinamica, si puòalmeno parzialmente modificare per adatta-mento alle mutate circostanze fisiologiche opatologiche. Inoltre, non tutte le sostanze sicomportano come l’adrenalina, esistonoanche sostanze che causano effetti “a sensounico” indipendentemente dallo stato delsistema, poiché non ci sono adeguati sistemidi controllo e reazione. Rimane però il fattoche la regola del valore iniziale descrive unfenomeno reale, ubiquitario e fortementesostenuto da dati sperimentali.

d. Effetti opposti di trattamenti acuti e croniciA conferma delle osservazioni di Hahne-mann, di Wilder e di Boyd, va citato quelrecente filone di studi farmacologici che

va sotto il nome di farmacologia para-dossale (“paradoxical pharmacology”),che indaga il fenomeno per cui gli effetticronici dei farmaci sono talvolta oppostia quelli immediati. È noto che normal-mente nelle terapie croniche compaionoeffetti “indesiderati” che sono dettiavversi, o collaterali. Indagando meglio ilfenomeno, si scopre che in molti casiquesti effetti sono praticamente specularia quello che sarebbe l’effetto voluto dellaterapia, in altre parole vanno in sensoopposto o, appunto, paradossale. Mentregli effetti avversi immediati sono manife-stazioni di un effetto “primario” delmedicinale sul sistema vivente (questi siscoprono anche nelle sperimentazioni suisoggetti sani che sono previste dai proto-colli farmaceutici, qualcosa di analogo adun rudimentale proving omeopatico), glieffetti a lungo termine sono assimilabiliad un effetto secondario, di reazione,detto anche “rebound”. Ci limiteremo adegli esempi indicativi e ormai classici,senza citare le bibliografie che costitui-rebbero un elenco eccessivamente lungo. I farmaci vasodilatatori, usati per l’an-gina pectoris, promuovono un migliora-mento immediato della sintomatologiama, se assunti a lungo o in modo irrego-lare, comunque alla sospensione, provo-cano un’esacerbazione dei sintomi tantonella frequenza che nell’intensità. Glioppioidi producono molto spesso un’ipe-ralgesia nei trattamenti cronici, mentregli antagonisti della morfina (naloxone)talvolta inducono analgesia paradossa.Farmaci utilizzati nel controllo dell’iper-tensione arteriosa possono provocareipertensione arteriosa come effettosecondario; broncodilatatori che sembre-rebbero farmaci d’elezione nella cura del-l’asma, non possono essere usati a lungoperché provocano boncocostrizione; car-diotonici impiegati nel trattamento del-l’insufficienza cardiaca provocano comeeffetto a lungo termine un peggiora-mento della forza cardiaca mentre quelliche come effetto immediato sono dannosi(beta-bloccanti), paradossalmente allungo termine sono efficaci nella curadella stessa malattia. L’acido nicotinico,che nel diabetico contrasta la tolleranzaall’insulina abbassando i livelli di acidi

grassi, nel trattamento a lungo termineprovoca l’opposto e l’aumento della gli-cemia, probabilmente per un rebound diaumento della lipolisi. Farmaci usati perdiminuire il colesterolo causano unaumento di colesterolo come effettorebound. Molti psicofarmaci tra cuiansiolitici, sedativi, antidepressivi, antip-sicotici, ecc. possono promuovere coltempo la comparsa di sintomi opposti aquelli del loro impiego terapeutico prin-cipale. Farmaci antiepilettici possonoesacerbare l’epilessia o causare movi-menti discinetici e contratture muscolaricome azione secondaria. I diuretici, uti-lizzati per diminuire la volemia (edema,ipertensione, ictus, etc.), causano, comeeffetto rebound, aumento di ritenzione disodio e potassio, e conseguentementeaumento della volemia. Farmaci antiacidie antagonisti dei recettori H2, dopo unprimo effetto di diminuzione, alla lungapromuovono, in molti casi, un aumentod’acidità gastrica e peggioramento delleulcere gastroduodenali. Qualcuno ha suggerito che si potrebbeampliare l’uso dei farmaci convenzionali,sfruttando l’effetto paradossale deglistessi (54). In pratica, partendo dalla listadegli effetti rebound dei farmaci conven-zionali, si potrebbe somministrare aimalati - che hanno come malattia natu-rale un quadro simile a tali sintomi – pic-cole dosi dei farmaci allopatici che pro-vocano quei sintomi. Va segnalato chel’autore di tale proposta, un famoso far-macologo, afferma che una simile ipotesinon è mai stata testata sistematicamente,probabilmente ignaro del fatto che unconcetto simile era stato sostenuto daHahnemann e poi testato, nel corso didue secoli, su migliaia di sostanze natu-rali e artificiali. Un piccolo ma significa-tivo esempio di un uso “omeopatico” diun farmaco convenzionale si può trovarenell’esperienza di che ha somministratoun contraccettivo (inibitore dell’ovula-zione) in pazienti affette da una sterilitàfunzionale. Alla sospensione del tratta-mento, si è avuta l’ovulazione in circa il25% delle pazienti e la gravidanza nel10% (55).

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Biodinamica, malattia e similitudine

5. Schema dell’azione dinamica del “simile”L’effetto terapeutico omeopatico, in rife-rimento al modello concettuale finorausato, è riassunto in figura 4. Si illustra,in alto a sinistra, la dinamica del “simile”come modificazione delle reti complessepartendo dalla situazione di malattia cro-nica e, in basso a destra, un ingrandi-mento dello schema a rete (n. 4) rappre-sentante gli elementi essenziali del disor-dine e delle possibili regolazioni. In sin-tesi, la perturbazione farmacologia“simile” mira ad indurre una guarigionecome effetto “rebound”, operando inmodo che la rete si sposti in uno schema(n. 1 in figura 4), che corrisponde alle fasidi regolazione normali, e da qui segual’evoluzione naturale che la porta in unbacino di attrazione fisiologico, corri-spondente allo stato di salute (schema n.2). L’omeopatia si prefigge di “trattare larete” con uno stimolo che “simula” lamalattia, lo sposta dall’equilibrio e con-fida sulle dinamiche naturali di reazione.Tale stimolo può essere proprio quellasostanza o medicina che, se data ad unsistema normale (sano, iniziale), induceun’alterazione primaria (chiamata in ter-mini tecnici “inizializzazione” della rete,v. bibliografia n.1) simile a quella checausa la comparsa dei sintomi tipici dellamalattia. La reazione del malato, in cui è

già presente una analoga perturbazione,è una reazione secondaria (o effettorebound) che sposta il sistema verso unareazione simile alla reazione “fisiolo-gica”, la quale appartiene al normalebacino di attrazione che porta alla guari-gione. Naturalmente, i passaggi illustrati rap-presentano semplificazioni ed abbrevia-zioni delle possibili dinamiche reali. Inpratica, visto che le malattie cronichesono processi lunghi, è possibile che ilsistema-individuo attraversi e superi variattrattori nello spazio delle fasi. Conse-guentemente, anche il processo di guari-gione può richiedere un “percorso all’in-dietro” fatto di vari passaggi, non sempli-cemente un’immediata reintegrazionedell’omeodinamica ottimale.In teoria, dopo la fase reattiva innescatae orientata dalla terapia omeopatica, ilsistema potrebbe ritornare nuovamentenell’attrattore patologico cronico, omanifestare una deviazione verso unamalattia acuta. Tuttavia, grazie alla sua“memoria biologica” (o memoria associa-tiva), il sistema tende naturalmente a“rilassarsi” nell’attrattore fisiologico, ameno che non vi siano nodi irreversibil-mente modificati o permangano fattoripatogeni di disturbo. Bisogna ricordareche, nel modello concettuale proposto (2),il passaggio da “reazione omeodinamica”

normale (fasi reattive) a “malattia cro-nica” era dovuto ad un errore, che nondovrebbe ripetersi se nel frattempo sonovenuti a mancare i fattori patogeni (o lecasualità) che lo hanno indotto. Tale evo-luzione ideale (“guarigione”) prevede,quindi, che i fattori patogeni, che hannoindotto la malattia cronica, non siano piùpresenti o siano molto ridotti. I vantaggi di tale approccio potrebberoessere i seguenti: 1. esso potrebbe by-passare la conoscenzameccanicistica-molecolare dei singolinodi, ovvero dei processi “interni” dellamalattia (da Hahnemann consideratati“inconoscibili”, un concetto per moltiaspetti valido ancor oggi), perché l’appli-cazione dell’analogia tra sintomi e nodidella rete (figura 2) può basarsi solo sullasperimentazione (prova empirica) e la rac-colta minuziosa dei dati sintomatologici.Ciò non esclude comunque l’utilità deidati strumentali e laboratoristici; 2. esso potrebbe indurre una remissionepiù stabile (“guarigione”) perché, secondola dinamica descritta, lo stato si salute èraggiunto mediante le reazioni fisiolo-giche ed endogene, cosicché alla fine siraggiunge l’attrattore “rinforzato”, ad unminor livello di energia libera e con mag-giore contenuto di memoria associativa;3. esso potrebbe richiedere un solo medi-cinale (in contrapposizione alla polifar-macia convenzionale) perché se un sin-golo medicinale sperimentalmente ècapace di provocare un complesso dimolti sintomi significa che può toccareun complesso di molti meccanismi diregolazione interni (figura 2);4. usando dosi bassissime di medicinali (oalte diluizioni/dinamizzazioni) si andrebbea “toccare” solo i sistemi resi sensibilidalla malattia (“priming”, vedi anchesezione successiva di questo lavoro), cosache accentuerebbe la specificità del tratta-mento e ridurrebbe il rischio d’effetti tos-sici diretti.

6. Implicazioni metodologicheUna perturbazione effettuata sul sistemaaffetto da malattia cronica che vogliaessere terapeutica non deve indurre un“danno” ma uno “schema di perturba-zioni” simile alla malattia stessa. Il pro-

Figura 4. Modello euristico delle dinamiche di risposta al medicinale “simile” ed individuazione dello stesso sulla base delle carat-teristiche dei sintomi associati al disordine della rete.

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blema sta nel fatto che non una “simili-tudine” qualsiasi, neppure basata sullatotale uguaglianza dei sintomi, consentenecessariamente uno spostamento diattrattore verso una situazione di mag-giore salute. Infatti, una perturbazionedel sistema in malattia cronica potrebbe,teoricamente, portarlo fuori dell’equi-libro, innescando dei riaggiustamenti inalcuni nodi, ma il sistema potrebberestare ancora nel bacino d’attrazionepatologico. Al cessare della perturba-zione, si ritornerebbe nella stessa pato-logia o, al limite, il sistema potrebberilassarsi verso un altro attrattore, altret-tanto patologico, se non di più. È quindinecessario prevedere che, oltre ad andarefuori dell’equilibrio, lo schema di rea-zioni si “sposti” specificamente nelladirezione della reazione omeodinamicacorretta (osservando la figura 4, dalloschema 4 verso lo schema 1). Si deve quindi intervenire sui processifisiopatologici in modo coerente al disor-dine in atto nei sistemi omeodinamici.Tale disordine si riassume concettual-mente nell’esistenza di alcune parti (nodi)dell’organismo che sono danneggiate (es.nodo A), altre che sono iper-attive (es.nodo D), altre che sono ipo-funzionanti(es. nodo C), altre che sono bloccate (es.nodo B). A questo si aggiunga un’insuffi-ciente funzione dei sistemi generali nelcontrollare la dinamica locale (es. nodoS). Ad ogni tipo d’alterazione, si asso-ciano diversi tipi di sintomi, locali e gene-rali, quindi nell’approccio omeopaticol’individuazione del medicinale correttopassa per la definizione dei sintomi dellamalattia. Tuttavia, questo ragionamentoteorico e apparentemente plausibile - perle ragioni che si sono illustrate - trovadifficoltà ad essere applicato perché ognimalato presenta un’enorme serie di sin-tomi (quindi di modifiche dell’omeodina-mica interna di alcuni nodi delle reti bio-logiche) e soprattutto perché non tutti isintomi/nodi rivestono la stessa impor-tanza nella regolazione. Quindi, al fine discegliere il medicinale più adatto alloscopo della regolazione secondo il simile,si deve ragionare sul “significato” dei sin-tomi (e delle loro dinamiche). Lo schema concettuale presentato in

figura 4 (in basso a destra) consente taliapprofondimenti, che sono sottopostiall’attenzione degli omeopati, perché pos-sano confrontarli con il loro approcciotradizionale di prescrizione del rimedio.Un paziente lavoro di verifica concettualee di ricerca (sia sul piano dei sistemi bio-logici, sia su quello clinico, sperimentale eosservazionale) potrà forse dirimerealcune questioni metodologiche aperte eportare qualche progresso nel modo concui si pratica l’omeopatia.La figura 4 (in basso a destra) definiscele diverse tipologie dei nodi e, quindi, itipi di sintomi ad esse associati:1. Aumenti e cali di attività (nodi C e Din figura 4). Ogni quadro attuale dimalattia (schema “4”) presenta funzioniin eccesso (in plus) e altre in diminuzione(minus). Molte di queste alterazioni sonoespressione del buon funzionamento delnodo stesso e sono funzionali alla rego-lazione, ma sono pur sempre sintomiattuali e “spiacevoli” della malattiastessa. Chiamiamo questi sintomi come“diretti”, perché sono legati direttamentealle dinamiche reattive. Per cercare diridurre l’eccesso o di migliorare il difettodi questi nodi/sintomi secondo il “simile”si deve dare al malato un medicinale cheriproduce nel sano questi stessi sintomi.In questo caso, ci si aspetta che lo “sti-molo” (rispettivamente in aumento per ilnodo “D” e in diminuzione per il nodo“C”) ottenga un effetto opposto o para-dossale, per qualcuno dei meccanismid’inversione degli effetti sopra conside-rati. È evidente che l’inversione deglieffetti porterà il nodo C ad aumentare lafunzione e il nodo D a diminuirla, così daavvicinarsi a definire un’immagine simileallo stato della rete nella fase “1”. Questotipo d’inversione degli effetti si deve pre-vedere come operante anche nellemalattie acute e nei fenomeni locali, doveva a moderare gli eccessi e stimolare lereazioni scarse, quindi aiutando la nor-male omeodinamica. Ma a ben vedere,anche nelle malattie croniche quel tipo dialterazioni si possono considerare comereattive e attuali, quindi assimilabili aisintomi delle malattie acute. Un classicoesempio di questo modo di procederepotrebbe essere l’uso di Apis mellifica per

ridurre l’eccesso di un ponfo infiamma-torio, oppure l’approccio isopatico (3). Sitratta di un modo di sfruttare il principiodegli effetti inversi a livello sintomatolo-gico, locale, o biochimico-immunologico.2.Blocchi della sensibilità (nodo “B” infigura 4). Abbiamo già detto che in molticasi di malattia cronica subentra unblocco delle risposte omeodinamiche inqualche nodo, che si è fatto risalire (sem-plificando) ad un processo di desensibi-lizzazione omologa. In questo caso, ci sideve aspettare che dei nodi/sintomi par-ticolarmente attivi in una fase precedentedella malattia spariscano o addiritturas’invertano. Da questo punto di vista ilmalato cronico ha qualche “deficit” disistemi reattivi, gli stessi che inveceprima aveva molto espressi; ad esempio,un aumento di appetito nelle fasi reattivepotrebbe essere seguito da anoressia nellefasi croniche. Si può anche aspettarsidelle oscillazioni, una ripetuta com-parsa/scomparsa dei sintomi. Questofenomeno, una volta riconosciuto,potrebbe avere un’importante funzioneorientativa, perché segnalerebbe “ilcuore” del disordine omeodinamico (ilblocco della reazione teleonomica),quindi i sintomi più importanti per lascelta del medicinale. Questi sintomi(anche se prevedibilmente molto debolinella fase attuale) potrebbero indirizzarela scelta del medicinale: infatti, il medici-nale adatto al nodo “B” nella fase cronica(nodo-chiave del disordine omeodina-mico) sarebbe quello capace di stimolarela comparsa (nel soggetto sano) di queisintomi che erano forti nella fase reat-tiva, precedente a quella attuale (es.:nodo “B” nello schema “1” in figura 4).Tuttavia, qui si apre una questione deli-cata, precisamente nel definire la “pato-genesia” del medicinale “adatto” per ri-attivare il nodo “B”. Poiché la “inattività”del nodo B non è dovuta a una “inibi-zione” da parte di altri nodi (come adesempio nel caso del nodo “C”), ma a unblocco intrinseco della reattività specificaverso “A” (mentre mantiene il “priming”verso altri sistemi di regolazione) vieneda pensare che il medicinale adatto non èquello che provoca gli stessi sintomi“negativi” (vale a dire che simula nel

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Biodinamica, malattia e similitudine

soggetto sano quei deficit, ad esempiocausa anoressia), perché non può rispon-dere a questo tipo di ulteriore inibizione.Secondo il ragionamento fin qui seguito,ciò che si deve (probabilmente) sommini-strare ad un sistema bloccato in modosiffatto è quel medicinale “simile” allareazione omeodinamica corretta, vale adire quello che nel soggetto sano – pervie non implicanti il nodo bloccato - pro-voca i sintomi della malattia che eranopresenti durante la reazione e che orasono scomparsi (ad esempio, quel medici-nale che induce un aumento di appetito)In tal modo, direttamente o indiretta-mente (è sempre difficile dire per qualivie un medicinale produce un effettofinale) si spinge la rete verso il compor-tamento tipico della fase reattiva (schema“1”), quindi verso il compenso e l’auto-organizzazione nella direzione corretta. Ilproblema qui segnalato è uno dei più dif-ficili da risolvere sia sul piano teorico chesu quello applicativo. D’altra parte, l’in-versione o l’oscillazione dei sintomi è unfenomeno riscontrato non solo nellemalattie ma anche nelle sperimentazionisui sani, tanto che spesso le materiemediche riportano, per lo stesso medici-nale, sintomi persino opposti. Probabil-mente più che la direzione di un sintomo(es. desiderio/avversione di un alimento)è importante l’“area” fisiopatologica osintomatologica (organo, sensazione,fenomeno, metabolismo, ghiandola,ecc…) entro cui esso si colloca. 3. Aumenti di sensibilità (nodo “B” infigura 4). Poiché i sistemi biologici hannosempre molte sensibilità (recettori perdiversi messaggi), il blocco non le coin-volge tutte simultaneamente, anzi è pro-babile che il nodo che è stato “stressato”al punto di bloccarsi conservi delle sensi-bilità accentuate per altri fattori di rego-lazione. Dal punto di vista dei sintomi, c’èda aspettarsi che tale situazione omeodi-namica esprima non sintomi clamorosi eforti, ma sintomi di “sensibilità”, “indi-retti”, vale a dire quelli che si manifestanosolo quando è presente il fattore verso cuisi è sensibili (cibo, luce, attività, clima,idiosincrasie, ecc.). Si potrebbe ancheimmaginare che i sistemi biologici espri-mano, quando ne hanno bisogno, sensibi-

lità verso sostanze ad azione regolativiesterne, e questo potrebbe spiegare lacomparsa di sintomi di sensibilità “strani”(paure, desideri, repulsioni, comporta-menti). Anche questo tipo di sintomi èmolto importante, perché segnalano queinodi che sono stati coinvolti nell’omeodi-namica e quindi “primed” ad una piùpronta risposta a successivi trattamentiche interessino le loro sensibilità accen-tuate. Da questo punto di vista, il medici-nale “simile” è quello che nel soggettosano induce quelle sensibilità e quindi ciòsignifica che nel malato le va a “toccare”,promuovendo la reazione da parte di quelnodo ipersensibile. È proprio qui, pertanto,che si può esercitare l’azione del medici-nale (informazione esogena, eterologa),scelto secondo il criterio della similitudine,che dovrebbe essere in grado in tal mododi by-passare la desensibilizzazione omo-loga. La reazione del nodo allo stimolofarmacologico non sarà solo “contro” lostimolo medicinale, ma manderà segnalianche ai nodi vicini che sono connessi,quindi in pratica sarà una forma di ri-atti-vazione della segnalazione (qualora essasia repressa) o una moderazione (qualorasia troppo attiva). Il risultato complessivo,con riferimento alla situazione delloschema “4”, è quello di una ripresa dell’a-zione stimolante di “B” su “C” e dellaazione inibitoria i “B” su D”, e di conse-guenza un avvicinamento alla situazionedello schema “1”. Alla fine, se sarannorimosse le cause del disordine e si reinte-grerà la funzione normale del nodo dan-neggiato (“A”), anche la sensibilità origi-nale di “B” a segnali omologhi verrà gra-dualmente restaurata; è noto che, cessatolo stress, i recettori possono essere ri-sin-tetizzati e ri-espressi sulla membrana dicellule sane.4. Sintomi generali (nodo “S” in figura 4)Poiché, come si è visto, spesso la malattia(sia acuta sia cronica) dipende da unamancanza di regolazione generale (postacome teleonomicamente corretta) sulledinamiche locali (che possono sfuggire alcontrollo e causare reazioni inappro-priate), nel metodo basato sul “simile”omeopatico non basta dare un segnale“identico” alla malattia attuale, mabisogna dare un segnale che contiene pure

l’informazione concernente la reazioneomeodinamica (locale e sistemica) “nor-male”, in altre parole quello schema direazioni omeodinamiche verso cui esisteuna memoria associativa ed una via dirilassamento capace di portare alla guari-gione. Per questo, si deve conoscere lastoria della reattività dell’individuo, inaltre parole come reagiva “prima” di finirenella cronicità e potenziare quel tipo direattività, in modo che quando l’attrattorepatologico è perturbato, il sistema fuoridell’equilibrio si “agganci” alla reazionenormale evocata dal segnale terapeutico.In tal modo si avrebbe una specie di co-stimolazione: sia della reazione verso lapatologia “ultima” (cronica), sia della rea-zione” fondamentale” dell’individuo, diquella reazione normale che c’era (oavrebbe dovuto esserci) prima della croni-cizzazione. Questi ultimi sono gli schemireattivi che vanno rafforzati in ogni caso,volendo applicare la logica del “simile”. Daquesto punto di vista, anche la malattiaacuta può essere affrontata con la stessalogica. Se è vero che la malattia acuta“guarisce da sola” (perché lo schema, perquanto lontano dall’equilibrio, appartieneallo stesso bacino d’attrazione di quelloideale), è anche vero che la “patologia” ècausata e può peggiorare per una perditadi controllo dell’omeodinamica locale daparte dell’omeodinamica generale (o delcontesto locale, in un orizzonte più allar-gato). Pertanto, secondo la logica del“simile, nella malattia locale i punti nodalipiù importanti (da ri-attivare) non sonoquelli delle dinamiche attuali, ma quellidelle dinamiche precedenti alla reazioneattuale (patologica in quanto fuori con-trollo). Difficilmente si può applicare lalogica del simile cercando di indurreun’ulteriore reazione in un sistema giàsconvolto dalle dinamiche di malattiaacuta. La malattia acuta, in sede locale, vaaffrontata con una logica che mira aridurre le dinamiche reattive (una specie di“soppressione ragionata) e accelerare levie di guarigione (ad esempio promovendoil drenaggio di linfa dove c’è infiamma-zione). In sede locale (o sul singolo mec-canismo) si può usare il “simile” secondola prospettiva del punto n. 1 sopradescritto (nodi “C” e “D”) oppure momen-

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Omeopatia e scienza

taneamente anche medicinali allopatici ofitoterapici se necessario. Invece, là dovesi considerano le situazioni di squilibriocronico che predispongono alla disregola-zione, la malattia acuta va affrontata conla logica del simile.A queste considerazioni si può aggiun-gere che è necessario cercare, dove possi-bile, di ricostruire delle relazioni dina-miche tra i sistemi/sintomi, vale a dire lerelazioni di causa-effetto per cui si puòdire che un sistema/sintomo ha influen-zato o modificato un altro sistema/sin-tomo. Nello schema finora considerato dimalattia, si può facilmente capire che ilnodo “B” ha un’influenza regolatoria suinodi “C” e “D”, che si modificano di con-seguenza. Sul piano dei sintomi, unesempio potrebbe essere quello di un maldi stomaco in un soggetto che vive unsenso di sottomissione frustrante rispettoal capoufficio o rispetto ad un membrodella sua famiglia: la relazione dinamicafra i due sintomi sta nel fatto che il sin-tomo mentale causa quello di stomaco enon è, viceversa, il mal di stomaco checausa la sottomissione frustrante. Vice-versa, in presenza di una malattia invali-dante sul piano fisico, è possibile che sin-tomi psichici come il cattivo umore o l’in-sonnia siano secondari al disturbo orga-nico. Di fronte ad una relazione dinamicachiara, è fondamentale indirizzare l’atten-zione e la terapia verso le cause piuttostoche verso gli effetti. Ovviamente, laricerca di relazioni causa-effetto nonporta quasi mai a trovare la “causa prima”e quindi si è spesso costretti a qualcheapprossimazione. In ogni caso, la logicaseguita in questo problema porta ad unariflessione interessante: nella ricerca deinodi/sintomi-chiave (iniziali nell’ipoteticacatena causale), si dovrebbe attribuire lamassima importanza a quelle modifica-zioni della rete (ovvero a quei sintomi)che appaiono, ad un’attenta analisi,“senza causa”, ovvero “strani” in quantoapparentemente non spiegabili. Talimodificazioni rappresentano, infatti, unlivello di disregolazione “essenziale”, chenon dipenderebbe da altri precedenti equindi sarebbe il primo e decisivo anellodella catena.

7. Conclusioni e prospettiveLa razionalità scientifica non solo noncontrasta col principio del simile, ma lopone come una delle frontiere della far-macologia moderna. Per l’accettazionegenerale di questo principio, però, nonbasta qualche ipotesi sperimentale equalche evidenza di farmacologia para-dossale, serve un cambiamento più pro-fondo nella considerazione della naturadelle malattie. Se la visione prevalenterimane quella di un difetto locale o mole-colare di qualche meccanismo organico,l’unico approccio è quello di cercare dimodificare quel meccanismo (farmacolo-gicamente, geneticamente, chirurgica-mente). Se invece, come abbiamo cercatodi dimostrare nel corso di questa serie dilavori, la malattia è vista come un disor-dine sottile, complesso, sistemico e dina-mico (e questa è la natura della maggiorparte delle malattie odierne e in ognicaso del disordine che sempre accom-pagna anche le malattie apparentemente“semplici” nel loro meccanismo preva-lente), l’opzione di cercare una regola-zione sottile, complessa, sistemica e dina-mica sfruttando il principio del “simile”diviene una possibilità effettiva. Il“simile”, trasferito sul piano operativomediante l’uso dell’analogia tra i sintomidel paziente e quelli patogenetici delmedicinale, diviene un principio “euri-stico” vale adire un sistema per trovare ilmedicinale che, almeno in via ipotetica,potrebbe essere in grado di evocarerisposte autoorganizzative teleonomichein un sistema complesso quando non sipossono controllare tutti i fattori patoge-netici in gioco. Il ricorso a “principi” e“analogie” piuttosto che a “certezzematematiche” non è un salto nel buio maun modo ragionevole di affrontare l’in-certezza che accompagna la scienza earte della medicina. Si tratta di un per-corso metodologicamente già tracciato,grazie al lavoro degli omeopati, cheattende di essere perfezionato. Nello stesso momento in cui si definisce– o meglio si ipotizza – come l’omeopatiapossa funzionare, se ne comprendemeglio la potenziale utilità, ma anche ladifficoltà. La farmacologia convenzionalepunta alla modifica precisa e controlla-

bile di un meccanismo, di un insieme cel-lulare, di un organo. Il metodo basato sul“simile” punta all’organizzazione deisistemi complessi, dove ciò che conta èl’integrità del progetto, la teleonomia, laregolazione dinamica. Riduzionismo edintegrazione hanno ciascuno dei van-taggi e degli svantaggi, certamentenessun approccio può dirsi esaustivo epuò pretendere di escludere l’utilità del-l’altro. L’omeopatia deve rinunciare alle“certezze” del riduzionismo scientificogalileiano, ma ritrova la scienza a suosupporto nella teoria dei sistemi dina-mici, assieme agli sviluppi della biofisicae degli studi clinici, che stanno dando unforte contributo alla rivalutazione diquesto metodo clinico e terapeutico. Cer-tamente, si prende coscienza anche delladifficoltà di agire in un campo dovemolte “certezze” vengono a mancare ebisogna affidarsi a “principi” dal valoreorientativo e molto generale. Al letto delpaziente, il mestiere del medico così con-serva una grande componente intuitivaed artistica. Ma grazie all’integrazionedelle evidenze sperimentali direttamentecollegate all’omeopatia con molte sco-perte della biomedicina e della farmaco-logia, l’omeopatia è sempre meno una“fede” e sempre più un metodo che ha lasua ragionevolezza e la sua giustifica-zione. L’“arte” medica non viene smi-nuita, perché l’altezza e la profondità delmistero dell’uomo (e delle sue malattie) siampliano anziché ridursi, man mano chesi fanno nuovi avanzamenti scientifici. Se è vero che la scienza concorre allo svi-luppo dell’omeopatia, è vero anche l’in-verso, vale a dire che l’omeopatia stadando un forte contributo allo sviluppodegli studi sui sistemi complessi, sullabiofisica e sulla metodologia clinica. Inpatologia, si è sempre verificato che i“farmaci” (intendendo in senso lato tuttele sostanze che modificano in qualchemodo il fenomeno biologico o patolo-gico) sono usati dal ricercatore comedelle “sonde” per indagare un certo feno-meno. Ad esempio l’aspirina non haavuto importanza solo come medicinaleantidolorifico o antinfiammatorio oantiaggregante piastrinico; essa ha con-tribuito, mentre si studiava, a capire il

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Biodinamica, malattia e similitudine

meccanismo dell’infiammazione, deldolore e della trombosi. Le sonde moleco-lari di DNA servono per indagare laforma e la sequenza dell’informazionegenetica, quindi per capire le malattie daun punto di vista della biologia moleco-lare, molto prima e molto di più del loropossibile uso terapeutico. Così l’omeo-patia con la sua stessa esistenza spinge ilricercatore a chiedersi “come” possa fun-zionare la cura e quindi aiuta a scoprirenuovi e insospettati meccanismi di pato-logia e vie di regolazione farmacologica.La sperimentazione omeopatica sull’uomosano è una “sonda”, molto raffinata, nellacomplessità dell’omeodinamica.Questa serie di lavori, allargando lospazio della comprensione della pato-logia in senso dinamico e sistemico, hanel contempo individuato la razionalitàfisiopatologica della terapia basata sul“simile” di Hahnemann.Va infine menzionato un punto a favoredell’approccio omeopatico, che spesso ètrascurato dalla medicina meccanicistica,per lo più centrata sulla “diagnosi”.Affrontare o anche risolvere il problemadella “malattia” non coincide sempre enecessariamente con l’affrontare il pro-blema del malato che vive quellamalattia. La domanda di sa

lute che il malato rivolge al medico con-tiene qualcosa di più di un aiuto tecnico,contiene una domanda di condivisione,di partecipazione, di comprensione. Daquesto punto di vista, ogni caso dimalattia è un caso complesso, perchéanche ammettendo che la malattia“attuale” sia del tipo di quelle risolvibilimeccanicisticamente, resta vero che ilmalato ha un suo modo di vivere la suamalattia e richiede cure personalizzate.Questo, fra l’altro, è il motivo per cui lastrada della medicina del futuro è quelladell’integrazione tra umanesimo escienza (13, 56). A questo proposito, vasegnalato che, normalmente, gli aspettiemozionali e psicologici sono riservati al“buon cuore” dell’operatore sanitario(spesso impreparato) o demandati ad altrefigure con specifiche competenze. Invece,nell’approccio omeopatico, la raccolta diinformazioni sul “vissuto” del malato èparte integrante del procedimento discelta del rimedio “simile” e, probabil-mente, anche del meccanismo dell’effi-cacia del medicinale. Quest’ultima,infatti, dipenderebbe in notevole misuradal “contesto” entro cui avviene la cura(10,11,14).Hahnemann ha introdotto la sua operaprincipale affermando che “Scopo princi-pale ed unico del medico è di rendere sanii malati ossia, come si dice, di guarirli.”(Organon, par. 1). Al tal fine, sono oggidisponibili vari metodi di cura e, possibil-mente, di guarigione, molti di più diquanti fossero disponibili ai tempi in cuila frase fu scritta. Tuttavia, la loro inte-grazione appare un percorso arduo, permolte ragioni culturali e strutturali, masoprattutto perché non si sono compresie definiti i rispettivi campi di applica-zione. Per questo, a conclusione, meritadi essere citato ancora Boyd (1): “E’ statoun vero peccato che due ugualmentevalidi metodi di ricerca clinico-farmaco-logica siano stati visti come mutuamenteesclusivi, mentre potrebbero bene comple-mentarsi a vicenda. (…) Probabilmentetale divisione si è verificata perchéentrambi i metodi si sono dimostrati frut-tuosi nelle mani degli operatori che li uti-lizzavano e, di conseguenza, costorohanno ceduto alla tentazione di magnifi-

care l’importanza del proprio metodo,escludendo gli altri.” Storicamente, laterapia dei “contrarii” ha di gran lungaprevalso su quella dei “simili”, relegandoquest’ultima ad una marginalità scienti-fica, accademica, economica ed istituzio-nale oggi non più giustificabile. Perciò, lariscoperta della validità scientifica del-l’approccio omeopatico pone la necessitàdi trovare un nuovo equilibrio, che diaforza alla ricerca, salvaguardi la libertàinformata di terapia e favorisca il trasfe-rimento di conoscenze con attività didat-tica qualificata in questo settore emer-gente ed affascinante della medicina.

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