Bio Chi Mica Metabolic A

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1 22.11.02 ENZIMOLOGIA: Definizione di enzima: L’enzima è una proteina che interviene nelle reazioni chimiche cellulari Regola la velocità di una reazione ma non interferisce con direzione e verso di reazione. Inoltre l’enzima si modifica nel corso della reazione ma al termine è integra la sua quantità e la sua struttura. La quantità dell’enzima nel corso della reazione è talmente piccola che raramente si può quantificare. Gli enzimi vengono spesso confusi con vitamine e ormoni: infatti, esiste qualche somiglianza tra loro. Differenze e interazioni tra enzimi e vitamine Le vitamine non sono mai proteine, invece l’enzima è sempre una proteina. L’enzima viene sintetizzato dalle cellule, invece le vitamine non sono sintetizzate in forma attiva oppure è necessario che vengano introdotte dall’esterno come precursori e trasformate in seguito nell’organismo. La vitamina può essere fornita in forma inattiva dall’organismo e attivata all’esterno. Es. la vit. A viene introdotta nell’organismo sotto forma di precursore, il carotene, e all’interno delle cellule si forma la vitamina attiva. Un altro esempio è la vitamina D, di cui noi formiamo la provitamina inattiva e necessitiamo di luce (raggi UVA-UVB) per formare la vitamina attiva. Le vitamine possono essere idrosolubili , cioè sono solubili in acqua, come la vitamina B o liposolubili , cioè solubili nei lipidi, come le vitamine A, D, E, K. Le vitamine idrosolubili, generalmente modificate, possono entrare a fare parte degli enzimi, attivandoli. Per quanto riguarda invece le vitamine liposolubili, l’interazione con l’enzima non è chiara. Somiglianze e differenze tra enzimi e ormoni Ci sono ormoni che condividono con l’enzima la natura protidica ed altri che non sono proteine Vengono sintetizzati nelle cellule come gli enzimi Intervengono nelle reazioni in quantità molto basse (10 -8 -10 -11 ), ma non sono catalizzatori Regolano l’attività dell’enzima, ma non si legano all’enzima, a distanza, in modo indiretto nel senso che ci sono degli intermedi, che mediano l’effetto e fanno da tramite. Classificazione degli enzimi: Gli enzimi regolano l’attività cellulare e vengono distinti in 6 classi: ossidoriduttasi transferasi idrolasi liasi isomerasi ligasi A 6 classi di enzimi corrispondono 6 tipi di reazioni nella cellula.

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22.11.02 ENZIMOLOGIA: Definizione di enzima: L’enzima è una proteina che interviene nelle reazioni chimiche cellulari Regola la velocità di una reazione ma non interferisce con direzione e verso di reazione. Inoltre l’enzima si modifica nel corso della reazione ma al termine è integra la sua quantità e la sua struttura. La quantità dell’enzima nel corso della reazione è talmente piccola che raramente si può quantificare. Gli enzimi vengono spesso confusi con vitamine e ormoni: infatti, esiste qualche somiglianza tra loro. Differenze e interazioni tra enzimi e vitamine ��Le vitamine non sono mai proteine, invece l’enzima è sempre una proteina. ��L’enzima viene sintetizzato dalle cellule, invece le vitamine non sono sintetizzate in forma

attiva oppure è necessario che vengano introdotte dall’esterno come precursori e trasformate in seguito nell’organismo. La vitamina può essere fornita in forma inattiva dall’organismo e attivata all’esterno. Es. la vit. A viene introdotta nell’organismo sotto forma di precursore, il carotene, e all’interno delle cellule si forma la vitamina attiva. Un altro esempio è la vitamina D, di cui noi formiamo la provitamina inattiva e necessitiamo di luce (raggi UVA-UVB) per formare la vitamina attiva. Le vitamine possono essere idrosolubili, cioè sono solubili in acqua, come la vitamina B o liposolubili, cioè solubili nei lipidi, come le vitamine A, D, E, K.

��Le vitamine idrosolubili, generalmente modificate, possono entrare a fare parte degli enzimi, attivandoli. Per quanto riguarda invece le vitamine liposolubili, l’interazione con l’enzima non è chiara.

Somiglianze e differenze tra enzimi e ormoni Ci sono ormoni che condividono con l’enzima la natura protidica ed altri che non sono proteine Vengono sintetizzati nelle cellule come gli enzimi Intervengono nelle reazioni in quantità molto basse (10-8-10-11), ma non sono catalizzatori Regolano l’attività dell’enzima, ma non si legano all’enzima, a distanza, in modo indiretto nel senso che ci sono degli intermedi, che mediano l’effetto e fanno da tramite. Classificazione degli enzimi: Gli enzimi regolano l’attività cellulare e vengono distinti in 6 classi:

• ossidoriduttasi • transferasi • idrolasi • liasi • isomerasi • ligasi

A 6 classi di enzimi corrispondono 6 tipi di reazioni nella cellula.

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Gli enzimi vengono caratterizzati da quattro numeri: Il primo numero identifica la classe; Il secondo numero indica la sottoclasse dell’enzima; Il terzo numero indica la sottosottoclasse; Il quarto numero rappresenta il numero progressivo degli enzimi di quella sottoclasse in base all’ordine alfabetico Es. l’etanoldeidrogenasi è indicata con [1.1.1.1]: il primo numero indica che l’enzima appartiene alla prima classe, cioè catalizza reazioni di ossidoriduzione, il secondo indica la sottoclasse, stabilita in base al gruppo che viene ossidato, un alcol; il terzo numero indica la sottosottoclasse, in base al composto che accetta l’H che viene rimosso nell’ossidoriduzione (ovvero il cofattore dell’enzima) e il quarto numero indica che il composto è il primo nell’ordine alfabetico di quella sottosottoclasse. I^CLASSE: ossidoriduzione Alla prima classe appartengono enzimi che catalizzano reazioni di ossidoriduzione. Sono detti

��deidrogenasi: se vengono rimossi 2 H; ��idrossiliasi: se nel corso della reazione viene aggiunto un gruppo ossidrilico –OH.

Es. di deidrogenasi: ��etanoldeidrogenasi: catalizza la reazione reversibile da etanolo ad acetaldeide; è una reazione

enzima-specifica perché riconosce un H legato a C e un H legato a O. Utilizza come cofattori NAD+ che passa nella forma ridotta NADH+H+ e per questo appartiene alla sottosottoclasse 1.

��reazione da acido succinico ad acido fumarico, è una reazione di ossidazione, non una transferasi, in cui vengono spostati 2 H in posizione opposta rispetto all’asse della molecola. Utilizzano come cofattori il FAD che passa alla forma ridotta FADH2. Enzimi che utilizzano questo cofattori appartengono alla sottosottoclasse 2.

Es. di idrossiliasi ��Passaggio da un idrocarburo ad un alcol R-CH3 + O2 R-CH2OH in cui si ha un’ossidazione con O che entra a far parte della molecola che si ossida. II^CLASSE: transferasi Sono enzimi che catalizzano reazioni di trasferimento, ovvero reazioni in cui si ha uno spostamento di un gruppo da un donatore ad un accettore. Le più importanti sono le cinasi. ��Es. Fosforilazione in determinati composti:

Glu + ATP Glu-6-P + ADP [glucosocinasi (GK)] L’ATP è il cofattore della reazione. Si ha il passaggio del fosfato in posizione γ dell’ATP al C6 del glucosio. Componente essenziale in questo tipo di reazione è il magnesio, Mg2+ perché abbassa l’acidità e rende più facile il distacco del radicale fosforico. La fosforilazione è data dall’idrolisi dell’ATP in ADP+P. L’enzima riconosce la posizione 6 del glucosio ed è quindi specifico; la specificità è dovuta al composto che fa da substrato, in questo caso il glucoso. Il prodotto della reazione è Glu-6-P. E’ una reazione irreversibile, infatti il Glu-6-P in presenza di ATP non può tornare glucoso. Le reazioni che coinvolgono ATP sono spesso irreversibili poiché viene scisso il legame di anidride ad alta energia, quindi si ha perdita di energia e si forma il legame di estere.

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Quando il substrato viene fosforilato si hanno reazioni mediate da transferasi, in particolare si parla di reazioni cinasiche, o cinasi, quando il donatore di fosfato è un nucleotide tri-fosfato che dipende da Mg. Nell’esempio precedente l’enzima è la glucosocinasi (GK) perché è specifico nel riconoscere soltanto il Glu. Se l’enzima è una esosocinasi (HK) riconosce anche altri zuccheri come il Man. Le reazioni cinasiche si differenziano da una reazione liasica perché il P che si stacca da una molecola di ATP non viene perso ma si lega al substrato. ��Es. Reazione transferasica: acido 3 fosfoglicerico (3PGA) che ad opera di una fosfotransferasi

forma acido 2 fosfoglicerico. Si ha un trasferimento del P al C2, non è una cinasi perché non c’è un nucleotide 3 fosfato.

��Es. Se abbiamo un amminoacido in cui sappiamo essere presente un gruppo amminico per

reazione transferasica, più precisamente aminotransferasica, il gruppo –NH2 viene trasferito ad un accettore, che in questo caso è un α-chetoacido:

Ala + α-chetoglutarico ac. piruvico + Glu

��Possiamo avere reazioni che trasferiscono nucleotidi, cioè reazioni nucleotidil-transferasiche,

es. Glu-1-P + UTP UDP-Glu + PPi La reazione è reversibile. N.B. il Glu-1-P deve essere scritto sempre in forma chiusa. In queste reazioni il donatore è quello che si accorcia e l’accettore quello che si allunga. III^CLASSE: idrolasi Sono reazioni in cui interviene sempre una molecola di acqua. Sono molto frequenti soprattutto nell’apparato digerente. Es. enzima amilasi salivare o ptialina, che riconosce amiloso, amilopectina e glicogeno. L’α-amilasi è un’endoglicosidasi e deve il suo nome al fatto che rompe i legami glicosidici all’interno della molecola. Attacca il legame 1,4 α-glicosidico al centro della catena e lo rompe. Rompe così la catena in 2 trisaccaridi. La γ-amilasi invece si trova nell’intestino ed è un’esoglicosidasi, cioè attacca agli estremi delle catene e stacca un Glu per volta. E’ in grado di scindere i legami 1, 6 � glicosidici. Il nome dell’enzima è dato dal substrato su cui reagisce.

Es. Glu-6-P + H2O Glu + H3PO4 [glucosio-6-fosfatasi] Questa reazione avviene ad opera dell’enzima glucosio-6-fosfatasi. Generalmente queste sono reazioni irreversibili. IV^ CLASSE: liasi Catalizzano reazioni caratterizzate dalla presenza di un doppio legame sulla molecola che scompare o si forma. Non c’è mai utilizzo di ATP. Es. Ac.-2-fosfoglicerico� acido fosfoenolpiruvico con eliminazione di una molecola H2O. Questi enzimi sono detti:

• idratasi se la reazione di sottrazione di acqua è da destra a sinistra; • deidratasi se l’eliminazione è da sinistra verso destra.

Complessivamente si ha un idroliasi. Es. acido fumarico + H2O � acido malico. L’enzima è specifico perché riconosce solo l’isomero trans che corrisponde all’acido malico e non quello in cis che corrisponde all’acido maleico.

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Es. Ser attaccata alla serina-deidratasi, elimina acqua, si forma un intermedio instabile che evolve spontaneamente nell’acido iminopropionico che in presenza di acqua perde il gruppo amminico e si forma acido proprionico che porterà alla formazione di acido piruvico con liberazione di ammoniaca (NH3). Es. Desolforasi è l’enzima che elimina l’acido solfidrico. Segue le tappe dell’es. precedente sino alla formazione di acido piruvico. Segue lo stesso processo la cisteina su cui agisce una cisteina desolfidrasi. Es. Istidina per azione della desammoniasi perde il gruppo amminico e si forma acido urocanico. Es. Adolasi: è un enzima della via glicolitica, agisce sul Fru-1,6-bisfosfato, rompe il legame tra C3 e C4 e forma fosfodiossiacetone e gliceraldeide-3-fosfato. L’aldolasi è una liasi perché forma il doppio legame sulla gliceraldeide. V^CLASSE: isomerasi Sono enzimi che trasformano un isomero nel suo corrispondente Es. aldoso nel chetoso corrispondente; un monosaccaride nel suo epimero corrispondente, un D- amminoacido in nel suo corrispondente L. VI^CLASSE: ligasi Uniscono un composto ad un altro composto. Si ha sempre presenza di ATP, che non è la specie fosforilante ma si idrolizza per dare energia. Sono in genere reazioni irreversibili. Es. Affinché l’acido grasso si leghi al CoA (secondo substrato) è necessaria energia sotto forma di ATP. Si ha l’idrolisi di ATP in AMP + PPi

CH3-(CH2)n-COOH + CoASH CH3-(CH2)n-CO-SCoA [acil-CoA sintasi] N.B. il termine sintasi può essere utilizzato sia per le ligasi che per le transferasi. Il legame tra il CO-SCoA è un legame ricco di energia. Dal punto di vista termodinamico la reazione è all’equilibrio. E’ una reazione irreversibile. E’ un acil-CoA sintasi, sinonimo di ligasi; la glicogenosintetasi, invece, è una transferasi. Es. Reazione ATP-dipendente: è un es. di reazione di carbossilazione. L’ATP viene idrolizzato a ADP + P.

Piruvato + CO2 acido ossalacetico [piruvato carbossilasi (PC)] L’enzima di questa reazione è la piruvato carbossilasi (PC). La reazione è irreversibile perché si perde energia dalla rottura del legame C-C. 25.11.02 Distribuzione degli enzimi in natura Gli enzimi sono presenti sia nel regno vegetale (es. enzimi della fotosintesi clorofilliana), che nel regno animale. La maggior parte degli enzimi è comune ai due regni. Gli enzimi si distinguono in:

• Esocellulari: enzimi presenti fuori della cellula, nei liquidi circolanti. Es. sono:

��gli enzimi del canale digerente, salivari, gastrici, pancreatici; ��gli enzimi presenti nel siero e nel plasma.

• Endocellulari: enzimi che si trovano all’interno della cellula. Si distinguono in: ��lioenzimi se liberi nel citoplasma,

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��endoenzimi o desmoenzimi se legati a strutture endocellulari.. Per studiare un enzima endocellulare si deve rompere la cellula, se si tratta di un endoenzima si devono inoltre rompere le strutture subcellulri e se questo è legato alla membrana interna dell’organello si deve rompere il legame. L’enzima diminuisce l’energia di attivazione, cioè l’energia che deve essere fornita sotto forma di calore per far collidere le particelle, apportando loro un aumento di energia cinetica. La temperatura ottimale per una reazione enzimatica è 37°C e questo è comprensibile se pensiamo alla natura proteica dell’enzima: in effetti a temperature più elevate le proteine si denaturano. Probabilmente gli enzimi lavorano legando sulla superficie le molecole, facilitandone così il riconoscimento. Risulta difficile quantificare la quantità di enzima in una reazione, generalmente si valuta l’attività di un enzima dal numero di molecole di substrato che scompaiono o che si formano. Regolazione della catalisi enzimatica L’attività specifica dell’enzima è considerata come il numero di �moli di substrato trasformate per µg di proteina al minuto. n° µmoli/ µg di proteina/m 4 fattori o variabili influenzano la velocità di una reazione:

��la concentrazione dell’enzima ��la concentrazione del substrato ��il pH del mezzo ��la temperatura

Dipendenza dell’attività dell’enzima dalla concentrazione dell’enzima stesso In teoria se raddoppio la concentrazione dell’enzima la velocità di reazione raddoppia, ma spesso questa regola non è rispettata perché ci sono altre componenti che interagiscono con l’enzima. In generale si sa che più la velocità aumenta, meno questa regola è seguita. Dipendenza dell’attività dell’enzima dalla concentrazione del substrato Per studiare il substrato devo mantenere costanti le altre variabili. Con la variazione della concentrazione di substrato la velocità aumenta proporzionalmente, ad un certo punto, con l’aumento della concentrazione del substrato si arriva ad una velocità di reazione che sarà costante e si ha una separazione tra velocità dell’enzima e substrato. La velocità massima è la massima capacità dell’enzima. Dal grafico si può ricavare la costante di Michaelis. Questa rappresenta la concentrazione di substrato a cui si raggiunge la velocità semiassiale, ovvero la metà della velocità massima della reazione. Ogni enzima ha una sua propria Km . Se l’enzima ha poca affinità per il substrato si ha una Km grande, se l’enzima ha affinità altissima, la Km è piccola. Se Km è piccola sono necessarie poche molecole di substrato perché l’enzima le riconosca; se la costante è grande sono necessarie molte molecole di substrato perché l’enzima le riconosca. Il sito attivo o catalitico è la parte dell’enzima su cui si lega il substrato e in cui avviene la reazione. Segue il modello della chiave (substrato) e della serratura (enzima). Quando l’enzima riconosce il substrato si ha la formazione del complesso E-S, substrato e enzima si modificano in parallelo, finchè il complesso enzima-substrato si separa. Il substrato modificato è il prodotto della reazione e l’enzima ritorna libero.

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In molti enzimi il sito attivo coincide con il sito di interazione o di legame, in altri enzimi questi due siti sono separati. Sull’enzima perciò sono presenti:

• sito attivo in cui avviene la reazione • sito di legame in cui si lega il S che si orienta nella forma più corretta per essere catalizzato;

possiede dei gruppi polari che prendono contatto con il substrato. • Il sito di interazione o catalitico che comprende i residui amminoacidi responsabili

dell’evento catalitico. Poiché il numero di molecole di enzima è limitato, allora anche il numero dei siti catalitici e dei siti di interazione è limitato. Questo spiega perché al crescere del substrato, ad un certo punto la velocità di reazione diventa costante; il momento in cui la velocità diventa costante è quello in cui tutte le molecole di enzima sono saturate. Nella cellula l’enzima non lavora mai alla velocità massima ma si trova in una via di mezzo, anche sotto la v/2. C’è proporzionalità tra la concentrazione del substrato e concentrazione dell’enzima. La concentrazione del substrato è la variabile che più influenza la velocità. Per alcuni enzimi la curva di Michaelis non è valida e si ha una curva di tipo sigmoide: questa evidenzia un’inerzia iniziale della reazione dovuta alla difficoltà del S ad entrare nel sito catalitico. Esempio di questo tipo è l’Hb. La difficoltà ad entrare nel sito catalitico, diminuisce man mano che cresce la concentrazione del substrato. La curva sigmoide è tipica di ��enzimi che possono avere diverse configurazioni ��di complessi enzimatici, cioè di enzimi multimerici, ovvero con più subunità: in questi c’è

difficoltà a legare la prima subunità. Enzimi allosterici : enzimi che possono avere diverse conformazioni. Dipendenza dell’attività dell’enzima dal pH La dipendenza dell’enzima dal pH è legata alla sua natura proteica. Le cariche positive e/o negative presenti sulla superficie libera dell’enzima possono essere modificate dal pH; una variazione delle cariche porta ad una variazione della velocità, che può anche essere positiva, cioè si può avere un potenziamento dell’attività, ma nella maggior parte dei casi è negativa. La curva di pH per molti enzimi è a campana. La maggior parte degli enzimi delle nostre cellule opera con un pH di circa 6,5-7,5, con alcune eccezioni: ��pepsina �ha un pH ottimale di 1,2-1,8, mentre già a 5,4 viene inattivata con velocità della

reazione uguale a 0. Quindi a pH acido la proteina si attiva. In effetti a pH fisiologico la proteina è inattiva sotto forma di pepsinogeno, il precursore dell’enzima attivo. Il pepsinogeno a pH acido si trasforma in pepsina ;

��un enzima del ciclo dell’urea ha come pH ottimale 8-10; ��altri enzimi sopportano una variazione di pH abbastanza ampia: ad esempio l’amilasi salivare

lavora in modo ottimale tra pH 5 e 9; questa capacità è dovuta al fatto che l’esposizione di cariche superficali è minima.

N.B. Ogni enzima ha il suo pH ottimale.

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Dipendenza dell’attività dell’enzima dalla temperatura La curva velocità-temperatura è di tipo asimmetrico, cioè cresce, raggiunge il picco e da qui va subito a zero. L’attività enzimatica è possibile anche a temperature molto basse (-20°C), la temperatura ottimale è compresa tra i 25 e 37 °C con un massimo di 40°C (picco). Superata tale soglia precipita a zero perché l’enzima viene denaturato. Gli enzimi animali denaturano a temperature minori di 40° a differenza degli enzimi vegetali i quali si adattano a temperature più elevate. Ci sono poi alcuni enzimi batterici che hanno la temperatura ottimale a 70°-90 °C e a temperature di 37 °C sono poco attivi. Questi batteri vivono in ambienti caldissimi e sono detti termofili. Fattori che influenzano la velocità di reazione Fattori che possono influenzare la velocità di reazione sono detti modulatori della velocità di reazione o della catalisi enzimatica. Possono essere:

• Attivatori • Inibitori

��irreversibili ��reversibili

��competitivi ��non competitivi

Inibitori Inibitori irreversibili: l’inibitore legandosi all’enzima porta ad una nuova conformazione irreversibile, non è perciò più possibile tornare indietro e si ha la formazione di un nuovo enzima con caratteristiche diverse: il nuovo enzima funziona male o non funziona più. Inibitori di questo tipo sono rari e funzionano anche in piccole quantità. Inibitori reversibili: l’inibizione è proporzionale alla quantità dell’inibitore, cosa che invece non è proporzionale nell’inibizione irreversibile. Quando si allontana l’inibitore le caratteristiche dell’enzima ritornano quelle iniziali. E’ quindi dipendente dalla concentrazione dell’inibitore. L’inibizione reversibile può essere suddivisa in 2 tipi in base alla modalità di azione dell’inibitore:

• competitivo • non competitivo

L’inibitore competitivo si lega al sito attivo e compete con il substrato; l’inibizione dipende dalla quantità di inibitore e dalla sua affinità con l’enzima. L’inibitore competitivo quindi si lega reversibilmente al sito attivo dell’enzima e impedendo l’accesso al substrato. Nell’inibizione non competitiva l’inibitore si lega in altre parti impedendo all’enzima di variare la sua configurazione; anche variando la concentrazione del substrato non si ha alcun cambiamento, l’inibitore si lega solo al complesso enzima-substrato ma non all’enzima libero. Grafici. • Inibizione di tipo allosterico è caratteristica degli enzimi con struttura polimerica, la curva

diventa sigmoide. • Inibitori diretti verso gruppi tiolici. Può essere un’inibizione reversibile o irreversibile. Gli

enzimi tiolici possiedono un gruppo –SH come gruppo reattivo. L’inibizione modifica il gruppo –SH e l’enzima perde la sua attività. Possono presentarsi 2 casi: 1) se sono presenti 2 gruppi tiolici vicini, è alta la probabilità che si formino ponti disolfuro. 2) se i gruppi tiolici sono distanti, è bassa la probabilità di formare ponti disolfuro.

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Es. se si ha un enzima con 2 gruppi tiolici vicini e l’acido ortoiodosobenzoico come inibitore, quest’ultimo ossida l’enzima, si ha la formazione di ponti disolfuro. E’ una reazione irreversibile. Es. glutatione (γ-glutamil-cisteil-glicina), da glutatione ossidato si passa a glutatione ridotto con formazione di un ponte disolfuro. G-SH � G-S—S-G Es. paracloromercuriobenzoato e altri esempi. 26/11/02 Regolazione dell’attività enzimatica Modificazioni conformazionali l’attività dell’enzima è modificata per attacco o distacco di un gruppo chimico: a) fosforilazione e defosforilazione. E’ la più frequente modificazione conformazionale ed avviene a velocità altissima. La forma attiva, così come quella passiva, può essere quella fosforilata o defosforilata. Il gruppo che si fosforila è in particolare il gruppo OH della Ser, non è una reazione spontanea ma catalizzata da un enzima. E’ necessario ATP. E’ una reazione di trasporto, cioè transferasica, ed in particolare una cinasi, attivata da Mg2+. La reazione è reversibile per mezzo di una fosfatasi, reazione di idrolisi. che aggiunge una molecola d’acqua e permette il distacco del gruppo fosfato. Oltre alla Ser possono essere fosforilati la Thr, la Tyr, quest’ultima possiede un OH fenolico. Nell’Asp viene fosforilato il COOH in posizione ω. b) Modificazioni all’amino-terminale: alcune volte l’N-terminale può essere parte del sito attivo.

L’enzima si modifica, si forma un legame acetilato Es. prostaglandinacetilato è inibita da acido sialico, aspirina, che è un inibitore irreversibile poiché l’enzima rimane bloccato (N-terminale).

c) l’enzima è sintetizzato in forma inattiva o immatura e al momento opportuno viene modificato:

l’enzima ha generalmente una catena con una sequenza amminoacidica in più, è cioè un proenzima o un proprotide, in seguito il distacco di questo frammento modifica la forma dell’enzima e porta il sito attivo sulla superficie.

Es. pepsinogeno � enzima del canale digerente che in forma attiva diventa pepsina. L’attivazione prevede inizialmente il distacco di 2 aa dall’N-terminale. In seguito il proenzima, formato da 1 catena con ponti disolfuro, inattivo, si attiva con una proteolisi ripetuta bicatenale, che porta il sito attivo in superficie. Es. chimotripsina Es. Enzimi che intervengono nella coagulazione del sangue vengono attivati reciprocamente dall’innesco, dovuto alla rottura del vaso.

Un processo simile si riscontra anche per gli ormoni. Es. insulina, composta inizialmente da110aa, si ripiega su se stessa e, nella forma attiva, è formata da 2 catene stabilizzate da ponti –SH, perdendo 30aa.

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d) Gli enzimi possono avere una forma polimerica (attiva) ed una monomerica (inattiva) e nel passaggio dalla forma monomerica alla polimerica l’enzima si attiva e viceversa. Per azione di un inibitore si conferisce l’inattività e il passaggio da polimero a monomero.

Es. proteina cinasi A (PKA), è formata da 2 catene R e 2 catene C, è un tetrametro in forma R2C2; in presenza di cAMP, che si lega alla subunità R, è resa impossibile l’interazione tra le due subunità, e le due subunità si dividono. La subunità C è la subunità catalitica, non può innestare l’inattività se legato a R, è perciò necessario cAMP. Es. lattososintetasi: esiste in 2 forme A e B. L’enzima in forma A è naturalmente presente nella ghiandola mammaria, ma non produce lattosio perché riconosce solo il galattoso e non il glucoso: in condizioni normali è dunque una galattosil transferasi. Al momento del parto viene poi sintetizzato l’ormone prolattina, che consente l’interazione tra A e B: questo dimero riconosce Glu e attiva la sintesi di lattoso: l’enzima diventa dunque una lattososintetasi. e) Regolazione allosterica.

Es. fruttofosfocinasi. Possiede un sito catalitico ad alta affinità per l’ATP. Quando però la quantità di ATP è alta il sito catalitico ha scarsa affinità per l’ATP. Si ha cioè una distorsione del sito catalitico quando è alta la concentrazione di ATP. Quando ciò avviene, il fruttoso-1,6-disfosfato, che è il substrato, ha difficoltà a legarsi al sito: perciò l’ATP ha un effetto negativo, è cioè un modulatore allosterico negativo. In presenza di fruttosio-2,6-disfosfato la curva torna alla struttura iperbolica, perché questo reprime l’effetto negativo dell’ATP e riporta il sito catalitico alla conformazione normale. Effetto allosterico può essere dato dal substrato stesso o da composti diversi. Chiamiamo ��regolazione allosterica omotropica quando il substrato si comporta da modulatore

allosterico (come nel caso dell’Hb) ��regolazione allosterica eterotropica quando non è il substrato a comportarsi da

modulatore, ma una molecola diversa dal substrato agisce da modulatore allosterico (come nel caso di FDP in cui è l’ATP il modulatore).

Specificità dell’enzima La specificità dell’enzima è legata alla sua natura proteica. Si ha specificità di:

• reazione • legame • substrato

Specificità di reazione Es. demolizione del glicogeno. Il glicogeno ha catena principale, formata di molecole di Glu unite con legame 1,4 α-glicosidico, e catene laterali, ramificate a loro volta, attaccate alla principale da legame 1,6 α-glicosidico. L’enzima glicogeno fosforilasi attacca gli estremi non riducenti e stacca un Glu per volta ma si blocca poco prima (4 unità prima) di arrivare alla ramificazione perchè non riconosce il legame 1,6 glicosidico. Interviene allora l’enzima deramificante, che riconosce la deramificazione, attacca sempre dall’estremo non riducente staccando le ultime unita di Glu prima della ramificazione e le trasferisce all’estremità non riducente di un’altra catena (glicosiltransferasi), infine ritorna e rompe il legame 1,6 liberando il Glu in soluzione.

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Specificità del legame Es. pepsina. La pepsina idrolizza la proteina addizionando acqua per rompere il legame peptidico. Presenta aspecificità di legame perché può rompere anche il legame estereo, anche se comunque la reazione è sempre un’idrolasi. Specificità di substrato Es. fosforilazione del glucosio. Può avvenire ad opera dell’esosochinasi che è aspecifica perché riconosce più monosaccaridi: Glu, Man, Fru; possiede comunque una certa specificità perché fosforila sempre il gruppo alcolico primario al termine della catena; la fosforilazione del glucoso può inoltre avvenire ad opera della glucosocinasi che è specifica per il glucosio; si differenzia inoltre dall’esosocinasi per la affinità per il glucosio (HK: 5µm e GK: 20). Es. la fruttosocinasi riconosce solo il Fru che può essere fosforilato in posizione 1 oltre che in altre posizioni. Si parla di specificità:

• assoluta se l’enzima riconosce 1 solo substrato; • relativa se l’enzima riconosce più di un substrato.

Si distingue inoltre tra: • Specificità stereochimica se gli enzimi hanno specificità anomerica, ossia riconoscono la

configurazione spaziale dei gruppi; Es. Glu-6-P-DH è specifica perché riconosce solo l’anomero α.

• Specificità enantiostereochimica: enzimi che riconoscono solo uno dei 2 enantiomeri. Cofattori delle reazioni enzimatiche Sono di natura non proteica, si legano agli enzimi e gli conferiscono attività. Vengono distinti in 2 classi: • gruppi prostetici sono parte integrante dell’enzima; sono uniti da legami covalenti, di difficile

rottura; • coenzimi si legano all’enzima solo durante la reazione; sono uniti all’enzima da legami deboli;

vengono anche detti cosubstrati perché in effetti si comportano come substrati. Cofattori sono molte vitamine del gruppo B: concorrono a formare i gruppi prostetici e i coenzimi. Noi non siamo in grado di sintetizzare le vitamine del gruppo B e pertanto devono essere introdotte con la dieta. Es. enzima ossidoriduttasi ha come gruppo prostetico i flavinmononucleotidi: riboflavinfosfato (FMN) e flavinadenildinucleotide (FAD). Se manca la vitamina B2, cioè la riboflavina, non siamo in grado di attivare l’enzima. La vitamina B2 è formata da ribitolo + isoallossazina [uniti da legame non N-glicosodico tra N10 e C1] ��FMN: si forma in seguito alla fosforilazione della vitamina B2 sul C5 (e precisamente CH2OH)

del ribitolo. Non è un nucleotide perché il legame tra il polialcol, ribitolo, e la base azotata dell’isoallossazina, non è di natura glicosidica. Il P si lega con legame estereo.

��FAD: è composto da 2 nucleotidi: FMN + AMP, data da ATP, uniti da legame pirofosforico. Es. enzima Succinato-DH: l’His, che presenta un gruppo amminico, si lega al metile in posizione 8 dell’isoallossazina e si forma un legame ammidico N-C molto stabile. La Cys ha un gruppo –SH, S si lega al C metilico in posizione 8. Sono importanti i gruppi N5 e N1.

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Es. nell’acido succinico vengono trasferiti i 2 H nell’azoto in posizione 5 e in posizione 1. I doppi legami si spostano sul C di legame, unico doppio legame. Cambiano le proprietà fisiche: spettrali e la colorazione. Gli enzimi flavinici possono essere: ��ossitropi se H legato a N1 e N5 va direttamente all’O2 molecolare, cioè se ha alta affinità per O2

, ad es. xantino-ossidasi, aminoacido-ossidasi ��anossitropi se ha bassa affinità per ossigeno molecolare e trasferisce gli H ad altri accettori che

a loro volta si riducono, es. coenzima Q, cioè componenti della catena respiratoria. Tiamina La tiamina, vit. B1, è formata da un anello pirimidinico e un anello tiazolico uniti da un ponte metilenico . L’H legato al C in 2 dell’anello tiazolico si stacca facilmente perché ha carattere acido in quanto N e S sono atomi molto elettronegativi, tende a staccare quindi H ed agganciare composti. La tiamina viene assunta con la dieta, alimenti ricchi in tiamina sono la crusca e il lievito.

Timina + ATP TPP + AMP Dalla tiamina con aggiunta di ATP si forma la tiaminapirofosfato TPP, in cui il PP si attacca al C alcolico della catena laterale etilica in C5 dell’anello tiazolico. Reazione pirofosfochinasica: l’H si porta sul C carbonilico del piruvato. 27/11/02 Biotina È una vitamina del gruppo B formata da 2 eterocicli condensati: anello imidazolico + tiazolico con una catena di acido valerianico legata al C5 dell’anello tiazolico. E’ sempre legata a protidi, quindi mai libera, attraverso il gruppo COOH della catena laterale, con legame isopeptidico perché è l’NH2 in ε a legarsi al gruppo carbossilico. In natura si trova biotin-Lys, detta biocitina, sulla quale interviene un enzima specifico intestinale, biotinidasi, che rompe il legame isopeptidico con Lys, e la biotina viene assorbita dalle cellule dell’intestino e qui copulata con protidi. Ci sono persone in carenza di biotina perché non riescono ad assorbirla per via intestinale. Enzimi che portano la biotina sono delle ligasi. La biotina è il caratteristico cofattore delle reazioni di carbossilazione. Es. Carbossilazione dell’acido piruvico:

ac piruvico + CO2 ac. ossalacetico (con idrolisi dell’ATP in ADP+P). E’ una reazione irreversibile. L’avidina, che si trova nell’albume dell’uovo, lega biotina con alta affinità sottraendola all’assorbimento intestinale, non è un legame di tipo covalente, ma non si può spezzare. Nel pulcino per carenza di biotina si ha la perdita delle piume. La reazione di carbossilazione avviene in 2 tappe: Il primo intermedio è sconosciuto, ma si ipotizza sia presente un fosfato (liberato da ATP) legato al C, cioè si suppone la formazione di un intermedio attivo, labile, ovvero la biotina fosforilata, che permette al HCO3

- ione di legarsi sull’N. Nel secondo intermedio si ha carbossilazione del gruppo prostetico dell’enzima che accetta il bicarbonato ione legato all’N1 dell’anello imidazolico della biotina. La reazione richiede Mg2+.

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Piridossina E’ la vitamina B6 [2-metil-3-idrossi-4,5-didrossimetilpiridina]. E’ solubile. Sono note diverse forme: Forma formilica, cioè piridossale, con CHO in C4 dell’anello di piridina [2-metil-3-idrossi-4-formil-5-idrossimetilpiridina] Forma amminica, cioè piridossamina, è la più frequente delle 3 forme; con CH2-NH2 sempre in C4. Piridossalfosfato è l’estere fosforilato in C5 sul gruppo CH2OH […5-piridilmetilfosfato] È molto presente nel latte e nei derivati, soprattutto i formaggi stagionati, dal momento che la formazione della vitamina B6 è dovuta all’azione dei batteri. Il legame di questo gruppo prostetico con la proteina è stabile, non si conosce il meccanismo di azione. Il gruppo prostetico della vitamina è il piridossale. Il legame del gruppo prostetico con la vitamina altera più parti della vitamina. Il gruppo formilico in C4 è importante per il riconoscimento del coenzima. La forma formilica è la forma attiva nel nostro organismo. Gruppo prostetico ed apoenzima sono saldamente uniti mediante legame aldiminico, che si stabilisce fra il formile del piridossal-5-fosfato e l’aminogruppo in ε di un radicale di Lys del protide. Il legame con il gruppo formilico in C4, con eliminazione di H2O, forma quindi un legame aldiminico o base di Schiff -HC=N-Enzima. In alcuni enzimi questo legame aldiminico è valido, in altri invece scompare. Nell’enzima fosforilasi del muscolo è stabile e non prende parte alla catalisi enzimatica. Gruppo prostetico della fosforilasi è la piridossina. IL piridossalfosfato è soprattutto legato al metabolismo degli amminoacidi, in reazioni di transaminazione, in cui il legame aldiminico scompare all’inizio della catalisi e riappare più avanti. Coenzimi NAD e NADP (ha un gruppo fosfato in C2’ del riboso) sono i coenzimi principali di reazioni di ossidoriduzione. NAD+ e NADP+ � forma ossidata NADH+H+ e NADPH+H+ � forma ridotta ��NAD: nicotinamide-adenina-dinucleotide o cozimasi I o coenzima I Composizione:

• 1 molecola di amide dell’ac nicotinico o nicotinamide • 1 molecola di adenina • 2 molecole di D-riboso • 2 molecole di ac. fosforico

Legami: 2 legami β-glicosidico: tra ribosio e l’N9 dell’adenina e ribosio e l’N 1 della nicotinamide 2 legami esterei tra gruppi alcolici primari del ribosio e l’ac fosforico 1 legame pirofosforico tra i 2 mononucleotidi: AMP e Nicotinamide riboso-P ��NADP: nicotinamide-adenina-dinucleotide fosfato o cozimasi II o coenzima II ha in più una molecola di ac fosforico in posizione C2’ del ribosio dell’adenosina -anello aromatico nella forma ossidata; anello chinoide nella forma ridotta -sono rappresentati in forma cationica, cioè con carica positiva sull’N 1 della nicotinamide, carica che in soluzione viene bilanciata da anioni Cl- -sono ionizzati gli OH acidi dei radicali dell’ac fosforico, ciò conferisce carica negativa alla molecola, per cui il NAD può considerarsi ione dipolare con in più una carica negativa,

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mentre il NADP ione tetrapolare con una carica positiva. La riduzione interessa il nucleo piridinico nella posizione N1 e C4 con formazione di un nuovo centro di asimmetria. Le forme ossidata e ridotta hanno 2 diversi spettri di assorbimento nell’UV Ossidata 260 mµ dovuta agli anelli purinici e pirimidinici Ridotta anche 340 mµ dovuta alla struttura chinoide dell’anello nicotinamide ridotto Derivano dalla vitamina B essenziale, niacina o acido nicotinico. La niacina esiste sia come acido libero che come nicotinamide, cioè amide con NH2 sul gruppo COOH = CONH2. Sia la niacina che la nicotinamide sono attivi e vengono in piccola parte formati a partire dalla demolizione del Trp, il quale però è poco rappresentato nelle proteine; pertanto tale produzione non riesce a coprire il fabbisogno giornaliero. Inoltre il Trp in parte non segue la via della sintesi di ac nicotinico. L’insufficienza di Trp porta ad una patologia nota come pellagra, tipica delle popolazioni di montagna che un tempo si cibavano solo di polenta. NAD è formato da 2 nucleotidi: AMP che si lega con il suo gruppo fosfato con legame di anidride al fosfato del nicotinammide. Nel passaggio dalla forma ridotta alla ossidata si ha l’ossidazione delle aldeidi in chetoni e viceversa. Es. etanolo ossidato ad acetaldeide ad opera di una DH che stacca i 2 H, quello legato all’OH e H che viene ossidato a protone. Il gruppo che accetta protoni è il nicotinamide, lo ione idruro si porta al C4, si ha una ridistribuzione dei doppi legami, l’anello non è più aromatico come nella forma ossidata, bensì chinoide nella forma ridotta.. Modificazioni fisiche si hanno nello spettro di assorbimento: 260 nm di assorbimento nella forma ossidata e 340 nm nella forma ridotta. Dei 2 H rimossi quello che va via come idruro è quello legato a C e quello legato all’O è il protone. Nel trasferimento di elettroni si ha NAD ridotto, lo spostamento di H è codirezionale. Vengono distinte 2 tipi di ossidoriduttasi o NADH+H:

• tipo B se l’H si lega dalla parte del C con il gruppo NH2 • tipo A se l’H si lega dall’altra parte •

Il NADP è più acido di NAD per la presenza del gruppo P in C2’ del ribosio dell’AMP. CoASH [3-fosfo-adenosindifosforil-pantoil-β-alanina-cisteamina] è un mononucleotide, costituito da:

• Ac pantoico: α,γ-diossi-β,β-dimetil-butirrico • β-alanina • cisteamina (Cys decarbossilata) o β-mercaptoetilamina • 2 molecole di fosfato • adenosin-3-fosfato

ac. pantotenico o vit B3 (o pantoil-β-alanina) = ac pantoico + β-alanina [legame amidico] ac pantotenico + cisteamina [legame amidico]

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Legami: β-glicosidico tra N9 della adenina e C1 del ribosio di estere tra gruppo alcolico 2ario in C3 e fosfato estereo tra gruppo alcolico 1ario in C5 e fosfato pirofosforico o anidride estereo tra OH e gruppo alcolico 1ario dell’ac pantoico amidico tra COOH dell’ac pantoico e NH della β-alanina amidico tra COOH della β-alanina e NH della cisteamina Deriva dall’acido pantotenico, vitamina del gruppo B, che non viene sintetizzato ma si assume con gli alimenti. Fabbisogno è di 10-20 mg/giorno. La carenza è rara dal momento che, come dice il nome stesso, è presente nella quasi totalità degli alimenti. Acido pantoico + β-alanina, che deriva dall’Asp, con legame peptidico= acido pantotenico Ac pantotenico + Cys = ac pantotenilcisteina, che va incontro a decarbossilazione. Ac pantotenico in presenza di ATP = ATP + PPi acquista AMP e si forma defosfoCoA che non è ancora funzionante perché manca un P in C3’ del riboso. Infine in una reazione cinasica ATP dona P che lo lega al C3’ del ribosio e si forma CoASH attivo. Il CoA è il trasportatore di acili, forma un legame tioestere con il gruppo tiolico del CoA; il legame tioestere è ricco di energia. Il CoA è importante nella sintesi dell’acido grasso. Se CoA è legato all’acetile si ha acetil-CoA. 2 dicembre 2002 Lezione di biochimica 2.φασε ιντερµεδια È una fase che porterà alla costruzione del primo legame ricco di energia. La molecola dell’esoso verrà scissa in due unità a tre carboni, detti triosi, che verranno ossidate per formare l’intermedio acido 1,3-bifosfoglicerico. Andiamo quindi dal fruttosio-1,6-bifosfato all’acido 1,3-bifosfoglicerico. Dalla rottura dell’esoso tutti i composti che si formeranno saranno sempre moltiplicati per due perché abbiamo formato molecole di trioso a partire da un esoso. La catena carboniosa del fruttosio-1,6-bifosfato viene scissa a livello del C3-C4 e dai C1, 2, 3 formiamo il primo chetotrioso, fosfodiidrossiacetone (DAP), dai C 4,5,6 formiamo il secondo trioso, gliceraldeide-3-fosfato (GAP). L’enzima che interviene nella reazione prende il nome di aldolasi e di questo enzima ne esistono in natura due tipi: uno tipico del regno animale ed uno tipico del regno vegetale(microrganismi). La differenza è che l’enzima dei nostri tessuti apparentemente non ha cofattori e tutto il meccanismo della reazione si impernia su un residuo di lisina che fa da ponte del sito catalitico dell’enzima, mentre l’enzima presente nei microrganismi è un metallo-enzima la cui attività dipende da zinco. Le due aldolasi funzionano quindi in modo completamente diverso, l’una dipende tutta dalla presenza di lisina nel sito catalitico, l’altra dipende invece da un zinco ione presente anch’esso nel sito catalitico a intorno al quale si impernia la reazione. Sono, quindi, due enzimi completamente differenti seppur tutti e due catalizzino la stessa reazione di scissione del F-1,6-P in due triosi. L’equilibrio è reversibile e la reazione è liasica (carbonio-carbonio-liasi) in quanto nel corso della reazione si è formato un doppio legame nel gruppo carbonilico dell’aldeide. L’enzima, quindi rompe un legame C-C e costruisce su questa rottura un doppio legame. L’aldolasi nei nostri tessuti è

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un tetramero di tipo α2β2, in cui la differenza fra le catene α e le catene β è minima. In particolare le catene β portano un residuo di acido aspartico che nel caso delle catene α è un’asparagina. Quindi l’unica differenza fra le due catene è che le catene β sono leggermente più acide delle α. Questa reazione può essere spiegata in funzione dei gruppi che sono presenti sul sito catalitico. Il sito catalitico dell’aldolasi nei tessuti animali è abbastanza conosciuto e su di esso si affacciano più gruppi reattivi rappresentati da una arginina e due lisine, aa basici, da una cisteina e da una istidina. 1. l’arginina Arg ha la funzione di legare in modo stabile il fosfato in posizione uno visto che ha un gruppo guanidinico carico. Quindi quando il substrato si avvicina al sito catalitico il primo legame che si costituisce è tra il fosfato in 1 e il gruppo guanidinico dell’arginina. In questo modo il substrato è agganciato all’enzima. 2. Conseguentemente il gruppo carbonilico in posizione 2 viene riconosciuto dalla lisina che, in prossimità dell’arginina, stabilisce una reazione aldeide-ammina (legame aldimminico) con eliminazione di una molecola d’acqua. 3. Nel terzo momento il residuo di cisteina delocalizza il proprio protone H+ verso l’amminogruppo della lisina che diventa un gruppo NH3 carico. 4. Il gruppo NH3 riconosce il fosfato in 6 su cui si aggancia. 5. La cisteina che ha perso il suo protone tende a catturare l’ H legato al C3. la delocalizzazione di questo H porta ad una labilizzazione del legame C3-C4. la catena, quindi, si spezza e si viene a creare un carbanione fra i C1, 2 e 3 e una GAP fra i carboni 4, 5, 6. si libera quindi il primo prodotto della reazione. 6. Il carbanione che si è creato viene protonato dall’istidina e questo induce, in presenza di acqua, la risoluzione del legame aldimminico e il passaggio in soluzione del secondo prodotto della reazione: DAP. La cisteina è quindi essenziale per la liberazione del primo prodotto della reazione, mentre l’istidina è importante per il secondo prodotto. L’aldolasi è considerata come enzima tiolico perché se blocco la cisteina prima della reazione del gruppo tiolico impedisco la rottura del legame C3-C4. Formatisi i due triosi la glicolisi va avanti e comporta la trasformazione del DAP in GAP. La reazione è reversibile e l’enzima che interviene è indicato come trioso-fosfato-isomerasi, che è l’enzima che ha la maggiore attività fra tutti gli enzimi presenti nella glicolisi. Il meccanismo di questa isomerizzazione si può considerare simile a quello della reazione G6P�F6P in quanto vi è di nuovo la trasformazione di un chetoso in un aldoso. È importante ricordare che nella trioso-fosfato-isomerasi vi è un sito catalitico di un radicale di acido glutammico. Questo acido glutammico ha il gruppo carbossilico impegnato nella catena, il gruppo amminico impegnato nella catena e il carbossilegame libero che, in forma deprotonata COO-

, interviene sul gruppo alcolico primario del DAP ed estrae un protone. Il trasferimento di questo H+ porta ad un riassestamento della molecola e la formazione di un intermedio dienolico di tipo carbanionico. Il gruppo C-O- carico negativamente riceve a sua volta il protone dal radicale dell’acido glutammico che l’aveva acquistato. Quindi l’enzima toglie dapprima l’H+ e lo trasferisce al proprio sito catalitico e dopo prende questo H+ e lo manda all’O carbonilico. È quindi un processo di ossidoriduzione interno in quanto il gruppo alcolico primario viene deprotonato e il gruppo carbonilico viene protonato. Con questa reazione isomerasica ci troviamo in presenza di due molecole di GAP: una deriva direttamente dalla reazione aldolasica e l’altra dalla reazione isomerasica. La tappa successiva coinvolge entrambe le molecole e prevede la deidrogenazione dell’aldeide e la sua simultanea fosforilazione. La fosforilazione dell’aldeide deidrogenata non è data da ATP, ma è data dal passaggio in legame organico di un fosfato inorganico.quindi il fosfato che si trova nell’acido 1,3-bifosfoglicerico proviene da un fosfato inorganico e mai dall’ATP. Si parla quindi di οσσιδαζιονε φοσφοριλαντε in quanto c’è ossidazione del gruppo aldeidico e contemporaneamente la sua fosforilazione. L’aldeide, quindi, è ossidata a gruppo carbossilico e

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simultaneamente il carbossile legato a fosfato. Ogni reazione di ossidazione si accompagna sempre ad una reazione di riduzione: l’ H viene rimosso dall’aldeide e accettato temporaneamente dal cofattore NAD che diventa NADH+H+. La reazione è reversibile ed è catalizzata dall’enzima γλιχεραλδειδε−φοσφατο−δειδρογενασι (ΓΑΠ−∆Η). quando ossido la GAP formo una molecola di NAD ridotto che vuol dire uno ione idruro H+. Apparentemente, però, la GAP nel gruppo aldeidico porta un solo atomo di H. Come si può piegare il fatto che l’enzima sottragga due atomi di H nella formazione dell’aldeide in gruppo carbossilico? La domanda trova risposta nel meccanismo della reazione che vede nella GAP DH un enzima tiolico in cui il gruppo tiolico –SH fa parte del sito catalitico. L’enzima, appena la reazione inizia è in grado di legare NAD+. La GAP-DH sebbene usi come cofattore il NAD+ in realtà lo possiede anche come gruppo prostetico; il NAD+, quindi, è simultaneamente gruppo prostetico e cofattore della reazione. Quando comincia la reazione l’enzima si appronta al substrato e forma con il gruppo aldeidico il tioemiacetale. Nella formazione di questo tioemiacetale il C diventa un C apparentemente alcolico ed è quindi possibile da parte dell’enzima sottrarre l’ H legato al C come ione idruro H- e mandarlo al NAD+. A questo punto il C, in seguito alla deidrogenazione, avrà con il gruppo tiolico un legame tioestereo. A questo punto l’enzima interviene un’altra volta sull’intermedio e stacca l’acile trasferendolo all’ortofosfato e formando così il prodotto della reazione: acido 1,3-bifosfoglicerico. Simultaneamente scambia il NADH+H+ ad esso legato con il NAD+ che esiste nel mezzo: il NADH+H+ si stacca e viene scambiato con il NAD+. Alla fine di questa reazione avrò quindi il prodotto della reazione: NAD ridotto in soluzione e l’enzima alla forma di partenza. Gli inibitori della reazione saranno tutti reattivi dei gruppi tiolici che laddove interagiscono con il gruppo –SH distruggono la catalisi perché l’enzima non riconosce più il substrato. Gli inibitori, inoltre, sono composti che competono con il fosfato per legarsi all’acido-3-fosfoglicerico. Energico competitore è l’acido arsenico, acido pentavalente, per il quale l’enzima ha una affinità più alta di quanto non abbia per il fosfato. L’enzima quindi trasferisce l’acile preferibilmente all’arseniato che non al fosfato. Si forma quindi un acido che ha un arseniato in 1 e un fosfato in 3: il legame arseniato-carbossile, però, è estremamente labile e non appena si forma si idrolizza subito. Il risultato sarà che la glicolisi che procede in presenza di arseniato, rende pochissimo perché si perdono due molecole di ATP. Con la formazione dell’1,3-bifosfoglicerato, chiudiamo la fase intermedia. 3. φασε χονχλυσιϖα ο ρεδδιτιζια È una fase che rende energia. La resa si può già vedere in quanto il legame che si è formato fra il fosfato e il carbossile è un legame di anidride che ha un livello energetico pari se non superiore a quello del legame pirofosforico terminale dell’ ATP. Il fosfato ricco di energia che si è formato verrà trasferito all’ADP per formare ATP. Quando si cerca di dimostrare la presenza dell’acido 1,3-difosfoglicerico in una cellula che è in via di glicolisi, non si riesce ad isolare questo intermedio perché si forma sulla superficie dell’enzima ma immediatamente passa sull’enzima successivo che prevede a trasferire il fosfato sull’ADP. Quindi la GAP-DH e l’enzima che segue, la trifosfoglicerato-cinasi, lavorano in tandem. Il substrato scivola dalla GAP-DH alla 3PGK senza liberazione in soluzione di acido 1,3-bifosfoglicerico. I due enzimi sono strettamente ravvicinati all’interno del citoplasma. L’enzima τρε−φοσφογλιχερατο−χινασι è in grado di catalizzare una reazione reversibile. È la prima reazione redditizia della via glicolitica: con questa reazione la glicolisi è in pareggio perché le due molecole di ATP spese all’inizio le abbiamo ora riformate. Le reazioni che seguono sono in funzione di potenziare l’energia del legame estere che si trova sull’acido 3-fosfoglicerico e trasformarlo in un legame ad alto livello di energia per sintetizzare una nuova molecola di ATP. Questo accumulo di energia è graduale e inizia con il trasferimento del fosfato dalla posizione 3 alla posizione 2. questa reazione è ancora reversibile. Questa reazione implica l’intervento da parte

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dell’enzima di due amminoacidi: uno fosforilato e uno defosforilati. In particolare sulla fosfoglicerato…. Hanno identificato un sito con istidina e un sito con istidina fosforilata. La catalisi inizia con l’intervento dell’istidina fosforilata che trasferisce il fosfato alla posizione 2 dell’acido 3-fosfoglicerico. Si ha così l’intermedio dell’acido 2,3-bifosfogicerico. Formato questo intermedio, l’enzima stacca il fosfato alla posizione 3 e lo manda all’istidina defosforilati e si avrà enzima fosforilato+acido2-fosfoglicerico. È una reazione liasica in cui l’idrolasi toglie una molecola d’acqua tra il C1 e il C3. È reversibile. Con la sottrazione dell’acqua la distribuzione dell’energia all’interno della molecola cambia profondamente e l’energia si accentua sul legame enolfosfato che diventa un legame con caratteristiche molto vicine ad un legame di anidride. L’idrolisi di questo legame porta ad una liberazione di energia superiore, quasi doppia a quella del legame fosfato-terminale dell’ATP. L’accentramento dell’energia sul legame enolfosfato è indispensabile affinché avvenga la reazione successiva, nuovamente cinasica, in cui il PEP cederà il fosfato all’ADP per formare una nuova molecola di ATP. L’enzima che è intervenuto nella formazione di PEP prende il nome di enolasi ed è una idrolisi che utilizza come cofattore della reazione il Mg2+. Tipico inibitore dell’enolasi è il fluoruro perché in presenza di fosfato si forma un complesso fluoro-fosfato di magnesio che sottrae Mg2+ all’enzima. L’enzima quindi si inattiva e di conseguenza si blocca anche la glicolisi. Il PEP, elemento estremamente labile, non si libera nel mezzo, ma viene a legarsi immediatamente all’enzima che segue, la πιρυϖατο χινασι (ΠΚ), il quale provvederà a trasferire il fosfato dal PEP all’ ADP per formare ATP. La reazione è irreversibile perché: 1.L’energia del legame enolfosfato è molto più alta rispetto all’energia del legame pirofosforico terminale dell’ATP: la reazione è quindi esoergonica. 2.L’enzima PK ha scarsissima affinità per il piruvato che non potrebbe quindi legarsi per riformare PEP. 3.L’ATP è un inibitore per la PK L’ ATP inibisce la PK in quanto copre con il suo fosfato terminale la parte dell’enzima che lega il fosfato. È un inibitore di tipo competitivo. La PK diventa uno degli enzimi regolatori della via glicolitica in quanto catalizza un equilibrio irreversibile. Esiste in 3 isoforme:

o L : isoforma caratteristica del fegato o M1: isoforma caratteristica del muscolo o M2: isoforma caratteristica degli altri tessuti

L è attivata da F-2-P e inibita da alanina, NAD ridotto e ATP L La forma L può esistere in forma fosforilata e defosforilati. La forma L-P fosforilata è inattiva (-), mentre quella defosforilati L è attiva (+). Il passaggio da L a L-P e sotto controllo ormonale.

+ FDP

Alanina NADH+H

ATP

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Insulina L’insulina facilita la formazione della L, mentre glucagone e adrenalina agevolano la forma L-P. bisogna tenere conto dell’inibizione da alanina il che vuol dire una proteolisi intensa a livello epatico, la glicolisi si arresta a livello della piruvato cinasi e l’accumulo di alanina porterà all’inibizione dell’enzima. Con la tappa PK la glicolisi si chiude con resa di ATP e si chiude quindi la fase che da energia. Infatti la reazione che trasformerà il piruvato in lattato non darà più energia, ma è essenziale perché in questa consumeremo quello molecola di NADH+H+ che si era formata a livello della GAP-DH. Questo consumo è essenziale per garantire alla glicolisi la sua funzionalità: un accumulo di NADH+H+ porterebbe al blocco della PK, a un blocco della PFK 1 e ad una reversibilità della GAP-DH.

• Glicolisi nel globulo rosso Nel globulo rosso a livello della tappa 1,3-bifosfoglicerato�3-fosfoglicerato si insedia un ciclo futile che porta alla dispersione del legame ricco di energia dell’acido 1,3-bifosfoglicerico. È un ciclo caratteristico solo del globulo rosso che fa si che si formi un intermedio 2,3-bifosfoglicerato con perdita del legame ricco di energia dell’acido 1,3-bifosfglicerico. È quindi un ciclo svantaggioso in termini energetici, ma vantaggioso perché forma questo intermedio che è essenziale nel globulo rosso perché riconosce sull’ emoglobina un sito per ogni subunità e andandosi a legare alle catene β modifica la conformazione dell’ Hb che diventa meno affine per l’ossigeno e facilmente l’ossigeno può defluire verso i tessuti. Il 2,3-bifosfoglicerato, quindi, andandosi a legare all’Hb, facilita il passaggio della ossi-Hb a deossi-Hb. La deviazione dell’acido 1,3-bifosfoglicerico dalla via glicolitica normale è reso possibile dalla presenza nel globulo rosso di una 1,3-difosfoglicerato mutasi che provvede a trasferire il fosfato dalla posizione 1 alla posizione 2. Nel globulo rosso, quindi, l’1.3-difosfoglicerato invece di andare incontro a reazione cinasica, che porta alla formazione di ATP più 3-fosfoglicerato, si trasforma in 2,3-bifosfoglicerico. 1,3-PGA Il 2,3-difosfoglicerato non appena si accumula diventa un inibitore per la mutasi e trasforma in una idrolasi. Lo stesso enzima che ha trasportato il fosfato dalla posizione 1 alla 2, quindi, diventa una

Fosfatasi

L-P

L

H2O

Pi PKA

ATP

ADP Glucagone Adrenalina

Mg2+

1,3-difosfiglicerato-mutasi 2,3-PGA

Pi

3-PGA via

glicolitica

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idrolasi laddove il 2,3-PGA si accumuli e in presenza di acqua toglie il fosfato alla posizione 2 e forma l’acido 3-fosfglicerico che rientrerà nella via glicolitica normale. L’enzima 1,3-PGA-mutasi, quindi, è un enzima aspecifico: è sia idrolasi che isomerasi. Il risultato più evidente di questo ciclo è che la glicolisi non rende più perché formerò ancora 2ATP a livello della tappa fosfo-enol-piruvato�piruvato che andranno però a pareggiare i 2ATP consumati all’inizio senza dare ulteriore energia. Questo ciclo del 2,3-difosfoglicerico è quindi tipico del globulo rosso ed avviene solo in esso. �Chiusura della Glicolisi consiste nell’ultima tappa in cui il piruvato ritorna lattato consumando il NADH+H+ che si era formato a livello della tappa gliceraldeide-fosfato-deidrogenasi (GAP-DH). Con questa tappa la via glicolitica si chiude in pareggio perché, per quanto riguarda i metaboliti, ha riossidato il NADH+H+ e può quindi ripetere il processo. È in attivo energeticamente perché ha formato 2ATP. Se la glicolisi sfrutta questa tappa è valida l’affermazione: “La glicolisi è un processo che vive di se stesso” perché forma cofattori ridotti, ma li riossida allo stesso tempo. La glicolisi è quindi una ϖια αυτοσυφφιχιεντε per quanto riguarda il potere di ossidoriduzione in assenza di ossigeno. La reazione è reversibile e se andiamo da piruvato verso lattato riduciamo il gruppo carbonilico del piruvato a gruppo alcolico secondario. Con la riduzione formiamo quindi un carbonio chirale e la forma dell’acido che viene sintetizzata nel nostro organismo è la forma L che porta l’ossidrile a sinistra del piano della molecola rispetto al carbossile in posizione 1. Non siamo in grado di formare l’acido D-lattico che è invece formato dai batteri. L’enzima lattico deidrogenasi è quindi stereospecifico. La reazione, pur essendo reversibile, diventa unidirezionale in alcuni tessuti.

• Muscolo scheletrico: piruvato�lattato • Cuore: lattato� piruvato� lattato • Fegato e altri tessuti: piruvato lattato

Da cosa dipende questa elettività nei tessuti? Dipende dalle caratteristiche della LDH. Questo enzima è un tetramero formato da catene M e H dove le catene M sono caratteristiche dell’enzima del muscolo scheletrico e le catene H sono caratteristiche dell’enzima del muscolo cardiaco. Nel muscolo scheletrico l’enzima esiste prevalentemente nella forma M4, mentre nel cuore esiste preferenzialmente nella forma H4. Negli altri tessuti troviamo tutte le possibili combinazioni: M3H, M2H2, MH2. Nel fegato largamente predominante è la forma M2H2 Queste forme si trovano in circolo perché in parte per sfaldamento dei tessuti, in parte per la discreta permeabilità delle membrane cellulari gli enzimi possono entrare. Dal rapporto fra le diverse forme è possibile stabilire se è avvenuto un danno a livello tissutale. Questo enzima LDH, ha quindi carattere diagnostico. Le diverse isoforme si riconoscono sia per il tipo di reazione, ma soprattutto per la velocità di migrazione in un campo elettroforetica, dove le forme più veloci sono le forme H e forme più lente sono le forme M. andando dal polo positivo al polo negativo, le H4 migreranno immediatamente mentre le M4 non si spostano quasi dal punto di partenza. Nel caso di infarto del miocardio, vi è una necrosi delle cellule del miocardio e questo comporta il passaggio in circolo degli enzimi nell’isoforma H4-H3 con invarianza delle forme M. questa modificazione è molto rapida ed avviene nelle due ora seguenti l’infarto. Viceversa se si fa un esame elettroforetica su un atleta che ha corso per molto tempo si vedrà che nel circolo tenderà a prevalere la forma M4 con invarianza della forma H. Si può quindi dire che c’è stata usura del tessuto muscolare. Laddove vi siano danni epatici aumentano prevalentemente le forme ibride e soprattutto M2H2. L’irreversibilità a livello del muscolo porta come conseguenza il fatto che laddove ci sia una glicolisi molto intensa l’acido lattico tende ad accumularsi nel tessuto muscolare provocando dolore. Nel soggetto allenato il dolore è minimo in quanto ha acquisito una

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certa capacità ad eliminare acido lattico. Il sistema di trasporto del lattato è molto attivo: il lattato lascia il muscolo, va in circolo e qui viene captato dagli altri tessuti e in particolare dal muscolo cardiaco e dal fegato. Il cuore utilizza l’acido lattico per trasformarlo in piruvato il quale va ai mitocondri dove verrà ossidato a CO2 con formazione di ATP. Quindi un metabolita estremamente dannoso per il muscolo scheletrico diventa importante per il muscolo cardiaco. Allo stesso modo il fegato cattura avidamente acido lattico, lo trasforma in piruvato e da questo ricostruisce la molecola del glucoso per il processo della γλυχονεογενεσι. Il glucoso formato è mandato in circolo e ritorna al muscolo dove servirà per reintegrare l’energia che è stata persa durante la contrazione.vi è quindi una comunicazione continua fegato/muscolo. Questo scambio lattato� muscolo� fegato� glucoso� muscolo prende il nome di χιχλο δει χορι. Υτιλιζζο δελ φρυττοσο νελλα γλιχολισι Il fruttoso viene dal saccaroso, introdotto con la dieta. Il fruttoso può essere usato, cioè reso in una forma metabolizzabile attraverso due vie: 1.L’esosocinasi, enzima specifico per il substrato, riconosce il fruttoso, forma fruttoso-6-fosfato e con questo il fruttoso entra nella via glicolitica; in questo caso la glicolisi da fruttoso renderà tanto quanto la glicolisi da glucoso. 2.Nei nostri tessuti, specialmente a livello epatico, vie è una cinasi specifica per il fruttoso la quale fosforila il fruttoso in posizione 1 formando F-1-P. A questo punto il f-1-p prosegue per un certo tempo in una via parallela alla via glicolitica che prevede l’intervento di una aldolasi specifica per il f-6-P la quale rompe la molecola dell’esoso fra il C3 e il C4. Si ottiene fosfo-diidrossiacetone (DAP) che entra direttamente nella via glicolitica e poi la gliceraldeide che non può entrare perché non fosforilata. Sulla gliceraldeide interviene quindi una cinasi specifica, la τριοσοχινασι, che fosforila il trioso in posizione 3. A questo punto anche la gliceraldeide fosfato può entrare nella glicolisi. Questa via renderà come la via glicolitica classica perché vengono consumate sempre due molecole di ATP. Il grosso vantaggio di questa via è la formazione del f-6-P che è un attivatore per la glucosocinasi (GK). Υτιλιζζο δελ γαλαττοσο νελλα γλιχολισι Il galattoso inizia il suo metabolismo attraverso una reazione di fosforilazione alla posizione 1. il galattoso νοννοννοννον è mai fosforilato alla posizione 6. 1.Una cinasi specifica della γαλαττοχινασι, che agisce sul galattoso è lo trasforma in galattoso-1-fosfato. Per poter usare questo Gal-1-P devo portarlo a Glu-1-P che potrà essere convertito in G6P ed entrare nella via glicolitica. Il problema è che non ho nessuna possibilità di trasformare il Gal-1-P in G6P utilizzando il Gal-1-P come tale. Devo trasformare necessariamente il Gal-1-P in una forma reattiva che sia suscettibile di epimerizzazione al C4. Interverrà allora un nucleoside trifosfato; l’uridin-trifosfato UTP. È intervenuta una transferasi che trasferisca il gruppo UMP; è una reazione νυχλεοτιδιλτρανσφερασιχα . Sull’UDP-Gal interviene ora una epimerasi specifica per il C4 che porta alla formazione del glucoso. Questa epimerasi si chiamerà 4−επιµερασι. La reazione è reversibile e rovescia, in pratica, la configurazione del C4 dalla configurazione del galattoso a quella del glucoso. Questa epimerasi è di tipo ossidoriduttivo in quanto porta come cofattore NAD+. Funziona in effetti come ossidoriduttasi: l’enzima interviene una prima volta sull’UDP-Gal e utilizzando il NAD+ legato ossida il C4 al gruppo chetonico formando un 4-cheto-intrermedio. Questo 4-cheto-intermedio viene attaccato nuovamente dall’enzima in forma ridotta che utilizzando NADH+H+ riduce il gruppo fosforico in 4. Nella riduzione, però, darò la configurazione del glucoso. L’UDP-Glu formato, in presenza di pirofosfato che si era liberato precedentemente, forma Glu-1-P+UTP. In questo modo ho finalmente trasformato galattoso in glucoso.

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UDP-Glu + PPi Questa è una modalità che la cellula può utilizzare, ma è una modalità che si sviluppa esclusivamente nell’ινδιϖιδυο αδυλτο(1), non è nel neonato. LEZIONE DEL 3 DICEMBRE 2002 Utilizzo del Galattosio nella via glicolitica. Affinché il galattosio possa essere usato per ricavare energia, è necessario convertirlo in G6P per iniziare la via glicolitica. Vi sono due vie diverse una utilizzata solo dall’adulto ed un’altra utilizzata anche dal neonato. • Prima modalità utilizzata esclusivamente dall’individuo adulto.

Il problema è che non ho nessuna possibilità di trasformare io Gal1P in G1P utilizzando il Gal1P come tale. Devo trasformare necessariamente il Gal1P in una forma reattiva che sia suscettibile di epimerizzazione al C 4. Interverrà allora una nucleoside trifosfato: l’uridin-tri-fosfato (UTP). Tramite reazione nucleotidil transferasica, un UMP è trasferito al galattosio con liberazione di un pirofosfato PPi e formazione dell’uridin-difosfo-galattosio UDP-Gal. Sull’UDP-Gal interviene ora una epimerasi specifica per il C 4 che porta alla formazione del glucosio; l’enzima che interviene è la 4 – epimerasi. La reazione è reversibile e rovescia, in pratica, la configurazione del C 4 da quella del Galattosio a quella del Glucosio; questa epimerasi è di tipo ossidoriduttivo, in quanto porta come cofattore NAD+ e funziona in effetti come ossidoriduttasi. L’enzima interviene una prima volta sull’UDP-Gal e utilizzando NAD+ legato ossida il C 4 a gruppo chetonico formando un 4-cheto intermedio. Questo 4-cheto intermedio viene riattaccato dall’enzima in forma ridotta che utilizzando il NADH + H+ riduce il gruppo fosforico in 4; nella riduzione però darà la configurazione del glucosio. L’UDP-glucoso formato, in presenza di pirofosfato (liberato nella formazione di UDP-Gal) forma il G1P più UTP; in questo modo si è finalmente trasformato il galattosio in glucosio. • Seconda modalità utilizzata sia dagli adulti che dai neonati. Prevede sempre la fosforilazione del galattosio in posizione 1 ad opera di una galattosocinasi; si discosta dalla via precedente perché il GAL1P a questo punto viene usata in una reazione nucleotidil transferasica, in cui il donatore dell’UMP è l’UDPGlucoso. Bisogna quindi vedere come si forma l’UDPGlucoso perché è essenziale per l’avvio di questa seconda via. L’UDPGlucoso si forma a partire da G1P ed ATP. Il G1P si forma, a sua volta, a partire dal G6P in una reazione di isomerizzazione in cui il fosfato dalla posizione 6 del glucosio viene portato alla posizione 1. L’enzima che trasforma il G6P in G1P richiede un cofattore specifico che è il Glucosio-1,6-difosfato; l’enzima è detto fosfoglucomutasi e interviene su questa reazione che è reversibile. Se non c’è il cofattore l’enzima non funziona. L’enzima esiste in due forme : - INATTIVA: in cui c’è un residuo di Serina libero; - ATTIVA: in cui il residuo di Serina è fosforilato. La fosforilazione dell’enzima è mediata dal cofattore stesso.

Nucleotidil transferasi

UTP + G1P G6P Via

glicolitica

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Il cofattore viene riconosciuto dall’enzima, il quale sottrae il fosfato in posizione 6 e lo trasferisce a se stesso; come prodotto della reazione abbiamo l’enzima fosforilato più il G1P. A questo punto l’enzima fosforilato agisce sul substrato della reazione, che è il G6P e cede il fosfato alla posizione 1 riformando Glucosio-1,6-difosfato. Il cofattore, quindi, genera il prodotto della reazione e il substrato genera il cofattore. Il problema è da dove viene questa prima molecola di Glucosio-1,6-difosfato; è stata isolata una cinasi che è specifica per il G1P, ed è in grado fosforilarlo in posizione 6: tale enzima è detto Glucosio-1-fosfato cinasi. Il G1P viene convertito in Uridindifosfoglucosio in una reazione nucleotidil transferasica, in cui UTP dona UMP; tale reazione è reversibile. Il pirofosfato che si forma è un composto tossico per la cellula ed è facilmente aggredito da delle pirofosfatasi che lo risolvono in due molecole di ortofosfato. Scomparendo quindi il pirofosfato, la reazione diventa irreversibile e va soltanto a favore dell’UDPG; quindi la reversibilità di questa reazione è alquanto precaria, data l’instabilità del pirofosfato. L’UDPG formato viene risintetizzato per trasformare il Gal1P in G1P. Interviene un enzima specifico che trasferisce l’UMP dall’UDPG al Gal1P; in questo modo il G1P esce dal sistema e potrà essere utilizzato. Perché il sistema sopra descritto possa continuamente ricircolare è necessario sintetizzare la molecola di UDPG che ho impegnato altrimenti il sistema si ferma. In genere questo UDPG viene formato in una reazione epimerasica dove l’UDPGal viene trasformato in UDPG. Questa epimerasi agisce come ossidoriduttasi intramolecolare, sfrutta la molecola di NAD+, attacca l’UDPGal alla posizione 4 e lo riduce dando la configurazione del glucosio. L’unico problema di questa strada è l’UDPG, che se non si forma non dà inizio alla trasformazione del Gal1P in G1P. Esistono dei deficit in cui gli enzimi coinvolti non riescono ad essere sintetizzati; questo è il motivo per cui alcuni neonati hanno un eccesso di galattosio in circolo che genera una patologia nota come galattosemia caratterizzata dalla difficoltà di trasformare il galattosio in glucosio. In questi casi uno o più enzimi della via che abbiamo descritto è mancante o funziona in modo scorretto. Il deficit più grave è la mancanza dell’enzima Galatto cinasi (GalK) perché in questa situazione il galattosio non verrà utilizzato in nessun momento della vita, sia nel neonato che nell’adulto, perché manca la prima tappa comune alle due strade. Altri deficit sono frequenti nella via comune al neonato ed all’adulto perché lentamente, man mano che il bambino cresce, accanto a questa strada si sviluppa la strada tipica dell’adulto. L’adulto, quindi, non ha problemi ad usare il galattosio perché può scegliere entrambe le vie. Il neonato, invece, se ha la seconda via deficitaria e la prima non ancora operante deve attraversare i primi due anni di vita con questa difficoltà a utilizzare galattosio. Gli altri deficit che portano ad intolleranza da galattosio possono riguardare:

- Uridintransferasi, cioè l’enzima coinvolto nella prima reazione che che porta dall’UDT all’UDPGal

- 4 – epimerasi, che converte l’UDPGal in UDPGlucosio. Questo deficit èper fortuna poco frequente perché se fosse frequente andrebbe a disturbare anche la via nell’adulto

Quando c’è un deficit nell’utilizzo del galattosio se si attiva la galattosio – cinasi il galattosio viene attivamente fosforilato con consumo di ATP inutile pechè il Gal1P non riesce ad andare avanti. Allora il Gal1P viene attaccato da alcune glicosidasi che lo trasformano in galattosio. L’aumento di galattosio in circolo attiva a livello tissutale una riduttasi che lo trasforma nell’alcol corrispondente, indicato come dulcitolo o galattitolo. L’enzima galattosoriduttasi trasforma il gruppo aldeidico in un gruppo alcolico primario. Il polialcool così formato, è estremamente tossico in quanto ha elettività per le proteine, va a legarsi alle componenti proteiche a livello delle membrane cellulari e le altera. La componente che ne soffre maggiormente e la lente del cristallino: il dulcitolo arriva alle proteine del cristallino e questo perde la sua trasparenza. Questo porta alla cecità infantile.

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In definitiva quindi i punti chiave per l’utilizzo del galattosio sono: ��prima la sua fosforilazione e ��poi la sua conversione in G1P. A questo punto il G1P viene rapidamente trasformato in G6P che potrà essere usato in vie differenti. Il ciclo del Glucosio 6 fosfato o ciclo dei pentosi. È la seconda modalità che permette l’utilizzo del G6P. La differenza fondamentale fra la via glicolitica e la via del G6P è che quest’ultima via non rende in ATP. Nel processo si formeranno invece dei composti che sono essenziali per la sintesi di altri composti. Formeremo, ad esempio, NADPH + H+ che è essenziale per la sintesi di acidi grassi e colesterolo. Inoltre nelle cellule in cui non vi sono questi processi, cioè non vi è sintesi di acidi grassi e colesterolo, il NADPH + H+ sarà essenziale per garantire un ambiente riducente. Questo vale soprattutto per il globulo rosso in cui la presenza di NADPH + H+ garantisce il mantenimento del ferro dell’emoglobina nella forma ferrosa prevenendone l’ossidazione. Funzioni del NADH + H+ :

1. Sintesi di acidi grassi e colesterolo 2. Mantenimento dell’ambiente riducente nella cellula 3. Importante in reazioni di idrossilazione, che sono sintesi protettive 4. Formare pentosofosfati in particolare ribosofosfato, essenziale per la sintesi dei nucleotidi.

Il NADPH + H+ si formerà nella prima fase del ciclo detta FASE OSSIDATIVA dei PENTOSOFOSFATI che comprende le prime tre reazioni di ossidoriduzione irreversibili. Il ribosofosfato si formerà invece nella seconda fase detta FASE ANOSSIDATIVA in cui non avremo reazioni di ossidoriduzione. È caratterizzata da reazioni reversibili. Questo processo scorre nel citoplasma ed è comune a tutte le cellule seppur in alcune cellule si esalti particolarmente in alcuni momenti. Il processo è estremamente attivo nel tessuto adiposo, nella ghiandola mammaria e nel fegato. Infatti il processo genera NADPH + H+ importante per la sintesi di acidi grassi (questo è determinante nell’adiposo). La sintesi di acidi grassi e di colesterolo è estremamente attiva anche nel fegato. Nella ghiandola mammaria la sintesi degli acidi grassi diventa rilevante quando essa diventa secernente perché deve formare gli acidi grassi, essenziali per costruire i trigliceridi che sono componenti essenziali del latte. Nel muscolo scheletrico il ciclo del G6P ha una importanza relativa perché il muscolo non è coinvolto nella formazione di questi intermedi. Il ciclo, inoltre, non è un processo continuo, ma è un processo che si può attivare in particolari momenti, come quelli in cui la cellula ha bisogno di usare gli acidi grassi (diete ipocaloriche). Laddove vi sia una sintesi di acidi grassi intensa , di pari passo si attiva il ciclo del G6P che fornisce il NADPH + H+. Il processo parte da G6P che è necessariamente un glucosio che è stato fosforilato in posizione 6 da una esosocinasi. Nel corso del processo verranno formati dei pentoso fosfati e questo spiega il nome alternativo di questo ciclo anche detto del “ciclo dei pentoso fosfati”. • FASE OSSIDATIVA

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Le prime tre reazioni del ciclo sono irreversibili e, in particolare, le prime due saranno reazioni di ossidoriduzione (deidrogenazione). Nella prima reazione il G6P viene ossidato alla posizione 1 e viene convertito nell’acido –onico corrispondente, che sarà un acido 6 fosfogluconico; questo acido non si forma immediatamente, ma dopo la formazione del � lattone. Siccome il G6P deve essere deidrogenato al carbonio 1, esso deve essere scritto in forma chiusa e nell’anomero �. L’enzima G6PDH esige assolutamente il glucosio nella forma �, laddove esso sia presente nella forma �, interviene la fosfoesosoisomerasi che converte l’epimero � nell’epimero �. L’enzima è estremamente esigente, e oltre a richiedere la forma � del G6P richiede come cofattore specifico il NADP+ e non riconosce il NAD+. L’equilibrio è irreversibile, in quanto l’enzima non è in grado di catalizzare la reazione opposta. L’enzima G6PDH toglie sull’apparente gruppo alcolico secondario, come ione idruro H-, l’idrogeno legato direttamente al carbonio e lo porta al cofattore NADP+ . Allo stesso tempo manda in soluzione come protone H+ l’idrogeno legato all’ossigeno. Il carbonio 1 nel �–lattone forma con l’ossigeno un estere interno e non un chetone, perché il C è legato a due ossigeni ( O-C=O ); si forma allora un legame di estere. L’estere interno si è quindi formato per reazione di un gruppo carbossilico in 1 e il gruppo alcolico in 5. Esteri interni fra acidi carbossilici e gruppi alcolici prendono il nome di lattoni. Non si è assolutamente formato un chetone anche se c’è un gruppo carbonilico, perché gruppo carbonilico è sinonimo di acile che è andato ad impegnarsi con il legame diestere. La proprietà più evidente del G6PDH, dopo la stretta dipendenza da NADP+, è la sua estrema sensibilità al prodotto della reazione NADPH + H+. In piccolissime quantità il NADPH + H+ blocca la catalisi; è necessario quindi che questo NADPH + H+ prodotto venga continuamente allontanato dall’intorno in cui l’enzima agisce. Il NADPH + H+ raramente si accumula nella cellula perché viene rapidamente spostato verso la sintesi dell’acido grasso, del colesterolo e verso gli altri processi già ricordati. Nei tessuti in cui c’è sintesi di acido grasso e colesterolo, si reprime questo processo di sintesi. Il danno è molto grave a livello del globulo rosso dove la formazione di NADPH + H+ è essenziale per mantenere un ambiente riducente importante affinchè l’emoglobina mantenga al suo interno il ferro in forma ferrosa e non ferrica. Il passaggio da ferro ferroso a ferrico, infatti, porta alla trasformazione dell’emoglobina in met – emoglobina, che ha perso la sua funzione di trasportatore di ossigeno. Inoltre l’ambiente riducente è essenziale per l’integrità della membrana del globulo rosso, in quanto su questa membrana sono esposte proteine estremamente sensibili ad agenti ossidanti, dai quali il NADPH + H+ protegge. La componente lipidica viene propositivamente alterata perché il deficit del NADPH + H+ si risolve ad una maggiore esposizione della membrana del globulo rosso all’azione di agenti ossidanti. Di conseguenza il globulo rosso si lisa con estrema facilità. La Met – Hg si forma in piccole concentrazioni fisiologicamente nei nostri globuli rossi, ma viene immediatamente riportata alla situazione di Hg ferrosa grazie ad una Met – Hg riduttasi che utilizza NADPH + H+. Se la G6PDH non funziona nel globulo rosso il NADPH + H+ viene a mancare e l’individuo va incontro a crisi di soffocamento e diventa cianotico. La cura è somministrare riducenti che riportino l’Hg nella forma ferrosa. Il secondo ruolo del NADPH + H+ nel globulo rosso è mantenere alti i livelli di Glucatione nella forma ridotta (come GSH e non come glucatione ossidato). Il Glucatione esiste in due forme:

- Forma ridotta GSH in cui c’è un gruppo tiolico sul radicale di cisterna funzionante

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- Forma ossidata GSSG data dal raddoppio della molecola con la formazione di ponti disolfuro

Il Glucatione ridotto GSH ha la funzione di proteggere l’emoglobina dall’eventuale ossidazione in met – Hg e, inoltre, di garantirne l’integrità delle componenti della membrana cellulare del globulo rosso (garantisce, cioè, la presenza di proteine in cui il gruppo – SH è indispensabile perché la proteina sia funzionante o previene l’ossidazione della componente lipidica della membrana). La presenza di GSH è garantita nel globulo rosso dalla formazione di NADPH + H+. Nel globulo rosso, infatti, è presente una Glucatione riduttasi che trasforma glucatione ossidato GSG in glucatione ridotto GSH in presenza di NADPH + H+ che si riossida in NADP+. In questo modo la glucatione riduttasi mantiene alti i livelli di GSH nel globulo rosso e quindi ne garantisce la stabilità. Inoltre il Glucatione ridotto GSH è un agente protettore nei confronti del ferro ferroso dell’emoglobina e quindi concorre a mantenere alti i livelli di emoglobina ed impedire l’eventuale trasformazione in met – Hg. Affinchè questo processo continui è necessario che nuovamente si riformi il glucatione ossidato GSSG perché ritorni a sua volta a formare glucatione ridotto GSH. Il GSSG si forma facilmente nel globulo rosso perché c’è una ossidazione spontanea del GSH. La formazione di GSSG è accelerata dalla presenza di un secondo enzima detto Glucatione perossidasi che agisce sul GSH e lo ossida a GSSG. Dopodiché il GSSG ritorna sulla Glucatione riduttasi e ricomincia il processo. Questa reazione è importante per due motivi:

1. Rigenera il GSSG necessario per la prima reazione 2. Neutralizza il perossido di idrogeno H2O2, composto estremamente tossico per le cellule

perché ha elevato potere ossidante. Fa parte di quei composti indicati come radicali dell’ossigeno, che sono specie altamente attive nei processi di ossidazione con alterazione della componente protidica e lipidica della cellula.

Caratteristica della glucatione per ossidasi è il sito catalitico il quale non porta gruppo tiolico, ma l’idrogeno del gruppo – SH è sostituito da un atomo di Selenio. Si parla quindi di un Selenoenzima in cui la presenza di Selenio è essenziale per l’attività di questo enzima. Questa glucatione per ossidasi ha quindi un residuo di cisterna il cui gruppo tiolico – SH al posto dell’ H porta un Selenio. Introducendo più selenio con gli alimenti (patate o cipolle al selenio) abbiamo un apporto maggiore di questo microelemento e in questo modo favoriamo i processi di protezione della cellula. Protegge infatti dall’intossicazione da perossido di idrogeno H2O2 Oltre al perossido di dirogeno altri radicali dell’ossigeno sono estremamente dannosi:

- anione superossido O2--

- radicale ossidrilico OH� Dall’anione superossido ci difendiamo in quanto la cellula ha una superossido dismutasi che trasformalo ione O2

- in ossigeno molecolare più anione perossido O2--.

Dall’O2—la cellula è fortemente difesa da sistemi enzimatici deputati a distruggerlo; questi sono:

- Glucatione per ossidasi che usa H2O2 per trasformare GSH in GSSG - Catalasi che attacca il perossido di idrogeno H2O2 e lo trasforma in acqua più ossigeno

molecolare. Questo sistema è molto attivo nei globuli rossi. La catalisi è ricca nei globuli rossi ed è praticamente distribuita in tutte le cellule dove si accentra all’interno di corpuscoli particolari detti perossisomi che sono all’interno del citoplasma. Questa catalisi è un emoprotide ed ha quindi un gruppo prostatico simile all’emoglobina, con la differenza che il ferro è sempre ferrico e non ferroso com’è nelle emoglobina.

- Nelle cellule bianche, dette macrofagi, vi è un enzima particolare indicato come mieloperossidasi che utilizza H2O2 per formare ipocloriti. L’acido ipocloroso è estremamente debole, ma estremamente efficace come battericida.

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Esistono persone che hanno deficit di G6PDH; questi o non formano l’enzima, o lo formano in quantità minima oppure in una forma che non funziona. Per questi soggetti è facile un’emolisi del globulo rosso che si rende imponente nell’introduzione di alcuni farmaci che entrano in competizione del NADPH + H+. Questi farmaci usati soprattutto nella cura della malaria sono deleteri perché entrano in competizione con quel poco di NADPH + H+ che la cellula sta formando. Il deficit di G6PDH è localizzato, inoltre, in quelle zone dove la malaria era endemica in quanto il plasmodio della malaria necessita per la sua proliferazione di NADPH + H+. Di conseguenza gli individui che presentavano deficit di NADPH + H+ si sono salvati perché nelle loro cellule non entrava il plasmodio. Questo ha portato ad una selezione nelle popolazioni: coloro che non sono stati colpiti da malaria avevano però il problema dell’instabilità del globulo rosso. Torniamo, dopo, questa digressione al � – lattone formatosi dal G6P. Questo lattone è di per sé instabile e spontaneamente si idrolizza per dare acido-6-fosfogluconico. L’idrolisi è fortemente accentuata dall’intervento di una � lattonasi che rompe il legame estereo e forma l’acido-6-P-glucuronico. La � gattonasi è quindi una esterasi che risolve il legame di estere formando l’acido carbossilico corrispondente. Il composto che si forma è “-ONICO” perché il gruppo aldeidico è stato ossidato a gruppo carbossilico; la reazione è irreversibile. Sull’acido –onico interviene il terzo enzima del ciclo del G6P che è una deidrogenasi che lavora però in modo complicato. Esso infatti oltre a deidrogenare carbossila anche. Tale enzima si chiama 6 fosfogluconico deidrogenasi e utilizza NADPH + H+: in un primo momento si comporta come deidrogenasi, agisce sul carbonio 3 e lo deidrogena tagliendo come ione idruro H- l’idrogeno legato al carbonio e lo manda al NADP+ e libera in soluzione come protone H+ l’idrogeno legato all’ossigeno. Di conseguenza il gruppo alcolico secondario in 3 viene ossidato a gruppo chetonico e si forma una molecola di NADPH + H+. In questo modo si ottiene l’acido 3 cheto 6 fosfogluconico che spontaneamente va incontro a decarbossilazione e da un composto a 6 atomi di carbonio passa a dun composto a 5 atomi di carbonio. Questo processo è irreversibile e si forma il pentoso ribuloso-5-fosfato. La deidrogenasi 6-fosfo DH ha di pendenza da NADPH + H+ ed è specifica per l’acido 6-fosfogluconico e la struttura dimerica è formata da due monomeri uguali che se vengono separati inattivano l’enzima. Cona la formazione del ribulosio 5 fosfato si chiude la prima fase del ciclo del G6P, fase ossidativi caratterizzata da reazioni irreversibili. • La glucatione riduttasi (GSH Riduttasi) La glucatione riduttasi utilizza il NADPH + H+ per ridurre il glucatione ossidato in glucatione ridotto e in effetti il NADPH + H+ è substrato della reazione. L’enzima di per sé è un enzima flavinico e porta legato a sé stesso in modo molto stabile il FAD, gruppo prostatico che nel corso della reazione verrà ossidato. La glucatione riduttasi è un dimero formato da due monomeri uguali; ogni monomero porta legato FAD, un ponte disolfuro e un sito di legame per il NADPH + H+ e uno per il glucatione ossidato GSSG. In un primo momento l’enzima non riconosce il substrato, ma riconosce il NADPH + H+, lo ossida e trasferisce lo ione idruro H- e il protone H+ a sé stesso formando FADH2. Successivamente l’idrogeno dall’H2 lo trasferisce al ponte disolfuro e si formano i due gruppi –SH. Nell’ultimo passaggio, l’enzima trasferisce l’idrogeno dei due gruppi tiolici –SH al glucatione ossidato e forma glucatione ridotto più disolfuro. L’enzima quindi, è in grado di ridursi e di ossidarsi all’interno della reazione. Questa modalità di ossidazione dell’enzima flavinico è del tutto peculiare di questa glucatione riduttasi in quanto gli altri enzimi flavinici si ossidano su intervento di agenti esterni che potranno essere, ad esempio, ossigeno molecolare (e formeremo perossido di idrogeno) e in questo caso parleremo di Flavine ossitrope, oppure attraverso una serie di trasportatori e parleremo allora di Flavine anossitrope.

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Quindi gli enzimi flavinici possono essere: - Enzimi flavinici ossitropi: enzimi in cui il FAD ridotto si ossida cedendo H2 all’ossigeno

molecolare e formando così perossido di idrogeno. - Enzimi flavinici anossitropi: enzimi che trasferiscono l’idrogeno a una serie di accettori.

• FASE ANOSSIDATIVA In questa fase vi saranno reazioni di trasferimento e mai reazioni di ossidoriduzione. Inoltre tutte le reazioni che incontreremo ora sono reversibili. La prima reazione prevede la trasformazione del rinuloso-5-fosfato in due pentosi: lo xilulosio-5-fosfato e il ribosio-5-fosfato. La trasformazione ribuloso5P � riboso5P corrisponde alla conversione di un cretoso in un aldoso. La trasformazione è una reazione di epimerizzazione perché lo xilulosio si differenzia dal ribosio a livello del carbonio 3. Nel passaggio dal ribuloso al ribosio vi è la formazione del dienolo instabile: l’enzima sposta un idrogeno dal carbonio alcolico primario all’ossigeno carbonilico e slitta il doppio legame. Più incerto è come avvenga la trasformazione da ribulosio5P in xilulosio; si pensa che anche in questo caso vi sia la formazione di un intermedio in cui l’idrogeno dal carbonio 3 si è spostato sull’ossigeno carbonilico. In questo modo utilizziamo il ribulosio due volte:

1. Lo utilizziamo per formare il ribosio 2. Lo utilizziamo per formare lo xilulosio

Ne consegue che il ciclo del G6P, per funzionare, non partirà da una sola molecola di G6P, ma da più molecole. In effetti partiremo da tre molecole di G6P. Il ribosio5P formato può uscire dal processo ed essere utilizzato perla sintesi dei nucleotidi oppure può continuare in questa via metabolica. Il ribosio5P e lo xilulosio5P vengono coinvolti in una reazione complessa in cui entra come cofattore la Tiamina pirofosfato (TPP). Da questa reazione viene come prodotto sedoeptulosio-7-fosfato e Gliceraldeide fosfato; la reazione è reversibile. Il sedoeptulosio è chiamato così perché l’hanno isolato per la prima volta nel sedulo, una pianta grassa, e perché porta sette carboni (-eptulosio). Nel sedoeptulosio7P è da sottolineare la configurazione del carbonio 3 in cui l’ossidrile è a sinistra del piano della molecola, come nello xilulosio5P. La reazione si può vedere come una reazione di trasferimento in cui vengono trasferiti dallo xilulosio5P i carboni 1 e 2 e vengono portati sul carbonio aldeidico del riboso5P. Quindi lo xilulosio perché ha perso due carboni in precedenza forma la gliceraldeide fosfato (GAP) e il riboso che ha acquistato i due carboni diventa il sedoeptulosio7P. L’enzima che interviene è indicato come transchetolasi o gliceraldeide attiva perché trasferisce il gruppo chetonico CH2CO e perché è una forma di aldeide attiva. La transchetolasi porta come gruppo prostatico la tiamina pirofosfato (TPP) che è un derivato della vitamina B1 pirofosforilata. Legandosi tiamina pirofosfato all’enzima, l’enzima potenzia la acidità di questo idrogeno che facilmente viene trasferito al substarto e porta così alla formazione del complesso enzima – substrato. Il protone è portato sull’ossigeno carbonilico che è caricato negativamente e si forma un gruppo OH. A questo punto la valenza libera del carbonio si lega al carbonio della TPP e il substrato rimane così ancorato all’enzima. In un secondo momento un sito dell’enzima carico negativamente attira verso di sé l’idrogeno legato all’ossidrile in posizione 3: l’idrogeno viene staccato come protone e avviato al gruppo aldeidico del ribosio5P. Questo distacco porta alla rottura del legame C2 – C3 dello xilulosio e si libera quindi come primo prodotto della reazione la Gap.

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Si forma il carbanione intermedio a cui si dà il nome di glicoraldeide attiva. L’enzima poi affronta il riboso5P: il protone H+ va all’ossigeno aldeidico del ribulosio5P e si forma un gruppo alcolico secondario. La valenza libera del carbone sul carbocatione si aggancia alla glicoraldeide attiva e si forma così il sedoeptulosio7P. La glicoraldeide attiva è l’intermedio reattivo che permette il trasferimento dell’unità bicarboniosa dello xilulosio5P al riboso5P. L’importante è che nella reazione il carbonio 3 del sedoeptulosio7P conservi la configurazione trans dell’ossidrile che è già presente sullo xilulosio5P. La reazione richiede la presenza di Mg2+ che sono importanti per la destabilizzazione del legame pirofosforico ed è una reazione reversibile. Lezione di BIOCHIMICA – mercoledì 4 dicembre 2002 Con la chiusura della fase ossidativa abbiamo a nostre spese due molecole di NADPH+H+, una molecola di CO2 che corrisponde al C1 dell’originario glucosio-6-fosfato (G6P) e un pentoso: il ribuloso-5-P. Abbiamo discusso della trasformazione del ribuloso-5-P nei due pentosi: xiluloso-5-P e ribosio-5-P e avevamo fatto la prima reazione di trasferimento ad opera della transchetolasi che prevede il trasferimento del C1 e C2 dello xiluloso-5-P al gruppo aldeidico del riboso-5-P con formazione di sedoeptuloso-7-P(monosaccaride)+gliceraldeide-3-P. La reazione successiva anch’essa reversibile prevede la reazione tra sedoeptuloso-7-P e gliceraldeide-3-P, i cui prodotti della reazione transchetolasica verranno coinvolti nella successiva reazione di trasferimento in cui verranno trasferiti 3 carboni dal sedoeptuloso-7-P alla gliceraldeide-3-P con formazione di un tetroso: l’eritroso-4-P più l’esoso: fruttoso-6-P(F6P). Partiamo da 7+3 e otteniamo 6+4, quattro: l’eritroso-4-P e sei il F6P. La reazione prevede il trasferimento di una unità a tre carboni catalizzata dall’enzima che prende il nome di transaldolasi in quanto trasferisce un aldolo. Transaldolasi che nel suo meccanismo di azione pur essendo una transferasi si comporta in modo simile all’aldolasi che abbiamo trovato nella glicolisi anaerobia perché porta di nuovo nel sito catalitico un residuo di lisina, che sarà essenziale per interagire con il gruppo carbonilico del sedoeptuloso-7-P, un ulteriore enzima che usa lisina come amminoacido(a.a.)reattivo nella formazione del complesso enzima-substrato. In termini di formule, il sedoeptuloso-7-P cede i primi 3 carboni 1, 2 e 3 al gruppo aldeidico della gliceraldeide-3-P residua dal sedoeptuloso-7-P un tetroso che indichiamo come eritroso-4-P mentre la gliceraldeide che ha accettato i tre carboni si trasforma in F6P. L’ importante è che nel corso della reazione la configurazione particolare del gruppo del C3 in cui abbiamo l‘ossidrile a sinistra si conserva nel F6P, quindi avevamo già nello xiluloso-5-P l’ossidrile in 3 a sinistra del piano della molecola si è conservato nel sedoeptuloso-7-P e si conserva nel F6P. Come funzione questa transaldolasi? L’equilibrio è reversibile e la transaldolasi porta come gruppo reattivo una lisina il cui ammino gruppo è libero che è in grado di reagire con il gruppo carbonilico del sedoeptuloso-7-P formando un intermedio di natura aldimminica o chetimminica uguale a quello visto nella reazione aldolasica della glicolisi anaerobia. L’enzima con la sua lisina che fa da braccio libero l’ammino gruppo della lisina è altamente reattivo e riconosce il gruppo carbonilico del sedoeptuloso-7-P in conseguenza la reazione tra un gruppo chetonico e un gruppo amminico viene eliminata una molecola d’acqua e si forma il legame aldimminico o chetimminico che aggancia il substrato all’enzima, questo intermedio è il complesso enzima-substrato in cui l’enzima si è impegnato con la sua lisina a livello del gruppo carbonilico del substrato, questo è il primo intermedio che si forma nel corso della reazione. Secondo momento: sull’enzima è presente un sito carico negativamente che attira l’idrogeno a livello del C4 e porta alla rottura tra il C3 e il C4 e il passaggio in soluzione del primo prodotto della reazione: l’eritroso-4-P, nel corso della reazione formato l’intermedio enzima-substrato il primo prodotto che si libera è l’eritroso-4-P, rimane temporaneamente sull’enzima questo gruppo aldolico, questa unità a 3 carboni che in un tempo successivo dalla transaldolasi viene ceduta al

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gruppo aldeidico della gliceraldeide-P per formare F6P, nel secondo momento quel protone che si era portato sull’enzima va a legarsi al gruppo aldeidico della gliceraldeide-P(GAP).L’enzima che si era protonato a questo punto cede il protone all’ossigeno carbonilico del GAP e quindi formiamo di nuovo un intermedio instabile che è un carbocatione; quindi la GAP ha accettato un protone e il suo gruppo aldeidico è diventato un gruppo alcolico secondario. Il carbonio aldeidico ha una valenza libera e si comporta come carbocatione e a questo punto aggancia il carboanione che era presente ancora sull’enzima, l’enzima a questo punto trasferisce al carbocatione l’unità a 3 carboni e costruiamo il F-6-P. È un meccanismo molto simile a quello dell’aldolasi l’importante è che la reazione non è di tipo liasico perché non è….nel caso dell’aldolasi precedente il composto si scindeva in due, qui invece è una reazione di trasferimento in cui da due composti se ne costruiscono altri due. La reazione è perfettamente reversibile e può andare sia nel verso di formazione dell’eritroso-4-P e F6P e viceversa, ossia eritroso-4-P e F6P formare sedoeptuloso-7-P e GAP. Siamo arrivati a formare F6P+eritroso-4-P(4+6). Momento successivo: interviene un ulteriore passaggio e con questo concludiamo il processo, l’unità a 4 carboni: eritroso-4-P viene fatta reagire con la nuova molecola di xiluloso-5-P, quindi la terza molecola di pentoso che impegniamo, in una reazione transchetolasica che ha le caratteristiche del primo enzima, cioè che è catalizzata dall’enzima transchetolasi che avevamo visto precedentemente essendo cofattore tiammina-piro-P, lo xiluloso-5-P cede l’unità a 2 carboni all’eritroso-4-P e forma gliceraldeidi-3-P+F6P. Momento successivo e con questo concludiamo il processo, la reazione avviene come la reazione transchetolasica che avevamo descritto ieri e cioè la transchetolasi lavora come abbiamo visto ieri; per la reazione xiluloso-riboso, l’enzima si lega di nuovo allo xiluloso-5-P con il suo gruppo tiammina-PP impegna il carbonio carbonilico forma l’intermedio instabile che poi si scinde in GAP mentre l’unità bicarboniosa viene portata sull’eritroso-4-P e forma F6P esattamente come ieri, l’ importante è ricordare che anche qui c’è il gruppo prostatico tiammina-PP e ovviamente la presenza di ioni Mg2+. Se partiamo da una molecola di glucosio-6-P(Glu6P) abbiamo ottenuto una molecola di ribuloso-5-P e poi nel corso del processo abbiamo impegnato 3 molecole di pentosi cioè lo xiuloso-5-P per due volte e il riboso-5-P per una volta per cui il processo teoricamente non può partire da una molecola di Glu6P ma parte, per la stechiometria, da 3 molecole di Glu6P di cui una verrà degradata e due rigenerate dal F6P che rimane, abbiamo formato, facendo il conto, sono uscite dal processo 2 molecole di F6P una molecola di GAP e CO2. Il processo completo a partire da 3 molecole di Glu6P, il totale sarà 3 molecole di Glu6P+6NADP+, la somma sarà 1 molecola di Glu6P+6NADP+ formano 3 molecole di CO2+6protoni+una molecola di GAP, i conti tornano perché il Glu6P porta 6 carboni, 3 vanno via come CO2 e 3 residuano nella GAP, alla fine è come se fossi partita da una molecola di GAP che nel corso del processo viene degradata a 3 di CO2+Gap, totale 6 carboni, la resa netta del processo oltre alla GAP e la formazione di 6 molecole di NADPH+H++6 protoni i quali lasciano il processo e si avviano verso la sintesi dell’acido grasso, verso la sintesi del colesterolo, a proteggere il glucatione ridotto da eventuali processi di ossidazione, oppure utilizzati per altra via nei processi di difesa dell’organismo e le sintesi protettive dell’organismo, rimane il problema della GAP. Questa GAP si collega con la via gli colitica e può essere trasformata in acido lattico con resa di ATP, se la GAP ritorna sulla via glicolitica, finalmente anche la via dei pentoso-fosfati renderà in ATP, se viene utilizzata in altra via la potenziale energia della GAP va per altra strada ma non a formare ATP. Importante è ricordare che per questa via del glucosio di partenza (Glu) noi perdiamo il C1 che se ne va come anidride carbonica la via di cui parleremo dopo, avremo di nuovo Glu che perde un carbonio ma questa volta sarà il C6. Nella glicolisi, invece, non perdiamo i carboni della molecola di Glu ma alla fine arriviamo a formare 3 molecole di acido lattico. Prima di passare al secondo processo che è il ciclo dell’acido glucuronico, ci fermiamo su due reazioni importanti che portano alla formazione di NADPH+H+ in aggiunta alle due deidrogenasi del ciclo del Glu6P, cioè ci sono altri due enzimi che sono in grado di formare NADPH+H+ i quali hanno distribuzione tissutale relativamente ridotta,

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perché pare si accentrino quasi esclusivamente a livello epatico, non sono legati ad un particolare flusso metabolico ma sono importanti perché formano NADPH+H+ questi due enzimi sono la isocitratodeidrogenasi, NADP+ dipendente e l’enzima malico sovente indicato come malico deidrogenasi decarbossilante per distinguerla da un’altra deidrogenasi che non è decarbossilante, vediamo la isocitratodeidrogenasi NADP+ dipendente in cui l’enzima agisce sull’ isocitrato, in pratica ossida il gruppo alcolico secondario, toglie i due atomi di H a carico del gruppo alcolico secondario forma un intermedio chetonico(acido ossalsuccinico) perché l’acido succinico ha un radicale di acido ossalico il quale è instabile e perde successivamente un gruppo carbossilico come CO2 e arriva al definitivo intermedio stabile: α-chetoglutarato, questo è il primo enzima che concorre insieme con le due deidrogenasi del ciclo del Glu6P a formare NADPH+H+, l’isocitrato è un intermedio del ciclo dell’acido citrico, quindi il ciclo dell’acido citrico scorre nei mitocondri, ad un certo punto forma isocitrato, una parte di questo lascia il mitocondrio esce nel citoplasma dove ad opera della isocitratodeidrogenasi NADP+ dipendente viene convertito in α-chetoglutarato. Il secondo enzima, l’enzima malico o malico deidrogenasi decarbossilante, il substrato di questa malico deidrogenasi decarbossilante è l’acido malico il quale viene ossidato nel gruppo alcolico secondario a gruppo chetonico, l’enzima interviene, ossida l’acido malico ad acido ossalacetico (intermedio instabile), decarbossilato successivamente dall’enzima stesso con formazione di acido piruvico, la reazione è reversibile, si può anche andare in senso opposto e cioè da acido piruvico +CO2, l’enzima è in grado di formare acido malico, in presenza di NADPH+H+. Il NADPH+H+, si forma oltre che nel ciclo del Glu6P per l’intervento di questi due enzimi il cui significato è incerto, non sappiamo esattamente quale sia la funzione di questi due enzimi sta di fatto che formando NADPH+H+ concorrono a rendere maggiore la disponibilità di questo cofattore in forma ridotta. Effettivamente l’enzima malico assume una velocità di reazione maggiore quando c’è una sintesi attiva di acidi grassi, il che fa pensare che il NADPH+H+ che forma l’enzima malico (enzima di Utter) possa essere coinvolto nella sintesi di acidi grassi, ma non si conosce l’esatto significato di queste due deidrogenasi non lo conosciamo. Ciclo dell’acido glucuronico, è un processo che usa solo l’1% del Glu che entra nel catabolismo ed è un processo particolarmente attivo a livello epatico dove la funzione è quella di produrre degli intermedi che sono utili nelle cosiddette sintesi protettive, il processo parte da Glu1P e il primo intermedio che formeremo sarà l’uridindifosfoglucoso, che rapidamente, soprattutto a livello epatico viene allontanato dal ciclo dell’acido glucuronico e dirottato verso la sintesi di glicogeno. La quantità di Glu che effettivamente scende nella via del ciclo dell’acido glucuronico è minima perché la maggior parte dell’uridindifosfoglucoso lascia il processo e va verso la sintesi di glicogeno. Il processo sfrutta la reazione che effettivamente fa parte della sintesi del glicogeno:la via dell’acido glucuronico e la sintesi del glicogeno condividono lo stesso metabolica che è l’ uridindifosfoglucoso. L’ uridindifosfoglucoso si forma partendo da Glu1P che arriva da Glu 6P, ma il ciclo parte effettivamente da Glu1P che in presenza di UTP in una reazione nucleotidiltransferasica si libera pirofosfato e l’UMP viene legato a Glu1P per formare UdifosfoGlu, l’ UdifosfoGlu se ne va in larga parte sulla sintesi di glicogeno in piccola quantità entra nel circolo dell’acido glucuronico e a questo punto viene trasformato in Udifosfoglucuronico.[…] L’ Udifosfoglucuronico va incontro a due reazione di idrolisi una che stacca UMP e forma glucuronato-1-P, una seconda che stacca il fosfato e forma acido glucuronico libero. La prima è una reazione fosfatasica, in particolare una anidride fosfatasi, perché rompe un legame di anidride forma UMP+Glucuronato-1-P. Secondo: nuova reazione idrolitica, che attraverso una glicosidasi rompe il legame glicosidico tra il fosfato e il C1 dell’acido glucuronico e forma fosfato + acido glucuronico libero +H2O.

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Le reazione che seguono sono meglio spiegabili se scriviamo l’acido glucuronico in forma aperta, altrimenti diventa difficile capire che cosa succede in forma chiusa. Acido uronico, perché è ossidato il carbonio alcolico primario ed è rimasto il carbonio aldeidico, l’acido glucuronico va incontro ad una prima reazione di riduzione che prevede la riduzione del gruppo aldeidico a gruppo alcolico primario, questa riduttasi utilizza come cofattore NADPH+H+, allora, come regola generale: nelle reazioni del ciclo dell’acido glucuronico, quelle di riduzione avranno sempre deidrogenasi che utilizza come cofattore NADPH+H+, quelle che ossidano avranno come cofattore NAD. Come regola mnemonica, se la reazione è di riduzione interviene NADPH+H+, se la reazione è di deidrogenazione interviene NAD. Allora, l’acido glucuronico va incontro ad una reazione di riduzione ad opera di una glucuronato riduttasi la quale agisce sul carbonio aldeidico e lo trasforma in gruppo alcolico primario, in pratica la reazione è irreversibile. Se analizziamo la molecola la possiamo considerare come prodotto di ossidazione di un aldoso a livello del gruppo aldeidico perché abbiamo un gruppo alcolico primario e un gruppo carbossilico , quindi lo possiamo considerare come l’ossidazione di un aldoso in cui il C1 sarà il carbonio carbossilico, proviamo a rovesciare la molecola e a scriverla col gruppo carbossilico in alto e questo sarà il prodotto di ossidazione del monosaccaride che è capostipite per questo acido onico che si è formato, la prima osservazione interessante è che il monosaccaride con cui abbiamo a che fare adesso è un monosaccaride della serie L, poiché abbiamo l’ossidrile a sinistra del piano della molecola e il monosaccaride che ha questa configurazione corrisponde al L-guloso, e quindi l’acido onico corrispondente sarà l’acido L-gulonico. Con la riduzione del gruppo aldeidico dell’acido glucuronico passiamo ad una nuova serie di monosaccaridi: quelli della serie L, ed in particolare otteniamo l’acido onico corrispondente al monosaccaride guloso, per cui l’acido onico del guloso sarò l’acido L-gulonico, abbiamo formato quindi l’acido L-gulonico ed il monosaccaride è il guloso. Ora capite perché la vit. C è un derivato dell’acido L-gulonico, per ciò che è successo prima della sua sintesi, fino a qui tutti i tessuti di tutti gli animali vanno in pari, da qui in poi si differenziano, per gli animali che sono in grado di sintesi di vit. C, seguiamo una strada, per l’uomo, la scimmia e il capriolo, ne seguiremo un’altra. Ora andiamo verso la sintesi della vit. C, l’acido L-gulonico, ad opera di una lattonasi, viene trasformato nel �-lattone dell’acido L-gulonico, interviene una lattonasi la quale in pratica porta alla formazione del lattone, cioè dell’estere interno tra il carbonio carbossilico in 1 e il carbonio in ���La lattonasi elimina, in genere catalizza una reazione reversibile in questo caso toglie una molecola d’acqua e formiamo il γ-lattone dell’acido L-gulonico, dopo di che, questo γ-lattone, interviene una deidrogenasi la quale agisce sul C2, lo deidrogena, staccando l’idrogeno legato al carbonio come ione idruro e mandandolo al NAD liberando in soluzione come protone l’idrogeno legato all’ossidrile, per cui ad opera di questa L-gulono lattone deidrogenasi forma il 2-cheto derivato, questo 2-cheto derivato è instabile e spontaneamente passa nella forma enolica corrispondente che possiamo immaginare derivata dallo spostamento dell’idrogeno sul C3 sull’ossigeno carbonilico e formazione di un doppio legame tra carbonio e carbonio (C=C), quindi spontaneamente passa alla forma più stabile e quindi otteniamo la vit. C, l’ultimo passaggio è spontaneo, la molecola del 2-cheto derivato passa alla forma più stabile che è la forma dienolica. La reazione di deidrogenazione, può essere fatta da una deidrogenasi NAD dipendente ma più frequentemente da un enzima flavinico, non tanto il NAD interviene, ma interviene FAD in questa reazione ed è importante che l’enzima flavinico che si forma ridotto in seguito a reazione di ossidazione, si ossida in presenza di ossigeno molecolare e forma perossido di idrogeno quindi questa riduttasi che agisce sul C2 laddove sia flavinica, è una flavina ossitropa, perché il FADH+H+ cede direttamente l’idrogeno all’ossigeno molecolare formando perossido di idrogeno, quindi più frequentemente del NAD interviene un enzima flavinico, quindi un FAD enzima questa deidrogenasi ed è un enzima flavinico ossitropo. Dall’acido L-gulonico se non si è capaci di sintesi di vit. C andiamo verso la conclusione del ciclo dell’acido glucuronico, sull’acido L-gulonico interviene adesso, nei nostri tessuti, ora, torniamo all’uomo, nei nostri tessuti, l’acido L-gulonico diventa substrato di una L-gulonato deidrogenasi, NAD dipendente, la quale attacca il C3 e toglie

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due atomi di idrogeno e forma il 3-cheto derivato, formando l’acido 3-cheto L-gulonico, questo va incontro ad una reazione liasica, quindi una decarbossilasi che toglie via il gruppo carbossilico e passiamo a questo punto ad un pentoso che sarà l’L-xiluloso, quindi, decarbossilazione per opera di una liasi perdiamo il gruppo carbossilico e con questo perdiamo il carbonio primitivo 6 dell’acido glucuronico, con questa reazione di decarbossilazione perdiamo quello che era in origine il gruppo carbossilico dell’acido glucuronico, per questa via il Glu viene catabolizzato perdendo il C6, mentre per la via del ciclo del Glu-6-P perdevamo il C1. Decarbossilazione arriviamo alla formazione di un chetoso che in parte conosciamo nella forma D, l’abbiamo conosciuto nel ciclo del Glu-6-P che è l’L-xiluloso, adesso le reazione che seguono sono in funzione di trasformare l’L-xiluloso in dixiluloso e con questo ci raccordiamo al ciclo del Glu-6-P, allora, L-xiluloso è il chetoso, questo chetoso viene adesso ridotto all’alcool corrispondente poiché è una reazione di riduzione, interviene NADPH+H+, quindi reazione di riduzione, l’L-xiluloso viene convertito nell’alcool corrispondente e prende il nome di xilitolo, importante l’enzima è altamente sterospecifico e nella riduzione del carbonio carbonilico porta l’ossidrile a sinistra del piano della molecola, lo xilitolo è una molecola simmetrica e non più asimmetrica come era L-xiluloso per cui scrivere la molecola in ambo le forme è assolutamente uguale, scriviamo quindi lo xilitolo nella forma capovolta perché rende più facile capire cosa succede dopo, questo xilitolo viene adesso deidrogenato in presenza di NAD ad opera di una xilitolo deidrogenasi e trasformato in D-xiluloso, quindi deidrogenazione dall’alcool passiamo al cheto derivato corrispondente, a questo punto ritorniamo alla serie dei monosaccaridi formiamo il chetoso corrispondente che sarà D-xiluloso che già conosciamo, perché l’abbiamo trovato nel ciclo dell’esoso monofosfato in forma fosforilata, allora, deidrogenazione in presenza di una xilitolo deidrogenasi, che utilizza come cofattore NAD e andiamo a formare D-xiluloso, D perché abbiamo l’ossidrile a destra del piano della molecola e non più a sinistra. A questo punto D-xiluloso+ATP, forma xiluloso-5-P che si ricollega con il ciclo del Glu-6-P, quindi ultima reazione è una reazione cinasica interviene una D-xiluloso cinasi la quale in presenza di ATP forma xiluloso-5-P e con questo torniamo al ciclo del Glu-6-P, quindi in pratica il ciclo dell’acido glucuronico al suo termine si collega con il ciclo del Glu-6-P. Ciclo dei polioli È un processo abbastanza insolito nei riguardi di quanto avevamo detto fino ad adesso, perché procede sul monosaccaride libero non fosforilato, quindi è un processo in cui il Glu entra come tale e non richiede una preventiva fosforilazione, in questo processo il gruppo aldeidico del monosaccaride viene ridotto ad alcool per cui il monosaccaride si trasforma nell’alcool corrispondente, viene detto ciclo degli aldosi, dei poliolii, in quanto c’è la formazione di polialcooli che vengono dalla riduzione del monosaccaride o ciclo degli alditoli, viene denominato in diverso modo, allora se il Glu, che poi è il monosaccaride più abbondante nell’organismo, cioè di cui il metabolismo è più attivo, il Glu viene ridotto a livello del gruppo aldeidico ad opera di una esoso riduttasi la quale agisce sul carbonio aldeidico lo trasforma in gruppo alcolico primario e con questo formiamo l’alcool polivalente corrispondente, questo alcool è indicato con il termine di sorbitolo o sorbite, in commercio è come sorbite, il nome corretto è sorbitolo. Nella stessa riduzione possono essere coinvolti altri monosaccaridi per esempio il mannoso viene ridotto e forma l’alcool corrispondente mannitolo che è la comune mannite che viene utilizzata come lassativo con delle preparazioni in soluzione normotoniche o ipotoniche, lo stesso vale per il galattoso viene ridotto a galattitolo detto anche dulcitolo che è quell’alcool pericoloso che portandosi a livello del cristallino induce opacizzazione della lente, la cataratta giovanile è dovuta all’eccesso di questo alcool galattitolo che è il prodotto di riduzione del galattoso e si forma per la stessa reazione di riduzione in presenza di NADPH+H+. Questo polialcool, continuando nel ciclo dei poliolii, viene adesso deidrogenato in posizione 2 e otteniamo fruttoso; a questo punto il fruttoso potrà essere fosforilato in 1 o in 6 e formare F1P o F6P e continuare nei processi metabolici che abbiamo già descritto. Perché questa via è deleteria?Cioè, da un lato è vantaggiosa perché in situazione i iperglicemia comporta un utilizzo immediato di Glu che non comporta fosforilazione e gli enzimi della fosforilazione in una situazione diabetica sono tutti repressi però lo svantaggio, due, uno, molto

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grave, consuma NADPH+H+ di cui l’organismo, ne produce già in minime quantità, appena sufficienti a garantire la sintesi degli acidi grassi, la sintesi di colesterolo e soprattutto a svolgere protezione del globulo rosso da agenti ossidanti, consuma notevolmente NADPH+H+ sottraendolo a processi più importanti, il secondo svantaggio, consuma NAD sottraendolo alla glicolisi, quindi entra in competizione con più vie metaboliche, con la sintesi di acidi grassi, con le sintesi protettive, con la sintesi del colesterolo. Dall’altra parte rallenta il flusso glicolitico per che sottrae NAD, è una via dannosa per l’organismo, ma è bene tenerne conto perché in situazioni diabetiche pare si esalti considerevolmente. Lezione di Biochimica – giovedì 5 dicembre 2002 Glicogenolisi. Per glicogenolisi s’intende la degradazione per via fosforilativa del glicogeno. Il glicogeno viene degradato a unità di glucosio-1-fosfato. Quando in genere si parla di degradazione del glicogeno invece, oltre a questa degradazione, s’intende anche la degradazione per altra via che porta in definitiva alla formazione di maltoso e ulteriormente di glucoso. Se parliamo di degradazione dobbiamo vedere in primis come viene degradato il glicogeno. Può essere degradato per due vie: - una via che prevede enzimi molto simili alla funzione dell’amilasi di cui abbiamo parlato a livello del canale digerente (endoglicosidasi che attaccano la molecola del polisaccaride al centro, la degradano progressivamente fino a risolverla nell’unità disaccaridica e da ultimo questa unità disaccaride viene scissa in due unità di glucosio). Normalmente questa degradazione avviene all’interno di corpuscoli differenziati nella cellula che prendono il nome di lisosomi: quando il glicogeno viene degradato via processi idrolitici la degradazione è in larga parte a livello del lisosoma, e avviene ad opera di idrolisi che normalmente attaccano la molecola al centro e via via la degradano fino a formare disaccaridi che ulteriormente, ad opera di disaccaridasi, vengono risolti in unità di glucosio. - la seconda via di degradazione, notevolmente più importante e più attiva nella cellula, è la degradazione per via fosforolitica e in questo caso parliamo di fosforolisi del glicogeno. Questa via è notevolmente più vantaggiosa dell’altra idrolitica perché formiamo glucosio che per essere utilizzato deve spendere ATP per formare glucosio-6-fosfato. Nel processo fosforolitico invece formiamo già glucosio-1-fosfato che, convertito in glucosio 6 fosfato, potrà entrare direttamente nella via glicolitica e quindi non comporterà spesa di ATP; per di più la fosforolisi del glicogeno è un processo notevolmente veloce mentre il processo idrolitico è notevolmente più lento (quando la cellula ha bisogno di energia in genere sfrutta il processo fosforolitico anziché quello idrolitico). Il processo fosforolitico non è una reazione di idrolisi ma comporta una reazione di trasferimento: cioè le unità di glucosio staccate dalla molecola del glicogeno vengono trasferite all’ortofosfato per formare G1P. Quindi l’enzima più importante della fosforolisi del glicogeno è questa transferasi che possiamo definirla glicosil-transferasi che stacca le unità di glucosio che fanno parte del glicogeno e le manda all’ortofostato e forma G1P in configurazione α nel legame glucosidico. Per capire come funziona questo enzima dobbiamo riprendere la struttura del glicogeno: molecola molto grossa con peso molecolare fino a 1 miliardo di Dalton, dove le unità di glucosio sono unite in legame 1-4 α glucosidico a formare delle lunghe catene, di tempo in tempo la catena più lunga si complica per delle ramificazioni che si uniscono alla catena principale con un legame 1-6 α glucosidico. Quello che è importante è che il legame sia sempre α glucosidico. In questa molecola del polisaccaride distinguiamo una catena più estesa che prende il nome di catena principale e catene più brevi che prendono il nome di catene laterali. Tutte le catene laterali con il loro estremo riducente si impegnano con la catena principale mediante legame 1-6 α, nella catena principale avremo sempre legami 1-4 α e distingueremo un estremo non riducente che è

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l’estremo che ha il gruppo alcolico in 4 libero ed un estremo riducente che da inizio alla catena e che avrà il gruppo glucosilico libero cioè carbonio 1 libero. Per cui nella molecola del glicogeno avremo tanti estremi non riducenti quanti sono le catene laterali più la catena principale, e un solo estremo riducente che è quello della catena principale, in quanto gli estremi riducenti delle catene laterali sono impegnati col legame 1-6 α con la catena principale. Importante è questa definizione perché l’enzima che degrada il glicogeno con il processo fosforolitico inizia dagli estremi non riducenti e procede via via verso l’estremo riducente, quindi attacca il glucosio con il carbonio 4 libero e non il glucosio con il carbonio 1 libero, quindi procede dalla periferia e si porta verso il centro. La frequenza con cui le catene laterali si inseriscono sulla catena principale è minimo ogni 4 unità di glucosio. Avremo una inserzione talvolta ogni 6 o 8 unità. Le catene laterali avranno lunghezza minima 8 unità e può estendersi fino a 16 unità di glucoso. La degradazione del glicogeno per via fosforolitica prevede l’intervento di 2 enzimi che lavorano in alternativa: la glicogeno-fosforilasi e l’enzima deramificante. Dall’operazione combinata di questi due enzimi si arriva alla degradazione del glicogeno fino alla formazione di n unità di glucosio-1-fosfato più una piccola quantità di glucosio libero che corrisponde al numero di catene laterali della molecola di partenza. L’enzima deramificante di per se non è in grado di demolire il glicogeno, così come la glicogeno-fosforilasi da sola. L’enzima che regola il processo è la fosforilasi, l’enzima deramificante in pratica lavora in rapporto all’attività catalitica della fosforilasi quindi se la fosforilasi è inibita l’enzima deramificante s’inibisce, se è attivata l’enzima deramificante si attiva. Gli enzimi della demolizione così come quella della sintesi del glicogeno sono adesi alla molecola del glicogeno, quindi stanno legati alla molecola e vedremo che questa interazione è fortemente regolata, quindi il legame dell’enzima col glicogeno può essere rafforzato o indebolito. Nella degradazione, l’enzima che per primo interviene è la glicogeno-fosforilasi, il quale inizia ad attaccare le catene dagli estremi non riducenti 4 e stacca un’unità di glucosio alla volta trasferendola all’ortofosfato. Quindi il glicogeno con un’unità in meno di glucosio, e questo glucosio è andato all’ortofosfato ed ha formato G1P, il G1P, in cui il fosfato è legato con legame glucosidico al carbonio 1, ha la configurazione α nel legame glucosidico, quindi si forma un α-D-glucosio-6-fosfato. Normalmente la fosforilasi parte dalle catene laterali e, soltanto in un secondo momento, arriverà sulla catena principale, perché le ramificazioni sul glicogeno sono fitte e brevi e in pratica vengono a coprire la catena principale. L’enzima in primis ha difficoltà a riconoscere la catena principale e inizierà a riconoscerla solo quando le catene laterali saranno state sfoltite. Il problema è che la fosforilasi non è in grado di degradare da sola il glicogeno perché non riconosce il legame 1,6-glucosidico, non è in grado di staccare la catena laterale da quella principale, ma nella degradazione della catena laterale, l’enzima si ferma 4 unità prima della ramificazione. Questo perché la fosforilasi ha una massa molecolare notevolmente elevata e quindi ha difficoltà ad entrare nel cuneo formato dalla ramificazione molto probabilmente. A questo punto interviene l’enzima deramificante che ha una specificità di reazione relativa in quanto si comporta in due modi differenti: in un primo momento, delle 4 unità ne riconosce 3, rompe il legame 1,4-glucosidico, si prende queste 3 unità e le porta sull’estremo non riducente della catena principale (si comporta come una oligosaccaride-transferasi). Poi ritorna sulla catena laterale e si comporta come una idrolisi, cioè in presenza di acqua rompe il legame 1,6-α-glucosidico e libera questa unità residua come glucosio. Quindi nel secondo momento l’enzima diventa una glicosidasi perché rompe un legame glucosidico e libera una molecola di glucosio libero. Ciò spiega perché si forma quella piccola quantità di glucosio libero indice del numero di catene laterali che sono state degradate. A questo punto la fosforilasi potrebbe incominciare a degradare la catena principale e proseguire in avanti fino alla totale demolizione e quindi il rischio sarebbe di andare al totale esaurimento del

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glicogeno nel tessuto: questo non avviene mai perché quando la demolizione diventa troppo veloce e il contenuto di glicogeno scende sotto certi livelli, la demolizione viene bloccata e attivamente parte la sintesi. Anzi diciamo quando c’è una demolizione intesa c’è sempre una sintesi minima e quando c’è una sintesi estremamente attiva c’è sempre una demolizione al minimo. Questo spiega perché in un tessuto non si vai mai al totale esaurimento del glicogeno, può scendere ma mai esaurirsi totalmente. Il destino di questo G1P che si è formato e del glucosio residuo. Il glucosio (+ ATP ) viene trasformato in G6P ( + ADP ) ad opera di una reazione esoso-cinasica, il G1P, per essere utilizzato, deve essere trasformato in G6P e a questo punto a seconda dei tessuti avrà un destino differente. Il G1P per reazione fosfoglucomutasica passa a G6P (reazione regolata dal cofattore glucosio-1,6-disfosfato: l’enzima porta un residuo di Serina che viene fosforilato dal coenzima e poi rigenerato dal substrato). Il G6P potrà avere destini diversi a seconda dei tessuti: in tutti i tessuti, tranne fegato, entra nella via glicolitica o eventualmente va al ciclo del G6P. Nel fegato può avere un duplice destino: può entrare nella via glicolitica ma frequentemente, quando c’è una glicogenolisi intensa (rischio di ipoglicemia), il G6P va incontro ad una reazione irreversibile in presenza di acqua, perde il fosfato e forma glucoso; poi va in circolo, compensando la glicemia che sta scendendo. Il fegato è quasi l’unico tessuto in cui è presente questa fosfatasi (glucosio 6 fosfatasi) la quale è specifica per il glucosio, stacca l’ortofosfato dal glucosio e il G6P forma glucosio libero. A questo punto il glucosio libero viene dismesso dal fegato al circolo e va a compensare la glicemia che sta scendendo. Nei tessuti periferici, soprattutto a livello del muscolo scheletrico che è il tessuto che maggiormente consuma glicogeno, l’enzima manca, per cui il G6P non può lasciare il tessuto come glucoso ma verrà consumato nell’ambito del tessuto stesso. E questo spiega perché si dice che il muscolo concorre ad abbassare la glicemia ma non concorre ad alzare la glicemia, perché una volta che il glucoso è entrato nel muscolo non esce più, escono i prodotti di catabolismo ma il glucosio come tale non viene liberato dal muscolo. Il fegato invece non ha la funzione di prelevare glucosio dal circolo ma di immetterlo nel circolo. Torniamo sulle caratteristiche degli enzimi che partecipano a questa reazione e in primis ricordiamo che la glicogenolisi è ad opera della fosforilasi, da un punto di vista termodinamico, è un processo reversibile, cioè l’enzima è in grado di degradare glicogeno ma non da G1P in eccesso ricostruire la molecola del glicogeno. In teoria se c’è molto G1P e se c’è un accettare iniziale, cioè una molecola polisaccaride parzialmente degradata, la fosforilasi è in grado di trasferire il glucoso dal G1P all’accettore e ricostruire la molecola di glicogeno. In vivo ciò non succede mai perché la reversibilità della reazione è possibile a pH inferiore a 6,7 (intorno a 6,7 la fosforilasi è in grado di costruire glicogeno, ma al di sopra di pH 6,7 va soltanto verso la demolizione): poiché nella cellula il pH varia tra 7,2 e 7,3 ne consegue che è il pH che rende irreversibile la reazione di fosforilasi. Ci soffermiamo sulle caratteristiche della fosforilasi. L’enzima è distribuito in tutti i tessuti, quindi tutti i tessuti sono capaci di glicogenolisi, seppur il processo sia massimamente attivo a livello epatico e a livello muscolo-scheletrico (sono i due tessuti che più degradano e sintetizzano glicogeno). In tutti i tessuti la fosforilasi è presente in due forme: una forma inattiva (poco attiva) e una forma pienamente attiva. Le due forme sono indicate come fosforilasi B e fosforilasi A. Strutturalmente la differenza fra attiva e inattiva si riflette in una conformazione diversa della proteina che dipende dal suo stato di fosforilazione: in pratica la forma A è la forma fosforilata e la B è la forma defosforilata. Nel tessuto è possibile convertire A in B e viceversa B in A. Il passaggio da B ad A avviene per una reazione cinasica in presenza di ATP che passa ad ADP ad opera di una fosforilasi-B-cinasi.

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Il passaggio inverso da A a B avviene in presenza di acqua che porta a liberazione di ortofosfato ed è operato da una fosforilasi-A-fosfatasi. Queste conversioni sono processi estremamente veloci (frazioni di centesimo di secondo) e sono processi fortemente regolati: per cui dovremmo fermarci a lungo sulla regolazione della fosforilasi, cioè sui sistemi che trasformano B in A e A in B, sistemi che in parte sono di tipo ormonale e in parte non ormonale. L’enzima è sempre un dimero quando è nella forma inattiva (e questo vale per tutti i tessuti), quando passa alla forma attiva rimane dimero in tutti i tessuti eccetto il tessuto muscolare-scheletrico, cardiaco e muscolo liscio. Quindi nel tessuto muscolare, il passaggio alla forma attiva comporta il raddoppio della massa molecolare, per cui l’enzima da dimero diventa tetrametro. In tutti i tessuti B è sempre un dimero, quando passa ad A continua ad essere dimero che diventerà fosforilato, eccetto nel muscolo-scheletrico, cardiaco e liscio in cui la forma attiva è un tetrametro in cui un amminoacido compare nella forma fosforilata, quest’amminoacido è la Serina. Quindi la forma fosforilata della fosforilasi è un Serina-fosfato-protide in cui il gruppo fosforico va a legarsi al carbonio alcolico primario di un radicale di Serina, ed è un’unica Serina per ogni monomero, in particolare la Serina-14. Allora quando si parla di forma fosforilata, avremo un Serina della catena della proteina che si fosforila, quando si parla di forma defosforilata, questa Serina compare libera, l’ossidrile alcolico primario della Serina è libero. Quindi, nella forma attiva A l’enzima è fosforilato in Serina, nella forma inattiva B l’enzima ha la Serina libera; e questa Serina corrisponde alla Serina-14 della sequenza, il che vuol dire che la Serina fosforilabile è spostata verso l’estremo amminoterminale della catena. Quindi, ogni monomero porta un residuo di Serina-14 che può esistere in una forma fosforilata, ed il monomero diventa attivo, ed una forma defosforilata, ed il monomero diventa inattivo. La forma fosforilata nel muscolo è tetramerica, la forma fosforilata nel fegato e negli altri tessuti è dimerica. La forma defosforilata è sempre dimera in tutti i tessuti. Vediamo in dettaglio la struttura di ogni monomero. Ogni monomero ha una forma leggermente sferica e su ogni monomero distinguo un certo numero di siti che sono importanti per capire come l’enzima funziona. Verso l’estremo amminoterminale esiste il sito di fosforilazione, in cui compare Serina-14 soggetta a fosforilazione. Poi sito di modulazione: è un sito che, quando viene legato a determinati composti, modifica la forma dell’enzima e può regolarne l’attività. Al sito di modulazione si portano nucleotidi, in particolare: AMP, ATP e il G6P. Questi tre composti agiscono preferenzialmente sulla forma defosforilata. La forma che più facilmente lega AMP ATP e G6P è la forma B, rilevanza minore per la forma A. Quando si lega l’AMP, la fosforilasi B, anche se inattiva, acquisisce una buona attività (40% della forma A), quindi l’AMP si comporta da modulatore positivo. Mentre l’ATP e il G6P sono modulatori negativi, perché, quando vanno a legarsi al sito di modulazione, azzerano l’attività della fosforilasi B. Importante su questo sito è la presenza di un residuo di Tirosina. Procedendo verso l’estremo carbossilterminale, abbiamo un terzo sito, il sito per il gruppo prostetico: quindi la fosforilasi non è un protide semplice ma un protide coniugato e diciamo subito che il gruppo prostetico è rappresentato dal piridossal-5-fosfato (PLP). Sul sito compare come funzionale, quindi indispensabile, un residuo di Lisina verso la quale si va a legare il PLP. La Lisina è formata da 6 carboni, ha un lungo braccio idrofobico che emerge dalla catena proteica e termina con un amminogruppo ε, molto reattivo e rappresenta il punto di reazione con il gruppo prostetico. Si forma un legame aldiminico o chetiminico fra il gruppo formilico del PLP e l’ε dell’amminogruppo della Lisina. Va via una molecola d’acqua ed il legame che residua è un legame aldiminico carbonio-azoto relativamente stabile, sensibile alle variazioni di pH. Questo vale per ogni subunità, se l’enzima è dimerico saranno 2 le molecole di PLP legate, se l’enzima è tetramerico saranno 4 le molecole di PLP legate.

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Importante è la presenza di questo gruppo prostetico, poiché senza di esso l’enzima non funzionerebbe. Il gruppo funzionale di questo PLP, cioè il gruppo che interviene nella catalisi è il fosfato legato al gruppo ossimetilico in 5. Questo fosfato è indispensabile per la catalisi e vedremo come funziona. Vicino al sito prostetico c’è il sito catalitico, che è un sito estremamente piccolo ed in pratica si pone al fondo di una tasca ed è posizionato circa nel punto d’interazione subunità-subunità (dove le subunità si toccano). Ne consegue che quando una subunità entra in funzione immediatamente si modifica anche la subunità successiva e quindi tutte e due lavorano in pari, si modulano a vicenda per la presenza dei siti catalitici che si affrontano. Il sito catalico è molto piccolo per cui possono albergare un numero ridotto di unità monosaccaridiche: ciò spiega il fatto che la fosforilasi si ferma, è la forma del sito catalitico che rende difficile all’enzima di riconoscere il suo substrato. In prossimità del sito catalitico, proseguendo sempre vero l’estremo carbossilterminale, abbiamo il sito d’interazione con il glicogeno. Quindi sull’enzima sono ben distinti il sito di legame e il sito attivo. Il sito d’interazione con il glicogeno è notevolmente esteso: pare che copra circa 60 amminoacidi. Ultimo sito: sito d’interazione, cioè il sito che permette l’interazione subunità-subunità. In questo sito hanno parte i gruppi tiolici –SH, e questo spiega perché la fosforilasi è un enzima tiolico, perché se io disturbo questi gruppi tiolici in pratica tendo a disassemblare il dimero e il tetramero nei monomeri corrispondenti. Sito d’interazione in cui compaiono dei gruppi –SH che devono essere mantenuti in forma di gruppo tiolico perché l’enzima risulti essere attivo. Allora procedendo dall’estremo amminoterminale a quello carbossilterminale, ci troviamo in presenza di questi diversi siti che sono tutti importanti perché l’enzima possa funzionare. Vediamo la funzione del gruppo prostetico. Il gruppo prostetico è essenziale per l’enzima e la parte del gruppo prostetico che è essenziale per la catalisi è il fosfato legato al carbonio alcolico in 5. Interessante che hanno separato la fosforilasi legata al prodotto della reazione G1P, in cui il G1P era il legame labile con quel fosfato in 5. Quindi nelle indagini, si sono accorti che il prodotto di reazione del G1P, per un tempo infinitesimo, rimane adeso al gruppo prostetico dell’enzima a livello del fosfato portato dal PLP. Il G1P, in pratica, si trovava legato a questo fosfato, poi immediatamente si risolve nell’enzima libero più G1P. Si pensa che nel corso della reazione, il fosfato inorganico che si aggiunge, temporaneamente vada a legarsi al fosfato portato dal carbonio 5, si forma una specie di pirofosfato, il che aumenta notevolmente l’acidità degli ossidrili del fosfato inorganico e questo aumento di acidità fa si che il fosfato dissoci facilmente protoni e questi protoni fanno da catalizzatori acidi per il legame glucosidico. In pratica si formerebbe un legame di tipo anidride, ma è un legame labile, il che fa si che aumenti l’acidità degli altri 2 gruppi ossidrilici del fosfato che tendono a dissociare, almeno uno sicuramente, il protone ad essi legati, perché siamo a pH 7,4 quindi non tutti gli ossidrili del fosfato sono dissociati. Il legame col fosfato del gruppo prostetico potenzia la dissociazione di almeno un gruppo ossidrile acido del fosfato inorganico che si è aggiunto, e questo protone si porta a livello del legame glucosidico 1,4 e in pratica fa da catalizzatore acido, rompe questo legame. Il glucoso radicalico che si è formato nel contempo va a legarsi al fosfato e formiamo G1P: questo spiega perché in un tempo brevissimo il G1P è legato al PLP, perché rimane questo legame labile fosfato inorganico-fosfato del gruppo prostetico. Con la fosforilasi il PLP si comporta in modo completamente diverso quando sarà gruppo prostetico di enzimi coinvolti nel metabolismo degli amminoacidi. Pur essendo la stessa molecola, nella fosforilasi funziona in un modo, nel metabolismo degli amminoacidi funzionerà in un modo completamente diverso. Questo può spiegare perché un PLP, che è effettivamente gruppo prostetico degli enzimi legato al metabolismo degli amminoacidi, compare invece con enzima legato al metabolismo glucidico, perché nelle due condizioni si comporta in modo completamente differente.

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Come la fosforilasi viene regolata. E’ molto probabile che la fosforilasi B esista in due forme conformazionali: una detta forma T ed una forma R ( un po’ per analogia con l’emoglobina, dove la forma T sta ad indicare la forma tesa ed R la forma rilassata). Le due forme possono interconvertirsi l’una nell’altra: è possibile passare da T verso R e da R verso T. Quando la fosforilasi B è in forma T è praticamente non attiva, quando passa in forma R diventa parzialmente attiva, in quanto il passaggio comporta una modificazione di forma per cui il sito catalitico si scopre, diventa parzialmente accessibile, e l’enzima può funzionare. Favoriscono il passaggio dalla forma T alla forma R: AMP. Viceversa ATP e G6P regolano il passaggio opposto, cioè in presenza di questi due elementi la fosforilasi è in forma T ed è inattiva. E questo è spiegabile dal fatto che la fosforilasi forma G6P che poi sarà suscettibile di dare energia: se il livello energetico è già alto nella cellula non occorre spendere del glicogeno per aumentare ulteriormente, quindi l’ATP in eccesso va a legarsi alla fosforilasi e la mantiene ferma. La forma B, quando è inattiva, è in forma T, e la forma T è essenziale perché B diventi A: in pratica B può diventare A solo se in forma T, la forma R non è suscettibile di essere convertita in fosforilasi A. Il passaggio avviene per un processo di fosforilazione che è possibile solo sulla forma T, la quale porta alla formazione di una forma T fosforilata ancora inattiva ma altamente instabile che, in conseguenza della carica negativa che gli viene dal fosfato, si modifica di forma e diventa R fosforilata. L’importante che in questo passaggio da T a R, il fosfato che era esposto all’esterno si affonda all’interno della proteina, in pratica viene coperto; quindi quando la Serina-14 viene fosforilata, l’estremo amminico modifica estremamente la sua forma, in conseguenza delle cariche negative portate dal fosfato, la proteina si modifica e passa rapidamente alla forma R in cui questa Serina-fosfato non è più in superficie ma è all’interno della molecola. Questa modificazione di forma comporta lo scoprimento del sito catalitico e la piena attività dell’enzima. Quindi il passaggio dalla forma T alla forma R, da non fosforilata a fosforilata, non comporta solo una fosforilazione ma comporta una profonda modificazione conformazionale della proteina, per cui dalla forma inattiva passa alla forma attiva. Passaggio dalla forma B alla forma A Tale passaggio richiede una reazione cinasica, in particolare interverrà una protide-cinasi perché siamo in presenza di proteine, la quale è deputata a fosforilare sulla fosforilasi B la Serina-14, una Serina per ogni monomero. Questo enzima prende il nome di fosforilasi-b-cinasi perché agisce sulla fosforilasi B e si comporta come cinasi in quanto stacca un fosfato dall’ATP e lo manda alla Serina dell’enzima, fosforila a spese di ATP e richiede come attivatore il Mg. Il grosso problema si pone a livello di questa fosforilasi-b-cinasi perché a sua volta l’enzima esiste in una forma inattiva e in una forma attiva, e soltanto nella forma attiva sarà in grado di fosforilare B trasformandolo in A. Questo enzima è di massa molecolare molto elevata in quanto è formato da 16 catene, esadecamero, in cui le catene sono di 4 tipi: α β γ δ. Le catene γ portano il sito catalitico, le catene α e β sono suscettibili di fosforilazione, quindi possono comparire fosforilate e ancora una volta la fosforilazione riguarda residui di Serina. Le catene δ4 sono in grado di legare Ca e possono legare, avendo quattro siti per legarli, almeno 4 ioni calcio fino a 16. Le catene δ sono, in effetti, molecole di Calmodulina: proteina estremamente avida di calcio che si può trovare libera nei tessuti oppure legata alla fosforilasi-b-cinasi. Quando la fosforilasi-b-cinasi si attiva, l’attivazione può coinvolgere due modificazioni a carico della fosforilasi-b-cinasi: l’enzima può già diventare attivo se si satura di calcio ed è in grado di trasformare B in A, oppure può diventare attiva fosforilando le catene β e α anche se non ha calcio legato alle catene δ (prima si fosforilano le catene β poi quelle α). La massima attività si può raggiungere quando le catene α e β sono fosforilate e quando le catene δ sono legate al calcio.

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Quando questa fosforilasi-b-cinasi agisce sulla fosforilasi B e la trasforma in quella A, deve essere nella forma attiva. La regolazione da calcio predomina nel muscolo, la regolazione da fosforilazione predomina nel fegato. La grossa differenza fra i due tipi di regolazione è che la regolazione da calcio può essere o non può essere mediata da stimoli ormonali, mentre la regolazione da fosforilazione è sempre di natura ormonale e quindi c’è un segnale che arriva. Gli ormoni che regolano questi processi sono: adrenalina e glucagone. Il glucagone agisce in particolare a livello del tessuto adiposo e del fegato mentre non agisce sul muscolo, l’adrenalina colpisce tutti e tre i tessuti (il muscolo non ha recettori per il glucagone). La regolazione da calcio può essere di tipo ormonale o no: nel caso in cui non sia ormonale, la regolazione è di tipo nervoso, cioè vi è un trasporto di uno stimolo nervoso che induce questa modificazione da calcio. Se è di tipo ormonale, invece, il segnale viene da adrenalina e non glucagone, in quanto l’adrenalina ha due recettori a livello tessutale, recettori di tipo β, che mediano attraverso fosforilazione e recettori di tipo α che mediano attraverso calcio. Quindi la fosforilasi-b-cinasi può essere attiva in queste tre condizioni: α4, β4, γ4, δ4 legata al calcio; α4 fosforilata, β4 fosforilata, γ4, δ4; α4 fosforilata, β4 fosforilata, γ4, δ4 legata al calcio. La forma α4P, β4P, γ4, δ4 in presenza di ATP, l’enzima trasforma B in A. Consumeremo 2 unità di ATP nel fegato e 4 unità di ATP nel muscolo. Il calcio nel citoplasma può essere regolato da due vie: calcio esogeno che entra nella cellula, calcio endogeno che è segregato in particolari differenziazioni da cui si libera. Quindi può essere calcio extracellulare che viene portato dentro, il che vuol dire che sulla membrana plasmatica si attivano canali per l’ingresso di calcio dentro la cellula, canali che si attivano per stimolo nervoso. Sono detti canali voltaggio-sensibili o canali lenti del calcio. Sono canali che, a cellula muscolare a riposo, sono chiusi e quando arriva lo stimolo nervoso la polarità della membrana s’inverte: tale inversione di polarità comporta un’apertura dei canali per il calcio i quali si aprono lentamente e permettono al calcio di entrare. Sono anche detti canali sensibili alla diidropiridina, perché la diidropiridina è un inibitore, cioè ostacola l’apertura di questi canali. Viceversa il calcio può essere mobilizzato dalle riserve che sono intercellulari. Queste riserve prendono il nome di reticolo endoplasmico. Il calcio è segregato all’interno del reticolo e sotto stimolo, quando il muscolo va in contrazione, rapidamente su questi reticoli endoplasmici si aprono dei canali che permettono al calcio di uscire. Normalmente la concentrazione di calcio nel citoplasma, quando la cellula è a riposo, è intorno a 10–7 molare (0,1 micromolare), quando la cellula si attiva e quindi il calcio viene riversato dal reticolo endoplasmico verso il citoplasma, la concentrazione sale a 10–5 molare (10 micromolare). A queste concentrazioni il calcio viene riconosciuto dalle catene δ le quali progressivamente si saturano. Quindi il legame del calcio con le catene δ non è mediato da una reazione enzimatica ma è mediato dalla concentrazione presente di calcio. L’apertura dei canali sono IP3 dipendenti, inositolo-trifosfato-dipendenti. Come avviene la fosforilazione delle catene α e delle catene β. Logicamente è di nuovo una cinasi, una protide cinasi, che agisce sulle catene α defosforilate e le va a fosforilare. L’enzima che promuove questa fosforilazione è indicato come protide-cinasi-A (PKA) dove A sta ad indicare adenosin-monofosfato-ciclico dipendente (AMPc). E’ un adenosin-5-fosfato che ha formato un secondo legame estere con il carbonio 3 del riboso, quindi un adenosin-3,5-monofosfato-ciclico in cui il legame è fosfodiestereo a livello del carbonio 5 e 3. E’ modulatore positivo per la PKA. Si può spiegare questa modulazione perché è formata da 4 subunità: 2 di tipo R e 2 di tipo C. Nella forma inattiva è R2C2, in presenza di AMPc l’enzima si trasforma in R2+2C, dove l’unità C è l’unità catalica, la vera cinasi.

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Che cosa fa l’AMPc? Quando arriva nel citoplasma a certe concentrazioni, la PKA diventa affine per l’AMPc e lo lega: lega 4 molecole di AMPc per ogni molecola di enzima, cioè ogni unità R lega 2 AMPc. Allora, legandosi l’AMPc alle subunità R, ne induce una modificazione di forma per cui queste non riconoscono più C e se ne staccano. Si separa come R2 legato a 4 AMPc. Le 2 subunità C si dissociano e ognuna diventa una unità catalica. A questo punto l’unità catalica C si porta sulla fosforilasi-B-cinasi e la fosforila. Questo passaggio, R2C2 a R2+2C, è reversibile: non appena la concentrazione di AMPc nel citoplasma scende, immediatamente C si riaggrega a R e riforma il tetrametro inattivo con distacco di AMPc. L’AMPc viene da ATP e la sua trasformazione in nucleotide ciclico è mediata da un enzima presente sulla membrana plasmatica e prende il nome di adenilato-ciclasi, che ha la funzione di trasformare ATP in AMPc. Questa adenilato-ciclasi è il primo bersaglio dell’azione dell’ormone. Quindi l’ormone, regolando quest’adenilato-ciclasi, regola la sintesi di AMPc che consideriamo come secondo messaggero del messaggio ormonale (il primo messaggero è l’ormone): tra tanti, i meglio conosciuti sono glucagone ed adrenalina. Attivazione della fosforilasi Abbiamo visto ieri il comportamento della fosforilasi B-cinasi e il comportamento della protide cinasi A, ricordando che questa protide cinasi è, nella forma inattiva, un tetramero formato da due subunità R e due subunità C. in presenza di AMP ogni subunità R lega due molecole di AMP, e si vengono così a separare un dimero R2, legato a 4 molecole di cAMP, e due subunità C attive. Le subunità C adesso si comportano come protide cinasi nei confronti della fosforilasi B-cinasi e in presenza di ATP fosforilano le catene � e successivamente le catene �. Sintesi del cAMP Abbiamo visto il cAMP, vediamo adesso come si origina questo nucleotide ciclico, che funziona come secondo messaggero per molti ormoni, e in particolare (per quanto riguarda noi) per l’adrenalina, a livello di tutti i tessuti, e per glucagone, particolarmente a livello del fegato e del tessuto adiposo, in quanto il muscolo scheletrico, cardiaco e liscio sembra mancare di recettori per il glucagone, e conseguentemente il glucagone non ha effetto su questi tessuti. Quali sono le modalità attraverso cui l’ormone riesce ad indurre sintesi di cAMP? La sintesi di questo composto procede a carico di componenti della membrana plasmatica:

1. il recettore dell’ormone; 2. una proteina trimerica (parte della membrana plasmatica) che prende il nome di proteina G; 3. l’enzima deputato alla sintesi di cAMP che è l’Adenilato ciclasi;

Abbiamo quindi tre componenti proteiche che sono parte della membrana plasmatica (e quindi non agiscono nel citoplasma). Sulla membrana plasmatica esiste una proteina particolare che in parte si affaccia sull’esterno della cellula e in parte si affonda nell’interno della membrana e si affaccia sul lato citoplasmatico: tale proteina è il recettore per l’ormone. L’ormone si lega al recettore, che modifica la sua forma, e generalmente va incontro ad una aggregazione, cioè più recettori aggregano insieme, e da questo momento in poi parte il segnale. Il segnale, per adrenalina e glucagone, ma in generale per tutti gli ormoni che hanno come secondo messaggero cAMP, si trasmette in primis attraverso una proteina G, che è una proteina trimerica la quale è disposta sulla membrana in prossimità del recettore, in modo da percepire le variazioni di forma del recettore. La proteina G è formata da tre subunità che indichiamo come subunità �, subunità � e subunità �. La subunità di massa molecolare minore è la subunità �, mentre quella di massa molecolare maggiore è la subunità �, che oscilla fra i 45 e i 35 kiloDalton. Queste proteine sono dette proteine G in quanto capaci di legare reversibilmente GDP e GTP. Quando la proteina è a riposo, nella forma trimerica, in assenza di stimolo ormonale, essa lega

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GDP sulla subunità �. Quando arriva lo stimolo ormonale la subunità � percepisce la modificazione di forma del recettore e scambia il GDP con il GTP; questo scambio non genera problemi poiché il GTP è largamente distribuito nel citoplasma delle cellule. Dunque il primo grosso fenomeno che si verifica in seguito all’interazione fra l’ormone e il recettore è l’attivazione della proteina G, la cui subunità � perde affinità per il GDP e la acquisisce per il GTP: il GDP viene quindi rilasciato e in sua vece viene legato GTP. Il legame del GTP con la subunità � modifica la forma di � per cui il trimero diventa instabile: il trimero si dissocia e le subunità � e � si staccano dalla subunità � anche se continuano ad essere legate sulla membrana – il grosso problema è che non si sa esattamente se passano nel citoplasma o continuano ad essere legati alla membrana; è probabile che continuino ad essere legati alla membrana sino a che il trimero non si è dissociato e si è trasformato nella subunità � e nel complesso �-�. L’importante è che � si è staccato da � e � e si è legato a GTP. Questo passaggio comporta l’attivazione della proteina G perché da questo momento la subunità � legata a GTP prende contatto con una ulteriore proteina di membrana che indichiamo con l’acronimo A (che sta per Adenilato ciclasi), la quale è un potenziale enzima; quando A non è legata alla subunità �-GTP è inattiva. Questa � prende contatto con la proteina A, che, legandosi ad �, diventa un enzima in grado di trasformare l’ATP in cAMP + pirofosfato. (ovviamente trattandosi di ATP l’enzima richiede ioni Mg2+ per la sua attività) Il cAMP liberato passa quindi nel citoplasma, va a legarsi alla protide cinasi A e da qui ha inizio la trasmissione del segnale ormonale. Importante: come vi è stato lo stimolo il recettore deve essere inattivato altrimenti si andrebbe in sovrastimolazione della cellula. Il ritorno alla situazione di partenza, e cioè l’inattivazione del recettore, e la fine della sintesi del cAMP, inizia per intervento della subunità �, la quale, nel momento in cui lega l’Adenilato ciclasi, modifica la sua conformazione e diventa un’intrinseca idrolasi, cioè attacca il GTP ad essa legato e lo scinde in GDP e ortofosfato (la subunità � cambia la sua forma e diventa una GTPfosfatasi che attacca l’ultimo legame pirofosfato del GTP e forma GDP + ortofosfato). A questo punto la subunità �, legata a GDP, perde la sua attività e torna a legarsi a � e a � e ricostituisce il trimero inattivo, pronto di nuovo a ricevere un successivo stimolo da parte del recettore; c’è dunque una continua attivazione-inattivazione della proteina trimerica, dovuta all’intrinseca attività GTPasica della subunità �. � è una potenziale GTPasi, che non manifesta questa sua attività fintanto che non và a legarsi all’Adenilato ciclasi: quando ciò avviene la subunità � cambia forma, il sito catalitico si scopre e lei diventa un’idrolasi, cioè un’anidride fosfatasi che scinde il GTP in GDP + P. Se � diventa GTPasi l’Adenilato ciclasi diventa inattiva e cessa la sintesi di cAMP. La grossa domanda è questa: per quale motivo la subunità � si attiva? È dovuto solo all’interazione con l’Adenilato ciclasi o ci sono altri motivi? Una prima ipotesi consiste nel semplice legame fra la subunità � e l’Adenilato ciclasi. la seconda ipotesi è che sia l’aumento progressivo di cAMP faccia da modulatore negativo nei riguardi della subunità � e la trasformi in GTPasi. una terza ipotesi suppone che esistano nel citoplasma dei fattori – proteine di peso molecolare piccolo – in grado di interagire con la subunità � (una volta legata all’Adenilato ciclasi) trasformandola nella GTPasi; questa ipotesi è nata poiché nel citoplasma esistono delle piccole proteine monomere (25 kDalton) che sono dette proteine G solubili (citoplasmatiche, monomeriche, non trimeriche) in grado di legare reversibilmente GDP e GTP. Un esempio di queste proteine G solubili monomeriche è dato dalla proteina RAS 21 (20 kDalton ca.), la quale ha le caratteristiche di essere capace di legare reversibilmente GDP nella forma inattiva, oppure legata a GTP diventa attiva e serve per la traduzione di segnali all’interno della cellula. Questa proteina P21RAS non manifesta attività GTPasica fintantoché non è legata ad una proteina di supporto che le conferisce questa attività GTPasica; per la proteina in questione è stato isolato il frammento che fa da cofattore per RAS e quando va a legarsi ne induce l’attività GTPasica. Per le subunità � delle proteine trimeriche questa proteina non è stata isolata, ma è possibile che in futuro si arrivi ad un suo isolamento.

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Ricordate fin d’ora che esistono delle proteine G MONOmeriche in cui la subunità stessa può legare GDP o GTP, e quando è legata a GTP vede la sua attività GTPasica attivata da cofattori presenti nel citoplasma. Alcune di queste proteine RAS non sono sensibili al fattore di regolazione conseguentemente in queste cellule abbiamo una attività sregolata della P21RAS, e sembra che questo fenomeno sia correlato con l’insorgenza di tumori nella cellula, cioè nella trasformazione della cellula in un tipo tumorale. È importante, per capire come sia pesante questa regolazione da parte delle proteine G sull’attività adenilato-ciclasica, sapere che sulla membrana, oltre a queste proteine G (dette proteine G-S, ossia stimolanti) che fanno da attivatori per la Adenilato ciclasi, esistono altre proteine G trimeriche con azione inibente l’attività adenilato-ciclasica, e queste ultime paiono esistere in concentrazione 10 volte più alta delle proteine G attivanti. Abbiamo quindi due tipi di proteine G sulla membrana plasmatica: proteine G-S, stimolanti l’attività adenilato-ciclasica e proteine G-I, inibenti tale attività. Qual è la differenza fra queste due proteine, entrambe trimeriche e formate da subunità �, �, �? I due tipi di proteine condividono le subunità � e � mentre si differenziano per la subunità �, che in genere nelle proteine G inibenti è di massa molecolare più piccola rispetto alle G-S. Si è arrivati all’isolamento di queste due proteine G grazie alla loro sensibilità ad alcune tossine batteriche: ad esempio la tossina colerica (responsabile del colera) ha un’alta affinità per la subunità �-S, e quindi per la proteina G stimolante, in quanto questa tossina riconosce elettivamente la forma A legata a GTP, inibendo l’attività GTPasica; di conseguenza la presenza di cAMP nelle cellule colpite dalla tossina colerica sarà alto a causa della continua stimolazione della fosforilasi, ed in più, poiché il cAMP è un regolatore di innumerevoli altri processi, tra cui l’attività dei canali ionici, in particolare dei canali deputati al trasporto del sodio e dell’acqua dall’esterno all’interno e dall’interno all’esterno, alti livelli di cAMP fanno sì che le cellule colpite dalla tossina rilascino sodio e in contemporanea acqua, per cui l’organismo va incontro ad una disidratazione notevole, diarrea continua ed infine morte, perché la disidratazione può essere sopportata per perdite di acqua non superiori al 15%; caratteristica del colera è infatti proprio la diarrea continua e la terapia odierna consiste nell’idratare la persona e contemporaneamente usare antibiotici in grado di bloccare la tossina colerica. Quali caratteristiche ha questa tossina batterica? In genere queste tossine hanno una struttura caratteristica, sono formate da più subunità di cui una è di peso molecolare maggiore, indicata come subunità A, la quale è circondata da subunità di peso molecolare minore, indicate come subunità B (cioè ha l’aspetto quasi di un fiore); in genere vi sono da 5 a 7 subunità B e una subunità A. In questa forma la tossina raggiunge la cellula e, particolare interessante, va a legarsi alla membrana ad un recettore specifico che non è una proteina ma un ganglioside (un glicolipide): legandosi a questo ganglioside la tossina subisce una modificazione di forma per cui le subunità B rimangono all’esterno legate al ganglioside e penetra all’interno soltanto la subunità A. In pratica la tossina si modifica e libera la subunità A che è la subunità ad azione tossica. La subunità A all’interno (almeno per la tossina colerica) si sdoppia (in effetti A è un dimero) e diventa un enzima che attacca il NAD staccando l’anello di nicotinammide e forma adenosindifosforiboso. (in pratica la subunità A rompe il legame glucosidico fra la nicotinammide e il riboso e libera adenosindifosforiboso e nicotinammide) La subunità A non solo idrolizza il NAD ma si carica l’adenosindifosforiboso e lo trasferisce alla subunità � della proteina G attivata: in pratica la tossina colerica fa da idrolasi per il NAD ma da transferasi per il prodotto della reazione e porta questo prodotto (l’adenosindifosforiboso) sulla subunità �-S laddove questa sia legata a GTP. La tossina non riconosce dunque la proteina G trimerica, ma la subunità �-S già dissociata e attiva, perché legata a GTP. In pratica va a legare l’adenosindifosforiboso ad un residuo di arginina della subunità �, la quale in questo modo diventa ADPribosilata in maniera irreversibile. Quando è ADPribosilata la subunità � perde l’attività GTPasica irreversibilmente, di conseguenza continuerà a stimolare l’adenilato ciclasi, rendendo alti i livelli di cAMP.

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Per questo si dice che la proteina G-S è sensibile alla tossina colerica, anche se in effetti la sensibilità è legata unicamente alla subunità �, laddove sia libera e legata a GTP. La proteina trimerica G-I, quella cioè inibente l’adenilato ciclasi, è anch’essa riconosciuta da una tossina, in particolare dalla tossina della pertosse, la quale non riconosce �-S ma G-I; il meccanismo della reazione è uguale (la tossina della pertosse ha una struttura molto simile alla tossina colerica), ancora una colta si lega alla membrana attraverso un ganglioside, la subunità A si libera all’intero della cellula, attacca il NAD e lo scinde in adenosindifosforiboso e nicotinammide, la subunità catalitica A lega l’adenosindifosforiboso e lo porta alla proteina G-I. la grossa differenza è che la tossina della pertosse riconosce soltanto la forma trimerica della proteina G-I, cioè quando è legata a GDP, e impedisce alla proteina trimerica di dissociarsi: in pratica inibisce lo scambio GDP-GTP e la successiva dissociazione della proteina trimerica in � + ��. La tossina riconosce la G-I quando è in forma trimerica, cioè inattiva, e in questo modo le impedisce di ricevere il segnale ormonale – anche se arriva lo stimolo ormonale, la subunità �-ADPribosilata della proteina G-I non lo riconosce e continua a rimanere nella forma �-GDP, quindi non scambia GDP con GTP ed in questo modo la proteina G-I non si attiva. Il risultato ultimo è lo stesso di quello della tossina colerica (alti livelli di cAMP dovuti a continua stimolazione dell’adenilato ciclasi) anche se il punto di partenza è notevolmente diverso. Come spieghiamo l’effetto inibente della proteina G-I sulla proteina G-S? fra le diverse ipotesi formulate, una suppone che le subunità �-I liberate vadano a competere con le subunità �-S impedendo a queste ultime di portarsi sull’adenilato ciclasi (ipotesi più probabile), mentre un’altra ipotizza che la proteina G-I impedisca la dissociazione della proteina G-S: quando la proteina G-I si dissocia in � + �� le subunità �� si porterebbero sulla proteina G-S impedendone la dissociazione. Un primo punto di regolazione nella traduzione del segnale via cAMP risiede quindi a livello delle proteine G ed è dato da un lato dalla attivazione della subunità �-S che diventa una GTPasi e dall’altro dall’effetto inibente della proteina G-I; un secondo punto consiste nei livelli di cAMP, perché nella cellula il cAMP come si forma va incontro a degradazione e in effetti nel citoplasma è presente una fosfodi-esterasi indicata come PDE la quale riconosce il cAMP e lo idrolizza ad adenosin-5P che non ha più nessun azione attivante la PKA. Nella cellula esiste questo enzima PDE (di cui ne esistono molte isoforme) il quale è estremamente attivo nei confronti del cAMP, lo attacca e lo trasforma in adenosin-5P, ed in questo modo il secondo messaggero viene distrutto. Interessante: alcune di queste isoforme del PDE sono sensibili all’insulina, e vengono da essa attivate (ovviamente in modo indiretto): conseguentemente se c’è un’attivazione delle PDE i livelli di cAMP scenderanno considerevolmente e quindi più rapidamente l’effetto del glucagone verrà rallentato � da cui l’antagonismo fra insulina, adrenalina e glucagone. Una caratteristica di queste PDE è che sono inibite da composti che hanno una certa somiglianza con i nucleotidi e quindi con il cAMP, su cui l’enzima è attivo, e sono composti presenti in natura che costituiscono i principi attivi di alcune bevande che noi assumiamo correntemente come il caffè, il thè e la cioccolata. Questi composti sono dei simil-nucleotidi, in pratica delle basi azotate mutilate, che prendono il nome di caffeina, teofilina (thè) e teobromina (cacao), e vengono utilizzati come farmaci. Essi si portano a livello della PDE e la inibiscono, e di conseguenza nel tessuto rimane alto il livello di cAMP, e pare che questo, a livello cerebrale, concorra a stabilire lo stato di veglia e a bloccare quello di sonno, per cui ci sono persone che se devono caffè o thè alla sera poi non dormono più, e questo è da ricollegarsi all’effetto di queste sostanze sulle PDE e quindi ai livelli di cAMP a livello del tessuto cerebrale; ci sono poi delle persone che bevendo caffè dormono meglio, e questo poi è ancora un altro problema. L’azione eccitante di questi farmaci è dunque dovuto alla loro azione sulle PDE e ai conseguenti alti livelli di cAMP. La Teofilina viene ad esempio usata come cura per l’asma perché agisce come broncodilatatore laddove ci sia un broncospasmo. Un terzo punto di controllo sull’efficienza della traduzione del segnale ormonale è che la PKA attivata possa a sua volta portarsi a livello del recettore di membrana e andarlo a fosforilare, impedendo così che il recettore in questa forma possa tradurre il segnale: ulteriore punto di

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regolazione negativa sui livelli di cAMP viene dal fatto che questa PKA o altre protide cinasi che si attivano come conseguenza dell’aumento dei livelli di cAMP (la PKA è in grado di fosforilare altre proteine trasformandole in cinasi, che poi vanno a fosforilare il recettore) sono in grado di fosforilare il recettore stesso (quindi il recettore compare in forma fosforilata) e nella forma fosforilata il recettore non è più in grado di attivare le proteine G e rimane dunque inefficiente (non si traduce quindi più il secondo segnale). Perché il recettore recuperi la sua funzionalità è necessario l’intervento di fosfatasi che staccano il fosfato, rigenerando il recettore. Per inciso, il cAMP non limita la sua funzione alla PKA e alla fosforilasi B-cinasi, ma ha innumerevoli altre funzioni, addirittura arriva a livello del nucleo, dove va ad attivare delle cinasi le quali inducono la fosforilazione di fattori di trascrizione, per cui in ultima analisi il cAMP può arrivare a modificare (attivare, inattivare) anche la trascrizione genica. L’aumento del livello di cAMP ha dunque innumerevoli conseguenze. Con questo chiudiamo per quanto riguarda la fosforilasi e, siccome la regolazione della fosforilasi è strettamente correlata con la regolazione dell’enzima che sintetizza glicogeno, vediamo subito come si sintetizza quest’ultimo, così abbiamo fresco il sistema di controllo sulla fosforilasi e lo ribaltiamo sull’enzima che sintetizza glicogeno che è la glicogeno-sintasi. Passeremo poi alla gluconeogenesi, in ultimo sintesi del lattosio e con questo chiudiamo con il metabolismo glucidico per quanto riguarda la fase iniziale. Dovremo poi iniziare la fase ossidativa, come cioè viene degradato l’acido piruvico. Glicogeno sintesi, che è in pratica l’opposto della glicogenolisi in quanto ricostruisce la molecola di glicogeno degradata dalla fosforilasi. Ovviamente le vie di demolizione non possono essere considerate l’inverso delle vie di sintesi (e viceversa), perché nonostante il risultato sia risintetizzare il composto degradato, questa risintesi avviene per processi completamente diversi e con corredi enzimatici di solito diversi rispetto al processo che ha preordinato la demolizione. Per cui parliamo di vie di sintesi e di vie di demolizione, ciascuna con i propri enzimi. La sintesi del glicogeno parte da un intermedio attivato del glucosio, cioè un prodotto di attivazione del glucosio, che è l’UDPglucosio, che già sappiamo come si forma e che abbiamo visto come inizio del ciclo dell’acido glucuronico: come abbiamo visto quest’ultimo parte da glucosio1P che viene legato a UTP per formare UDPg, e allora abbiamo detto che una piccola parte dell’UDPg prosegue nel ciclo dell’acido glucuronico, mentre la gran parte di esso viene dirottato, specialmente a livello del fegato e del muscolo, per la sintesi di glicogeno, e questo succede principalmente quando i livelli di glucosio nella cellula sono alti. L’UDPg si forma a partire da glucosio libero, che diventa, per reazione esoso cinasica o glucosio cinasica, glucosio6P, che reversibilmente, in presenza del cofattore glucoso1-6bisfosfato si converte in glucosio 1P, e quest’ultimo, in presenza di UTP si trasforma in uridindifosfoglucosio. Quindi dopo un pasto, specialmente se ricco di glicidi, l’apporto di glucosio al fegato è alto e quindi si attiva la glucosio cinasi che in larga parte dirotta il glucosio verso la sintesi di glicogeno. Allo stesso modo il glucosio sale in circolo, arriva al muscolo, al cervello e ai vari tessuti periferici che estraggono glucosio, lo trasformano in glucosio1P e lo depositano come glicogeno. È importante ricordare che la sintesi di glicogeno è attiva nei tessuti muscolari, soprattutto nel muscolo scheletrico, mentre ha molta meno importanza a livello del tessuto cerebrale: il cervello estrae glucosio ma lo degrada immediatamente, mentre il muscolo lo immagazzina in gran parte sotto forma di glicogeno. Questo UDPg rappresenta la forma attiva del glucosio che può essere utilizzata per sintetizzare glicogeno. La sintesi del glicogeno è citoplasmatica . è importante ricordare che gli enzimi della sintesi, così come gli enzimi della demolizione, sono adesi alla molecola di glicogeno (quindi la fosforilasi, e la glicogeno sintasi, che è l’enzima che forma glicogeno, sono legati alla superficie del monosaccaride).

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Gli enzimi coinvolti nella sintesi del glicogeno sono essenzialmente tre, di cui uno funge da enzima regolatore, e sono:

1. Glicogeno sintasi iniziatore (comunemente indicato come glicogenina); 2. Glicogeno sintasi, che è l’enzima chiave del processo e indichiamo con l’acronimo GS; 3. Enzima ramificante.

Per la demolizione avevamo l’enzima deramificante, per la sintesi l’enzima ramificante, cioè che forma le catene. Iniziamo dicendo che la glicogeno sintasi (GS), o la glicogeno sintasi iniziatore, fungono da transferasi, e in particolare trasferiscono glucosio dall’UDPg ad un composto accettore. Nel caso della glicogenina il composto accettore è la glicogenina stessa: l’enzima trasferisce glucosio a se stesso; nel caso della glicogeno sintasi l’accettore è una catena oligosaccaridica già preformata, e in genere preformata sulla glicogenina. Quindi in pratica la GS non è in grado di trasferire glucosio da UDPg a glucosio libero, ma soltanto su di un oligosaccaride già preformato. In genere, specialmente nei tessuti embrionali, questo oligosaccaride preformato è costituito dalla glicogenina stessa, e adesso vedremo come. Terzo, l’enzima ramificante è deputato a ramificare catene lineari: in pratica taglia catene lineari, trasporta il troncone su di un’altra catena e la ramifica. Quindi l’enzima ramificante rompe legami 1�4 �-glucosidici e forma legami 1�6 �-glucosidici, legami la cui sintesi è impossibile sia per la GS che per la glicogenina. La sintesi inizia dalla glicogenina, se essa viene a mancare la sintesi non si avvia: questo vale soprattutto per la prima molecola di glicogeno che si viene a formare in un tessuto embrionale. Questa glicogenina è una proteina di massa molecolare intorno ai 30 kDalton, la quale porta come amminoacido reattivo della sua sequenza un residuo di tirosina. Tale residuo emerge dalla proteina e la sua parte reattiva è un ossidrile fenolico: quindi l’ossidrile in posizione 4’ della tirosina è fondamentale per la funzione di questa glicogenina. Che cosa fa questa glicogenina? In presenza di UDPg essa trasferisce il glucosio dell’UDPg alla sua tirosina e quindi forma una glicogenina-tirosina-glucosio. Quindi stacca il glucosio dall’UDPg, lo trasferisce a sé stessa, e và a legarlo a questo ossidrile fenolico della tirosina, probabilmente in un legame �-glucosidico. Come risultato di questo primo passaggio otteniamo questo glucosil-�tirosil-glicogenina (o glucosil-�glicogenina). Si forma quindi il primo legame glucosidico fra glucosio e glicogenina. quindi in pratica la glicogenina viene glicosilata da un radicale di glucosio che viene dall’UDPg. Legata la prima unità di glucosio, la glicogenina trasferisce una seconda unità di glucosio e và a legarla al glucosio già precedentemente legato, ma (importante) con legame 1�4 �. Vengono poi portate una terza ed una quarta unità di glucosio, e in genere, con la formazione di questo tetrasaccaride è adesso possibile l’intervento della glicogeno sintasi propriamente detta. Quindi: per effetto della glicogenina vengono trasferite quattro unità di glucosio per cui sulla tirosina (della glicogenina) si forma questo tetrasaccaride iniziale in cui il legame è costantemente 1�4 �. A questo punto la glicogenina così glicosilata (catena di almeno 4 polisaccaridi) viene riconosciuta dalla glicogeno sintasi (che pare sia adesa alla glicogenina), la glicogenina cessa la sua funzione e subentra la funzione della GS, la quale incomincia a trasferire unità di glucosio da UDPg al tetrasaccaride iniziale, allungandolo. Quindi a questo punto la glicogenina-oligosaccaride + UDPg in presenza della GS vede la sua catena progressivamente allungata. La GS continua ad allungare la catena fino a quando essa non raggiunge una lunghezza critica di almeno 11 unità di glucosio (anche di più): a questo punto la glicogeno sintasi perde affinità per la glicogenina, si stacca, e con questo la possibilità di aggiungere glucosio alla catena scende notevolmente. A questo punto la catena viene riconosciuta dall’enzima ramificante, il quale stacca almeno 7 unità di glucosio dalla catena formata, e và a trasferire questo eptasaccaride su di un’altra catena in formazione formando un legame 1�6 � glucosidico. Quindi rompe un legame 1�4 e trasferisce un eptasaccaride su di un’altra catena in formazione sulla glicogenina, che si allungherà a sua volta di sette unità. A questo punto la catena sulla glicogenina è stata accorciata, la glicogeno sintasi torna a lavorare fino a che

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non si arrivi di nuovo al punto critico, dove essa si alternerà nuovamente con l’enzima ramificante: quindi dall’azione combinata della glicogeno sintasi e dell’enzima ramificante passiamo al polisaccaride ramificato. Importante: la lunghezza critica perché intervenga l’enzima ramificante è di almeno 11 unità di glucosio; l’oligosaccaride trasferito è di sette unità di glucosio e quando viene inserito su di una catena, deve essere trasferito ad almeno quattro unità di glucosio dall’inserimento precedente; inoltre l’enzima ramificante è aspecifico per i tipi di legame su cui agisce, perché rompe un legame 1�4 e forma legami 1�6 � glucosidici. Quindi dall’azione combinata della glicogeno sintasi e dell’enzima ramificante il polisaccaride può crescere all’infinito e ramificarsi: senza però l’azione iniziale della glicogenina la sintesi non sarebbe stata possibile. L’importanza della glicogenina e il suo coinvolgimento nella sintesi di glicogeno è un’osservazione tardiva ed è venuta fuori quando, dall’osservazione costante di glicogeno purificato, specialmente nei tessuti embrionali, si notò che al centro del polisaccaride ramificato si trovava sempre una proteina: man mano che la catena cresce, la glicogenina viene chiusa all’interno della catena del polisaccaride, e molto spesso si conserva all’interno della molecola ed è possibile identificarla e separarla. Poiché la sintesi di glicogeno deve essere necessariamente regolata, perché, in caso contrario, il tessuto andrebbe incontro a sovraccarico di glicogeno, ci devono essere dei sistemi che continuamente stabiliscono quando bloccare la sintesi del glicogeno perché il tessuto ha raggiunto il valore massimo compatibile, o, viceversa, attivare la glicogeno sintesi quando nel tessuto il glicogeno è sceso troppo. In effetti questi sistemi ci sono ed agiscono tutti sulla GS, cioè l’enzima chiave del processo di glicogenosintesi. È interessante poiché è una regolazione molto simile a quella della fosforilasi perché la GS, come la fosforilasi, esiste in una forma defosforilata e in una forma fosforilata: la profonda differenza è che la GS è attiva nella forma defosforilata e inattiva nella forma fosforilata, esattamente l’opposto della fosforilasi. Altra cosa importante: molti dei sistemi che portano alla fosforilazione della fosforilasi, e quindi ad attivazione della fosforilasi, agiscono anche sulla GS, questa volta inattivandola. Per cui capite perché non è possibile sintesi e demolizione di glicogeno in contemporanea, perché i fattori che determinano la fosforilazione della fosforilasi determinano anche la fosforilazione della GS, e quindi la inibiscono, bloccando la sintesi; viceversa, fattori che attivano la glicogeno sintasi, perché la defosforilano, agiscono come inibitori per la glicogenolisi perché vanno a defosforilare la fosforilasi, che nella forma B è inattiva. Quindi quando è attiva la demolizione la sintesi è repressa e viceversa. Regolazione della glicogeno sintasi: la glicogeno sintasi, in tutti i tessuti, ma in particolare a livello del fegato e del muscolo (che sono i tessuti in cui è meglio conosciuta la regolazione della glicogeno sintasi), esiste in due forme. A seconda dei testi la GS nella forma attiva o inattiva è indicata con sigle differenti, quindi le elenchiamo: GS-A e GS-B, dove A sta per attiva e B per inattiva, per analogia con la fosforilasi, in cui la forma A è indicata come A, e la forma B come B; nei testi più vecchi (oggi questa nomenclatura è un po’ caduta) la forma A era indicata anche come GS-I e la forma B come GS-D, dove I vuol dire “indipendente da un modulatore” e D vuol dire “dipendente da un modulatore”, dove il modulatore è g6P. Un po’ come per la fosforilasi, il modulatore della forma B era AMP, quindi il ruolo del glucosio6P è molto simile a quello dell’AMP, cioè conferisce una parziale attività all’enzima altrimenti inattivo. Quindi la forma I è sempre attiva, indipendentemente dalla presenza di g6P, la forma D diventa attiva solo quando il g6P è presente in una certa concentrazione. Il problema è che la concentrazione di g6P necessaria per avere questo effetto attivante è al di sopra del livello fisiologico, cioè ben al di sopra della quantità di g6P che normalmente esiste nella cellula: per cui in vivo questa regolazione non ha significato, ha un’importanza in vitro, cioè nei sistemi sperimentali, quando si vuole dosare la GS nella forma attiva e nella forma inattiva. La nomenclatura che noi utilizziamo è GS-A e GS-B, che sono anche le più semplici da ricordare. La prima osservazione che ne emerge è che la glicogeno sintasi, a

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differenza della fosforilasi, è attiva nella forma defosforilata e inattiva nella forma fosforilata, e quindi i sistemi di regolazione agiranno in sistema opposto rispetto alla sintasi o alla fosforilasi. [incomprensibile per via dell’autoreverse, dovrebbe star parlando della GS] tetramerica, quindi abbastanza simile a ciò che succede per la fosforilasi. La differenza, rispetto alla fosforilasi è che nel caso di quest’ultima avevamo un unico sito di fosforilazione, che era la serina 14, mentre nel caso della glicogeno sintasi i siti di fosforilazione sono molti, addirittura per l’enzima del muscolo sembra che ci siano 9 siti suscettibili di fosforilazione per ogni monomero, e sono distribuiti in parte sull’estremo ammino-terminale, in parte sull’estremo carbossil-terminale. In rapporto ad un numero così elevato di siti di fosforilazione, probabilmente si può spiegare il numero elevato di cinasi che sono in grado di agire sulla GS e fosforilarla: quindi, mentre per la fosforilasi avevamo soltanto la fosforilasi B-cinasi che agiva su di essa e la fosforilava, per la GS sono state isolate almeno 5 diverse cinasi, tutte attive sulla GS e capaci di fosforilarla. Queste cinasi possono andare da una PKA, che è la PKA che abbiamo incontrato [incomprensibile] a cAMP, il quale, ovviamente, fosforilando la GS la inattiva, ad altre cinasi cAMP-dipendenti, ma non identificabili con PKA, a cinasi attivate da calcio (calcio-dipendenti – ma saranno mica italiane?), a cinasi dipendenti da calmodulina (calmodulina legata a calcio, quindi calcio-calmodulinacinasi), a cinasi che esistono in forma inattiva nella cellula e, per meccanismi non ancora chiari, al momento in cui deve partire la sintesi di glicogeno si attivano per un processo proteolitico, e per ultimo, e questa è la cinasi più conosciuta, una protide-cinasi regolata da insulina: a quest’ultima cinasi diamo l’acronimo GSK3, cioè glicogeno sintasi cinasi 3. Il 3 sta ad indicare che questa cinasi è elettiva (se questa è la catena della glicogeno sintasi) per tre soli residui di serina, che sono quelli situati sull’estremo carbossil-terminale, che sono la ser 30, 34 e 38: da cui il nome di GSK3, poiché riconosce solo queste 3 serine, situate sull’estremo carbossil-terminale, e con questo dà in attivazione della glicogeno sintasi. In definitiva pare che la fosforilazione di questi tre residui sia responsabile della inattivazione, mentre la fosforilazione in altri siti non ha un risultato così drastico, e potrebbe agire da potenziante o stabilizzante per la fosforilazione in questi tre siti. È importante che questa GSK3 è regolata da insulina, e in particolare l’insulina induce una fosforilazione di questa GSK3, e con questo la inattiva. l’insulina è in grado, attraverso meccanismi che vedremo nella prossima lezione, di indurre la fosforilazione di questa GSK3, quindi va ad attivare una cinasi (che chiameremo PKB o AKT, la vedremo a suo tempo) sotto controllo insulinico, che si porta sulla GSK3, la fosforila, e in questa forma l’enzima non funziona più. Il risultato è che la glicogeno sintasi rimane defosforilata e quindi attiva. Il passaggio dalla forma defosforilata a quella fosforilata, come già avevamo visto per la fosforilasi, richiede la fosforilazione in serina, processo in cui è altamente coinvolta questa GSK3: ovviamente se io blocco la GSK3, come fa l’insulina, mediante fosforilazione, la sintetasi rimarrà nella forma defosforilata attiva e quindi la sintesi di glicogeno sarà estremamente attiva. Altra cinasi in grado di fosforilare la GS è la fosforilasi B-cinasi, la quale, quando funziona, riattiva la fosforilasi ma disattiva la GS: si capisce quindi perché una demolizione attiva del glicogeno non è compatibile con una sintesi attiva. Questa è una delle cinasi di cui abbiamo parlato prima: dipendenti da cAMP, pur non essendo PKA. Le due cinasi più note come inibenti la GS sono la GSK3, di cui si conosce esattamente dove va ad agire, va a toccare i tre residui di serina sull’estremo carbossil-terminale che sono fondamentali per l’inattivazione della GS, e la fosforilasi B-cinasi, cioè quello stesso enzima che era in grado di fosforilare la fosforilasi B e trasformarla in A; ovviamente sulla GS avrà effetto opposto rispetto a quello sulla fosforilasi, perché la porta alla forma fosforilata, che è quella inattiva. Vediamo adesso il processo opposto, cioè dalla forma fosforilata a quella defosforilata, processo che interviene in presenza di una idrolasi, una fosfatasi, che addiziona acqua sul legame estere serina-fosfato, stacca il fosfato e forma la GS defosforilata e attiva. Ne abbiamo una glicogeno sintasi fosfatasi.

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Tra le fosfatasi più attive sulla GS, abbiamo quella fosfatasi che ieri abbiamo ricordato come PP1 (protide fosfatasi 1): quella stessa fosfatasi che agiva sulla fosforilasi A, era regolata da glucosio e che formava fosforilasi B. Qui ovviamente è attiva sulla GS B e la converte in A. Nei riguardi della GS la funzione di questa PP1 è estremamente complessa e questa è la parte più difficile da capire. Questa PP1, nei riguardi della GS, è regolata da un fattore che prende il nome di fattore G, che è una proteina di massa molecolare intorno ai 160 kDalton, la quale serve da ancora per la fosfatasi sul glicogeno: questa proteina G lega la fosfatasi e la ancora al glicogeno, dove sta legata la GS; essa avvicina la PP1 alla GS, per cui la PP1 avrà estrema facilità a riconoscere la glicogeno sintasi e a defosforilarla, mentre se la PP1 fosse libera nel citoplasma la probabilità di incontrare la GS scenderebbe notevolmente. Il problema è che questa interazione G-PP1 è regolata dalla conformazione di G (questo è il punto più difficile da capire), in quanto G esiste in due forme, una forma fosforilata in un sito che è detto 1, e una forma fosforilata in un sito che è detto 2. In pratica questa proteina G ha due siti di fosforilazione, un sito 1 ed un sito 2, dove, come al solito, la fosforilazione riguarda un residuo di serina (e quindi G è una serina-fosfato protide). Se G è fosforilata al sito 1 ha un’alta affinità per PP1, e quindi la lega fortemente e la porta sul glicogeno; se invece è fosforilata al sito 2, non riconosce PP1, la quale non riesce a legarsi a G e conseguentemente non prende contatto con il glicogeno, e quindi la probabilità di incontrare GS è molto bassa. Momento successivo: la fosforilazione al sito 1 è controllata da una protide cinasi regolata da insulina; la fosforilazione al sito 2 è controllata da una protide cinasi regolata da cAMP, e quindi in definitiva è la PKA: poiché è dipendente da PKA, la fosforilazione nel sito 2 sarà innescata da glucagone ed adrenalina, entrambe a livello muscolare, mentre solo dal glucagone a livello epatico. Quindi in definitiva questa protide cinasi è dipendente da glucagone e adrenalina. Quando c’è uno stimolo insulinico G è fosforilata al sito 1, ha un’alta affinità per PP1, la lega e la porta sul glicogeno cosi da poter attaccare elettivamente la GS e la porta nella forma defosforilata, che è la forma attiva. Se invece la proteina G è fosforilata al sito 2 non riconosce la PP1, la quale rimane separata nel citoplasma e riesce difficilmente ad incontrare la GS. La fosforilazione in 1 e in 2 stabilisce anche la forza del legame fra la proteina G e il glicogeno: tale legame è forte quando la proteina è fosforilata in 1, debole quando è fosforilata in 2. Dunque uno dei modi con cui l’insulina regola la GS e la mantiene attiva consiste nell’attivazione di PP1 tramite l’attivazione di una cinasi che fosforila la proteina G nel sito 1. Altra modalità con cui l’insulina controlla la sintesi di glicogeno è che va ad attivare una fosfatasi che agisce sul sito 2 della proteina G e lo defosforila. Laddove la proteina G sia fosforilata in entrambi i siti, si è osservato in vivo che l’insulina attiva una fosfatasi che va sul sito 2 della proteina G e lo defosforila, facendo predominare il sito 1 fosforilato. Per cui l’insulina ha tre modalità con cui attiva la GS: a) reprime l’enzima che fosforila la glicogeno sintasi, cioè la GSK3; b) attiva la cinasi che fosforila il sito 1 della proteina G; c) attiva la fosfatasi che defosforila il sito 2. Ultima osservazione: la sintesi di glicogeno è fortemente repressa in situazioni di insulinoresistenza, e in particolare nella situazione diabetica. Per il diabete di tipo 1 è abbastanza comprensibile, perché non c’è quasi insulina circolante; vale anche per il diabete di tipo 2 in cui l’insulina c’è ed in concentrazione altissima, ma non riesce a funzionare, perché il suo segnale non riesce a tradursi. È importante ricordare che nella regolazione del glicogeno la situazione di deficit di insulina, o per assenza di insulina (diabete di tipo 1) o perché la stessa non riesce a funzionare (diabete di tipo 2), porta ad una sintesi di glicogeno fortemente repressa: soggetti che soffrono quindi di questa patologia hanno una riserva di glicogeno ridotta e quindi avranno una disponibilità all’esercizio fisico estremamente compromessa a livello del tessuto muscolare, perché manca la sorgente prima di energia, il glicogeno. Il diabete quindi più che una accentuata glicogenolisi è un blocco della

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sintesi di glicogeno, che porta ad una riduzione dei livelli di glicogeno, in particolare a livello muscolare. Apriamo un breve capitoletto che termineremo poi lunedì. Sintesi di lattosio a livello della ghiandola mammaria: questo processo ha sede esclusivamente nella ghiandola mammaria, ed ha luogo esclusivamente quando la suddetta ghiandola è attiva, cioè secernente, il che vuol dire dopo il parto. Errore comune è collocare la sintesi di lattosio nel fegato o nell’intestino. Ricordiamo che il lattosio è formato da glucosio e galattosio, e questo galattosio deriva da glucosio portato alla ghiandola dalla circolazione sanguigna. Il galattosio utilizzato per la sintesi di lattosio deriva quindi da glucosio ematico, che proviene in larga parte dal fegato, perché la ghiandola mammaria non è in grado di formare glucosio ex novo. Il glucosio entra nella ghiandola mammaria per trasporto passivo mediato (ci sarà quindi un Glut a livello della ghiandola che permette il passaggio del glucosio) e dentro di essa segue una trafila di reazioni che già conosciamo. La sintesi del lattosio inizia nel citoplasma e si porterà avanti nel citoplasma fino alla formazione di UDPgal (quindi tutte le reazioni fino alla formazione di UDPgal sono citoplasmatiche), mentre la sintesi del disaccaride si conclude nell’apparato di Golgi. È quindi una sintesi compartimentata che richiede due compartimenti: il citoplasma e l’apparato di Golgi. Il glucosio che viene dal circolo, al solito, viene convertito a glucosio6P da esoso cinasi (importante: non glucosio cinasi, poiché è un enzima epatico e delle beta cellule di Langherans, e comunque la sua Km, costante di micaelis, sarebbe troppo alta per la concentrazione di glucosio nel sangue =5mM che è quattro volte inferiore, e quindi la reazione non potrebbe avere luogo) HK. Il g6P si trasforma reversibilmente in g1P con intervento del fattore glucosio 1-6 bisfosfato, e in una reazione nucleotidil-transferasica l’UTP dona UMP al g1P formando UDPg. In seguito l’UDPg diventa UDPgal: questa reazione l’abbiamo già fatta, interviene una 4-epimerasi (agisce sul carbonio 4) di tipo ossidoriduttivo, che utilizza cioè NAD come cofattore per ossidare il gruppo alcolico secondario in 4 del glucosio e in seguito a questo intervento tale gruppo alcolico diventa un gruppo chetonico; formiamo un 4-chetoderivato, e con questo annulliamo il centro di asimmetria in 4. A questo punto l’epimerasi ritorna sul carbonio carbonilico in 4, utilizza NAD ridotto, e riduce il carbonio in 4 a gruppo alcolico secondario, dando però la configurazione del galattosio invece che del glucosio. A questo punto l’UDPgal, unitamente al glucosio, si traslocano dentro l’apparato di golgi, dove finalmente avviene la sintesi del lattosio. Ultima reazione: interviene la lattoso sintetasi, la quale in effetti è una galattosil-transferasi che trasferisce galattosio a glucosio formando lattosio più UDP. Questo enzima, la lattosio sintetasi, esiste sempre nella ghiandola mammaria, ed è sempre attivo, ma quando la ghiandola mammaria non è secernente (prima del parto - sempre) la galattosil-transferasi non riconosce il glucosio (perché in queste condizioni la sua Km è elevatissima), non è in grado di trasferire il galattosio al glucosio, ma lo trasferisce ad altri monosaccaridi, in particolare a glucosammmina, N-acetilglucosammina, N-acetigalattosammina ed ha parte nella sintesi delle catene oligosaccaridiche legate a proteine; quando la ghiandola mammaria diventa secernente, l’enzima diviene specifico per il glucosio, perché la Km per il glucosio diventa estremamente piccola, riconosce il glucosio libero ma non più gli oligosaccaridi delle proteine e a questo punto forma lattosio. Questa specificità che la galattosil-transferasi (A) acquisisce per il glucosio dipende dal fatto che si lega ad una proteina specifica che prende il nome di lattoalbumina (B), e in queste condizioni la proteina da monomerica diventa un dimero A+B e specifica per il glucosio. La lattoalbumina si lega alla unità catalitica A, e a questo punto si forma la vera lattoso sintetasi, che è un dimero AB, dove A è l’unità catalitica, B l’unità di regolazione. Da ricordare che questa lattoalbumina è un calcioprotide, porta cioè legato calcio. Abbiamo visto le reazioni nel citoplasma che si concludevano con la formazione dell’UDPGalattosio che si trasloca nell’apparato di Golgi dove è localizzata la galattosiltransferasi.

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Questo enzima è responsabile del trasferimento del galattosio dall’UDPGalattoso al glucosio e formare lattoso. Quando la ghiandola mammaria è a riposo, la galattosiltransferasi non riconosce il glucoso come accettare in quanto ha per il glucoso un’affinità superiore al valore fisiologico (Km=10 – 30 mM, mentre normalmente la concentrazione di glucoso è 5 mM). Riconosce invece altri monosaccaridi in genere già impegnati in una catena protidica e trasferisce il galattoso a questa catena oligosaccarididca concorrendo così a formare la catena oligosaccarididca di glicoprotidi. Al momento del parto, la galattosiltransferasi diventa specifica per il glucoso, non riconosce più altri monosaccaridi, trasferisce il galattoso al glucoso e forma il legame 1,4-β-glicosidico che porterà alla liberazione di lattoso.

UDPGal + Glucoso � Lattoso + UDP Al momento del parto l’enzima acquisisce affinità per il glucoso (la sua Km per il glucoso diminuisce considerevolmente) e trasferisce il galattoso al glucoso. Non è il glucoso ad essere legato al galattoso, ma è il galattoso che è legato al glucoso: il gruppo glucosidico del galattoso si impegna con il C4 del glucoso. Per cui il lattoso è in un galattosio-4-β-glucoso. Il motivo per cui la galattosiltransferasi diventa una lattososintasi è che al momento del parto inizia nella ghiandola mammaria la produzione e la sintesi di una proteina particolare, detta lattoalbumina e indicata come protide B. È un protide di peso molecolare relativamente basso ed è un protide che lega calcio. L’interazione del protide B (lattoalbumina) con in protide A (galattosiltransferasi) dà origine alla lattososintetasi AB funzionante. Quindi B è il modulatore di A in quanto le conferisce la specificità per il glucoso. A è un metallo-protide e il metallo attivatore è il manganese (Mn). Inoltre A è fortemente inibita dal substrato della reazione, UDPGalattoso, e ancor di più dall’UDP. Quindi se nell’apparato di Golgi l’UDP non viene rapidamente allontanato, la sintesi del lattoso si ferma, perché l’UDP compete con l’UDPGal per legarsi all’enzima. L’UDP non può uscire dall’apparato del Golgi perché la membrana del Golgi non ne permette il passaggio e quindi all’interno UDP viene trasformato per effetto di una fosfatasi in UMP + Pi. L’UMP a questo punto può uscire dall’apparato di Golgi ed andare nel citoplasma dove ricostruisce l’ATP che abbiamo speso per formare l’UDPGlucoso in una serie di reazioni successive:

oUDPGluFGUTPATPUDPATPUMPPUMPADPADP

CitoplasmaiGoi cos1____lg →+→+→+ →+ ↓↓

è assolutamente indispensabile che l’UMP lasci l’apparato di Golgi e torni al citoplasma. Se nella ghiandola mammaria manca la fosfatasi che attacca l’UDP, la sintesi di lattoso si ferma perché inibita dalla lattososintetasi e perché viene a crearsi l’impossibilità di ricostruire l’UDPGlucoso. La lattoalbumina è un calcio-protide la cui sintesi è stimolata da un ormone che prende il nome di prolattina o lattotropina, ormone prodotto dal lobo anteriore dell’ipofisi. Al momento del parto, i livelli di prolattina in circolo si elevano considerevolmente, la prolattina si porta a livello della ghiandola mammaria e qua va a stimolare la sintesi della lattoalbumina. Quindi la prolattina non ha un effetto diretto sulla lattososintetasi, ma è importante perché determina la sintesi del regolatore della lattososintetasi, cioè della proteina B. quando la ghiandola mammaria è a riposo, non si forma la lattoalbumina perché i livelli di prolattina sono bassi perché sono contrastati in circolo dalla presenza di progesterone che preclude la liberazione della prolattina (regolazione negativa). Al momento del parto i livelli di progesterone scendono rapidamente e immediatamente la prolattina viene rilasciata dal lobo anteriore dell’ipofisi da dove raggiunge la ghiandola mammaria.

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La gluconeogenesi La gluconeogenesi è un processo metabolico che porta a sintesi di glucoso a partire da composti di natura non glicidica. Questi precursori di natura non glicidica sono amminoacidi e lattato. Gli amminoacidi si formano dal catabolismo delle proteine e quindi in definitiva un catabolismo proteico intenso si associa sempre alla gluconeogenesi. Il lattato o acido lattico viene formato dai tessuti che non hanno gluconeogenesi e poi trasportato in seguito ai tessuti interessati da questo processo. La gluconeogenesi, a differenza della glicolisi, è un processo tipico di alcuni tessuti, ed in particolare del fegato e del rene. Quindi tutti gli alti tessuti non sono in grado di formare glucoso ex-novo. Poiché la gluconeogenesi parte da amminoacidi e da acido lattico, vuol dire che questi precursori sono stati formati in periferia e poi con il circolo portati al fegato. In più ci può essere anche sintesi di acido lattico a livello epatico in concomitanza con un fegato che produce glucoso da gluconeogenesi attiva perché nel fegato esistono due comparti separati capaci rispettivamente di attività glicolitica e di gluconeogenesi. Quindi l’acido lattico che si è formato nella zona che non ha gluconeogenesi può essere traslocato alla zona che ha gluconeogenesi. In larga misura, comunque, l’acido lattico proviene dall’esterno e il maggio produttore è il tessuto muscolare. Un catabolismo intenso a livello del muscolo libera amminoacidi che in parte vengono utilizzati dal muscolo stesso ed in parte vengono rimessi in circolo, raggiungono il fegato e quindi vengono usati per la gluconeogenesi. Allo stesso modo in fegato stesso può avere un’intensa proteolisi e quindi può avere a sua disposizione amminoacidi che usa direttamente per la sintesi. Quali sono le condizioni per cui si innesca la gluconeogenesi? Mentre la glicolisi influisce continuamente in tutte le cellule, la gluconeogenesi si innesca in particolari momenti ed in generale laddove vi siano situazioni di ipoglicemia. Questo si può verificare:

- Situazioni di digiuno - Esercizio muscolare prolungato - Stato febbrile prolungato - Diete sregolate ricche di lipidi e protidi e povere di glucidi - Situazioni patologiche in cui il glucoso è disponibile ma la cellula non lo sa utilizzare perché

manca insulina (Diabete I e II) A tutte queste condizioni si associa quasi costantemente un’intensa demolizione di acidi grassi. Riassumendo, quindi, le principali differenze tra la glicolisi sono:

- il processo non fluisce sempre, ma solo in alcuni momenti - il processo è largamente compartimentato all’interno di determinati tessuti (fegato e reni) e,

al loro interno, il processo è ulteriormente compartimentato in quanto inizia nei mitocondri, procede nel citoplasma e si conclude nel reticolo endoplasmatico. La glicolisi è invece un processo strettamente citoplasmatico\.

- La glicolisi forma ATP. La gluconeogenesi consuma ATP e quindi per avere questo processo ci deve essere alta disponibilità di ATP.

Alti livelli di ATP + alti livelli di NADH + H+ � gluconeogenesi Alti livelli di ADP + alti livelli di NAD+ � glicolisi Quindi in un rapporto NAD+/NADH + H+ inferiore ad 1 è favorita la gluconeogenesi, mentre superiore ad 1 è favorita la glicolisi. La gluconeogenesi per molti aspetti è l'inverso della via glicolitica: le tappe della glicolisi che erano reversibili verranno sfruttate dalla gluconeogenesi in senso opposto. La gluconeogenesi e la glicolisi si discostano per le tre tappe irreversibili della glicolisi:

1. PGoGluGKHK

ADPATP 6cos/

__ → ↑↓ reazione catalizzata da esosocinasi/glucocinasi

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2. PFPFPFK

ADPATP −− → ↑↓ 6,161

__ reazione catalizzata da fosfofruttocinasi1

3. PiruvatoPEP ATPADP → ↑↓__ reazione catalizzata da Piruvato cinasi

La gluconeogenesi compirà le reazioni inverse con modalità differenti: 1. Il G6P tornerà a glucoso non per reazione cinasica ma per reazione fosfatasica

oGluPG iPOH cos6 __2 → ↑↓

2. la tappa fosfofruttocinasica sarà ancora catalizzata da una idrolasi e si perderà il fosfato in posizione 1 con liberazione di ortofosfato

PFPF iPOH 66,1 __2 →−− ↑↓

3. questa tappa della gluconeogenesi si compie attraverso due passaggi di cui uno mitocondriale ed uno solubile

PEPtoOssalacetaPiruvatoCO

GDPGTP

CO

ADPATP

22

____

↑↓

↑↓ → →

La prima reazione di carbossilazione consuma ATP e anche la seconda consuma GTP. Mentre nella glicolisi il passaggio PEP � Piruvato rende una molecola di ATP, nella gluconeogenesi il passaggio inverso costa 2 molecole di ATP.

Il processo è fortemente regolato da ormoni e metaboliti: la gluconeogenesi è fortemente esaltata da ormoni iperglicemizzanti (glucagone, adrenalina e glicocorticoidi) ed è inattivata dall’insulina. All’interno del processo invece vi sarà poi la regolazione da metaboliti e quindi da composti a basso peso molecolare. Il processo, come già detto, vede come precursori della gluconeogenesi amminoacidi, ed in particolare amminoacidi gluconeogenetici, cioè amminoacidi che nel loro catabolismo formano piruvato, ossalacetato o α-chetoglutarato. Altro metabolita che concorre attivamente alla gluconeogenesi è l’acido lattico, in quanto suscettibile di conversione in piruvato. Questa conversione nel fegato è possibile perché il fegato ha le isoforme della latticodeidrogenasi e quindi l’equilibrio lattato-piruvato è possibile. Il primo composto che viene utilizzato nella gluconeogenesi è il piruvato che può formarsi dentro il mitocondrio da amminoacidi o fuori, nel citoplasma, sia da amminoacidi che da acido lattico. Il problema che si pone a questo punto è quindi come spostare il piruvato dentro il mitocondrio, tenendo conto che in genere la membrana interna del mitocondrio è impermeabile a composti carichi come il piruvato. È probabile che sulla membrana interna vi sia un traslocatore che in grado di legare piruvato e di trasportarlo all’interno. In questo modo il piruvato passa come composto carico negativamente e per mantenere la costanza di carica all’interno del mitocondrio è necessario che insieme al piruvato entri anche un composto carico positivamente (probabilmente un protone) oppure esca un composto carico negativamente (fosfato-ioni). Dentro il mitocondrio il piruvato viene coinvolto nella prima reazione della gluconeogenesi che è catalizzata dall’enzima piruvatocarbossilasi (PC). La reazione è ligasica e prevede l’incorporazione sulla molecola del piruvato di un bicarbonato-ione con il passaggio da un composto a 3 carboni ad un composto a 4 carboni. L’enzima addiziona il bicarbonato-ione sul gruppo metilico del piruvato che si trasforma in ossalacetato. Per far passare la CO2 in legame organico spendiamo ATP che si scinde in ADP + Pi. In realtà la PC porta come gruppo prostetico la biotina che va a legarsi ad una Lys della proteina dell’enzima formando un legame isopeptidico. La reazione inizia sul gruppo prostetico dell’enzima ed il substrato (il piruvato) interviene solo in un secondo momento. Il primo

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composto che riceve il bicarbonato-ione non è quindi il piruvato ma l’enzima col suo gruppo prostetico. La biotina porta un lungo braccio di acido valerianico che viene ad interagire con la proteina mediante il gruppo carbossilico. La Lys, in una reazione ligasica con consumo di ATP, viene legata alla biotina formando il legame isopeptidico, chiamato così perché non impegna l’amminogruppo in α ma l’amminogruppo in posizione ω della catena. L’unione di biotina e Lisina dà origine ad un composto che va sotto il nome di biocitina. In un primo momento l’enzima reagisce col bicarbonato-ione CO2 e con ATP, scindendolo in ADP + Pi. Utilizzando l’energia del legame scisso, lega il bicarbonato-ione sulla biotina in posizione dell’azoto N1’. Ai forma così un primo intermedio chiamato carbossi-biotina-enzima nel quale il legame C–N è labile e contiene in sé l’energia del legame pirofosforico terminare dell’ATP. Le modalità con cui interviene l’ATP non sono chiare: è probabile che in un primo momento l’ATP si leghi alla biotina e vada a fosforilare il C2’. Si formerebbe così l’intermedio biotina-fosfato in cui il fosfato dell’ATP è legato appunto alla posizione 2’. Questo composto offre quindi la possibilità all’aldoso di carbossilarsi, Dopo la formazione del carbossi-biotina-enzima, l’enzima trasferisce il bicarbonato-ione al piruvato e forma ossalacetato. Sono importanti le proprietà della PC che normalmente è un tetrametro formato da quattro monomeri identici ciascuno dei quali porta legata una biotina. Inoltre è un metallo-protide e porta legati Zn e Mg: 4 biotina + 3 Zn++ + 1 Mg++. Zinco e magnesio hanno la funzione di stabilizzare il tetrametro. La PC inoltre per la sua attività richiede AcetilCoA: senza di questo l’enzima non funziona in quanto il tetrametro è destabilizzato ed avrebbe una Km per il piruvato superiore alla concentrazione fisiologica. L’AcetilCoA si forma nel metabolismo degli acidi grassi e da qui si capisce perché gluconeogenesi e catabolismo degli acidi grassi vadano in pari. La trasformazione successiva porta l’ossalacetato a fosfoenolpiruvato (PEP). Questa reazione è catalizzata dalla fosfoenolpiruvato carbossicinasi, che può essere:

- mitocondriale - citoplasmatica - in parte mitocondriale ed in parte citoplasmatica

nell’uomo questo enzima è in parte mitocondriale ed in parte citoplasmatico. Il problema è che l’acido ossalacetico non può lasciare il mitocondrio in quanto la membrana interna è impermeabile. Per portarlo fuori vi sono due sistemi di trasporto:

1. conversione dell’ossalacetato in acido malico, il quale può lasciare il mitocondrio in quanto sulla membrana interna c’è un traslocatore per gli acidi bicarbossilici

2. conversione dell’ossalacetato in acido aspartico, il quale può lasciare il mitocondrio in quanto sulla membrana interna trova un traslocatore specifico.

Una volta nel citoplasma, l’acido malico e l’acido aspartico vengono riconvertiti nuovamente in ossalacetato. 1. La reazione ossalacetato � acido malico prevede l’intermento di una malicodeidrogenasi

(MDH) mitocondriale che, in presenza di NADH + H+, riduce l’ossalacetato in acido malico. Una volta fuori dal mitocondrio, l’acido malico si ritrasforma in acido ossalacetico ad opera di una MDH solubile che opera la reazione inversa. Questa via è conveniente perché genera nel citoplasma NADH + H+, essenziale per la gluconeogenesi.

2. La reazione ossalacetato � acido aspartico è una reazione di transaminazione in cui

l’amminogruppo è portato da un composto donatore ad un composto accettare. L’acido ossalacetico fa da accettore per un amminogruppo che gli viene trasferito dal glutammato, che a questo punto si trasforma in acido α-chetoglutarico. L’acido ossalacetico, dopo aver accettato l’amminogruppo, si trasforma in aspartato. Il glutammato viene da α-chetoglutarato +

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ammoniaca ad opera della glutammatoDH. L’-chetoglutarato, a sua volta, viene dal ciclo di Krebs. L’acido aspartico lascia il mitocondrio assieme all’α-chetoglutarato grazie a dei trasportatori specifici. All’esterno esiste un’altra transaminasi che sposta l’amminogruppo dall’aspartato all’α-chetogluglutarato formando ossalacetato + glutammato. L’ossalacetato prosegue nella gluconeogenesi mentre l’acido glutammico torna ai mitocondri pronto a ripetere una nuova reazione di transaminazione in presenza di altro ossalacetato.

A questo punto l’ossalacetato viene convertito in PEP grazie all’intervento di una liasi fosforilante. La reazione è reversibile ma l’equilibrio è spostato prevalentemente verso il PEP. La reazione è liasica perché romper un legame semplice C–C e ne forma uno doppio. Molto probabilmente è presente un intermedio enolico in cui il carbonio metilenico ha ceduto l’idrogeno all’ossigeno carbonilico. L’enzima che regola queste reazioni è il fosfoenolpiruvato carbossicinasi (PEPCK). Poiché nella reazione è coinvolto GTP, vi saranno anche ioni magnesio Mg++. Inoltre l’enzima è un metallo-protide e porta come metallo ferro ferroso Fe++ che non è legato direttamente alla proteina, ma viene coniugato ad essa da una seconda proteina chiamata ferroattivatore. L’enzima è di natura tiolica e quindi in gruppi –SH sono indispensabili per la sua attività. Formato il PEP possiamo riprendere le tappe della via glicolitica utilizzando il verso opposto:

PGAPGAPGAPEPcinasiPGA

ADPATP

enolasi

OH − →←→← →← ↑↓ 3,132_3

__2

Fino a questo punto abbiamo consumato 6 molecole di ATP (utilizziamo infatti 2 molecole di piruvato). Ora dall’1,3-PGA formiamo gliceraldeide3P: l’acido 1,3-PGA perde il fosfato in 1 che viene liberato come fosfato inorganico, e viene ridotto a gliceraldaide3P. si usa come cofattore NADH + H+, in quanto la reazione riduce. L’enzima è una gliceraldeideP deidrogenasi (GAPDH) la quale è un enzima tiolico che lega NADH +H+. in un primo momento l’enzima si lega al substrato e stacca il fosfato (complesso enzima-substrato). Come primo prodotto abbiamo quindi liberazione di fosfato; l’acido che residua (acido 3-fosfoglicerico) va ad agganciarsi con legame tioestereo all’enzima. Si forma così un gliceril-fosfato-enzima. In un secondo momento l’enzima utilizza NADH + H+ e trasforma il legame tioestere in legame tioemiacetalico. Per finire, l’enzima stacca il tioemiacetale e riforma il gruppo tiolico liberando la GAP. A questo punto una molecola di GAP procede come tale nella gluconeogenesi ed una seconda molecola viene convertita ad opera della triosofosfato isomerasi in diossiacetone fosfato (DAP). L’aldolasi lega insieme GAP e DAP per formare una molecola di fruttoso-1,6-difosfato. Arrivati di fronte al F-1,6-P ci troviamo di fronte al secondo scoglio della gluconeogenesi in quanto non possiamo usare una reazione cinesica in senso opposto per trasformare il F-1,6-P in F6P. La gluconeogenesi aggira l’ostacolo utilizzando una reazione fosatasica, si perde l’energia del legame estere sul carbonio 1 e si forma il F6P. l’enzima che catalizza la reazione F-1,6-P � F6P prende il nome di fruttoso-difosfato fosfatasi (FDPasi). La reazione è irreversibile ed è nuovamente sito di regolazione, come la reazione catalizzata dalla piruvato carbossilasi e quella catalizzata dalla fosfoenolpiruvato carbossicinasi PEPCK. La FDPAsi è quindi il terzo enzima regolatore della gluconeogenesi. Questo enzima è presente in concentrazioni notevolmente basse ed è fortemente inibito da quei metaboliti che facevano da attivatori per la PFK1. La FDPAsi è quindi

- Inibita da AMP, ADP, F-2,6-P + Attivata da ATP e Citrato

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Importante ricordare che la sensibilità al F-2,6-P della FDPAsi è più alta di quella che aveva la PFK1. Infatti la FDPAsi è inibita da concentrazioni micromolari (µM) del F-2,6-P, mentre la PFK1 era inibita da concentrazioni millimolari (mM). Il ruolo dell’F-2,6-P è

- rende la curva di idrolisi del F-1,6-P fortemente sigmoide - potenzia la sensibilità della fosfatasi per l’AMP. Quindi, di conseguenza, l’inibizione da

AMP diventa ancora più forte e nell’ordine fisiologico. La FDPAsi, di conseguenza, è inibita da AMP solo in presenza di F-2,6-P in quanto non sentirebbe l’effetto di questo inibitore in condizioni normali.

La FDPAsi, inoltre, è estremamente ricca in Lys ed uno di questi radicali è importante per legare l’AMP. È anche un enzima tiolico e quindi se l’ambiente è riducente l’enzima è favorito, mentre se l’ambiente è in stato di ossidazione i radicali di ossigeno lo bloccano. L’enzima inoltre esiste in due forme conformazionali:

• FDPAsi fosforilata – forma attiva • FDPAsi defosforilata – forma inattiva

Il passaggio dalla forma fosforilata attiva alla forma defosforilata inattiva avviene ad opera di una defosfatasi che stacca il fosfato e forma l’enzima defosforilato. Questa fosfatasi è sotto controllo insulinico che ne potenzia l’attività. Il passaggio opposto dall’enzima attivo all’enzima attivo fosforilato è regolato da una protide cinasi A (PKA) che dipende da cAMP e quindi da glucagone e adrenalina. Sotto stimolo insulinico la gluconeogenesi si blocca. Sotto stimolo da adrenalina o glucagone invece la gluconeogenesi è alta. Per questo l’adrenalina ed il glucagone sono ormoni iperglicemizzanti, mentre l’insulina è un ormone ipoglicemizzante poiché blocca la formazione di glucoso ex-novo. Nell’individuo diabetico l’insulina funziona poco e male e quindi la gluconeogenesi sarà alta anche dopo un pasto e quindi nonostante vi sia già glucoso la sua produzione non si blocca. Si ha quindi una situazione di iperglicemia persistente dovuta ad incapacità di utilizzare il glucoso portato dalla dieta ed alla produzione continua di glucoso attraverso la gluconeogenesi Il F6P che si è formato nel citoplasma rientra nella via glicolitica “inversa” e si trasforma reversibilmente in G6P. In questa reazione interviene una fosfoglucoisomerasi. Con questa reazione la gluconeogenesi nel citoplasma si ferma e si sposta nel reticolo endoplasmatico dove è localizzato l’ultimo enzima della via gluconeogenetica chiamato G6P fosfatasi. Il G6P fosfatasi rappresenta il quarto enzima regolatore in quanto catalizza una tappa irreversibile e sostituisce alla reazione cinesica della glicolisi una reazione fosfatasica. Il problema è che la membrana del reticolo non permette il passaggio spontaneo del G6P che verrà quindi mediato. Infatti questo enzima che defosforila il G6P in glucoso è formato da tre proteine (trimero), indicate come T1, T2 e T3. T1 è posto esternamente alla membrana (volto verso il lato citoplasmatico), T2 è dentro il reticolo mentre T3 è ancorato alla membrana. T1 ha il ruolo di traslocare il G6P dal citoplasma al reticolo e di portarlo a T2. T2 è la vera G6P fosfatasi e riconosce il G6P trasformandolo in glucoso + Pi in presenza di acqua. Il glucoso così formato torna al citoplasma dove è rimesso in circolo. Il problema è che il gruppo ortofosfato non fuoriesce liberamente. Si lega allora a T3 che lo trasloca all’esterno. Il prodotto della reazione (Pi) è inibitore della G6P fosfatasi perché va a legarsi su una His dell’enzima ed in questo modo blocca la reazione. Quindi sia il fosfato che il G6P competono per il sito catalitico in cui si trova l’His. Di conseguenza se il fosfato non riesce ad uscire dal reticolo si accumula, si porta all’His del sito catalitico ed impedisce al substrato di accedervi. L’azoto distale dell’anello imidaziolico dell’istidina, indicato come azoto τ, è legato a fosfato e si forma il fosfato-istidina-enzima che se non c’è fosfato in eccesso è un intermedio della reazione poiché poi il fosfato

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si stacca, mentre se c’è fosfato in eccesso va a legarsi a questo sito impedendo l’entrata di G6P. la G6P fosfatasi può provocare delle patologie dovute ad un suo deficit. Molte di questi deficit però sono dovuti non tanto alla mancanza della fosfatasi vera e propria ma alla mancanza di T1 o T3. In proporzione i deficit dell’idrolasi rappresentano l’80% dei deficit totali mentre i deficit di T1 o di T3 solo il 20%. Se la G6P fosfatasi è assente, il fegato non libera glucoso e quindi si ha:

- ipoglicemia notevole, soprattutto a digiuno - fegato infarcito di glucoso. Infatti il G6P in eccesso fa alla glicogenosintesi che porta ad una

continua deposizione di glicogeno nel fegato. Questo porta ad una glicogenosi di tipo 1. Questa glicogenosi è caratterizzata dalla presenza di un fegato ricchissimo di glicogeno e da crisi violente di ipoglicemia

Di glicogenosi ve ne sono di tantissimi tipi (scoperte 8 fino ad oggi) che si riconducono a deficit di enzimi direttamente o indirettamente coinvolti col divenire del glucoso. Le glicogenosi possono colpire sia il fegato che il muscolo. Possono essere causata da

- deficit di fosforilasi che può colpire sia il fegato che il muscolo - deficit dell’enzima deramificante; avremo quindi un glicogeno con ramificazioni brevissime,

ma di numero pari a quelle previste - eccesso di glicogenosintasi per cui il fegato continua a sintetizzare glicogeno - deficit di enzimi che degradano il glicogeno non per via fosforolitica ma attraverso via

idrolitica. Esistono ad esempio amilasi che risolvono il glicogeno in disaccaridi che vengono poi ulteriormente risolti in monosaccaridi. Questo deficit, poiché le idrolisi sono localizzate al livello dei lisosomi, provoca malattie lisosomiali

- deficit della fosfocinasi 1 attiva; si accumula G6P e necessariamente l’equilibrio si sposta verso la sintesi di glicogeno

Regolazione della gluconeogenesi tramite glicocorticoidi. I glicocorticoidi costituiscono il terzo fattore di regolazione della gluconeogenesi. Questi sono ormoni della corticale della surrene e, in particolare, quegli ormoni deputati a controllare la glicemia. I glicocorticoidi hanno un recettore a livello nucleare e vanno a stimolare la trascrizione dei geni che preordinano i quattro enzimi regolatori della gluconeogenesi:

- piruvato-carbossilasi (PC) - fosfoenolpiruvato carbossicinasi (PEPCK) - fruttoso bifosfatasi (FDPAsi) - G6P fosfatasi

Sotto stimolo di questi ormoni, i livelli di questi quattro enzimi salgono nel tessuto e quindi si attiva tutto il processo. L’effetto di questi ormoni è lento: somministrando glicocorticoidi come cortisone la gluconeogenesi sale uno o due giorni dopo la somministrazione. L’insulina va a reprimere la trascrizione dei geni che preordinano i quattro enzimi regolatori della gluconeogenesi, traducendo un segnale che si porta a livello del nucleo e va a regolare negativamente la suddetta trascrizione. In particolare l’insulina regola fortemente la PEPCK. L’insulina agisce quindi come inibitore della gluconeogenesi con due modalità:

- colpisce i processi di fosforilazione - colpisce a livello della trascrizione dei geni

Complessivamente la formazione di una molecola di glucoso a partire da amminoacidi è costata 6 molecole di ATP: 2 spese per formare 2 molecole di ossalacetato, 2 per formare 2 molecole di fosfoenonpiruvato (PEP) e 2 per trasformare il 3-GAP in 1,3-GAP. Poiché la glicolisi per ogni molecola di glucoso degradata rende 2 ATP, vuol dire che la gluconeogenesi si avvale anche di ATP prodotto da altri processi metabolici, ed in particolare dalla degradazione di acidi grassi. Inoltre il GTP che entra nella reazione per trasformare ossalacetato in fosfoenolpiruvato (PEP) e che viene liberato come GDP, viene ricostruito a GTP in una reazione

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cinesica in cui ATP dona fosfato. Agisce una GDP cinasi che in presenza di ATP dona il fosfato al GDP e istruisce il GTP. Lezione del 10 dicembre 2002 Sintesi di derivati dei monosaccaridi che entrano come componenti dei proteoglicani e proteine oligosaccaridiche. Tali composti dei monosaccaridi vanno a costituire il gruppo prostetico di proteine che sono legate ad una componente glicidica. Tale componente glicidica può essere costituita da: ��Una catena polisaccaridica e in questo caso parliamo di PROTEOGLICANI. ��Una catena oligosaccaridica di composizione estremamente varia per quanto riguarda le unità

saccaridiche e in questo caso parliamo di PROTEINA OLIGOSACCARIDE. Ci occupiamo della sintesi di queste catene polisaccaridiche e oligosaccaridiche che troviamo legate alle proteine a costituire i GLICOPROTIDI distinti in proteoglicani se la catena glicidica è un polisaccaride definito e in oligosaccaridi quando non c’è un periodo fondamentale di identità nella catena, ma le unità saccaridiche si susseguono in un ordine apparentemente casule: è certo che un ordine c’è, ma per ora non riusciamo a comprendere quale è il filo conduttore che ha portato alla formazione dell’oligosaccaride. Quando si parla di catene polisaccaridiche si parla anche di GLICOSAMILAMINOGLICANI perchè sono caratterizzati da monosaccaridi che portano un aminogruppo, perciò sono aminomonosaccaridi. In alcuni testi queste catene che portano aminomonosaccaridi sono indicate anche come MUCOPOLISACCARIDI, perciò le catene sono dette mucopolisaccaridiche, dove il prefisso “muco” sta ad indicare che nella catena del polisaccaride è presente un aminomonosaccaride. Dunque glicosaminoglicani e mucopolisaccaridi sono sinonimi. Questi costituiscono il gruppo prostetico dei protidi che prendono il nome di proteoglicani, dove questo “glicani” può essere costituito da glicosamminoglicani oppure da mucopolisaccaridi. Parlando ora delle proteine oligosaccaride, l’oligosaccaride è estremamente vario nella sua composizione, anche se talvolta una certa somiglianza tra le diverse catene oligosaccaridiche si può riscontrare. Vediamo ora la sintesi di questi aminomonosaccaridi, che sono essenzialmente: GLUCOSAMINA, N-ACETILGLUCOSAMINA, GALATTOSAMINA, N-ACETILGALATTOSAMINA, ACIDO SIALICO anche detto ACIDO N-ACETIL NEUROAMINICO (che spesso assume proprio la funzione di marcatore, di indicatore per la catena oligosaccaridica). Questi entrano a fare parte di glicoprotidi e glicolipidi. Sintesi della glucosamina La glucosamina frequentemente non compare come glucosamina nelle glicoproteine di cui ci occupiamo, ma è generalmente acetilata e l’acetilazione riguarda l’aminogruppo, da cui il nome N-acetilglucosamina. In altri casi la glucosamina si trova solforilata e parliamo allora di solforil-glucosamina. Perciò l’aminogruppo può portare legato come sostituente un acetile oppure un gruppo solfato. Da dove arriva questo aminogruppo che viene a formare la glucosamina indicata generalmente con l’acronimo GLC?

• La GLC si forma a partire da un precursore fosforilato, precisamente da glucoso 6 fosfato.

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1. Il glucoso 6 fosfato viene convertito in fruttoso 6 fosfato. 2. Il fruttoso 6 fosfato con una reazione insolita va a reagire con una molecola di

glutammina, che è la monoamide dell’acido glutammico. Tale reazione non è di facile classificazione, generalmente è considerata un aminotransferasi: l’aminogruppo della glutammina, cioè l’aminogruppo legato con legame ammidico con il gruppo carbossilico della glutammina, viene a reagire con il gruppo carbonilico del fruttoso 6 fosfato; molto probabilmente si forma un intermedio in cui la glutamina è ancora legata al fruttoso 6 fosfato, intermedio che poi si risolve come prodotto terminale in glucosamina 6 fosfato più acido glutammico. La reazione negli intermedi non è chiara, è probabile che si formi un primo intermedio, in cui l’aminogruppo della glutamina, quello che fa parte del legame ammidico, elimini una molecola di acqua con il gruppo carbonilico del fruttoso 6 fosfato e si formi questo primo intermedio, apparentemente una chetoimmina. In un momento successivo si stacca acido glutammico in presenza di acqua e si forma probabilmente un intermedio imminico instabile che rapidamente evolve per un processo di isomerizzazione spontanea in glucosamina 6 fosfato.

La glucosamina 6 fosfato nel processo che porta alla sintesi dell’acetil glucosamina, il composto più rappresentato nelle glicoproteine, viene acetilata a formare N-acetilglucosamina 6 fosfato, in cui l’acetile viene donato da acetilcoenzimaA, di cui la cellula ha ampia disponibilità. Dunque questa è una reazione acetil transferasica e avviene mediante una acetil transferasi che trasferisce l’acetile all’amminogruppo della glucosamina 6 fosfato producendo N-acetilglucosamina 6 fosfato (GlcNAC fosfato). La reazione è praticamente irreversibile. Questo derivato fosforilato in 6 viene convertito nell’isomero corrispondente fosforilato in 1, quindi dall’N acetil glucosammina 6 fosfato si passa a N acetil glucosammina 1 fosfato. Con questo processo non si può scrivere la N acetilglucosammina 1 fosfato in forma aperta perché ora ho bisogno di un gruppo glucosidico per legare il fosfato. La reazione è catalizzata da una mutasi, che ha caratteristiche simili all’enzima che trasforma il glucoso 6 fosfato in glucoso 1 fosfato, è probabile che anche qui intervenga come cofattore un intermedio, probabilmente un glucoso 1,6 bisfosfato, anche se non è sicuro. Quel che è quasi certo è che compare come cofattore un composto bisfosforilato che si comporta con un meccanismo analogo a quello della trasformazione da glucoso 6 fosfato a glucoso 1 fosfato, cioè il cofattore dona un fosfato all’enzima e successivamente l’enzima trasferisce il fosfato al substrato. Per potere essere introdotta nelle catene oligo e polisaccaridiche la N acetilglucosamina 1 fosfato deve essere attivata, cioè deve essere legata ad un nucleotide che le fa da supporto. Questo nucleotide è l’uridin mono fosfato e si forma dunque la uridindifosfo N-acetilglucosamina. In questa reazione interviene una nucleotidil transferasi, che in presenza di uridin trifosfato sposta l’uridin mono fosfato al fosfato in 1 della N acetilglucosamina e forma uridin difosfo N-acetilglucosamina (UDP Gluc NAC). Si libera pirofosfato. L’uridin difosfo N-acetilglucosamina può introdurre direttamente nelle catene oligosaccaridiche o polisaccaridiche la N-acetil glucosamina oppure può essere converita in N-acetilgalattosamina. Perciò l’uridin difosfo N-acetil glucosamina può essere il punto di partenza della sintesi della N-acetil galattosamina, che è altrettanto importante come componente di oligo e polisaccaridi. Come da uridin difosfo N-acetilglucosamina si passa a N-acetil galattosamina corrispondente? E’ di nuovo una reazione 4 epimerasica, come già il passaggio da uridin difosfo glucoso a uridin difosfo galattoso.

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L’epimerasi agisce sul carbonio 4 e utilizza come cofattore NAD, essendo una epimerasi di tipo ossidoriduttivo. Forma il 4 chetoderivato dell’uridin difosfo N-acetilglucosamina più NAD ridotto. L’enzima poi ritorna sul chetoderivato utilizzando NAD ridotto e riduce il gruppo carbonilico a gruppo alcolico secondario, questa volta dando al carbonio alcolico secondario la configurazione del galattoso. A seguito di questa reazione dunque si forma uridin difosfo N-acetil galattosamina e NAD ossidato. NB. Uridin difosfo N-acetilglucosamina e uridin difosfo N-acetilgalattosamina sono le forme attive con cui la N-acetilglucosamina e la N-acetilgalattosamina entrano a fare parte delle catene oligo e polisaccaridiche. Questi dunque non entrano mai a fare parte di oligosaccaridi e polisaccaridi come aminomonosaccaridi liberi, ma sempre legati a un nucleotide e il nucleotide caratteristico è l’uridinmonofosfato. Sintesi dell’acido sialico. L’acido sialico (o acido N-acetil neuroaminico) è un composto abbastanza insolito: ��è formato da 9 carboni, è cioè un nonuloso derivato. Si può per semplicità considerarlo come

derivato da acido piruvico per quanto riguarda i primi tre carboni e da una N-acetil mannosamina per quanto riguarda i carboni dal 4 al 9. L’acronimo è NANA. E’ un acido perché ha un gruppo carbossilico.

��In genere in natura non esiste in forma aperta, ma è costantemente in forma chiusa, che si costituisce attraverso un ponte emiacetalico tra il carbonio ε e il carbonio α, cioè tra il carbonio carbonilico (2) e il carbonio adiacente al carbonio che ha sostituito l’aminogruppo. Si costituisce dunque un anello emiacetalico analogo a quello che troviamo nei monosaccaridi.

��L’acido sialico quando interviene nel formare legame glucosidico (la formazione del legame glucosidico è possibile perché in 2 abbiamo un carbonio glucosidico) reagisce sempre nella forma α e perciò non troviamo mai l’acido sialico legato in forma β a un altro monosaccaride.

I precursori di questa molecola sono il fosfoenolpiruvato la mannosammina 6 fosfato. Il fosfoenolpiruvato si forma dalla glicolisi. La sintesi della mannosammina 6 fosfato è estremamente oscura. L’immediato precursore della mannosammina è probabilmente l’uridin difosfo N-acetil glucosamina. Dunque fino all’uridin difosfo N-acetil glucosammina si prosegue come visto precedentemente: interviene il fruttoso 6 fosfato, si forma l’amina, poi avviene l’acetilazione… fino alla formazione dell’N-acetil glucosamina attivata. L’ultimo intermedio noto è l’uridindifosfo N-acetil glucosammina, poi non si sa bene cosa succeda: si sa che è una reazione complessa in cui intervengono ATP e NAD e che si forma N-acetil mannosamina. L’intervento dell’ATP fa capire che la reazione richiede energia, ma non si capisce il perché della sua presenza. L’intervento di NAD fa pensare che ci sia una reazione di epimerizzazione, con un meccanismo simile alla 4 epimerasi precedentemente descritta. L’unica cosa che sappiamo è che ATP e NAD sono indispensabili alla reazione. La N-acetil mannosamina viene fosforilata in posizione 6 ad opera di una N-acetil mannosammina cinasi in presenza di ATP e formiamo il derivato fosforilato in 6 (N-acetil mannosammina 6 fosfato).

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La N-acetil mannosammina 6 fosfato reagisce con il fosfoenolpiruvato formando acido N-acetilneuroamminico 9 fosfato con liberazione di fosfato. Probabilmente il legame ricco di energia del fosfoenolpiruvato permette la formazione del legame C-C tra il carbonio aldeidico della N-acetil glucosammina e il carbonio metilenico del fosfoenolpiruvato. In ultimo l’acido N-acetilneuroaminico 9 fosfato perde il fosfato in 9 ad opera di una fosfatasi e forma acido N-acetil neuroaminico libero. NB. In definitiva nell’acido N-acetilneuroaminico i primi 3 carboni derivano da fosfoenolpiruvato e i rimanenti da un glucoso di partenza. Perciò tutta la molecola si costruisce da glucoso, dal momento che il fosfoenolpiruvato deriva dalla degradazione del glucoso. L’acido sialico libero praticamente non c’è, lo troviamo incorporato in glicolipidi (in particolare gangliosidi) oppure in glicoprotidi, in genere glicoprotidi oligosaccaride (di cui seguono esempi) oppure in forma attiva instabile, dove per l’acido sialico forma attiva significa acido sialico unito a citidin mono fosfato, quindi è citidin monfosfo sialide. Formazione di CITIDIN MONOFOSFO SIALIDE (acido sialico attivo) Partiamo da acido sialico libero + citidin tri fosfato. La base azotata non è più l’uracile, ma è la citosina. Nella reazione l’enzima che forma citidin monofosfo sialide trasferisce il citidin mono fosfato all’acido sialico legandolo al carbonio glucosidico in 2 e libera pirofosfato. Dunque da acido sialico libero + citidin tri fosfato con una reazione irreversibile si libera pirofosfato e citidin monofosfo sialide in cui è importante il legame tra l’acido sialico e il nucleotide, un legame α glicosidico. La grossa differenza è che quando abbiamo il glucoso attivato è sotto forma di uridin difosfoglucoso, cioè abbiamo due fosfato che legano da una parte il nucleoside e dall’altra il monosaccride, in questo caso abbiamo un solo fosfato. La differenza dagli altri monosaccaridi attivati è che abbiamo un solo fosfato che lega la citidina. Ora parliamo della sintesi di gruppi prostetici di proteoglicani, il cui gruppo prostetico prende il nome di GLICOSAMINOGLICANO (o mucopolisaccaride) e di glicoprotidi oligosaccaride, in cui non abbiamo un glicosaminoglicano, ma abbiamo invece unità saccaridiche che entrano a costituire la catena. In linea di massima l’oligosaccaride o il polisaccaride si costruisce sulla proteina, quindi non c’è un oligosaccaride o un polisaccaride preformato che in blocco viene portato sulla proteina, ma la proteina fa da supporto alla catena che via via si allunga. Si crea dunque un legame tra polisaccaride (o oligosaccaride) e proteina. Il legame è sempre di tipo glucosidico e frequentemente β glucosidico. Quali sono gli aminoacidi che la proteina mette in comune con la catena oligosaccaridica o polisaccaridica? I più frequenti sono serina, treonina, idrossilisina (limitata al collagene) e nel caso della sintesi del glicogeno la tirosina, ma è un caso raro. In tutti questi casi il gruppo che la proteina condivide con la catena oligosaccaridica è un gruppo alcolico, che sarà primario nel caso della serina e secondario nel caso della treonina (CH-OH-CH3) e della idrossilisina. Nel caso della sintesi del glicogeno la catena saccaridica si costruisce su un residuo di tirosina nel caso della glicogenina.

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In questi casi si parla di legame O glucosidico tra polisaccaride e proteina perché polisaccaride e proteina sono uniti da un ponte ossigeno. Ad esempio supponiamo che la prima unità saccaridica che si lega sia il galattoso. Il gruppo del galattoso che si lega alla proteina è il carbonio glucosidico in 1, in genere la forma con cui reagisce è la forma β. La proteina reagisce con una serina. Eliminiamo una molecola di acqua e le due molecole sono legate mediante un legame O β glucosidico. In linea generale nei proteoglicani il legame è sempre O β glucosidico, quindi quando la catena è una catena polisaccaridica normalmente il legame tra il polisaccaride e la proteina è un legame O β glucosidico e in questo legame interverranno gli aminoacidi serina, treonina, idrossilisina e molto raramente la tirosina. Quando invece la catena è di natura oligosaccaridica, accanto al legame O β glucosidico compare un legame N β glucosidico, il che vuole dire che la proteina non condivide la serina, la treonina, l’idrossilisina, la tirosina, ma condivide un altro aminoacido, l’asparagina; ciò vuole dire che è l’aminogruppo dell’asparagina a intervenire nel legame glucosidico. Nel 99% dei casi il monosaccaride che si impegna con l’asparagina è la N-acetil glucosamina. Questo legame N β glucosidico generalmente non compare nei proteoglicani, ma nei protidi oligosaccaride. Di gruppi prostetici dei proteoglicani ce ne sono molti e anche i proteoglicani sono molti, analizzeremo due esempi: il gruppo prostetico dei condroprotidi, cioè gli acidi condroitinsolforici e delle eparine, importanti nella coagulazione del sangue. Acidi condroitinsolforici Sono essenzialmente di due tipi: il condroitinsolfato di tipo A e il condroitinsolfato di tipo C, in cui la differenza è solo nella posizione del radicale fosforico che si lega alla N acetil galattosamina. Negli acidi condroitinsolforici il disaccaride fondamentale è rappresentato da acido glucuronico (Glc UA), una molecola di N-acetilgalattosamina, la quale negli acidi condroitinsolforici compare solforilata o nella posizione 4 (N- acetil galattosamina 4 solfato) o nella posizione 6 (N-acetil galattosamina 6 solfato), mai in 4 e in 6 simultaneamente. Troviamo la N-acetil galattosamina 4 solfato negli acidi condroitinsolforici di tipo A. Troviamo la N-acetil galattosamina 6 solfato negli acidi condroitinsolforici di tipo C. Come si legano insieme i due monosaccaridi a costituire il disaccaride fondamentale? L’unione avviene tra acido glucuronico che, con il gruppo glucosidico in 1 in configurazione β, va a legarsi all’ossidrile in 3 della N-acetilgalattosamina formando un legame 1, 3 β glucosidico. Simultaneamente viene liberata una molecola di acqua. Questo disaccaride formato da acido glucuronico e N-acetilgalattosamina a sua volta reagisce con un'altra molecola di acido glucuronico, quindi con un altro disaccaride, e forma un legame 1, 4 β glucosidico. Lungo tutto l’asse della catena polisaccaridica si ripetono questi due legami: 1, 3 β glucosidico, 1, 4 β glucosidico, 1, 3 β glucosidico, 1, 4 β glucosidico e così via. Questo è il motivo fondamentale lungo l’asse della catena polisaccaridica. Da dove viene il solfato, dal momento che la catena prima si forma senza solfato e poi viene solforilata? La solforilazione avviene in presenza di un particolare composto, che prende il nome di solfato attivo: l’adenosin 3 fosfato 5 fosfosolfato.

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Come si costruisce? Si costruisce a partire da adenosin tri fosfato e solfato (che può venire da acido solforico, solfato di sodio, solfato di potassio…). Il solfato va a legarsi con il fosfato in 5 dell’AMP, quindi si tratta di una reazione nucleotidiltransferasica in cui l’ATP dona l’AMP al solfato.Si libera pirofosfato. Il legame tra il solfato e fosfato è di anidride. Non siamo ancora arrivati al solfato attivo: nella reazione successiva sulla adenosin 5 fosfosolfato in una reazione cinasica agisce ATP, che in presenza di una cinasi specifica, dona il fosfato terminale alla posizione 3 dell’adenosin 5 fosfosolfato e formiamo solfato attivo. Si libera ADP. Il solfato attivo è riconosciuto da particolari solfato trasferasi che trasferiscono il solfato del solfato attivo al composto che accetta, in questo caso una N-acetil galattosamina che è già presente sulla catena polisaccaridica e che accetterà il solfato o in posizione 4 o in posizione 6. Quanto ATP spendiamo per formare una molecola di solfato attivo? 3, un costo notevolmente alto. Negli acidi condroitinsolforici di tipo A e C compaiono acido glucuronico e N-acetilgalattosamina, eventualmente solforilata in 4 o in 6. Nei dermatan solfati la differenza fondamentale è che invece che avere acido glucuronico abbiamo acido iduronico (L), prodotto di isomerizzazione dell’acido glucuronico sul C 5 ad opera di una epimerasi che rovescia la configurazione del C 5; passiamo perciò da un composto della serie D ad un composto della serie L. Il legame tra acido iduronico (Idu A) e N-acetil galattosamina sarà un legame 1, 3 α glucosidico. E’ α perché ora il carbonio glucosidico è codirezionale con il gruppo alcolico in 6. Eparina L’eparina è un polisaccaride legato ai protidi, ma a volte per estensione si definisce con questo termine l’eparina protide, ovvero il proteoglicano che porta come polisaccaride l’eparina. Per ora ci riferiamo al semplice polisaccaride. Nell’eparina i componenti sono acido glucuronico e solo inzialmente N-acetilglucosamina. Acido glucuronico e N-acetilglucosamina sono uniti con legame 1, 4 β glucosidico. N-acetilglucosamina e acido glucuronico sono uniti con legame 1, 4 α glucosidico. Quindi nelle eparine a differenza che nei condroitinsolfati il legame è alternativamente di tipo α e di tipo β, anche se è sempre 1, 4. Nelle eparine difficilmente troveremo l’acetile in posizione 2, ma più frequentemente l’acetile verrà sostituito da un solforile. La solforilazione può essere all’aminogruppo oppure anche in posizione 6. Frequentemente l’acido glucuronico nelle eparine è sostituito da acido iduronico, quindi ogni tre radicali 2 sono di acido iduronico e 1 di acido glucuronico. Ne consegue che il legame tra iduronico e glucosammina sarà 1, 4 α. Quando compare acido iduronico questo spesso è solforilato anche in posizione 3, quindi le eparine sono molto ricche in radicali solforici, il che da a questa molecole un carattere particolarmente acido. Quando c’è acido glucuronico non c’è solforilazione. Il protide che lega questa eparina è caratteristico perché è solo formato da due aminoacidi: glicina e serina. In genere sono protidi intracellulari.

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Alternativamente l’eparina si trova legata ad un’altra proteina e in questo caso si trova sulla membrana esterna a costituire gli eparan solfati. In quest’ultimo caso l’eparina è più ricca in acido glucuronico che in acido iduronico. Come si costruisce la catena polisaccaridica sulla proteina? L’unità polisaccaridica non si aggancia direttamente sulla proteina, ma è distanziata da una sequenza di 4 unità glicidiche denominata tetrasaccaride ponte. E’ formata da xiloso, due unità galattoso e una unità di acido glucuronico. Come si aggancia questo tetrasaccaride alla proteina? Il legame è O β glucosidico tra il gruppo glucosidico dello xiloso e un gruppo alcolico della proteina, in genere fornito da una serina. Lo xiloso non esiste libero, ma si forma a partire da uridin difosfoglucuronico in una reazione di decarbossilazione. Lo xiloso in pratica è un acido glucuronico decarbossilato e, in effetti, è un pentoso. In particolare si origina da acido uridindifosfoglucuronico, che viene trasferito sulla proteina e successivamente decarbossilato ad opera di una liasi. Si forma dunque uno xilosil β protide. La seconda unità saccaridica è galattoso, che viene portato da UDP Gal, poi interviene una galattosil trasferasi che trasferisce il galattoso da UDP Gal allo xiloso. Si libera UDP. Il legame che era α nell’UDP Gal diventa β (sempre nel trasferimento la configurazione del gruppo glucosidico dell’uridin difosfo galattoso si rovescia e da α diventa β). Il trasferimento della seconda unità di galattoso prevede nuovamente la liberazione di UDP. Il nuovo galattoso viene portato sul galattoso prossimale con legame 1, 4 β glucosidico. Formiamo così galattosil 4 galattosil 4 xilosil protide e il legame è sempre β. Per quanto riguarda l’ultima unità, l’acido glucuronico, questa è donata da uridin difosfo glucuronico. Il legame diventa β, in particolare 1, 3 β. Questo tetrasaccaride è comune a tutti i proteoglicani. Su questo tetrasacaride inziamo a costruire l’acido condroitinsolforico, costruzione che avviene per trasferimento di una unità glucosidica alla volta. Nel caso dell’acido condroitinsolforico 4 solfato la prima unità saccaridica ad essere trasferita è una N-acetil galattosamina (portata da uridin difosfo N-acetil galattosamina) che si lega al tetrasaccaride ponte con un legame 1, 4 β glucosidico. Su questa viene trasferita una unità di acido glucuronico da uridin difosfo glucuronico, che viene legato con legame 1, 3 β e così avanti fino alla lunghezza critica. Il processo di solforilazione generalmente avviene in seguito alla formazione della catena. In questo caso la solforilazione colpisce il C 4. Quindi in presenza di solfato attivo ad opera di una solfato transferasi il solfato viene portato nella posizione 4 o in posizione 6 della N-acetilgalattosamina e formiamo il condroitinsolfato definitivo. Potrebbe inoltre intervenire una epimerasi che lavora sull’acido glucuronico e ne rovescia la configurazione. Si forma così acido iduronico con passaggio dai condroitinsolfati ai dermatansolfati.

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MERCOLEDI 11 DICEMBRE Esaminando i gruppi prostetici costituiti da catene polisaccaridiche, ci siamo occupati dei condroitinsolfati e dell’eparina. Quest’ultima è molto importante perché, come gruppo prostetico separato dalla proteina, funziona da anticoagulante in duo modi:

• inibendo un fattore 2 della coagulazione, la trombina, che è una proteasi in grado di trasformare una proteina solubile fibrinogena in fibrinogeno non solubile; essa forma una specie di maglia che intrappola il globulo rosso creando il coagulo; se la trombina non funziona, nella rottura del vaso c’è il sanguinamento ma non c’è la riparazione. L’eparina, legandosi alla trombina, ne blocca l’attività proteolitica.

• legandosi all’inibitore della trombina che è l’anti-trombina terza e potenziandone l’effetto sulla trombina.

Quindi l’eparina si comporta da coagulante per un effetto diretto sulla trombina, fattore pro-coagulante, e per un effetto indiretto, legandosi al suo inibitore che, in assenza di eparina, è poco affine alla trombina, mentre in presenza di eparina, è altamente affine ad essa e ne blocca la funzione. Le parti dell’eparina fondamentali per la sua attività sono gruppi acidi e in particolare radicali di acido solforico di cui questa molecola è estremamente ricca: questi gruppi carichi negativamente vanno a riconoscere sull’inibitore i gruppi basici, lo legano, e potenziano l’affinità dell’inibitore per la trombina. [coagulazione del sangue = trasformazione di proteina solubile in proteina non solubile]. L’eparina, in qualità di polisaccaride, entra come gruppo prostetico di proteine intracellulari che sono indicate col termine di eparina, costituite solamente da glicina e serina. L’eparina può essere gruppo prostetico di altre proteine che si distribuiscono sulla membrana e prendono il nome di eparansolfati, glicoprotidi. La differenza fra i due glicoprotidi, è data dal fatto che, nelle eparine dell’eparina prevale l’acido iduronico, mentre nelle eparine degli eparansolfati prevale l’acido glucuronico ( GlcUA ). Inoltre, gli eparansolfati sono meno ricchi in solfati rispetto alle eparine. L’eparina è molto diversa dall’eparina finale: è formata dall’addizione di molecole successive N-acetilglucosammina ( GlcNAc ) e di GlcUA, con un precursore iniziale formato soltanto da GlcNAc e GlcUA in alternativa n volte. Si tratta di un proteoglicano, ed è probabilmente un residuo di serina che fa da aggancio alla catena polisaccaridica con la mediazione di un tetrasaccaride-ponte costituito da xiloso, galattosio, galattosio e acido glucuronico legato con legame 1-3 glucosidico al galattosio periferico; su questo acido glucuronico inizia la sintesi del polisaccaride: Trasferimento di una molecola di GlcNAc a partire da UDPGlcNAc; interviene in questa reazione di trasferimento un GlcNActransferasi che porta GlcNAc sul GlcUA. Importante è che quello che era legame � sull’ UDPGlcNAc rimane tale nel legame con l’acido glucuronico (1- 4 �), non c’è perciò rovesciamento del legame quando si lega alla catena.

1. Trasferimento di una seconda unità, questa volta attraverso UDPGlcUA, con un enzima che è un glucuroniltransferasi, il quale porta GlcUA su GlcNAc; ma questa volta l’enzima rovescia la configurazione del gruppo glicosidico, per cui il legame diventa 1- 4 �. Naturalmente, ogni volta, nella reazione di trasferimento si libera UDP.

2. Questa modalità di trasferimento si ripete “n” volte e si ha la costituzione del polisaccaride. A questo punto la molecola viene rimaneggiata profondamente:

• distacco di molti degli acetili acetici con idrolasi-amidasi e la solforilazione per solfato transferasi, che porta un solfato all’amminogruppo dell’acetile.

• la GlcNAc solforilata in C2 diventa solfato in C6, e non sarà mai glucosilata in C4 perché l’ossidrile è occupato in un legame glicosidico con l’acido glucuronico. La seconda modifica si ha con epimerasi che trasforma GlcUA nella corrispondente forma in L, ovvero in acido iduronico.

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Se si tratta di eparine i 2/3 di GlcUA scompare lasciando il posto ad acido Iduronico; se si tratta di eparansolfati invece si ha il rapporto inverso. Dove compare acido iduronico frequentemente c’è una solforilazione in posizione 2 o 3. Tutto ciò conferisce molta acidità alla catena glucidica. Mucopolisaccaridi = saccaridi che nella loro sequenza hanno amminopolisaccaridi = glicosamminoglicani (GaG). GLICOPROTIDI OLIGOSACCARIDI La catena saccaridica è molto più ridotta, va da una a più unità glucidiche. I glicoprotidi oligosaccaridi servono per formare proteine di membrana e ormoni; inoltre, molti enzimi hanno oligosaccaridi come gruppi prostetici. Mentre nei protidi polisaccaridi il legame con la proteina è nella maggior parte dei casi O-glicosidico per la presenza del ponte tetrasaccaridico, ora il discorso è più complesso, in quanto vi possono essere due tipi di legame:

• Legame O-glicosidico. Si ha con aa che portano funzioni alcoliche, tipo serina, treonina, idrossilisina o, più raramente tiroxina. Solitamente il primo saccaride è Galattosio o GlcNAc e normalmente il legame è �-glucosidico tra gruppo alcolico primario della serina e gruppo glucosidico della GlcNAc. L’oligosaccaride si forma direttamente sulla proteina. Prendiamo come esempio i gruppi sanguigni A,B,0, che si differenziano per la catena oligosaccaridica legata al protide. Il portatore di gruppo A non tollera il tipo B, il portatore di gruppo B non tollera il tipo A, il portatore di tipo 0 non tollera né A né B. Questo è fondamentale per le trasfusioni. L’oligosaccaride che dà forma ai tre gruppi si forma da un oligosaccaride-precursore con sequenza Gal-GlcNAc-Gal-GalNAc-protide. I due Gal vengono distinti con Gal periferico e Gal centrale. È comune a tutti i gruppi sanguigni. [Questo oligosaccaride lo possiamo trovare o legato a una proteina oppure a Cerammide, formata da sfingosina (aminoalcol di 18 C) e acido grasso che si lega in corrispondenza di un amminogruppo acetilato in legame amminopeptidico. Gli sfingolipidi hanno tutti la cerammide come base. Nel caso in cui la cerammide sia legata all’oligosaccaride, si impegna in un legame O-�-glicosidico col gruppo alcolico della sfingosina con GalNAc. Questo complesso (cerammide+oligosaccaride) si lega a una proteina di membrana]. Questo precursore nei vari gruppi sanguigni va incontro ad un ulteriore glicosilazione, che vede l’aggiunta di un fucoso al Gal periferico. Il fucoso è un 6-desossi-L-galattoso (gruppo metilico in 6) formatosi dopo una serie di sintesi partendo da UDPfucoso. Viene portato al Gal in forma attiva come GDPfucoso. Il legame è sempre 1-2 �- glucosidico. Questo caratterizza gli individui di tipo 0. Per il tipo A al fucoso periferico si lega GalNAc; per il tipo B, al fucoso si lega Gal. Se il tipo 0 incontra B lo riconosce come estraneo e si ha rischio di morte. Gli A se ricevono 0 non reagiscono, ma reagiscono col B. I B ricevono da 0 e non da A. L’AB riceve da tutti e dà sangue solo all’ AB. Lo 0 dà a tutti ma può ricevere solo da 0.

• Legame N-glicosidico. L’aminoacido cui si lega la catena oligosaccaridica è l’asparagina, inoltre non c’è mai un tetrasaccaride ponte. Solitamente il primo saccaride è GlcNAc. Il carbonio glucosidico si impegna con l’azoto ammidico. La catena oligosaccaridica che trovo, non origina come tale ma deriva dalla formazione su un oligosaccaride-precursore formatosi sul dolicolo, un trasportatore. Il dolicolo è un alcol a lunga catena costituita da molecole di isoprene con legame testa-coda (in cui intendiamo per testa la parte più vicina al gruppo metilico e coda la parte più lontana). L’isoprene si presenta in forma stabile quando non si lega a nessun altra molecola, mentre è in forma instabile quando si lega a qualche altra molecola. Quest’ultima è la forma attiva. Il dolicolo è costituito da 16-20 unità isoprenoidi. Nel legame testa-coda la distanza fra due metili è di 5 C. L’ultima unità non ha il doppio legame, è satura. Nei tessuti può essere come tale, esterificato con acidi grassi a lunga catena, o legato a molecole di fosfato ( dolicolo mono-fosfato, frequentemente legato

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a monosaccaride - glucoso o mannoso - in legame �-glucosidico, formatosi da UDPG+dlicolofosfato; il legame diventa � per rovesciamento; la stessa cosa vale per il mannoso; dolicolo piro-fosfato, sempre legato a GlcNAc in legame �-glicosidico). Sul dolicolo si costruisce un oligosaccaride partendo da dlicolopirofosfatoGlcNAc, poi viene trasferita un’altra GlcNAc a partire da UDPGlcNAc, poi viene portata un’unità di Mannoso con GDPMan; vengono trasferite altre 8 unità di Man portate da dolicolofosfatoMan; ecco perché ora abbiamo tutti legame di tipo � per rovesciamento. Il Man centrale ha legame �. Vi sono nell’aggiunta dei Man due biforcazioni. Sulla catena non ramificata vengono aggiunta successivamente 3 unità di G legati sempre con legami �. La sintesi si ferma e il dolicolo si porta sulla proteina e in blocco trasferisce sulla proteina l’oligosaccaride, il dolicolo si libera come dolicolopirofosfato; il GlcNAc si lega al gruppo ammidico dell’asparagina sulla proteina con legame �-glucosidico; In seguito nel precursore si hanno alcune modificazioni: vengono allontanate tre unità di G con reazioni glicosiladiche per idrolisi; inoltre delle glicosilasi, idrolasi, allontanano 6 unità di Man rimpiazzate da tre molecole di GlcNAc provvisoriamente, tre molecole di Gal e tre NANA. Questo è l’oligosaccaride definitivo. Queste cose avvengono nel reticolo endoplasmatico, mentre la parte conclusiva nell’apparato del Golgi. Di qui migrano verso la membrana plasmatici.

CATABOLISMO DEL PIRUVATO Alla fine della glicolisi bisogna riparare l’eccesso di NAD ridotto che porterebbe danno ad alcuni enzimi e potrebbe innescare la gluconeogenesi ottenuto in seguito alla deidrogenasi. Provvede a questo trasformando il piruvato in lattato, ma la più alta percentuale di piruvato non va ad acido lattico, va verso la degradazione ossidativa nel mitocondrio. Ma il NAD ridotto non può passare così e allora avviene una reazione per cui viene fatto passare solo l’ H e il NAD viene lasciato nel citoplasma. Il trasferimento avviene attraverso sistemi spoletta o navetta che possono essere di due tipi:

• Quello per malico DH (MDH); Il NAD ridotto, in eccesso per MDH citoplasmatica in presenza di acido ossalacetico, forma acido malico, che può spostarsi nel mitocondrio perché trova un traslocatore per acidi bicarbossilici; a questo punto una MDH mitocondriale in associazione a NAD ossidato, toglie H ,forma NAD ridotto e acido ossalacetico; Il NAD ridotto accede alla catena respiratoria per essere ossidato e gli H vanno a formare H2O. L’acido ossalacetico per transaminazione viene convertito in acido aspartico in presenza di acido glutammico che si trasforma in acido �-chetoglutarico, questi escono dal mitocondrio e l’aspartato ritorna acido ossalacetico. Si formano tre ATP per ogni molecola di NAD che si ossida.

• Quello per α-glicerolfosfatoDH; Il NAD ridotto addizionato a DAP dà NAD ossidato e α-glicerolfosfato, precursore di tutti i lipidi che hanno glicerolo. Ora l’�-glicerolfosfato passa attraverso il mitocondrio con un traslocatore. Nel mitocondrio questo con enzima glicerolfosfoDH e cofattore FAD si trasforma in DAP. Il FADH2 formatosi va nella catena respiratoria ad ossidarsi, e producendo due molecole di ATP. Con questa via quindi perdiamo una molecola di ATP.

12 DICEMBRE 2002 CATABOLISMO OSSIDATIVO DEI MONOSACCARIDI Utilizza precursori che si sono formati nella via glicolitica quindi è necessario che il monosaccaride venga degradato inizialmente in condizioni di anaerobiosi. I prodotti di questa degradazione vengono spostati nel mitocondrio dove continua la degradazione fino alla totale risoluzione della molecola del monosaccaride in CO2. Questa totale demolizione sarà accompagnata da una sintesi di

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ATP che deriverà dalla riossidazione dei cofattori ridotti che si sono formati nelle reazioni di ossidoriduzione del processo. ACIDO PIRUVICO: intermedio del catabolismo anaerobico del glucosio che viene utilizzato per via ossidativi. Ciò significa che la glicolisi anaerobia quando è seguita da un catabolismo ossidativo si ferma a livello del piruvato che viene trasferito dentro il mitocondrio per continuare nella sua degradazione. Come si sposta il piruvato nel mitocondrio essendo una molecola carica negativamente? E’ probabile che esista sulla membrana interna del mitocondrio un TRASLOCATORE per il piruvato il quale lavora in una specie di simporto con una carica positiva che muove dal solubile al mitocondrio oppure lavora in collaborazione con un trasportatore che porta fuori una carica negativa dal mitocondrio in modo da garantire la costanza di carica all’interno del mitocondrio. Quindi o il piruvato entra in unione con una carica positiva o una carica negativa esce in scambio alla carica positiva portata dal piruvato che entra. Dentro il mitocondrio il piruvato non può accedere direttamente al processo ossidativo che ne prevede la sua demolizione ma può arrivare unicamente attraverso una decarbossilazione che comporta la perdita del gruppo carbossilico del piruvato e l’unione dell’unità a due carboni, l’ACETILE, ad una molecola di COENZIMA A. Il piruvato accede quindi al catabolismo ossidativo dopo la trasformazione in ACETIL COENZIMA A cioè dopo decarbossilazione e unione con una molecola di CoA. Questa è la grossa differenza rispetto a come il ciclo ossidativo era stato preventivato dallo scopritore (Krebs che lo formulò nel 1937) il quale affermava che il piruvato veniva portato al ciclo di Krebs. Questo è errato perché oggi si sa che non è il piruvato che accede fisicamente al ciclo di Krebs ma è il prodotto di una sua trasformazione (l’acetil-CoA). Questo processo è detto CICLO DELL’ACIDO CITRICO o CICLO DI KREBS. L’Actil-CoA non deriva esclusivamente dal catabolismo del glucosio ma tutti i composti che nella nostra cellula vengono degradati per formare acetil-CoA e poter entrare nel ciclo di Krebs. Composti che possono dare acetil-CoA:

1. amminoacidi 2. acidi grassi nel ciclo di Krebs si degradano

completamente a CO2 3. tutti i componenti della materia vivente

TRASFORMAZIONE DEL PIRUVATO IN ACETIL-CoA E’ detta anche DECARBOSSILAZIONE OSSIDATIVA DEL PIRUVATO in quanto nella decarbossilazione subentra anche una reazione di ossidazione che rende possibile in definitiva la trasformazione del piruvato in acetil-CoA. Si formerà 1 molecola di NADH + H+, 1 molecola di CO2 che viene dal piruvato e interverrà CoA per legare l’acetile formato. Non è la semplice rottura di un legame C-C ma implica anche la sintesi di 1 molecola di NADH + H+. GLICOLISI ANAEROBIA NAD+ NADH + H+ Glucoso piruvato + CoASH CO2 + Acetil-CoA 2ATP 2NADH + H+

ENZIMA che interviene nella reazione non è una proteina singola ma deriva dall’azione combinata di 3 proteine differenti, tutte e 3 dotate di attività enzimatica che costituiscono un complesso multienzimatico detto COMPLESSO PIRUVATO DEIDROGENASI (PDC).

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I 3 enzimi sono: 1. ENZIMA 1 2. ENZIMA 2 3. ENZIMA 3

E 1. Porta come gruppo prostatico TIAMMINAPIROFOSFATO (TPP), proteina coniugata formata da 2 tipi di catene indicate come catene � e catene � che entrano a formare la proteina in ragione di 2 � e di 2 �. Quindi ogni enzima è un ETEROTETRAMERO di tipo �2 �2. Le catene � legano TPP e rappresentano l’unità CATALITICA Le catene � sono le catene MODULATRICI, portano residui di Ser e sono in:

1. forma defosforilata (ATTIVA)

2. forma fosforilata (INATTIVA)

I residui di Ser che sono fosforilati sono 3 per ogni �, è sufficiente però la fosforilazione di uno solo per dare l’inattivazione; sono 3 i siti di fosforilazione possibili ma già uno è sufficiente per indurre inattivazione. Le catene �:

1. portano il sito catalitico 2. portano legato TPP 3. hanno massa molecolare leggermente inferiore alle catene �, per cui le catene � sono dette

catene PESANTI e � sono le catene LEGGERE. E2. E’ un protide coniugato in cui ogni catena della proteina porta legato un gruppo prostetico, il DITIOLANO. Il ditiolano è un eterociclo formato da 2 S e 3 C. A questo è legata una catena normalvalerianica (di 5 C) che termina con un gruppo COOH, quindi è una catena di acido valerianico. Il gruppo prostetico è quindi indicato come ACIDO DITIOLANVALERIANICO. Questo acido si lega ad ogni singola catena di E2 a livello di un radicale di Lys. La Lys della proteina con il lungo braccio a 6 C emerge dalla catena ed affronta l’amino gruppo in posizione al gruppo COOH dell’ac valerianico in modo che si formi tra Lys e COOH un legame ammidico o peptidico (detto isopeptidico perché è un amino gruppo che interagisce). In questo modo l’E2 è legato sul gruppo prostetico. Il gruppo prostetico emerge al di fuori di E2 e serve come braccio mobile nella catalisi dove è coinvolto il complesso. E3. E’ formato da 2 subunità uguali ciascuna delle quali porta legato una molecola di FAD. E’ quindi un FADenzima quindi funziona da ossidoriduttasi. Come si indicano questi 3 enzimi? E1� PIRUVATO DEIDROGENASI o PIRUVATO DEIDROGENASI DECARBOSSILANTE (PDH) E2� DIIDROLIPOILTRANSACETILASI perché trasloca l’acetile verso CoA per formare acetil-CoA ����� ��� �� �� �� ��� �� � �� � ��

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Si usa il termine diidro- perché durante la reazione l’anello del ditiolano va incontro ad una reazione di riduzione dove il ponte disolfuro viene spezzato e si forma il diidroditiolano (prodotto di riduzione del ditiolano); l’anello del ditiolano si apre e si forma una catena di 8 C (ac ottanico) con 2 gruppi tiolici in posizione 6 e 8. Questo prodotto è quindi indicato come acido ditioottanoico (correntemente indicato come acido ditioottico), prodotto di riduzione dell’acido dipoico, ridotto a livello del ponte disolfuro. Quindi quando si parla di diidrolipoato si intende il prodotto di riduzione dell’acido dioico legato alla catena valeriana. L’E3 interviene sull’ diidroottanoico e lo riporta alla forma di ditiolano. Come funziona il complesso nel corso della catalisi? La prima entità che interviene nella catalisi è l’enzima E1 (PDH) che con Tpp lega il piruvato. 1º MOMENTO DELLA REAZIONE: L’E1 legato a TPP aggancia il piruvato (il substrato) e aumenta la reattività dell’H legato al C in posizione tra S e H e fa sì che questo H si allontani come H+, proprietà già insita nel substrato ma che viene esaltata in presenza dell’enzima. L’H legato al C2 viene dirottato verso l’O carbonilico del piruvato e forma un gruppo COH. La valenza libera del C carbonilico si salda con il C2 del TPP. Il primo intermedio che si ottiene è LATTILTIAMINAPIROFOSFATO ENZIMA 1 perché è una molecola di ac lattico legata al TPP enzima. SECONDO INTERMEDIO: l’enzima interviene su lattiltiaminapirofosfato e lo decarbossila, determina cioè la liberazione del gruppo carbossilico come CO2 e si forma un secondo intermedio estremamente instabile detto ACETALDEIDE ATTIVA che simula una aldeide acetica detta anche IDROSSIETILTPP perché è un gruppo idrossietilico che rimane legato a TPP anche se il protone sembra essere libero cioè oscilla nel legame col C dell’unità bicarboniosa o presente libero in soluzione. Questo intermedio oscilla quindi nella sua costituzione tra un idrossietilTPP e un gruppo aldeidico. 1º MOMENTO della reazione: formato questo intermedio l’enzima E1, con il substrato legato, si affronta all’enzima E2: E2 si avvicina a E1 e affronta al TPP col suo substrato legato l’anello del ditiolano che viene posizionato di fronte all’intermedio idrossietile. E1 sposta H+, che oscillava tra il legame con C e il fatto di essere libero, sull’atomo di S rompendo il ponte disolfuro, formando un primo intermedio in cui l’atomo di S è legato a H+ quindi si comporta come GRUPPO TIOLICO. 2º MOMENTO della reazione: E1 richiama a sé l’H che aveva ceduto e simultaneamente sposta l’unità bicarboniosa (un acetile) sull’atomo di S del ditiolano ridotto. L’E1 si libera con TPP integro (ed ha quindi finito la sua funzione), rimane in soluzione CO2. Sull’enzima E2 sta adesso legato un acetile e contemporaneamente l’anello di ditiolano si è ridotto a ditiolo; si forma così un ACETILDIIDROLIPOIL ENZIMA2 perché l’acido lipoico è diventato diidrolipoico e acetato un acetile. Si ha così l’acetile legato al C 6 dell’amiloottanoico , l’atomo di S in 8 come gruppo tiolico e l’anello del ditiolano si è ridotto. 3º MOMENTO: L’acetildiidrolipoilenzima 2 sposta l’acetile dal proprio gruppo prostetico ad CoA, cioè funziona da acetiltransferasi formando ACETIL-CoA.. L’enzima E2 ha perso l’acetile e il suo anello adesso è sempre nella forma aperta di acido ditioottanoico: si è formato così un diidrolipoil enzima. E’ necessario riportare E2 nella forma ossidata perché possa tornare su E1 e ripetere il processo. Come avviene il ritorno di E2 dalla forma ridotta a quella ossidata?

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Interviene l’enzima E3, enzima flavinico che porta legato un FAD che si affaccia all’enzima E2 e sottrae i 2 atomi di H dell’acido ditioottanoico e li trasferisce al proprio FAD e forma FADH2 e l’enzima E2 ritorna nella forma ossidata. E3 è quindi ridotto e si deve riossidare per permettere al ciclo di continuare. E3 trasferisce l’H ad una molecola di NAD presente libero nella matrice mitocondriale, forma NADH + H+ e l’enzima ritorna nella forma ossidata. E3 ridotto + NAD+ E3 integro + NADH+H+

Adesso NADH+H+ accederà alla catena respiratoria e quindi l’H andrà a finire all’O2 (ossigeno molecolare) per formare H2O mentre si attiverà la fosforilazione ossidativa che genererà per ogni NADH+H+ che si riossida 3 ATP. Come si articola e come viene regolato il complesso enzimatico? L’enzima è fortemente regolato e funge da fattore di regolazione per tutto il glucosio che entra nel catabolismo ossidativo; quindi se l’enzima è attivato i prodotti della glicolisi anaerobia andranno rapidamente in fase ossidativa mentre se l’enzima è bloccato l’utilizzo diventerà precario, il piruvato nono verrà più utilizzato nel mitocondrio, continuerà ad accumularsi nel citoplasma e porterà ad un blocco della glicolisi anaerobia, cioè ad un blocco dell’utilizzo del glucosio. Il complesso è uno degli aggregati proteici di massa molecolare maggiore tra quelli conosciuti, si calcola, ad esempio per l’enzima del cuore, che abbia infatti una massa molecolare pari a 107 Da. Il peso molecolare può variare notevolmente a seconda dei tessuti e soprattutto a seconda delle specie e dipende dal numero di subunità che concorrono a formarlo. Ad esempio:

- nei batteri ha un peso molecolare di soli 56 Da (la metà rispetto al mammifero). Nel caso della PDH del cuore - l’E1 è presente in ogni complesso con 30 molecole - l’E2 è presente in ogni complesso con 60 molecole - l’E3 è presente in ogni complesso con 6 molecole Come interagiscono tra di loro le molecole? L’enzima E2 (di massa molecolare maggiore) aggrega su se stesso E1 ed E3 facendo da supporto agli altri. E’ importante ricordare che E3, a differenza di E1, non interagisce direttamente con E2 ma esiste una proteina che fa da raccordo tra E3 ed E2. La subunità E1 può esistere in una forma FOSFORILATA INATTIVA e in una DEFOSFORILATA ATTIVA. La fosforilazione - defosforilazione è mediata da 2 enzimi regolatori coinvolti, rispettivamente una cinasi specifica detta PIRUVATO DEIDROGENASI CHINASI (PDK) e da una PIRUVATO DEIDROGENASI FOSFATOFOSFATASI (PDP). E1 in presenza di ATP che diventa ADP, su intervento di PDK diventa E1 fosforilata. ATP ADP E1 E1CH2OPO3H2 - PDK E1 fosforilata su intervento di PDP diventa E1 defosforilata.

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H2O Pi E1CH2OPO3H2 E1CH2OH PDP Quindi quando E1 è fosforilata la decarbossilazione ossidativa del piruvato è ferma perché viene bloccata la prima reazione. Quando E1 è defosforilata la decarbossilazione ossidativa del piruvato è possibile perché il piruvato potrà essere decarbossilato ed innescare tutta la serie delle reazioni che seguono. MODULATORI DI PDK E PDP. PDK: Mg2+ in conc M Mg2+ in conc mM ACETIL CoA ATTIVATORI Ca2+ INIBITORI ATP (prodotti) ADP NADH + H+ NAD+ PDP: Mg2+ in conc mM ATTIVATORI ACETIL CoA Ca2+ in conc M ATP INIBITORI NADH + H+ PDP ha una regolazione opposta a PDK. Quando il livello di acetil CoA, di ATP e di NADH + H+ sono alti dentro il mitocondrio si blocca l’utilizzo di glucosio perché si blocca PDP. Questo è dovuto al fatto che quando si ha accumulo di energia nel mitocondrio si ha una repressione dell’utilizzo del glucosio perché questo è un metabolita molto prezioso che la cellula tende a non sciupare.

PDP è labilmente legata al complesso, la sua interazione è a livello dell’E2 ed è fortemente rafforzata da Ca2+, sale così la possibilità di defosforilare E1. Come sono conformati i 2 enzimi di regolazione? La PDK è un dimero come anche PDP. Quest’ultima è formata da una subunità che ha funzione di enzima (attività catalitica) detta PDPc e da una subunità che ha la funzione di regolatore detta PDPr. PDPr ha una funzione inibente nei riguardi di PDPc perché diminuisce l’affinità di PDPc per Mg2+, quindi è un fattore inibente. La PDP da un lato è legata ad E2, dall’altro si lega alla membrana interna del mitocondrio mentre il complesso è presente nella matrice mitocondriale, quindi il complesso è anche in parte legato alla membrana interna del mitocondrio. La PDK esiste in molte isoforme nei tessuti (ne sono state contate fino a 5) diversamente espresse a seconda dei tessuti e la sua attività si esalta in situazioni di digiuno (perché c’è già poco glucosio e PDH consumerebbe ancora quel poco glu presente) o in una dieta iperlipidica (qui si forma molto acetil CoA, attivatore di PDK e inibitore di PDP). Al momento non si conoscono ormoni in grado di modulare l’attività di PDK e se esiste è data da metaboliti di piccolo peso molecolare come ATP, NAD e acetil CoA.

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PDP è invece regolata da INSULINA che ne esalta l’attività riconoscendo PDPr e ne diminuisce l’influenza negativa su PDPc. Per questo si dice che l’insulina favorisce le forme defosforilata del complesso. In situazioni di diabete la PDH sarà fortemente inattivata che causa una riduzione dell’utilizzo di glucosio e concorre ad aumentare l’iperglicemia dei pazienti. Nella PDPr è presente una molecola di FAD di cui non si conosce la funzione. Della PDP ora si conoscono 2 forme, questa studiata legata a Mg2+ e Ca2+ detta PDP1 ed una seconda detta PDP2 di significato ignoto che si differenzia perché PDPc è poco sensibile a Mg2+ (ne sente lo stimolo solo in concentrazioni molto alte) ed è insensibile a Ca2+. Questa forma si esprime in tessuti con un attivo metabolismo lipidico (t.adiposo e fegato) dove PDP2 prevale su PDP1mentre è poco espressa nei tessuti che usano il glucosio a scopi energetici come il muscolo. CICLO DI KREBS o CICLO DEGLI ACIDI TRICARBOSSILICI Ora il piruvato viene introdotto nel ciclo di Krebs (o ciclo degli acidi tricarbossilici) che si svolge nella matrice mitocondriale. L’acetil-CoA si forma nella matrice mitocondriale, esattamente nel sito dove parte il ciclo dell’acido citrico e sembra che ci sia una stretta collaborazione tra l’enzima che dà inizio al ciclo di Krebs e il complesso PDH in modo che l’acetil-CoA che si libera dal complesso non ha tempo di liberarsi che viene subito accolto dal primo enzima del ciclo dell’acido citrico ed immediatamente coinvolto nel catabolismo. Si ha la demolizione di acetil-CoA a CO2 e formazione di 1 ATP durante la fosforilazione ossidativa che dipende dalla riossidazione dei cofattori ridotti (NADH +H+ e FADH2 che si formano nel ciclo). Ci sono 3 strade:

��CICLO DI KREBS nella matrice mitocondriale ��CATENA RESPIRATORIA all’interno della membrana interna del mitocondrio ��FOSFORILAZIONE OSSIDATIVA all’interno della membrana interna del mitocondrio

Gli enzimi del ciclo di Krebs lavorano nella matrice mitocondriale eccetto 1 detto SUCCINATO DEIDROGENASI legato alla faccia interna della membrana interna del mitocondrio. Acetil-CoA che entra nel ciclo di Krebs non è originato solo dal catabolismo del glucosio ma anche nel catabolismo di acidi grassi e nel catabolismo di amminoacidi e nel catabolismo della parte carboniosa delle basi puriniche e pirimidiniche (quindi tutti i componenti della materia vivente inviano acetil-CoA o intermedi al ciclo di Krebs). 1ª REAZIONE: condensazione dell’acetil-CoA con 1 molecola di ACIDO OSSALACETICO (catalizzatore) per la formazione dell’ACIDO CITRICO (a 6 C) da cui deriva il nome “ciclo dell’acido citrico”. Da dove deriva l’ossalacetato portato nel processo? La molecola iniziale si forma dall’acido aspartico che in una reazione di transaminazione con �-chetoglutarico forma acido ossalacetico: acido aspartico acido ossalacetico oppure durante la gluconeogenesi: ATP ADP + Pi piruvato + CO2 acido ossalacetico

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Tuttavia quando c’è una gluconeogenesi molto attiva l’acido ossalacetico viene dirottato tutto verso fosfoenolpiruvato e non può accedere al ciclo di Krebs per cui l’unica risorsa è la prima via. acido ossalacetico + acetil-CoA CITRIL CoA + H2O ACIDO CITRICO + CoA CITRATO SINTETASI CoASH CITRIL-CoA: intermedio fortemente instabile. Acido citrico: è UN ACIDO tricarbossilico e dà il nome al ciclo CLASSIFICAZIONE ENZIMA:

��è una LIASI perché scompare il doppio legame del C carbonilico dell’acido ossalacetico, l’enzima rende acido uno degli H legati al gruppo metilico e ne facilita lo spostamento al C carbonilico carico negativamente.

��È di natura tiolica, quindi richiede gruppi SH per la sua attività ��È capace di formare acido FLUOROCITRICO utilizzando fluoro acetil-CoA che si forma da

acido fluoracetico. Acido fluoracetico è sintetizzato in alcune piante tropicali ed è considerato veleno cellulare.

��REGOLAZIONE: ATP composti che proteggono

NADH + H+ INIBITORI i gruppi tiolici ATTIVATORI Acidi grassi a lunga catena dall’ossidazione Acetil-CoA 2ª REAZIONE: Il CITRATO si trasforma in ISOCITRATO con la trasformazione di un gruppo alcolico 3^ario (quello sull’acido citrico) in un gruppo alcolico 2^ario perché i primi sono difficilmente metabolizzabili dalla cellula mentre i secondi sono facilmente idrolizzabili e soggetti ad azione di ossidoriduzione. Ora il gruppo alcolico 2^ario sarà suscettibile di una reazione di ossidoriduzione che permette al processo di continuare. Enzima è CIS ACONITASI:

�� trasforma reversibilmente l’acido citrico in acido isocitrico ��è una LIASI perché l’intermedio della reazione che si presuppone si formi è l’ACIDO CIS

ACONITICO derivato per eliminazione di una molecola di H2O tra l’OH 3^ario e l’H di uno dei C metilenici.

Rispetto ai doppi legami i 3 COOH stanno dalla stessa parte del piano (per questo è detto cis) ��Non lavora sui 2 C aggiunti come acetil-CoA ma su C di pertinenza dell’acido ossalacetico .

Quindi la prima molecola di CO2 eliminata non verrà dai C addizionati ma dall’acido ossalacetico. I C addizionati come acetil-CoA verranno eliminati come CO2 solo dopo il 2^ o 3^ ciclo dell’acido citrico, perché entrano in reazione dopo. Di conseguenza l’acido citrico rilasciato dall’enzima citrato sintasi ha una configurazione spaziale ben precisa che viene percepita dall’enzima che segue (aconitasi) che riconosce i C che vengono da acido ossalacetico e non quelli che vengono da acetil-CoA.

��E’ un METALLO PROTIDE e richiede come metallo Fe in forma ferrosa (è un ferro ferroso protide) in cui il Fe2+ deve essere strettamente legato all’enzima.

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��Per la catalisi è indispensabile un centro carico negativamente (centro B). Questo attira verso di sé 1 degli H legati al C metilenico dell’acido ossalacetico, attivando così lo ione ferroso che tende ad attivare il groppo OH. Così la proteina ruota su se stessa e il Fe legato con l’OH si affronta al C metilenico e il sito che ha legato il protone si sposta sul C alcolico 3^ario.

Nell’isocitrato l’OH è l’OH spostato dal Fe e l’H è l’H ceduto dal C metilenico. IL fatto che non si attacchino subito i C dell’acetil-CoA fa pensare che il I° complesso che si formi sia un COMPLESSO TRIDENTATO che vede l’enzima legato ai 2 gruppi COOH che vengono dall’acido ossalacetico e al gruppo OH 3^ario. L’enzima non riconosce il gruppo acetico che ha portato l’acetil-CoA. Dell’acido ossalacetico riconosce i 2 COOH e il C che era carbonilico che ora è un gruppo alcolico 3^ario.

Energico inibitore dell’aconitasi è l’acido fluoroacetico detto inibitore killer e irreversibile per questa aconitasi perché l’enzima riconosce l’inibitore, lo lega, compie la reazione ma il prodotto non si stacca più dall’enzima e ne blocca reversibilmente il sito catalitico per cui affinché il ciclo dell’acido citrico riprenda bisogna aspettare la sintesi di una nuova molecola di aconitasi. Il rischi però non è tanto gli uomini quanto per i ruminanti che mangiano molta erba.

BIOCHIMICA – Venerdì 13 Dicembre 2002 Ciclo dell’acido citrico (seconda parte). La prima tappa è quella che porta alla formazione del citrato e che dà inizio al processo; è una tappa praticamente irreversibile. Una volta che l’acetilCoA è stato trasformato in citrato, non è più possibile la reazione opposta. Siamo arrivati a formare l’isocitrato. Questo composto porta un gruppo alcolico secondario; è quindi possibile una reazione di ossidazione di questo gruppo alcolico secondario che viene trasformato in gruppo carbonilico. La formazione di questo gruppo carbonilico rende possibile una reazione di decarbossilazione, per cui da intermedi a 6 C passeremo a intermedi a 5 C. Si libera CO2; è stato perso il primo carbonio dell’acido citrico che non è il carbonio carbossilico che è stato portato dall’acetilCoA ma è un C carbossilico che viene dall’acido ossalacetico. L’enzima che catalizza questa 3° tappa del ciclo dell’acido citrico (tappa che è di nuovo irreversibile, quindi è di nuovo una tappa di regolazione) è indicato come isocitrato deidrogenasi, in quanto agisce sull’acido isocitrico, sottrae H e forma l’acido alfa-cheto-glutarico. Questa reazione è di deidrogenazione e simultaneamente di decarbossilazione; si parla perciò di decarbossilazione ossidativa dell’isocitrato (decarbossilazione ossidativa che però si svolge con modalità del tutto diverse dalla decarbossilazione ossidativa del piruvato). L’enzima isocitrato deidrogenasi è indicato con l’acronimo PDH. L’enzima è attivo sul gruppo alcolico secondario e si comporta come una deidrogenasi NAD+ dipendente: toglie l’H direttamente legato al C come ione idruro (che viene trasferito al NAD+) e manda in soluzione come protone l’H legato all’ossidrile. Il risultato di questa reazione è la formazione di un intermedio altamente instabile, l’acido ossalsuccinico (radicale di acido ossalico legato ad un radicale di acido succinico, quindi ossalsuccinico). Questo intermedio non è mai stato isolato e immediatamente va incontro a decarbossilazione (catalizzata da enzima) per cui perde un gruppo carbossilico e si trasforma in alfa-cheto-gluterato. Il gruppo carbossilico perso era uno dei 2 gruppi carbossilici dell’acido ossalacetico che si era legato all’acetilCoA all’inizio; si arriva all’alfa-cheto-glutarico. Esistono 2 PDH, una l’abbiamo ricordata quando parlavamo degli enzimi che concorrono a formare NAD ridotto. L’altra, la più attiva, è legata ciclo dell’acido citrico, catalizza questa reazione e ha come cofattore NAD. Nei mitocondri e nel solubile esiste una seconda PDH che invece è NAD fosfato dipendente, quindi anziché NAD come cofattore utilizza NADP. Si era detto che PDH NADP dipendente solubile è importante perché concorre a formare NADP ridotto unitamente a 2

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deidrogenasi del ciclo del G6P e unitamente all’enzima malico. Però questa deidrogenasi NADP dipendente non ha niente a che vedere con il ciclo dell’acido citrico. L’enzima catalizza una delle reazioni chiave del ciclo acido citrico (per questo è importante e ha funzione regolatrice). L’enzima esiste in 2 forme, una monomerica praticamente inattiva e una polimerica (esamerica o ottamerica), data dall’aggregazione di più subunità, che è la forma cataliticamente attiva. In più esiste in isoforme che derivano dalla combinazione di catene alfa, beta e gamma, che si accoppiano in modo diverso nelle diverse isoforme. È da questa eterogeneità delle catene che derivano le diverse funzioni delle isoforme. Le isoforme però sono tutte coinvolte nella deidrogenazione dell’isocitrato. Poiché la forma attiva dell’enzima è quella polimera, mentre quella monomera è inattiva, gli agenti in grado di dissociare la forma polimerica saranno inibitori. Un eccesso di ATP o NAD ridotto nel mitocondrio portano alla dissociazione del polimero e alla conseguente in attivazione dell’enzima. Proteggono dall’ azione inibente di ATP e NAD ridotto l’ADP e il NAD ossidato. È importante che il prodotto della reazione di deidrogenazione dell’isocitrato è un alfa-cheto-acido, l’acido alfa-cheto-glutarico; per cui siamo in presenza di un composto che ha notevoli analogie con l’acido piruvico, perché anche l’acido piruvico era un alfa cheto acido. In rapporto a questa somiglianza, trattandosi in entrambi i casi di un alfa cheto acido, essendo l’acido piruvico decarbossilato ossidativamente ad acetilCoA, l’acido alfa cheto glutarico andrà incontro alla stessa reazione, cioè andrà incontro anch’esso ad una decarbossilazione ossidativa che porta alla formazione del succinilCoA (i passaggi comunque sono gli stessi). In effetti, l’enzima alfa-cheto-gluterato deidrogenasi è formato da 3 componenti: E1, E2 ed E3, analogamente al PDC. E1 porta come gruppo prostetico tiamina pirofosfato (TPP), E2 porta acido lipoico ed E3 è un’ossidoriduttasi che ha come gruppo prostetico FAD. Le 3 unità enzimatiche corrispondono a quelle del PDC. La differenza è che nel PDC la massa molecolare di E1 ed E2 è più piccola. E1 e forse E2 sono diversi da quelli del PDC; E3 è uguale (condividono E3). L’alfa-cheto-gluterato, in una tappa irreversibile, in presenza di NAD e CoA, forma succinilCoA con liberazione di NAD ridotto e CO2. Cosa succede durante la reazione: Interviene E1; il C2 dell’anello tiazolico della TPP cede l’H al gruppo carbonilico dell’alfa cheto gluterato e si forma un primo intermedio. L’enzima deprotona l’anello tiazolico e trasferisce l’H all’O carbonilico. Si forma un intermedio instabile che è l’alfa-idrossi-glutaril-tiamina-pirofosfato-enzima. È instabile e, ad opera dell’enzima, viene dapprima decarbossilato con liberazione di CO2. Formiamo come al solito questo intermedio instabile che adesso da E1 viene affrontato ad E2 che offre l’anello del ditiolano. E1 sposta il protone sull’anello del ditiolano; in pratica rompe il ponte disolfuro e forma un gruppo tiolico. Secondariamente l’enzima recupera l’H che aveva ceduto. In pratica un residuo a 4 C, che è adesso un succinile, viene portato su un atomo di S dell’anello del ditiolano. Arriviamo così a formare un 8S-succinil-diidro-lipoil-enzima2, in cui l’acido lipoico è diventato diidrolipoico e sull’S in posizione 8 della catena di acido ottanico è stato legato un succinile. È diverso dalla piruvatoDH perché in quel caso avevamo un acetile legato ad S; qui è un succinile. Altra differenza è che l’acetile era legato all’S in posizione 6, mentre in questo caso va all’S in posizione 8. L’intermedio è instabile. E2, in presenza di CoA, trasferisce il succinile al CoA e forma succinilCoA. È importante ricordare che il legame del succinile con l’acido diidrolipoico è ricco di energia, energia che si conserva nel legame con il CoA (si forma un legame ricco di energia tra succinato e CoA). L’ultima tappa è analoga a quella del piruvato: l’acido diidrolipoico torna acido lipoico su intervento dell’E3, che utilizzando FAD come gruppo prostetico, in presenza di NAD, riduce il NAD e si riossida. E3 è un enzima flavinico. L’enzima recupera i 2 H dell’acido diidrolipoico e li trasferisce prima al FAD e poi al NAD. Al termine della reazione E3 è in forma ossidata normale e si libera una molecola di NAD ridotto. Il NAD è substrato della reazione, in questo caso.

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Questa è la terza reazione irreversibile del ciclo dell’acido citrico e la seconda in cui si forma NAD. Il primo NAD si forma con l’isocitrato deidrogenasi e il secondo lo formiamo a livello dell’alfa cheto gluterato DH. È importante che nel corso della reazione si sia formato succinilCoA con un legame ricco di energia che ci permetterà di sintetizzare nella reazione successiva una molecola di ATP. È l’unico ATP che si forma nel ciclo dell’acido citrico, perché l’altro ATP non si forma nel processo, ma nella catena respiratoria. Nel ciclo dell’acido citrico si forma un solo ATP in una cosiddetta fosforilazione a carico del substrato. Tutto il restante ATP si forma fuori del ciclo. La reazione successiva è volta a staccare il CoA dal succinato. Si libera un CoA che può tornare ad essere utilizzato per formare acetilCoA e garantire apporto costante di acetilCoA al ciclo Krebs. L’enzima è la succinilCoA sintetasi, o succinilCoA ligasi o succinatoCoA ligasi (è il nome più giusto). Siamo in presenza di una ligasi, per cui nella reazione si ha la formazione di GTP da GDP+Pi. Importante: la ligasi usa GTP, è GTP dipendente, ma la conversione di GTP in ATP è costante. È una reazione reversibile pur essendo ligasica perché da un legame ricco di energia si forma un altro legame ricco di energia nel GTP. La reazione va verso l’equilibrio termodinamico. Questo enzima è interessante per il suo meccanismo azione. La reazione si svolge in momenti successivi:

1) L’enzima prende contatto con il succinilCoA e forma succinilCoAenzima (enzima legato al substrato)

2) L’enzima richiama fosfato inorganico e forma il complesso enzima-succinilfosfato con liberazione di CoA; probabilmente il Pi è legato al gruppo carbossilico del succinato quindi si dovrebbe formare un probabile intermedio in cui Pi, con legame di anidride, è legato al succinile. Quindi questo legame ha di nuovo il significato di un legame ricco di energia. L’enzima in pratica stacca CoA e lo scambia con fosfato.

3) Si libera succinato e si forma enzimafosfato, enzima che lega una molecola di acido fosforico. Questo intermedio l’hanno isolato e hanno visto che il fosfato è legato ad una istidina. Dalla catena emerge un radicale di istidina e l’enzima trasferisce il P dal succinilfosfato all’azoto tau o distale dell’istidina. Intermedio: fosfato-istidina-protide in cui il legame tra il fosfato e l’N dell’istidina è ricco di energia e instabile. È un esempio di enzima fosforilato a livello di un’istidina [un altro caso è nella glicolisi anaerobia, a livello della tappa 3-fosfoglicerato-mutasica. L’enzima fosfogliceratomutasi ha 2 istidine alternativamente fosforilate o defosforilate. Anche in quel caso il fosfato era legato all’N tau].

4) L’enzima trasferisce il fosfato al GDP e forma GTP. Così la reazione si chiude. L’enzima si libera pronto a catalizzare nuovamente la reazione.

Il problema è che abbiamo GTP e nelle cellule viene usato ATP, quindi bisogna convertire il GTP in ATP. Questa conversione è il prodotto di una reazione cinesica in cui il GTP dona il fosfato all’ATP. C’è l’intervento di una molecola di ADP che si trasforma in ATP, mentre il GTP diventa GDP. Interviene una cinasi che catalizza l’equilibrio reversibile. Come funziona questa cinasi? È stato isolato un intermedio che è un enzima fosforilato. L’enzima accetta temporaneamente il fosfato su se stesso. Il P è a livello dell’N prossimale (o �), quindi l’intermedio fosforilato in questa reazione cinasica è di nuovo un’istidinafosfato, dove però è un’istidina prossimale che lega il P. Non tutto il succinilCoA prosegue nel ciclo dell’acido citrico, ma in parte va verso altre vie a seconda dei tessuti:

• utilizzo di succinilCoA per attivare alfa cheto acidi e formare l’acilCoA derivato oppure

• utilizzo di succinilCoA per formare l’emo. Nei tessuti dove la sintesi di emo (e quindi di cromoprotidi pirrolici che portano emo come gruppo prostetico) è molto attiva. Nel fegato parte del succinilCoA va verso la sintesi dell’emo e quindi non procede tutto nel ciclo dell’acido citrico.

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Primo intermedio sintesi dell’emo: la prima reazione prevede la formazione dell’acido delta ammino levurrinico (?). Negli organi emopoietici (formazione di globuli rossi), il succinilCoA viene usato per formare il gruppo dell’emo. Nei tessuti periferici e in particolare nel muscolo, nel cuore e nel cervello, il succinilCoA è usato per attivare alfachetoacidi � i corpi chetonici (acido acetacetico) utilizzano succinilCoA per trasformare l’acido acetacetico in acetoacetilCoA, essenziale perché l’acido acetacetico possa essere utilizzato. Esiste in questi tessuti una CoAtransferasi che trasferisce CoA dal succinilCoA all’acido acetacetico, formando acetoacetilCoA. Il succinato che si è liberato ritorna al ciclo di Krebs; l’acetoacetilCoA entra in un processo demolizione che porterà alla formazione di 2 molecole di acetilCoA. Alla fine della sintesi dell’emo, invece, il succinato è convertito in altri metaboliti. Nel caso in cui il succinato rientri nel ciclo, non formeremo quella molecola di GTP che avevamo formato nel trasformare il succinilCoA in succinato. L’energia del legame del succinilCoA, però, viene usata per attivare l’acido acetacetico ad acetoacetilCoA, attivazione che è redditizia perché il muscolo, il cuore e il cervello sono in grado di degradarlo a 2 molecola di CoA, che poi va nel ciclo di Krebs. Quindi si perde un legame ad alta energia, ma in pratica c’è un guadagno di 24 ATP dall’acido acetacetico. Questo dice che il ciclo dell’acido citrico non serve solo per degradare acetoacetilCoA, quindi un’unità bicarboniosa, ma svolge innumerevoli altre funzioni; ne abbiamo un esempio a questo livello: fornisce un intermedio per attivare alfachetoacidi oppure per dare avvio alla sintesi dell’emo. Il succinato va incontro a una reazione di deidrogenazione che lo trasforma in acido fumarico. L’enzima è flavinico ed è la succinatoDH; è la prima volta che incontriamo un enzima flavinico (a parte la piruvatoDH) che interviene direttamente nel processo. La succinatoDH (SDH) toglie 2 H al succinato e forma acido fumarico. L’enzima forma l’acido fumarico cioè riconosce una differenza nei 2 gruppi metilenici perché toglie i 2 H che stanno dalla parte opposta rispetto al piano della molecola. Quindi anche se l’acido succinico non è una molecola simmetrica, l’enzima vede una certa simmetria perché riconosce una differenza nella disposizione spaziale degli H legati ai C metilenici. Forma l’isomero trans e non quello cis, che è l’acido maleico. È altamente stereospecifico nel sottrarre l’H al substrato. L’SDH è l’unico enzima del ciclo dell’acido citrico che non è presente nella matrice mitocondriale, ma che è legato alla faccia interna della membrana interna del mitocondrio. Questa ubicazione ha un significato profondo in quanto il FAD ridotto che si è formato, dall’enzima stesso viene trasferito a composti catena respiratoria che sono localizzati sulla membrana interna del mitocondrio. L’enzima ridotto non trova un substrato a cui cedere direttamente l’H nella matrice mitocondriale, ma nella forma ridotta l’enzima si aggancia alla catena respiratoria (ne è parte). In effetti questo enzima lo ritroveremo come componente del complesso II della catena respiratoria. Il FAD ridotto che si è formato legato all’enzima, dall’SDH è trasferito ad un componente della catena respiratoria che prende il nome di coenzima Q. L’SDH quindi toglie l’H al substrato, agisce a livello della matrice del mitocondrio, ma per riossidarsi ha bisogno della membrana interna del mitocondrio e di cedere l’H al coenzima Q. Se vogliamo indicare la reazione che avviene nel ciclo dell’acido citrico parliamo di SDH; se vogliamo indicare la reazione nella sua interezza (deidrogenazione e riduzione) dobbiamo parlare di succinato ossidasi, in quanto l’enzima è un’ossidasi che si ripartisce tra i 2 processi (ciclo dell’acido citrico e catena respiratoria). L’SDH ha 2 componenti , una a massa molecolare più alta (intorno ai 70000 dalton) che ha funzione catalitica e lega FAD; l’altra ha massa molecolare notevolmente più piccola (intorno ai 27000 dalton) ed è un’unità regolatrice che porta come gruppo prostetico Fe-S. L’SDH è formata da una componente 70 e una componente 27. La componente 70 porta legato FAD e porta anche legato Fe-S. La componente regolatrice porta legato solo Fe-S.

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Esistono molte proteine con questa caratteristica. Il Fe non è mai in struttura emo, cioè non è mai al centro di una struttura emo, ma è come ferro metallo che si lega direttamente alla proteina. Gli enzimi detti Fe-S-protidi hanno in genere massa molecolare piccola e sono importanti nei processi di ossidoriduzione (li troveremo nella catena respiratoria). Si parla di complessi Fe-S, ma non si sa esattamente come avvenga il legame tra Fe ed S; molto probabilmente il Fe lega simultaneamente 2 atomi di S. Sta di fatto che quando si cerca di stappare questo Fe-S dall’enzima si libera Fe metallico e S inorganico (precipita). Il Fe è inizialmente legato alle cisteine della proteina, poi aggancia S che non fa parte dei residui cisteina, quindi l’ultimo Fe che chiude la catena va di nuovo a legarsi con una cisteina. Queste proteine hanno 4 cisteine che legano 2 Fe. Più atomi di Fe sono legati fra loro a mezzo di ponti S. Vengono indicati come centri Fe-S, importanti nelle ossidoriduzioni. Non si sa come le 2 subunità (quella 70 e quella 27) siano unite. SDH è un enzima tiolico e in più è soggetta all’inibizione di composti di massa molecolare piccola, in genere acidi bicarbossilici che hanno una certa analogia strutturale con il substrato. Quindi questa inibizione è competitiva. Normalmente l’inibitore ha affinità per enzima > del substrato quindi per piccola che sia la sua concentrazione si lega all’enzima e ne ostacola il legame con il substrato. Gli inibitori sono estremamente potenti (alcuni svolgono la loro azione inibitrice anche a concentrazioni più basse di quelle che solitamente si trovano nelle cellule). Inibitori sono acidi bicarbossilici: l’acido malonico (3 C), l’acido malico (4 C con un gruppo alcolico secondario), l’acido ossalacetico e l’acido maleico (isomero cis dell’acido fumarico). Sono inibitori per l’enzima, mentre ad esempio l’acido alfa cheto glutarico, che è pure bicarbossilico, non è un inibitore. Questo perché negli acidi inibitori la distanza tra i gruppi carbossilici è di 1 o 2 C. nell’acido alfa cheto glutarico è di 3 C. Il sito in cui si lega l’inibitore è di dimensioni molto ristrette per cui possono legarsi solo acidi in cui i 2 gruppi carbossilici non distino più di 2 C. Perché sono tutti inibitori? Qual è il motivo comune che ritorna in tutti? È COH - CH. Rappresenta probabilmente la parte dell’inibitore (e anche del substrato) che va a legarsi al sito catalitico. L’inibitore più attivo è l’acido ossalacetico: in una situazione di 1000 molecole di substrato e 1 di ossalacetato, è l’ossalacetato che si lega all’enzima, quindi ha un’affinità almeno 1000 volte maggiore rispetto a quella del substrato. L’acido ossalacetico si lega all’enzima a livello del gruppo funzionale tiolico dell’enzima formando un tioemiacetale dal quale l’enzima non riesce a liberarsi a meno che la concentrazione di substrato non sia altissima, in modo da scacciare l’acido ossalacetico. L’intermedio tra l’enzima e l’inibitore prevede la partecipazione del gruppo tiolico dell’enzima, il quale viene legato con il gruppo carbonilico dell’inibitore e forma questo intermedio che ha la caratteristica di un tioemiacetale relativamente stabile. Con la formazione del fumarato siamo passati da un composto a 6 C (citrato) a uno a 4 C (fumarato), quindi, in pratica, abbiamo perso 2 CO2, una a livello dell’isocitrato DH e una a livello dell’alfa cheto gluterato DH. Sono stati persi i 2 carbossili dell’acido ossalacetico. Avendo liberato 2 CO2 è come se avessimo degradato una molecola di acetilCoA; anche se l’acetilCoA non è stato effettivamente degradato è equivalente come risposta. Ancora 2 tappe reversibili. Nella prima, l’enzima fumarasi trasforma l’acido fumarico in acido malico � la fumarasi addiziona gli elementi dell’acqua sul doppio legame, che scompare. È una liasi (fumarato idroliasi), quindi ha come primo numero 4. La reazione è reversibile però l’enzima è altamente specifico dato che riconosce in pratica solo l’acido fumarico. Addirittura ha una stereospecificità perché forma l’acido L-malico, cioè unicamente l’acido malico che porta l’ossidrile a sinistra del piano della molecola. L’acido L-malico va incontro a una reazione di deidrogenazione in cui interviene NAD come cofattore e si forma acido ossalacetico + NAD ridotto. La reazione è reversibile. L’enzima è la malico deidrogenasi (MDH), che si comporta come tutte le DH NAD dipendenti e cioè toglie come ione idruro l’H legato al C trasferendolo sul NAD+ e libera in soluzione come protone l’H legato all’ossigeno. Come conseguenza si formerà NAD ridotto e acido ossalacetico. L’equilibrio è reversibile, cioè da acido ossalacetico + NAD ridotto è possibile formare acido malico. Abbiamo

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utilizzato questa reazione in senso opposto rispetto a quella del ciclo dell’acido citrico nella gluconeogenesi (ossalacetato � malato in un compartimento e poi malato � ossalacetato in un altro compartimento). Trasporto dell’ossalacetato fuori del mitocondrio. Dentro il mitocondrio esiste una malico DH che fa parte del ciclo di Krebs che è proprio questa. Nel ciclo di Krebs catalizza l’equilibrio malato � ossacetalato; l’enzima di per sé preferisce trasformare ossalacetato in acido malico, quindi effettivamente l’equilibrio va dall’ossalacetato all’acido malico. L’enzima ha più affinità per l’acido ossalacetico di quanta non ne abbia per l’acido malico. L’equilibrio è sfavorevole al ciclo dell’acido citrico, però è reso favorevole dal pH. In effetti a pH fisiologico l’equilibrio è spostato verso malico � ossalacetico. A pH > 7 invece tende spostarsi in senso opposto. È importante che Mg2+ sia cofattore della reazione in quanto sembra che a mano a mano che reazione procede Mg2+ vada a legarsi al gruppo carbonilico dell’acido ossalacetico e che in questo modo lo allontani. Bisogna tenere conto che l’acido ossalacetico si comporta come inibitore di questo equilibrio in quanto l’enzima ha più affinità per l’acido ossalacetico che per l’acido malico. Per poco che si accumuli acido ossalacetico, l’enzima si lega ad esso e catalizza l’equilibrio inverso. Per cui, affinché l’equilibrio sia spostato a favore dell’acido ossalacetico bisogna continuamente allontanare acido ossalacetico, cioè evitarne l’accumulo. Nel ciclo Krebs questo è garantito perché l’acido ossalacetico ritorna sulla prima reazione e quindi, non appena formato, viene ripreso dalla citrato sintasi e allontanato dal sistema. Inoltre, il NAD ridotto che potrebbe favorire l’equilibrio opposto, nel mitocondrio non si accumula perché dalla matrice mitocondriale passa direttamente alla catena respiratoria, dove viene continuamente riossidato. Quindi, seppure l’enzima per sua caratteristica tenda a spostare l’equilibrio verso ossacetalato � malato, le condizioni che si realizzano nel ciclo di Krebs fanno sì che questo non sia mai possibile, perché continuamente l’acido ossalacetico è allontanato e continuamente il NAD ridotto riossidato. Con questa reazione si chiude in pratica il ciclo di Krebs perché a questo punto l’acido ossalacetico torna sulla prima reazione, forma acido citrico e riparte un secondo ciclo di Krebs. Bisogna ancora effettuare un calcolo della resa energetica per la degradazione di 1 molecola di acetilCoA, calcolo che ci permette anche di definire quanto ATP si forma nel catabolismo ossidativo del glucosio. Abbiamo visto che il catabolismo anaerobico rendeva al netto 2 ATP che dovranno essere sommati all’ATP che si forma nel ciclo di Krebs. ATP che si forma nel processo: 1 ATP. ATP che si formerà nella riossidazione dei cofattori ridotti (in catena respiratoria, che lavora in parallelo ad un secondo sistema detto fosforilazione ossidativa che provvede a utilizzare l’energia che si rende libera nella riossidazione dei cofattori per sintetizzare ATP). All’incirca nella riossidazione del NAD si liberano 3 molecole ATP, anche se in effetti sono un po’ meno di 3, e nella riossidazione del FAD si ottengono 2 molecole ATP. ATP da degradazione dell’acetilCoA: in un giro del ciclo di Krebs si sono formate 3 molecole di NAD ridotto (una a livello dell’isocitrato DH, una a livello dell’alfachetogluterato DH e una a livello della MDH). Dalla riossidazione di 3 NAD ridotto si ottengono 9 ATP. FAD ridotto formato in processo: 1, cioè 2 ATP. In più ATP che formato in processo stesso = 1 ATP a livello del succinilCoA. In totale ogni molecola di acetilCoA che viene degradata rende 12 ATP. Dal glucosio si formano 2 molecole acetilCoA, quindi 12 · 2 = 24 ATP. Bisogna ancora aggiungere l’ATP che viene dal NAD ridotto che si forma a livello della tappa piruvato DH, perché la decarbossilazione ossidativa del piruvato forma NAD ridotto. Sono 2 le molecole di piruvato che vengono carbossilate, quindi in totale si ottengono 6 ATP dalla decarbossilazione ossidativa del piruvato. Quindi 24 + 6 = 30. Bisogna inoltre tenere conto del NAD ridotto che nella glicolisi anaerobia rimane in eccesso quando la glicolisi non va ad acido lattico. Nella tappa gliceraldeide fosfato DH si formava NAD ridotto che era riossidato a livello della lattico DH. Se però la glicolisi si interrompe a piruvato e il piruvato entra nel mitocondrio, il NAD ridotto rimane inattivo a livello citoplasmatico e abbiamo visto i

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sistemi di trasporto del potere riducente (?). Quindi se il sistema spoletta che sposta il potere riducente dal solubile al mitocondrio si svolge a carico della malico DH, per ogni molecola riossideremo NAD ridotto nel citoplasma e formeremo NAD ridotto nel mitocondrio. Per cui in totale sono 6 ATP che vengono dalla riossidazione delle 2 molecole di NAD ridotto via sistema spoletta MDH. Se il sistema spoletta ha funzionato via alfa-glicerolfosfato DH, dentro il mitocondrio interviene un enzima flavinico (porta FAD) quindi avremo soltanto 4 ATP. Infine ATP che viene da glicolisi = 2 ATP netti. In totale degradare una molecola di glucosio per via ossidativa utilizzando come sistema spoletta l’MDH rende 38 ATP. Se si usa come sistema spoletta l’alfaglicerolfosfato DH rende solo 36 ATP. Rende molto di più di quanto non renda la via glicolitica (che ha però vantaggio dare ATP in modo immediato). Questo calcolo vale se il glucosio viene dal circolo, ma abbiamo visto che nel muscolo gran parte del glucosio viene dalla glicogenolisi. Ogni volta che la fosforilasi stacca una molecola di glucosio dal glicogeno, il glucosio si libera come G1P, che diventa G6P, che entra direttamente nella via glicolitica. Quindi, dato che non è consumato ATP per fosforilare il glucosio, per ogni glucosio che entra c’è un guadagno di 1 ATP. La glicolisi rende 3 anziché 2 se il glucosio viene dal glicogeno. Per cui in totale formeremo 39 ATP, e 37 nel caso del secondo sistema spoletta. Quindi è molto più vantaggioso degradare glucosio che viene da glicogeno. Se nel ciclo di Krebs il succinilCoA lascia il processo e nel cuore, nei muscoli e nel cervello è utilizzato per formare acetoacetilCoA, la resa di questo glucosio nel ciclo di Krebs sarà 37 o 35 (perdo l’ATP che viene formato a livello del substrato), a seconda del sistema spoletta utilizzato. Se invece il succinilCoA esce per andare all’emo, si perde l’energia del legame succinilCoA, non si forma fumarato (quindi si perde FAD) e si perde NAD. Quindi in totale per ogni CoA perdo 6 ATP. Per cui il processo poco è redditizio; il vantaggio però è che riesco a formare emo, che è un substrato estremamente importante. Quindi per il calcolo della rendita in ATP bisogna considerare queste cose. Catena respiratoria. Riossidazione di NAD e FAD. Processo che scorre parallelamente al ciclo dell’acido citrico perché si alimenta dei substrati NAD e FAD del ciclo dell’acido citrico. La catena respiratoria si svolge a carico della membrana interna del mitocondrio, non scorre nella matrice come il ciclo dell’acido citrico. Ha 4 momenti successivi, in ciascuno dei quali intervengono enzimi particolari, per cui differenziamo la catena respiratoria come formata da 4 complessi:

�� complesso I �� complesso II �� complesso III �� complesso IV

Il complesso I è indicato come NADH deidrogenasi e sarà un complesso che provvederà a riossidare il NAD ridotto. Il complesso II è di difficile definizione perché concorrono a questo complesso diverse deidrogenasi flaviniche, la succinato DH, e altre deidrogenasi che fanno parte di altri processi che vedremo in seguito, tra cui l’acilCoA DH (che troveremo nella degradazione dell’acido grasso), e poi l’alfa-glicerolfosfato DH (sistema spoletta). Sono essenzialmente 3 enzima flavinici che concorrono a formare il complesso II. Di questo complesso II fa parte anche il coenzima Q, indicato anche come ubichinone. Il coenzima Q che è anche substrato per il complesso I. I due complessi I e II condividono lo stesso accettore di H o di elettroni, che è il coenzima Q. Ubichinone sta a indicare un chinone di distribuzione ubiquitaria. In tutte le cellule che utilizzano ossigeno per la respirazione è presente ubichinone.

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I complessi III e IV sono caratterizzati dalla presenza di composti che prendono il nome di citocromi e che sono composti estremamente avidi di elettroni. In essi l’elettrone va a legarsi all’atomo di Fe che fa parte di un emo che è al centro della molecola protidica. Il complesso III in effetti è formato dal coenzima Q ridotto, dal citocromo C ossidato e dalla citocromo C ossidoriduttasi. In pratica il complesso III riossida il coenzima Q e riduce il citocromo C. Il complesso IV è indicato come citocromo ossidasi. Quindi in questi complessi sono coinvolte più proteine che provvedono nei singoli passaggi allo spostamento degli elettroni da un composto che dona a un composto che accetta. Caratteristica di alcuni di questi complessi è la presenza di Fe-S protidi che portano questi centri Fe-S. Il Fe continuamente varia di valenza durante la reazione, passando da Fe ferrico a Fe ferroso e viceversa. La seconda caratteristica dei complessi III e IV è che portano questi cromoprotidi, protidi colorati il cui gruppo prostetico è rappresentato da un emo o da un gruppo simile all’emo. In effetti parleremo di emo A, B e C (esistono anche emo D, E ed F di cui non ci occuperemo). L’emo B è il gruppo prostostetico dell’emoglobina. L’emo A e l’emo C sono differenziazioni rispetto all’emo B. Il complesso I provvede alla riossidazione del NAD ridotto e al trasferimento dell’H ad un accettore, il coenzima Q. Il coenzima Q esiste in 2 forme, una ossidata, indicata come ubichinone, e una ridotta, indicata come coenzima Q ridotto o ubichinolo. È un chinone perché ha questi (?) 2 doppi legami affrontati. Quando si riduce in pratica 2 atomi di H si portano sull’O carbonilico e si passa dalla forma chinonica alla forma aromatica di chinolo. L’anello si riduce e dalla forma chinoide passa alla forma di chinolo (passiamo ad anello aromatico). Caratteristica dell’ubichinone è la presenza di una lunga catena isoprenoide in cui le molecole di isoprene sono legate tra loro con legame testa-coda. La testa della prima unità va a legarsi alla coda della seconda unità e così via. Nel caso dell’ubichinone dei nostri tessuti, si parla di ubichinone 50 o coenzima Q 10 perché ha 10 unità isoprenoiche; 50 sta a indicare il numero totale di C sulla catena isoprenoide. Il coenzima Q si muove all’interno della membrana interna del mitocondrio, quindi si può spostare facilmente. È legato alla componente fosfolipidica della membrana probabilmente a mezzo della lunga catena isoprenoide. Si muove a mezzo di questo lungo braccio dato dalla catena laterale, che gli permette di spostarsi all’interno della membrana interna del mitocondrio. Quindi può essere condiviso dal complesso I o II perché in grado muoversi e affrontare i 2 diversi complessi. Il complesso I provvede ad ossidare NAD ridotto trasformandolo in NAD ossidato e sposta l’H dal NAD ridotto al coenzima Q. L’enzima è legato a membrana interna del mitocondrio. Riconosce il NAD della matrice mitocondriale, lo lega a se stesso e trasferisce l’H del NAD ridotto al coenzima Q, che fa parte invece della membrana interna del mitocondrio. La prima reazione che è catalizzata dal complesso I forma ubichinolo e NAD ossida. Questo complesso è dato dall’associazione di proteine diverse che sono tutte legate strettamente alla componente fosfolipidica della membrana mitocondriale. L’interazione avviene tra protide e fosfolipide. Questo legame è particolarmente stretto e in più è essenziale per l’attività dell’enzima. Quando si tenta di staccare mediante detergenti l’enzima dalla componente fosfolipidica. LEZIONE DI BIOCHIMICA DEL 16 DICEMBRE 2002: La fosforilazione ossidativa è un capitolo notevolmente difficile perché fino ad oggi come funzionano i diversi componenti della catena respiratoria non si conosce, quindi ci sono dei grossi problemi nel definire la funzione esatta dei vari enzimi che entrano a formare i complessi 1,2,3 e 4. Abbiamo visto come la catena respiratoria sia formata da quattro complessi e abbiamo parlato del complesso 1, indicato come NADH deidrogenasi oppure NADH coenzima Q enzima ossido-riduttasi, enzima che è deputato a riossidare il NAD ridotto e trasferire il potere riducente dal NAD al coenzima Q. Il primo problema è quali sono le reazioni che portano alla formazione di NAD ridotto: abbiamo visto che nel ciclo dell’acido citrico le reazioni che formano NAD ridotto sono tre

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cioè la isocitrato deidrogenasi, l’alfa chetoglutarato deidrogenasi e la malico deidrogenasi. Quindi tutto il potere riducente creato da queste tre deidrogenasi convoglia sul complesso 1, in più a questo complesso 1 si porta anche la piruvato deidrogenasi in quanto genera nel suo processo NAD ridotto. In più questo NAD ridotto verrà ancora dato da altre deidrogenasi che funzionano in altre vie metaboliche, in particolare verrà da una NAD deidrogenasi che è legata alla beta ossidazione cioè alla degradazione degli acidi grassi che sarà la beta idrossi acil Co A deidrogenasi, a questo aggiungiamo la glutammato deidrogenasi che utilizza come cofattore NAD. Al complesso 1, quindi, arriva NAD dalle tre deidrogenasi del ciclo di Krebs, dalla piruvato deidrogenasi, dalla beta idrossi acil Co A deidrogenasi che troveremo nella beta ossidazione, dalla glutammato deidrogenasi che utilizza come cofattore NAD e ancora da un gruppo di deidrogenasi che troveremo nel metabolismo degli amminoacidi che provvedono a ricarbossilare ossidativamente alfa chetoacidi, quindi in genere sono indicate come alfa chetoacido decarbossilasi che funzionano come la piruvato deidrogenasi e l’alfa chetoglutarato deidrogenasi. In pratica tutti i componenti della materia vivente: lipidi, glicidi e protidi concorrono a formare NAD ridotto. Nel ciclo di Krebs convogliano tutti i metaboliti che vengono dal catabolismo lipidico, protidico e glicidico, in più convoglia la piruvato deidrogenasi che viene dal catabolismo glicidico, convogliano le alfa chetoacido deidrogenasi che vengono dal catabolismo degli amminoacidi, la beta idrossi acil Co A deidrogenasi che viene dalla beta ossidazione. Le tre deidrogenasi del ciclo dell’acido citrico a cui arrivano i cataboliti dei glicidi, lipidi e protidi, quindi queste tre deidrogenasi sono condivise dal catabolismo protidico, lipidico e glicidico perché tutti convoglieranno un frammento di catena carboniosa al ciclo di Krebs. Legato al metabolismo glicidico la piruvato deidrogenasi perché decarbossila il piruvato che viene dal metabolismo del glucoso, legato al catabolismo degli amminoacidi abbiamo la beta idrossi acil Co A deidrogenasi che è specifica per la degradazione dell’acido grasso. Legata al catabolismo degli amminoacido abbiamo l’alfa chetoacido decarbossilasi e la glutammato deidrogenasi. Quindi il NAD ridotto che si forma nella matrice mitocondriale e accede come potere riducente al complesso 1 ha più di un’origine. Il complesso 1 è una grossa molecola ed è probabilmente formato da più subunità (cioè da più molecole di NAD deidrogenasi) del quale, inoltre, fanno parte delle ferro-solfo proteine. Questo complesso 1 o NADH deidrogenasi è contenuto all’interno della membrana mitocondrialr e per un lato si affaccia alla matrice mitocondriale e per l’altra si affaccia al lato citosolico della membrana mitocondriale. Nella matrice la NAD deidrogenasi si dispone in modo tale da affacciarsi per un lato alla matrice e dell’altro prendere rapporto con il lato citosolico. Il lato matrice porta il flavin monomucleotide che è quindi il primo a riceverne l’idrogeno dalla matrice, quindi porta FMN e il gruppo prostetico verso il lato della matrice e verso il lato matrice è pure spostato il primo centro ferro-solfo e probabilmente è un centro F4-S4. Quindi verso il lato matrice abbiamo un gruppo prostetico FMN e un primo centro ferro-solfo. Legato al complesso 1 c’è una molecola di coenzima Q che si sposta verso il lato citosolico e a questo coenzima Q fa seguito un secondo centro ferro-solfo di tipo F2-S2, cioè meno complicato dell’altro. Quindi su questa NAD deidrogenasi abbiamo due centri ferro-solfo: uno che è legato a FMN e l’altro è legato al coenzima Q, importante il coenzima Q è parte di questa NAD deidrogenasi. L’idrogeno dal NAD ridotto matrice mitocondriale viene legato al complesso 1, e il primo composto che riceve l’idrogeno è FMN, quindi l’enzima sottrae l’idrogeno al NAD presente nella matrice e trasferisce questo idrogeno al suo gruppo prostetico FMN. Con l’aiuto del centro ferro-solfo F4-S4 trasferisce due protoni e due elettroni al coenzima Q che si libera nella forma ridotta. Con l’aiuto del centro ferro-solfo l’enzima trasferisce il potere riducente e quindi l’idrogeno che era presente sul flavin mononucleotide lo trasferisce al coenzima Q e si formerà coenzima Q ridotto che ha accettato due protoni e due elettroni. Sempre sotto l’effetto dell’enzima, di questa NAD deidrogenasi, l’idrogeno fluisce da questo coenzima, che è parte integrante del complesso 1, ad un coenzima Q che è presente nella matrice mitocondriale sul lato citosolico che rappresenta il substrato della reazione. Quindi sulla NAD deidrogenasi abbiamo due coenzima Q: uno che è parte

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della proteina e uno che funge da substrato. Quindi l’idrogeno affluisce dal primo substrato al NAD ridotto, al secondo substrato coenzima Q attraverso il centro F4-S4 –coenzima Q- centro F2-S2. Quindi abbiamo due coenzima Q: uno che è legato alla NAD deidrogenasi e uno che fa da substrato che in definitiva è l’accettore terminale dell’idrogeno e degli elettroni. Questo secondo coenzima Q si affonda nella matrice mitocondriale sul lato citosolico. Quindi abbiamo questo coenzima Q che fa da substrato e che è parte della membrana interna però sul lato citosolico. Per cui si dice che il potere riducente fluisce dal NAD ridotto al flavin mononucleotide al centro ferro-solfo F4-S4, al coenzima Q, al centro F2-S2; quindi fa questo lungo tragitto prima di arrivare all’ultimo coenzima Q accettore finale e formare coenzima Q ridotto. Questo coenzima Q ridotto, l’ultimo sul lato citosolico diventa substrato per il complesso 3 che prende il nome di: citocromo c riduttasi o anche coenzima Q ridotto citocromo c ossido-riduttasi (il termine più rapido è citocroma c riduttasi) perché questo complesso 3 avrà la funzione di ossidare coenzima Q e ridurre il citocromo c. A livello di questo complesso 3 avramo una dissociazione dell’idrogeno in: protoni che rimangono nella matrice e in elettroni che fluiscono nei diversi componenti della catena respiratoria, quindi quando questo coenzima Q citosolico verrà riossidato in pratica cederà due protoni che rimarranno in attesa nella matrice più due elettroni che fluiscono, invece, attraverso i diversi complessi, quindi dal complesso 3 passeranno sul complesso 4 e da ultimo all’ossigeno molecolare. Il complesso 3 e il complesso 4 portano al loro interno citocromi che saranno rispettivamente: citocromo b, c e c1 per il complesso 3 e i citocromi a e a3 per il complesso 4. Questi citocromi innanzitutto sono tutti dei cromoprotidi pirrolici e il gruppo prostetico è dato dal sistema tetrapirrolico della porfina che è il gruppo prostetico dell’emoglobina. Si differenziano sia per la componente protidica che è diversa da citocromo a citocromo, sia per il gruppo prostetico: per cui distinguiamo uno emo a, un emo b e un emo c e poi emo d-e-f che sono altri tipi di emo di cui noi non ci occuperemo. L’emo b è contrassegnato da quattro anelli pirrolici che indichiamo come A,B,C,D uniti da quattro ponti mettinici che indichiamo come ponti alfa, beta, gamma e delta a cui sono sostituiti a livello dei singoli anelli pirrolici: quattro gruppi metilici nelle posizioni 1/3/5/8 e due gruppi vinilici nelle posizioni 2/4 e due radicali propionici nelle posizioni 6/7, quattro gruppi vitinici che sono i ponti CH nelle posizioni alfa, beta, gamma e delta che congiungono fra di loro i quattro anelli pirrolici e undici doppi legami alterni. Quindi l’emo b è un acido basico dove l’acidità è data dai due radicali propionici, la definizione migliore è che l’emo b è l’acido 1-3-5-8 tetramelil; 2-4 divinil porfil; 6-7 dipropionico perche il nucleo fondamentale è la porfina, inoltre è un acido perché in posizione 6-7 porta due radicali propionici. Al centro dei quattro anelli pirrolici, un atomo di ferro il quale nel caso dei citocromi varia costantemente di valenza da ferro ferrico che è rappresenta il citocromo ossidato a ferro ferroso che rappresenta il citocromo ridotto, quindi a differenza dell’emoglobina in cui il ferro è sempre bivalente, sia che l’emoglobina sia ossigenata, sia che si trovi nella forma ridotta; nel citocromo, invece il ferro continuamente varia di valenza: da trivalente a bivalente a seconda dello stato di ossidazione del citocromo. Le due valenze coordinative residue del ferro, dato che il ferro ha coordinazione 6, vanno direttamente alla proteina, quindi l’emo è saldamente ancorato alla componente protidica neicitocromi, mentre il legame è molto più labile nel caso dell’emoglobina. Questi due legami coordinativi non sono noti, cioe non si conosce quale sia la parte proteica che interagisce con il ferro nel citocromo a e nel citocromo b. Al contrario il legame è chiaro nel caso del citocromo c e nel citocromo c1 in cui si è visto effettivamente come l’emo interagisce con la proteina. Nel caso del citocromo b che porta come gruppo prostetico l’emo b, le due valenze coordinative del ferro che sono libere vanno direttamente ad amminoacidi componenti la catena proteica, quali siano, però, gli amminoacidi con cui l’emo stabilisce questo ponte, per il citocromo b non lo conosciamo. La proteina legata all’emo del citocromo b e del citocromo a è difficilmente staccabile dalla membrana interna perché interagisce profondamente con la componente fosfolipidica della membrana mitocondriale, quindi il citocromo b ed il citocromo a sono dei lipoprotidi, dato che sono strettamente legati alla membrana interna del mitocondrio tanto che quando cerco di agire con degli agenti che sono dei tensioattivi (cioè che abbassano l’iterazione

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protide-lipide) la proteina si stacca in forma denaturata, quindi l’iterazione con il fosfolipide di membrana è essenziale perché la proteina mantenga le sue caratteristiche naturali. Tutti i citocromi hanno uno spettro di assorbanza caratteristico, perché tutti assorbono elettivamente intorno ai 440-400 nanometri e la banda che si sviluppa in questa regione dello spettro prende il nome di: Banda di Soret ed è la banda caratteristica per tutti i composti che hanno come gruppo prostetico un derivato della porfina. Inoltre tutti i citocromi hanno uno spettro di assorbimento nella regione visibile tra i 500 e i 600 nanometri che si rendono evidenti quando il citocromo è nella forma ridotta mentre si attenuano o addirittura scompaiono quando il citocromo è nella forma ossidata: per cui la differenziazione in citocromi a, b, c è fatta sullo spettro ridotto del citocromo e non sullo spettro ossidato. Nel complesso 3 vedremo i citocromi b che hanno come gruppo prostetico emo b che ha questi sostituenti caratteristici, ricordando che il ferro al centro del sistema varia da valenza 3+ a valenza 2+ quando verranno trasferiti gli elettroni. L’emo c è fondamentalmente simile all’emo b, a differenza che i due gruppi vinilici in posizione 2 e 4 sono sostituiti da due etili che si originano dall’iterazione dell’emo con la proteina, quindi l’emo c è un prodotto di riduzione dell’emo b. Nel caso dell’emo c si conosce il legame fra l’emo e la proteina, legame che impegna due residui di cisteina, i quali vengono a reagire con i due radicali vinilici, quindi a livello di due radicali vinilici si legano due gruppi tiolici della cisteina. Il gruppo tiolico, in pratica fa da riducente per il gruppo vinilico cioè l’idrogeno di questo gruppo tiolico si porta al carbonio metilenico, il solfo si attacca al carbonio metilenico, quindi questo gruppo tiolico fa da riducente per il vinile, in pratica l’idrogeno del gruppo tiolico si porta sul gruppo CH2 e forma CH3 e il carbonio CH si aggancia all’atomo della cisteina (si forma un legame tio-etereo fra l’etile della catena laterale e la cisteina). La seconda cisteina ha la stessa funzione per cui nella formazione di questo legame tio-etereo i due vinili diventano in pratica due etili. In questo modo il legame tra il gruppo prostetico e la proteina diventa estremamente saldo, in effetti quando si tenta di staccare il gruppo prostetico, in genere la catena si spezza e trascina a se questa sequenza: lisina, istidina, alanina, glutammina, cisteina e istidina. Caratteristica di questo citocromo c è che ha un punto isoelettrico estremamente basico, intorno a 10, il che sta a dire che la proteina è ricchissima di amminoacidi basici che si distribuiscono sul lato ben preciso del citocromo c e saranno questi ammonoacidi basici, che permetteranno al citocromo c di interagire con il complesso 4. A differenza dei citocromi b che sono in grado di autossidarsi, il citocromo c non è autossidabile, quindi fa da accettore di elettroni a patto che un’enzima li trasferisca su di lui e fa da donatore di elettroni se dall’altra parte c’è un’enzima che gli toglie idrogeno, quindi non è un’enzima perché non è autossidabile a PH fisiologico, ma a PH oltre 11 diventa autossidabile, però questo non ha più significato perché nelle nostre cellule il PH è intorno a 7,2-7,4. Questa proprietà vale anche per il citocromo c. Tutti i citocromi c avranno come gruppo prostetico questo emo b ridotto a livello dei gruppi vinilici, quindi si parla di emo c. L’emo a si distingue dall’emo b e anche dall’emo c perché il vinile in posizione 2 è sostituito da una catena isoprenoide formata da tre unità isopreniche che sono congiunte a livello del carbonio 2 mediante un gruppo idrossi-etilico. L’idrossi-etile si lega una catena formata da tre unità isoprenoidi unite fra di loro in un legame testa-coda, per cui sono 15 carboni che provengono dalle tre unità isoprenoidi più due che provengono dall’idrossi-etile. Considerando che due isopreni hanno 10 carboni e formano un terpene, nel caso del citocromo a avremo un terpene e mezzo che è indicato come sesquiterpene (15carboni), quindi è una catena sesquiterpenica in posizione 2 legata all’emo mediante un legame idrossi-etilico. Un’altra differenza nell’emo a è che il metile nella posizione 8 è sostituito da un gruppo formilico. A questo punto il coenzima Q ridotto sul lato citosolico trasferisce gli elettroni al complesso b, mentre i protoni verranno lasciati nella matrice mitocondriale, quindi c’è una dissociazione tra protoni ed elettroni a livello del complesso 3. Il complesso 2 come il complesso 1 converge sul complesso 3, quindi la catena respiratoria è inizialmente ramificata in un complesso 1 e in un complesso 2, i quali convergono sul complesso 3.

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Il complesso 2 raccoglie tutte le deidrogenasi flaviniche, cioè tutti quegli enzimi che formano il FAD ridotto nei diversi processi metabolici. Gli enzimi flavinici che si formano nelle diverse vie metaboliche sono: la succinato deidrogenasi nel ciclo dell’acido citrico, l’acil Co A deidrogenasi che è l’enzima che dà inizio alla beta ossidazione e nei sistemi spoletta l’alfa glicerol fosfato deidrogenasi mitocondriale. Tutte queste tre deidrogenasi si riossidano cedendo protoni ed elettroni al coenzima Q, il quale provvederà a trasferire i protoni nella matrice mitocondriale e gli elettroni al complesso 3. Il passaggio dal NAD ridotto al coenzima Q porta una differenza di potenziale notevolmente alta, quindi c’è una differenza di potenziale notevole tra il NAD ridotto ed il coenzima Q, mentre la differenza di potenziale tra l’enzima flavinico ridotto ed il coenzima Q è notevolmente bassa. Questa differenza di potenziale tra NAD e coenzima Q fa si che, per meccanismi non ancora chiari, dalla matrice mitocondriale vengano rilasciati nello spazio intermembrana protoni. A livello del complesso 1, là dove il NAD si ossida ed il coenzima si riduce c’è un salto di potenziale di ossidazione notevolmente alto che si traduce in modificazioni conformazionali di proteine che fanno parte della membrana mitocondriale, per cui in pratica c’è un flusso di protoni verso lo spazio intermembrana e pare siano quattro protoni che si liberano per ogni NAD che si ossida, questi protoni non vengono dall’idrogeno che scorre nella catena respiratoria, ma da modificazioni conformazionali di proteine che fanno parte della membrana interna, le quali nel modificarsi di forma rilasciano protoni ed è molto probabile che siano residui di istidine, le quali a PH fisiologico sono in equilibrio fra la forma protonata e la forma deprotonata, quindi è probabile che siano istidine protonate che si deprotonano e cedono l’idrogeno. A livello del complesso 1 c’è una acidificazione dello spazio intermembrana che corrisponde al flusso di protoni che dal lato matrice si sposta verso il lato citosolico della membrana. Questo flusso di protoni non si genera a livello del complesso 2, perché la differenza di potenziale fra FAD ridotto e coenzima Q è minima. Il complesso 3 è molto complesso e l’organizzazzione non l’hanno ancora chiarita a fondo: sicuramente è formato da un citocromo b che porta legato due emo: uno detto emo l e l’altro detto emo h detti anche emo 560 (perché assorbe relativamente nella forma ridotta 560 nanometri) ed emo 566 perché la banda si sposta nel passaggio emo h-emo l da 560 a 566, poi porta un centro ferro-solfo che forma una parte del citocromo b, inoltre lega un secondo citocromo che è il citocromo c1. Questa proteina da un lato considera il coenzima Q ridotto che sarà il suo substrato mentre il secondo substrato è rappresentato dal citocromo c. Poiché il coenzima Q cede due elettroni dovremo immaginare che il citocromo c sia presente in due molecole, perché ognuno porta un atomo di ferro, in realtà il meccanismo della reazione avviene per un passaggio successivo degli elettroni, cioè viene ceduto un elettrone alla volta, conseguentemente nella reazione è necessario un solo citocromo che accetta un elettrone alla volta, in quanto non appena un citocromo c è ridotto immediatamente prende rapporto col complesso 4 e trasferisce l’elettrone. Il citocromo c è formato dal citocromo b che porta emo h ed emo l, dalla ferro-solfo proteina e dal citocromo c1, quindi quando il coenzima Q ridotto, che possiamo immaginarlo con i due idrogeni legati, prende rapporto con il citocromo b, nel primo intervento determina la liberazione di un idrogeno dal coenzima Q che si libera come protone e il trasferimento dell’elettrone alla ferro-solfo proteina, dalla ferro-solfo proteina passa sul citocromo c1 e dal citocromo c1 passa al citocromo c. Il primo idrogeno, quindi, viene allontanato dal coenzima Q come protone che passa in soluzione e un elettrone che fluisce attraverso il citocromo b, ferro-solfo protide, citocromo c e da ultimo citocromo c. Poiché il coenzima Q perde un solo idrogeno, si trasforma in una forma detta coenzima Q radicalico, estremamente reattivo. A questo punto su questo coenzima Q radicalico interviene il citocromo b con il suo emo l ed il suo emo h, in pratica a questo coenzima Q radicalico viene sottratto un elettrone che viene portato sull’emo l e dall’emo l rimbalza sull’emo h e simultaneamente il coenzima Q perde il protone, quindi l’idrogeno se ne va come il protone e il coenzima Q ritorna nella forma ossidata. L’elettrone che è rimasto sull’emo h più il protone che si è liberato ritornano a legarsi su un coenzima Q radicalico. Questa è la difficoltà: siamo arrivati ad avere l’elettrone sull’emo h più un protona in soluzione, nel contempo una seconda molecola di coenzima Q ha trasferito l’elettrone attraverso il ferro-solfo protide, citocromo c1, citocromo c e si è

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liberato come coenzima Q radicalico. Questo coenzima Q radicalico accetta l’elettrone dall’emo h ed il protone che si è liberato forma il coemzima Q ridotto che dinuovo innesca il passaggio: ferro-solfo proteina, citocromo c, coenzima Q radicalico, emo h. Attraverso questo soggiorno dell’elettrone sul citocromo h in pratica un solo elettrone fluisce dal coenzima Q verso il citocromo c e perchè questo elettrone possa fluire è necessario che il coenzima Q venga rilasciato come coenzima Q radicalico, cioè nel coenzima Q i due elettroni ed i due protoni hanno un significato diverso: uno altamente reattivo che immediatamente viene staccato dall’emo b, passa sulla ferro-solfo proteina, va al citocromo c1 e al citocromo c; l’altro indicato come elettrone a basso livello energetico che deve ruotare all’interno dell’emo b per raggiungere un livello energetico sufficiente per riformare un coenzima Q ridotto dinuovo reattivo. Quindi un elettrone ruota all’interno del citocromo b e viene portato ad alto livello energetico, l’altro elettrone, invece, con un alto livello energetico passa immediatamente attraverso la ferro-solfo proteina, cioè la ferro-solfo proteina, il citocromo c1 ed il citocromo c accettano solo elettroni ad alto potenziale, il secondo alettrone che è a basso potenziale viene innalzato ad alto potenziale ruotando all’interno dell’emo l-h: in questo modo riesce a raggiungere un livello energetico tale per poter essere trasferito alla ferro-solfo proteina, al citocromo c1 ed al citocromo c. In questo modo una sola molecola di citocromo c è sufficiente per accettare uno alla volta gli elettroni che vengono da coenzima Q. Tutto ciò funziona se immediatamente il citocromo c ridotto si riossida attraverso il complesso 4, quindi c’è una stretta relazione tra complesso 3 e complesso 4, i quali lavorano in tandem: se uno si ferma, si ferma anche l’altro. Il complesso 4 ha una massa molecolare notevolmente grande, pare mezzo milione di dalton ed è formato da almeno dieci diverse subunità: due subunità legano emo che sono indicate rispettivamente: emo a ed emo a3 e la parte catalitica della citocromo ossidasi è quella legata all’ emo a3, la parte della citocromo ossidasi legata all’emo a ha solo la funzione di accettare gli elettroni e di cederli per mezzo di enzimi e precisamente sarà l’emo a3 che stacca l’elettrone dal citocromo c e lo manderà all’ossigeno molecolare (nell’intermezzo l’elettrone soggiorna sull’emo a, quindi l’emo a è come l’emo c cioè fa da trasportatore di elettroni ma non è autossidabile, mentre emo a3 è autossidabile e corrisponde al vero enzima). Il citocromo a è formato da due parti: una che porta l’emo a3 e l’altra che porta emo a. L’emo a si affronta al citocromo c, quindi la parte della citocromo ossidasi che guarda il citocromo c è quella che porta emo a. Questo emo a a sua volta è legato ad un atomo di rame che varia di valenza da 2+ a 1+ e viene indicato come rame a, il quale si interpone in pratica tra la subunità che lega l’emo a e la subunità che lega emo a3 e porta un secondo atomo di rame che è indicato come rame b, il quale si interporrà fra l’emo a3 e l’ossigeno molecolare. Quindi il flusso di elettroni passerà dal citocromo c all’ emo a, al rame a, all’emo a3, al rame b e poi all’ossigeno molecolare. Per mezzo del citocromo a3, poichè questo è il vero enzima, l’elettrone passerà dal ferro del citocromo c che si troverà in forma ridotta 2+, l’elettrone passerà all’emo a che diventerà ferro divalente, mentre il citocromo c si riossida a ferro ++, quindi l’elettrone passa sul ferro che da trivalente diventa bivalente, l’elettrone fluisce dal ferro bivalente dell’emo a al rame a che da bivalente diventerà rame monovalente, successivamente l’elettrone passerà all’emo a3, il cui ferro trivalente diventerà bivalente e da ultimo questo ferro si riossida cedendo l’elettrone al rame b che dinuovo da 2+ passerà a 1+, questo è il destino del primo elettrone che arriva. Quindi la sequenza è: citocromo c, citocromo a, rame a, citocromo a3, rame b, ossigeno molecolare. Il secondo elettrone che arriva compie lo stesso tragitto ma si ferma sul ferro dell’emo a3, per cui con l’arrivo del secondo elettrone l’emo a3 si troverà nella situazione di avere il ferro bivalente ed il rame monovalente, in questa forma in cui tutti e due i metalli sono ridotti lega l’ossigeno e si forma un’intermedio di natura ancora sconosciuta in cui con valenza coordinativa il ferro si lega ad un atomo di ossigeno e il rame ad un altro atomo di ossigeno. A questo punto ferro e rame cedono l’elettrone per cui passiamo ad un derivato di natura perossidica, in pratica quando arrivano i due elettroni abbiamo il ferro bivalente ed rame monovalente, a questo punto legano la molecola di ossigeno attraverso legami coordinativi deboli, ciascuno cede l’elettrone, quindi il rame cede

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l’elettrone ad un atomo di ossigeno ed il ferro cede l’elettrone ad un altro atomo di ossigeno, per cui avromo dinuovo il ferro trivalente ed il rame bivalente perché si sono ossidati quando hanno ceduto l’elettrone all’ossigeno, quindi si forma un derivato perossidico tra rame-ferro e ossigeno-ossigeno. Questo è l’ultimo intermedio che hanno isolato dopo di che le sequenze non si conoscono, sta di fatto che altri due elettroni sopraggiungono e porteranno in presenza di quattro protoni nella matrice alla formazione di due molecole di acqua. Quindi arrivati alla sua formazione questo derivato perossidico rimane per il momento fermo, sopraggiungono altri due elettroni i quali in presenza di quattro protoni presenti nella matrice mitocondriale formeranno due molecole di acqua. Quindi per la completa riduzione di una molecola di ossigeno sono necessari quattro elettroni e quattro protoni, vale a dire due molecole di NAD ridotto o due molecole di FAD ridotto. E' interessante ricordare a riguardo dei differenti complessi che in parte le proteine che fanno parte dei diversi complessi vengono formate dal DNA mitocondriale, la maggior parte però è formata dal DNA nucleare. Le proteine fatte da DNA mitocondriale fanno parte del complesso 1 e 4. Quelle del complesso 1 con modificazioni profonde o con deficienze possono tradursi in neuropatie cioè perdita della vista, del gusto, dell'olfatto, dell'udito della degenerazione della componente nervosa che prende il nome di Neuropatia ottica ereditaria di Leber, dove l'ereditarietà dipende dalla madre, perchè il DNA mitocondriale è prevalentemente di origine materna, quindi la patologia è detta Neuropatia ottica ereditaria materna di Leber. La catena respiratoria è stata studiata per mezzo di inibitori che colpiscono la catena respiratoria a livelli molto precisi. Schematizzando molto la catena respiratoria possiamo vedere la sequenza: NADH, complesso 1, FADH e complesso 2, convergono sul coenzima Q, il quale converge attraverso il citocromo b al citocromo c, il quale converge al citocromo a-a3 e quindi all'ossigeno molecolare; questa è la trafila che fanno gli elettroni e il distacco dei due protoni avviene a livello del coenzima Q-citocromo b. Esistono delle sostanze che svolgono un'inbizione elettiva in alcuni punti della catena respiratoria e in particolare il trasferimento del potere riducente dal NAD ridotto al coenzima Q è fortemente inibito da amital o barbital (sono barbiturici e si assumono come sonniferi) ed erotenone, i quali inibiscono elettivamente il passaggio del potere riducente dal NAD ridotto al coenzima Q. Il passaggio degli elettroni dal coenzima Q al citocromo c, quindi a livello del citocromo b è fortemente inibito da antimicina che è un antibiotico, mentre a livello del citocromo ossidasi agiscono come inibitori: cianuro e ossido di carbonio. Se utilizzo amital ed erotenone avrò accumulo di NAD ridotto e tutta la rimanente parte della catena respiratoria in forma ossidata, se blocco con l'antimicina la riossidazione dei cofattori si limiterà al coenzima Q ridotto che si accumula e la rimanente parte della catena respiratoria ossidata, se io blocco con cianuro o con ossido di carbonio verrà bloccata la riossidazione della citocromo ossidasi, cioè blocco il trasporto a livello dell'ossigeno molecolare. Cianuro e ossido di carbonio hanno una elettività differente: il cianuro si lega solo alla citocromo a-a3 nella forma ferrica e quindi bloccherà il trasferimento degli elettroni dal citocromo c al citocromo a perchè impedisce al citocromo a di ridursi, mentre il monossido di carbonio blocca nel passaggio dalla citocromo ossidasi all'ossigeno molecolare, quindi avremo accumulo della citocromo ossidasi nella forma ridotta che non riesce più a riossidarsi a livello dell'ossigeno molecolare, quindi se blocco con cianuro avrò una citocromo ossidasi ferrica che non riesce a passare nella forma ferrosa, il NAD ridotto si accumula perchè il cianuro si lega elettivamente al ferro trivalente e ne impedisce la riduzione a ferro bivalente, quindi blocca gli elettroni nel passaggio dal citocromo c all'emo a-a3. Il monossido di carbonio, invece, si lega elettivamente alle forme ridotte della citocromo ossidasi, quindi la citocromo ossidasi ha ricevuto l'elettrone dal citocromo c ma non riesce a trasferirlo all'ossigeno molecolare, quindi a monte si accumuleranno tutti gli intermedi ridotti e non ci sarà riduzione dell'ossigeno molecolare. Considerando la funzione del cianuro e dell'ossido di carbonio si capiscono gli avvelenamenti dai gas di città, perchè il gas contiene cianuro e ossido di carbonio, i quali inspirati ad alte dosi possono portare ad un blocco della catena respiratoria, il che vuol dire alla morte cellulare. Questi sono processi reversibili, cioè se si interviene rapidamente e con

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quantità di ossigeno molto alte l'inibitore in genere viene scacciato, ma se l'inibitore è rimasto per molto tempo ad una concentrazione molto alta, in genere il processo è irreversibile e subentra la morte. Sintesi di ATP significa fosforilazione ossidativa, mentre catena respiratoria significa ossidazione dei cofattori ridotti con una formazione di una molecola di acqua. Per spiegare la fosforilazione ossidativa ci sono almeno tre ipotesi, anche se due di queste nel tempo hanno perso di significato: una era la Teoria del cambiamento conformazionale, cioè la variazione conformazionale di proteine con sintesi di ATP, l’altra era la Teoria di un legame labile, oggigiorno rimane valida la Teoria chemiosmotica o anche Teoria di Mitchell. Quest’ultima teoria è quella che trova il maggior supporto sperimentale anche se non è del tutto soddisfacente, però trova supporto nelle altre due teorie. Questa Teoria di Mitchell si basa su una osservazione sperimentale valida, ovvero quando la catena respiratoria funziona in punti ben precisi, a livello del complesso 1-3 e 4 c’è una liberazione di protoni che a livello della matrice mitocondriale fluiscono nello spazio intermembrana, per cui in tre punti lo spazio intermembrana si arricchisce di protoni e cioè nello spazio che si affaccia alla NAD deidrogenasi, nello spazio che si affaccia al complesso 3 e nello spazio che si affaccia al complesso 4. Questo cumulo di protoni porta una differenza di carica tra l’ambiente esterno sempre più ricco di protoni e l’ambiente interno sempre più povero, per cui lo spazio intermembrana si acidifica e lo spazio matrice si basifica. Questa differenza di potenziale fa si che ad un certo punto le proteine di membrana che sono localizzate a livello di questi tre siti subiscano una modificazione conformazionale che si traduce a livello della matrice mitocondriale in sintesi di ATP. L’enzima che preordina questa sintesi di ATP è indicata come andenosin trifosfatasi mitocondriale, terminologia che non è soddisfacente perché bisognerebbe parlare di adenosin trifosfato ligasi cioè enzima che forma ATP. La definizione adenosin trifosfatasi mitocondriale viene dal fatto che in particolari condizioni sperimentali l’enzima che dovrebbe formare ATP, si trasforma, invece, in una idrolasi che scinde ATP in ADP e pirofosfato, quindi sperimentalmente questa ATP ligasi si trasforma in una ATPasi, ma solo sperimentalmente, mentre in vivo catalizza la trasformazione da ADP e fosfato in una molecola di ATP. Per formare questo legame ricco di energia sfrutta il gradiente protonico che si è costruito a livello della catena respiratoria. Questa ATP ligasi è stata isolata nel mitocondrio e risulta costruita da due parti che sono indicati come: componente F1 e componente F0. Entrambe le componenti sono multisubunità, il complesso F1 è formato da almeno cinque differenti tipi di catene: alfa, beta, gamma, delta ed epsilon, di cui le catene alfa e beta sono ripetute tre volte, quindi il complesso è indicato come alfa3-beta3-gamma-delta ed epsilon. Il fattore F0 è anch’essa una multisubunità di cui due proteine sono state differenziate: una indicata come proteina OSCP che indica una proteina che conferisce alla ATP ligasi sensibilità all’oligomicina, in quanto l’oligomicina legandosi a questa subunità blocca la fosforilazione ossidativa. Una seconda proteina è stata isolata da questo complesso ed è indicata come F6 che è un fattore di accoppiamento, cioè il fattore che accoppia il flusso di protoni alla sintesi di ATP. La componente F1 si affaccia alla matrice mitocondriale, mentre la componente F0 si affonda all’interno della membrana mitocondriale. Della proteina F1 fanno da raccordo tra la parte espansa e la parte di base le catene gamma, delta ed epsilon (che sono nella zona di restrizione, indicata come collo), le catene alfa e beta le troviamo nella parte espansa e il sito catalitico si localizza sulle catene beta. E’ molto probabile che il fattore F0 funga da canale per i protoni, ossia quando la concentrazione di protoni nello spazio intermembrana ha raggiunto un valore critico, questi protidi, interagendo col fattore F0 ne modificano la conformazione per cui F0 si apre e permette ai protoni di fluire attraverso il collo fino alla subunità catalitica beta. Il sopraggiungere di protoni alle subunità beta fa si che beta modifichi la sua conformazione, passando da uno stato in cui non ha affinità per il substrato, quindi ADP e fosfato ad uno stato che ha alta affinità per i substrati, quindi è in grado di formare ATP, a un terzo stato in cui perde affinità per il prodotto della reazione ATP e non ha

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affinità dinuovo per i substrati a causa di modificazioni conformazionali. Quindi importante è la condizione in cui beta diventa altamente affine per i substrati ADP e fosfato e scarsamente affine per il prodotto della reazione ATP, per cui lega di più i fosfati che immediatamente rilascia, in modo che il sito catalitico è pronto a legare ADP e fosfato per formare ATP. Questa continua modificazione di forma proseguirà fin tanto che arrivano protoni, quando l’accesso di protoni si chiude immediatamente la subunità beta ritorna alla forma di base, in cui non ha affinità per i substrati, quindi non possono sintetizzare ATP. Quando il NAD si riduce, poiché sono tre i siti in cui è funzionante questa fosforilazione ossidativa avremo la simultanea formazione di tre ATP, perché sfrutta tutti e tre i siti di flusso protonico; quando il FAD si ossida, poiché sono soltanto più due i siti di flusso protonico, avromo solo la sintesi di due ATP (manca la prima fuoriuscita di protoni col complesso 2, cioè dipende solo dal complesso 1). Esistono degli agenti che sono in grado di bloccare la fosforilazione ossidativa e vengono indicati come agenti disaccoppianti, cioè questi agenti lasciano la catena respiratoria funzionante ma bloccano la fosforilazione ossidativa per cui il mitocondrio continua a respirare attivamente ma non riesce a sintetizzare ATP, cioè annullano il gradiente protonico. In genere sono composti carichi negativamenti che avidamente legano protoni, nella forma protonata passano attraverso la membrana mitocondriale interna, arrivano nella matrice dove nuovamente si deprotonano e quindi annullano il gradiente protonico che c’è tra l’interno e l’esterno. Un tipico agente disaccoppiante è il dinitro fenolo indicato come DNP. Il DNP è un fenolo che ha come sostituenti due nitro gruppi, questo fenolo esiste nella forma protonata ma anche nella forma deprotonata. Quando è deprotonato reagisce facilmente con l’eccesso protonico nello spazio intermembrana, quindi si protona e annulla il gradiente; è un composto fortemente lipofilo cioè passa attraverso la membrana, diffonde nella matrice dove ritorna a deprotonarsi e quindi in questo modo annulla la differenza di carica tra l’esterno e l’interno. La catena respiratoria continua a funzionare nel tentativo di generare il flusso protonico, ma questo viene annullato dall’inibitore, per cui in genere con l’aggiunta del DNP il mitocondrio respira, cioè c’è un consumo altissimo di ossigeno ma non c’è sintesi di ATP. Un altro agente che agisce come disaccoppiante è l’oligomicina, questa proteina che fa parte di F0 che è una proteina ad alta affinità per l’oligomicina, lega l’oligomicina e in questa forma impedisce al canale di aprirsi e quindi impedisce lo sfruttamento del gradiente protonico, cioè blocca la comunicazione tra lo spazio intermenbrana e la matrice, impedisce ai protoni di fluire all’interno del complesso 1 e quindi di innescare la fosforilazione ossidativa (la catena respiratoria è attivamente funzionante). L’oligomicina è utilizzata nello studio del meccanismo che sta alla base della fosforilazione ossidativa. Sulla membrana interna del mitocondrio e sul mitocondrio di alcuni tessuti vi è una proteina detta Termogenina, la quale è coinvolta nella fosforilazione ossidativa. Questa termogenina è presente nel cosidetto grasso bruno o grasso scuro degli animali che vanno in ibernazione, ovvero l’animale sopravvive perché sfrutta questa presenza di termogenina per garantire una certa temperatura corporea per impedire di morire per assideramento. Il grasso bruno è presente anche nel neonato, con funzione simile a quella che ha negli animali che vanno in letargo, perché permette al neonato una termogenesi, la quale non è ancora perfettamente regolata come nell’adulto. La termogenina è una proteina dimerica che può funzionare alternativamente come canale per i protoni. Normalmente la termogenina non può funzionare come canale e questa chiusura è data dai nucleotidi ATP ed ADP, mentre viene forzatamente aperta dagli acidi grassi. Se il canale è aperto, rapidamente il flusso protonico dallo spazio intermembrana ritorna alla matrice, quindi annullano il gradiente, non c’è più sintesi di ATP e questo riflusso di protoni si traduce in un aumento di temperatura. Quando un animale va in ibernazione sfrutta il grasso che ha depositato durante il periodo attivo e sfrutta questo grasso proprio demolendo i trigliceridi ad acidi grassi, gli acidi grassi vengono catabolizzati e danno energia, nello stesso tempo provocano la trasformazione della termogenina in un canale attivo che annulla il gradiente protonico ed impedisce la sintesi di ATP in eccesso, ma traduce questa energia in calore che serve per mantenere l’animale in vita. Per l’uomo

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adulto questa termogenina apparentemente non c’è più, anche se il dubbio è che ci sia in una forma che non è ancora conosciuta perfettamente. In genere un individuo obeso dovrebbe essere protetto dal freddo, in realtà, molto spesso l’obeso sente molto il freddo perché ha una termogenina che non risponde all’eccesso di acidi grassi che stanno arrivando, quindi la sua termogenina continua ad essere chiusa, di conseguenza c’è una sintesi di ATP che verrà utilizzata per formare altri acidi grassi e quindi il loro tessuto adiposo continuerà a crescere, ma questo tessuto adiposo non lo protegge dalla temperatura esterna bassa perché la termogenina non funziona come canale protonico e quindi come generatore di calore. Questa è una curiosità che serve a spiegare alcuni dei fenomeni che osserviamo. METABOLISMO LIPIDICO. -DEMOLIZIONE E SINTESI DELL’ACIDO GRASSO -DEMOLIZIONE E SINTESI DI LIPIDI SEMPLICI E LIPIDI COMPLESSI Da dove proviene l’acido grasso? L’acido grasso viene da lipidi e, in particolare da trigliceridi, che sono i lipidi che vengono utilizzati a scopo energetico (mentre i lipidi complessi che hanno una funzione costitutiva sono soggetti a un turn over più lento e raramente il loro acido grasso viene utilizzato a scopi energetici). Quello che utilizziamo per trarre energia è l’acido grasso contenuto nei trigliceridi e in parte nei colosteridi, che sono i cosiddetti lipidi dinamici, cioè quelli che continuamente la cellula sfrutta, quando ha bisogno di energia, o che deposita quando è in eccesso di energia (lipidi che concorrono a formare il tessuto adiposo). Questi trigliceridi possono provenire da acidi grassi derivati dalla degradazione di lipidi della digestione (in particolare dai trigliceridi contenuti negli alimenti) oppure da acidi grassi che provengono da trigliceridi di deposito tessutale. Quindi, quando si parla di trigliceridi, la loro origine può essere differente: o il trigliceride è veicolato in circolo (e in questo caso è in gran parte sotto forma di lipoproteina e l’acido grasso che compone questi trigliceridi viene dalla digestione dei trigliceridi della dieta); alternativamente, l’acido grasso che troviamo in circolo è legato ad albumina e viene da trigliceridi che erano nel tessuto adiposo, quindi trigliceridi di deposito da cui l’acido grasso è stato mobilizzato. Come si arriva formare la lipoproteina e quali sono le lipoproteine che veicolano in circolo il trigliceride da cui noi staccheremo l’acido grasso per degradarlo? E come si forma quest’acido grasso legato ad albumina che viene dai trigliceridi del tessuto? Se si parla di acidi grassi che provengono da componenti della dieta, l’acido grasso è veicolato in circolo come trigliceride legato a lipoproteina, quindi in un complesso lipoproteico, la cui origine è da posizionarsi a due livelli, a livello dell’intestino e a livello del fegato. Quindi, i due tessuti che più largamente concorrono a formare queste lipoproteine sono da una parte l’intestino, quindi gli enterociti, dall’altra parte gli epatociti. Nel caso degli enterociti, l’acido grasso è l’acido grasso che proviene dalla digestione dei componenti della dieta. Nel caso degli epatociti l’acido grasso che serve per formare i trigliceridi può essere acido grasso che è derivato dal circolo, oppure viene da una sintesi ex-novo di acidi grassi che si sono formati nel fegato. • Utilizzo dell’acido grasso a livello dell’enterocita. Nella digestione i lipidi che sono introdotti con l’alimentazione sono essenzialmente trigliceridi e questi sono distribuiti in cibi di origine vegetale, in particolare agli olii (olio di oliva, olio di semi…) oppure sono contenuti in grassi animali (il cosiddetto tessuto adiposo, cioè il lardo, ad esempio). Nell’intestino questi trigliceridi vengono attaccati da una lipasi, che indichiamo come lipasi pancreatica, la quale provvede a degradare il trigliceride. Perché avvenga la digestione di questi trigliceridi, nell’intestino dev’esserci bile, che viene prodotta a livello del fegato e immagazzinata nella cistifellea e dalla cistifellea veicolata all’intestino. Questa

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bile contiene dei tensioattivi potenti che sono gli acidi biliari, i quali emulsionano la componente lipidica suddividendola in goccioline estremamente piccole, tali da facilitare l’attacco da parte della lipasi pancreatica (i lipidi infatti non sono solubili in acqua, il succo intestinale è una soluzione salina, per cui la componente lipidica si separerebbe in pratica dalla fase acquosa, cioè formerebbe delle grosse gocce all’interno della fase acquosa, con una tensione superficiale tra lipide e acqua notevolmente alta, che renderebbe impossibile l’avvicinamento dell’enzima deputato a degradare il trigliceride, cioè della lipasi. Questa alta tensione superficiale porterebbe una denaturazione della lipasi per cui non riuscirebbe ad accedere al substrato). La presenza degli acidi biliari diminuisce notevolmente la tensione superficiale, per cui la grossa goccia si suddivide in migliaia di goccioline piccole, di conseguenza la superficie d’attacco da parte della lipasi viene aumentata enormemente e la tensione superficiale tra una gocciolina e l’ambiente esterno è estremamente più bassa rispetto a quando la goccia è unica, per cui viene enormemente facilitato l’intervento della lipasi. In più, questi acidi biliari hanno la funzione di legame all’acido grasso a mano a mano che viene liberato dalla lipasi e quindi concorrono a mantenere un pH intorno alla neutralità, laddove la lipasi agisce. L’acido biliare lega l’acido grasso che man mano è formato dalla lipasi, lo sottrae dal mezzo in cui la lipasi sta lavorando e quindi impedisce che ci sia un’acidificazione di pH nell’intorno in cui l’enzima agisce. Questi acidi biliari sono dei tensioattivi, quindi ad alta concentrazione si comportano come denaturanti della lipasi. L’organismo è estremamente previdente e genera una proteina che viene indicata come co-lipasi la quale, legandosi alla lipasi, la protegge dall’azione denaturante degli acidi biliari. Quando la lipasi viene prodotta a livello del pancreas, viene secreta in combinazione con questa co-lipasi che, legata alla lipasi, fa da scudo all’azione denaturante degli acidi biliari. In questo modo prevale solo l’azione benefica degli acidi biliari, cioè quella di essere dei tensioattivi. Come attacca questa lipasi il trigliceride? Un trigliceride è un estere di glicerolo con tre acidi grassi (esistono anche monogliceridi e di gliceridi quando non tutti i tre ossidrili alcolici sono esterificati con l’acido grasso). Normalmente nei lipidi componenti la dieta troviamo quasi esclusivamente trigliceridi, in cui i tre acidi grassi esterificati in genere sono diversi, quindi sono tre acidi grassi differenti che si legano alla molecola del glicerolo (l’unica eccezione è rappresentata dal trigliceride dell’olio di oliva che è la tri-oleina, la quale invece è formata da tre molecole dello stesso acido, che è l’acido oleico). In posizione � normalmente troviamo un acido grasso insaturo, mentre nelle posizione � e �' l’acido grasso è saturo. La lipasi prodotta dal pancreas è riversata col succo pancreatico nell’intestino: inizia ad attaccare il trigliceride e riconosce sul trigliceride le posizioni � e �', non riconosce la posizione �. Quindi, attacca una prima volta in presenza di acqua il legame estere, libera l’acido grasso e forma un di gliceride (un �, � digliceride). Poi attacca nella posizione �', rompe di nuovo il legame estere e di nuovo spacca l’altro acido grasso e forma un �-monogliceride. Su questo �-monogliceride la lipasi non può più intervenire. In parte il prodotto di digestione dei lipidi viene assorbito a livello intestinale come �-monogliceride. Tuttavia il pH alcalino che esiste nell’intestino fa si che esista uno spostamento spontaneo (quindi non mediato da enzimi) dell’acile in � verso la posizione � o �'. Non appena l’acile dalla posizione � si è spostato in� o in �', il legame estere è nuovamente riconosciuto dalla lipasi e idrolizzato. In definitiva arriviamo a formare glicerolo e tre molecole di acido grasso. Quindi, a livello intestinale l’assorbimento di un trigliceride avviene in presenza di glicerolo e acidi grassi, oppure di un �-monogliceride più acidi grassi. Gli acidi grassi a corta catena (cioè fino intorno a otto atomi di carbonio) dagli enterociti passano direttamente al circolo; gli acidi grassi a lunga catena, invece, non possono lasciare l’enterocita se non in forma di trigliceride. Quindi, a livello intestinale, gli acidi grassi che sono stati assorbiti vengono ri-esterificati, quindi trasformati in trigliceridi e, come trigliceridi, rimessi in circolo. Quando l’acido grasso è a lunga catena, in circolo non va come acido grasso libero, ma come acido grasso esterificato con glicerolo. Quindi passa come trigliceride in circolo e non lo troviamo libero, ma lo troviamo legato a lipoproteine a costituire,nei riguardi delle lipoproteine formate dagli enterociti, i chilomicroni che

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sono le lipoproteine caratteristicamente prodotte dalle cellule intestinali. Gli acidi grassi liberi arrivano all’enterocita, dall’enterocita vengono ri-esterificati, quindi trasformati in trigliceride e il trigliceride viene incorporato all’interno di grosse molecole in parte costituite da trigliceridi, in parte costituite da protidi che prendono il nome di chilomicroni. Quindi, quando il trigliceride lascia la cellula intestinale è in forma di chilomicrone. I chilomicroni sono proteine a densità bassissima in cui la componente lipidica prevale nettamente sulla componente protidica e la componente lipidica è in larga misura formata da trigliceridi, da piccole quantità di colesterolo e colesteridi e da piccole quantità di fosfolipidi. Nel chilomicrone abbiamo un nucleo centrale in cui si addensano trigliceridi e in parte colesteridi, cioè lipidi fortemente idrofobici, mentre verso la superficie sono presenti delle proteine in numero relativamente scarso, che vengono indicate col suffisso di APOPROTIDE e in particolare, a seconda del tipo di proteina, vengono indicate con una lettera dell’alfabeto: APOA-A, APO-B, APO-C, APO-D, APO-E, APO-F. Quindi, abbiamo un nucleo centrale ricchissimo in trigliceridi e una periferia leggermente idrofila caratterizzata dalla presenza di queste proteine, tra le quali l’APO-B48 è caratteristica dei chilomicroni. APO-B48 identifica una particolare proteina che caratterizza i chilomicroni e che NON troviamo in altre lipoproteine, perché questa APO-B48 è prodotta dalle cellule intestinali. Accanto a queste APO-B48 esistono altre proteine di peso molecolare molto minore: le APO-C, tra cui in particolare la APO-C2. il ruolo di queste proteine è di conferire idrofilicità alla molecola, quindi permettere al trigliceride di essere veicolato in circolo e, in parte, di agganciare la lipoproteina all’endotelio dei vasi in cui la proteina sta scorrendo. In pratica questa proteina fa da gancio per la lipoproteina alle cellule endoteliali, con cui la lipoproteina ha la possibilità di interagire: da questa interazione sarà possibile il suo rimaneggiamento. Dal fegato vengono prodotte altre lipoproteine che indichiamo come VLDL, che vuol dire lipoproteine a bassissima densità, le quali hanno caratteristiche molto simili ai chilomicroni e derivano da attività degli epatociti che sono in grado di legare acidi grassi spostati in circolo dai chilomicroni, internalizzarli ed esterificarli con glicerolo e incorporarli nelle VLDL. Gli epatociti sono anche in grado di formare trigliceridi ex-novo, a partire da acidi grassi formati all’interno dell’epatocita. Nelle VLDL troviamo trigliceridi dominanti (come nei chilomicroni): l’acido grasso di questi trigliceridi può derivare da un acido grasso veicolato dal chilomicrone, che viene ceduto all’epatocita, il quale risintetizza da quest’acido grasso il triglideride e lo incorpora nella VLDL; alternativamente, l’acido grasso può essere sintetizzato dentro l’epatocita, trasformato in trigliceride e incorporato nella VLDL. Quindi, in più rispetto all’intestino, il fegato ha un’attiva sintesi di acidi grassi, i quali possono concorrere a formare i trigliceridi che troviamo nella VLDL. Caratteristica proteina della VLDL è l’APO-B100, che è una forma più estesa dell’APO-B48: la massa molecolare è circa doppia rispetto all’APO-B48 Questi due tipi di proteine in circolo vanno incontro a continuo rimaneggiamento: possono perdere trigliceridi ,perché questi vengono degradati, possono modificare la loro composizione lipidica, cioè arricchirsi in colesteridi e in fosfolipidi, possono scambiare la componente protidica di membrana nello scontro la lipoproteina e lipoproteina e da queste interazioni tra chilomicroni e VLDL originano altre proteine, che sono sempre lipoproteine, indicate come LDL, HDL (non hanno origine tessutale, ma si formano in circolo per rimaneggiamento dei chilomicroni e delle VLDL). Le LDL sono caratterizzate da una ridotta quantità di trigliceridi e un’alta percentuale di fosfolipidi e colesterolo. Le HDL sono ricchissime di colesterolo e colesteridi e tra tutte le lipoproteine sono le più idrofile, cioè quelle più ricche in protidi e più povere in componente lipidica. In un campo elettroforetico le proteine che migrano più velocemente sono le HDL che hanno una carica superficiale più netta. I chilomicroni praticamente non si muovono perché sono fortemente idrofobici e non risentono dell’azione del campo elettrico; poi migrano le LDL, poi le VLDL e le HDL. Le più veloci sono le HDL, le meno veloci i chilomicroni, con una velocità intermedia le LDL e VLDL.

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In alcuni testi le HDL sono indicate come lipoproteine di tipo �, le LDL come lipoproteine di tipo � (o �-lipoproteine), le VLDL, poiché migrano davanti alle LDL, sono indicate come pre-lipoproteine-� (pre-�). I trigliceridi presenti sui chilomicroni e le VLDL vengono mobilizazzati, quindi perdono i loro acidi, per effetto di una lipasi, che è presente sull’endotelio dei vasi, che prende il nome di LIPOPROTEINA LIPASI. La LIPOPROTEINA LIPASI ha la funzione specifica di attaccare il trigliceride nella lipoproteina. Come fa la lipoproteina lipasi che è immobilizzata nell’endotelio a riconoscere il chilomicrone che è in transito? Lo riconosce per la presenza della APO-C2, che fa da gancio tra la lipoproteina-lipasi e il trigliceride.Quindi, il chilomicrone mentre passa davanti alla lipoproteina lipasi viene riconosciuto per la presenza di questo APO-C2. Legandosi all’APO-C2 la lipoproteina-lipasi modifica la sua conformazione e diventa estremamente attiva sul trigliceride veicolato dal chilomicrone o dalla VLDL: attacca il trigliceride e gli stacca l’ACILE in posizione � o in posizione �’, mentre ha più difficoltà a riconoscere l’acile in posizione �. L’acido grasso staccato dal trigliceride è libero e viene captato immediatamente da proteine presenti sulla membrana dell’endotelio (che fanno da recettore per l’acido grasso), diffonde nella membrana dell’endotelio, riconosce le membrane delle cellule sottostanti l’endotelio, e in queste di nuovo si lega a delle proteine, che riconoscono l’acido grasso e che ne permettono il passaggio attraverso la membrana cellulare e il raggiungimento del citoplasma. L’acido grasso non è mai libero ma è sempre legato a proteine che lo trasportano. • Seconda origine dell’acido grasso che viene catabolizzato. L’ acido grasso può provenire anche da trigliceridi che si sono depositati nel tessuto, quindi dal tessuto adiposo. In questo caso l’acido grasso viene mobilizzato da una lipasi che prende il nome di lipasi-tessutale, per contraddistinguerla dalla lipasi pancreatica e dalla lipoproteina lipasi del circolo. La lipasi tessutale è indicata anche come lipasi ormono-sensibile. La lipasi ormono-sensibile riconosce il trigliceride presente nel tessuto, ma è in grado di staccare da questo trigliceride unicamente l’acido grasso in posizione di � o �', quindi forma soltanto DIGLICERIDI e sul digliceride non è più attiva. Il digliceride verrà attaccato dalle ESTERASI ASPECIFICHE, le quali agiscono sul legame di poliestere, in presenza d’acqua, e staccano prima l’acile in posizione �, poi quello in posizione �. Questa lipasi tessutale è indicata come lipasi ormono-sensibile perché è regolata da ormoni, in particolare è attivata da adrenalina e glucagone e inibita da insulina. Il messaggero dell’adrenalina e del glucagone è l’AMP-ciclico, che si comporta quale attivatore della PROTIDE CINASI A, ne stacca le subunità catalitiche e questa protide cinasi A in presenza di ATP va a fosforilare la lipasi tessutale, trasformandola nella forma attiva. La lipasi ormono-sensibile esiste in due forme: una forma defosforilata inattiva, e una forma fosforilata attiva. Il passaggio dalla forma defosforilata a quella fosforilata avviene su intervento di ATP, che va a fosforilare il residuo di Ser libero, formando serina-fosfato: questa fosforilazione è mediata da una PKA, soggetta ad attivazione da cAMP. Il passaggio inverso dalla forma fosforilata a quella defosforilata è mediata da una fosfatasi: avviene una reazione di idrolisi (reazione esterasica) in cui l’enzima, in presenza di acqua, stacca il fosfato e la lipasi ritorna nella forma INATTIVA. La fosfatasi che agisce a questo livello è controllata da insulina. In condizioni di digiuno il glucosio come sorgente energetica perde vantaggio perché la glicemia sta scendendo, conseguentemente la cellula per produrre ATP mobilizza i trigliceridi dai tessuti di deposito, libera l’acido grasso e lo utilizza. Questa mobilizzazione è garantita da una secrezione intensa di glucagone: il glucagone ha da un lato un effetto iperglicemizzante, cioè facilita la glucogenolisi a livello epatico, dall’altra ha un’azione mobilizzante i trigliceridi di deposito, in quanto garantisce un apporto di acidi grassi alto, in modo da sopperire alla quantità di glucosio che è meno disponibile in condizione di digiuno. Dopo un pasto, quando con la dieta apportiamo acidi grassi, la secrezione di glucagone è repressa e aumenta la secrezione insulinica; conseguentemente l’insulina si porta a livello del tessuto adiposo, blocca la lipasi tessutale e in queste condizioni va a stimolare la deposizione di trigliceridi. L’insulina blocca

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la degradazione del trigliceride in loco. Per questo l’insulina viene indicata come ormone lipogenico (o lipogenetico): stimola la sintesi di trigliceridi e blocca la lipolisi. L’adrenalina e il glucagone sono detti ormoni lipolitici, perché mobilizzano i trigliceridi di deposito e non sono attivi sulla sintesi, ma promuovono una lipolisi intensa. L’acido grasso che viene liberato dai tessuti in circolo non è veicolato legato alle lipoproteine (perché la lipoproteina accetta solo il trigliceride), ma viene veicolato legato ad albumina serica(cioè è legato ad una proteina che è presente in circolo, l’ALBUMINA, con la quale forma un complesso). Arrivata al tessuto che ha la necessità di acido grasso, l’ALBUMINA serica legata all’acido grasso riconosce un recettore specifico sulla membrana cellulare della cellula tessutale, l’acido grasso interagisce con questo recettore, si stacca dall’albumina, diffonde nella componente lipidica della membrana e, immediatamente, come si libera nel citoplasma, viene agganciato da una proteina che lo sostiene finché non verrà utilizzato (questa proteina fa da supporto, ne garantisce la solubilità e lo veicola ai sistemi che ne determineranno l’utilizzo, cioè che attiveranno l’acido grasso e lo avvieranno alla degradazione). La tappa fondamentale perché l’acido grasso possa essere utilizzato è la sua ATTIVAZIONE, che significa legare l’acido grasso al CoA nella formazione di ACIL-CoA. Acido grasso attivo vuol dire acido grasso legato al Coenzima A. Il legame tra acido grasso e CoA è un legame ricco di energia, la cui costituzione prevede consumo di ATP. L’attivazione dell’acido grasso può avvenire nel citoplasma e in particolare a livello della faccia esterna della membrana esterna del mitocondrio, oppure sulla faccia esterna della membrana del reticolo endoplasmico. In aggiunta a queste due posizioni c’è un’attivazione all’interno della matrice mitocondriale. L’attivazione di acidi grassi a lunga catena avviene esclusivamente a livello citosolico; l’attivazione di acidi grassi a corta catena (fino a 8 carboni) avviene quasi esclusivamente nella matrice mitocondriale. Gli acidi grassi a corta catena passano la membrana interna del mitocondrio (dal citoplasma si traslocano nel mitocondrio senza problemi); invece gli acidi grassi a lunga catena non superano la barriera data dalla membrana interna del mitocondrio e quindi dovranno essere attivati nel citosol. L’attivazione avviene con modalità differenti nel citoplasma e nella matrice mitocondriale. • ATTIVAZIONE CITOPLASMATICA Avviene per gli acidi grassi in cui n sia superiore a 8 (da 10 carboni in su). Gli acidi grassi a più di 10 carboni sono largamente rappresentati dall’acido palmitico (C16), stearico (C18). L’attivazione prevede l’intervento di una ACIL-CoA LIGASI (o ACIL CoA SINTETASI), che unisce l’acido grasso al CoA, consumando ATP. 1° reazione. La ligasi attacca l’ATP, lo scinde in AMP e PIROFOSFATO e trasferisce l’AMP all’acido grasso, per cui il primo prodotto della reazione è un ACIL-ADENILATO + PIROFOSFATO. L’acile è legato al fosfato in posizione 5 dell’AMP con un legame di ANIDRIDE (sono 2 acidi che interagiscono fra di loro). Questo legame è ricco di energia, per cui quando si idrolizza questo legame si ha una resa energetica pari, se non superiore, a quella del legame pirofosforico che si è scisso sull’ATP. La reazione dal punto di vista termodinamico sarebbe reversibile, perché degradiamo un legame ricco di energia e ne formiamo uno ricco di energia, tuttavia la reazione è irreversibile perché immediatamente il pirofosfato, in presenza di acqu, viene trasformato in 2 molecole di acido fosforico ad opera di una pirofosfatasi (quindi interviene un’anidride fosfatasi che trasforma il pirofosfato in due molecole di ortofosfato). Questa reazione è estremamente importante perché il pirofosfato è tossico per la cellula ed è inibitore della ligasi (quindi se si accumulasse lentamente la ligasi cesserebbe di funzionare). 2° reazione. La lipasi prende l’acile e lo porta sul CoA, formando acilCoA+AMP. Si forma un legame TIOESTEREO, ricco in energia che permette all’acido di entrare in catabolismo, cioè di essere

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degradato. A questo punto l’acilCoA deve spostarsi dentro il mitocondrio perché la degradazione avverrà nella matrice mitocondriale. Il problema è che la membrana mitocondriale interna non permette il passaggio né dell’acido grasso libero, né del coenzima A, né del corrispondente acilCoA: il trasporto è mediato da una molecola di CARNITINA. • ATTIVAZIONE DELL’ACIDO GRASSO NELLA MATRICE MITOCONDRIALE. (In questo caso l’acido grasso non ha più bisogno di traslocazione, perché si forma nella sede in cui avverrà la sua degradazione). L’attivazione mitocondriale riguarda acidi grassi a corta catena, che attraversano liberamente la membrana mitocondriale interna, oppure ß-CHETO ACIDI ed in particolare l’ACIDO ACETOACETICO (che è uno dei corpi chetonici). Gli acidi grassi a corta catena sono: C2 (acido acetico), C4 (acido butirrico), C6 (acido capronico), C8 (acido caprilico). Per questi l’attivazione è mediata da una ligasi che si dice GTP-dipendente, cioè utilizza come sorgente di energia GTP e lo scinde GDP e fosfato. Per esempio, dall’acido capronico si liberano GDP e fosfato inorganico e si forma CAPRONIL-CoA. Intermedio della reazione è l’acido grasso legato a fosfato e non legato al nucleotide. L’enzima in un primo momento forma un capronil-fosfato, cioè un acil-fosfato intermedio, in cui il fosfato è legato con legame di anidride al gruppo carbossilico. L’acil-fosfato intermedio è instabile ed in un momento successivo forma Acil-CoA (in questo caso capronil coenzima A+ fosfato.). La differenza è che il nucleotide si libera ed il fosfato rimane legato come intermedio all’acido grasso, mentre nell’altra attivazione il nucleotide rimane legato all’acido grasso e si libera pirofosfato. Per l’acido acetoacetico l’attivazione è mediata da una CoA transferasi che utilizza ,come donatore di CoA, succinil-CoA (cioè CoA legato ad un acido, il succinato). Il succinil CoA si forma nel ciclo di Krebs ed in parte è utilizzato nella reazione ligasica per generare succinato e GTP, in parte viene dirottato verso l’attivazione dell’acido aceto-acetico. E’ importante ricordare che questa modalità di attivazione ( attivazione dell’aceto-acetato in aceto –acetil-CoA, via succinil-CoA) non avviene nel fegato perché il fegato manca dell’enzima specifico. Questo spiega perché il fegato non è capace di utilizzare i corpi chetonici, di degradarli ma solo di sintetizzarli. I tessuti periferici, invece, sono incapaci di fermare i corpi chetonici, ma sono in grado di utilizzarli perché hanno la capacità di attivarli nel corrispondente aceto-acetil-CoA. Quindi l’attivazione dell’acido aceto-acetico è caratteristica di tessuti quali il muscolo scheletrico, il cuore ed il cervello che sono i tre tessuti che più attivamente utilizzano i corpi chetonici e, tra questi, nettamente più attivi sono il muscolo ed il cuore. In questi tessuti il succinil-CoA del ciclo dell’acido citrico può essere temporaneamente allontanato ed utilizzato per attivare l’acido aceto-acetico, con formazione di aceto-acetil-CoA, che potrà essere degradato, mentre il succinato ritornerà al ciclo di Krebs per continuare nella sua demolizione. L’equilibrio è completamente spostato verso la formazione dell’aceto-acetil-CoA e non procede in senso inverso. Oltre ad essere attivato via succinil-CoA un’attivazione di entità molto minore può avvenire nel citoplasma in presenza dell’acetil-CoA-ligasi che è ATP dipendente: aceto acetato + ATP, formazione di un intermedio aceto-acetato-AMP e poi aceto-acetil CoA (cioè utilizza il sistema di attivazione della frazione solubile). Quindi, in alternativa, l’acido acetico può essere attivato direttamente nel citoplasma ,senza arrivare al mitocondrio, in presenza di ATP,formando aceto-acetilCoA + AMP + pirofosfato. • β-OSSIDAZIONE Gli acil-CoA che si sono formati dentro la matrice mitocondriale potranno accedere direttamente al sistema di degradazione che prende il nome di β-ossidazione ed è esclusivamente della matrice mitocondriale (l’attivazione avviene nello stesso luogo in cui avverrà la degradazione).

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Per gli acil Coa che si sono formati nel citoplasma, si pone il grosso problema di spostare quest’Acil CoA al mitocondrio. L’Acil CoA non passa la membrana mitocondriale interna, così come non la passano il CoA e l’acido grasso libero. Occorre trovare un sistema che faciliti il trasporto: il trasporto è mediato da CARNITINA. La CARNITINA è una molecola piccola, cioè ha un peso molecolare basso ed è un derivato dell’acido butirrico, in particolare l’acido β-OH-γ-trimetil-ammino-butirrico, in cui l’ammino-gruppo è trimetilato. Il gruppo che lega l’acido grasso è il gruppo alcolico in posizione β. Quando la carnicina fa da trasportatore per l’acido grasso, questo si trova legato con legame estereo (ricco di energia) a livello del gruppo ossidrilico in β, quindi si trova sotto forma di composto indicato col termine di acil-carnitina. La carnitina è un composto che noi forniamo attivamente. Il precursore della carnicina è un residuo di lisina presente in proteine. Quali siano le proteine ancora non è stato chiarito, comunque esistono proteine che portano residui di lisina, i quali fungono da precursori per la carnitina. Immaginiamo una proteina dalla quale emerge un braccio lungo di lisina che ha l’ε-ammino-gruppo nettamente spostato sull’esterno. La lisina viene trimetilata (cioè vengono addizionati tre gruppi metilici che vanno a legarsi all’ammino-gruppo). Il donatore di questi tre gruppi metilici è l’S-ADENOSIN-METIONINA, indicata con l’acronimo SAME (è una metionina legata ad una molecola di adenosina. Il legame con l’adenosina ha la funzione di rendere labile il metile della metionina, che può essere facilmente trasferito ad opera di metil-transferasi su composti accettori. La S-ADENOSIN-METIONINA è la forma attiva della metionina, cioè la forma in cui la metionina può donare il suo gruppo metilico. Ad opera di una S-ADENOSIN-METIONINA-METIL-TRANSFERASI, il metile è staccato dalla S-ADENOSIN-METIONINA e portato all’ammino-gruppo della Lys, reazione che si ripete tre volte. La Lys viene così trasformata in una TRIMETIL-LISINA-PROTIDE. A questo punto la proteina va incontro a degradazione e si libera la TRIMETIL-LISINA. Finalmente inizia la sua trasformazione in carnitina: la prima reazione consiste in una idrossilazione, cioè l’introduzione di un gruppo ossidrilico a livello del C β. Quindi, sul carbonio β interviene una TRIMETIL-LISINA-IDROSSILASI, che utilizza, come donatore dell’atomo di ossigeno che viene incorporato, ossigeno molecolare. Questa trimetil-lisina-idrossilasi agisce in presenza di ossigeno molecolare e α-cheto-glutarato e porta alla decarbossilazione dell’acido α-cheto-glutarico, che si allontana come CO2 e forma acido succinico, e alla idrossilazione della trimetil-lisina, che si trasforma in un β-OH-derivato. La reazione è irreversibile. L’enzima è un metallo protide e richiede Fe ferroso, come gruppo prostetico, e in più vitamina C (il ruolo della vitamina C non è esattamente identificato, ma molto probabilmente agisce come riducente nel rischio che l’ossigeno molecolare della reazione vada ad ossidare il ferro ferroso dell’enzima : la vitamina C fa da protettore nei riguardi del ferro dell’enzima, che deve essere assolutamente ferroso perché l’enzima possa funzionare). L’enzima lega insieme in un primo momento la trimetil-lisina all’acido a-chetoglutarico. L’enzima determina la mobilizzazione di un H dal carbonio β della trimetil-lisina e lo porta sul gruppo carbonilico dell’α-chetoglutarato. Quindi, si forma questo intermedio instabile in cui abbiamo una trimetil-lisina radicalica (perché ha perso un protone che è andato sul carbonio carbonilico). Tra la trimetil-lisina e l’acido α-chetoglutarico così modificato, l’enzima inserisce una molecola di ossigeno. La trimetil-lisina e l’ac. α-chetoglutarico rimangono uniti mediante questo ponte perossidico. L’ossigeno è stato introdotto come ponte di legame tra trimetil-lisina e α-chetoglutarato: questo è l’intermedio della reazione. Quindi, l’enzima interviene sull’acido α-chetoglutarico e lo decarbossila, va via CO2 e si forma un intermedio instabile. A questo punto l’enzima porta alla rottura del ponte perossidico, con liberazione di ac. succinico da una parte e idrossi-derivato dall’altra (B-idrossi-trimetil-lisina). Questo tipo di reazione la troveremo una seconda volta sempre nella sintesi della carnitina.

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Il β–OH-derivato adesso va incontro ad una reazione liasica, che porta alla rottura della molecola tra il carbonio α e il carbonio β: interviene una carbonio-carbonio liasi, che spezza la molecola fra il Cα e il Cβ e libera glicina dai carboni 1 e 2 e dalla parte rimanente un’aldeide butirrica trimetilata. Nella reazione successiva l’aldeide butirrica viene ossidata ad acido butirrico, quindi interviene una OSSIDO-RIDUTTASI, che utilizza come cofattore NAD: si forma NADH+H e il gruppo aldeidico viene trasformato in carbossilico. Formiamo così l’ ac. TRIMETIL-AMMINO-BUTIRRICO. L’enzima è di natura tiolica: il gruppo tiolico dell’enzima reagisce col gruppo aldeidico formando un tio-emi-acetale, sul quale poi l’enzima interviene togliendo H e formando un acil-derivato intermedio che, in presenza di acqua, si risolve nell’ ac.carbossilico (è la stessa reazione che abbiamo visto per la gliceraldeide fosfato deidrogenasi: il gruppo tiolico si lega al gruppo aldeidico, forma un tioemiacetale, che viene deidrogenato in presenza di NAD+ e si forma l’acile intermedio, che poi si risolve nel gruppo carbossilico + l’enzima libero). Quest’ultimo composto prende il nome di precarnitina, perché precede la carnitina definitiva. Tutti i passaggi che abbiamo visto fino ad adesso, cioè fino alla formazione del precursore, avvengono in tutti i tessuti. L’ultima reazione, invece, è esclusivamente epatica: il fegato è l’unico tessuto in grado di formare carnitina attiva. Il precursore dalla periferia si trasloca al fegato e nel fegato avverrà la conversione della precarnitina in carnitina attiva. Quindi, l’acido trimetil-ammino-buttirico è il precursore della CARNITINA. Per avere la carnitina ci manca il gruppo alcolico in posizione β della catena. Per introdurre questo gruppo ossidrilico interviene una IDROSSILASI che agisce sull’acido TRIMETIL-AMMINO-BUTTIRRICO e lo trasforma in CARNITINA, in presenza di ossigeno molecolare e di α-chetoglutarato, con un meccanismo di reazione esattamente uguale a quello della idrossilazione della trimetil-lisina. L’enzima richiede ferro ferroso, vit. C, porta alla liberazione di CO2 e forma la carnitina e l’ac. succinico. A questo punto il fegato immette la carnitina nel circolo e dal circolo la carnitina si distribuisce ai tessuti. Tanta carnitina entra, quanta pre-carnitina esce: se nel tessuto non si è formata precarnitina, non entra carnitina definitiva: ogni molecola di carnitina che entra richiede un precursore in uscita. Per la sintesi di questa carnitina ripetutamente intervengono composti che sono per noi essenziali: la LISINA (un ammino-acido essenziale), l’S-ADENOSIN METIONINA che utilizziamo per trimetilare e che deriva da metionina (un altro ammino-acido essenziale), la vitamina C. Quindi, la sintesi di carnitina procede a patto che l’alimentazione sia perfettamente armonica e cioè che nella dieta ci sia un buon apporto di proteine (e quindi di lisina e di metionina) e di vit. C, il che vuol dire avere assunto agrumi, frutti di bosco, le parti verdi delle piante o eventualmente anche patate (dove la vit. C si concentra sotto la buccia, ma decade con l’invecchiamento della patata). Avendo disponibilità di carnitina ,ovunque sarà possibile utilizzare l’acido grasso, perché la carnitina ci permetterà di traslocare l’acido grasso come acil-CoA , dal solubile al mitocondrio. Questa traslocazione prevede il trasferimento dell’acile dall’ acil-CoA alla carnitina nel solubile con formazione di acil-carnitina + CoA. L’enzima che catalizza questa reazione è indicato come CARNITINA-ACIL- TRANSFERASI 1 e correntemente col termine CAT 1. Questa transferasi è localizzata sulla faccia esterna della membrana interna del mitocondrio, cioè nello spazio intermembrana. L’acil-CoA può passare la membrana esterna del mitocondrio perché questa non fa da setaccio. La CAT 1 prende l’acile lo lega temporaneamente a se stessa e poi lo trasferisce alla carnitina, formando ACIL CARNITINA + CoA. Il CoA ritorna nel citoplasma, l’acil-carnitina non si stacca dalla CAT 1, ma viene raccolta da una seconda proteina che è localizzata sulla membrana mitocondriale e si affaccia sia sul lato esterno, sia sul lato mitocondriale, quindi è bifacciale. Questa proteina prende il nome di ACIL-CARNITINA-TRASLOCASI o semplicemente di TRASLOCASI ed ha la funzione di prendere l’acil-carnitina dalla CAT 1, legarla a se stessa e ribaltarla sul lato interno della membrana interna del mitocondrio, dove vi è una seconda CARNITINA TRANSFERASI (CAT 2), la quale provvede a trasferire l’acile della carnitina al CoA, formando acil-CoA + carnitina. La traslocasi lega l’acil-carnitina, la ribalta sul lato interno della membrana interna del mitocondrio, dov’è localizzata una CAT 2, la quale prende l’acil-carnitina e il CoA e forma CARNITINA + acilCoA. L’acil-CoA adesso accede alla β-

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ossidazione, mentre la carnitina ritorna probabilmente a legarsi alla traslocasi che la porta all’esterno. Questa traslocasi fa da importatore dell’acil-carnitina verso il mitocondrio e da esportatore di carnitina verso l’esterno. Il pool di CoA citoplasmatico rimane esclusivamente citoplasmatico e il pool di CoA mitocondriale esclusivamente mitocondriale, quindi il CoA del citoplasma non comunica col CoA del mitocondrio. Possono transitare solo i gruppi ad essi legati e il transito è garantito dalla carnitina e rispettivamente dalla CAT 1 e dalla CAT 2. La CAT 1 è inibita da malonil-CoA, che è il precursore per la sintesi di acidi grassi. Il composto che dà origine all’acido grasso blocca il sistema che prepara l’acido grasso alla sua degradazione. Questo spiega perché sintesi di acidi grassi e degradazione di acidi grassi non possono esistere simultaneamente, perché il sistema che sintetizza genera un inibitore del sistema che demolisce. Quindi, è importante questa regolazione negativa da malonil-CoA, considerando che malonil-CoA è il precursore per la sintesi dell’acido grasso. La conseguenza più grave della mancanza della CAT 1 o della sua inefficienza è che nel citoplasma si accumula acil-CoA. Quest’accumulo fa sì che inizi la deposizione del trigliceride: la cellula non riesce ad utilizzare l’acido grasso, lo immagazzina come trigliceride e come conseguenza il tessuto si infarcisce di trigliceridi. E’ un’anomalia che colpisce soprattutto il muscolo scheletrico e si parla di STEATOSI MUSCOLARE, cioè il muscolo si impregna di materiale lipidico. Il muscolo non riesce ad utilizzare gli acidi grassi che sono la sorgente primaria da ATP per il muscolo. I soggetti portatori di questo deficit hanno un’estrema difficoltà nell’esercizio fisico, una deambulazione lenta, spesso presentano danni anche a livello epatico e a livello cerebrale. Sarebbe utile in questi casi somministrare CARNITINA? No. Potrebbe essere utile laddove l’anomalia dell’enzima si trasformi in una ridotta affinità per la carnitina: allora, dando un eccesso di substrato si può ottenere un piccolo vantaggio. Se, però manca la CAT1, cioè il sistema di trasporto, dare carnitina non è assolutamente proficuo. Dare carnitina dall’esterno non serve pressoché a niente, perché: (1) il trasporto della carnitina è regolato (tanta carnitina forniamo, tanta pre-carnitina esce dal tessuto, quindi se do carnitina in eccesso devo presupporre che sul tessuto si è attivata moltissimo la sintesi in modo da avere altrettanto precursore che esce); (2) di carnitina ne forniamo in eccesso, perché in effetti nei nostri tessuti la carnitina è prevalentemente in forma libera, anziché forma esterificata, perciò abbiamo tanta carnitina di scorta per poter attivare l’acido grasso; (3) data per bocca la carnitina va incontro al grosso problema del passaggio della membrana intestinale, cioè deve entrare negli enterociti, per poi essere immessa nel circolo, e deve anche soggiornare in un ambiente acido, quale è l’ambiente gastrico (per cui ci sono una serie di problemi che rendono l’utilizzo di carnitina per via orale pressoché inefficace). LEZIONE DI BIOCHIMICA 18.12.02 PROF.SSA RINAUDO Dopo aver attivato l’acido grasso ed averlo trasportato dal lato citoplasmatico all’interno della matrice mitocondriale ora ne prendiamo in considerazione la degradazione. Gli acilCoA, ed è questa l’unica forma in cui l’acido grasso può essere utilizzato, accedono al processo che va sotto il nome di beta- ossidazione così detto perché la catena dell’acido grasso prima di essere tagliata, accorciata, subisce un’ossidazione sul carbonio beta, da cui beta ossidazione, che permetterà il distacco dei primi 2 carboni della catena(il carbonio carbossilico e il carbonio alfa) che si allontaneranno come acetil coenzimaA. Quindi la degradazione dell’acido grasso procede sull’ acil coenzimaA per allontanamento di due unità di carboni alla volta sotto forma di acetil coenzimaA. Questo acetil coenzimaA che si libera dalla beta ossidazione accede immediatamente al ciclo di Krebs dove verrà degradato totalmente a CO2 (questo lo abbiamo visto); quindi beta ossidazione e ciclo dell’acido citrico sono strettamente collegati e vedremo che questo collegamento è addirittura fisico perché l’enzima che chiude la beta ossidazione è fisicamente in contatto con l’enzima che inizia la beta ossidazione vale a dire la citrato sintasi. Come avviene questa degradazione: prevede

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due tappe di ossidoriduzione con formazione di una molecola di FAD e una molecola di NAD le quali sono essenziali perché la catena carboniosa altamente ridotta dell’acido grasso possa andare incontro ad ossidazione. La prima reazione in effetti è una reazione di ossidoriduzione ed è catalizzata da un’acil coenzimaA Dh la quale provvede a ossidare la catena dell’acido grasso a livello del carbonio alfa e beta e l’ossidazione coinvolge l’allontanamento di due atomi di idrogeno, quindi formiamo un alfa-beta insaturo in cui la configurazione del doppio legame è in modo specifico e definito trans, non forma l’isomero cis ma esclusivamente quello trans e in più l’isomero alfa –beta (sono coinvolti i carboni alfa e beta della catena). Questo acil coenzimaA agisce sulla catena dell’acido grasso, sottrae due atomi di idrogeno fra il carbonio alfa e quello beta e forma l’alfa- beta trans- insaturo corrispondente indicato anche come di-idroacilcoenzimaA( alfa beta trans acil coenzimaA). Gli idrogeni rimossi dall’acido grasso finiscono sul gruppo prostetico dell’enzima che è un FAD; l’idrogeno che abbiamo rimosso passa sull’enzima e va a formare l’enzima ridotto, che accetta l’idrogeno sottratto al substrato e a questo punto, e siamo a livello dei mitocondri, avrebbe la possibilità di trasferirlo al coenzimaQ che viene a far parte del complesso2; in effetti questo trasferimento non è diretto ma è mediato dall’intervento di altri enzimi flavinici che lavorano in catena e son indicati come: acil coenzimaA DH l’enzima flavinico ridotto reagisce con un secondo enzima flavinico indicato come ETF o fattore trasferente elettroni che accetta gli elettroni e lascia in soluzione il protone, non sappiamo esattamente ma è probabile che accetti solo gli elettroni e rilasci i protoni, lascimolo per adesso indefinito, questo ETF porta anch’esso legato Fad, quindi ho un’enzima flavinico, il quale si trasforma e porta alla ossidazione dell’ acilcoA DH che torna in forma ossidata e questo ETF porta il suo gruppo prostetico ridotto. A sua volta questo ETF ridotto è substrato per un terzo enzima flavinico che prende il nome di ETF DH o ETF coenzimaQ ossidoriduttasi, questo ETF H2 reagisce con un secondo enzima flavinico in presenza di coenzimaQ e in pratica forma ETF più coQ ridotto. L’idrogeno passa inizialmente dall’ETF ridotto all’enzima flavinico che si riduce e dall’enzima flavinico ridotto viene ceduto al coenzimaQ. Quindi questa ETF coQ ossidoriduttasi è ancora una volta un enzima flavinico che ha la funzione di ossidare ETF e di ridurre finalmente il coQ e con questo ci colleghiamo alla catena respiratoria. Quindi in definitiva la deidrogenazione della prima tappa della beta-ossidazione che porta alla formazione di un FAD ridotto vede l’ossidazione di questo FAD attravesro l’intervento di 3 enzimi flavinici in catena che sono l’acilcoA DH, l’ETF e l’ETF coQ ossidoriduttasi, da ultimo l’idrogeno rimosso dal substrato lo ritroveremo sul coQ. Tutta questa sequenza di enzimi flavinici fanno parte del complesso 2 della catena respiratoria, quindi se ricordate quando abbiamo parlato della catena respiratoria vi ho detto che fa parte della catena respiratoria l’acil coA DH, adesso dovremo essere più precisi al riguardo e dire che in effetti questo acil coA DH lavora in parallelo con altri due enzimi flavinici che sono ETF e ETFcoQ ossidoriduttasi. In pratica sono tre flavine coinvolte nell’allontanamento dell’idrogeno dai carboni alfa e beta dell’acido grasso e il trasferimento di quest’idrogeno al coQ. Cioè in pratica l’acilcoA DH, che è quello che ci interessa come beta ossidazione, non ha affinità per il coQ, non riesce a trasferire direttamente l’idrogeno al coQ, quest’affinità viene acquisita progressivamente con il passaggio dell’idrogeno sugli enzimi flavinici. A questo punto il coenzimaQ entra a far parte del complesso terzo ad opera del citocromo b che verrà riossidato ed andrà a ridurre il cit c, il quale a sua volta trasferirà gli elettroni al cit a e cit a3 e questi porteranno gli elettroni all’ossigeno molecolare. Caratteristiche di questa acil coA DH: ne sono note tre forme( una attiva su acilcoA a corta catena,fino a 3 massimo4 atomi di carbonio; un secondo tipo attivo su acidi grassi a catena intermedia, da6 a 10-12; un ultimo tipo attivo su acidi grassi a lunga catena, in pratica porta alla ossidazione dell’acido palmitico, stearico,benico, che sono anche i più frequenti all’interno dei nostri lipidi), sono tutti enzimi tiolici. Con la prima reazione abbiam formato la prima molecola di cofattore ridotto, questo cofattore sarà FAD. Secondo momento: il prodotto della reazione, alfa-beta trans acil coA, non si libera nella matrice ma viene coinvolto immediatamente nella seconda tappa della beta ossidazione che è catalizzata da una idratasi (una idroliasi) la quale aggiunge acqua sul doppio legame e forma

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l’idrossiacilcoA derivato corrispondente. Sulla alfa-beta trans deidroacilcoA interviene adesso una liasi che sarà una idroliasi , la quale addiziona acqua sul doppio legame, indicata anche come enoil idratasi, satura il doppio legame e forma un beta idrossi derivato. Importante: con la formazione del beta idrossi derivato si crea un carbonio asimmetrico, l’enzima è altamente stereospecifico, perché orienta l’ossidrile (nell’aggiunta dell’acqua) che si aggiunge al carbonio asimmetrico in modo tale che si trovi a sinistra del piano della molecola e sia un L derivato, in più riconosce il carbonio beta e non il carbonio alfa, quindi forma un L beta idrossi acil coA. L’enzima aggiunge acqua al doppio legame, aggiunge l’idrogeno sul carbonio alfa e l’ossidrile dell’acqua sul carbonio beta orientandolo a sinistra del piano della molecola, si è creato un carbonio asimmetrico e un L beta idrossi acil coA(perché ha la configurazione dell’aldeide L glicerica e l’ossidrile è in posizione beta). Questa reazione è estremamente importante perché si è creato un gruppo alcolico secondario e i gruppi alcolici secondari sono facilmente ossidabili; esistono un elevato numero di ossidoriduttasi che agiscono sui gruppi alcolici secondari,in particolare interverrà un enzima specifico che prenderà il nome di L beta idrossi acil coA DH che utilizza come cofattore NAD. Tappa successiva, nuova reazione di ossidazione, interviene una Lbeta idrossi acil coa DH che usa come cofattore NAD; come enzima NAD dipendente toglie come ione idruro l’idrogeno legato al carbonio e lo manda sul NAD e forma NAD ridotto, manda in soluzione come protone l’idrogeno legato al gruppo alcolico. In questo modo il gruppo alcolico secondario diventa un gruppo chetonico e formiamo un beta cheto acil coA e l’idrogeno rimosso lo ritroviamo sul NAD come NAD ridotto. Vale la solita regola degli enzimi NAD dipendenti in di fronte un gruppo alcolico l’enzima toglie come ione idruro l’idrogeno legato al carbonio e mette in soluzione come protone l’idrogeno legato all’ossigeno. In conseguenza di questa reazione formiamo un beta cheto acil coA e una molecola di NAD ridotto. Caratteristiche di questa diedrogenasi enzima: e altamente stereospecifico, perchè riconosce esclusivamente la forma L e la forma beta, quindi perché l’enzima riconosca il substrato questo deve avere l’ossidrile alcolico a sinistra del piano della molecola(unL derivato) e il gruppo chetonico deve essere in posizione beta. L’enzima non riconosce i D beta idrossiacilcoA che addirittura sono inibitori per l’enzima(per un meccanismo competitivo). La reazione è reversibile, cioè può andare tanto nel senso dell’ ossidazione che nel senso della riduzione. In effetti perché la reazione vada in favore del chetoacido dobbiamo essere a pH superiore di quello fisiologico , cioè in genere la reazione si sposta verso destra solo quando il pH è intorno a 8 o più di 8. Ciò renderebbe la reazione impossibile nella cellula dove il pH è intorno a 7.2-7.4. L’equilibrio viene spostato in senso opposto cioè va verso l’ossidazione anche a pH7.2-7.4 dalla presenza del magnesio: in presenza di Mg l’equilibrio che a pH fisiologico dovrebbe essere spostato in favore della riduzione, cioè il chetoacido dovrebbe diventare un idrossiacido, si sposta invece a favore del chetoacido, nel verso della beta ossidazione perché pare che Mg sia in grado di legare il chetoacido via via che si forma. Sottraendo dal mezzo in cui agisce l’enzima i prodotti della reazione, l’equilibrio si sposta a favore di questa anche se l’enzima preferirebbe catalizzare l’equilibrio inverso. Quindi essenziale perché l’equilibrio vada in favore del chetoacido la presenza dello ione Mg, la cui funzione è di legare i gruppi chetonici a mano a mano che si formano e lo allontana dall’intorno in cui l’enzima agisce. L’equilibrio si sposta da sin verso destra. Quindi nella cellula è essenziale la presenza dello ione Mg perché la beta ossidazione prosegua verso la formazione del beta chetoacido. Se per qualche motivo la concentrazione di Mg scende all’interno del mitocondrio il rischio è che la beta ossidazione si fermi perché tende a retrocedere in senso opposto. Ora con la formazione del beta chetoacido in pratica la beta ossidazione è soddisfatta, cioè abbiamo ossidato il carbonio beta , ci manca l’ultima reazione che porta all’accorciamento della catena di due carboni a seguito di un taglio che avviene fra il carbonio alfa e il carbonio beta; a questo punto la catena viene interrotta fra il carbonio alfa e il carbonio beta ed il frammento che si lega al coenzimaA si libera come acetilcoA e il frammento rimanente si libera come nuovo acilcoA con due carboni in meno. Ultima reazione della beta ossidazione: si arriva alla rottura del legame carbonio alfa- carbonio beta nella reazione liasica ma è catalizzata da una transferasi e precisamente da una acetilcoA acil

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transferasi, la quale transferasi richiedela presenza di una molecola di coenzimaA, in questo modo l’enzima in pratica utilizza il gruppo tiolico del coenzimaA per legarlo al carboniometilenico alfa e forma acetilcoA e lega il corrispondente acile al coA formando un nuovo acilcoA con due carboni in meno. Quindi il carbonio beta diventa il carbonio che permette il legame con la nuova molecola di coA, si parla di acilcoA acil transferasi perché trasferisce l’acile derivante dalla rottura tra carbonio alfa e carbonio beta a un coA. Questa transferasi spesso la indichiamo come beta cheto tiolasi in quanto rompe a livello del carbonio beta. Non confondetela con una reazione liasica, è una reazione di trasferimento. Essenziale perché l’enzima funzioni è la presenza di un gruppo tiolico, l’enzima è un enzima tiolico, che porta al sito catalitico il gruppo –SH per cui è probabile che il primo intermedio della reazione sia l’acile legato al gruppo tiolico dell’enzima con formazione dell’acetilcoA quindi in un primo momento l’enzima usa il suo gruppo tiolico per rompere il legame carbonio2-carbonio3, libera in soluzione acetil coA e sull’enzima si forma il nuovo acile con due carboni in meno, si forma acil-Senzima intermedio; acil-Senzima a sua volta trasferisce l’acile al coA e forma acilcoA. Quindi l’intermedio della reazione è un acil-enzima che ha due carboni in meno rispetto alla catena di partenza. Importante: la betachetotiolasi è a stretto contatto con la citrato sintasi per cui l’acetilcoA che viene liberato nel corso della reazione in pratica fluisce dalla betachetotiolasi alla citrato sintasi quasi senza soluzione di continuità, il che rende la relazione beta ossidazione- acido citrico estremamente proficua perché il prodotto della reazione non diffonde nella matrice ma immediatamente viene incanalato nel ciclo dell’acido citrico. Tra beta ossidazione e ciclo dell’acido citrico c’è una continuità fisica garantita dall’interazione della betachetotiolasi con la citrato sintasi. Aquesto punto acilcoA con due carboni in meno ritorna alla prima reazione della beta ossidazione e va incontro di nuovo a una reazione di ossidazione, reazione liasica, deidrogenasica e successivamente transferasica e alla fine formeremo una nuova molecola di acetilcoA con una catena che avrà due carboni in meno. Ogni ciclo della beta ossidazione porterà al distacco di due unità di carboni e si andrà avanti fino all’esaurimento della catena. Considerando un acido grasso a18 carboni quali l’acido stearico, quanti cicli dovrò compiere per arrivare alla completa demolizione dell’acido stearico? 8 perché l’ultimo avrà 4 carboni che si scinderanno in 2 acetilcoA. Dovrò fare 8 beta ossidazioni per formare 9 molecole di acetilcoA. Attraverso la beta ossidazione l’acido stearico verrà convertito in 9 molecole di acetilcoA: volendo fare un calcolo di quanto rende in termini di ATP un acido grasso farò il calcolo della resa energetica sulla base del numero di molecole di NAD e FAD si formano per ogni giro di beta ossidazione (nel corso della beta ossidazione non si forma ATP). In ogni giro formiamo 1 NAD e 1 FAD, per cui in 8 cicli di beta ossidazione avrò formato 8 molecole di NAD ridotto e poiché riossidare una molecola di NAD rende 3 ATP avrò 3x8=24; poiché riossidare un FAD rende 2 avrò 16. In totale nella beta ossidazione dell’acido stearico avrò formato 40 molecole di ATP. Tenendo presente che il peso molecolare dell’acido stearico è molto vicino a quello del glucoso, ci si rende conto di quanto la degradazione preliminare dell’acido stearico sia più proficua della degradazione preliminare del glucoso che nella via glicolitica formava 2 ATP. C’è una resa energetica molto più alta inoltre si formano 9 molecole di acetilcoA e degradare l’acetilcoA nel ciclo di Krebs rende (1 ciclo dell’acido citrico) 12 ATP: 9 vengono dal NAD ridotto, 2 vengono dal FAD ridotto e una 1 ATP che si forma. Considerando che sono 9 le molecole di acetilcoA che accedono al ciclo di Krebs e verranno degradate ad anidride carbonica (18 CO2) dovrò fare 9x12=108 ATP. A questi 108 dovrò sommare i 40 che vengono dalla beta ossidazione, quindi ossidare una molecola di acido grasso a18 carboni rende circa tre volte più di quanto rende il glucoso (38 ATP), ossia 148 ATP. Capite perché nelle diete dimagranti tolgono tutti i lipidi, proprio perché hanno un apporto energetico estremamente elevato. Questo 148 è lordo, perché dobbiamo calcolare l’ATP che abbiamo speso per attivare l’acido grasso:nel nostro caso è un acido a lunga catena attivato nel citoplasma per cui ATP si è scisso in AMP e pirofosfato, che vuol dire la spesa di 2 molecole di ATP. 148-2= 146 ATP netto. Se ho un acido a 16 carboni dovrò tener in considerazione che saranno solo 6 le beta ossidazione e 8 le molecole di acetilcoA e su questa base sarò in grado di calcolare la resa energetica qualunque sia la lunghezza della catena carboniosa dell’acido coinvolto nella degradazione.

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Con questo chiudiamo la degradazione di un acido grasso saturo, è importante ricordare che la beta ossidazione non si svolge soltanto nel mitocondrio ma può avvenire anche in organelli che esistono nel citoplasma indipendenti dai mitocondri che prendono nome di perossisomi e nella loro origine devono essere differenziazioni del reticolo endoplasmico. Per cui si parla di beta ossidazione perossisomale. Questi perossisomi si caratterizzano per avere una concentrazione elevata di enzimi che producono e degradano perossido di idrogeno, in particolare nei perossisomi si concentra la catalasi, che degrada perossido di idrogeno, e la xantina ossidasi(la troveremo più avanti nella sintesi dell’acido urico) che è un enzima flavinico ossitropo e porta alla formazione di perossido di idrogeno. Questa via perossisomiale degrada unicamente acidi grassi a lunga catena, non è attiva su acidi grassi a corta catena e non arriva alla totale demolizione dell’acido grasso l’enzima si arresta su catene dalla lunghezza di 10-8 carboni. Realizza una parziale degradazione dell’acido grasso ma non totale e gli acilcoA che residuano da questa degradazione perossisomiale dovranno tornare nel mitocondrio per proseguire alla loro totale demolizione. Secondo non è attiva costantemente ma si attiva in particolari condizioni come ad esempio una dieta iperlipidica che comporta una grande disponibilità di acidi grassi, o in condizioni di digiuno prolungato, è attivata anche da alcuni farmaci e particolarmente attiva in soggetti diabetici (nell’individuo diabetico c’è una degradazione perossisomiale superiore a quella di un individuo normale e va di pari passo con l’aumentata beta ossidazione nel mitocondrio). Ulteriori differenze di questa via: non è necessario il trasporto di acilcoA via carnitina, acilcoA a lunga catena formato nel citoplasma attraversa la membrana del perossisoma senza difficoltà; secondo, gli enzimi che intervengono nella beta ossidazione perossisomiale hanno caratteristiche diverse dagli enzimi che intervengono nella beta ossidazione e la prima grande differenza la troviamo nella prima reazione del processo catalizzata anche qui da una deidrogenasi che è ancora un enzima flavinico ma ossitropo ( mentre la succinato DH è anossitropa, questo enzima è ossitropo ossia ha affinità per l’ossigeno molecolare) quindi non si riossida attraverso trasportatori cioè con la catena respiratoria ma si riossida cedendo direttamente l’idrogeno all’ossigeno molecolare. D’altra parte il FAD ridotto perossisomiale non può accedere ai mitocondri perché siamo nei perossisomi e non può attraversare la membrana del mitocondrio e finire nel mitocondrio,per cui non sarebbe possibile riossidare l’enzima flavinico. La cellula aggira l’ostacolo trasformando questa DH flavinica in una ossidasi (enzima flavinico ossitropo) e si riossida cedendo direttamente l’idrogeno rimosso dal substrato all’ossigeno molecolare. Questa è la prima grande differenza rispetto la beta ossidazione mitocondriale. Prima reazione perossisomiale è uguale alla prima reazione della beta ossidazione mitocondriale ossia si ha la deidrogenazione dell’acido grasso, nel corso di questa reazione interviene una acilcoA ossidasi che toglie gli idrogeni ai carboni alfa e beta in posizione trans e forma l’alfa beta trans deidroacilcoA. L’importante è che i due idrogeni che vengono rimossi sono accettati dall’enzima flavinico e formano FADH2-enzima ma questo FADH2 non cede H ai trasportatori che abbiam visto precedentemente ma lo cede all’ossigeno molecolare e si formerà una molecola di perossido di idrogeno. L’H rimosso dal substrato passa all’enzima flavinico e all’O2 molecolare con formazione di perossido di H, che è tossico per la cellula. Ma come detto prima i perossisomi sono ricchi di catalasi che provvede a trasformare perossido di H in O2 molecolare e 2 molecole di acqua. L’H passa sull’enzima flavinico e forma enzima flavinico ridotto che si riossida passando l’H non al coQ ma all’O2 molecolare con formazione di perossido di H immediatamente degradato dalla catalasi in H2O e O2 molecolare. Ricordiamo che la catalasi è un emo protide, è un tetramero con 4 molecole di emo in cui la differenza profonda con l’emo dell’Hb è che il Fe è costantemente in forma ferrica, non in forma ferrosa e non oscilla fra lo stato ferroso e lo stato ferrico. La conseguenza più grave per questa beta ossidazione perossisomiale ai fini della resa energetica sarà: l’H non accede alla catena respiratoria per cui non formeremo le due molecole di ATP che formiamo nella beta ossidazione perché non c’è riossidazione del FADH2 via catena respiratoria. La beta ossidazione perossisomiale rende per ogni giro 2 FAD in meno rispetto alla beta ossidazione mitocondriale ed in totale la resa energetica è inferiore rispetto alla beta ossidazione normale. Successivamente la beta ossidazione procede esattamente come nei mitocondri, per cui incontra una reazione idroliasica, poi

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una deidrogenasi NAD dipendente e una beta cheto tiolasi che risolve la catena in acetlicoA più acilcoA a corta catena. Procede come nel mitocondrio, la differenza è che la idroliasi e la beta idrossi acilcoA DH non sono 2 proteine distinte ma sono un'unica proteina che nella sua catena porta 2 regioni una ad attività idroliasica e una ad attività deidrogenasica. Altra differenza nella beta ossidazione perossisomiale: abbiamo un enzima polifunzionale, bivalente, per una parte si comporta da liasi per un’altra da deidrogenasi NAD dipendente. Un’altra proteina bivalente era l’enzima tandem della demolizione del F2-6 bisfosfato che aveva attività cinasica e fosfatasica ma assume conformazioni diverse a seconda che abbia un’attività o l’altra; in questo caso è invece come se fossero 2 enzimi fusi insieme, da una parte idroliasi, dall’altra deidrogenasi, cioè l’enoil idratasi e la beta idrossiacilcoA DH. Li consideriamo come se fossero 2 enzimi differenti, in realtà sono una sola proteina con 2 siti differenti, come se 2 geni avessero dato 2 proteine fuse insieme nel processo di sintesi. Con questo chiudiamo la beta ossidazione perossisomiale ma ci sono altre modalità di degradazione dell’acido grasso che prevedono la omega ossidazione, la alfa ossidazione, la beta ossidazione di acidi grassi insaturi, la formazione di acidi grassi a catena dispari di carboni durante i processi di beta ossidazione che alla fine formeranno non acetilcoA ma propionilcoA e dovremo parlare della degradazione dell’acido propionico. Omega ossidazione: si tratta di una beta ossidazione che invece di procedere sul C alfa- beta procede sull’ultimo C della catena, l’omega, vale a dire procede dal gruppo metilico, dal C che chiude la catena dell’acido grasso e per questo viene detta omega ossidazione. Quando si preferisce una omega ossidazione a una beta ossidazione: laddove il gruppo carbossilico sia bloccato per cui non è possibile attivarlo con il coA e la cellula aggira l’ostacolo iniziando la beta ossidazione dall’estremo opposto, dal gruppo metilico del C omega. Quando il gruppo carbossilico è bloccato sotto forma di estere o quel che volete, non possiamo attivare l’acido grasso e la cellula aggira l’ostacolo andando a ossidare il C terminale della catena dell’acido grasso. Ossida il gruppo metilico a gruppo carbossilico e a questo punto è in grado di iniziare una beta ossidazione normale. Come riesce a ossidare il gruppo metilico a carbossilico, questo è il problema perché si tratta di ossidare un C fortemente ridotto quale il gruppo CH3. Nella cellula soprattutto a livello del reticolo endoplasmico ci sono dei sistemi che sono in grado di ossidare il gruppo metilico a gruppo alcolico primario e prendono il nome di idrossilasi, sono enzimi che attraverso un processo di ossidazione sono in grado di ossidare il gruppo metilico ad alcolico primario. La reazione richiede la presenza di O2 molecolare, di cui un atomo verrà introdotto nel composto che viene ossidato, e di NADP ridotto più una serie di trasportatori che lavorano in catena. In alcuni testi questi trasportatori sono indicati come mini catena respiratoria, anche se non hanno nulla a che fare con la catena respiratoria, parliamo di una serie di trasportatori di elettroni che favoriranno la idrossilazione del gruppo metilico a gruppo alcolico primario. Indichiamo con R il composto che blocca il gruppo carbossilico non disponibile, potrebbe essere un legame diestere, comunque l’ossidazione procede sul gruppo metilico indicato come omega. Questo gruppo metilico viene trasformato in un gruppo alcolico primario in una reazione che prevede la partecipazione di O2 molecolare, di NAD ridotto e si risolverà con la formazione di una molecola di acqua e il composto idrossilato. Dell’O2 che partecipa ne ritroviamo un atomo nell’acqua, che ha usato l’idrogeno del NADP ridotto per formarsi, e l’altro lo ritroviamo incorporato all’interno del C metilico formando un gruppo alcolico primario. Come avviene questo passaggio, come è possibile l’idrossilazione: tra NADP ridotto + O2 molecolare e acqua + prodotto di idrossilazione dall’altra si interpongono una serie di fattori di natura proteica, alcuni enzimi, altri semplicemente trasportatori di elettroni che facilitano questa reazione. L’idrossilazione inizia probabilmente in presenza di NADP ridotto il quale viene ossidato ad opera di un enzima flavinico, si forma NADP più due idrogeni, si ha riossidazione di NAD ridotto, e l’enzima flavinico che si libera come FADH2. In alcuni testi questo flavo protide è indicato come FP, si libera con il suo gruppo prostetico ridotto. Questo enzima flavinico si riossida cedendo gli elettroni a una serie di trasportatori intermedi e mandando in soluzione, liberando i due protoni. La riossidazione dell’enzima flavinico prevede l’intervento di un citocromo indicato come B5 in alcuni casi, in altri casi il cit B5 manca e interviene un ferro protide che assolve alla funzione

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del cit B5 cioè accetta gli elettroni dal FAD ridotto. Nella riossidazione dell’enzima flavinico in pratica abbiamo la dissociazione di 2 protoni che vanno in soluzione e di 2 elettroni che procedono attraverso questa serie di trasportatori intermedi che possono essere un cit B5, un ferro protide, una ferro zolfo proteina o addirittura una F-S proteina e un cit B5. Quindi ci sono diversi sistemi di idrossilazione che utilizzano trasportatori intermedi di natura differente. L’importante è che a livello dell’enzima flavinico abbiamo il disaccoppiamento dei protoni che vanno in soluzione e degli elettroni che procedono lungo una catena costituita da trasportatori di elettroni che si identificano in un cit B5 con caratteristiche di un cit B, una ferro- zolfo proteina. Da ultimo uno alla volta questi elettroni vengono poi accettati da un citocromo che non conosciamo e prende nome di P450, che è la vera idrosilasi, il cui gruppo prostetico ha le caratteristiche di un emo B ( il ferro passa da valenza 3 a valenza 2 come per i cit B,C,A). L’importante di questo cit P450 è che il gruppo prostetico è un emo B; nel momento in cui il cit P450 riceve il primo elettrone (vengono trasferiti uno alla volta) passa dalla forma ferrica alla forma ferrosa, ed ha legato su sé stesso O2 molecolare e il substrato con il suo gruppo metilico. Allora nella forma ridotta il cit P ,ferro ferroso, cede l’elettrone all’O2 ad esso legato e forma O2 meno, mentre il cit torna nella forma ferrica. Forma così l’anione superossido e simultaneamente il ferro dalla forma ferrosa torna nella forma ferrica. A questo punto il cit P450 è in grado di accettare il secondo elettrone, che viene trasferito e il Fe ferrico diviene ferroso e di nuovo il cit P450 trasferisce l’elettrone all’anione superossido e forma in questo caso l’anione perossido. I due elettroni trasferiti dal FAD li ritroviamo come anione perossido sul cit P450. L’anione perossido e superossido sono tossici(perché altamente ossidanti) ma la loro tossicità è nulla perché sono immobilizzati sul cit P450, non hanno effetto tossico perché non sono liberi. Avendo legato l’anione perossido, il cit P450 diventa una vera idrossilasi e richiama a sé i due protoni che erano andati in soluzione e trasferisce ai due protoni un atomo di ossigeno e forma una molecola d’acqua,l’altro atomo do O2 lo introduce all’interno del substrato sul gruppo CH3 e forma CH2OH. A questo punto abbiamo formato da un metile un gruppo alcolico primario, passaggio più difficile. Ritorniamo al nostro substrato che è diventato un gruppo alcolico primario, e per opera di una alcol DH NAD dipendente, il gruppo alcolico primario viene ossidato a gruppo aldeidico e formiamo un al-derivato, prodotto di ossidazione dell’alcol. Dobbiamo ancora ossidare una volta per arrivare a gruppo carbossilico e questo passaggio è garantito da una deidrogenasi NAD dipendente, NAD che si trasformerà da ossidato a ridotto, e porta nel suo sito attivo un gruppo tiolico. Adesso il substrato viene riconosciuto dall’enzima che trasferisce l’idrogeno dal gruppo tiolico all’ossigeno aldeidico e la valenza che si libera si lega allo zolfo dell’enzima e quindi formiamo un prodotto di reazione fra aldeide e un gruppo alcolico, un tioemiacetale che simula un gruppo alcolico secondario. Ora l’enzima si comporta da vera DH e libera l’H legato al C come ione idruro e lo manda al NAD, libera in soluzione come protone l’H legato all’ossidrile come H+, e arriviamo alla formazione di un nuovo intermedio che sarà un acil enzima che in presenza di acqua ricostituisce il gruppo tiolico dell’enzima e l’acile si libera come acido carbossilico. Adesso il carbossile formato in presenza di coA e ATP verrà attivato ad acilcoA e comincerà la beta ossidazione. Alfa ossidazione: ossidazione del C alfa ossia il metilene adiacente al gruppo carbossilico, è un’ossidazione importante perché porta alla formazione di alfa idrossiacidi che sono importanti soprattutto nel tessuto nervoso dove concorrono a costituire i cerebrosidi, che sono ricchi in alfa idrossiacidi come l’acido ossinervonico, quindi formano acidi grassi che sono indispensabili per la costituzione di cerebrosidi, che sono glicolipidi particolarmente espressi nella sostanza bianca, quindi li troviamo nel tessuto nervoso. In più questa alfa ossidazione è importante perché permette la degradazione di acidi dove il C beta non sia disponibile a una beta ossidazione. Terzo è importante nelle piante dove porta alla formazione di acidi grassi, di alfa cheto derivati che decarbossilati daranno origine ad acidi grassi a numero dispari di C ,il che spiega la presenza nel regno vegetale di acidi grassi a numero dispari di C, perché le piante hanno una alfa ossidazione estremamente attiva alla quale consegue la trasformazione di un alfa idrossi acido in alfa cheto acido che per decarbossilazione diventa un nuovo acido con un C in meno e diventa a numero

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dispari di C. Significato di questa alfa ossidazione è la creazione di alfa idrossiacidi che sono componenti di cerebrosidi; permettere una beta ossidazione in acidi grassi in cui il C beta non sia disponibile, ad esempio sia sostituito; formare acidi grassi a numero dispari di C particolarmente nel regno vegetale. L’alfa ossidazione sfrutta un meccanismo analogo a quello della omega ossidazione, in quanto trasforma un gruppo metilenico in alcolico secondario: omega ossidazione trasformava un metile in gruppo alcolico primario, la alfa ossidazione trasforma un metilene in gruppo alcolico secondario. Richiede la partecipazione di O2 molecolare e porta alla formazione dell’alfa idrossiacido corrispondente. Quindi formiamo un gruppo alcolico secondario in posizione alfa. Se la cellula ha bisogno di acido alfa ossinervonico sfrutta questa alfa ossidazione e in corpora questo acil coA nel lipide corrispondente, nel cerebroside corrispondente. Se invece ci sono problemi con la beta ossidazione o c’è necessità di acidi grassi a numero dispari di C questo alfa idrossiacido viene trasformato in un alfa cheto acido attraverso una reazione di deidrogenazione. Partecipa una alfa idrossiacilcoA DH che deidrogena l’ossidrile secondario in alfa e forma il cheto derivato corrispondente, forma un alfa cheto acido. Quando non c’è necessità di un alfa idrossiacido ma ci sono problemi sul C beta o devo formare acidi grassi a numero dispari di C la reazione va avanti. Questo alfa cheto acido a cosa va incontro? Come nella glicolisi anaerobia abbiamo incontrato l’acido piruvico, è un alfa cheto acido come l’alfa cheto glutarico a 5 C nel ciclo di Krebs, il piruvico entra nel ciclo di Krebs e forma acetilcoA in una reazione di decarbossilazione ossidativa in cui interviene il complesso piruvato DH; l’alfa cheto glutarato diventa succinilcoA in una decarbossilazione ossidativa mediata dall’alfa cheto glutarato DH. La decarbossilazione ossidativa dell’acido piruvico veniva mediata da tre enzimi che lavoravano in catena: l’enzima E1 tiamina pirofosfato dipendente, l’enzima E2 dipendente da acido lipoico e l’enzima E3 flavinico. In generale le alfa cheto acido decarbossilasi usano lo stesso meccanismo per trasformare l’alfa cheto acido nell’acido carbossilico con un C in meno. Quindi interviene un sistema che funziona in modo molto simile al sistema piruvato DH o alfa cheto glutarato DH il quale provvede a decarbossilare ossidativamente l’alfa cheto acido nell’acilcoA con un C in meno. Per decarbossilazione ossidativa a cui partecipano NAD e coA, libereremo CO2 e formeremo l’acilcoA corrispondente. Se il nostro acido aveva 18 C adesso ne avrà 17 e diventerà un acido grasso a numero dispari di C. In questo il C che prima era C metilico sulla catena originaria è diventato C alfa e il problema della beta ossidazione viene superato perché adesso il C beta è libero, metilenico e potrà andare incontro a beta ossidazione. Non c’è più l’impedimento di prima perché il C beta è diventato C alfa. Primo punto interessante questa alfa cheto acido decarbossilasi di cui ne esistono tanti tipi probabilmente in relazione alla lunghezza della catena carboniosa e sovente ce ne sono dei deficit genetici: di conseguenza con le urine si eliminano quantità rilevanti di alfa cheto acidi e le urine assumono un odore caratteristico, si parla di urina a sciroppo d’acero perché l’odore è molto simile a quello dello sciroppo d’acero. Dall’odore delle urine è possibile diagnosticare il defict della alfa cheto acido decarbossilasi. Secondo se funziona bene questa decarbossilasi forma acidi grassi a numero dispari di C che troviamo nelle piante e dal cui catabolismo origineremo non acetilcoA ma propionilcoA perché essendo la catena carboniosa dispari, togliendo unità a 2 C alla fine troveremo una sequenza a 3 C e questo spiega la formazione di acido piruvico in quantità rilevanti nel regno vegetale. Terzo serve per aggirare un eventuale ostacolo sulla catena dell’acido grasso a livello del C beta che non permetterebbe la beta ossidazione. Questo riguarda un acido particolare che prende nome di acido fitanico che è un prodotto di ossidazione dell’alcol fitolo che entra come componente della clorofilla; la clorofilla ha una struttura molto simile all’emo B che abbiamo considerato però porta legato una lunga catena carboniosa data dall’alcol fitolo. Alcol fitolo dato dall’unione di 5 unità isoprenoidi quindi ha 20 C, queste unità isoprenoidi sono tutte sature, non ci sarà il doppio legame che siamo soliti considerare. Dalla clorofilla questo alcol fitolo viene staccato, quando assumiamo vegetali assumiamo dell’acido fitanico, che è il prodotto di ossidazione del fitolo che si forma all’interno della pianta. Noi assumiamo acido fitanico e siamo in grado di trasformare fitolo in acido fitanico in cui il gruppo alcolico primario del fitolo è stato trasformato in gruppo carbossilico. Acido fitanico viene degradato nel nostro organismo attraverso una beta ossidazione che ha un

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problema perché il C beta è sostituito da un metile quindi non abbiamo un gruppo CH2 ma CHCH3 questo blocca la beta ossidazione, la trasformazione in gruppo alcolico secondario. Per cui la cellula aggira l’ostacolo facendo una alfa ossidazione, va ad ossidare il C alfa, forma l’alfa cheto acido corrispondente. Prima attiva l’acido fitanico e forma il corrispondente coA derivato poi fa una alfa ossidazione e trasforma il gruppo metilenico in alfa in alcolico secondario, poi ossida il gruppo alcolico secondario a gruppo chetonico e per decarbossilazione ossidativa stacca coA e il gruppo carbossilico come CO2 e forma un nuovo acido in cui è diventato C alfa quello che era C beta. In queste condizioni è possibile degradare per beta ossidazione la catena carboniosa, la quale darà origine a propionil coA. Poi secondo giro della beta ossidazione formeremo acetilcoA poi propionil coA , acetilcoA… alternativamente e saremo in grado di degradare la catena dell’acido fitanico. Il problema sarà degradare il propionil coA ma lo vedremo a suo tempo. In alcuni individui esiste un deficit di questa alfa idrossilasi, in pratica non avviene l’idrossilazione del C alfa oppure si forma l’alfa idrossiderivato ma c’è un deficit della alfa cheto acido decarbossilasi. Vi sono alterazioni all’inizio di questo processo con il risultato che questi soggetti non sono in grado di degradare l’acido fitanico, di conseguenza l’acido fitanico si accumula e da origine alla steposi da trigliceride, formando lipidi atipici che sono particolarmente dannosi a livello del sistema nervoso; in effetti gli individui portatori di questo deficit in genere sono ciechi, sordi, hanno perso la facoltà dell’olfatto, hanno un fegato infarcito di trigliceridi, si parla di fegato steatosico, soffrono di profondi deficit mentali. Questa è una malattia di tipo genetico che perciò colpisce il bambino. Come si può ovviare dove la diagnosi sia fatta precocemente: eliminando dall’alimentazione tutti i vegetali ed il latte perché la mucca mangiando fieno si porta dietro fitolo e quindi acido fitanico il quale passa nel latte. Sono individui che possono sopravvivere a spese di un’alimentazione ristretta e precaria. Questa patologia è indicata come patologia di Refsum (dal medico che l’ha identificata), e consiste appunto in un deficit nella degradazione dell’acido fitanico. Abbiamo visto che l’α-ossidazione è un processo che serve prevalentemente nelle piante per la formazione di acidi grassi insaturi a numero dispari di carboni. Acidi grassi a numero dispari di carboni possono essere assunti con la dieta (sotto forma di acidi grassi saturi a numero dispari di carboni), ma si possono formare anche nei nostri tessuti sotto forma di intermedi a tre carboni (in pratica propionil-coenzima A), o anche nel catabolismo di alcuni amminoacidi come vedremo più avanti. Nel caso si tratti un acido saturo a numero dispari di carboni il catabolismo porterà dunque alla formazione di n. molecole di acetil-coenzimaA, e di una molecola di propionil-coenzimaA; ci rimane da vedere com’è degradato questo propionil-coenzimaA. Da dove viene l’acido propionico? - Lo possiamo introdurre come tale nella dieta. - Lo possiamo derivare dal catabolismo di acidi grassi a numero dispari di carboni introdotti con la dieta (perché noi non siamo capaci di formarli) - Si può formare dal catabolismo di alcuni amminoacidi Questa unità a tre carboni va degradata perché il suo accumulo porterebbe alla formazione di trigliceridi atipici con le conseguenze che ne vengono. Come avviene il catabolismo dell’acido propionico? Dobbiamo vedere l’acido propionico come un prolungamento della β-ossidazione, un aspetto particolare con cui la β−ossidazione si conclude. Il problema consiste nel fatto che abbiamo tre carboni che sono difficilmente metabolizzabili; la cellula aggira questo ostacolo producendo sull’acido propionico (o meglio sul propionil-coenzimaA) una reazione di carbossilazione per cui da tre carboni arriviamo a quattro carboni e formiamo l’intermedio metil-malonil-coenzimaA. L’acido propionico, nel caso in cui si formi libero nel catabolismo di composti vari, è attivato a proprionil-coenzimaA. Questa attivazione avviene in larga parte nella matrice mitocondriale, trattandosi di un acido a breve catena che può passare dalla frazione solubile alla frazione

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mitocondriale. Sarà attivato a propionil-coenzima A via una ligasi GTP dipendente di cui abbiamo parlato prima. Il propionil-coenzima A segue poi un catabolismo del tutto particolare che prevede una carbossilazione del carbonio metilenico per cui formiamo un acido ramificato, quindi non più a catena lineare, che prende il nome di metil-malonil-coenzima A. Acido propionico + CO2 reazione ligasica metil-malonil-coenzimaA L’acido malonico è l’acido dicarbossilico a 3 carboni, che metilato forma il metil-malonil-coenzima A. La forma che otteniamo in questa reazione è il metil-malonil-coenzima A con il metile a destra della molecola, quindi dmetilmalonilcoenzimaA Come avviene questa carbossilazione? Abbiamo già visto molte volte come avvengono le carbossilazioni: prevedono l’intervento di un enzima biotinico. Interviene quindi una propionil-coenzimaA carbossilasi che utilizza come gruppo prostetico la biotina. Questa carbossilasi è molto simile alla carbossilasi che avevamo trovato all’inizio della gluconeogenesi quando il piruvato veniva trasformato il acido ossal-acetico: ha come gruppo prostetico biotina (in cui la catena valerianica della biotina si lega ad un radicale di lisina della proteina formando un biotina-lisina-protide, che è l’enzima attivo). Come abbiamo visto per la piruvato-carbossilasi la reazione prevede in un primo momento l’idrolisi dell’ATP in ADP e fosfato. L’energia che si libera da questa reazione catalizzata dalla carbossilasi fa sì che il bicarbonato ione si trovi legato all’azoto 1I. La reazione che costa in termine di energia è dunque la carbossilazione della biotina, in cui il bicarbonato ione al solito è legato all’N1I

dell’anello imidazolico. Non sappiamo quali siano gli intermedi; ipotesi è che si formi un intermedio biotina-fosfato in cui il fosfato che viene dalla scissione dell’ATP in ADP e fosfato è legato probabilmente al carbonio carbonilico. L’anello imidazolico oscilla dunque fra due stati: uno stato chetonico e uno stato enolico. Nella forma enolica può legare il fosfato che si forma nell’idrolisi dell’ATP; questo intermedio biotina-fosfato è altamente reattivo e permette in un secondo momento la carbossilazone della biotina. Formato il carbossi-biotin-enzima questa propionil-coenzimaA carbossilasi non fa altro che trasferire il bicarbonato ione al substrato (cioè all’acido propionico) e forma metil-malonil-coenzimaA. Il metil-malonil-coenzima A ad opera di un’isomerasi è convertito da d- a l- perché il d-metil-malonil- coenzimaA non sarebbe più metabolizzabile ed occorre una sua isomerizzazione ad l-metil-malonil-coenzimaA, che permetterà finalmente alla reazione di procedere. Per diventare l-metil-malonil-coenzimaA spostiamo il metile dal lato opposto e l’H dall’altro lato formando la forma metabolizzabile. Arrivati a questo interviene un’ isomerasi che trasforma il metil-malinil-coenzimaA (che ha una catena ramificata) in succinil-coenzimaA (che ha una catena rettilinea), rendendo in pratica rettilinea la catena dei carboni con una reazionee reversibile. A questo punto il succinil-coenzimaA può entrare nel ciclo dell’acido citrico e continuare nella sua degradazione. Come avviene questa isomerizzazione che trasforma l’ l-metil-malonil-coenzimaA in succinil-coenzimaA? La reazione è catalizzata da una metil-malonil-coenzimaA-isomerasi, la quale utilizza un cofattore che ancora non conosciamo, e che è un derivato della vitamina B12 .Ci dobbiamo fermare un momento si questo cofattore che ancora non conosciamo. Struttura del cofattore B12 Il cofattore è una molecola estremamente complessa ed è il derivato di un composto presente in natura, la vitamina B12, la quale non si trova nel regno vegetale, ma è prodotta quasi esclusivamente

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dai microorganismi. La nostra sorgente di vitamina B12 sono quindi o gli alimenti (il fegato è ricco di questa vitamina) o la flora batterica intestinale che la produce. Ha una certa somiglianza di struttura con la porfina e quindi con l’emo, di cui già abbiamo descritto la struttura. Le somiglianze sono che nel nucleo centrale della vitamina B12 c’è un sistema tetrapirrolico come abbiamo visto per la porfina. La differenza fondamentale sta nel fatto che nella porfina come abbiamo visto ci sono quattro anelli pirrolici legato da 4 ponti metilici, mentre nella vitamina B12 i ponti metilici sono solo tre, per cui non abbiamo la porfina, ma l’eterociclo corrina come nucleo fondamentale della vitamina B12 . Le vitamine B12 sono quindi tutte dei corrina-derivati. La differenza consiste che nel caso dell’emo l’anello D era unito all’anello A mediante un ponte metilico, nel caso della corrina l’anello D è legato direttamente all’anello A, senza ponte. Caratteristica della corrina sono 4 anelli pirrolici uniti non più da 3 ponti metilici come nell’emo ma metilenici, indicati come ponti α,β, γ ; il quarto ponte metilico che c’è nell’emo non c’è nell’anello corrinico perchè l’anello D è collegato direttamente all’anello D mediante carboni 1I-1I . Nell’emo avevamo inoltre 11 doppi legami coniugati , qui ne abbiamo soltanto sei e di conseguenza la corrina ha un grado di riduzione maggiore dell’emo, è poi profondamente differente per i sostituenti. I sostituenti sono un po’ complicati: - 8 gruppi metilici in posizione 1I,1,3,5,5,7,α,γ - 3 radicali acetici che non troviamo come gruppi acetici liberi, ma come gruppo di acetammide

nelle posizioni 1,3,8 - 4 radicali di acido propionico sotto forma di propionammide in posizione 2,4,6,7 Un’altra differenza profonda sta nel fatto che al centro del sistema tetrapirrolico non troviamo ferro, ma un atomo di cobalto da cui il nome di cobalamina che è sovente dato alla vitamina B12. Si può trovare indicata come ciano-cobalamina perché al centro porta un atomo di cobalto e l’ammina vi sta ad indicare cobalto. Abbiamo quindi un cobalto che è unito con valenze coordinative ai 4 azoti degli anelli pirrolici. In più porta altre due valenze coordinative di cui una è costantemente legata ad un gruppo che impareremo a conoscere come dimetil-benz-imidazolo-riboso-fosfato, una seconda è invece variabile e dipende dal tipo di composto di cui dovremo parlare. Come abbiamo detto una valenza è costantemente legata ad un nucleotide insolito, che viene a legarsi con una molecola di riboso con una legame α-gluscosidico (anziché β-glucosidico) formato da un benziimidazolo (imidazolo legato a benzene) legato ad un riboso che è fosforilato in 3. La base azotata è il benz-imidazolo il cui benzene è a sua volta sostituito da due metili, quindi si partla di dimetil-benz-imidazolo. L’azoto dell’anello imidazolico è coordinato all’atomo di cobalto. Al benz-imidazolo e legato con legame α-glucosidico un pentoso, il riboso; il legame è α perché l’ossidrile glucosidico è da parte opposta rispetto al gruppo alcolico primario. Si forma quindi un benz-imidazolo-riboso. Il riboso in modo insolito è legato al fosfato in posizione 3, mentre solitamente è legato in posizione 5, quindi abbiamo un nucleoside 3-fosfato che entra come componente della vitamina B12. Il nucleotide sarà dunque dimetil-benz-imidazolo-riboso-3fosfato. Quindi per mezzo dell’anello imidazolico va a coordinarsi al cobalto al centro del sistema, e per mezzo del fosfato in 3 va a legarsi alla catena di proprionammide in posizione 7. La complicazione è dunque ulteriore perché questo nucleotide si aggancia alla molecola della futura vitamina B12 in due modi. L’unione del fosfato con la catena di propionammide è però mediata da un isopropanolo intermedio. La catena di propionammide in posizione 7 si lega ad un iso-propanolo, detto iso- perché ha la funzione alcolica secondaria anziché avere la posizione alcolica primaria. Questo isopropanolo viene a legarsi mediante legame estere al fosfato 3 del riboso del nucleotide dimetil-bezimidazolo-3fosfato. In alcuni testi trovate indicato che la catena propionica in 7 rimane come acido propionico e viene a legarsi con legame ammidico ad una isopropil-ammina; altri sostengono che in radicale sia di propionammide, e che venga a legarsi con l’isopropanolo. Il risultato è comunque lo stesso. L’importante è che la propionammide è legata con legame ammidico all’isopropanolo che a sua volta va a legarsi al benzimidazolo fosforilato in 3.

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L’ultima complicazione viene dalla sesta valenza coordinativa del cobalto che può legare un numero relativamente alto di gruppi differenti, con legame secondo alcuni covalente, secondo altri di nuovo coordinativo. La molecola prende il nome da questi sostituenti, che possono essere rappresentati da: - una molecola d’acqua -- acquo cobolamina - un gruppo ossidrilico -- idrossi cobalamina - un ciano gruppo -- ciano-cobalamina (la vitamina B12 che assumiamo come prodotto farmaceutico - un gruppo metilico -- metil-cobalamina - una 5-desossi-adenosina -- che dà il coenzima B12 di cui ci occupiamo oggi La 5- desossi-adenosina è detta 5-desossi perché anziché avere un gruppo CH2OH in 5 ha un gruppo CH3, e questo gruppo CH3 lo possiamo trovare come tale oppure legato all’atomo di cobalto al centro del sistema corrinico. Oscilla dunque tra una forma CH3, una forma CH2 radicalica, e una forma CH2-cobalto. E’ dunque il carbonio 5 del riboso che serve ad ancorare il nucleoside all’atomo di cobalto al centro del sistema. Quando parlo di coenzima B12 intendo quindi la cobalamina legata a questa 5-desossi-adenosina. Quando si parla di vitamina B12 in genere è o acquo-cobalamina o ciano-cobalamina. In natura, come ci viene prodotta dalla flora batterica e come l’assumiamo con gli alimenti è probabilmente una acquo-cobalamina. La ciano-cobalamina è un composto che si origina dalla purificazione della cobalamina dai suoi stati naturali, ed è il composto che assumiamo come prodotto farmaceutico. Durante la purificazione della vitamina B12 dalle sorgenti naturali infatti, c’è un passaggio in cui il liquido in corso di preparazione viene filtrato attraverso del carbone animale. Durante questo processo il carbone cede questo ciano-gruppo e a sua volta lega il sostituente naturale che era legato in precedenza alla cobalamina. La vitamina B12 ha un bellissimo colore rosso ed è un composto relativamente instabile in rapporto al sistema di doppi legami degli anelli che possono andare facilmente incontro ad ossidazione. Questo spiega perché molto spesso la vitamina B12 è conservata come liofilizzato e viene sciolta al momento. Come assumiamo la vitamina B12 quando ci viene importata dalla dieta? - Trasporto della vitamina B12: Che cosa succede a livello intestinale quando la vitamina B12, che è presente come derivato della dieta o come prodotto dell’attività della flora batterica, riesce a passare dal lume intestinale alle cellule intestinali? Se assumiamo la vitamina B12 con la dieta (mangiando prevalentemente fegato che ne è molto ricco), essa a livello dello stomaco viene legata ad un proteina particolare che è indicata come protide0 (zero); questa proteina è prodotta dalla mucosa gastrica, lega la vitamina B12 e funziona da protettore di questa garantendone l’integrità, proteggendola dagli eventuali danno da parte dell’acidità del succo gastrico e ne facilita il trasporto al lume intestinale. Arrivata nell’intestino la proteina 0 viene scambiata con un’altra proteina che prende il nome di fattore intrinseco o fattore di Castle. Il fattore di Castle è una glicoproteina di massa molecolare intorno a 50000 che viene prodotta dalla mucosa gastrica, passa indenne la barriera dello stomaco dove potrebbe essere attaccata dalla pepsina o denaturata dall’acidità del succo gastrico, arriva nell’intestino e con una forte affinità va a legarsi alla vitamina B12 spostando il protide 0. Il complesso vitaminaB12-fattore di Castle può essere riconosciuto da un recettore presente sulla membrana degli enterociti che riconosce il complesso e trasloca attraverso la membrana solo la vitamina B12, lasciando il fattore di Castle nell’intestino. Questo vale sia per la vitamina B12 assunta con la dieta che per quella prodotta dalla flora batterica intestinale. Il fattore di Castle è l’unico metodo per cui la vitamina B12 può essere assorbita. E’ un assorbimento lento, e la quantità di

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vitamina B12 trasportata è molto piccola, sull’ordine di microgrammi. Il fabbisogno giornaliero è in effetti molto piccolo ( 1-2 microgrammi al giorno) e in genere è prodotto dalla flora batterica, se questa è attiva. Il problema insorge quando si fa uso di una terapia antibiotica, durante la quale si può dunque andare in carenza di questa vitamina. Dagli enterociti la vitamina B12 si sposta al fegato, e dal fegato verrà smistata nei tessuti periferici. In circolo essa non è mai libera, ma sempre legata a proteine di trasporto che prendono il nome di trans-cobalamine. Queste trans-cobalamine sono presenti in diverse isoforme I, II, III, e hanno la funzione di veicolare la vitamina B12 ai tessuti dove svolgerà la sua funzione. Legata quindi alla trans-cobalamina, la vitamina B12 arriverà ai tessuti dove sarà riconosciuta da un recettore presente sulle cellule tessutali. Passa in questo modo la membrana citoplasmatica ed arriva all’interno della cellula, dove finalmente sarà convertita nel cofattore B12 in un processo complesso, non ancora conosciuto nei suoi dettagli, a cui partecipano adenosina trifosfato, NADP ridotto e glutatione ridotto. E’ dunque sicuramente un processo di ossido-riduzione che incorpora la 5-desossi-adenosina all’interno della cobalamina. A livello tessutale la vitamina B12 funge come cofattore di reazione enzimatiche. Nella forma che vediamo oggi (cioè legata a 5-desossi-adenosina) forma il coenzima B12,in un’altra forma, che troveremo più avanti nel metabolismo degli amminoacidi e in particolare nel metabolismo della metionina, la vitamina B12 interverrà sotto forma di metil-cobalamina, e in questo caso farà da trasferente per il gruppo metilico. Il deficit di vitamina B12, anche se non spiegato nelle sue cause, porta ad una malattia nota come anemia perniciosa, che è caratterizzata dalla presenza in circolo di forme immature dei globuli rossi. L’insufficienza di vitamina B12 può essere generata da: - difetto di produzione da parte della flora batterica - difetto di alimentazione ( ne assumiamo troppa poca con la dieta) - manca il fattore di castle. Ad esempio nella resezione gastrica a seguito di tumore gastrico lo

stomaco viene asportato e sovente in queste condizioni si va in difetto di fattore di Castle, e conseguentemente l’assorbimento intestinale della vitamina B12 diventa estremamente precario. In genere viene quindi somministrato per via orale in forma di capsule protette e si sopperisce in questo modo al deficit.

- malfunzionamento dei recettori può essere sia a livello intestinale che tessutale. E’ dovuto ad un difetto del recettore e può riguardare una scarsa affinità per la vitamina B12 (il recettore non la lega) o una eccessiva affinità ( non viene rilasciata all’interno della cellula).

- Difetto delle trans-cobalamine. Esistono infatti indicazioni di anemia perniciosa in cui le trans-cobalamine non funzionano.

- Difetto nella sintesi della 5-desossi-adenosina. In questo caso la vitamina B12 c’è, ma non formiamo il cofattore.

I difetti sono dislocati a livelli differenti, ma la sintomatologia più frequente è sempre anemia perniciosa. Chiarita la struttura della B12, vediamo adesso come funziona questo cofattore. Abbiamo detto che è coenzima di questa metil-malonil-coenzimaA-isomerasi , quindi un’entità che si lega labilmente all’enzima. La funzione di questo coenzima è tutta legata alla 5-desossi-adenosina, e in particolare a quel gruppo CH3 che può diventare CH2 radicalico o legarsi all’atomo di cobalto. La reazione di isomerizzazione prevede come primo momento il distacco di uno degli H del gruppo metilico (uno degli H del gruppo CH3 che costituisce la catena laterale), il quale dall’enzima viene orientato verso il carbonio 5 della 5-desossi-adenosina, e trasforma il gruppo CH2 in un gruppo CH3. Con questo viene temporaneamente interrotto il legame con il cobalto, ed abbiamo una 5-desossi-adenosina con il gruppo CH3. Di conseguenza il carbonio metilico che ha perso l’idrogeno rimane come carboanione. A questo punto l’enzima trasferisce in blocco il gruppo COS-coenzimaA, formando il primo intermedio della reazione. Sarà di nuovo un intermedio radicalico in cui è diventato radicalico il carbonio che prima legava il gruppo metilico.

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Come ultimo passaggio l’idrogeno che era stato ceduto alla 5-desossi-adenosina viene richiamato sul carboanione formando succinil-coenzimaA. L’H lascia il metil-malonil-coenzimaA staccandosi dal guppo metilico e ritorna sulla catena a 4 carboni legandosi al carbonio metilico originario. In questo modo la catena da ramificata diventa rettilinea. Formato il succinil-coenzimaA questo accede al ciclo di Krebs e va avanti nella sua degradazione. Un difetto in questa metil-malonil-coenzimaA mutasi porta inevitabilmente ad un accumulo di metil-malonil-coenzimaA . Questo viene secreto nelle urine sotto forma di acido metil-malonico, che in questo caso si accumula nelle urine e si parla di una metil-malonico-aciduria. Le urine inacidiscono perché l’acido metil-malonico è relativamente forte, e assumono anche un odore caratteristico che ne permette il riconoscimento. Il difetto della metil-malonil-coenzimaA mutasi può riguardare: - la proteina che non viene sintetizzata (il gene si è inattivato) - il gene produce una proteina che non funziona - il soggetto ha difficoltà a formare la 5-desossi-adenosina e legarla alla cobalamina - deficit di vitamina B12 Il difetto può essere dovuto a deficit differenti, il più frequente è quello dovuto ad un deficit della proteina stessa. Gli acidi grassi a numero dispari di Carboni concludono il loro catabolismo via metil-malonil-coenzimaA; allo stesso modo amminoacidi che nel loro catabolismo formano acido propionico concluderanno il loro catabolismo via metil-malonil-coenzima A; gli amminoacidi che nel loro catabolismo producono direttamente metil-malonil-coenzimaA, finiranno anch’essi a succinil-coenzimaA ed entreranno nel ciclo dell’acido citrico. Catabolismo di acidi grassi a catena ramificata Per continuare sul filo del metil-malonil coenzimaA vediamo ora il catabolismo di acidi grassi a catena ramificata, non più a catena lineare, in cui questo catabolismo dell’acido propionico interviene ripetutamente. Sono tre gli acidi grassi che dobbiamo considerare, che formiamo nel catabolismo di tre amminoacidi, e precisamente dei tre amminoacidi ramificati. Gli amminoacidi che formano acidi grassi a catena ramificata sono la valina, la leucina e la isoleucina . E’ importante ricordare, oltre a questa caratteristica di essere a catena ramificata, sono aminoacidi altamente idrofobici e sono tutti essenziali, vale a dire noi non possiamo sintetizzarli e quindi parleremo soltanto del catabolismo e non della sintesi. Comune a tutti questi aminoacidi come primo passaggio nel catabolismo si ha l’allontanamento del gruppo amminico, che avrà per reazione di transaminazione. Quest’ultima reazione comporta la formazione del chetoacido corrispondente quindi formeremo gli α-chetoacidi corrispondenti. Dalla valina formeremo l’acido α-cheto-iso-valerianico, dalla leucina l’acido α-chetoisocapronico (perché a sei carboni), e dalla isoleucina formeremo l’acido α-chetoβ-metil-valerinico (perché ha cinque carboni). Siamo in presenza di alfachetoacidi. Quale destino avranno comune a tutti e tre? Come nel caso del piruvico, e dell’α-chetoglutarico vanno incontro a una decarbossilazione ossidativa per cui in presenza di coenzimaA, e di NAD, con la liberazione di CO2 , formeranno i corrispondenti acil-coA con un carbonio in meno. - valina −−−−− α-chetoisovalerianico −−−− isobutirril-coenzimaA - leucina −−−−− α-chetoisocapronico −−−−− isovalerianil-coenzimaA - isoleucina −−−−− α-chetoβ-metil-valerinico −−−−− β-metil-butirril-coenzimaA Quando parlo del catabolismo degli acidi grassi a catena ramificata, mi riferisco a questi tre coenzimaA derivati che derivano dal catabolismo dei tre amminoacidi a catena ramificata valina, leucina e isoleucina,.Di questi vediamo il catabolismo:

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Isobutirril-coenzimaA Il catabolismo dell’isobutirril-coenzimaA segue una β-ossidazione classica, anche se a vederlo sembra essere diversa da una β-ossidazione. - La prima reazione segue la β-ossidazione per l’appunto, ed è un reazione di deidrogenazione tra carbonio α e carbonio β. Interviene la solita acil-coA-deidrogenasi che è attiva su acidi grassi a breve catena e deidrogena tra i due carboni. - La seconda reazione segue anch’essa una β-ossidazione classica, con l’intervento di una idratasi che aggiunge H2O, al solito aggiungendo l’ossidrile in β e l’idrogeno in α. Si forma dunque un metil-acrilil-coenzimaA (perché l’insaturo CH2-COOH è l’acido acrilico) e un acido propionico idrossi-metil sostituito, quindi idrossi-metil-propionil-coenzimaA. - La terza reazione segue sempre la β-ossidazione. L’enzima interviene sul gruppo alcolico e toglie idrogeno. Il gruppo alcolico viene dunque ossidato a gruppo aldeidico con la formazione di un’aldeide, e con la liberazione di NADH + H+. Il prodotto della reazione viene indicato come semialdeide metil-malonica, perché sarebbe un acido malonico legato a coenzimaA (il dicarbossilico a tre carboni è l’acido malonico), e quindi un metil –malonil-coenzimaA, in cui però uno dei due gruppi carbossilici è in forma di aldeide. Siccome i carbossili sono due in effetti questa catena a tre carboni può essere presente come mono-aldeida o di-aldeide. Viene quindi indicata come semialdeide-metil-malonica, sotto forma di metil-malonil-coenzimaA sostituito. - Con l’ulteriore ossidazione del gruppo aldeidico si arriva all’acido carbossilico e si forma l’acido metil-malonico. Ci discostiamo quindi effettivamente dalla β-ossidazione perché facciamo un’ossidazione in più ed arriviamo a formare il metil-malonil-coenzimaA, che via coenzima B12 diventerà succinil-coenzimaA ed entrerà nel ciclo di Krebs. La valina quindi nel suo catabolismo entra poi nel catabolismo dell’acido propionico a livello del metil-malonil-coenzimaA. Isovalerianil-coenzimaA Il catabolismo dell’isovalerianil-coenzimaA è il più difficile da seguire. Siamo di nuovo in presenza di una catena ramificata, in cui abbiamo carbonio α e carbonio β. Esaminando attentamente questa molecola ci si accorge che il carbonio β ha un sostituente metilico (perché non è CH2, ma è CH-CH3 ), e questa ramificazione sul carbonio β rende impossibile la β-ossidazione, per cui ad un certo punto dovremo prendere un’altra strada. - La prima reazione segue comunque la β-ossidazione, ed è una reazione di deidrogenazione che

qui è possibile tra carbonio α e carbonio β. Formiamo un intermedio insaturo che prende il nome di metil-crotonil-coenzimaA.

- La seconda reazione si discosta invece dalla β-ossidazione perché prevede una reazione di carbossilazione su uno dei gruppi metilici, al fine di rendere possibile la degradazione ulteriore della catena. Se io andassi avanti con un reazione idroliasica, si formerebbe un gruppo alcolico terziario ed un gruppo metilenico. Il gruppo alcolico terziario non potrebbe più essere ossidato dalla β-idrossi-acil-coenzimaA-deidrogenasi, quindi la β-ossidazione si fermerebbe. Si aggira l’ostacolo andando a carbossilare uno dei gruppi metilici. Interviene una carbossilasi ATP-dipendente, e quindi che di nuovo richiede come gruppo prostetico la biotina (come abbiamo visto oggi per l’acido propionico) la quale agisce aggiungendo un gruppo carbossilico su uno dei due gruppi metilici in catena laterale, con l’utilizzo di CO2. Si forma un nuovo intermedio che prende il nome di glutaconil-coenzimaA. - A questo punto si rientra temporaneamente nella β-ossidazione, interviene l’idroliasi che addiziona H2O, e forma il β-ossi-β-metil-glutaril-coenzimaA. Questo intermedio è da tenere presente perché lo ritroveremo nella sintesi del colesterolo, con la differenza che il catabolismo

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della leucina è mitocondriale (infatti abbiamo la β-ossidazione), mentre la sintesi del colesterolo avviene nella frazione solubile (quindi i due compartimenti sono separati). Questo stessi intermedio lo troveremo anche domani nella sintesi dei corpi chetonici, che avviene anch’essa nei mitocondri. - Usciamo di nuovo dalla β-ossidazione perché su questo intermedio interviene una carbonio-carbonio liasi, che taglia tra il carbonio α e il carbonio β e porta alla formazione di: dal carbonio 1 e 2 acetil-coenzimaA, e dai carboni rimanenti acido acetacetico. L’acido acetacetico fa parte dei corpi chetonici e la leucina viene indicata coma amminoacido cheto-genetico appunto perché genera nel suo catabolismo corpi chetonici. - Se il processo è avvenuto nel fegato l’acido acetacetico non è più metabolizzabile da parte del fegato, ma verrà mandato in circolo e poi sarà trasformato nei tessuti periferici. Anche qui siamo giunti a trasformare l’acido grasso in una catena lineare. ββββ-metil-butirril-coenzimaA Il catabolismo del β-metil-butirril-coenzimaA è semplice perché segue esattamente la β-ossidazione, perché il carbonio β è libero, mentre è impegnato il carbonio α che però non ci darà fastidio. - la prima reazione è di deidrogenazione. Si crea un doppio legame in configurazione trans e si

forma il primo insaturo corrispondente indicato come α-metil-crotonil-coenzimaA - la seconda reazione è una reazione idroliasica. Il doppio legame è saturato con H2O, e

l’ossigeno si posizionerà in β, mentre l’idrogeno in α, α−metil−βidrossi-butirril-coenzimaA - nella terza reazione interviene NAD+, ed è una reazione di deidrogenazione. Si forma un α-

metil-β-cheto-butirril-coenzimaA - nell’ultima reazione per aggiunta di una molecola di coenzimaA, in una reazione β-cheto-

tiolasica, interviene una transferasi che trasferisce le unita CH3CO al coenzimaA e forma una molecola di acetil-coenzimaA, mentre dai rimanenti carboni formeremo propionil-coenzimaA. L’acetil coenzimaA entra nel cilclo di Krebs, e il propionil-coenzimaA diventa metil-malonil-coenzimaA e successivamente succinil-coenzimaA che entra nel ciclo di Krebs. Il propionil-coenzimaA, oltre alla conversione in metil-malonil-coenzimaA, segue anche una via collaterale, meno frequente, ma comunque presente nei tessuti, che prevede una prima deidrogenazione a carico del propionil-coenzimaA che forma un acrilil-coenzimaA. Su questo interviene un idroliasi che aggiunge H2O e forma β-idrossi-propionil-coenzimaA. Segue una reazione di ossidazione del gruppo idrossi-metilico a gruppo aldeidico. Si forma un intermedio aldeidico che è indicato come semialdeidemalonica (attivata perché vi è attaccato il coenzimaA), la quale per ulteriore ossidazione diventa malonil-coenzimaA . Questo intermedio è un inibitore della CAT1 e d’altra parte dà inizio alla sintesi degli acidi grassi. Attraverso questa via il metabolismo degli amminoacidi si collega con il metabolismo degli acidi grassi.

BIOCHIMICA: LEZIONE DEL 20/12/2002 • ARGOMENTI: - catabolismo di acidi grassi insaturi;

• chetogenesi e chetolisi; • triglicereidi; • metabolismo di acidi grassi.

• LEZIONE: Vediamo il catabolismo degli acidi grassi insaturi tra cui vi è l'acido oleico monoinsaturo e altri acidi polinsaturi di cui l'uomo non è capace di sintesi e necessità perciò dei precursori racchiusi nel gruppo delle vitamine F essenziali perché coinvolti nella coagulazione e nelle reazioni allergiche;

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alcune di questi sono ormoni in processi non ben conosciuti (ormoni che risultano dalla modificazione degli acidi grassi polinsaturi). Da tali acidi grassi l'uomo sintetizza l'ac. arachidonico da cui ottengo i seguenti ormoni: i trombossani, coinvolti nella coagulazione del sangue, cioè nell'aggregazione delle piastrine, le prostaglandine, le prostacicline e i leucotrieni responsabili della reazione allergica. Acidi grassi polinsaturi: (-acido oleico: ha 18 carboni ed è monoinsaturo in C9); -acido linolico o linoleico: ha 18 carboni ed è insaturo in posizione 9 e 12 ("delta" 9 e "delta"12); -acido linolenico: anch'esso ha 18 carboni ed è insaturo in posizione 9, 12, 15. La parte comune ai tre acidi elencati è il doppio legame in posizione 9. I probleme sorgono nella loro "beta"-ossidazione essendo essi doppi legami in cis e non venendo perciò riconosciuti, a differenza dei trans, dall'idratasi enoilidratasi (da ricordare che nella prima reazione della "beta" ossidazione che l'acil CoA DH forma l'alfa-beta-trans insaturo). Il doppio legame cis non può essere idratato (con acqua) e perciò degradato; seconda osservazione: avendo già un'insaturazione, l'acido grasso insaturo salta la prima tappa della beta ossidazione (l'acil CoA DH) e per ogni doppio legame formeremo cosi un FADH2 in meno (avendo già 2 idrogeno in meno) e alla fine genererò un ATP in meno. Come aggirare l'ostacolo del legame in cis? L'acido oleico entra subito in beta ossidazione avendo 7 gruppi metilenici che vanno in contro a beta ossidazione normale: innanzitutto viene attivato, nel primo giro si tolgono 2 C (C1 e C2)legati al CoA, nel secondo e nel terzo giro ripeto tale operazione, generando in tal modo 3 Acetil CoA: FORMULA: in pratica faccio tre giri della beta ossidazione e precedentemente l'acido oleico viene attivato nel citoplasma, essendo a lunga catena, in presenza di ATP (che viene trasformata in AMP e Ppi), via carnitina passa nel mitocondrio e qui inizia la beta ossidazione. Ottengo in tal modo un acido dodecanoico a 12 C che ha un doppio legame in posizione 3 cis detto anche beta-gamma-cis che disturba l'idratasi (che agirebbe su un alfa-beta trans). La cellula attiva allora una cis-trans isomerasi che trasforma il cis in trans e lo sposta in posizione alfa-beta. Ora ho un alfa-beta trans che va incontro a beta ossidazione normale senza pìù ostacoli. Guardiamo ora l'acido linolico: c'è doppio legame in delta 9 e delta 12; nel primo avviene lo stesso procedimento dell'acido oleico in cui ottengo, dopo 3 giri di beta ossidazioni e le 3 molecole di acetil CoA, un passaggio dal C3 beta-gamma cis (ex C9 cis) all'alfa-beta trans con doppio legame in C2. A tal punto, dopo l'escissione di un'altra molecola di Acetil CoA, ho un nuovo intermedio a 10 C cioè un gamma insaturo o un delta 4 cis insaturo, su cui potrei operare un altro giro della beta ossidazione, perché ho 2 carboni (C) disponibili, ma otterrei un alfa-beta cis insaturo e la cellula non lo riconosce, così evito l'ostacolo con una riduttasi che in presenza di NADPH2 + H +, riduce il doppio legame in delta 4 e lo sposta in delta 3. Allora la beta ossidazione inizia e forma un alfa-beta insaturo trans al primo giro (la prima reazione della beta ossidazione crea sempre un doppio legame alfa-beta trans perché solo così potrebbe togliere i due C per fare l'acetil CoA) poi si ferma e interviene questa riduttasi NADPH2 + H+ dipendente che riduce il doppio legame in gamma (C4) cis che scompare e l'alfa-beta trans si sposta a beta-gamma trans che è l'intermedio prodotto: è come se i due doppi legami convergessero in beta-gamma. Ora l'idratasi (o idroliasi) può intervenire perché la stessa che addiziona acqua in alfa-beta trans lo fa anche, pur con maggior difficoltà, su beta-gamma trans (perciò è relativamente aspecifica): formo così il L-betaidrossiCoA (mettendo OH sul Cbeta e H sul Cgamma) su cui lavora la deidrogenasi per formare il betachetoacilCoA che andrà incontro a beta ossidazioni normale (stacco di acetil CoA).

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Postilla: se il beta-gamma creato fosse cis, l'idratasi lo riconoscerebbe, ma farebbe un D-derivato e non L, che non sarebbe riconosciuto dalla deidrogenasi per la quale è inebitore. Chiudiamo così la degradazione dell'acido linolico… Gli acidi grassi insaturi sono importanti per dare origine a segnali, per formare il doppio strato lipidico della membrana plasmatica e nel tessuto nervoso per formare la guaina dei nervi. Chetogenesi e chetolisi, cioè genesi e lisi di corpi chetonici rispettivamente. Corpi chetonici:

1. acetone 2. acido acetacetico 3. acido -idrossibutirrico

C’è familiarità perché molto probabilmente l’acetone si forma dall’acido acetacetico per una decarbossilazione e l’acido -idrossibutirrico per riduzione del gruppo chetonico dell’acido acetacetico, perciò quest’ultimo è il precursore degli altri due. I due acidi portano un gruppo carbossilico e concorrono, dove presenti in circolo, ad abbassare il ph e, se in eccesso, a portare in acidosi. L’acetone invece è volatile e perciò meno rischioso degli altri due. Quando forniamo corpi chetonici in eccedenza? Questi vengono formati normalmente soprattutto in condizioni di digiuno, però finchè la loro concentrazione nel plasma è intorno al milligrammo non risentiamo di effetti negativi, anzi, sono benefici perché in certi tessuti servono per formare acetilCoA e quindi per formare ATP. Il rischio si ha a concentrazioni di 4,5,10,70 mg/ 100 ml, perché si ha aumento di acidità a causa della sovversione dei sistemi tampone del sangue, con danno per le cellule periferiche perché scende di conseguenza anche il ph cellulare e subentrano vomito, annebbiamento cerebrale, mobilità limitata, occasionalmente afasia e in certi casi coma, come il coma diabetico che colpisce soprattutto i bambini affetti da diabete di tipo I (oltre che dovuto a iperglicemia). Superando perciò i 40 mg/100 ml, il rene perde la capacità di filtrarli e subentra chetonuria, cioè eliminazione di corpi chetonici nelle urine dove normalmente sono assenti o in quantità non rilevabile. Superata tale soglia si supera la soglia di assorbimento del cuore, dei polmoni, del cervello, del muscolo e del fegato, che estraggono corpi chetonici dal circolo,li catabolizzano e conseguentemente l’eccesso in circolo è eliminato tramite urine. Dove e in che condizioni si formano corpi chetonici? L’unico tessuto che produce corpi chetonici è il fegato che poi li manda in circolo dove ci sono tre tessuti che li estraggono, in ordine d’importanza: muscolo scheletrico, cuore e cervello. Il fegato non estrae corpi chetonici, mentre i tre tessuti periferici li estraggono ma non li formano. Se produco eccesso di corpi chetonici si parla di iperchetonuria, in condizioni di limite fisiologico, ad esempio per un digiuno prolungato di 24-48 ore; dieta iperlipidica non bilanciata da equivalente sufficiente di glicidi, cioè dieta sregolata basata su lipidi o ricca in proteine non bilanciata da sufficiente apporto di glicidi; esercizio muscolare estremo; stato febbrile prolungato; basse temperature per lungo tempo. Tutto ciò perché sono situazioni in cui la cellula, avendo necessità di ATP e non avendo lipidi, attacca i glicidi di riserva, mobilizza gli acidi grassi e su questi avviene la -ossidazione. Perciò aumentano i livelli di acetilCoA (soprattutto nel fegato) e questo viene preso immediatamente dal I enzima del ciclo di Krebs che è la citrato sintasi superandone la capacità di utilizzo e perciò accumulandosi. Tale accumulo porta a inibizione della piruvato deidrogenasi, bloccando perciò l’utilizzo di glucosio: ad alta chetogenesi corrisponde basso utilizzo di glucosio, perciò in un soggetto in cui tale utilizzo è già precario, come il diabetico, l’alta chetogenesi peggiora la situazione e questo spiega perché il diabetico va facilmente incontro a iperchetonuria. Inoltre ( 3° conseguenza) l’acetilCoA che si accumula attiva la piruvatocarbossilasi, in cui funge da cofattore indispensabile. Tale attivazione porta all’attivazione della gluconeogenesi e alla conversione di una grande quantità di acido ossalacetico in glucosio, tuttavia sottraendo

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ossalacetato al ciclo di Krebs, questo frena e aggrava l’accumulo di acetilCoA. Perciò la -ossidazione intensa porta ad accumulo di acetilCoA, blocco dell’utilizzo di glicidi, esaltazione della gluconeogenesi e sottrazione di ossalacetato dal ciclo di Krebs alla gluconeogenesi: condizioni che portano a frenare il ciclo di Krebs. Ultima condizione: la citratosintasi, che dà inizio al ciclo di Krebs, è inibita da acidi grassi e acetilCoA a lunga catena. Quando c’è -ossidazione intensa nella matrice mitocondriale stanno arrivando acidi grassi a lunga catena attivati e ciò porta la citrato sintasi ad essere bloccata e a non lavorare; perciò gli acidi grassi usati per produrre ATP bloccano la sintesi del glucosio. N.B. la citrato sintasi oltre ad essere inibita è saturata da acetilCoA. La citrato sintasi è inoltre inibita da NAD ridotto prodotto dalla -ossidazione. Inoltre un elevato utilizzo di acidi grassi produce ATP che inibisce anch’esso la citrato sintasi . L’elevata presenza di NAD ridotto e ATP inibisce la prima deidrogenasi del ciclo dell’acido citrico, la isocitrato deidrogenasi perché viene destabilizzata la struttura polimerica. Perciò un’elevata -ossidazione crea dismetabolia profonda che investe il ciclo di Krebs e l’utilizzo del glucosio. Perciò abbiamo ora la chetogenesi. Descrizione di enzimi e processi coinvolti nelle reazioni. Nella prima reazione una acetil transferasi, che è un enzima tiolico, libera coenzima A e forma come intermedio acetile S enzima, e successivamente sposta l’acetile su un’altra molecola di acetilCoA e forma acetoacetilCoA. L’enzima è una acetiltransferasi che accetta temporaneamente l’acetile sul suo gruppo tiolico e poi lo sposta all’altro acetilCoA formando acetoacetilCoA. Si potrebbe formare subito acido acetacetico idrolizzando il legame tioestere e avremmo così il corpo chetonico formato, ma in effetti nel fegato questa idrolisi è poco attiva e la maggior parte di acetacetilCoA procede nella sintesi e successivamente gli viene aggiunta una terza molecola di acetilCoA . Si ottiene così -ossi--metilglutarilCoA in cui 4 atomi di carbonio vengono dall’acido acetacetico (forse è acetacetilCoA) e 2 atomi di carbonio dall’acetilCoA; si ha poi una reazione carbonio-carbonio liasica in cui l’enzima mobilizza uno degli atomi di idrogeno del metile dell’acetilCoA come protone e lo sposta sul gruppo carbonilico dell’acido acetacetico (acetacetilCoA) e forma il -ossi--metilglutarilCoA; in realtà si ottiene un intermedio con 2 CoA legati e in presenza di acqua il CoA viene allontanato da quello dell’acido acetacetico (acetacetilCoA) e si ottiene l’acido grasso libero. Da ricordare che tale intermedio è lo stesso del catabolismo della leucina e che la sintesi di corpi chetonici partendo da acetilCoA mitocondriale, è completamente mitocondriale. Arrivati al -ossi--metilglutarilCoA interviene una liasi che rompe il legame 2-3 formando acetilCoA e il primo composto chetonico che è l’acido-acetacetico. Da questo si ottengono gli altri due corpi chetonici: interviene una carbonio-carbonio liasi che decarbossila l’acido acetacetico e forma acetone; se interviene invece una riduttasi, che riduce il gruppo carbonilico dell’acido acetacetico a gruppo alcolico secondario, si ottiene acido idrossibutirrico. L’azione è bidirezionale: la formazione di uno dei due composti dipende dai livelli di NAD ridotto. I corpi chetonici vengono rilasciati in circolo dal fegato; l’acetone, essendo volatile, in larga parte viene espirato dai polmoni, in parte traspira attraverso la cute ( per questo se il medico sospetta una chetogenesi intensa, sente l’alito, che in caso di acetone avrà odore riconoscibile) e infine può essere espulso con le urine. Gli altri due possono andare nei tessuti periferici, cioè muscolo, cuore e cervello. In questo caso diffondono liberamente attraverso la membrana plasmatica e mitocondriale, dove l’acido -idrossibutirico è riconvertito ad acido acetacetico: l’acido -idrossibutirico viene ossidato dalla -idrossiDH che lavora nei due sensi a seconda della concentrazione del substrato e di NAD ridotto e ossidato. Nel fegato l’equilibrio è spostato verso la sintesi di acido -idrossibutirico, nei tessuti periferici verso l’acido acetico. Quest’ultimo entra poi nella -ossidazione dopo essere stato attivato nei mitocondri dei tessuti periferici ad acetoacetilCoA via succinilCoA (che è sintetizzato nel ciclo

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dell’acido citrico dove si usa CoA con CoAtransferasi); dopodiché l’acetoacetilCoA entra in -ossidazione e il succinato torna al ciclo di Krebs. Rientrato nella -ossidazione, l’acetacetilCoA in presenza di una molecola di CoA forma 2 molecole di acetilCoA mediante l’utilizzo della -chetotiolasi. Si ottiene quindi ATP e si dice perciò che muscolo, cuore e cervello “respirano i corpi che tonici”, perché usano O2 ,formano acqua e producono anidiride carbonica e ATP a partire dai corpi chetonici del ciclo di Krebs. Superati i 40mg/100ml, i tessuti non assorbono più corpi chetonici e si dà inizio alla chetonuria perché i tessuti sono saturi. La sintesi di corpi chetonici è regolata da ormoni; una dieta iperlipidica o un digiuno prolungato infatti provocano produzione di glucagone e adrenalina, perché è alto il rischio di ipoglicemia (inibisco insulina). Questi ormoni potenziano la glicogenolisi al fine di ottenere glucosio dalle riserve, ma soprattutto mobilitano acidi grassi dai trigliceridi di deposito del tessuto adiposo (si dimagrisce), così aumentano gli acidi grassi in circolo, la -ossidazione a livello epatico e la sintesi di corpi chetonici. Cosa fare se trovo un bimbo svenuto per chetonuria come primo intervento? Subito zucchero, così da ottenere un aumento di glicidi, una diminuzione della sintesi di acidi grassi e così da far richiamare insulina da parte dello zucchero. Si produce quindi un effetto antichetogenico, tramite l’ inibizione di glucagone e adrenalina e infine si stimola l’utilizzo di glicidi tramite l’ attivazione della piruvatoDH che favorisce la glicogenolisi e reprime la rimozione di acidi grassi rallentando la -ossidazione nei mitocondri. Se invece trovo un diabetico in chetonuria? Se do zucchero peggioro la sua iperglicemia; gli darò quindi insulina e una piccola quantità di glucosio. E’ più frequente il coma diabetico in un bimbo diabetico che non ha insulina che in un adulto diabetico che ne ha sempre. CATABOLISMO DEI TRIGLICERIDI: TRIGLICERIDI del tessuto adiposo sottocuneo (mobilizzati dal digiuno a livello periferico, e presenti sotto forma di glicogeno a livello epatico). Nel tessuto adiposo i trigliceridi sono attaccati dalla lipasi tissutale, o ormonosensibile, che attacca la posizione o 1 e genera il digliceride con un ossidrile alcolico primario libero. Il digliceride sarà indicato come Dag o diacilglicerolo. L’aumento di Dag attiva una esterasi aspecifica che agisce sul carbonio e stacca il secondo acile utilizzando, come prima acqua (sono idrolasi) generando il -monogliceride, che, accumulato attiva la esterasi che in presenza di acqua forma glicerolo e acido grasso. E’importante notare che delle tre idrolisi sola la prima è soggetta a regolazione da glucagone e adrenalina perchè una protide-cinasi A (pKA) attiva dall’aumento di cAMP soggetto ai due ormoni, in presenza di ATP determina il passaggio alla forma fosforilata che è la forma attiva. La forma defosforilata, inattiva, è determinata da una fosfatasi attivata dall’insulina. CATABOLISMO DI ALTRI ACIDI GRASSI: reazioni di idrolisi. I lipidi complessi sono costituiti da un alcool portante che può essere il glicerolo o la sfingosina; nel primo caso l’acido-grasso è legato con legame estere, nel secondo con legame ammidico. Lipidi complessi con glicerolo L’unità comune è l’acido fosfatidico, a cui si aggiunge alternativamente (per sostituzione) serina, colina, etanolammina o inositolo generando rispettivamente fosfatidilserina (PS) fosfatidilcolina (PC) , fosfatidiletanolammina. (PE) e fosfatidilinositolo (PI). Degradazione di lipidi complessi Avviene prevalentemente nei lisosomi e nel reticolo endoplasmatico: gli enzimi possono lavorare a diversi livelli e prendono il nome di fosfolipasi. Vengono denominate:

Fosfolipasi A1. se riconosce il legame estere fra glicerolo e acido grasso in 1; fosfolipasi A2 o se agisce sulla posizione (2);

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fosfolipasi C se agisce sul legame fra fosfato e glicerolo generando un diacilglicerolo più, ad esempio per il PI, un inositolo fosfato ( varia a seconda del fosfolipide);

fosfolipasi D, se rompe il legame tra fosfato e radicale formando acido fosfatidico più inositolo, serina ecc….

La degradazione può procedere in modi diversi: tolto ad esempio l’acile in , intervengono esterasi aspecifiche che rompono a diversi livelli; si parla di fosfolipasi solo se attaccano il lipide come tale, cioè con ancora gli acidi grassi. La fosfolipasi A2 è sotto controllo di ormoni steroidei; in posizione c’è acido grasso insaturo, solitamente l’acido arachidonico precedentemente trattato; gli ormoni steroidei bloccando le fosfolipasi bloccano tutti i processi che utilizzano acido arachidonico e questo spiega in parte la risposta antinfiammatoria, perché da tale acido si originano leucotrieni che danno riposta infiammatoria. La fosfolipasi C crea diacilglicerolo + fosforadicale; il fosfatidilinositolo inspiegabilmente, sotto stimoli ormonale viene fosforilato in posizione 2 e 5, liberando, dopo l’intervento della fosfolipasi C, inositolo fosfato 1,2,5 che portandosi sul E:R:, si lega ad un recettore e determina l’uscita di calcio dal reticolo, provocando così l’attivazione di alcune fosforilasi. Il Dag invece attiva la piruvatocinasi C che fosforila molte proteine coinvolte nella generazione di segnali. La fosfolipasi D interviene nel rimaneggiamento del fosfolipide in quanto rompe il legame e permette il passaggio da inasitolo a serina, etanolammina ecc. ,cioè taglia un radicale e permette di inserirne un altro. DEGRADAZIONE DI FOSFOSFINGOSIDI (o sfingomieline) La sfingosina con un amminogruppo in posizione 2 si lega all’acido grasso generando il cerammide. Nelle sfingomieline, il gruppo alcolico primario della sfingosina lega una fosfocolina ottenendo il fosfosfingoside o sfingomielina. Tali lipidi sono importanti nel tessuto nervoso dove formano la membrana dei neuroni e le guaine mieliniche. Il lipide può essere attaccato a diversi livelli: tra NH e acido grasso, ma più spesso si ha degradazione del legame fra sfingosina e fosfocolina: idrolisi da parte dell’enzima lisosomiale, sfingomielinasi acida (perché ha un punto isoelettrico acido). La mancanza di questo enzima crea minore disponibilità di cerammide che comporta un rallentamento del turn-over di tutti gli sfingolipidi che hanno cerammide come gruppo fondamentale. Si ha alterazione della componente lipidica delle membrane in tutti i tessuti, ma specialmente in quello nervoso che nell’uomo si manifesta nella malattia genetica di Nieman Pick, che colpisce il bambino che muore precocemente. Tutte le patologie che coinvolgono alterazioni nei lipidi con sfingosina sono dette sfingolipidosi La Nieman Pick può essere riprodotta nei ratti togliendo il gene (Knock Out) della sfingomielinasi acida. Martedì, 7.01.2003 Lezione di Biochimica Concluso il catabolismo degli acidi grassi ,parlato della chetogenesi, iniziato il catabolismo dei lipidi semplici e complessi ,visto il catabolismo del trigliceride ora vediamo facenti parte del Catabolismo di lipidi complessi:

ILCATABOLISMO DEI FOSFOLIPIDI E DEI GLICOLIPIDI Il Catabolismo di lipidi semplici è stato visto nella lezione precedente e significa catabolismo dei triglicedidi che essenzialmente prevede una reazione di idrolisi con il distacco degli acili legati al glicerolo ricordando che si parla di :

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CATABOLISMO: quando c’è la degradazione del trigliceride a livello tessutale. DIGESTIONE : quando il trigliceride viene degradato nel canale digerente. Quindi il trigliceride viene catabolizzato a livello tessutale e viene digerito a livello del canale digerente. Questo catabolismo porta direttamente o indirettamente alla risoluzione del trigliceride in Glicerolo e Acidi Grassi ed è un catabolismo notevolmente attivo perché i trigliceridi sono sostanze di riserva per cui, l’organismo rapidamente li degrada quando ha bisogno di energia e altrettanto rapidamente li ricostituisce per rifornirsi della riserva energetica. Il catabolismo dei Lipidi Complessi è invece un processo più LENTO in quanto questi entrano come componenti delle strutture subcellulari il cui divenire, il cui turn over è molto più lento di quanto non sia un substrato soggetto a degradazione a scopi energetici. ����������������������� ������� GLICEROLO �Legame Estereo Lipidi Esteri di Acidi Grassi FOSFOLIPIDI LIPIDI COMPLESSI SFINGOSINA �Legame Ammidico Lipidi Ammidi di Acidi Grassi GLICOLIPIDI Prima distinzione dei lipidi complessi è la suddivisione in Fosfolipidi e in Glicolipidi a seconda che la molecola del lipide porti un radicale fosfolico oppure una sequenza di uno o più unità saccaridiche. Nell’ambito dei Fosfolipidi facciamo una ulteriore distinzione a seconda del composto che regge l’acido grasso : se l’acido grasso è retto da glicerolo (legame estereo)o se l’acido grasso è portato dall’amminoalcol sfingosina (legame ammidico) . CATABOLISMO DI FOSFOLIPIDI IN CUI L’ACIDO GRASSO è LEGATO A GLICEROLO Nell’ambito dei Fosfolipidi che portano come alcol fondamentale il Glicerolo ci sono diverse categorie e solo di alcune di queste vediamo il catabolismo in quanto sono in numero elevato. Questi Fosfolipidi entrano come componenti della dieta e quindi saranno soggetti a digestione nel canale digerente , essi vengono perciò attaccati da fosfolipasi che sono prodotte a livello del pancreas e che col succo pancreatico vengono riversate nell’intestino e qui procedono alla digestione del fosfolipide. Queste Fosfolipasi del canale digerente come la lipasi pancreatica che attaccava i trigliceridi, sono dipendenti per la loro attività dalla Bile e in particolare dagli Acidi Biliari presenti nella Bile. Tale dipendenza è dovuta al fatto che gli Acidi Biliari sono emulsionanti della componente lipidica e bisogna ricordare che qualsiasi enzima che debba attaccare un lipide richiede che il substrato sia in soluzione ; inoltre bisogna ricordare che il lipide è insolubile nelle soluzioni acquose e nelle soluzioni saline per cui l’azione degli Acidi Biliari è quella di emulsionare il lipide in modo da suddividere la grossa goccia lipidica, che si isola dall’ambiente acquoso, in goccioline estremamente piccole, di conseguenza la superficie d’attacco da parte degli enzimi risulta notevolmente aumentata e per di più la tensione superficiale tra fase lipidica e fase acquosa scende notevolmente e quindi l’enzima può finalmente accedere al suo substrato. Considerate tali condizioni anche le Fosfolipasi che attaccheranno i fosfolipidi nel canale digerente (come già la lipasi pancreatica di cui accennato sopra) necessiteranno per la loro attività la presenza di Sali Biliari, il che vuol dire che il secreto biliare contiene acidi biliari che sono emulsionanti per questi lipidi.

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Ne consegue che i soggetti, in cui il secreto biliare non sia buono, abbiano una grossa difficoltà a digerire i lipdi siano essi semplici o complessi, ciò porta come conseguenza la eliminazione di questi lipidi in parte indigeriti e la comparsa quindi di feci steatosiche : feci biancastre dovute alla presenza di lipidi semplici e complessi ancora non attaccati e non digeriti perché le lipasi e le fosfoplipasi non riescono ad accedere in modo sufficentemente efficace al loro substrato . Soggetti perciò affetti da Calcolosi Biliare i quali hanno una secrezione biliare difficoltosa, avranno difficoltà a digerire i fosfolipidi e quindi sarà facile per questi avere la presenza di lipidi indigeriti a livello delle feci . Delle Fosfolipasi che attaccano i fosfolipidi nel canale digerente ne sono note due entrambe di origine pancreatica: FOSFOLIPASI-A FOSFOLIPASI-B Il nucleo fondamentale del fosfolipide è l’Acido Fosfatidico (PA) che indichiamo come PA formato da glicerolo due molecole di acido grasso e un radicale fosforico . A seconda del sostituente al fosfato abbiamo i diversi fosfolipidi che distinguiamo a seconda del radicale (–R) che può essere rappresentato da: COLINA � per cui abbiamo le Fosfatidilcoline(PC) note correntemente come Lecitine. ETANOLAMMINA�Fosfatidiletanolammine(PE) note come Cefaline. SERINA �Fosfatitilserine(PS). INOSITOLO �Fosfatidilinositolo(PI). Per quanto riguarda il canale digerente è nota la Digestione delle PC e delle PE; meno sicura, meno certa è come avviene la digestione dei PI. Per Quanto riguarda la digestione delle PC e PE posso essere attaccate al loro( –R). Le PC vengono riconosciute da un FosfolipasiA.

1) La FosfolipasiA attacca il Legame Estere tra l’Acido Grasso in posizione �1’ e il Glicerolo, stacca L’Acile in �1’ formando un intermedio che prende il nome di Lisolecitina . 2) La Lisolecitina viene attaccata da una FosfolipasiB che stacca l’Acile nella posizione � e

formiamo Glicerilfosforilcolina. 3) La Glicerilfosforilcolina viene attaccata Esterasi Aspecifiche che la trasformano in Glicerolo e Fosfocolina oppure in Glicerolofosfato+Colina.

4)� Il Glicerolofosfato può essere attaccato da una Fosfatasi ed essere trasformato in Glicerolo+ Fosfato. � La Fosfocolina può essere attaccata da Esterasi che staccano il Fosfato e liberano la Colina. FOSFOLIPASI-A e FOSFOLIPASI-B sono due proteine completamente Differenti . La FosfolipasiA � è prodotta in forma Inattiva a livello del Pancreas e viene attivata a livello intestinale per un processo proteolitico. Quindi la FosfolipasiA è prodotta come Pre-FosfolipasiA in forma Inattiva, lascia il Pancreas in forma Inattiva e nell’intestino per un processo proteolitico viene Attivata. La FosfolipasiB � è prodotta in forma Attiva e come tale arriva nell’intestino. Agisce solo dopo che è intervenuta la FosfolipasiA.

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Il pancreas produce la FosfolipasiA inattiva perché, se ci fosse una FosfolipasiA attiva nel pancreas questa incomincerebbe a degradare le cellule pancreatiche in quanto attacca i fosfolipidi della membrana ; in pratica si tratta di una “digestione del pancreas” che prende il nome di Pancreatite Acuta e che quindi provoca grave danno per le strutture pancreatiche. La FosfolipasiB non necessita di essere prodotta in forma inattiva perché agisce solo dopo la FosfolipasiA, infatti la FosfolipasiB non è in grado di attaccare la lecitina come tale, richiede che la lecitina sia stata trasformata in Lisolecitina e poi su quest’ultima interverrà formando Glicerolofosforilcolina. Quindi quanto affrontato riguarda la DIGESTIONE dei fosfolipidi. CATABOLISMO DEI FOSFOLIPIDI LEGATI A GLICEROLO A LIVELLO TESSUTALE Come già per la digestione anche il catabolismo forma reazioni di idrolisi: sono pertanto tutte Idrolasi gli enzimi che interverranno per la degradazione del fosfolipide.

1) La Lecitina (che sono poi PC, PS, PE, considerato però che PS è a concentrazione molto bassa nelle membrane) può essere attaccata in posizione �1’ e forma la Lisolecitina liberando un acido grasso(R�-COOH) quindi ha perso l’Acile in posizione �.

2) La Lisolecitina viene attaccata da una Lisolecitinafosfolipasi che stacca l’Acile in posizione �, quindi stacchiamo un altro acido grasso(R2-COOH) e si forma Glicerolfosforilcolina.

3) La Glicerolfosforilcolina viene attaccata da delle Esterasi, quindi Glicerolo-Fosfato-Colina può essere attaccata da 2 Esterasi Aspecifiche in presenza di H2O ( non si parlerà più di Fosfolipasi perché la Glicerolfosforilcolina non è più un lipide ma è un Estere) formando GliceroloFosfato + Colina oppure Glicerolo+Fosfocolina.

4) � Se si forma Glicerolofosfato, esso ad opera di una Idrolasi viene trasformato in Glicerolo+ Fosfato.

� Se si forma Fosfocolina, essa ad opera di una Esterasi Aspecifica si trasforma in Fosfato+Colina. In questo modo si è giunti alla totale degradazione della Lecitina. Seconda possibilità (differenza fondamentale dalla Digestione) :

1) La Lecitina viene attaccata da una FosfolipsiA2 che stacca l’Acile in posizione � (libera quindi R2-COOH) e forma la Lisolecitina. Per cui questa volta l’Acile è in posizione �1’, non è più nella posizione �.

2) La Lisolecitina viene ora attaccata da una Lisolecitinafosfolipasi [enzima che è diverso da quello precedente perché, quello precedente attaccava la Lisolecitina che aveva L’Acile in � mentre questa ora attacca la Lisolecitina che ha l’Acile in �] e perde il secondo Acile (si libera R1-COOH) e si forma Glicerilfosforilcolina.

3) Dopodichè la Glicerilfosforilcolina segue la via comune. Quindi la degradazione a livello tessutale può iniziare indistintamente a livello dell’Acile in posizione � o a livello dell’acile in posizione �. Le due Fosfolipasi sono due Enzimi completamente differenti, ossia quello che agisce in posizione � è differente da quello che agisce in posizione �. Bisogna ricordare che in genere nella posizione � c’è sempre un acido grasso insaturo, che può essere acido oleico, acido linolico, acido linolenico o acidi a più lunga catena come l’acido Arachidonico. Quindi frequentemente quando agisce la FosfolipasiA2(che agisce in �) l’acido che si libera è un acido grasso insaturo.Quando questo acido grasso insaturo è l’Acido Arachidonico si ricorda che esso è il precursore per innumerevoli composti che hanno azione ormonale ossia composti estremamente attivi biologicamente i quali sono: Prostaglandine:che hanno azione infiammatoria e sono coinvolte nell’infiammazione. Prostacicline Tromboxani Leucotrieni :che sono i responsabili delle reazioni allergiche .

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Inibitori della FosfolipasiA2 sono un gruppo di ormoni, i quali si chiamano Ormoni della corticale della surrene ad azione mineralocorticoide. Essi sono appunto glucocorticoidi prodotti a livello della corticale della surrene. Conseguentemente: sotto l’Azione di tali ormoni non ci sarà più la liberazione dell’Acile in posizione �, e laddove questo Acile sia Acido Arachidonico, la sintesi dei composti che abbiamo ricordato (ossia prostaglandine, prostacicline, tromboxani, leucotrieni) risulta fortemente repressa. Ad opera di questa azione inibitoria sulla FosfolipasiA2 si può far risalire l’azione antiinfiammatoria da parte dei cortisonici. In conclusione: delle due fosfolipasi, quella che è soggetta a controllo ormonale è la fosfolipasiA2, essa è infatti controllata negativamente da Glucocorticoidi, inoltre questa FosfolipasiA2 richiede come attivatore lo ione Ca²+(quindi è un Calcio-protide). Esistono altre due modalità di degradazione dei lipidi complessi. Sono due modalità estremamente importanti in quanto, per mezzo di esse si formano composti estremamente attivi che danno inizio a segnali di natura differente . Tali modalità sono : La degradazione mediata dalla FosfolipasiC e quella mediata dalla FosfolipasiD. FosfolipasiA1 Portano alla formazione di Lisolecitine che a loro volta vengono degradate . FosfolipasiA2 FosfolipasiC Attaccano in altra posizione e in particolare a livello del legame Glicerolo- FosfolipasiD Fosfato o a livello del legame Fosfato-Radicale(che segue). Degradazione mediata dalla FosfolipasiC Tutti i Fosfolipidi (Lecitina come la Cefalina , la Fosfatidiletanolammina, Fosfatidilinositolo) possono essere attaccati da FosfolipasiC in corrispondenza del legame estere tra Glicerolo e Fosforilcolina (o Fosforiletanolammina o Fosfoserina o Inositolofosfato). 1) Viene attaccato il legame estere tra Glicerolo e Fosfato per azione delle fosfolipasiC e si forma Diacilglicerolo (DAG) + Fosfocolina(nel caso degli altri lipidi complessi sarebbe una Fosforiletanolammina, Fosfoserina o Fosfoinositolo). Il DAG è un Attivatore per un gruppo di proteine Cinasi, indicate come CinasiC(dove “C” sta ad indicare Ca²+ dipendente), che sono enzimi citoplasmatici nella forma inattiva, che in seguito alla formazione di DAG vengono richiamate alla membrana(per la degradazione della Lecitina o del Fosfolipide) e qui si legano al DAG e diventano Attive. Quindi la FosfolipasiC(essendo una protidecinasiC) è presente nel citoplasma in forma inattiva e non appena sulla membrana si è formato DAG, essa acquisisce affinità per esso, si lega al DAG e in questa forma diventa attiva ed è in grado a sua volta di staccarsi dalla membrana e iniziare la fosforilazione di innumerevoli proteine ; tale fosforilazione può comportare l’attivazione o la inattivazione di proteine: si da inizio ad una cascata di segnali che può essere di natura diversa a seconda del tipo di cellula. Importante è l’azione della fosfolipasiC nei confronti dei Fosfatidilinositoli, in quanto essi sono lipidi di membrana non soltanto soggetti a sintesi e demolizione ma anche ad un rimaneggiamento, che comporta una loro fosforilazione in posizioni diverse nell’anello dell’Inositolo. Quindi i Fosfatidilinositoli si discostano dagli altri fosfolipidi perché, l’inositolo a sua volta può èssere modificato mentre è ancora legato al DAG-P e trasformato in una entità a grado di fosforilazione maggiore. Sostituiamo ora alla Colina l’Inositolo: quindi abbiamo un DAG-P legato ad un Inositolo. � Ricordiamo che l’inositolo è un Alcol ciclico esavalente in cui sono presenti gruppi alcolici secondari la cui configurazione spaziale può variare, quindi dell’inositolo esistono molte

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Isoforme: quella che è presente nei nostri tessuti ed è indicata come Mioinositolo, è quella in cui gli ossidrili legati al cabonio-1-2-3-5 sono codirezionali rispetto al piano dell’anello, quindi si parla di 1-2-3-5-cis-cicloesanesolo perché i 4 ossidrili stanno dalla stessa parte del piano, mentre gli ossidrili in 4 e in 6 sono dalla parte opposta. Questo Fosfatidilinositolo ,a livello della membrana, sotto segnali la cui origine ancora non conosciamo esattamente può andare incontro a fosforilazione ad opera di Fosfatidilinositolocinasi che sono specifiche per l’anello dell’inositolo.Queste cinasi possono fosforilare o nella posizione 3 o nella posizione 4 o nella posizione 5, quindi abbiamo una Fosfatidilinositolo3cinasi, una Fosfatidilinositolo4cinasi, Fosfatidilinositolo5cinasi . Quindi è possibile che l’inositolo venga fosforilato in questi tre punti. Prendiamo ora in esame le fosforilazioni nelle posizioni 4 e in 5 che avvengono ad opera di due cinasi specifiche: una per la posizione 4 e l’altra per la posizione 5 . Così formiamo un fosfatidilinositolo-4,5-bisfosfato (PIP2) . In questa forma(ossia come PIP2) [se] il fosfolipide viene attaccato dalla fosfolipasiC, si formerà diacilglicerolo+ un inositolo fosforilato in 1,4,5(che prende il nome di IP3). IP3 non è più un lipide ma un polialcol plurifosforilato. IP3 è estremamente importante perché è un generatore di segnali : IP3 si stacca dal fosfatidilinositolo di membrana(per opera della fosfolipasiC come appena descritto dalla reazione 4 righe più in su), si libera nel citoplasma e si porta a livello del Reticolo Endoplasmico dove qui riconosce una proteina, ossia un ricettore specifico (per IP3). Questa proteina, legatasi a IP3, si trasforma in una struttura cava e dà origine ad un canale ionico per il Ca2+, ed attraverso di esso il Ca2+, che è strettamente segregato a livello del reticolo, esce. Bisogna ricordare che il Ca2+ nel reticolo è nell’ordine del millimolare mentre nel citoplasma è sull’ordine di 10^-7 M ,quindi esce secondo un gradiente. Quindi il Ca2+ esce dal RE e si riversa nel Citoplasma. Quando il Ca2+ raggiunge nel Citoplasma una concentrazione dell’ordine di 10^-5 M, la Calmodulina (che è un proteina particolare che porta su di sé dei siti leganti Ca2+) diventa affine per lo ione Ca2+ e si arricchisce di Ca2+ man mano che la concentrazione dello ione aumenta. La calmodulina (è subunità-�, vedi capitolo della fosforilasi) legata a Ca2+ diventa Gruppo Prostetico per la FosforilasiBcinasi che legando lo ione Ca2+ diventa attiva e va a fosforilare la FosforilasiB trasformandola in FosforilasiA. � Quindi questo catabolismo lipidico lo ricolleghiamo con un catabolismo glicidico in quanto IP3 è un Attivatore Indiretto della FosforilasiBcinasi che è l’enzima che converte la FosforilasiB in FosforilasiA. L’uscita dello ione Ca2+ avviene anche attraverso un secondo canale, che è il Canale sensibile alla Rianodina, perché la rianodina è una sostanza vegetale che inibisce questo canale , in pratica quando c’è rianodina il canale non si apre , mentre sotto stimoli opportuni il canale si apre e il Ca2+ viene rilasciato per un meccanismo indipendente da IP3 . Questo Canale sensibile a rianodina si apre in conseguenza di un aumento di permeabilità della membrana plasmatica allo ione Ca2+, ciò avviene attraverso uno stimolo nervoso. [Quindi quando il muscolo va in contrazione sotto stimolo nervoso si verifica un aumento della permeabilità della membrana plasmatica del sarcolemma, per cui Na+ entra all’interno della cellula muscolare e insieme ad esso entra Ca2+. Questo Ca2+ esogeno che entra dentro si porta a livello del RE e fa da attivatore per il Canale sensibile a Rianodina ,che si apre, e permette al Ca2+ di uscire.] L’IP3 una volta liberato nel citoplasma ha un tempo di emivita relativamente breve perché viene attaccato da delle fosfatasi, da esterasi che staccando il fosfato ne portano l’inattivazione: è sufficiente che stacchino il fosfato in 1 o in 4 o in 5 per formare un composto completamente inattivo. In genere esistono Fosfatasi specifiche che riconoscono il fosfato in 1,altre in 4 e altre ancora in 5 e pertanto alla fine IP3 ritorna Inositolo che poi potrà essere riutilizzato per la sintesi di un nuovo Fosfatidilinositolo.

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������� ������������ �� ������Tutti i Fosfolipidi possono essere attaccati da FosfolipasiD in corrispondenza del legame estere che c’è tra Fosfato e Colina (o Etanolammina o Serina o Inositolo) per cui si forma diacilglicerolo-p +Colina(o Etanolammina o Serina o Inositolo) . CATABOLISMO DI FOSFOLIPIDI IN CUI L’ACIDO GRASSO è LEGATO A SFINGOSINA. (Fosfosfingosidi o Glicolipidi) La Sfingosina è un amminoalcol (a 18 C insaturo) , e quindi porta un amminogruppo che oltretutto è essenziale per legare l’acido grasso; essa pertanto porta: due funzioni alcoliche una primaria in 1 , una secondaria in 3 e un amminogruppo in posizione 2 , inoltre il doppio legame in 4,5 è in configurazione trans (quindi la sfingosina è un ottadecene-trans-derivato). L’acido grasso viene legato all’amminogruppo con legame peptidico, per cui tutti i lipidi che portano sfingosina avranno l’acido grasso legato in legame ammidico. Si forma così un intermedio chiamato Ceramide . Nei lipidi complessi la ceramide si complica per la presenza di fosfato+ colina o etanolammina (il gruppo alcolico primario può legare fosfato-colina o fosfato-etanolammina) e abbiamo il gruppo di lipidi complessi che prendono il nome di Fosfosfingosidi o Sfingomieline . Se il sostituente al gruppo alcolico primario è un glicide abbiamo i glicolipidi. Se -R della Ceramide è rappresentato da un glicide che è in numero di una sola unità glicidica (che di solito è galattoso) formiamo un gruppo di composti che prendono il nome di cerebrosidi. Se le unità saccaridiche sono più di una e quindi abbiamo una catena oligosaccaridica si parla di Glicolipideoligosaccaride. Se la catena oligosaccaridica è complicata da acido ossialico o acido N-acetilneuroamminico abbiamo i Sialogangliosidi. Nel caso del Cerebroside laddove ci sia presenza di solfato passiamo ai Sulfatidi. Quindi è un gruppo di composti estremamente complicato nella sua struttura e sono estremamente interessanti specialmente i glicolipidi e i fosfosfingosidi in quanto entrano come componenti della membrana neuronale e in particolare della guaina mielinica dei nervi, quindi sono importanti nella stabilità del tessuto nervoso. 1-CATABOLISMO DEI FOSFOSFINGOSIDI (o Sfingomieline) Nei fosfosfingosidi o sfingomileline abbiamo la ceramide+fosfocolina(o fosforiletanolammina). Queste Sfingomieline vengono degradate a livello dei lisosomi : vengono rilasciate dalla membrana, che si invagina, e in genere vengono inglobate all’interno di formazioni corpuscolari (vescicole generate appunto dalla invaginazione della membrana) che prendono il nome di Endosomi, questi ultimi muovono verso i Lisosomi , e si fondono con essi, qui ha inizio la degradazione del composto. Il catabolismo è essenzialmente caratterizzato da reazioni di idrolisi, dove la idrolasi più attiva su queste sfingomieline è l’enzima indicato come Sfingomielinasi acida (detta acida perché lavora nei lisosomi dove è presente Ph acido essa è detta anche Lisomiale). La sfingomielinasi acida rompe il legame tra la ceramide e la fosfocolina e le separa . Oltre alla Sfingomielinasi Lisosomiale esiste poi una Sfingomielinasi che lavora a ph neutro e che è legata alla membrana plasmatica ; per cui il catabolismo delle sfingomieline può avvenire in due siti: uno, dove è più attivo , nel lisosoma oppure direttamente a livello della membrana. Importante è la degradazione a livello lisosomiale perché esistono delle patologie conseguenti alla mancata sintesi o alla inattivazione della Sfingomielinasi acida. Perciò si verifica un accumulo delle sfingomieline , il turn over delle sfingomieline diventa estremamente precario e il risultato è la poca disponibilità di ceramide che non viene rigenerato e questo provoca una sequenza di alterazioni che porta ad una alterazione definitiva all’assetto della componente lipidica di membrana, sia a livello delle cellule neuronali sia a livello delle cellule dei tessuti periferici. Il deficit della sfingomielinasi acida si configura in una patologia ereditaria che prende il nome di Niemanpig (o Nimanpic?).

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Si tratta di una malattia dell’infanzia e nell’adulto non si trova perché si è già morti prima del tempo. Quindi: La sfingomielinasi acida rompe il legame fra ceramide e fosfocolina . Le sfingomieline sono poi attaccate da una seconda esterasi, che stacca la sfingosinafosfato +colina ma si tratta di una reazione molto meno frequente rispetto alla precedente. La ceramide a sua volta può essere attaccata da un’amidasi (una idrolasi) che rompe il legame fra sfingosina e acido grasso. Quindi il catabolismo delle sfingomieline può portare alla formazione di cramide+fosfocolina, ceramidefosfato+colina oppure, la sfingomielina può essere attaccata subito a livello del legame ammidico con l’acido grasso e formare sfingosinafosfatocolina+acido grasso che poi a sua volta va incontro a degradazione ,però la via catabolica più battuta è quella che coinvolge la sfingomielinasi acida. Questo catabolismo è semplice da ricordare perché sono tutte reazioni di idrolisi che colpiscono a diversi livelli . 2-CATABOLISMO DEI GLICOLIPIDI Più complicato è il catabolismo dei glicolipidi in rapporto al fatto che si tratta di strutture più complesse. e variabili nella loro composizione. 1-Cerebrosidi: la ceramide è legata ad un monosaccaride (normalmente è Gal ,se è Glucoso si tratta di cerbrosidi atipici che si formano in situazioni patologiche). Nei cerebrosidi l’acido grasso è sempre a lunga catena in genere 24 C[n è 22] (quindi abbiamo l’acido liniocerico, ossiliniocerico, inervonico, ossiinervonico). Il catabolismo più frequente coinvolge la liberazione di ceramide e galattosio in quanto, interviene una glicosidasi specifica: una �-glicosidasi che riconosce il legame �glicosidico fra galattoso e ceramide e in presenza di H2O lo scinde e formiamo galattoso+ceramide. 2-Sulfatidi: i cerebrosidi possono essere trasformati in sulfatidi laddove ci sia solfato nella posizione 4 oppure 3 o 2 cioè dove ci sia un radicale solforico presente sugli ossidrili del galattoso.Il solfato viene portato sotto forma di Solfato Attivo ossia Adenosin-3-P-5-fosfosolfato con reazione di solforilazione. Il catabolismo dei sulfatidi prevede l’intervento di esterasi, che staccano il solfato dalle posizioni 4, 3, 2 formando il cerebroside, il quale a sua volta viene degradato a ceramide+galattoso. Esistono malattie genetiche in cui manca questa esterasi che stacca il solfato, per cui si accumulano i sulfatidi e viene perciò meno il turn over di tali sulfatidi . Queste patologie determinate dall’accumulo di sulfatidi colpiscono soprattutto il tessuto nervoso e prendono il nome di Leucodistrofia metacromatica (così detta perché il tessuto alla istochimica provoca una reazione atipica ossia la colorazione specifica è differente da quella che normalmente sarebbe). La situazione diventa più complessa quando la catena glucidica si allunga e soprattutto quando si complica con la presenza di acido ossialico e per cui passiamo ai gangliosidi o sialogangliosidi. 3-CATABOLISMO DEL GANGLIOSIDE Il ganglioside è formato da ceramide+numero di unità saccaridiche (glucoso, galattoso, N-acetilgalattosammina, galattoso, ove alle due molecole di galattoso sono legate molecole di acido ossialico). La catena oligosaccaridica inizia con glucoso, il quale è legato con legame �glucosidico al ceramide, al glucoso segue il galattoso, che con legame(1�4)� glucosidico si unisce al glucoso iniziale,tale galattoso si indica come galattoso centrale.Al galattoso centrale si lega una molecola di N-acetilgalattosammina, e ad essa [con legame (1�3)� glicosidico] si lega una molecola di galattoso detto galattoso periferico. Questo, appena descritto, è un glicolipide oligosaccaride che può esistere come tale, ma normalmente la struttura è complicata dalla presenza di molecole di acido ossialico che possono legarsi o al galattoso centrale o al galattoso periferico o ad entrambi. Il legame tra acido ossialico e galattoso prevede che l’interazione avvenga col galattoso in posizione 3 e da parte dell’acido ossialico l’ossidrile glucosidico in 2.

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L’acido ossialico ha 9 C e porta una funzione chetonica che può dare origine a una struttura emiacetalica, quindi tale acido esiste nella forma ciclica che è sempre in posizione � quando si lega ad altri componenti : il Carbonio 2 dell’acido ossialico è un carbonio glucosidico in configurazione � ed esso viene a legarsi all’ossidrile in 3 del galattoso, forma pertanto un legame (2�3)� glucosidico. Lo stesso legame(2�3)� glucosidico si trova tra il galattoso periferico e l’acido ossialico. Altre molecole di acido ossialico si possono legare alle molecole di acido ossialico già presenti e il legame avviene tra il C2 dell’acido ossialico che si aggiunge e il C8 dell’acido ossialico precedente, formando quindi un legame 2�8 . Pertanto possiamo avere: monosialogangliosidi (acido sialico lega il galattosio centrale, Disialogangliosidi (un acido sialico legato al galattosio centrale e l’altro acido sialico legato al galattosio periferico), trisialoganglioside (due molecole di acido ossialico legate l’una all’altra e complessivamente legate al galattoso centrale e una terza molecola di acido ossialico legata al galattoso periferico) e un tetrasialoganglioside. La degradazione dei sialogangliosidi avviene sempre per reazioni idrolitiche, quindi per reazioni glicosidasiche in quanto si tratta di legami glicosidici che vengono rotti ogni qualvolta una unità saccaridica viene tolta. Gli acidi sialici periferici sono i primi ad essere tolti, ciò avviene ad opera di una glicosidasi attiva sul legame glicosidico tra acido ossialico e galattoso periferico o tra l’acido ossialico e il galattoso centrale, e poi via via verranno allontanate le diverse unità saccaridiche. E’ possibile che vi siano dei deficit genetici per cui manca una delle glicosidasi che degrada la catena laterale, di conseguenza nel tessuto si accumulano gangliosidi atipici dovuti a una solo parziale e non completa degradazione del composto.Tra queste patologie genetiche la meglio conosciuta è quella di Tay-Sachs, in cui il ganglioside viene degradato solo fino al distacco del galattoso periferico e la N-acetilgalattosammina non riesce ad essere allontanata perché manca la glicosidasi specifica per staccarla dal galattoso centrale. Quindi si accumula questo ganglioside atipico, che è indicato come GM2, costituito da N-acetilgalattosammina, galattoso, glucoso e ceramide. L’accumulo di GM2 provoca un’alterazione della struttura lipidica della cellula nervosa, il che si risolve con deficit mentali profondi ed è sovente fatale. La malattia di Tay-Sachs è propria della popolazione ebraica e in particolare degli ebrei degli Stati Uniti d’America. Complessivamente queste patologie, che colpiscono il divenire dei lipidi che portano sfingosina come struttura portante l’acido grasso, prendono il nome di Sfingolipidosi di cui vi è una classificazione estremamente ampia. Il metabolismo degli sfingolipidi è più colpito nella sua degradazione che a livello di biosintesi. Importante è ricordare che si stacca una unità glicidica alla volta e non si arriva invece all’attacco interno della catena. La catena è quindi posta in tal modo che la glucosidasi riconosce soltanto il legame glicosidico terminale e non all’interno della catena. SINTESI DELL’ACIDO GRASSO E SINTESI DEI LIPIDI UNA VOLTA FORMATO L’ACIDO GRASSO SINTESI DI ACIDI GRASSI A PARTIRE DA PRECURSORI SEMPLICI La Sintesi è citoplasmatica a differenza del catabolismo dell’acido grasso che era mitocondriale. Questa via di sintesi porta alla formazione di acidi grassi al massimo a 16-18 C, quindi proteoterminale di questa via metabolica è l’acido palmitico o al massimo l’acido stearico . Se è necessario formare acidi grassi a più lunga catena quindi 20-22-24 C non si parla più di sintesi di acido grasso ma di Allungamento della catena dell’acido grasso ; Tale allungamento avviene in due compartimenti subcellulari che sono o i mitocondri (allungamento mitocondriale) o il RE (allungamento del RE). Le nostre cellule sono in grado di trasformare gli acidi grassi saturi in acidi grassi insaturi,e tale trasformazione è tipica del RE. Quindi la Insaturazione è l’ultima reazione della sintesi dell’acido grasso, prima si costituisce la catena satura e poi si introduce l’insaturazione.

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Importante è ricordare che la catena dell’acido grasso si costruisce partendo da unità semplici, e in particolare da AcetilCoA. L’AcetilCoA è formato nel mitocondrio mentre la sintesi dell’acido grasso avviene nel citoplasma,e quindi il primo problema è quello di trasportare l’AcetilCoA dal mitocondrio al solubile. Si tratta di un grosso problema poiché la membrana del mitocondrio non permette il passaggio di CoA né di AcetilCoA né di AcilCoA a lunga catena. Perciò esiste un sistema che porta attraverso la membrana mitocondriale un precursore da cui verrà formato AcetilCoA e questa molecola trasportatrice precursore per AcetilCoA è l’Acido Citrico. Quindi l’AcetilCoA formato nel mitocondrio esce in forma di Citrato che nel citoplasma torma poi in forma di AcetilCoA. Vie metaboliche che nel mitocondrio portano alla formazione di AcetilCoA sono : La �-Ossidazione(che però è repressa durante la sintesi di acido grasso in quanto :da acido grasso formare acido grasso risulta assurdo),e la decarbossilazione ossidativa dell’acido piruvico(la catena carboniosa che servirà per formare acido grasso proviene da glucoso ,il quale degradato nel solubile a piruvato si trasloca dentro al mitocondrio e qui il piruvato viene trasformato ad opera della Piruvatodeidrogenasi in AcetilCoA e in questa forma finalmente potrà essere traslocato fuori dal mitocondrio). L’AcetilCoA deve ora uscire in forma di Citrato e ciò è possibile tramite la condensazione di AcetilCoA con acido ossalacetico operata dalla citratosintasi (Prima reazione del ciclo dell’acido citrico). Quindi ci avvaliamo di due sistemi per formare AcetilCoA nel solubile : 1-Piruvatodeidrogenasi mitocondriale che trasforma il piruvato in AcetilCoA 2-Citratosintasi(appena descritto) Riassumendo: 1-Prima reazione del ciclo dell’acido citrico : la citrato sintasi determina la condensazione dell’AcetilCoA sull’acido ossalacetico in una reazione Liasica in cui uno degli H del Gruppo CH3 dell’AcetilCoA liberato viene come H+ (quindi assume caratteristiche acide) si porta all’O carbonilico dell’acido ossalacetico e forma l’intermedio CitrileCoA che è instabile e in presenza di H2O si trasforma in Acido citrico. 2-L’acido citrico può ora lasciare il mitocondrio, perchè sulla membrana interna del mitocondrio esiste un trasportatore specifico per gli acidi tricarbossilici.Si tratta di una proteina specifica che riconosce e poi lega l’Acido citrico e lo trasloca all’esterno. 3-Nel citoplasma da Citrato +CoA �AcetilCoA+ acido ossalacetico (reazione che richiede la partecipazione di ATP�ADP+Pi. Così abbiamo a disposizione AcetilCoA nel solubile. L’enzima che catalizza la reazione inversa nel citoplasma prende il nome di Citratoliasi (CL) (e non citratosintetesi). La CL usa energia durante la reazione liasica e infatti è ATP dipendente. La reazione liasica si svolge in più momenti: 1. In un primo momento la CL ( da ricordare che la citratosintasi nel mitocondrio è indicata con l’acronimo CS) come primo intermedio della reazione reagisce con ATP e si forma una citratoliasi fosforilata+ADP si forma quindi un fosfoenzima intermedio. 2. Fosfoenzima+citrato� si libera Pi e si forma il secondo intermedio CL-citrato (citrileenzima) . Il legame citrato-enzima è ricco di energia. 3. L’enzima citrato in presenza di CoA si scinde in AcetilCoA+ acido ossalacetico. NB: L’Enzimafosfato rende possibile lo svolgimento della reazione. Ora consideriamo i prodotti di questa reazione: AcetilCoA che potrà essere utilizzato nella sintesi dell’acido grasso e l’acido ossalacetico che si è formato. L’acido ossalacetico può andare in contro a due destini : 1)-Acido ossalacetico + NADH+ H+ �Acido malico + NAD+

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La reazione avviene in presenza di NADH+ H+ ad opera della Malicodeidrogenasi. Questa reazione è uno dei sistemi spoletta ossia uno dei sistemi con cui il potere riducente del NADH+ H+ viene portato nel mitocondrio. L’acido malico può avere due destini :

1- O ritorna dentro il mitocondrio ed è in grado di tornarci perché c’è un traslocatore specifico per l’acido malico che lo riporta dentro. Nel mitocondrio viene ritrasformato dalla

malicodeidrogenasi in acido ossalacetico, e l’acido ossalacetico viene dinuovo riutilizzato per la reazione citrato sintasica. Quindi in pratica questo ossalacetato che si è formato nel citoplasma ritorna dentro al mitocondrio e permette al sistema di continuare a funzionare. 2- La seconda possibilità è la più battuta quando c’è la sintesi di acidi grassi attivi.

L’acido malico diventa substrato per l’enzima malico; quindi l’acido malico invece che tornare al mitocondrio nel solubile ad opera della malicodeidrogenasidecarbossilante(che è nota come l’Enzima malico o MDH ,che utilizza come cofattore NADP+ ) in presenza di NADP+ l’acido malico si trasforma in acido piruvico +CO2 . L’acido piruvico ora ritorna al mitocondrio dove ad opera della piruvatodeidrogenasi forma AcetilCoA. E l’AcetilCoA così formato legandosi ad una molecola di acido ossalacetico formerà citrato e tornerà fuori.

Quindi da acido ossalacetico rigeneriamo ad acido piruvico che sarà importante perchè permetterà di formare nuovamente AcetilCoA per la sintesi di acido grasso. Questa seconda modalità è molto importante per due motivi: Il primo perché tale modalità rigenera l’AcetilCoA e il secondo perché forma NADPH + H+ che è il cofattore essenziale per la sintesi di acido grasso .

�L’enzima malico diventa estremamente attivo laddove ci sia una sintesi attiva di acidi grassi , quindi è probabile che la via seguita per riportare l’acido ossalacetico dentro il mitocondrio sia la via enzima malico dipendente . Quindi in definitiva bisogna tener presente questo lungo ciclo che compie l’acido ossalacetico per essere restituito al mitocondrio sotto forma di AcetilCoA o eventualmente sotto forma di acido ossalacetico. Avendo l’AcetilCoA nel solubile possiamo ora iniziare la sintesi dell’acido grasso. SINTESI DELL’ACIDO GRASSO La sintesi dell’acido grasso si differenzia dalla degradazione ossia dalla �-Ossidazione : Primo perché i cofattori di ossidoriduzione che utilizzeremo saranno nella forma ridotta e non nella forma ossidata come nella �-Ossidazione e sarà sempre NADPH+ H+ mai NAD+ o FAD+; quindi il cofattore di ossidoriduzione è NADPH+ H+. Secondo: la �-Ossidazione è formata da più enzimi che lavorano in catena; la sintesi dell’acido grasso è svolta invece da un'unica proteina, che nella sua sequenza porta diverse attività enzimatiche. Quindi l’enzima che forma acido grasso e che prende il nome di Acido grasso sintetasi è una proteina polifunzionale , ossia una proteina unica che in siti diversi della sua catena esprime attività enzimatiche differenti ,mentre nella �-Ossidazione avevamo tutti enzimi distinti che lavoravano in catena. Proteina unica che svolge funzioni diverse. Terzo: le reazioni(le tappe seguite) che avvengono in sintesi saranno le stesse della �-ossidazione ma in senso inverso, inoltre la Stereochimica degli intermedi che si formano è diversa da quella della �-Ossidazione , perché quella della �-Ossidazione formavamo un L-�-idrossiacilCoA nella sintesi formeremo un di�idrossiacilCoA. Quarto: trattandosi di via di sintesi è richiesto consumo di ATP quindi una alta presenza nella cellula di ATP ,mentre invece nella �-Ossidazione si degradava l’acido grasso proprio allo scopo di ottenere ATP in quanto la cellula si trovava in difetto di ATP. Quindi seppure le reazioni che sfrutteremo per costruire l’acido grasso sono le stesse che abbiamo usato nella �-Ossidazione, in effetti il sistema che sintetizza acido grasso è notevolmente diverso

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dal sistema che demolisce acido grasso. In primis questa differenza sta nell’enzima che interviene che appunto : nella sintesi è uno polifunzionale mentre nella �-Ossidazione sono più enzimi diversi. Quinto: La sintesi è citoplasmatica mentre la degradazione è mitocondriale e avviene quindi in compartimenti distinti. Biochimica 8 gennaio 2003 SINTESI DELL’ACIDO GRASSO: Per la sintesi dell’acido grasso occorre acetil-CoA che si forma quasi esclusivamente nel mitocondrio. Questo viene portato all’esterno e reso disponibile a questo processo di sintesi via il trasportatore per il citrato. Inizio della sintesi dell’acido grasso. Per iniziare la sintesi dell’acido grasso non è essenziale l’acetil-CoA ma un suo omologo che è precisamente il malonil-CoA, cioè la formazione della catena parte da malonil-CoA il quale si forma da acetil-CoA, perciò prima di iniziare la sintesi dell’acido grasso dobbiamo convertire acetil-CoA in malonil-CoA dopo di che potremo finalmente iniziare il processo. La reazione di conversione di acetil-CoA in malonil-CoA è una reazione di carbossidazione in cui l’acetil-CoA viene carbossidato e l’agente carbossidante è ancora una volta il bicarbonato ione, cioè CO2. L’enzima impegnato in questa conversione sarà un’acetil-CoA carbossilasi di tipo piruvato carbossilasi (vista all’inizio della gluconeogenesi) è una proteina coniugata che ha come gruppo prostetico biotina e lavora con un meccanismo sovrapponibile a quello della piruvato carbossilasi visto in precedenza. Le proteine sono differenti ma il meccanismo d’azione è del tutto uguale. Prima reazione che dà l’avvio alla sintesi dell’acido grasso è la carbossilazione dell’acetil-CoA ad opera dell’acetil-CoA carbossilasi. Enzima che porta come gruppo prostetico biotina e che per la sua attività richiede magnesio ioni. L’enzima è una ligasi. Si forma malonil-CoA. Il gruppo che viene carbossilato è C metilico del CoA, quindi la CO2 viene a legarsi al C metilico del CoA in una reazione che richiede consumo di ATP che si scinde in ADP+P. Come già per la piruvato carbossilasi la prima reazione che avviene è la carbossidazione della biotina. La biotina è legata covalentemente alla proteina enzimatica con un legame isopeptidico fra il carbossile della catena valerianica della biotina e l’ε-aminogruppo di un radicale di lisina della proteina. Il legame è covalente ed è notevolmente stabile tant’è che quando si cerca di staccare il gruppo prostatico in genere la catena della proteina si interrompe e si separa l’intermedio biotina legato a lisina che va sotto il nome di biocitina. L’enzima in primis riconosce l’ATP e la CO2 e determina in un primo momento la rottura del legame pirofosforico terminale dell’ATP trasformando l’ATP in ADP+P e sfrutta l’energia di questo legame per legare la CO2, cioè il bicarbonato ione, sull’azoto 1’ dell’anello imidazolico del nucleo della biotina. Si forma questo intermedio che sarà un carbossi-biotin-enzima, la reazione è costosa ed è in questo momento che si ha il consumo di ATP, ATP serve per carbossidare la biotina. In un secondo momento il carbossi-biotin-enzima reagisce con acetil-CoA, in pratica il legame tioestereo dell’acetile con il CoA mobilizza uno degli idrogeni del C metilico che acquisisce caratteristiche acide e che viene quindi facilmente dissociato, questo protone viene in pratica ad integrare H dell’azoto 1’ dell’anello della biotina e il bicarbonato ione si sposta sul C metilenico. L’enzima in pratica deprotona il C metilico e scambia quest’idrogeno che va sull’azoto dell’anello della biotina con il bicarbonato ione che si lega con il C metilenico. L’enzima forma in pratica un radicale sul C metilico dell’acetil-CoA, radicale che rende possibile il trasferimento della CO2 con formazione del composto carbossilato cioè malonil-CoA. Nel corso della carbossilazione la reazione che costa è la carbossilazione della biotina enzima mentre la reazione di trasferimento del bicarbonato ione sull’acetil-CoA non costa più perché sfrutta l’energia del legame tra bicarbonato ione e l’azoto dell’anello, è un legame ricco di energia che simula un legame protidico-peptidico e questa energia viene sfruttata per legare il bicarbonato ione sul C metilico dell’acetil-CoA che diventa malonil-CoA. La reazione è irreversibile poiché è una reazione fortemente esoergonica, cioè

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il legame che si forma ha un livello energetico più basso rispetto alla rottura del legame pirofosforico terminale dell’ATP, per cui la reazione va soltanto in favore della carbossilazione e non viceversa. L’enzima che dà l’avvio alla sintesi dell’acido grasso è importante perché è un sito di regolazione, cioè uno degli enzimi che concorrono a regolare la velocità della sintesi dell’acido grasso. Se questo enzima non funziona, la sintesi non si avvia in quanto la sintesi procede sull’unità tricarboniosa del malonil-CoA. Questa carbossilasi ha la caratteristica di avere una massa molecolare molto alta si aggira sui 5 milioni raggiunge anche i 7-8 in alcuni tessuti ed è particolarmente attiva in tre tessuti: a livello epatico, a livello del tessuto adiposo e si attiva a livello della ghiandola mammaria solo quando è secernente, solo dopo il parto quando inizia la sintesi del lattosio e la formazione del latte (infatti, per la formazione del latte è necessaria sintesi degli acidi grassi che concorreranno a formare la componente lipidica del latte) invece è inattiva o pochissimo attiva quando la ghiandola è a riposo. Altra caratteristica è essere un polimero formata da molte unità ciascuna formata da almeno 4 catene differenti con funzioni differenti. E’ un polimero formato da tanti monomeri (circa 10), è una struttura filamentosa in cui lungo il filamento si ripetono questi monomeri agganciati uno all’altro, (da alcuni viene assimilata la forma della “tenia”, cioè del verme solitario) una forma nastriforme in cui lungo al nastro si succedono questi diversi monomeri, questi protomeri. Ogni protomero è costituito da 4 catene che hanno funzione differente, cioè una catena ha la funzione di legare biotina, una seconda catena ha la funzione di carbossilare la biotina (azione carbossilante), una terza catena ha un’azione transcarbossilante, cioè trasferisce il carbossile della biotina al acetil-CoA, e una quarta catena lega i modulatori che sono essenzialmente 2: acido citrico o acido isocitrico. Lega perciò modulatori positivi, che sono citrato e isocitrato, ma può legare anche modulatori negativi, che sono acidi grassi a lunga catena e corrispondenti acil-CoA e in parte come agente destabilizzante può legare anche l’ATP. Citrato e isocitrato sono modulatori positivi perché andando a legarsi alla catena numero 4, facilitano la polimerizzazione, sono interatori tra i protomeri, cioè l’interazione protomero-protomero è garantita da citrato e isocitrato, mentre è inibita, in pratica il polimero è destabilizzato da acidi grassi a lunga catena, acil-CoA a lunga catena ed eventualmente ATP. In pratica, se la cellula ha una forte disponibilità di acidi grassi, la sintesi non si avvia perché questi acidi grassi vanno a legarsi all’enzima, alla acil-CoA carbossilasi, né destabilizzano la struttura polimerica e l’enzima non funziona più. Altro fattore di regolazione sarà la biotina, perché in carenza di biotina nelle nostre cellule si formerà l’apoproteina, cioè l’apoenzima, che non potrà essere coniugato al suo gruppo prostetico e l’enzima in questa forma è inattivo. Soggetti in carenza di biotina avranno una grande difficoltà a sintetizzare acidi grassi perché non riusciranno a formare l’acetil-CoA in forma attiva. In pratica formano la proteina ma non la coniugano. In più l’enzima è regolato da fosforilazione e defosforilazione, questo enzima (questo protomero) esiste in 2 forme, una fosforilata e l’altra defosforilata, che è anche la forma attiva. Il passaggio dalla forma defosforilata alla fosforilata è mediato da una protide cinasi che in presenza di ATP va a fosforilare l’acetil-CoA carbossilasi, la trasforma nella forma fosforilata che è la forma inattiva. Tra le diverse cinasi che agiscono su acetil-CoA carbossilasi troviamo anche la PKA, che è regolata da cAMP, ne consegue che la carbossilazione dell’acetil-CoA è sotto controllo ormonale, in particolare è controllata negativamente da ormoni cAMP dipendenti in particolare glucagone e adrenalina. Quando c’è un’attiva secrezione di glucagone e adrenalina la sintesi dell’acido grasso è repressa, perché l’acetil-CoA carbossilasi si trova prevalentemente nella forma fosforilata. Il passaggio inverso, da fosforilata a defosforilata, richiede una fosfatasi, che sarà acetil-CoA carbossilasi fosfato fosfatasi che attacca l’enzima fosforilato e lo defosforila. Importante è che questa fosfatasi è regolata da insulina, cioè è stimolata da insulina questa fosfatasi. Quando c’è una buona secrezione di insulina la sintesi dell’acido grasso sarà veloce, perché la carbossilasi sarà prevalentemente in forma defosforilata, che è la forma attiva e questo spiega perché l’insulina è considerata un ormone lipogenetico, cioè che facilita la deposizione di lipidi, in particolare trigliceridi, in quanto innesca la

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sintesi dell’acido grasso, andando ad agire proprio sulla prima tappa di sintesi dell’acido grasso che regola la velocità dell’intero processo. Tenendo presente un’osservazione fatta già quando si è parlato precedentemente dell’attivazione dell’acido grasso e della β-ossidazione, il malonil-CoA, che si è formato per carbossidazione dell’acetil-CoA, agisce come inibitore della CAT1, infatti, nel trasporto dell’acil-CoA dal solubile al mitocondrio è mediato da carnitina, in particolare da una CAT1, che è una traslocasi e da una CAT2. CAT1 è inibita da malonil-CoA, che è esattamente quello che abbiamo sintetizzato oggi. Quando c’è sintesi attiva di acidi grassi la β-ossidazione è repressa, perché gli acil-CoA non riescono a traslocarsi al mitocondrio, in quanto malonil-CoA blocca la CAT1. (Si ricollega la regolazione tra β-ossidazione e sintesi degli acidi grassi, ruolo fondamentale della regolazione è svolto dal malonil-CoA che è un inibitore potente della CAT1, previene la traslocazione degli acil-CoA attivati al mitocondrio per la β-ossidazione). Costruzione della catena dell’acido grasso: La catena di acido grasso si costruisce a partire da malonil-CoA, avverrà per addizioni successive di malonil-CoA, il quale ogni volta che è aggiunto perderà il gruppo carbossilico, in effetti, l’unità che si aggiunge è a 2 C. L’enzima che provvede ad addizionare queste unità di malonil-CoA e a costruire quindi la catena è detto acido grasso sintasi o sintetatasi ed è una proteina polifunzionale, cioè una proteina che nella sua sequenza porta diverse attività enzimatiche, specialmente le attività necessarie per costruire la catena dell’acido grasso. Nella sua integrità la proteina è formata da 2 filamenti uguali, ognuno dei quali esprime le diverse attività enzimatiche responsabili per la sintesi dell’acido grasso. (è la prima grossa proteina polifunzionale che troviamo, avevamo già visto una proteina polifunzionale nello studio della β-ossidazione perossisomiale). L’enzima è formata dai due filamenti uguali che si affrontano uno all’altro e su questo filamento sono distribuite le diverse attività enzimatiche, indispensabili per costruire la catena dell’acido grasso. Elenchiamo le diverse entità enzimatiche:

- La prima entità enzimatica, la cui caratteristica è la presenza di un gruppo tiolico, è indicata come enzima condensante. E’ importante per la sua funzione il gruppo tiolico (è un enzima tiolico) che è il responsabile dell’attività enzimatica di questo enzima.

- Seconda entità enzimatica che indichiamo come 2, ha la funzione di trasferire l’acetile dall’acetil-CoA a un composto accettore che sarà l’enzima condensante (acetiltransferasi), è detta funzione di transacetilasi. E’ importante ricordare la presenza del gruppo tiolico funzionale.

- Terza entità: funziona da malonil-transferasi e di questa il gruppo funzionale è un gruppo alcolico primario, quindi in pratica un radicale di serina.

- Quarta entità: prende il nome di enoil-riduttasi, avrà la funzione di ridurre un intermedio insaturo, da questo il nome enoil-riduttasi. Questa enoil-riduttasi sarà in grado di legare NADPH.

- Quinta entità: β-idrossiacildeidratasi o anche deidrasi. - Sesta entità: indicata come β-chetoacilriduttasi, la quale anch’essa legherà NADPH. - Settima entità: è una proteina indicata con il termine di ACP, la sigla significa protide

portatore di acili, la quale porta come caratteristica il gruppo funzionale –SH. Vicino a questa è presente una proteina di massa molecolare molto piccola che indichiamo come tiolasi, che sarà una idrolasi.

La catena che si affronta è esattamente uguale alla prima, con disposizione opposta delle sequenze, per cui troveremo in questa posizione la proteina 1, con il gruppo tiolico a cui seguirà la proteina 2,3,4,5,6 e 7. I due filamenti portano esattamente le stesse unità ma si affrontano in senso opposto in modo che il gruppo tiolico dell’enzima condensante di una unità viene ad affrontarsi al gruppo tiolico dell’ACP dell’altra unità. Questa è la struttura, la conformazione di questa acido grasso sintetasi, quindi la conformazione della proteina A ed è della conformazione strutturale, poi abbiamo una conformazione funzionale, in cui entrano in funzione e lavorano in sinergismo, le prime 3 unità di una catena (1,2,3), e 4,5,6,7,8 di una seconda catena, quindi questa è l’unità

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funzionale e questa l’unità strutturale o conformazionale. Quindi questa acido grasso sintasi per lavorare si serve dell’unità 1,2,3 e dell’unità 4,5,6,7,8, dell’altra catena. Nel conseguito le due catene sono strettamente interrelate tra di loro. Nell’unità funzionale sono importanti da ricordare i 2 gruppi tiolici, uno portato dall’enzima condensante e l’altro portato dall’acetile, che sono i due gruppi che rendono possibile il processo di sintesi. La proteina ACP è il trasportatore di acili che è una sequenza di circa 77 aminoacidi. Caratteristica dell’ACP è la serina36, che fa da gancio al gruppo prostetico di questo ACP, gruppo prostetico che è rappresentato dal braccio lineare del CoA. L’ACP non è quindi una proteina semplice, pur avendo massa molecolare piccola, cioè di circa 7000/8000, e ha come gruppo prostetico il braccio lineare del CoA, vale a dire la fosfopantoteina. Il CoA, come ricordate è un nucleotide, ed è formato da adenosin-3,5 bisfosfato, che viene a legarsi ad un braccio lineare che è quello della fosfopantoteina, che è formata a partire da un rimaneggiamento dell’acido pantotenico, vale a dire vitamina B10. Questa è la fosfopantoteina che porta come gruppo funzionale caratteristico il gruppo tiolico, viene, in effetti, da una cisteina che è andata incontro a decarbossilazione e questa è la parte nucleotidica. Quando l’ACP si deve formare, cioè deve legare i suo gruppo prostetico interviene un enzima che trasferisce dal CoA il braccio lineare cioè la fosfopantoteina lo trasferisce all’ACP e va a legarlo in corrispondenza della serina36. Dall’ACP emerge un gruppo alcolico primario portato da un residuo di serina, interviene un enzima che trasferisce il braccio lineare del CoA, vale a dire la fosfopantoteina al gruppo alcolico primario della serina36 dell’ACP e forma la proteina funzionale ACP-SH, di cui essenziale sarà questo gruppo tiolico portato dalla cisteamina del residuo nucleotidico rimane libero come adenosin-3,5 bisfosfato. Nel corso della reazione noi abbiamo ACP+CoA si libera adenosin-3,5 bisfosfato e rimane ACP legato all’acido lineare della fosfopantoteina. L’enzima è una fosfopantoteina transferasi, che trasferisce la fosfopantoteina presente sul CoA alla serina dell’ACP e forma l’ACP attivo. Il gruppo funzionale dell’ACP, ovvero questo gruppo tilolico viene da una fosfopantoteina, mentre il gruppo funzionale presente sull’enzima 1, cioè sull’enzima condensante è un residuo di cisteina. Importante è ricordare che nella sintesi dell’acido grasso funzioneranno questi 2 gruppi tiolici: il gruppo tiolico portato dall’ACP che appartiene ad una fosfopantoteina e il gruppo tiolico portato all’enzima condensante che appartiene ad un residuo di cisteina dell’enzima condensante. Primo momento della sintesi dell’acido grasso: una molecola di acetil-CoA, che non è stata carbossilata e che quindi si comporta come acetil-CoA, interagisce con l’enzima 2, quindi con la transacetilasi, la quale porta come gruppo funzionale un gruppo tiolico di cisteina, questa transacetilasi in pratica toglie l’acetile dall’acetil-CoA lo lega temporaneamente a se stesso e quindi lo fa slittare sul gruppo tiolico dell’enzima condensante, quindi nella prima reazione abbiamo acetil-CoA che reagisce con l’enzima condensante, interviene la transacetilasi che è l’enzima 2, e forma CoA+l’enzima condensante acetilato. Intermedio della reazione è un intermedio in cui la transacetilasi è temporaneamente acetilata e l’acetile che aveva staccato dall’acetil-CoA è legato al gruppo tiolico della transacetilasi, questo vi spiega perché la transacetilasi è tiolica, questo gruppo tiolico serve per legare temporaneamente l’acetile proveniente dall’acetil-CoA e trasferirlo successivamente con lo stesso tipo di legame all’enzima condensante. Intermedio della reazione è un’acetil-S-enzima che ulteriormente sposterà l’acetile all’enzima condensante per formare acetil-S-enzima condensante. Secondo momento della sintesi dell’acido grasso: interviene malonil-CoA che abbiamo formato precedentemente per carbossidazione dell’acetil-CoA, il quale diventa substrato per l’enzima 3 che è la maloniltransferasi, che trasferisce in pratica il malonile alla ACP, formando malonil-S-ACP. Malonil-CoA+ACP-SH forma malonil-S-ACP+COASH. L’enzima è un maloniltransferasi e porta come gruppo reattivo un residuo di serina per cui il malonile staccato dal CoA viene a legarsi temporaneamente al gruppo alcolico primario di un residuo di serina dell’enzima 3 e forma un intermedio che sarà un legame estereo tra il gruppo alcolico primario della serina e il carbossile del

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malonil-CoA, sull’enzima 3 formeremo questo intermedio che è un malonil-serina enzima, ora il malonil-serina enzima trasferisce il malonile al gruppo tiolico dell’ACP e forma malonil-S-ACP. Nel trasferimento del malonile l’intermedio non è un legame tioestereo ma un legame estere. L’acetile è legato all’enzima condensante e il malonile è legato all’ACP dell’altra catena ed ugualmente dall’altra parte avremo l’acetile legato all’enzima condensante e dall’altra parte il malonile legato all’altra molecola di ACP. Per cui sull’acido grasso sintetasi, vanno avanti in pari la sintesi di 2 molecole di acido grasso, che impegnano l’unità funzionale e non quella strutturale. L’enzima condensante, sia di una parte sia dell’altra, trasferisce l’acetile al malonile-S-ACP. Avviene la reazione di trasferimento in cui l’acetile dall’enzima condensante viene convogliato al malonile-S-ACP e viene convogliato sul carbonio metilenico del malonile-S-ACP con simultaneo distacco del gruppo carbossilico. L’acetile viene convogliato sul C metilenico del malonile e contemporaneamente il malonile perde come CO2 il gruppo carbossilico. Nella reazione di trasferimento dell’acetile al malonile perdiamo CO2 cioè perdiamo quel carbonio che avevamo legato nella carbossilazione dell’acetil-CoA. Terzo momento della reazione di sintesi degli acidi grassi: acetil-S-enzima condensante+malonil-S-ACP, l’enzima condensante si libera con il suo gruppo tiolico, si libera CO2 e formiamo una sequenza a 4 carboni che sarà il β-chetogutiril-S-ACP, in cui la parte distale, più lontani dall’ACP sono i 2 carboni che vengono dall’acetil-CoA e la parte prossimale che era la parte di pertinenenza del malonile. L’acetile viene portato sul malonile e formiamo l’intermedio a 4 carboni, β-chetogutiril-S-ACP con liberazione del gruppo carbossilico del malonile che se né va come CO2. Quindi formiamo la prima unità a 4 carboni, che è un β-chetoacido che sarebbe β-chetogutiril-S-ACP, è importante ricordare che in questa β-chetogutril-S-ACP i 2 C terminali, che provengono dall’acetil-CoA, e 2 C prossimali sono del maloni-CoA. Formato il β-acilderivato in pratica l’ACP orienta questa catena in via di formazione verso le unità 6,5,4 allora adesso questo β-chetoderivato si affronta all’unità 6 che è una riduttasi, la quale provvede a ridurre il β-chetoacil-S-ACP in β-idrossiacil-S-ACP, primo momento l’ACP affronta il β-chetoderivato all’unità 6 che funziona da riduttasi, cioè la β-chetoacilriduttasi la quale utilizza NADPH+H (ridotto) per ridurre il gruppo che tonico in β a gruppo alcolico secondario. Importante è che il C asimmetrico è di tipo D e non L come nel caso della β-ossidazione, lo stereoisomero che si forma è β-idrossiacil-S-ACP ha la configurazione D e non L come nella β-idrossiacil-CoA che si forma nella β-ossidazione. Ad opera dell’enzima 6 la β-chetoacilriduttasi, il β-chetobutirril-S-ACP viene ridotto al livello del C carbonilico a gruppo alcolico secondario, β-idrossibutirril-S-ACP di configurazione D anziché di configurazione L. L’enzima 6 richiede come regolatore del potere riducente esclusivamente NADPH+H, nella sintesi dell’acido grasso il potere riducente sarà sempre portato da NADPH+H e mai da NADH+H o FADH2. Con questo abbiamo una spiegazione di quanto abbiamo detto a proposito del ciclo del Glu6P: la parte ossidativa di questo processo, cioè le prime 3 reazioni che sono quelle reversibili erano essenziali per la formazione di NADPH+H, utilizzato nella sintesi dell’acido grasso, sintesi del colesterolo e reazioni di ossidazione. Questa reazione l’abbiamo nella sintesi dell’acido grasso quando il β-chetointermedio diventa β-chetoidrossiintermedio. Formato il β-idrossintermedio come nella β-ossidazione interviene una reazione deidratasica, cioè liasica in cui togliamo una molecola H2O, al contrario nella β-ossidazione aggiungevamo una molecola H2O, Formato il β-idrossiderivato interviene l’enzima successivo, che sarà l’enzima 5, che è la deidratasi, β-idrossiacil-S-ACP deidratasi la quale toglie acqua. Toglie una molecola d’acqua tra il C alcolico secondario e il C metilenico vicino e forma deidrobutirril-S-ACP indicato correntemente come enoil-S-ACP. E’ una reazione irreversibile e importante è che l’enzima è stereospecifico perché riconosce solo il D-β-idrossiderivato e forma esclusivamente il trans-insaturo corrispondente.

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L’insaturo che si è formato viene accolto dall’enzima 4, che è la enoilriduttasi la quale riduce in pratica il doppio legame e forma la catena satura e nella riduzione utilizza come donatore del potere riducente ancora una volta NADPH+H. Quindi formiamo definitivamente la catena a 4 C che sarà butirril-S-ACP. L’unità funzionale ha terminato la sua funzione e formato la catena a 4 carboni. Rimane da discutere la funzione dell’enzima 8, esso interviene una sola volta nel corso della sintesi dell’acido grasso, cioè quando la cellula ha deciso che la catena di acido grasso formata ha una lunghezza sufficiente. E porterà al distacco dell’acile dall’ACP con liberazione dell’acido grasso. Questo avviene solo quando la catena raggiunge la lunghezza critica di 16-18 C, cioè quando abbiamo formato palmiti-S-ACP o stearil-S-ACP, prima l’enzima 8 non interviene, quindi il processo continuerà ad andare avanti e vedremo come, eccetto nella ghiandola mammaria secernente, la quale è deputata a formare acidi grassi a corta catena quale butirrico, caprilico, capronico, caprico che sono caratteristici dei trigliceridi del latte. Solo nella ghiandola mammaria con la formazione di un butirril-S-ACP esso potrebbe staccarsi con una reazione di idrolisi dall’enzima 8 o tiolasi. In tutte le altre cellule (soprattutto negli epatociti e adipociti) l’enzima 8 non interviene a questo livello mentre interverrà solo più tardi quando la catena avrà raggiunto la lunghezza di 16-18 C e avremo formato acido palmitico e acido stearico. Quindi è un’elettività della ghiandola mammaria secernente quella di formare acidi grassi a corta catena, importanti perché molto più solubili dei corrispondenti a lunga catena, passano facilmente attraverso le membrane mitocondriali e sono rapidamente utilizzabili e facilmente digeribili e questo è ciò che è richiesto per il neonato nei primi mesi di vita. Normalmente allora la sintesi non si interrompe ma va avanti e a questo punto il butirrile-S-ACP, perché la sintesi possa continuare deve liberarsi della catena a 4 C. Il butirrile-S-ACP interagisce con l’enzima condensante, il quale enzima condensante stacca il butirrile e lo lega a se stesso, quindi il butirrile viene spostato dall’ACP all’enzima condensante, quindi formiamo butirril-S-enzima condensante e ACP libero. Quindi tutto il butirrile viene traslocato al gruppo tiolico dell’enzima condensante, e si ACP libero. L’ACP libero potrà accettare una nuova molecola di malonil-CoA, il secondo ciclo di reazione che porterà alla formazione di un acido grasso a 6 C inizia con il trasferimento del malonil-CoA attraverso l’enzima 3 all’ACP. Il malonile è di nuovo legato all’ACP. In questo momento quindi abbiamo il malonile legato all’ACP e il butirrile che se ne sta sull’enzima condensante. Allora si ripete ciò che abbiamo visto nella prima reazione: l’enzima condensante cede il butirrile al malonil-S-ACP forma un β-chetointermedio a 6 C e libera CO2. Il secondo ciclo di reazioni di allungamento prevede malonil-S-ACP da una parte e butirril-S-enzima condensante dall’altra, l’enzima condensante in pratica trasferisce il butirrile al malonil-S-ACP e va a legarlo al C metilenico del malonil-CoA con liberazione di CO2. Abbiamo formato β-chetocapronil-S-ACP. Adesso ripetiamo la sequenza delle reazioni che avevamo visto precedentemente. Il gruppo chetonico viene ridotto a gruppo alcolico secondario via NADPH+H, il β-idrossiderivato viene deidratato e forma l’enoil-insaturo corrispondente, enoil-insaturo corrispondente viene idrogenato e forma finalmente il capronil-S-ACP. A questo punto il capronil-S-ACP cede il capronile all’enzima condensante e ha inizio il terzo ciclo di allungamento. E così va avanti, cioè continua a riciclare la catena neoformata e trasferita momentaneamente sull’enzima condensante, si addiziona di nuovo malonil-CoA e il ciclo si ripete. In conseguenza di questo la parte più vecchia della catena, cioè quella che si è formata prima, sarà la parte più lontana dall’ACP e quella più nuova sarà più prossimale all’ACP. Quindi, in questo capronil-CoA i 2 C terminali della catena sono quelli derivati dall’acetil-CoA e gli altri sono formati dalle successive apposizioni di malonil-CoA. La parte più nuova è quella vicina all’ACP e la parte più vecchia è quella distale. Questo processo continuerà fintanto che la catena ha raggiunto la lunghezza di 16-18C. A questo punto la catena è troppo lunga, cioè si crea un impedimento sterico alla stabilità dell’acido grasso sintetasi e quindi viene espulsa dal sistema, l’espulsione è garantita dall’entità 8, che è una idrolasi, la quale addiziona H2O sul legame tioestereo acile-ACP, e risolve il palmitil-S-ACP in acido palmitico+ACP. E con questo la sintesi finisce nel citoplasma. Allora questo acido palmitico libero, verrà attivato con il coenzima A e potrà essere utilizzato in loco (cioè nel citoplasma, in particolare

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nel R.E, per la costruzione di trigliceridi) per la sintesi di trigliceridi, oppure potrà essere veicolato ad altri compartimenti per il successivo allungamento. Se abbiamo quindi bisogno di acidi grassi a 18 C sarà sufficiente il citoplasma, se abbiamo bisogno di acidi grassi a più lunga catena, in particolare l’acido lineocerico a 24 C, la sintesi non può più avvenire nel citoplasma ma avviene in altri 2 compartimenti che saranno o il mitocondrio o il reticolo endoplasmico dove non parleremo più di sintesi dell’acido grasso ma di allungamento della catena di acido grasso. Allungamento: andiamo verso la formazione di acidi grassi a lunga catena 18,20,22,24 C che avviene o nel mitocondrio o nel R.E. In entrambi i casi non è più un enzima polifunzionale quello che interviene nell’allungare ma sono tante entità enzimatiche separate, ciascuna con una funzione specifica. Non avremo più quindi l’ACP che interviene nel corso della reazione ma sarà sempre un acile legato a CoA l’intermedio che viene utilizzato. Se siamo nella frazione mitocondriale l’allungamento avviene su intervento di unità successive di acetil-CoA (non più malonil-CoA). Esempio: siamo arrivati a formare acido palmitico nel citoplasma, l’acido palmitico viene attivato a palmitil-CoA dal sistema di attivazione citoplasmatico, cioè dall’ATP che si scinde in AMP+PPi, viene traslocato all’interno del mitocondrio e nel mitocondrio va incontro a un processo di sintesi. Ovviamente l’acetil-CoA che si aggiunge non è acetil-CoA che deriva da una β-ossidazione ma è acetil-CoA che si è formato in loco, nella matrice mitocondriale, per intervento della piruvato deidrogenasi a partire da piruvato che viene decarbossilato a formare acetil-CoA. Non è possibile che esso derivi dalla β-ossidazione perché se la cellula sintetizza acidi grassi vuol dire che ha poca disponibilità di acidi grassi quindi sicuramente non li degrada. Le reazioni sono le stesse che abbiamo visto nella sintesi: nella prima reazione interviene una palmitoil-transferasi che trasferisce il palmitoile all’acetil-CoA e forma un intermedio, un β-chetoacilderivato questa volta a 18 C. Si forma un β-chetostearil-CoA, esso viene ridotto e la riduttasi che interviene utilizza indifferentemente NADH+H o NADPH+H (ridotto). Reazione successiva in cui formiamo un β-idrossiderivato in cui ancora una volta la configurazione è D, cioè un D-β-idrossistearil-CoA. Come nella sintesi dell’acido grasso, si ha una reazione di deidrazione, in cui interviene una deidratasi che toglie una molecola d’acqua tra il gruppo alcolico primario e il gruppo metilenico adiacente e forma l’insaturo α-β-trans-stearil-CoA. La reazione che chiude il primo allungamento è di nuovo una riduttasi che interviene sull’enoil-CoA, in presenza di NADH+H o NADPH+H (ridotto) porta alla formazione di stearil-CoA. Se necessitiamo di un acido a 20 C facciamo un altro giro di allungamento ed un terzo giro di allungamento se vogliamo un acido a 24 C. Il sistema di allungamento mitocondriale è caratterizzato dal fatto che:

1) utilizza come unità di allungamento acetil-CoA 2) l’intermedio di allungamento è sempre legato a CoA e non a ACP 2) i cofattori di riduzione possono essere indifferentemente NADH+H o NADPH+H.

Se consideriamo il sistema di allungamento nel reticolo endoplasmico le reazioni sono esattamente le stesse che abbiamo visto per l’allungamento mitocondriale la differenza è che l’allungamento viene ad opera di malonil-CoA e non di acetil-CoA. Ogni volta che si aggiunge un malonile si libera CO2, quindi effettivamente la catena si allunga di 2 unità alla volta. Le unità che si aggiungono sono date da malonil-CoA e non da acetil-CoA (=nel mitocondrio) ed ogni volta che un malonile si aggiunge perde il gruppo carbossilico come CO2. Per il resto è tutto identico a quello che abbiamo visto per l’allungamento mitocondriale, nel R.E. è il malonil.CoA che interviene, il primo enzima che è questa palmitoil-CoA palmitoil-transferasi libera coenzima A, libera la catena a 16 C e nel contempo il malonile che accetta la catena palmitoilica perde CO2. Acidi grassi insaturi: consideriamo in particolare l’acido oleico, che è il maggiormente distribuito nei nostri lipidi. Il sistema che forma acidi grassi insaturi prende il nome di desaturasi o anche fattore sensibile a cianuro. E’ un sistema che opera nel R.E. Il sistema, che trasforma acido stearico in acido oleico, è indicato come desaturasi e utilizza come substrato non l’acido grasso libero, ma il corrispondente acil-CoA, l’acido grasso quindi deve intervenire come stearil-CoA. In pratica questa

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desaturasi è attiva tra il C9 e C10 per cui si parla di una δ-9-desaturasi, che toglie in pratica i 2H legati al C9 e al C10, e importante è che l’enzima è stereospecifico, perché toglie gli H solo dalla stessa parte del piano, forma un insaturo cis e non trans, e questo spiega perché gli acidi grassi insaturi hanno nella maggior parte dei casi la configurazione cis del legame etilenico e non trans. Importante è ricordare che di desaturasi nei nostri tessuti né esistono più di una e sono specifiche a seconda della posizione del doppio legame che deve essere inserito, cioè abbiamo una desaturasi che agisce tra il C9 e C10 nel caso dell’acido stearico, una desaturasi che agisce tra C6 e C7 in cui si parla di una δ-6-desaturasi e una desaturasi che interviene tra il C5 e il C4 e si parla di una δ-5-desaturasi, invece non siamo capaci di introdurre doppi legami oltre il C9, formiamo acidi grassi insaturi fino al C9 e non oltre. Se necessitano acidi grassi polinsaturi, insaturi oltre il C9, dobbiamo ricorrere al mondo esterno, in particolare a quello vegetale dove invece il sistema desaturasico riesce ad agire oltre il C9. La desaturasi o fattore sensibile al cianuro è una proteina semplice di massa molecolare piccola intorno ai 50000 Dalton ed è un protide coniugato in cui il gruppo prostetico è rappresentato da ferro. E’ un Fe-protide, in cui il Fe non è al centro di un sistema emo, non è al centro di un anello porfinico ma è un atomo metallico, cioè un Fe-metallico legato direttamente alla proteina. Il Fe può variare di valenza nel corso della reazione, da ferro ferrico (Fe2+) a ferro ferroso (Fe3+) ed è su questo che si impergna il meccanismo della reazione. E’ detto fattore sensibile a cianuro perché il cianuro è un energico inibitore di questa desaturasi in quanto legandosi all’enzima che porta ferro in forma ferrica né impedisce la riduzione in forma ferrosa. Quando il cianuro si lega alla desaturasi la blocca nella forma ferrica e le impedisce di passare nella forma ferrosa, che è indispensabile perché la reazione possa avvenire. La desaturasi è presente nel R.E. e funziona in modo notevolmente complicato perché richiede per la sua attività NADPH+H, una flavoproteina, una proteina portante emo che prende il nome di citocromo B5 (che porta quindi Fe in forma ferrica-ferrosa) e la vera desaturasi ovvero il fattore sensibile al cianuro. La desaturasi quando va in reazione inizialmente lega da una parte la catena di acido grasso che deve essere desaturata e dall‘altra lega ossigeno molecolare. Per la sua attività richiede questo sistema di trasporto di elettroni, rappresentato da NADPH+H, flavoproteina, e citocromo B5. La reazione inizia con l’ossidazione del NADPH+H e la riduzione del citocromo B5. NADPH+H viene riconosciuto dalla flavoproteina la quale ossida il NADPH+H, la flavoproteina ossida il NADPH+H, libera 2 protoni e trasferisce 2 elettroni al citocromo B5. La flavoproteina in pratica ossida NADPH+H e si riduce e forma FADH2, questo FADH2 si riossida liberando 2 protoni e trasferendo i 2 elettroni al citocromo B5. Gli elettroni vengono trasferiti uno alla volta, in un primo momento il primo elettrone trasferito dalla ferro-solfo-proteina trasforma il citocromo B5 da ferrico a ferroso. Quindi, il primo elettrone che arriva trasforma il citocromo B5 da ferrico a ferroso, a questo punto la desaturasi riconosce il citocromo B5, gli toglie l’elettrone, e lo prende a se stesso, per cui il suo ferro che era ferrico diventa ferroso. La desaturasi con ferro ferroso trasferisce l’elettrone all’ossigeno molecolare ad esso legata e forma il primo intermedio, che è questo anione perossido. Adesso arriva al citocromo B5 via flavoproteina il secondo elettrone nella riossidazione del NADPH+H, il quale passa dalla forma ferrica a quella ferrosa, poi dalla desaturasi viene riossidato e di nuovo la desaturasi passa dalla forma ferrica a quella ferrosa, successivamente trasferisce l’elettrone all’ossigeno molecolare e forma l’anione perossido. A questo punto la desaturasi prende i 2 protoni che erano andati in soluzione nella riossidazione del NADPH+H, prende 2 protoni, cioè stacca 2 atomi di idrogeno, si trova ora in presenza di 4 protoni, più 4 elettroni, 2 staccati dal substrato e 2 che erano sull’ossigeno, cioè sull’anione perossido, e ritrasforma in H2O. Quindi 2 protoni in soluzione, 2 protoni che vengono tolti dal substrato, in pratica l’enzima forma 2H2O e simultaneamente l’enzima trasforma il substrato nell’acido insaturo corrispondente. Quindi prende 2H sono venuti dal NADPH+H, 2H li prende dal substrato, e sono quindi 4 protoni+4elettroni, li trasferisce all’anione perossido e forma 2 molecole d’acqua. Contemporaneamente il substrato dalla forma satura passa alla forma insatura. In definitiva l’H

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dell’acqua viene dai 2 H del NADPH+H e dai 2H del substrato. Importante è il perché il cianuro è inibitore della desaturasi, infatti, legandosi alla desaturasi in forma ferrica, le impedisce di accettare gli elettroni del citocromo B5, e in pratica blocca l’azione di desaturazione. Sia la denaturasi che agisce a livello del C9 che quella che agisce a livello del C5 sono entrambe cianuro sensibili. Lavorano tutte con il meccanismo appena descritto. Vediamo come trasformiamo un acido grasso con 2 doppi legami in un acido grasso polinsaturo con 4 doppi legami, in pratica formiamo l’acido arachidonico, che dà origine ad una serie di reazione che portano alla formazione di composti altamente reattivi come i trombossani, indispensabili per la coagulazione del sangue, prostacicline e prostaglandine, che sono ormoni tessutali e leucotrieni che sono sostanze ad azione ormonale potenti induttori delle reazioni allergiche. L’acido arachidonico ha 20 C, ed è insaturo nelle posizioni 5-8-11-14, dove il legame 14 è di pertinenza del precursore che è l’acido linolico o linoleico e gli altri tre li riusciamo a introdurre noi attraverso i nostri sistemi di desaturazione e in più prevede l’allungamento della catena di 2 carboni perché il composto di partenza è l’acido linolico che ha 18 C mentre l’acido arachidonico ha 20 C. Quindi per passare dall’acido linolico, che per noi è vitamina perché non riusciamo a sintetizzarlo, all’acido arachidonico dobbiamo insaturare e in più allungare la catena di 2 carboni. Questo processo di sintesi avviene nel reticolo endoplasmico, cioè nella sezione microsomiale, in cui l’allungamento sarà possibile via malonil-CoA in cui interverrà il sistema desaturasico. Dovremo desaturare 2 volte perché l’acido linolico ha già 2 doppi legami in 9 e 12. Lezione di biochimica 9/01/2003 Vediamo di convertire l’acido linolico, che è considerato una vitamina F insieme all’acido linolinico e ad altri acidi grassi poliinsaturi (non siamo capaci di sintetizzare questo acido quindi dobbiamo introdurlo dall’esterno). Viene convertito all’acido arachidonoco precursore per composti in grado di generare segnali (prostagloeindine, tromboxani, leucotrieni). L’acido linolico (formato da 18 carboni con insaturazione in 9 e in 12 (insaturazione ha sempre configurazione cis, mai trans) interviene nella forma attiva di linoleil-coenzimaA e porta l’insaturazione in 9 e in 12 ancora in config. cis. Va incontro ad una prima reazione di deidrogenazione (ossidazione) ad opera del sistema desaturasico che funziona a livello del carbonio 6 quindi interviene una delta-6-desaturasi la quale insatura l’acido linolico formando l’insaturo delta-6-delta-9-delta-12 (delta-12-octadecatrienoico). Prima interviene nel sistema la delta-6-desaturasi che va ad insaturare tra il carbonio 6-7, formiamo l’insaturo sempre a 18 carboni, insaturo nelle posizioni 6, 9, 12. A questa reazione di saturazione segue una reazione di allungamento, quindi la catena viene allungata di 2 carboni e poichè siamo nel R.E. dove sono localizzate delle saturasi, l’allungamento sarà mediato da una molecola di malonil-coenzimaA, interviene il sistema di allungamento microsomiale o del R.E. L’insatutrazione si è spostata al carbonio 8, 11, 14, non è più un derivato C18, ma un C20, quindi è un eicosatrienoico 8,11, 14 Ultimo passaggio, nuova reaz. di insaturaz., interviene il sistema desaturasico, che attivano le nostre cellule, il quale agisce sul carbonio 5, quindi una delta-5-desaturasi, la quale una volta ancora introduce un doppio legame tra la posiz. 5-6 e formiamo il composto definitivo a 20 C, insaturo nelle posiz. 5, 8, 11, 14, che è l’acido arachidonico. L’acido arachidonico, a sua volta come arachidonil-coenziamaA, viene utilizzato nella sintesi di fosfolipidi, in particolare di fosfatidilcoline, fosfatidillecitine, fostatidilinositoli, e la rimozione di questo acido grasso dal corrispondente fosfolipide (introdotto solitamente sul C beta), verrà operata da una fosfolipasi A2 sotto controllo di ormoni della corticale della surrene i quali inibiscono la funzione della fosfatasi spiegando l’azione antiinfiammatoria caratterisstica di questi farmaci. L’acido arachidonico introdotto nei fosfolipidi in posiz. Beta è garantito da una fosfolipasi A2 la quale specifica per legame estere in posiz. Beta. Questa fosfolipasi A2 è attivata da Ca è fortemente inibita dagli ormoni della corticale della surrene i quali bloccano la mobilizzazione

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dell’acido arachidonico e dei fosfolipidi dove è depositato e conseguentemente ci sarà una diminuzione della sintesi dei composti che provengono dall’acido arachidonico, vale a dire prostagloendine, tromboxani, leucotriene, ed è a questo effetto inibitorio della fosfolipasi A2 da parte dei cortico-steroide che viene riportata l’azione antiinfiammatoria dei farmaci. SINTESI DI UN TRIGLICERIDE Normalmente sono a più lunga catena e in posiz. alfa e alfa I troviamo acidi grassi saturi C 16, 18, 20, 22, 24, mentre in posiz. beta troviamo acidi grassi insaturi tra cui l’acido leico. Trigliceride è formato da glicerolo e acidi grassi. Il glicerolo può provenire da 2 precursori, uno è un’intermedio della via glicolitica, il fosfo-diossi-acetone, l’altro, utilizzato in particolari condizioni e in taluni tessuti., è il glicerolo stesso (perchè la possibilità di fosfo-diossi-acetone è largamente superiore rispetto al glicerolo). Che si tratti dell’uno o dell’altro, entrambi vengono convertiti in alfa-glicerolo-fosfato, precursore per la sintesi del trigliceride. Come arrivare all’alfa-glicerol-fosfato dal fosfo-diossi-acetone? Dalla glicolisi si arriva alla formazione di fosfo-diossi-acetone il quale viene convertito da una alfa-glicerol-fosfato deidrogenasi, in presenza di una molecola di NAD ridotto (che passa alla forma ossidata), in alfa-glicerol-fosfato. Dal glicerolo preformato (a livello delle cellule intestinali e del tessuto epatico e polmonare) interviene una alfa-glicerolo-cinasi la quale è attiva nella posizioni alfa o alfa I e forma alfa-glicerolfosfato. L’alfa-glicerol-fostato-deidrogenasi è sotto controllo insulinico, l’insulina oltre a facilitare l’ingresso del glucoso nella via glicolitica, potenzia ancora l’attività dell’enzima. Formato l’alfa-glicerol-fosfato, questo composto serve da supporto per il trasferimento di 2 molecole di acido grasso sotto forma di acil-coenzimaA, intervengono a questo punto 2 acil-transferasi che utilizzano due acil-coenzimaA una specifica per la posizione alfa I e l’altra per la posizione beta, quindi interviene una prima acil-transferasi che trasferisce l’acile alla posizione alfa I formando un acil-glicerolfosfato (o monoacil-glicerol-fosfato). Su questo composto interviene una seconda acil-transferasi che specifica per la posiz. beta e arriviamo alla formazione di questo diacil-glicerolofosato (DAGP) (che correntemente è indicato come acidofosfatidico quindi con l’acronimo PA). E’ l’intermedio cruciale per la sintesi non solo dei trigliceridi ma anche di tutti i fosfolipidi che hanno glicerolo come alcol portante acido grasso. L’acido fosfatidico va incontro a reazione idrolasica che stacca il fosfato, interviene una fosfatidato-fosfatasi specifica per l’acido fosfatidico, la quale stacca il fosfato in presenza di acqua e forma l’1,2-digliceride o anche diacil-glicerolo indicato con la sigla DAG, a questo punto il DAG è substrato per una acil-tranferasi e abbiamo la formazione del trigliceride. La sintesi del trigliceride avviene a livello del R.E. SINTESI DEI FOSFOLIPIDI Acido fosfatidico si formerà a partire da fosfo-diossi-acetone o da glicerolo-fosfato per intervento di acil-transferasi che vanno ad acidare le posiz. alfa e beta. Come si modifica per dare origine ai vari fosfolipidi? PRIMA VIA

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1-Fosfatidilcoline e fosfatidiletanolammine Ad opera di fosfatidato-fosfatasi, in presenza di acqua, l’acidofosfatidico perde un fosfato e si trasforma in 1,2-digliceride (DAG), tappa che è comune alla sintesi del trigliceride. Interazione del bigliceride con un intermedio nucleotidico, che prende il nome di citidin-difosfo-colina o citidin-difosfo-etanolammina. Come si forma la -difosfo-colina e la citidin-difosfo-etanolammina citidin-difosfo-colina e la citidin-difosfo-etanolammina? Colina e etanolammina devono essere attivate ovvero legate ad una molecola di fosfato in una reazione cinasica ad opera di una colina-cinasi o una etanolammina-cinasi. Si trasformano in colina-fosfato o etanolammina-fosfato. Il gruppo alcolico primario si esterifica con un fosfato ad opera di una colina-cinasi o una etanolammina-cinasi (reaz. reversibili). Vengono a reagire con una molecola di citidin-trifosfato in una reazione nucleotidiltransferasica formano citidin-difosfo-colina o citidin-difosfo-etanolammina. In presenza di citidin-trifosfato, base azotata citidina, riboso e tre molecole di ortofosfato, l’enzima si comporta come nucleotidil-transferasi, trasferisce il citidil-monofosfato lo sposta sulla colina-fosfato o etanolammina-fosfato e libera pirofosfato. Il nucleotide perde il pirofosfato e il citidil-monofosfato viene agganciato al fosfato della colina-fosfato e formiamo la citidin-difosfo-colina. Dei due radicali fosforici uno è di appartenenza del nucleotide, l’altro della colina-fosfato. Citidin-difosfo-colina è la forma attiva con cui la colina riesce a legarsi al digliceride formando la fosfatidilcolina. A questo punto la colina-fosfato della citidin-difosfo-colina, cioè la colina attiva, in una reazione transferasica viene spostata su 1,2-digliceride e formiamo la fosfatidilcolina. Non è più una reazione nucleotidil-transferasica ma una reaz. colina-fosfato-transferasica o etanolammina-fosfato-transferasica. SECONDA VIA 2-Fosfatidilcoline, fosfatidiletanolammine, Fosfatidilinositoli e fosfatidilserine Intermedio: acido fosfatidico attivo, ovvero acido fosfatidico legato a citidin-monofosfato sotto citidin-difosfo-digliceride. La molecola attiva in questa seconda via è il fosfatidato attivo che significa citidin-difosfo-digliceride. Cos’è citidin-difosfo-digliceride? Il prodotto che si forma nella reazione tra acido fosfatidico e citidin-trifosfato. Acido fosfatidico + citidin-trifosfato forma citidin-difosfo-digliceride + pirofosfato. Il citidin-trifosfato perde il pirofosfato e il citidin-monofosfato si porta sull'acido fosfatidico. Acido fosfatidico + CTP, reaz. nucleotidil-transferasica, si stacca il pirofosfato dal citidin-trifosfato e il citidin-monofosfato viene agganciato al fosfato dell'acido fosfatidico, quindi si libera pirofosfato e il citidin-monofosfato rimane legato all'acido fosfatidico con legame pirofosforico di anidride. Avendo formato il citidin-difosfo-gliceride in cui ancora una volta vi ricordo che i 2 radicali di acido fosforico sono uno di pertinenza dell'acido fosfatidico e l'altro del nucleotide, questo citidin-difosfo-digliceride rappresenta il nucleo reattivo fondamentale per cui adesso potremo formare tutti i fosfolipidi e fosfogfliceridi che vogliamo sostituendo soltanto al citidin-monofosfato le diverse componenti.

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La sintesi di questi fosfogliceridi è comune a tutti per modalità, il punto in cui si differenziano sarà la sostituzione del citidin-monofosfato con la molecola che ci interessa (colina, etanolammina, inositolo, serina). Seguendo questa via non possiamo incorporare nella molecola del fosfolipide direttamente la colina o l'etanolammina, ma dovremo incorporare pima la serina e poi introdurre delle modificazioni per ottenere fosfatidilcoline e fosfatidiletanolammine. Formato il citidin-difosfo-gliceride + serina, l'acido fosfatidico viene spostato sul gruppo alcolico della serina e formiamo fosfatidilserina liberando citidin-monofosfato, interviene una fosfatidato-transferasi che trasferisce l'acido fosfatidico dal citidin-difosfo-digliceride al gruppo alcolico primario della serina formando fosfatidilserina + citidin-monofosfato. A questo punto il gruppo che viene donato è l'acido fosfatidico (fosfatidato) il quale viene spostato sul gruppo alcolico della serina e formiamo la fosfatidilserina. Potrà essere usata come tale e essere smistata nella membrana cellulare oppure esser convertita in fosfatidilcolina o fosfatidiletanolammina. Dalla PS formeremo la PE e dalla PE formeremo successivamente la PC. Da PS a PE: reaz. di decarbossilazione interviene una fosfatidilserina-decarbossilasi il cui gruppo prosterico e piridosalfosfato. Distacco del gruppo carbossilico che si libera come CO2 e formiamo fosfatidiletanolammina. Reaz. non reversibile. Da PE a PC: reaz. di metilazione ripetuta in cui interviene come donatore del gruppo metilico la s-adenosil-metionina (acronimo: SAME) Reaz. non reversibile. Intervento del composto che la cellula usa come agente metilante, la SAME, un composto che si forma nel metabolismo della metionina. La metinina è un amminoacido a quattro carboni in cui il gruppo tiolico legato al C gamma è sostituito con un gruppo metilico. Questa metionina è inattiva, si attiva se legata ad una molecala di adenosina. In questo composto lo zolfo agisce come ?oniogruppo? quindi il metile diventa estremamente reattivo e ad opera di una metil-transferasi questo metile può essere trasferlocato dalla SAME ad un composto accettore, nel nostro caso l'ammino gruppo dell'etanolammina. La metil-transferasi trasferisce il gruppo metilico dalla SAME all'ammino-gruppo della fosfatidiletanolammina formando un primo metil sostituito, la monometil-etanolammina, poi interviene una seconda volta la stessa metil-transerasi, trasferisce un altro gruppo metilico e formiamo dimetil-etanolammina, interviene una terza volta e formiamo la trimetil-etanolammina, che corrisponde alla colina in cui l'azoto diventa un azoto ammonico quaternario. Quindi 3 molecole di SAME donano 3 griuppi metilici e trasformiamo PE in PC. Reazioni IRREVERSIBILI. SINTESI DI PI Uguale alla sintesi di PE, se non che, formato il citidin-difosfo-digliceride, accettore del fosfatidato attivo sarà l'inositolo e non più la serina. In presenza di inositolo una fosfatidato-transferasi trasferisce l'acido fosfatidico al C 1 dell'inositolo e forma fosfatidilinositolo.

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Una volta formato il fosfatidilinositolo viene spostato verso la membrana plasmatica in gran parte. Sotto segnali esterni qui può essere ancora fosforilata ad opera di cinasi specifiche per le posizioni 4,5,3. PIK3 è sotto controllo insulinico e fosforila in posizione 3. Agisce in antagonismo alla formazione di inositol-diP3. SINTESI DEI PLASMALOGENI Si differenziano dai fosfolipidi perchè anzichè avere un legame estere in posizione 1 porta un alcol insaturo. Legame etere, non più legame estere. Sono degli alchenil-acil-gliceril-fosforil-coline di solito. In questi plasmalogeni possiamo trovare legata la colina o l'atanolammina, sono caratteristici componenti delle membrane dei neuroni e delle guaine mieliniche. Sono degli alchenil perchè hanno un alchile insaturo, quindi alchenil in posiz. 1, acil in posiz. 2, gliceril-fosforiletanolammine o fosforilcoline. Distacco dell'alchenile nella posiz. 1 porta alla formazione di un aldeide. Questo legame etere viene rotto probabilmente in una reazione di idrolisi ma immediatamente l'alchenile dà origine ad un aldeide. Può agire una esterasi che attacca la posizione beta, può agire una fosfolipasi in posiz. 2 che stacca l'acile, e poi procede il catabolismo normale come abbiamo visto per i fosfolipidi. Precursore è sempre il fosfo-diossi-acetone. Sul fosfo-diossi-acetone viene subito esterificata la posizione alfa I. Una acil-transferasi lega subito l'acile alla posiz. alfa I e forma un acil-diossi-aceton-fosfato. A questo punto l'alcile viene sostituito ad un alchile. Reaz. sconosciuta. Formiamo una alchil-diossi-aceton-fosfato. Segue la riduzione del gruppo chetonico del diossi-aceton-fosfato e il cofattore è NADfosfato ridotto ad opera di una alchil-diossi-aceton-fosfato-riduttasi il gruppo chetonico viene convertito in un gruppo alcolico secondario e quindi formiamo l'alchil-glicerol-fosfato. Una acil-transferasi trasferisce l'acile all'alchil-glicerol-fosfato e forma un alchil-acil-glicerol-fosfato quindi una acil-transferasi sposta l'acile al gruppo alcolico secondario del glicerolo. Interviene una fosfatasi che toglie il fosfato per cui formiamo un alchil-acil-glicerolo. Reaz. di idrolisi, il fosfato viene allontanato e formiamo alchil-acil-glicerolo. Introduciamo citidin-difosfo-colina o citidin-difosfo-etanolammina, reaz. colina-fosfato-transferasica o etanolammina-fosfato-transferasica, la fosfocolina o l’etanolammina si attaccano all’alchil-acil-glicerolo e formano il precursore. Quindi trasferiamo la colina-fosfato dalla citidin-difosfo-colina e formiamo alchil-acil-glicerol-fosforil-colina. Ora si aprono vie di sintesi verso plasmalogeni o verso PAF o fattore stimolante le piastrine. Se verso plasmalogeni dobbiamo trasformare l’alchile in un alchenile quindi deidrogenare l’alchile e formare l’alchenile (togliere 2 atomi di idrogeno con reaz. sconosciuta). SINTESI DEL PAF Viene allontanato l’acile nella posiz. beta e viene sostituito da un acetile. Differenze rispetto al plasmalogeno: un alchile anzichè un alchenile e l’acile è sempre un acetile e mai un acile a lunga catena.

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Il PAF è un alchil-acetil-gliceril-fosforil-colina. Molecola che ha azione aggregante piastrinica notevolmente forte. BIOCHIMICA Lezione del 10/01/2003 (manca il pezzo iniziale di cui non sono riuscita a reperire gli appunti) SURFACTANTE ….E’ un prodotto dell’attività delle cellule che concorrono a formare gli alveoli polmonari, è un potente tensioattivo,ed è indispensabile per la funzionalità del polmone, cioè è il principio attivo che permette agli alveoli polmonari di rimanere dilatati in modo da permettere la respirazione. Il surfattante è una sostanza dalla composizione complessa (sono molti i componenti che lo costituiscono) che ha una potente proprietà tensioattiva, cioè tende ad abbassare la tensione superficiale.Uno dei componenti più importanti del surfattante è una particolare fosfatidilcolina caratterizzata dalla presenza di due radicali di acido palmitico, quindi una dipalmitoilglicerilfosforilcolina ,normalmente indicata come dipalmitoilfosfatidilcolina, caratterizzata dalla presenza di due residui di acido palmitico nelle posizioni alfa primo e beta dove normalmente troviamo acidi diversi e in posizione beta un acido insaturo.Invece in questa particolare fosfatidilcolina presente nel surfattante a livello degli alveoli polmonari troviamo due acili saturi uguali a 16 carboni (dipalmitoilfosfatidilcolina) che entra come componente del surfattante e concorre all’azione tensioattiva di questo surfattante. Talvolta nel neonato la secrezione del suddetto surfattante è insufficiente e causa una condizione di stress respiratorio che può avere anche conseguenze letali. Un altro fosfolipide complesso è la CARDIOLIPINA. Con il nome di cardiolipine si indica un gruppo di fosfolipidi che sono difosfatidilgliceroli, cioè sono formati da una molecola di glicerolo che lega due molecole di acido fosfatidico nelle posizioni alfa primo ed alfa. Il termine corrente per questi composti (difosfatidilgliceroli) è cardiolipina. Si parla di cardiolipine diffrenti in rapporto agli acili che entrano come sostituenti. La sintesi di queste cardiolipine è più complessa di quella della dipalmitoilofosfatidilcolina già vista in precedenza. La sintesi procede da citidindifosfodigliceride (CDPdigliceride), cioè fosfatidato attivo, più una molecola di glicerolo fosfato.Il citidindifosfodigliceride dona una molecola di acido fosfatidico e si libera citidinmonofosfato (CMP) e si forma un fosfatidilglicerolofosfato e abbiamo legato la prima molecola di acido fosfatidico. In un secondo momento questo intermedio va incontro a defosforilazione, interviene una fosfatasi specifica che toglie il fosfato che si lega alla cardiolipina. Questi lipidi complessi li troviamo in modo caratteristico a livello del tessuto muscolare cardiaco, in particolare nei cardiomiociti e concorrono alla formazione delle membrane dei cardiociti. Con questo si chiude il capitolo dei lipidi complessi che portano glicerolo come alcol che lega gli acidi grassi e apriamo il capitolo dei lipidi complessi in cui entra come molecola portante dell’acido grasso la sfingosina che è un aminoalcol in cui l’acido grasso è legato a un gruppo amminico e non a un gruppo alcolico,quindi saranno degli ammidederivati, cioè l’ac grasso è legato con legame ammidico alla molecola della sfingosina, da cui la definizione dei lipidi esteri o ammidi degli acidi grassi. Distinguiamo in due grandi classi : fosfosfingosidi e glicosfingosidi a seconda che legata alla sfingosina sia presente una componente fosforilata (fosfosfingoside sarà la fosforilcolina o

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lsfosforiletanolammina ) oppure di natura saccaridica, e può essere un monosaccaride, più monosaccaridi o complicata dalla presenza di acido sialico. Fosfosfingosidi sono indicati anche frequentemente come sfingomieline, che indica la distribuzione caratteristica di questi fosfosfingosidi che entrano come componenti della guaina mielinica dei nervi e in parte entrano come componenti anche della membrana dei neuroni, quindi li troviamo distribuiti particolarmente a livello del tessuto nervoso. La molecola caratteristica del gruppo è la sfingosina, che è una molecola a 18 carboni della quale siamo capaci di sintesi. Sintesi che parte da una molecola di palmitoilCoA più una molecola di Serina. In questa reazione interviene una palmitoil transferasi che trasferisce il palmitoile sul carbonio della serina che lega l’amminogruppo, rimane come terminale il gr alcolico primario perché simultaneamente va via come CO2 il gr carbossilico, quindi il legame si impegna sul carbonio amminico della serina che nella formazione del complesso enzima substrato si trova legato al piridossalfosfato(gruppo prostetico dell’enzima), quindi quando l’enzima entra in funzione si lega all’amminogruppo della serina e il legame avviene via sul gr prostetico piridossalfosfato. Formato l’intermedio serina-enzima, l’enzima determina il trasferimento del palmitoile dal palmitoilCoA al carbonio alfa della serina e si forma un intermedio in cui c’è ancora la serina carbossilata e immediatamente si decarbossila. Con questo arriviamo al primo intermedio a 18 carboni che corrisponde già alla catena definitiva della sfingosina.Questo intermedio prende il nome di deidrosfinganina in quanto in un momento successivo in una reazione di riduzione in cui partecipa NAD ridotto, il gruppo chetonico viene convertito a gruppo alcolico secondario, quindi, “deidro” perché ha due idrogeni in meno del composto definitivo che sarà la sfinganina. Formata la deidrosfinganina per interazione palmitoilCoA-Serina in una reazione di riduzione, catalizzata da una redattasi che utilizza come cofattore NAD ridotto (secondoaltri NADP ridotto) , il gr che tonico della sfinganina viene convertito i gr alcolico secondario e formiamo quindi la sfinganina. Da questo momento la sfinganina può già legare un acido grasso e formare il corrispondente derivato, oppure può andare incontro alla trasformazione in sfingosina, quindi da questo momento in presenza di un acilCoA possiamo legare un acido grasso all’amminogruppo della sfinganina e formare il corrispondente, il quale a sua volta va incontro a una reazione di deidrogenazione con formazione della cerammide definitiva,oppure dalla sfinganina passiamo alla sfingosina e poi leghiamo l’acido grasso.Se andiamo verso la formazione della sfingosina interviene una deidrogenasi FAD dipendente, la quale introduce il doppio legame in posizione 4 della catena della sfinganina togliendo l’idrogeno tra le posizioni 4 e 5 e forma il derivato Trans che sarà la sfingosina definitiva. A questo punto un AcilCoA verrà portato sull’amminogruppo della sfingosina, si formerà il legame ammidico e formeremo la cerammide. La cerammide è il punto di partenza adesso per la formazione di sfingolipidi (cerammide + fosforilcolina o fosforiletanolammina)o glicolipidi (cerammide + unità saccaridiche). SINTESI dei FOSFOSFINGOSIDI o SFINGOMIELINE. La fosfocolina e la fosfoetanolammina possono essere portate sulla sfingosina attraverso due modalità : 1) da una colina o etanolammina attiva, vale a dire citidindifosfocolina (CDPcolina) o citidindifosfoetanolammina (CDPetanolammina);

2) la colina può essere donata da una fosfatidilcolina preformata. Nella prima modalità interviene una CDPcolina che libera CMP e si ottiene la sfingomielina. Nella seconda modalità la fosfocolina viene donata da una fosfatidilcolina preformata, quindi esiste una fosfocolina transferasi che toglie la fosfocolina dalla fosfatidilcolina e la porta sulla sfingosina formando la sfingomielina. Un’ulteriore possibilità di sintesi è che la fosfocolina non venga portata direttamente sulla cerammide ma venga accettata dalla sfingosina (sempre attraverso CDPcolina o fosfatidilcolina) e

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che quest’intermedio venga successivamente acilato. Se l’acilazione precede l’aggiunta di Pcolina, si forma cerammide; se l’acilazione segue, prima la sfingosina si lega alla fosfocolina e poi avverrà l’acilazione. Di tutte queste modalità la più seguita è la formazione della cerammide, prima, e poi l’unione della Pcolina. Ovviamente,se si segue tale via, occorre avere disponibilità di cerammide,.Tale disponibilità deriva 1) dall’attività di un’ acil transferasi che riconosca la sfingosina e l’acila. 2)dal turn-over degli sfingolipidi o dei glicolipidi che libera cerammide che può essere utilizzato di nuovo nei processi di sintesi. La cerammide deriva dal processo di degradazione delle sfingomieline che vengono attaccate da una sfingomielinasi acida che libera cerammide più fosfocolina.Se la sfingomielinasi acida viene a mancare o è difettosa (Sindrome di Lieman-Pick)c’è un turn-over di cerammide rallentato perché non c’è più cerammide che fa da accettore per un’altra molecola di fosfocolina. Questo porta a un dissesto e un rallentamento di tutta la sintesi dei lipidi, in particolare dei lipidi che portano sfingosina e cioè sia dei fosfosfingosidi sia dei glicolipidi che portano sfingosina. I fosfosfingosidi si formano a livello del reticolo endoplasmatico, in parte nel lume e in parte sulla membrana.Una volta formati a livello dell’ER migrano sulla membrana dove andranno a localizzarsi.In questo trasporto i fosfosfingosidi migrano legati a proteine.Sembra che concorrano al trasporto verso la membrana plasmatica delle proteine che sono state sintetizzate a livello dei ribosomi, e pare che ne regolino il corretto posizionamento. In questo trasporto sono coinvolti lipidi, in particolare fosfosfingosidi, fosfatidilserine, fosfatidiletanolammine,colesterolo. Se c’è un deficit nella formazione di questi fosfosfingosidi ovviamente anche la migrazione delle proteine nella membrana si altera, quindi tutto l’assetto della membrana plasmatici sia nella componente protidica che lipidica va a rischio di profonda alterazione. GLICOLIPIDIi (sfingosina + acido grasso+ catena mono o polisaccardica) Si distinguono in :

• CEREBROSIDI: una sola unità saccaridica legata alla cerammide ,generalmente Galattosio, il quale se solforilato si passa ai sulfatidi.

L’acile legato alla sfingosina è sempre a lunga catena a 24 carboni: acido linucerico, ossilinucerico e i corrispondenti insaturi nervonico e ossinervonico.

• GLICOLIPIDIOLIGOSACCARIDI in cui la cerammide è legata a una catena oligosaccaridica e laddove leghi acido salico si passa ai GANGLIOSIDI.

L’unione delle unità saccaridiche sulla cerammide avviene ad opera di una glicosiltransferasi che trasferisce unità saccaridiche portate come unità attive, cioè legate a un nucleotide che normalmente è uridintrifosfato (UTP). _Sintesi di un CEREBROSIDE Il galattosio viene portato sulla cerammide in forma attiva sottoforma di UDPGal. La galattosiltransferasi nel trasferire il galattosile dall’UDPGal alla cerammide rovescia la configurazione del legame saccaridico che passa da alfa a beta formando un galattosilbetacerammide. Soggetti che hanno difficoltà nell’utilizzare il galattosio avranno difficoltà nel formare questi cerebrosidi.(galattosemia) Il galattoso può essere solforilato alle posizione 2,3 o 4 che sono le posizioni più frequenti, e passiamo alla formazione di un sulfatide, cioè dal solfato attivo adenosin3solfato5fosfosolfato passiamo al sulfatide. Sintesi dei glicolipidioligosaccaridi e gangliosidi.La descrizione della sintesi procede in pari per entrambi con la differenza che nei gangliosidi si aggiunge anche acido sialico. _Sintesi di un GANGLIOSIDE

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Nella formazione di un ganglioside il composto base è sempre una cerammide.La prima unità saccaridica aggiunta non è galattoso come nei cerebrosidi, ma glucosio. UDPGlucoso è il donatore del Glucosio che viene trasferito tramite l’enzima glucosil transferasi che rovescia la configurazione del legame glucosidico da alfa a beta formando una beta cerammide.Successivamente la catena si allunaga di una unità saccaridica donata da un UDPGal. Interviene una galattosil transferasi che liberando UDP trasferisce il galattoso in configurazione beta al glucosio con legame 1-4 beta glucosidico. Abbiamo così formato una galattosilbeta4glucosilbetacerammide,indicata anche come lattosil cerammide perché in effetti il disaccaride legato con legame beta glucosidico alla cerammide è formato da una molecola di galattoso legata con legame 1-4 beta glucosidico a una molecola di glucoso che è caratteristico del lattoso. A questo punto le vie di sintesi divergono, la cellula può scegliere una via o l’altra pur ottenendo in tutti i casi lo stesso prodotto. La cellula può scegliere tra: 1- continuare l’allungamento della catena oligosaccaridica, aggiungendo una molecola di N-acetilgalattosammina e una di galattoso;

2- fermare per un attimo la sintesi della catena e aggiungere una molecola di acido sialico (NeuAc) sul galattoso appena portato.

2_ Se decide di aggiungere subito acido sialico, esso viene portato come citidinmonofosfosialide (CMPNeuAc) . E’ importante notare che l’acido sialico è legato al CMP con legame alfa glucosidico e che il nucleotide sia monofosfato (a differenza di quelli incontrati finora). L’enzima che interviene è una sialiltransferasi o una Nacetilneuramminatotransferasi la quale determina il trasferimento dell’ac sialico al galattoso e il legame sarà tra il C2 glucosidico dell’ac sialico e il C3 del galattoso e si forma l’intermedio sialil2-3alfagalattosil1-4betaglucosilbetacerammide. Nel trasferimento non varia la configurazione del legame glucosidico che da alfa nel CMPsialiderimane alfa nel legame con il Galattoso.L’enzima trasferisce al galattoso l’ac. sialico e va a legarlo al C3 del galattoso con legame 2-3 alfa glucosidico. In questo modo abbiamo già formato un composto che è già un ganglioside che prende il nome di GM1 dove G sta a ganglioside ed M “mono” sta ad indicare una sola molec di ac sialico. La molecola si può complicare dall’aggiunta di un’altra molecola di acido sialico che impegna il proprio C2 e va a legarsi al C8 dell’ac sialico già incorporato. Passiamo da un monosialoganglioside a un disialoganglioside o GD1 dove D “di” indica due molecole di ac sialico legate; se si trova T indica tre molecole, se si trova “tetra” indica quattro molecole di ac sialico impegnato. Arrivati a questo punto l’allungamento si ferma per quanto riguarda l’acido sialico e l’allungamento riprende sulla catena oligosaccaridica. La terza unità saccaridica che viene aggiunta è una N-acetilgalattosammina che viene portata da UDP-GalNac. Interviene una N-acetilgalattosilammina transferasi che, liberando UDP, porta GalNac al galattoso con legame 1-4 beta (si lega alla posizione 4 del galattoso). Si forma una N-acetilgalattosamminil 1-4betagalattosil 1-4beta glucosil-betacerammide. Se non abbiamo portato ac sialico aggiungiamo GalNac direttamente e poi si aggiunge ac sialico dopo, se l’abbiamo già aggiunto non fa altro che complicare la catena. L’ultima unità saccaridica che viene legata alla N-acetilgalattosammina e che chiuderà la catena, è rappresentata da una molecola di galattoso, il quale vine detto “periferico” per la posizione che occupa, per distinguerlo da quello già introdotto e legato al glucoso detto “ centrale” . Una galattosil transferasi porta il Galattoso da UDP-Gal rovesciando la conformazione del legame glucosidico e lo lega alla N-acetilgalattosammina non alla posizione 4 ma alla posizione 3 . Si fiorma un galattosil- beta3- N-acetilgalattosamminil-beta 4- galattosil -beta 4 –glucosil-beta cerammide.

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La molecola può rimanere come tale e restare un disialoganglioside o si può complicare dall’aggiunta di una o due unità di acido sialico formando un tri o tetra sialoganglioside.La prima unità di acido sialico che verrà aggiunta andrà a legarsi al galattoso periferico alla posizione 3 del galattoso, e poi un’ulteriore molecola di acido sialico si legherà alla posizione 8 dell’ac sialico precedentemente incorporato.Il galattoso si lega all’ac sialico sempre all’ossidrile 3 con legame 2-3 alfa e i due acidi sialici sono legati tra loro con legame 2-8 alfa. Il processo è ripetitivo: ci sono delle monosaccaride transferasi che trasferiscono un’unità saccaridica alla volta ed è importante notare che il legame è sempre beta glucosidico , eccetto per l’acido sialico che forma legame alfa glucosidico. Quali saranno le caratteristiche fisiche di un lipide ricco in ac sialico rispetto a un lipide che non porta la catena oligosaccaridica ma porta per esempio fosforilcolina?I lipidi che portano ac sialico sono lipidi “acidi” perché l’ac sialico ha un gruppo carbossilico che ha reattività acida,sono quindi glicolipidi acidi. La differenza tra un glicolipide e una sfingomielina è che un glicolipide è più idrofilo della sfingomielina e quindi più facilmente solubile in acqua rispetto agli altri che sono praticamente insolubili in acqua. Anche la sintesi degli sfingolipidi che portano unità saccaridiche o acido sialico legato avviene a livello del reticolo endoplasmatico e poi il lipide muove verso la membrana. DEMOLIZIONE E SINTESI DI COLESTEROLO Il metabolismo del colesterolo coinvolge tre aspetti: _Catabolismo : processo irreversibile.La molecolari colesterolo viene completamente degradata ed eliminata sottoforma di acidi biliari; _Sintesi : si costruisce la molecola di colesterolo da composti semplici, in particolare da Acetil-CoA che viene dal catabolismo glicidico ( può concorrere alla formazione di colesterolo anche l’Acetil-CoA proveniente dal catabolismo degli acidi grassi) ; _Produzione di ormoni steroidei e sintesi di vitamina B a partire dal colesterolo. CATABOLISMO Avviene in un unico tessuto, il fegato, in parte nell’ER in parte nel mitocondrio. Sono tutte reazioni irreversibili, il colesterolo viene trasformato in acidi biliari. Le differenze : il Colesterolo ha una catena a 27 carboni ed è un alcol, gli acidi biliari hanno una catena a 24 carboni (quindi nel corso del catabolismo si perderanno 3 carboni) e sono acidi carbossilici. Gli acidi biliari portano nella loro molecola ancora l’anello cicloesanperidrofenantrenico, cioè i tre anelli cicloesanici e l’anello ciclopentanico che caratterizza il colesterolo; si differenziano dal colesterolo per alcune particolarità nella struttura a quattro anelli e in particolare per la catena laterale che da 27 diventerà a 24 carboni. L’idrocarburo capostipite per gli acidi biliari è il COLANO . E’ un idrocarburo che non esiste in natura ma strutturalmente lo si può formare.Per passare dal colano all’acido biliare innanzitutto dobbiamo carbossilare il carbonio 17. Il metile 24 si trasforma in gruppo carbossilico e quindi passiamo dal colano all’acido colanico .Gli acidi biliari saranno tutti degli idrossi derivati dell’acido colanico. Negli acidi biliari non ci sono doppi legami, la configurazione degli anelli A e B è di tipo cis per cui l’idrogeno legato al carbonio 5 è codirezionale ai metili nelle posizioni 10 e 13. L’altra possibilità è che l’idrogeno legato al carbonio 5 sia in configurazione trans che è una configurazione che caratterizza il colesterolo e quindi sarà un derivato di tipo trans e come riferimento lo mandiamo all’idrocarburo colestano.

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Dall’acido colanico passiamo agli acidi biliari che possono essere: acidi monossicolanici (con un solo ossidrile) ,diossicolanico o triossicolanici. Vengono distinti in due gruppi: _ACIDI BILIARI PRIMARI : l’uomo è in grado di sintetizzarli _acido diossicolanico (3,7 diossicolanico) o chenodesossicolico o antropodesossicolico _acido colico o 3,7,12 triidrossicolanico che è quello prodotto in maggior quantità. Tutti gli ossidrili degli acidi biliari hanno l’alfa configurazione, ovvero, hanno la configurazione opposta rispetto all’idrogeno in 5 e opposta rispetto ai metili in 10 e in 13.La configurazione alfa viene identificata da un tratteggio, mentre quella beta viene identificata da una linea continua. Questi acidi sono pochissimo solubili e altamente tossici.una volta prodotti a livello epatico il fegato si protegge di fronte alla tossicità di questi acidi andandoli a copulare con due composti: uno è la Glicina e l’altro è la Taurina, formando gli acidi glicocolanici e taurocolanici, la cui scarsa solubilità viene potenziata e la tossicità diminuita .La Glicina è una mminoacido naturale che noi formiamo e la Taurina (acido amminoetilsolfonico) non è un amminoacido perché non porta più il gruppo carbossilico ed è un derivato del catabolismo della cisteina che noi siamo in grado di formare. Glicina e Taurina vanno a legarsi al gruppo carbossilico dell’acido biliare con legame peptidico o ammidico e formiamo quindi l’acido glicolanico corrispondente (che sarà l’acido glicocolico nel caso dell’acido colico). Alternativamente alla Glicina possiamo trovare la Taurina, il cui amminogruppo andrà a legarsi al gruppo carbossilico dell’acido biliare e si formerà l’acido taurocolanico e nel caso dell’acido colico sarà l’acido taurocolico. L’impiego di Taurina o Glicina dipende dalla dieta : una dieta prevalentemente vegetariana (tipica degli erbivori) fa sì che l’acido biliare sia sempre legato alla Glicina, quindi negli erbivori si trovano soltanto acidi glicocolanici. Nei carnivori prevale la taurina e quindi si troveranno acidi taurocolanici. L’uomo ha un’alimentazione mista e produce sia gli acidi glicolanici che taurocolanici, in genere in rapporto 3:1. _ACIDI BILIARI SECONDARI : l’uomo non è capace di sintetizzarli, provengono da una formazione indiretta. L’agente in grado di trasformare gli acidi biliari primari in secondari è la flora batterica intestinale. Quindi, l’uomo produce quelli primari che arrivano nell’intestino dove ad opera della flora batterica verranno trasformati in secondari. La flora batterica ha due funzioni: 1. toglie la Glicina e la Taurina e forma l’acido biliare libero; 2. ha un’azione riducente sugli ossidrili dell’acido (con particolare elettività per l’ossodrile in 7) : _se agisce sull’acido antropodesossicolico ,annulla l’ossidrile in 7 , quindi , l’acido antropodesossicolico diventa acido litocolico (monossicolanico o 3 idrossicolanico) _se agisce sull’ acido colico riduce l’ossidrile in 7 e lo annulla e si forma un acido desossicolico o 3,12 diossicolanico. Questi acidi secondari, come quelli primari,torneranno al fegato dove verranno nuovamente legato a Taurina o Glicina e poi rimessi nuovamente nell’intestino. Si stabilisce una continua

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comunicazione tra fegato e intestino. All’intestino inizialmente arrivano soltanto i primari, nell’intestino si formano i secondari e poi primari e secondari ritornano al fegato.dopo questo primo giro, il secondo porterà nell’intestino sia i primari che i secondari perché i secondari una volta arrivati al fegato verranno nuovamente copulati e risecreti con la bile. Il punto di partenza per gli acidi biliari è il colesterolo, e la velocità di sintesi degli acidi biliari è fondamentale per regolare il livello di colesterolo in circolo, normalmente indicato come colesterolemia . I livelli possono oscillare notevolmente ma devono stare entro certi limiti al di fuori dei quali ci troviamo in situazioni patologiche. Normalmente la concentrazione varia da 120 a 340 mg/ml con un margine di oscillazione molto ampio. Se la concentrazione sale al di sopra di tali livelli la situazione diventa patologica ed indica un’ipercolesterolemia. Uno dei fattori che controlla il livello ematico di colesterolo è la velocità di trasformazione del colesterolo in acidi biliari a livello epatico.in questo modo il colesterolo viene eliminato dal circolo che passa dal fegato dove avviene il suo catabolismo e dal fegato viene eliminato. Colesterolo: molecola a 27 carboni, doppio legame in posizione 5-6, l’ossidrile alcolico in posizione 3 in configurazione beta, opposta a quella che troveremo nell’acido biliare. Quando il colesterolo viene avviato al suo catabolismo, la prima reazione lo trasforma in 7alfa idrossi-colesterolo in una reazione irreversibile. Interviene una 7-alfa-idrossilasi che ha la funzione di introdurre un atomo di ossigeno sul metilene in 7 trasformandolo in un gruppo alcolico secondario. Questa reazione è estremamente complicata e richiede la presenza di NADPH + H+ e ossigeno molecolare . La 7-alfa-idrossilasi lavora nell’ER e per le sue attività sono indispensabili NADPH + H+, una flavoproteina, un citocromo b5 . la reazione inizia con NADPH + H+ e la flavoproteina che porta alla formazione di NAD ossidato più la flavoproteina ridotta. La NADPH + H+ redattasi provocal’allontanamento dell’idrogeno dal NADPH + H+ e lo mantiene temporaneamente su sé stessa e forma quindi l’enzima ridotto. A questo punto l’enzima ridotto si riossida in presenza di un citocromo b5. In questa rezione di riossidazione passano liberi due protoni mentre due elettroni fluiscono sul cit-b5 uno alla volta. La flavoproteina ridotta si riossida a spese del cit-b5 al quale manda gli elettroni, mentre i protoni vengono mandati in soluzione. I due elettroni che vengono liberati nel corso della reazione vengono accettati uno alla volta dal cit-b5 il quale porta ferro ferrico che alternativamente passa a ferro ferroso.Il primo elettrone che arriva trasforma il cit-b5 ferrico in ferroso, successivamente questo elettrone passa sulla 7-alfa-idrossilasi (che a legato a sé stessa il colesterolo e ossigeno molecolare) e da questa viene trasferito sull’ossigeno molecolare formando un’anione superossido. Il secondo elettrone viene mandato dalla 7-alfa-idrossilasi all’anione superossido formando un temporaneo anione perossido. A questo punto l’enzima sfrutta l’anione perossido e in presenza dei due protoni andati in soluzione scinde l’anione perossido trasferendo un ossigeno al colesterolo formando 7-alfa idrossicolesterolo e mandando l’altro ossigeno ai due protoni formando una molecola d’acqua. Quindi colesterolo + anione perossido forma 7-alfa-idrossicolesterolo + H2O. Bisogna ricordare che la 7-alfa-idrossilasi , oltre a catalizzare questa reazione irreversibile, è fortemente inibita da acidi biliari. Il prodotto terminale della sequenza metabolica della degradazione del colesterolo(l’acido biliare) inibisce l’enzima che dà inizio alla sintesi degli acidi biliari. Questo punto è importante per la regolazione del colesterolo. L’enzima esiste in due forme: quella fosforilata, attiva, e quella defosforilata, inattiva. Questa modificazione covalente dovuta a fosforilazione e defosforilazione fa pensare che l’enzima sia soggetto a regolazione ormonale attraverso cinasi e fosfatasi. L’enziam è altamente stereo specifico perché forma solo il 7-alfa idrossiderivato e non il 7-beta. Avvenuta questa reazione, la formazione di questo 7-alfa idrossiderivato rende instabile il doppio legame tin posizione 5-6 e quindi interviene una steroideisomerasi che sposta il doppio legame

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dalla posizione 5-6 alla posizione 4-5. l’idrossilazione in 7 espone il doppio legame a questa isomerasi che lo trasforma in un 4-5 insaturo. La presenza del legame 4-5 rende incompatibile l’ossidrile in 3, il quale viene attaccato da una deidrogenasi che ne provoca l’ossidazione a gruppo carbonilico. La trasposizione del legame in 4-5 attiva immediatamente una deidrogenasi che agisce sul gruppo alcolico in 3 e lo trasforma in gruppo che tonico. Arriviamo alla formazione di un delta-4- insaturo-3-cheto 7-alfa idrossiderivato. L’anello totale è un colestene che sarà un delta-4-colestene – 7-alfa olo,3-one. Non è più colesterolo perché il doppio legame dalla posizione 5-6 è andato a 4-5 e manca di un gruppo ossidrilico in 3. Con questo abbiamo formato il primo acido biliare. Avvenuta la formazione di questo 3-cheto-delta4 insaturo , questo va in contro a due reazioni di riduzione in presenza di NADPH + H+ viene idrogenato il doppio legame in 4-5. Interviene una steroide riduttasi che addiziona idrogeno al doppio legame che scompare. Questa riduttasi è altamente stereo specifica e dei due stereoisomeri possibili ne forma uno soltanto, cioè quello beta. Aggiungendo idrogeno sul doppio legame orienta l’idrogeno legato al carbonio 5 ad essere codirezionale col metile in 10 e 13, forma l’isomero cis e non il trans. Per la presenza di questo idrogeno 5 in cis gli acidi biliari si considerano derivati del COPROSTANO. Se mai l’enzima sbagliasse e introducesse l’idrogeni in alfa si formerebbero acidi biliari inattivi , quindi è estremamente importante la configurazione di questo idrogeno in 5. la riduzione del doppio legame in 4-5 porta simultaneamente all’attivazione di una riduttasi che in presenza di NADPH + H+ trasforma il carbonio 3 in gruppo alcolico secondario. Questa 3 cheto-riduttasi è specifica e orienta l’ossidrile alcolico in 3 nella configurazione alfa. Formato questo intermedio la degradazione procede sulla catena laterale e porterà al termine alla formazione dell’acido antropodesossicolico. LEZIONE DI BIOCHIMICA DEL 13/01/03 -Catabolismo del colesterolo- (continuazione) L’altra volta avevamo iniziato il catabolismo del colesterolo nella formazione dell’acido antropodesossicolico che è il primo acido biliare che noi formiamo ed avevamo detto che la reazione limitante era la idrossilazione nella posizione 7 ad opera di una 7α idrossilasi, enzima che è stereo specifico in quanto introduce l’ossidrile in posizione α e non β, quindi forma un α idrossi derivato corrispondente, reazione che richiede la partecipazione di NADPH e O2. Questa 7α idrossilasi è regolata nella sua attività da acidi biliari; un livello alto di acidi biliari determina una repressione della 7α idrossilasi. E’ inoltre regolata da fosforilazione e da defosforilazione, la forma attiva è la forma fosforilata, mentre la forma inattiva è la forma defosforilata, e molto probabilmente l’insulina stabilizza la forma defosforilata. Sotto stimolo da ormoni tiroidei e da insulina si passa alla forma defosforilata che è inattiva; l’insulina blocca la derivazione del colesterolo in acidi biliari e questa azione coincide con l’effetto dell’insulina, la quale ha effetto ipercolosterolemico ovvero tende ad aumentare il livello di colesterolo in circolo. Azione opposta è probabilmente è attuata dagli ormoni glucagone e l’adrenalina, i quali favoriscono la forma fosforilata, quindi la forma attiva. Nei soggetti con diabete di tipo 1(con difetto di insulina) c’è una accelerata demolizione del colesterolo ad acidi biliari. Avvenuta la 7α idrossilazione il catabolismo del colesterolo procede con la trasposizione del doppio legame dalla posizione 5-6 alla posizione 4-5, e questa disposizione del doppio legame rende incompatibile la presenza dell’ossidrile 3β del colesterolo, il quale va incontro ad una reazione di ossidazione e forma il 3 cheto derivato. A questo punto siamo in presenza di un colestene 7α olo 3 one. Siamo quindi distanti dalla struttura caratteristica del colesterolo. Andando verso l’acido antropodesossicolico, intervengono due reazioni di riduzione, una destinata ad annullare il doppio legame alle posizioni 4-5, e una seconda riduttasi agisce sul carbonio chetonico in posizione 3 e lo trasforma in un gruppo alcolico secondario, dando a questo ossidrile la configurazione α. Con

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questo ci avviamo verso la sintesi dell’acido antropodesossicolico, ma abbiamo ancora la catene laterale a 8 carboni. Se invece si procede verso la sintesi dell’acido biliare più largamente sintetizzato dal nostro organismo, l’acido colico, rimaniamo su questo intermedio, sul δ4 colestene 7α olo 3 one e introduciamo un secondo ossidrile nella posizione 12. Quindi arrivati a questo intermedio, se si va verso la formazione dell’acido colico,non proseguiamo immediatamente verso la riduzione del doppio legame in 4-5 e nella riduzione del carbonio chetonico in 3, ma proseguiamo sull’ossidrile in 12, dove interviene una 7α idrossilasi, la quale introduce una funzione idrossilata in posizione 12, utilizzando O2 e NADPH. Si forma un δ 4 colestene 7α 12α diolo 3 one. Proseguendo verso la sintesi dell’acido colico, a questo punto interviene una riduttasi che agisce sul doppio legame in 4-5 e lo riduce e una seconda riduttasi che agisce sul carbonio chetonico in 3 e lo trasforma in gruppo alcolico secondario. Anche in questo caso nella riduzione del gruppo alcolico secondario l’enzima dà la configurazione α, mentre la prima riduttasi, quella che agisce sul doppio legame nell’introdurre l’idrogeno dà all’idrogeno che si lega al carbonio cinque la configurazione β. Formato questo intermedio diidrossi derivato in una reazione di riduzione che comporta la saturazione del doppio legame, saturazione che richiede la presenza di NADPH, passiamo all’intermedio saturo. Questo è un coprostano derivato perché l’idrogeno 5 ha la configurazione β ( si passa dalla serie del colestano alla serie del coprostano) e formiamo un coprostanno 7α 12α diolo 3 one. Se la configurazione dell’idrogeno fosse α non si formerebbero acidi biliari. Secondo passaggio: riduzione del gruppo chetonico in 3; interviene una riduttasi che agisce sul carbonio 3 e utilizza come cofattore NADH . Si forma un coprostano 3α 7α 12α triidrossi coprostano. Con questo passaggio le modificazioni sull’anello sono terminate. Questo coprostano triolo si trasferisce dal reticolo al mitocondrio. Come avvenga questo passaggio non è chiaro, probabilmente diffonde semplicemente attraverso la membrana mitocondriale. Nel mitocondrio va incontro ad un rimaneggiamento della catena laterale per un processo che probabilmente coinvolge alcune tappe della beta ossidazione. Se entra in beta ossidazione la prima reazione è il legame con il CoA il che prevede la presenza di un gruppo carbossilico. Questo gruppo carbossilico ce lo dobbiamo procurare: primo passaggio: uno dei metili terminali, il 26 o il 27 viene convertito in un gruppo carbossilico, che sarà poi suscettibile di legame con il CoA. Per il passaggio dal gruppo metilico a quello carbossilico, probabilmente si verificano reazioni di idrossilazione, di cui la prima trasforma il gruppo metilico in un gruppo alcolico secondario. In presenza di O2 e di NADPH + H+ entra in azione un sistema di idrossilazione molto simile a quello visto per la 7α idrossilasi. Interviene una flavoproteina o un citocromo, non si sa esattamente, comunque il metile 27 viene trasformato in un gruppo alcolico primario. Una alcol deidrogenasi ossida il gruppo alcolico primario a gruppo aldeidico il quale a sua volta viene ossidato a gruppo carbossilico su intervento di una aldeide deidrogenasi che utilizza come cofattore NAD. Secondo passaggio. Tuttavia quello che succede da questo momento in poi è molto ipotetico. Le strade percorse possono essere 2:

• una prima strada in cui dopo la formazione del gruppo carbossilico in 27 avviene una idrossilazione in posizione 24 che introduce una funzione alcolica secondaria: si forma un 24 idrossi derivato che prende il nome di acido varanico. Siamo passati quindi da un coprostano ad un acido coprostanico e formiamo il 3α 7α 12α triidrossi coprostanico e questo acido va incontro ad un ulteriore idrossilazione in posizione 24 e formiamo l’idrossi derivato in 24 che prende il nome di acido varanico. E’ un acido coprostanico con tre funzioni ossidriliche nelle posizioni 3, 7, 12, e una funzione ossidrilica in posizione 24. Probabilmente il gruppo alcolico secondario è ossidato a gruppo chetonico. Si forma un 24 cheto derivato dopo di che la catena si spezza tra il carbonio 24 e il carbonio 25, da un lato formiamo propionil-CoA, dall’altro lato formiamo acido colico. L’acido propionico diventerà carbossilato e poi formerà metil malonil-CoA, succinil-CoA ed entra nel ciclo

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dell’acido citrico. L’acido colico che si è liberato esce dal mitocondrio, passa nel citoplasma, viene attivato a colil-CoA e tale attivazione richiede ATP che si scinde ad AMP + PPi e diventa colil-CoA. L’acido colico diventa colil-CoA che si trasloca nei perossisomi dove viene copulato con glicina o taurina e con questo il catabolismo si chiude. Quindi il colil-CoA si trasloca dal citoplasma ai perossisomi, dove in una reazione di trasferimento il colile viene trasferito o alla glicina o alla taurina formando l’acido taurocolanico o glicocolanico. Con questo il catabolismo dell’acido colico si chiude.

• Se invece eravamo rimasti al diidrossi derivato coprostano 3α 7α, questo si trasloca al mitocondrio, segue la stessa sequenza, va incontro alla degradazione della catena laterale, poi si sposta nel solubile e viene attivato con il CoA, quindi va nei perossisomi, si lega a glicina o taurina e si forma l’acido derivato corrispondente.

Quindi sia il colico che l’antropodesossicolico vengono trasformati nel fegato nei corrispondenti glicoderivati o tauroderivati, dal fegato vengono trasferiti nella cistifellea in un processo probabilmente attivo che consuma ATP e dalla cistifellea con la bile vengono portati nell’intestino. Nell’intestino a causa del pH il cui valore oscilla tra 7.2 e 7.4 il gruppo carbossilico della glicina o il gruppo acido solforico della taurina sono presenti come sali di sodio o sali di potassio, quindi abbiamo i sali corrispondenti dell’acido glicocolico e dell’acido taurocolico. Questi sali sono potenti tensioattivi e vengono utilizzati attivamente nell’intestino per emulsionare la componente lipidica della dieta e favorire in questo modo sia la digestione dei lipidi sia l’assorbimento dei prodotti di questa digestione. Allo stesso tempo questi sali biliari vengono attaccati dalla flora batterica intestinale la quale svolge due funzioni, da un lato stacca glicina e taurina, formando i corrispondenti acidi biliari liberi, dall’altro agisce come riducente sulla funzione ossidrilica in 7, in pratica toglie l’ossidrile in 7 per cui l’acido colico si trasformerà nell’acido diossicolanico 3α 12α che prende il nome di acido desossicolico e l’acido antropodesossicolico diventa acido litocolico cioè il 3α idrossiderivato. Quindi la flora batterica ha la funzione di staccare glicina e taurina da una parte, ridurre l’acido biliare togliendo l’ossidrile in 7 e formando i corrispondenti diossiderivati, acido desossicolicoo o monossiderivati, acido litocolico. Sia gli acidi primari, ovvero il colico e l’antropodesossicolico, sia gli acidi secondari, desossicolico e litocolico, ritornano con il circolo portale al fegato, si stabilisce una circolazione enteroepatica, l’intestino comunica con il fegato attraverso il sangue portale, e arrivati nel fegato questi acidi primari e secondari vengono nuovamente attivati, portati nei perossisomi, copulati con glicina e taurina, traslocati nella cistifellea e da qui nuovamente nell’intestino. Una piccola quota sfugge a questo riciclo e viene mandata in circolo, dove gli acidi biliari hanno normalmente una concentrazione di 1- 1,5 milligrammo, dove la maggior parte è rappresentata da acido colico. Normalmente produciamo 30 grammi di acidi biliari al giorno, e di questi soltanto 300-350 milligrammi vengono persi con le feci, ovvero vengono eliminati, e la parte persa viene reintegrata da colesterolo che viene trasformato in acido biliare. Quindi meno acidi biliari tornano al fegato e più colesterolo viene convertito in acido biliare, più acidi biliari ritornano al fegato e meno colesterolo viene trasformato. C’è quindi una continua regolazione e controllo tra la quantità di acidi biliari persi e la quantità di colesterolo che reintegra la quota persa. Questo è importante perché serve a spiegare la regolazione del colesterolo in circolo. Nei soggetti che sono a rischio di ipercolesterolemia, che tendono quindi ad avere livelli alti di colesterolo in circolo, i meccanismi che inducono questa alterazione non sono chiari. Un metodo per abbassare l’ipercolesterolemia e quello di portare ad una maggiore eliminazione di acidi biliari, conseguentemente più colesterolo verrà degradato. Se si perdono più acidi biliari viene demolito più colesterolo, e in questo modo vengono abbassati i livelli alti di colesterolo. Per realizzare ciò la dieta viene abbinata a resine particolari che portano dei gruppi basici. Queste resine nell’intestino con i loro gruppi basici riescono a legare l’acido biliare che è acido e in questo modo viene eliminato.Le resine sono policationiche e riconoscono l’acidità dell’acido biliare e lo legano e poi il prodotto viene eliminato con le feci. In questo modo più acidi biliari del dovuto vengono eliminati e quindi più colesterolo verrà degradato per ripristinare la quota persa. Sono da considerarsi come

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farmaci anche se in realtà non lo sono. Esse non vengono attaccate nel canale digerente ma passano indenni. -SINTESI DEL COLESTEROLO- La sintesi del colesterolo si ripartisce tra citoplasma dove inizia e poi prosegue nel reticolo endoplasmatico. E’ un δ5 colestene 3β olo. Ha 27 carboni di cui 17 nell’anello, 2 C come metili nella catena laterale in posizioni 10 e 13 e una catena laterale iso ottilica. Questi 27 carboni derivano dai carboni dell’acetil-CoA e il primo precursore che si forma da cui poi deriva la molecola di colesterolo è l’anasterolo che ha 30 carboni. In totale vengono coinvolte 15 molecole di acido acetico nella sintesi del colesterolo delle quali 3 sono perse come anidride carbonica e rimangono i 27 che vanno a costituire la molecola di colesterolo. Il precursore del colesterolo è l’acido acetico nella sua forma attiva, l’acetil-CoA. L’acetil-CoA nella sintesi del colesterolo può avere una duplice origine,1) derivare dal catabolismo di acidi grassi 2) derivare dalla decarbossilazione ossidativa del piruvato ad opera della piruvato idrogenasi, il che vuol dire derivare da glucosio. A formare colesterolo concorrono quindi sia lipidi che glicidi. Per lipidi si intende acidi grassi, i quali degradati ad acetil-CoA permettono di utilizzare questo acetil-CoA per la sintesi del colesterolo. In entrambi i casi l’acetil-CoA si forma nel mitocondrio da cui deve uscire per poter essere utilizzato nella sintesi del colesterolo, ed esce con lo stesso meccanismo che viene utilizzato per portar fuori l’acetile nella sintesi dell’acido grasso. Può uscire come citrato e poi nel solubile ad opera della citrato liasi ATP dipendente si forma acetil-CoA. In piccola misura l’acetilCoA può essere veicolato fuori via carnetina, uscire come acetil-carnetina e poi nel solubile essere ripristinato ad acetilCoA. Quindi l’uscita dell’acetilCoA può essere mediata da citrato oppure da carnetina. Se è il citrato a mediare tale passaggio la citrato liasi trasformerà il citrato in acetil-CoA più ossalacetato, se invece è la carnetina, questa lega l’acetile all’interno del mitocondrio, lo trasporta fuori dove a seguito della reazione opposta riforma acetil-CoA più carnetina. Il processo inizia con reazioni simili a quelle incontrate nella sintesi dei corpi chetonici. La prima reazione prevedeva l’interazione di due molecole di acetil-CoA a formare aceto acetilCoA. Nella sintesi del colesterolo si verifica la stessa cosa, l’unica differenza è che la sintesi dei corpi chetonici si verifica nei mitocondri, mentre la sintesi del colesterolo si realizza fuori. Per formare aceto acetil-CoA la reazione è di trasferimento in cui l’enzima che interviene è una acetil-transferasi che porta come gruppo reattivo nel suo sito catalitico un gruppo tiolico. In un primo momento l’enzima lega la prima molecola di acetil-CoA, stacca l’acetile e lo lega al suo gruppo tiolico formando un acetil-S enzima intermedio e poi lo trasferisce alla seconda molecola di acetil-CoA formando aceto acetil-CoA. L’intermedio della reazione è un acetil-S enzima con liberazione di CoA e poi acetil-S enzima più acetil-CoA formerà aceto acetil-CoA. In un secondo momento interviene una terza molecola di acetil-CoA che viene portata sull’aceto acetil-CoA formando per primo un intermedio instabile che ha ancora le due molecole di CoA legate che poi si assesta nell’intermedio definitivo β-ossi β-metil glutaril-CoA. E’ un acido glutarico copulato con CoA β-metil β-idrossi sostituito. Per legate l’acetil-CoA con l’aceto acetil-CoA si è verificata una reazione liasica perché nel gruppo metilico dell’acetil-CoA un H si comporta come protone, tende dunque ad essere dissociato e portato sul doppio legame del gruppo carbonilico dell’aceto acetil-CoA. Si crea in questo modo un carbo-catione il quale lega la rimanente parte dell’acetilCoA. Nella reazione liasica per addizione di gruppi sul doppio legame questo scompare. L’enzima sarà una carbonio-carbonio liasi. La reazione è irreversibile, va solo verso la formazione del β-ossi β-metil glutaril-CoA, anche perché si verifica l’idrolisi di un legame ricco di energia, quale quello che lega l’aceto acetile al CoA. Importante è la formazione del metile in catena laterale che viene conservato andando avanti nella sintesi e sarà responsabile delle funzioni metiliche che troviamo nelle posizioni angolari del colesterolo e nella ramificazione terminale della catena così come del metile 21. Creando questa catena laterale abbiamo creato i presupposti per i metili che emergeremmo come catene laterali nella molecola del colesterolo.

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Si verifica adesso la reazione più importante della sintesi del colesterolo, che viene considerata come limitante l’ intero processo e prevede una reazione di riduzione a livello del gruppo carbossilico legato con il CoA. Quindi il gruppo carbossilico che è legato con legame di estere al CoA viene ridotto a gruppo alcolico primario e simultaneamente il CoA viene staccato. Con questa reazione viene perso il CoA che fino ad ora aveva sorretto tutti gli intermedi. Si arriva alla formazione dell’acido mevalonico, che uno dei prodotti fondamentali per la sintesi del colesterolo. Il β-ossi β-metil glutaril-CoA viene attaccato dalla riduttasi indicata come β-ossi β-metil glutaril-CoA più NADP+. Utilizzando NADPH che si forma nel ciclo del glucosio 6 P ed è importante non solo per la sintesi degli acidi grassi, ma anche per la sintesi del colesterolo. La reazione avviene in tempi successivi: in un primo tempo la riduttasi utilizza il potere riducente del NADPH per ridurre il gruppo carbossilico che era impegnato con il CoA a gruppo aldeidico, determinando il distacco del CoA. In un primo momento questa riduttasi interviene sul legame estere CoS-CoA, riduce il carbossile a gruppo aldeidico e libera CoA. La reazione è irreversibile. Il NADP viene ossidato, si libera CoA e si forma questa aldeide intermedia, una semi aldeide glutarica che è instabile e ad opera dell’enzima in presenza di una seconda molecola riduciamo il gruppo aldeidico a gruppo alcolico. Si forma un acido monocarbossilico a 5 carboni, un derivato dell’acido valerianico e sarà l’acido β, δ-diidrossi βmetil valerianico indicato come acido mevalonico. Siamo passati da un acido bicarbossilico a un acido monocarbossilico sempre a 5 carboni. In totale il β-ossi β-metil glutaril-CoA + 2 NADPH porta alla formazione di acido mevalonico, NAP+ + CoA. Questa è considerata una reazione chiave del processo sia perché l’enzima che è una riduttasi è presente in concentrazione più bassa rispetto a tutti gli altri enzimi del processo, fa quindi da fattore limitante e sia perché questa riduttasi è fortemente regolata, e questa regolazione può essere data da metabolici oppure può essere una regolazione che riguarda la conformazione dell’enzima, una regolazione di tipo conformazionale covalente. Regolazione della riduttasi.

- Regolazione da metaboliti. La riduttasi è inibita da colesterolo che sarà il prodotto terminale della sequenza. E’ una inibizione di tipo feedback, infatti il prodotto terminale della sequenza si ritorce a danno delle reazioni iniziali del processo. L’inibizione è probabilmente di tipo competitivo da un lato sull’enzima, e soprattutto si porta a livello nucleare e reprime la sintesi dell’enzima.

- Regolazione da modificazioni covalenti. La seconda regolazione che riguarda la conformazione dell’enzima, in quanto questa riduttasi esiste in due forme, una defosforilata che è la forma attiva e in una forma fosforilata che è invece inattiva. Questa beta ossi beta metil glutaril CoA riduttasi passa dalla forma fosfo alla forma defosfo attraverso una reazione di idrolisi; interviene una fosfatasi che stacca il fosfato. La fosfatasi è regolata da insulina positivamente, quindi l’insulina favorendo le forme fosforilate della riduttasi potenzia la sintesi di colesterolo. Il passaggio dalla forma defosfo alla forma fosfo è regolato da ATP ad opera di una protide cinasi; questa regolazione è data da una riduttasi cinasi, indicata anche come riduttasi K,dove K sta ad indicare cinasi. Questa riduttasi cinasi a sua volta esiste in una forma attiva (fosforilata) e in una forma inattiva (defosforilata), esattamente l’opposto della riduttasi. Il passaggio dalla forma defosfo alla forma fosfo prevede ATP ed è regolato da una PKA, la quale indica “sensibile ad AMP ciclico”, quindi la PKA è regolata da adrenalina e glucagone. Adrenalina e glucagone bloccano la sintesi di colesterolo perché mantengono la riduttasi cinasi nella forma fosforilata attiva, il che significa riduttasi fosforilata che è la forma inattiva. Invece il passaggio dalla forma fosfo alla forma defosfo avviene per aggiunta di acqua, con distacco di fosfato ad opera di una fosfatasi regolata da insulina. L’insulina la mantiene nella forma inattiva e impedisce il passaggio della riduttasi dalla forma fosforilata alla forma defosforilata. Riassumendo dunque la riduttasi cinasi ha la funzione di inibire la riduttasi perché la mette nella forma fosforilata che è inattiva, e la riduttasi cinasi a sua volta esiste in due forme, una forma fosforilata attiva e una forma defosforilata inattiva. Per avere una riduttasi cinasi attiva questa deve

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essere nella forma fosforilata e la fosforilazione è garantita da una PKA che a sua volta è controllata da adrenalina e glucagone. L’insulina attiva quindi indirettamente la sintesi del colesterolo. La riduttasi cinasi passa dalla forma fosfo alla forma defosfo su intervento di acqua e ad opera di una fosfatasi che stacca il fosfato. Con questa reazione inattiva la riduttasi cinasi , e la riduttasi sarà nella forma defosforilata, che è la forma attiva. La riduttasi cinasi è sensibile ad alcune sostanze indicate con il nome di statine, che sono molecole con struttura abbastanza vicina a quella del colesterolo. Esse agiscono sulla riduttasi cinasi con meccanismo simile a quello del colesterolo, ovvero bloccano l’enzima agendo sul substrato; tale meccanismo è competitivo. Si porta inoltre a livello nucleare dove blocca la sintesi della riduttasi. Queste sostanze hanno rilevante importanza terapeutica e sono somministrate a soggetti a rischio di avere elevati livelli di colesterolo in circolo. Sono però molecole estremamente pericolose se assunte in dosaggi sbagliati. Tra queste la più nota è l’ovastatina, che è anche la più utilizzata.

- Regolazione ad opera del sistema proteasoma.La riduttasi lavora nel reticolo endoplasmatico, poiché è attaccata alla membrana del reticolo e con l’estremo N-terminale sporge all’interno del reticolo, mentre con l’estremo C-terminale emerge verso il citoplasma. Nella porzione C-terminale la riduttasi viene riconosciuta da un sistema proteolitico che prende il nome di proteasoma, il quale provvede a decurtarne l’estremo C-terminale e con questo inattiva al riduttasi. L’estremo C-terminale è importante dunque per la catalisi enzimatica. Dei due gruppi carbossilici sull’acido glutarico ne abbiamo ridotto uno a gruppo alcolico primario. Questa grande modificazione consiste nel passaggio da un acido dicarbossilico ad un acido monocarbossilico. Il CoA è stato perso formando apparentemente un acido libero. Durante la sintesi del colesterolo si distinguono due fasi più una compresa tra le due:

- nella prima fase i metaboliti sono retti da CoA - nella fase intermedia sono retti da pirofosfato - nella fase intermedia sono retti da proteine

Le molecole che si creano nel processo sono poco solubili,quindi a seconda della fase del processo necessitano di un supporto per renderle solubili, tali supporti sono appunto CoA, pirofosfato o proteine. L’acido mevalonico non ha supporto. Andando verso la formazione del supporto esso lega due molecole di orofosfato. Il fosfato è legato al gruppo alcolico primario in posizione δ, che va incontro ad una reazione cinasica ad opera di una mevalonato cinasi, la quale in presenza di ATP che si trasforma in ADP viene fosforilata sul gruppo alcolico primario formando un acido 5 fosfo mevalonico. La reazione richiede la presenza di cationi bivalenti, cioè magnesio. Questa reazione è irreversibile e va solo verso la fosforilazione e non viceversa. Sull’acido fosfo mevalonico interviene una seconda cinasi, una fosfo mevalonato cinasi, la quale va a fosforilare ulteriormente il fosfato già esistente legando un secondo fosfato al primo formando l’acido 5 piro fosfo mevalonico. Questa seconda reazione di fosforilazione è reversibile dal punto di vista termodinamico perché si forma un legame di anidride la cui energia è pari a quella del legame pirofosforico terminale dell’ATP. Tuttavia in vivo la reazione diventa irreversibile in quanto l’acido 5 piro-fosfo-mevalonico è coinvolto in una reazione irreversibile che lo trasforma rapidamente nel metabolita pentenil pirofosfato. Segue una reazione liasica defosforilante poiché si ha la liberazione di una molecola di fosfato che non è quello del pirofosfato. E’ molto probabile infatti che questa reazione sia preceduta da una ulteriore fosforilazione in presenza di ATP in cui viene fosforilato l’ossidrile legato al carbonio β. E’ un intermedio labile che si forma per intervento di una terza cinasi sul gruppo alcolico terziario. A questo intermedio segue la reazione liasica irreversibile che comporta l’intervento di una pirofosfo fosfato mevalonato liasi che agisce sul composto e determina l’allontanamento del gruppo carbossilico come CO2, la perdita del fosfato che si libera come fosfato inorganico e la formazione

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dell’intermedio stabile pentenil pirofosfato. Il protone del gruppo carbossilico viene utilizzato per liberare il fosfato e il gruppo metilenico residuo si salda con un doppi legame con il carbonio vicino. Rimane il composto che prende il nome di isopentenil pirofosfato. La molecola retta dal pirofosfato rimane in soluzione per la presenza del gruppo idrofilico pirofosforico. L’isopentenil pirofosfato viene attaccato da una isomerasi che lo trasforma con una reazione reversibile in dimetil allil pirofosfato. L’enzima è una isopentenil pirofosfato isomerasi e la reazione è di isomerizzazione. L’enzima lavora a carico del doppio legame e determina lo spostamento di un idrogeno del gruppo metilenico verso il carbonio metilenico ribaltando il doppio legame tra i due carboni. L’intermedio che si forma sarà il dimetil allil pirofosfato, dove l’allile è una sequenza a 3 carboni. Su queste due molecole è importante riconoscere un estremo testa e un estremo coda. L’estremo testa è quello lontano dal radicale pirofosforico, e l’estremo coda è quello che è legato al pirofosfato. Nella reazione che segue vengono condensate una molecola di isopentenil pirofosfato e una molecola di dimetil allil pirofosfato: il dimetil allile è trasferito sull’isopentenil pirofosfato con liberazione di un pirofosfato. Si forma un intermedio a 10 carboni e non più a 5. La dimetil allil transferasi agisce in due tempi successivi, inizialmente interviene sull’isopentenile e sposta il doppio legame tra il carbonio4 e il carbonio3 tra il carbonio3 e il carbonio2 e il gruppo CH2 perde un protone formando questo intermedio instabile. Il protone fa da catalizzatore acido per il pirofosfato sul dimetil allile, il pirofosfato si allontana e il dimetil allile si porta sulla testa del precedente isopentenile. Successivamente addizione il dimetil allile sull’isopentenile formando l’intermedio a 10 carboni che prende il nome di geranil pirofosfato. Il termine geranile deriva dal fatto che l’alcol corrispondente fa parte dell’essenza del geranio. La catena formata è a 10 carboni ed è formata da due catene ciascuna di 5 carboni e da un metile in catena laterale. Queste due parti possono essere ricondotte alla struttura dell’isoprene o dimetil butadiene. Il composto è formato da due unità isoprenoidi e l’unione di tali unità porta alla formazione di idrocarburi che prendono il nome di monoterpeni. Nella fattispecie abbiamo l’alcol corrispondente che prende il nome di geraniolo da cui si ottiene il geranil pirofosfato. Se esaminiamo attentamente la molecola vediamo che i metili in catena laterale 1 e 2 distano tra loro 5 carboni e il legame che unisce le due molecole di butadiene è un legame testa-coda, in quanto la coda del dimetil allile si è agganciata alla testa dell’isopentenile. Tornando indietro, nella reazione liasica in cui perdevamo il gruppo carbossilico, in effetti abbiamo formato la prima unità isoprenoide, che poi si isomerizza nel dimetil allil pirofosfato e viene utilizzata per la sintesi del primo monoterpene, il primo composto a 10 carboni, che prende il nome di geranil pirofosfato. Il composto ha due metili in catena laterale, è altamente idrofobico ed è retto in soluzione dalla presenza del pirofosfato. La tappa successiva ripete questa appena analizzata con la differenza che interviene una nuova molecola di isopentenil pirofosfato su cui è portato il geranil pirofosfato. Interviene una geranil transferasi che trasferisce il geranile a una molecola di isopentenile pirofosfato e forma un intermedio a 15 carboni, formato da una unità terpenoide e mezzo, si parla di sesquiterpene, questo nuovo intermedio prenderà il nome di farnesil pirofosfato. La gerenil transferasi sposta il doppio legame tra le posizioni 3-4 alle posizioni 2-3, libera il protone dal carbonio2 che utilizza per staccare il pirofosfato e successivamente l’enzima trasferisce il geranile sull’isopentenil isomerizzato. Si ottiene un intermedio formato da tre unità isoprenoidi a 15 carboni che prende il nome di farnesil pirofosfato. Nella reazione viene perso il pirofosfato del geranile. Il farnesil pirofosfato è l’ultimo intermedio ad essere retto dal pirofosfato perché nella reazione successiva perderemo il pirofosfato e formeremo un intermedio altamente idrofobico a 30 carboni che prende il nome di squalene. Esso deriva dall’unione di due molecole di farnesil pirofosfato. Non è più un alcol ma un idrocarburo e il suo nome deriva dal fatto che è stato isolato dall’olio di squalo. Nella reazione che segue una seconda molecola di farnesil pirofosfato si aggiunge e le due molecole di pirofosfato si allontanano. I due farnesili vengono attaccati per le due code, con legame coda-coda a formare questo nuovo intermedio che prende il nome di squalene. L’enzima è indicato

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come squalene sintetasi ed è una ossidoriduttasi purché utilizza una molecola di NADPH. Questa è la terza molecola di NADPH che interviene nel processo. La molecola è simmetrica, cioè formata da due parti uguali che si agganciano per le code. In totale ci sono 6 molecole di isoprene legate: 3 portate da un farnesile e 3 dall’altro. In totale 30 carboni. Questo è l’ultimo intermedio lineare che si forma nella sintesi del colesterolo. Dopo questo la molecola ciclizza e passeremo al primo intermedio ciclico che prende il nome di lanasterolo. Con la sintesi dello squalene chiudiamo la tappa intermedia e affrontiamo la tappa conclusiva che ci porterà alla formazione del colesterolo. . Biochimica Rinaudo. Lezione del 14-01-03 Con la perdita del pirofosfato,si forma lo squalene che è un composto altamente idrofobico il cui metabolismo potrebbe essere fortemente ostacolato, per cui, da questo momento in poi lo squalene e tutti i composti che si formeranno in seguito in rapporto alla idrofobicità saranno retti da proteine che mantengono in soluzione la molecola e ne permettono l’attacco da parte dei diversi enzimi. Quindi, a questo punto, la molecola dello squalene che ha perso il pirofosfato verrà retta da protidi in particolare sono protidi citoplasmatici che la mantengono in soluzione e ne permettono le modificazioni dagli enzimi che saranno deputati a modificare questa molecola. Ieri parlando della riduttasi non vi ho detto di inibizione da mevalonato. Il mevalonato ,che è un prodotto della rezione, a sua volta si ritorce con un meccanismo a feed-back sull’enzima che lo produce per cui, laddove ci sia accumulo di mevalonato immediatamente la riduttasi viene repressa. Procediamo sullo squalene: le due molecole di farnesilpirofosfato ad opera della squalene sintetasi vengono trasformati in squalene.Questa squalene sintetasi esiste in due forme :una forma che non utilizza NAD fosfato ridotto e una forma che lo utilizza; se nel tessuto c’è poco NAD fosfato ridotto la squalene sintetasi lavora in un modo, se c’è una buona disponibilità di NAD fosfato ridotto si comporta come una riduttasi e trasformerà le due molecole di farnesil pirofosfato in squalene. Se c’è difetto di NAD fosfato ridotto anziché squalene l’unione delle due molecole di farnesilpirofosfato porta alla formazione di un intermedio che prende il nome di squalene pirofosfato. Questo è un intermedio instabile detto presqualene pirofosfato in cui una molecola di pirofosfato se n’è andata, una seconda rimane ancora legata alla molecola.Quindi se c’è difetto di NAD fosfato ridotto formiamo questo presqualene pirofosfato che soltanto in presenza di NAD fosfato ridotto verrà convertito in squalene. Fintanto che non c’è disponibilità del cofattore la reazione di sintesi del colesterolo si ferma a livello di questo presqualenepirofosfato. Quindi se c’è difetto di NAD fosfato ridotto probabilmente come prima tappa della reazione la squalene sintetasi origina questo intermedio: presqualene pirofosfato che possiamo pensare formato dall’interazione di una catena di farnesil pirofosfato con perdita del pirofosfato, con la seconda catena di farnesil pirofosfato.Cioè in pratica in questo primo momento la squalene sintetasi non si comporta come riduttasi : attacca una delle catene di farnesil pirofosfato e stacca da questa catena il pirofosfato cioè utilizza uno degli idroni del Carbonio metilenico che era legato al pirofosfato come protone per staccare il pirofosfato e lega il radicale residuo che rimane sulla catena rimanente al Carbonio 14 e 13 della molecola di farnesil pirofosfato che si sta affrontando; in pratica forma un anello ciclopropanico fra le due catene di farnesil pirofosfato con l’eliminazione di un pirofosfato.Quindi il carbonio 15 di un farnesil pirofosfato viene deprotonato e con questo si perde il pirofosfato. Questo carbonio radicalico che rimane va a legarsi con il carbonio 14 e 13 dell’altra molecola di farnesil pirofosfato costituendo questo intermedio altamente instabile che prende il nome di presqualene. Questo è il primo intermedio nella reazione che porterà alla formazione dello squalene. A questo punto se c’è presenza di NAD fosfato ridotto la squalene sintetasi si comporta adesso come riduttasi e in pratica utilizza uno dei protoni del NAD fosfato ridotto per staccare il pirofosfato. L’altro idrogeno del NAD fosfato ridotto viene utilizzato per ridurre il carbonio metinico, che faceva da ponte tra i carboni 13 e 14 trasformandolo in un carbonio metilenico e a questo punto aggancia il carbonio metilenico al carbonio metilenico dell’altra catena . Con questo si rompe il ciclopropano

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intermedio; quindi le due molecole di farnesil pirofosfato vengono legate tra di loro a formare lo squalene. Per cui, il prodotto della reazione squalene sintetasi sarà: squalene più una molecola di NAD fosfato ossidato più due molecole di pirofosfato. A questo punto lo squalene è immediatamente legato a una proteina che viene indicata come protide portatore di squalene o protide portante squalene, la quale ha la funzione di mantenere in soluzione questo composto fortemente idrofobico. Da questo momento in poi succedono delle reazioni che non sono note nello specifico quindi ci sono parecchie ipotesi per spiegare cosa succederà successivamente, sta di fatto che lo squalene in presenza di ossigeno molecolare , probabilmente ad opera di una squalene idrossilasi, va incontro a un processo di idrossilazione, quindi lega un atomo di ossigeno a partire da ossigeno molecolare,e si trasforma in un 3 epossisqualene che è l’ultimo composto lineare, dopodiché ci troviamo in presenza del primo composto ciclico definitivo stabile che prende il nome di lanosterolo. Allora,formato lo squalene ,in presenza di ossigeno molecolare ad opera di una squalene idrossilasi, uno degli estremi della molecola dello squalene va incontro a idrossilazione e, in presenza di ossigeno molecolare, formiamo questo intermedio: 3 epossisqualene. Quindi si forma un ponte epossidico tra il C3 e il C4 .Il meccanismo di questa reazione di idrossilazione non lo conosciamo, dopodiché da questo intermedio instabile passiamo al lanosterolo. Nella formazione dell’epossisqualene: ci sono le sei unità isoprenoidi che concorrono a formare lo squalene la quarta delle quali si attacca con legame coda-coda e quindi la distanza tra i metili laterale sarà di 6 carboni e non di 5. Segue la seconda molecola di farnesil pirofosfato che rappresenterà la parte terminale della molecola di colesterolo. Nella formazione del lanosterolo c’è una trasposizione di doppi legami e soprattutto c’è una migrazione dei metili, perché il metile della catena laterale si ribalta e rappresenterà il metile angolare in posizione 13. Quindi il rimaneggiamento della molecola è profondo, sia per quanto riguarda i doppi legami sia per quanto riguarda i metili in catena laterale. Da questo intermedio passiamo al primo sterolo stabile, ciclico, il quale ha ancora i 30 carboni che avevamo nello squalene e però è un alcol: in posizione 3 porta la funzione alcolica e ha 2 doppi legami: uno in 8 e l’altro nella posizione 24. Il lanosterolo sarà un 4,4 dimetil 4,4,14 trimetil colestadiene 8,24 3 β olo perché in posizione 3 porta una funzione alcolica di configurazione β. Allora abbiamo 30 C in totale dobbiamo scendere a 27 per arrivare alla molecola del colesterolo. In più abbiamo due doppi legami e dovremo arrivare a un solo doppio legame in posizione 5-6.La trasformazione del lanosterolo in colesterolo inizia sul metile 14 il quale dovrà essere eliminato. Perché i metili possano essere allontanati devono avere la α configurazione cioè devono essere in configurazione opposta rispetto ai metili in 10 e in 13. Il metile 14 è già nelle conformazione giusta. Come primo passaggio interviene una 14 metilidrossilasi che idrossila il gruppo metilico al gruppo alcolico primario, reazione che prevede la partecipazione di ossigeno molecolare e di NADPH + H. Interviene un sistema di idrossilazione di cui fanno parte una clavoproteina, probabilmente un citocromo B 5 e poi la vera idrossilasi che probabilmente ha le caratteristiche di un citocromo P 450. Ripete esattamente quello che abbiamo visto per la ω ossidazione. Poi il gruppo alcolico primario ad opera di una alcol deidrogenasi, che utilizza come cofattore NAD, viene trasformato in gruppo aldeidico e il gruppo aldeidico nella forma di idrato dell’aldeide viene deidrogenato da un’aldeide deidrogenasi che lo trasforma in gruppo carbossilico.E’ lo stesso processo di ossidazione che nella glicolisi aveva trasformato la gliceraldeide 3 fosfato nell’acido 1,3 difosfoglicerico. Da ultimo, il gruppo COOH in una reazione liasica viene allontanato come CO2 e rimane un atomo di H. Lo stesso sistema di idrossilazione inizia adesso a lavorare sui metili in 4, iniziando con quello in configurazione α, quindi il metile in β non viene riconosciuto. Il metile riconosciuto segue la solita trafila. La reazione si ferma però al gruppo carbossilico perché il gruppo alcolico in β disturba la liasi che dovrebbe staccare il gruppo carbossilico, per cui la liasi non riesce a funzionare a questo livello; interviene quindi un sistema di ossidazione cioè una alcoldeidrogenasi che utilizza come cofattore NAD che in pratica va a ossidare il gruppo alcolico a gruppo chetonico e formiamo un 3 chetoderivato, la cui presenza rende possibile la reazione di decarbossilazione e in questo modo l’allontanamento del primo metile. Adesso, il gruppo metilico residuo viene convertito probabilmente per una isomerizzazione in isometile α e segue adesso la stessa trafila. Ma

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quando va via il gruppo carbossilico il gruppo chetonico ritorna alla funzione alcolica:quindi formiamo un monometil derivato in 4. Iniziamo adesso sul secondo metile che segue la solita trafila: gruppo alcolico primario, poi aldeidico, gruppo carbossilico:a questo punto di nuovo la liasi non riesce a funzionare, ritorniamo a ossidare il gruppo alcolico a gruppo chetonico interviene la liasi che toglie il gruppo COOH come CO2 e da ultimo il gruppo chetonico in 3 viene ritrasformato in gruppo alcolico secondario.Con questo abbiamo trasformato il lanosterolo in desmosterolo . Quindi prima abbiamo formato un lanosterolo che ha perso il gruppo metilico in 14 detto norlanosterolo, poi dopo la perdita dei due metili in posizione 4 passiamo al desmosterolo.In tutti questi passaggi lo sterolo non è libero ma è sempre legato a un supporto proteico perché altrimenti non potrebbe essere modificato. A questo punto non sarà più un protide portante squalene ma sarà un protide portante steroli: di queste proteine ne hanno isolate più di una, quindi è probabile che man mano che la molecola si modifica, si modificano anche le proteine che interagiscono con essa e la tengono in soluzone.Siamo arrivati alla formazone di un colestadiene 8,24 perché abbiamo perso i tre metili. Da questo momento in poi le possibilità per trasformare questo precursore in colesterolo definitivo sono varie.La cosa fondamentale è che il doppio legame in 8-9 impedisce l’ introduzione di un doppio legame in 5-6 che è quello che ci interessa; per cui bisogna modificarlo. Possiamo seguire questa strada: dapprima interviene una steroide isomerasi che sposta il doppio legame dalla posizione 8-9 alla posizione 7-8.abbiamo fatto un colestadiene 7,24. A questo punto ho due possibilità: 1) introduco subito il doppio legame in posizione 5-6 ad opera di una steroide deidrogenasi ( utilizza come cofattore NAD, toglie due atomi di H e forma NAD ridotto e si introduce l’insaturazione in posizione 5-6). A questo punto vado a ridurre il doppio legame in posizione 24 ad opera di una steroide riduttasi che utilizza NADPH+H come donatore del potere riducente e arrivo alla formazione di un colestadiene 5,7 3 β olo che è indicato anche col termine di provitamina D indicata come provitamina D3 che è il precursore della vitamina D. Da ultimo andiamo a ridurre il doppio legame in 7-8 ad opera di NAD fosfato ridotto e arriviamo al colesterolo.2) alternativamente potevo andare subito a ridurre il doppio legame in posizione 24 , poi spostare il doppio legame dalla posizione 8-9 a quella 7-8, poi introdurre il doppio legame in posizione 5-6 e poi ridurre il doppio legame 7-8: a vostro piacimento. L’importante è ricordare che quando ci sono reazioni di deidrogenazione interviene come cofattore NAD quando ci sono reazioni ci riduzione interviene come cofattore NADPH+H.il colesterolo così formato può prendere diverse strade: può essere utilizzato all’interno delle cellule epatiche che sono le cellule che più intensamente generano colesterolo e quindi viene dislocato ai vari compartimenti cellulari dove entra come componente delle membrane mitocondriali, nucleari, plasmatiche. Oppure può essere temporaneamente immagazzinato e in questo caso va incontro a una acilazione ad opera di una acil coenzima A colesterolo aciltransferasi,(questo enzima viene indicato con la sigla ACAT: trasferisce acili a lunga catena ,16-18 C, e nonnacetili. È diverso da CAT1 che è deputata al trasporto delle acil carnitine.)viene convertito in colesteride per esterificazione al gruppo alcolico secondario e quindi forma un lipide semplice colesterine. Ricordate che gli acidi grassi legati sono in genere monoinsaturi tipo l’acido oleico, l’acido palmitoleico cioè 18 C monoinsaturo o 16 C monoinsaturo più raramente sono acidi grassi saturi a lunga catena o acidi grassi polinsaturi.Da ultimo se è stato prodotto a livello epatico viene smistato alla periferia, viene mandato in circolo e trasportato a tessuti che utilizzano colesterolo e in cui la sintesi di colesterolo è deficitaria dove può essere utilizzato per la formazione di membrane o per funzioni particolari tipo la formazione di ormoni steroidei.Per essere smistato viene incorporato all’interno di lipoproteine prodotte a livello del fegato che sono le VLDL in questa forma la lipoproteina lascia il fegato, passa in circolo e va incontro a rimaneggiamento profondo che la trasforma in una seconda lipoproteina nota come LDL, che sono le effettive responsabili del trasporto del colesterolo ai tessuti periferici.Le LDL riconoscono recettori sulle membrane dei tessuti, vi si legano e vengono così internalizzate.La proteina apoB100 fa da aggancio per i recettori delle membrane dei tessuti ed è quindi una componente fondamentale delle LDL. La proteina viene internalizzata in forma di vescicole rivestite di clatrina. Va ai lisosomi dove il complesso viene risolto, in genere il recettore torna alla

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membrana, i vari componenti della lipoproteina vengono disintegrati e il colesterolo liberato.Se manca invece questo recettore di membrana la LDL non viene riconosciuta e la concentrazione aumenta perché il catabolismo della proteina è rallentato, così le LDL tendono ad aderire alla membrana dei vasi dove vanno a costituire delle placche che ispessiscono la membrana del vaso fino alla sua occlusione per cui sa ha il trombo: fenomeno di aterosclerosi. Ci sono soggetti che hanno deficit di questo recettore periferico per cui non riconoscono le LDL e sono ad alto rischio di trombi e sovente questa situazione è fatale. La patologia è dovuta a mancanza del recettore o a recettori non funzionanti che non legano la LDL o che non riescono a internalizzarsi: soggetti ipercolesterolemici. La terapia è quella di somministrare con la dieta delle resine che sono in grado di catturare a livello dell’intestino gli acidi biliari di modo che, meno acidi biliari refluiscano al fegato ,più colesterolo viene degradato:il colesterolo viene internalizzato dalle cellule del fegato e nel fegato rapidamente convertito ad acidi biliari. L’altra possibilità è quella di diminuire nella dieta tutti i componenti che possono dare colesterolo oppure andare a bloccare la βossiβmetilglutarilcoenzima A riduttasi utilizzando inibitori tra cui la lovastatina. Il colesterolo può andare incontro a destini diversi: può essere utilizzato per costruire le membrane, come deposito di steridi, o in tessuti specializzati può dare origine ad ormoni e in particolare ai cosiddetti ormoni steroidei, che distinguiamo in diverse classi a seconda della loro struttura, del sito di formazione e della loro funzione in : ormoni della corticale del surrene e ormoni sessuali maschili e femminili. Gli ormoni della corticale del surrene vengono distinti in due categorie: glicocorticoidi e mineralcorticoidi a seconda della funzione. Ricordare che 4 enzimi della gluconeogenesi sono sottocontrollo dei glicocorticoidi. Tutti questi ormoni sono caratterizzati da 21 C nella loro catena. Per passare da colesterolo a un ormone del surrene viene decurtata la catena isoottilica. Gli ormoni sessuali maschili, di cui il prototipo è il testosterone, vengono prodotti a livello dei testicoli e hanno 19 C. Esistono ormoni sessuali femminili di due tipi: uno ha 21 C e un secondo ne ha 18. Tutti questi ormoni sono prodotti in loco ma hanno in comune un precursore che è il pregnelonone, un derivato a 21C. Per arrivare al pregnelonone il colesterolo subisce modificazioni uguali sia a livello della corticale del surrene, sia a livello dei testicoli e dell’ovaio. Poi, a seconda della funzione del tessuto, la sintesi evolverà verso gli ormoni definitivi. Il colesterolo arriva col circolo trasportato da LDL che riconosce, sulla membrana plasmatica di queste ghiandole, un recettore che aggancia la lipoproteina e le permette di traslocarsi all’interno , andare incontro a degradazione e liberare colesterolo. Esso viene raccolto immediatamente da una proteina particolare indicata come proteina portante colesterolo che lo avvia al sito di degradazione, cioè verso la trasformazione nel precursore definitivo, trasformazione che avviene a livello dei mitocondri. Quindi: a livello dei lisosomi si libera colesterolo, questa proteina lo lega e dal citoplasma lo avvia ai mitocondri dove inizia la sua trasformazione verso il pregnelonone. Dentro i mitocondri, probabilmente legato a proteine di supporto, il colesterolo va incontro a una prima reazione che prevede una duplice idrossilazione a livello del C20 e 22, in presenza di ossigeno molecolare e si forma un 20-22 diidrossi colesterolo. Quindi spendiamo 2 molecole di ossigeno molecolare e il sistema di idrossilazione è sempre il solito: NAD fosfato ridotto, una flavoproteina e una idrossilasi con caratteristiche simili a un citocromo P450. Si parla di una 20-22 colesterolo idrossilasi che provvede a idrossilare in 20 e 22. Una terza molecola di O molecolare interviene in un processo che non conosciamo nei dettagli, il quale comporta la rottura della catena laterale tra il C 20 e il C22, la separazione di un’aldeide a 6 atomi di C, che sarà un’aldeide isocapronica (che viene ossidata da acido isocapronico, il quale viene attivato dall’isocapronil Co A e verrà degradato secondo la β ossidazione). Il composto rimanente non avrà più 27 C ma solo 21 ed è il pregnelonone. Porta una funzione chetonica in 20 e serba ancora la funzione alcolica in 3 in configurazione β. Con questo cessa la trasformazione a livello dei mitocondri e il pregnelonone si trasloca a livello del reticolo per andare incontro a modificazioni successive. Altre possibilità di trasformazione del colesterolo sono nel fegato: trasformazione in acidi biliari e formazione di provitamina D.

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Unica via di catabolismo, con eliminazione dell’anello steranico e quindi dello scheletro carbonioso del colesterolo, è la formazione di acidi biliari; gli altri sono processi di trasformazione della molecola di colesterolo in altri composti che serbano sempre la natura steroidea e che a loro volta avranno un loro catabolismo e una loro eliminazione. Andiamo verso la SINTESI DELLA VITAMINA D di cui siamo in grado di trasformare il precursore, la provitamina D, in vitamina D. La trasformazione avviene ad opera di agenti esterni, in particolare della radiazione ultravioletta: quindi è necessaria l’esposizione alla luce perché essa provoca la conversione della provitamina D in vitamina D. Il colesterolo prodotto prevalentemente a livello del fegato viene mandato in circolo, dal circolo va alla cute dove ,attraverso l’esposizione alla luce solare, la molecola subisce una trasformazione che consiste nella isomerizzazione del metile legato al C10 quindi il metile 19. Questo modifica la sua configurazione spaziale e passa da quella cis a quella trans, in pratica si rovescia la sua configurazione. Questa isomerizzazione induce instabilità del legame tra il C9 e il C10 che si spezza, per cui la molecola del colestano si apre e passiamo a una struttura nota come seco-colestano, cioè colestano tagliato. Questo primo intermedio, per azione termica, cioè per effetto del calore della cute, subisce un’ulteriore isomerizzazione: questo nuovo intermedio in cui il gruppo metilico è diventato un C metilenico è instabile e la molecola si trasforma in una forma che si dice distesa mentre quella originale è ripiegata. In pratica, la molecola si ribalta e si srotola: passa in una forma distesa in cui è evidente il C metilenico che si è formato precedentemente. Questa è la forma definitiva della vitamina D, stabile. In questa forma però non è funzionale; per diventare tale deve essere veicolata, trasportata da proteine specifiche al fegato dove va incontro alla reazione di idrossilazione a livello del C25 e formiamo un 25 idrossiderivato che prende il nome di calcidiolo perché ha due funzioni alcoliche una in 3 e l’altra in 25. Ma non è ancora questa la forma biologicamente attiva;dal fegato, a mezzo di proteine particolari, il calcidiolo viene veicolato al rene dove a livello renale, in particolare nel reticolo endoplasmatico delle cellule renali, il calcidiolo va incontro a una nuova reazione di idrossilazione che riguarda il C1 e l’ossidrile viene orientato in configurazione α mentre in 3 è in configurazione β. Quindi si parla di una 1- α idrossilasi in quanto è specifica per orientare l’ossidrile in configurazione α e con questo formiamo il calcitriolo che è la vitamina D biologicamente attiva.Quindi non basta trasformare la provitamina D in vitamina D, ma questa deve andare incontro a due reazioni di idrossilazione una in 25 e l’altra in α in due tessuti differenti, fegato e reni, per diventare attiva. Qual è la funzione della vitamina D e quali sono i tessuti che sono sotto il suo controllo…. Interviene nei processi di ossificazione. Quindi, in difetto di vitamina D l’ossificazione è difettosa e nei bambini si traduce in una patologia frequente nel secolo scorso che è il rachitismo, in cui le ossa rimangono ancora con le caratteristiche di ossa cartilaginee, si piegano sotto lo sforzo dei muscoli e si verifica quindi una deformazione dell’intero apparato scheletrico. La vitamina D funziona in primo luogo a livello intestinale dove provvede all’assorbimento del calcio, quindi se siamo in difetto di vit. D non c’è assorbimento di calcio, assorbimento che non è perfettamente conosciuto ma è sicuramente mediato da proteine la cui sintesi è sottocontrollo della vit D. Quindi la vit. D non interviene direttamente ma interviene a livello nucleare nell’indurre la trascrizione di proteine che sono coinvolte in questo processo a livello intestinale: in pratica legano calcio dal lato del lume e lo trasportano all’interno degli eritrociti. Secondo. La vit. D agisce a livello renale dove interviene con meccanismi non chiari nel riassorbimento del calcio quindi evita che il calcio venga perso con le urine. Terzo, interviene a livello dell’osso nel rimaneggiamento dell’osso durante i processi di ossificazione. Ciò che è importante ricordare è che la 1-α idrossilasi è sotto controllo ormonale, in particolare dell’ormone paratiroideo che produciamo a livello delle ghiandole tiroidi e ha una funzione ipercalcemizzante; sotto stimolo dell’ormone paratiroideo il calcio viene rimosso dall’apparato scheletrico e passa in circolo. Questa 1-α idrossilasi è sottocontrollo del paratormone per cui oggigiorno la vit. D non è più considerata tanto come

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vitamina ma come secondo messaggero del paratormone e in alcuni testi è addirittura riportata tra gli ormoni. Se siamo in difetto di paratormone, quindi nell’ipoparatiroidismo, non riusciamo a formare vit. D attiva perché manca la 1-α idrossilasi a livello renale. Seconda possibilità di carenza di vitD si ha laddove il paratormone funzioni, ma non si ha esposizione alla luce, per cui la provit. D arriva alla cute ma poi non viene trasformata. È ciò che succede a individui che vivono in ambienti poco illuminati e quindi è molto facile nelle popolazioni nordiche, dove il periodo di luce è estremamente ridotto. È stata la scoperta della funzione della luce che ha permesso di chiarire le cause del rachitismo nei bambini perché è stato sufficiente esporli alla luce perché immediatamente la patologia rientrasse; da cui l’enorme diffusione che hanno avuto all’inizio di questo secolo le cure dette eliotropiche: ospedali di montagna in cui i bambini venivano esposti alla luce per lungo tempo. Un’altra possibilità di cura è la somministrazione con la dieta di vit. D in modo da potenziare la trasformazione della vit. D in vitamina biologicamente attiva e quindi curare il difetto. Ricordare che la vit D è una vitamina liposolubile per cui l’eccesso non viene eliminato ma si deposita specialmente a livello del tessuto adiposo. È quindi facile andare in eccesso di vitamina cioè in ipervitaminosi, che sovente è fatale perché porta alla mobilizzazione notevole di Ca che va a depositarsi a livello di alcuni tessuti, in particolare di quello renale, dove determina la formazione di calcoli con occlusioni renali, nefropatie e sovente morte, per cui il trattamento eccesivo con vit. D porta gravi danni. Il fabbisogno di vit D è molto basso, si aggira intorno ai 10 µµµµg al giorno; fabbisogno che ci viene largamente garantito dalla sintesi di colesterolo e da una buona esposizione alla luce. Sorgenti che danno un alto apporto di vit D sono l’olio di squalo, in particolare l’olio di balena. Per cui la cura che si faceva in primavera per irrobustirsi dopo l’inverno era a base di olio di fegato di merluzzo. Quindi ricordare che la vit D, come la A, K ed E, è liposolubile e dà deposito, mentre le vitamine del gruppo B si eliminano facilmente: l’eccesso lo eliminiamo e non si corre il rischio di ipervitaminosi. Con questo siamo arrivati a chiudere il metabolismo del colesterolo e cominciamo il secondo aspetto che riguarda la SINTESI E LA DEMOLIZIONE DEL GRUPPO PROSTETICO DELL’EMOGLOBINA. L’emo è il gruppo prostetico dell’emoglobina ed è dall’emoglobina che ci viene la maggior parte dell’emo di cui siamo capaci di catabolismo; la maggior parte dell’emo che sintetizziamo viene convertito in emoglobina. Tuttavia ci sono nell’organismo molte altre proteine che legano emo e le abbiamo già trovate come componenti della catena respiratoria. Sono: tutti i citocromi, che contengono emo di diversa forma, alcuni enzimi tra cui la catalasi che è un emoprotide e altri enzimi che sono legati al metabolismo degli amminoacidi. Quando si parla di catabolismo dell’emo ovviamente parliamo del catabolismo dell’emoglobina perché è la molecola di cui disponiamo in maggiori quantità e di cui più ci interessa il catabolismo. L’emoglobina è un tetrametro formato da due catene α e due catene β. L’emo è legato alla proteina stessa, quindi alla globina, che costituisce la parte proteica dell’emoglobina e a sua volta è in grado di legare reversibilmente ossigeno molecolare. Il catabolismo dell’emoglobina impegna da una parte la globina e dall’altra il gruppo prostetico. Il catabolismo della globina segue le vie di catabolismo delle proteine. Consiste essenzialmente nella trasformazione della proteina negli amminoacidi corrispondenti e il catabolismo dell’emo termina con la formazione di un gruppo di composti che prendono il nome di pigmenti biliari ( da non confondere con gli acidi biliari) che sono la biliverdina e la bilirubina; dei due quello maggiormente rappresentato è la bilirubina. Il nome dice che la biliverdina è un pigmento biliare di colore verde, mentre la bilirubina è di colore rosso-arancio. Sono sostanze pochissimo solubili e altamente tossiche per l’organismo, che cerca quindi di eliminarle. Il catabolismo inizia quando il globulo rosso va incontro a lisi: l’emoglobina si rende libera e il ferro presente al centro del gruppo prostetico va incontro a ossidazione e diventa ferrico. La degradazione del globulo rosso avviene in tre tessuti: midollo osseo, milza e fegato, in particolare a livello delle cellule di Cuffer, mentre nel midollo osseo e nella milza avviene a livello

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del reticolo endoteliale. Il reticolo endoteliale provvede alla lisi della membrana del globulo rosso. Quali siano le cause che facilitano questa lisi non sono note esattamente; chiaramente sono modificazioni della membrana che diventa labile e facilmente si lisa. In parte ciò avviene per un’alterazione dei processi metabolici che portano alla diminuzione di NADPH+H, il che rende la membrana più soggetta a processi ossidativi che ne facilitano la lisi. Se questa lisi per motivi diversi avviene in circolo ( si calcola che circa il 10% dell’emoglobina che ogni giorno va incontro a catabolismo si liberi come tale in circolo) l’emoglobina viene captata da proteine che hanno un ruolo specifico per legarla. Una di queste prende il nome di actoglobina: è deputata a legare emoglobina laddove si renda libera, quindi in circolo, o quando nei tessuti si forma troppa emoglobina che non riesce più a essere degradata; in questo caso dal tessuto viene rilasciata in circolo e captata dall’actoglobina. Si forma un complesso actoglobina-emoglobina in rapporto 1:1 e in questa forma viene avviata al fegato che provvederà alla sua demolizione e quindi alla degradazione dell’emo. L’actoglobina è una proteina piccola di massa molecolare intorno a 50.000 ma la sua funzione è estremamente importante perché altrimenti, l’emoglobina che si libera in circolo, verrebbe eliminata a livello renale perché passa nel filtrato glomerulare e in questo modo perderemmo anche il Fe dell’emo, il cui assorbimento intestinale è estremamente controllato. Quindi l’organismo cerca di non perdere Fe perché ha difficoltà a procurarselo. Tutto ciò non avviene perché, complessandosi con l’actoglobina, si forma un complesso di massa molecolare che si avvicina ai 100.000 che supera la porosità della membrana dei glomeruli renali e quindi non passa nel filtrato. La seconda proteina importante nel catabolismo dell’emoglobina è la emopessina che appartiene alla frazione globulinica del sangue quindi è una globulina circolante: ha la funzione di legare emo, non emoglobina, laddove per motivi vari si formi emo libero in circolo o laddove una parte dell’emo che dovrebbe essere catalizzata a livello della milza o del midollo osseo, viene liberata dal tessuto probabilmente quando è in eccesso. L’emopessina è una glicoproteina estremamente resistente all’azione denaturante perché ricca di ponti disolfuro e in più è protetta dall’azione denaturante del calore da catene glicidiche: si calcola che ogni proteina ne porti almeno sei. Lega emo con rapporto uno a uno. Mentre l’actoglobina lega l’emoglobina, l’emopessina lega emo e ciò succede quando ci sia un’emolisi intensa per cui c’è un’enorme quantità di globuli rossi che vengono lisati, specialmente se ciò succede in circolo, nel caso di emorragie violente o nel caso di assunzione di farmaci che possono dare emolisi in circolo o laddove ci sia un eccesso di globuli rossi per cui i tessuti non riescono a catabolizzare tutta l’emoglobina e la rilasciano in circolo. Veicolata da actoglobina o emopessina, l’emoglobina giunge ai tessuti di degradazione, in particolare al reticolo endoteliale della milza, del midollo osseo e alle cellule di Cuffer del fegato dove ha inizio il catabolismo. Esso avviene ad opera di un enzima chiamato emoossigenasi, che ha un’alta affinità per NADPH+H e per ossigeno molecolare e forma un complesso con un enzima del reticolo endoplasmatico che prende il nome di NADPH+H citocromo C riduttasi. L’emoossigenasi e questa riduttasi formano un complesso e questa interazione è estremamente importante perché l’emoossigenasi riesca ad attaccare l’emo in quanto l’emo liberato dall’emoglobina porta ferro ferrico e non più ferroso e l’emoossigenasi riconosce l’emo solo se ha ferro ferroso. Quando l’emo incontra l’emoossigenasi ha ferro ferrico per cui questa non potrebbe lavorare. Allora la NADPH+H citocromo C riduttasi utilizza il suo potere riducente per ridurre il ferro da ferrico a ferroso e in questo modo l’emoossigenasi riconosce l’emo. In presenza di ossigeno molecolare e NADPH+H l’emoossigenasi idrossila il ponte metinico α e quindi forma un’α idrossiemo e con questo l’emo è irreversibilmente destinata al catabolismo. Su questo α idrossiemo, l’emoossigenasi interviene una seconda volta e rompe il ponte metinico formando un intermedio labile che porta un gruppo aldeidico: il gruppo metinico viene ossidato a gruppo aldeidico quindi si rompe il ponte metinico, rimane temporaneamente un O carbonilico, dall’altra parte si forma un C aldeidico. Su questo intermedio l’emoossigenasi interviene una terza volta e determina il distacco del gruppo aldeidico come CO, l’anello porfirinico si è rotto e otteniamo il primo pigmento biliare che è indicato come biliverdina che, dalla forma ripiegata, passa a quella distesa che è la sua forma stabile. Non appena il ponte metinico viene distrutto, il

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ferro viene rilasciato dall’emo, viene captato da proteine specifiche tra cui la transferrina e ulteriormente spostato sulla ferritina, proteina che fa da deposito per il ferro. La transferrina per legare ferro deve simultaneamente legare un bicarbonato ione, mentre la ferritina riconosce il ferro in forma ferrosa e al suo interno lo ossida a forma ferrica. La ferritina ha massa molecolare molto grossa circa 500.000 Dalton ed è formata da due tipi di catene: H e L. H sono catene che caratterizzano la ferritina del cuore, L sta a indicare la ferritina del tessuto epatico. Queste catene si dispongono con la forma di “un’arancia”: ogni catena corrisponde a uno spicchio. Le varie catene si collegano una all’altra e determinano una cavità all’interno, dove il ferro viene albergato ed è legato in una forma complessa: quindi non ha una massa molecolare definita, probabilmente è sotto forma di idrossidofosfatoferrico e il ferro non appena legato alla ferritina viene ossidato a ferrico. La ferritina ha quindi un’intensa attività ossidoriduttasica: lega ferro in forma ferrosa, lo trattiene in forma ferrica e lo rilascia di nuovo in forma ferrosa. Quando è carica di ferro ha un colore violetto che è impartito dallo ione ferro; la proteina di per sé è incolore quindi tanto più è colorata tanto più è ricca di ferro. Il ferro verrà nuovamente utilizzato nella sintesi di emoglobina. L’anello che si è aperto si ristruttura in questa forma definitiva di biliverdina. Fino a questo punto il catabolismo è andato di pari passo nel midollo osseo, nella milza e nel fegato e continuerà in tutti e tre i tessuti fino alla formazione di bilirubina; poi si fermerà come bilirubina nella milza e nel midollo osseo e proseguirà solo nel fegato. Il catabolismo dell’emo si chiude solo a livello epatico, gli altri tessuti non ne sono capaci. BIOCHIMICA - LEZIONE DEL 14 GENNAIO 2003 SINTESI EMO Si costruisce, pur essendo una struttura ciclica, con composti estremamente semplici: SUCCINIL COENZIMA A (intermedio a 4 carboni) e l’amminoacido GLICINA (intermedio a 2 carboni). Il Succinil CoA proviene dal Ciclo di Krebs, secondo i seguenti passaggi:

- Acetil CoA + Acido Ossalacetico, si forma Citrato con l’eliminazione di CoA - Il Citrato diventa Cisaconitrato, poi Isocitrato, perde Anidride Carbonica e diventa α-

chetoglutarato che per decarbossilazione ossidativa diventa Succinil CoA. Il Succinil CoA in forma di Succinato viene utilizzato nell’attivazione dei corpi chetonici per formare Acetoacetil CoA (questo avviene fuori dal Ciclo di Krebs, nei tessuti periferici come muscoli cuore e cervello). Il Succinil CoA, all’interno del fegato, può:

- continuare nel Ciclo di Krebs - in piccola quantità, esce dal Ciclo di Krebs per la sintesi del gruppo prostetico di composti

in cui il gruppo prostatico è rappresentato da EMO (Es: Citocromo o Catalasi, enzimi che legano Emo).

Negli organi ERITROPOIETICI (organi deputati alla formazione del globulo rosso. Es. Midollo osseo), il Succinil CoA lascia il Ciclo di Krebs e viene utilizzato per contribuire alla sintesi dell’Emo. Nel globulo rosso non è possibile la sintesi dell’Emo e dell’Emoglobina perché il globulo è privo di:

- nucleo (essenziale per la sintesi dei protidi) - mitocondri (essenziali per la sintesi dell’Emo)

All’interno del midollo osseo, nei RETICOLOCITI (globuli rossi immaturi), avviene la sintesi dell’Emo. L’Emoglobina del globulo rosso maturo viene prodotta in questa fase di maturazione. Quando il Succinil CoA lascia il Ciclo di Krebs viene destinato alla sintesi dell’Emo per due compartimenti:

1 Il processo inizia nei MITOCONDRI 2 Passa nel SOLUBILE 3 Ritorna nei MITOCONDRI per concludere con la formazione dell’Emo

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1 Si utilizza Succinil CoA per la sintesi di un intermedio: Acido δ-AMMINOLEVULINICO (ALA). Ad ALA vengono aggiunti Anidride carbonica e CoA. Questa reazione è catalizzata dall’enzima δ−AMMINOLEVULINATO SINTETASI (ALASINTASI); non è un protide semplice, è un enzima mitocondriale che porta un gruppo prostatico rappresentato dal PIRIDOSSAL-5-FOSFATO (su questo gruppo si concentra tutta la reazione). Come funziona l’ALAsintasi: è formata da 5 C, quindi è un acido γ-cheto-δ-amminovalerianico (sostituisco un amminogruppo al C δ). Acido levulinico = acido γ-chetovalerianico. Il Piridossalfosfato (derivato dalla Vitamina B6 – Piridossina – che nel nostro organismo viene convertita in Piridossalfosfato) si lega all’ALAsintetasi per mezzo di un suo gruppo aldeidico con un radicale di LISINA della proteina. Si forma quindi un legame ALDIMMINICO tra l’ε−amminogruppo della Lisina con il gruppo aldeidico del Piridossalfosfato. Però il Piridossalfosfato si lega all’enzima anche tramite altri punti. Il substrato che si viene a legare all’ALAsintetasi è la GLICINA. L’enzima richiama a sé i 2 H dell’amminogruppo della Glicina, li porta sulla Lisina (temporaneamente libera) e scambia il legame aldimminico tra la Glicina e il Piridossalfosfato. (Questo meccanismo di reazione lo vedremo spesso quando parleremo del catabolismo degli amminoacidi). Questo legame fa si che uno degli H del gruppo metilenico, che era legato, acquisisca caratteristiche acide. L’esistenza id questo doppio legame rende labile il legame di uno dei due H del gruppo metilenico della Glicina, perciò questo acquisisce una caratteristica acida che viene poi esaltata dall’enzima che determina il distacco dell’ H come protone con la formazione di un intermedio radicalico (estremamente reattivo) sul quale verrà a legarsi il Succinil CoA. Si è così formata una Base di Shiff (Piridossalfosfato + Enzima // Piridossalfosfato + Glicina) che è labile perché tende a perdere il protone legato al C metilenico. Questa labilità del protone viene sfruttata dall’enzima che affronta alla Base di Shiff il SuccinilCoA. Questo protone rompe il legame TIOESTERE (perché così stacca il SuccinilCoA) e lega il C del SuccinilCoA sul C amminico della Glicina, per cui si forma un nuovo intermedio a 6 C (in cui i primi due C appartengono alla Glicina e i rimanenti appartengono al SuccinilCoA). L’allontanamento di questo protone rende possibile la formazione di un CARBANIONE a livello della Glicina, e contemporaneamente, sul CoA, la depolimerizzazione degli elettroni fa si che questo C sia carico positivamente. La presenza del gruppo carbonilico aumenta la basicità del C e dell’ O carbonilico. Questo primo intermedio instabile che si forma prende il nome di Base di Shiff dell’Acido AMMINOADIPICO (o α−amminoadipico). Questo intermedio può andare incontro a due vie:

- Decarbossilazione. Ancora legato al Piridossalfosfato perde il gruppo carbossilico e si forma la Base di Shiff dell’acido δ-amminolevulinico, il quale, successivamente, si stacca (in presenza di acqua) e si forma acido amminolevulinico libero e enzima Piridossalfosfato.

- Rompe il legame Base di Shiff e si forma così acido Amminoadipico libero in soluzione + Piridossalfosfato enzima e poi l’acido amminolevulinico va incontro a DECARBOSSILAZIONE formando acido δ-amminolevulinico.

Così si forma Acido δ-AMMINOLEVULINICO che è il primo prodotto della sintesi dell’Emo. L’AMMINOLEVULINATO SINTASI sarà l’enzima regolatore di tutta la sintesi dell’Emo (tra tutti gli enzimi espressi, durante la sintesi dell’Emo, è quello che si presenta in concentrazione più bassa). L’ALAsintetasi è prodotta a livello nucleare e poi viene portata ai mitocondri. COME REGOLA GENERALE, una proteina che viene importata nella particella subcellulare in cui è operante, viene solitamente prodotta come PROTIDE PRECURSORE in una forma immatura in cui solitamente viene portato, all’estremo N-terminale, un PEPTIDE di ESTENSIONE (o Propeptide, Peptide aggiuntivo). La proteina viene così generata in una forma più lunga rispetto a quella che avrà quando sarà funzionante, perché poi perderà il Peptide di estensione. Il Peptide di estensione serve per guidare la proteina dal nucleo ai mitocondri. Solitamente il Peptide di estensione è carico e porta un accentramento di amminoacidi basici. Probabilmente è questa carica positiva che permette l’attacco alla membrana mitocondriale e poi la traslocazione nei

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mitocondri. Dentro il mitocondrio, ad opera di proteasi specifiche (processo PROTEOLITICO), il frammento N-terminale viene staccato e si forma la proteina matura funzionante.Se l’enzima perde, già durante la sintesi, l’estremo N-terminale, non riesce ad arrivare ai mitocondri e rimane in una forma immatura. L’ALAsintetasi è soggetta a una forte regolazione data dal PROTOTERMINALE della sequenza metabolica (=Emo). Quindi l’Emo è un energico inibitore dell’ALAsintetasi, e questa inibizione si esercita a diversi livelli:

- Nucleare: l’Emo si porta a livello nucleare e così reprime il gene per l’ALAsintetasi. - L’Emo interferisce nel trasporto della proteina a livello della membrana mitocondriale. - L’Emo può entrare nel mitocondrio e si comporta come inibitore dell’ALAsintasi perché si

lega alla proteina ed interferisce con la catalisi enzimatica.(INIBIZIONE FEEDBACK da prototerminale della sequenza metabolica. Es:Colesterolo).

L’acido δ-amminolevulinico lascia il mitocondrio ed entra nel citoplasmadove va incontro alla seconda reazione catalizzata da un enzima che si chiama δ-AMMINOLEVULINATO DEIDRATASI (o PORFOBILINOGENO SINTASI). Sia l’ALAsintasi che il Porfobilinogeno sono due LIASI perché:

- l’ALA ha un legame C-C Liasi perché determina il legame C-C - il Porfobilinogeno perché nel corso della reazione toglierà una molecola di acqua.

La reazione prevede l’intervento di due molecole di ALAsintasi e, da parte dell’enzima, la presenza di un amminogruppo reattivo che probabilmente è l’ε-neogruppo di un radicale di Lisina. Quindi il Porfobilinogeno sintasi interviene utilizzando come gruppo reattivo (come facente parte del sito catalitico) una Lisina, e riconosce contemporaneamente due molecole di ALA (δ-amminolevulinato). Si legano una molecola di δ-amminolevulinato con una di Porfobilinogeno, la quale porta nel suo sito catalitico un amminogruppo (probabilmente di pertinenza di una Lisina); con questa reazione si forma una Base di Shiff (con la perdita di una molecola di acqua) tra il substrato e l’enzima. A questo punto l’enzima riconosce una seconda molecola di acido Amminolevulinico e qui manifesta la vera reazione IDROLIASICA del Porfobilinogeno in quanto sottrae una molecola di acqua tra la prima molecola di acido Amminolevulinico legata all’enzima e la seconda molecola di amminolevulinico. Spiegazione: è probabile che l’enzima formi un intermedio sulla seconda molecola di acido Amminolevulinico spostando un H dal C metilenico legato all’amminogruppo verso l’O carbonilico, formando un intermedio ENOLICO instabile che però è altamente reattivo. Tra il Cβ della molecola di acido levulinico legato all’enzima e il gruppo OH della seconda molecola di acido levulinico, l’enzima toglie la molecola di acqua. Così si forma un primo prodotto. Abbiamo formato questo primo intermedio in cui le due molecole di acido levulinico sono già legate e sull’enzima abbiamo questa Base di Shiff reattiva. A questo punto l’enzima si prende i due H dell’amminogruppo della seconda molecola di Porfobilinogeno e li trasferisce entrambi sul suo N e quindi ricostruisce il suo gruppo NH2 libero e sposta il doppio legame tra il C della prima unità di δ-amminolevulinico e l’ N della seconda unità. Perciò come secondo prodotto si è formato un INTERMEDIO PIRROLICO (un acido bicarbossilico perché porta un radicale ACETICO e un radicale PROPIONICO). Questo intermedio è instabile e si trasforma nel definitivo (acido 2,AMMINOMETILPIRROL-3,ACETICO-4,PROPIONICO) PORFOBILINOGENO. E’ il primo composto ciclico che prelude agli anelli pirrolici che troveremo nell’Emo. In questa molecola si possono riconoscere due estremi:

- ACETICO (porta il radicale acetico) - PROPIONICO (porta il radicale propionico).

In più l’estremo acetico porta una coda AMMINOMETINICA. In questa molecola abbiamo, preformati, tutti i composti che ci servono per costruire l’Emo: anello pirrolico, ponte amminometinico in cui il gruppo CH2 sarà responsabile dei ponti amminometinici che troveremo nell’Emo. Dal gruppo CH2 formeremo i ponti amminometinici dell’Emo; dall’anello

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pirrolico formeremo l’anello PORFINICO; dai radicali acetici e propionici formeremo i gruppi metinici, vinilici e propionici. Ricordiamo le caratteristiche del Porfobilinogeno sintasi:

- è una Liasi - è un metalloprotide (Zincoprotide; lo zinco è presente in percentuale variabile che va da 1

fino ad 8 atomi di zinco per mole di protide) - l’enzima è energicamente inibito da piombo che rimuove lo zinco dalla proteina e, con

questa, forma una proteina completamente inattiva. Così si spiega l’ANEMIA da PIOMBO, sovente nei minatori ed endemica e pratica nell’antico popolo romano. Questo tipo di anemia porta ad alterazioni psichiche.

ATTENZIONE!!!! UNA PARTE DELLA LEZIONE NON E’ STATA REGISTRATA! GUARDARE LIBRO BIOCHIMICA – LEZIONE del 15 GENNAIO 2003 Intervento dell’EMOSSIGENASI (enzima che da il via al catabolismo dell’Emo). Prima reazione del catabolismo dell’Emo: precede, l’intervento dell’Emossigenasi, la riduzione del Ferro FERRICO a Ferro FERROSO ad opera della RIDUTTASI che utilizza NADPH+ e CITOCROMO C (vedere libro) (NADPH+, citocromo C riduttasi che è parte integrante dell’Emossigenasi). Trasformato il ferro in forma ferrosa, l’Emossigenasi è in grado di intervenire e, in presenza di una prima molecola di O e di NADPH+, l’Emossigenasi va ad ossidare il ponte metinico α e utilizza il secondo atomo di O per formare acqua in presenza dei due atomi di H portati dal NADPH+. Si forma un α-IDROSSIEMO. E’ molto probabile che nel corso di questa reazione il ferro ritorni dalla forma ferrosa alla forma ferrica, e di nuovo viene mantenuto nella forma ferrosa dal NADPH+, citocromo C riduttasi (questo enzima continua ad intervenire per mantenere il ferro nella forma ferrosa. Questa è la condizione essenziale perché l’Emossigenasi possa funzionare). Interviene poi una seconda molecola di O. Sempre in presenza dell’Emossigenasi che porta alla rottura del ponte metinico α con la formazione di un intermedio instabile, in cui il C del ponte metinico si è trasformato in un C ALDEIDICO. Poi, in presenza dell’O molecolare, l’IDROSSIGRUPPO del ponte metinico da il via a una reazione di ossido-riduzione ulteriore, per cui il ponte metinico si spezza e rimangono i prodotti di questa ossidazione (una FUNZIONE CHETONICA sull’anello A e una FUNZIONE ALDEIDICA legata all’anello B). Terzo momento: (forse ancora in presenza di O) il gruppo aldeidico viene staccato come CO, quindi non come anidride carbonica, e residua invece una funzione ossidrilica. Con la formazione di questo intermedio, in pratica concludiamo il catabolismo dell’Emo e diamo origine al primo pigmento biliare , la BILIVERDINA. Il distacco del CO è associato contemporaneamente con l’allontanamento del Fe al centro del sistema (Fe che si libera in forma ferrica e viene riportato alla forma ferrosa, perché soltanto in questa forma viene riconosciuto dalle proteine di trasporto, TRANSFERRINA e FERRITINA, e immagazzinato all’interno della molecola della Ferritina (proteina altamente avida di Fe, che lega il Fe al centro della sua molecola). PIGMENTI BILIARI: per la loro nomenclatura ci riferiamo ad un idrocarburo ottenuto per sintesi, il BILANO (è il capostipite dei pigmenti biliari = TETRAPIRROLO LINEARE, in cui abbiamo 4 anelli pirrolici legati tra loro da ponti 3-metinici). Se nel Bilano introduciamo dei sostituenti andiamo a formare i pigmenti biliari (Es: Biliverdina,creata dalla rottura del ponte metinico α). Nel passaggio dalla struttura EMOCICLICA alla struttura della Biliverdina, viene considerato come anello 1 quello che è l’anello B dell’Emo, e poi la numerazione va in senso orario verso l’anello A.

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Nel primo anello abbiamo come sostituente in posizione 1, il metile e poi un vinile; poi segue il ponte metinico e qui abbiamo il secondo anello, con un primo sostituente che è il metile e un secondo sostituente, una catena propionica. Il terzo anello ha come sostituenti un radicale propionico e un gruppo metilico.Il quarto anello ha come sostituente un metile e poi un vinile. I due gruppi OH, che stanno in posizione 2- anello A e posizione 5- anello D, sono i due prodotti dell’ossidazione del ponte metinico α. Così si forma la Biliverdina, colore verde dato dal sistema di doppi legami che troviamo nell’anello. Questa Biliverdina si forma in tutti i tessuti in cui è avvenuto il catabolismo dell’Emoglobina (reticolo endoteliale del midollo osseo, della milza e nelle cellule di Cuffer –fegato-). In questi 3 tessuti la Biliverdina ha un tempo di emivita estremamente breve e rapidamente viene convertita in BILIRUBINA per un processo di riduzione in cui interviene una riduttasi specifica, la BILIVERDINA RIDUTTASI. L’enzima utilizza come cofattore NADPH+ e va a ridurre a livello del ponte metinico β, per cui passiamo dalla Biliverdina alla Bilirubina. Con la riduzione del ponte metinico β c’è una ridistribuzione dei doppi legami e arriviamo alla formazione di due anelli pirrolici in cui i doppi legami sono frontali. La Bilirubina ha colore rosso mattone. E’ un composto poco solubile (come la Biliverdina), altamente tossico. Perciò l’organismo, in qualche modo, cerca di difendersene. La difesa consiste in una COPULAZIONE della Bilirubina con un acido GLUCURONICO e questo porta due vantaggi:

- riduce la tossicità della Bilirubina - aumenta la solubilità permettendo così un processo di secrezione

Questa copulazione avviene esclusivamente nel fegato e in particolare nel PARENCHIMA EPATICO (EPATOCITI), non nelle cellule di Cuffer. Conseguentemente, la Bilirubina che si è formata a livello della milza e del midollo, lascia questi due siti e si sposta al fegato perché soltanto qui può essere trasformata nella forma solubile. Per il trasferimento viene mandata in circolo legata ad ALBUMINA SERICA (proteina del plasma). Su questa albumina, la Bilirubina riconosce due siti: uno ad alta affinità, l’altro a bassa affinità. A uno si lega solo quando il livello di Bilirubina è molto alto e viene rilasciata facilmente; all’altro si lega anche a concentrazioni molto basse e viene rilasciata più difficilmente. A livello del reticolo endoplasmico degli epatociti, la Bilirubina va incontro al processo di coniugazione con l’acido glucuronico. La copulazione riguarda i due radicali di acido propionico in cui saranno i due carbossili acidi del radicale propionico della Bilirubina che verranno legati ad acido glucuronico. L’acido glucuronico viene portato ai radicali propionici in forma attiva (non libera), cioè sottoforma di URIDINDIFOSFOGLUCURONICO. RIPASSO SINTESI ACIDO GLUCURONICO: L’acido Uridindifosfoglucuronico si forma partendo da GLUCOSO EMATICO che nel fegato viene convertito in GLUCOSO-6-FOSFATO, in una reazione che richiede ATP, ad opera di due enzimi: l’ESOCINASI e la GLUCOSOCINASI. Nei tessuti periferici abbiamo solo l’intervento della Esosocinasi(HK). Poi il glucosio-6-fosfato viene ISOMERIZZATO in GLUCOSO-1-FOSFATO FOSFOGLUCOMUTASI o PGM, in cui l’enzima utilizza come cofattore GLUCOSO-1,6-BISFOSFATO. A questo punto il glucosio-1-fosfato viene fatto reagire con URIDILTRIFOSFATO in una reazione URIDILTRANSFERASICA, e si forma URIDINDIFOSFOGLUCOSO + PIROFOSFATO. Glucosio-1-fosfato + UDP: reazione reversibile da un punto di vista termodinamico, ma irreversibile perché il Pirofosfato, che è tossico per le cellule, viene rapidamente idrolizzato ad ORTOFOSFATO. Si forma così Uridiltrifosfato. UDPG + PIROFOSFATO: l’UDPG entra nel ciclo dell’acido glucuronico dove viene convertito, in due reazioni di idrogenazione successive, in acido Uridindifosfoglucuronico. L’UDPG viene riconosciuto, nel suo gruppo –OH primario, da una deidrogenasi specifica per UDPG, la quale utilizza NAD come cofattore e toglie come ione idruro l’ H legato al C e lo manda al NAD, e manda in soluzione come protone l’ H legato all’O (è il solito meccanismo delle

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ossidoriduttasi NAD dipendenti), perciò il gruppo –OH viene ossidato a gruppo aldeidico. Si forma questo derivato aldeidico intermedio. L’aldeide passa alla forma di IDRATO dell’aldeide spontaneamente, quindi, in presenza di acqua, addiziona gli elementi dell’acqua sul gruppo aldeidico e forma il nuovo intermedio. Su questo nuovo intermedio interviene la deidrogenasi precedente, la quale riconosce questo gruppo ALDEIDICO IDRATO e toglie di nuovo H secondo il meccanismo delle ossidoriduttasi NAD dipendenti, cioè elimina come ione idruro l’ H legato al C ed elimina come protone l’ H legato all’O. Lo ione idruro si porta al NAD che passa alla forma ridotta e come conseguenza si forma l’URIDINDIFOSFOGLUCURONICO. Quindi, col consumo di due molecole di NAD, abbiamo ossidato il gruppo alcolico primario in posizione 6 del glucosio a gruppo carbossilico. Nel fegato, l’Uridindifosfoglucuronico è attivamente usato per le reazioni di SINTESI PROTETTIVE. Adesso ci troviamo in una reazione di sintesi protettiva, in quanto l’acido glucuronico viene utilizzato per diminuire la tossicità della Bilirubina. Ora interviene un enzima caratteristico del fegato e specifico per la Bilirubina, che riconosce il gruppo carbossilico dei radicali propionici e trasferisce l’acido glucuronico dall’uridindidifosfoglucuronico al carbossile dell’acido propionico. L’enzima trasferisce il glucuronile al carbossile dell’acido propionico liberando uridindifosfato. Quando la Bilirubina è in presenza di uridindifosfoglucuronico, interviene l’enzima GLUCURONILTRANSFERASI che riconosce in modo specifico i carbossili dei radicali sull’acido propionico. Trasferisce la prima molecola di acido glucuronico e la manda al carbossile dell’acido propionico. Tra l’acido glucuronico e il carbossile dell’acido propionico si forma un legame tra il gruppo glicosidico in posizione 1 e il carbossile dell’acido propionico (legame GLUCOSIDICO). REGOLARMENTE, quando i monosaccaridi reagiscono, il gruppo funzionale che reagisce è sempre il gruppo GLUCOSIDICO. Nell’uridindindifosfoglucuronico è importante il legame tra il glucuronico e l’uridindifosfoglucuronico. Era un legame αglicosidico, ma quando la glucuroniltransferasi interviene nel legare l’acido glucuronico all’acido propionico rovescia la configurazione del legame. Perciò durante il legame glucosidico tra il C del glucuronico e il carbossile dell’acido propionico, il legame diventa βglicosidico. Questa glucuroniltransferasi libera uridindifosfato e porta l’acido glucuronico a legarsi al carbossile dell’acido propionico. Quindi formiamo BILIRUBINA MONOGLUCURONIDE. Lo stesso enzima agisce su questa e trasferisce una seconda molecola di acido glucuronico formando BILIRUBINA DIGLUCURONIDE. L’enzima torna sul suo prodotto e in presenza di una seconda molecola di uridindifosfoglucuronico va a legare sul radicale dell’acido propionico libero una seconda molecola di acido glucuronico e così si forma bilirubina diglucuronide. Si forma di nuovo un legame βglicosidico. Caratteristiche dell’enzima:

- la sintesi dell’enzima diventa attiva dalla nascita e via via incrementa nel primo anno di vita - l’enzima esiste in due forme: MONOMERICA, capace di trasferire una sola molecola di

acido glucuronico alla bilirubina; POLIMERICA (in genere tetramerica) responsabile della formazione della bilirubina diglucuronide.

A seconda dello stato di aggressione, l’enzima può agire una o due volte. La bilirubina (tossica) viene secreta dagli epatociti, trasportata dai CANALICOLI BILIARI e trasferita alla cistifellea. Questo trasferimento è attivo, richiede ATP ed è altamente controllato. Dalla cistifellea la bilirubina viene liberata attraverso la bile, e con il dotto cistico viene portata all’intestino.Quando la bilirubina, legata ad albumina, arriva al fegato, riconosce sulla membrana plasmatici degli epatociti, un recettore che permette di legare bilirubina e rilasciare in circolo l’albumina. Successivamente, da questo recettore, la bilirubina viene legata a una proteina di trasporto (PROTEINA Y o LIGANDINA). HSA = albumina serica umana

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L’albumina non entra negli epatociti. La ligandina viene copulata alla bilirubina per migliorare la sua solubilità, ed in questa forma la bilirubina viene portata al reticolo endoplasmatico degli epatociti dove ha inizio il processo di copulazione tramite il quale diventa solubile. Nell’intestino, per opera della flora batterica intestinale, la bilirubina diglucuronide va incontro a due destini:

- viene rotto il legame glucosidico (dalla flora batterica intestinale) con la formazione di bilirubina + acido glucuronico; quindi c’è una GLUCOSIDASI specifica di origine batterica.

Adesso la bilirubina libera può prendere due strade. Per opera della flora batterica intestinale viene trasformata in ulteriori composti che sono il prodotto della riduzione della bilirubina: -UROBILINOGENO -STERCOBILINOGENO Questi due prodotti perdono il caratteristico colore della bilirubina. L’urobilinogeno e la bilirubina possono andare incontro a riassorbimento da parte dei villi intestinali ed essere riportati al fegato. L’urobilinogeno, dal fegato, segue poi il seguente percorso: reni, eliminato con le urine. Sono entrambi elementi molto sensibili agli agenti ossidanti. L’urobilinogeno è estremamente sensibile all’O molecolare, per cui una volta che l’urina viene a contatto con l’aria, l’urobilinogeno si trasforma in UROBILINA (pigmento tipico delle urine) per ossidazione con l’O molecolare. Invece la bilirubina viene riciclata in una circolazione enteroepatica. L’urobilinogeno e lo stercobilinogeno possono essere eliminati con le feci e a contatto con l’aria si ossidano trasformandosi in UROBILINA e STERCOBILINA (sono pigmenti che concorrono alla colorazione delle feci). Lo stercobilinogeno viene a trovarsi in un tratto intestinale in cui non vi è più riassorbimento e quindi non può rientrare nella circolazione enteroepatica (si forma nell’ultima parte dell’intestino crasso). Per la bilirubina, il livello normale in circolo < di 1 mg. Se superiamo questi valori si ha l’insorgenza di una patologia. I livelli normali sono compresi tra 0,2 – 1 mg per 100 ml. Di tutto il concentrato, un quarto è rappresentato da bilirubina coniugata, un quarto è la bilirubina legata ad acido glucuronico. Il rimanente è rappresentato da bilirubina libera (legata ad albumina serica). La bilirubina viene riconosciuta con il REATTIVO di FANDENBERG (è importante saperlo quando si discuterà delle patologie). Questo reattivo consiste di acido SOLFAMIDICO + SALI di AZONIO. La bilirubina reagisce con il reattivo dando una colorazione porpora-violetto. Sui referti delle analisi del sangue si trova la dicitura BILIRUBINA DIRETTA. Il reattivo di Fandenberg riconosce la bilirubina solo quando è solubilizzata. La solubilizzazione è possibile solo quando essa è legata ad acido glucuronico (così è solubile in acqua) altrimenti la bilirubina è libera solo in ETANOLO e METANOLO. Normalmente, per questo, il reattivo di Fandenberg prevede l’aggiunta anche di metanolo per solubilizzare anche la bilirubina libera e così riconoscerla. Così il reattivo riconosce tutta la bilirubina. Si è scoperto ciò perché Fandenberg si dimenticò di aggiungere metanolo al reattivo e si trovò con valori di bilirubina molto diversi tra loro. Il reattivo ha due fasi: (dosaggio)

- in presenza di metanolo. Così ottengo i valori di bilirubina totale - in assenza di metanolo. Così ottengo i valori della bilirubina copulata (DIRETTA)

La differenza sarà la bilirubina LIBERA. Questo riscontro si ha negli esami clinici. Una variazione dei rapporti è importante perché indica un’alterazione epatica e individua anche la localizzazione del problema. Esistono delle patologie in cui i livelli di bilirubina aumentano considerevolmente in seguito a una sua eccessiva produzione per eccessivo catabolismo e distruzione dei globuli rossi. Il risultato di questa eccessiva demolizione dei globuli rossi è un

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aumento della bilirubina in circolo e, poiché la bilirubina indiretta è poco solubile, tende a depositarsi (sedimenta) a livello della cute, delle sclere, delle unghie; da qui l’ITTERO che compare (si diventa gialli). Ciò si verifica quando il livello di bilirubina in circolo supera i 3 mg per 100ml. In questo caso si è già in una situazione di patologia, ma in alcuni casi si arriva anche a 10, 20,30 mg per 100 ml e così scatta un campanello di allarme perché la bilirubina libera diffonde all’interno delle cellule, va a legarsi alle membrana mitocondriale, dissesta la membrana mitocondriale e vengono alterati così i processi respiratori e il danno può diventare letale. Questo aumento della concentrazione della bilirubina può essere dovuto ad un innalzamento della bilirubina diretta o indiretta. Se aumenta la bilirubina diretta: segno di un danno nella escrezione della bilirubina, cioè occlusione delle vie biliari o del dotto cistico, per cui la bilirubina non riesce ad affluire alla cistifellea e dalla cistifellea all’intestino. Così la bilirubina copulata viene riversata dal fegato in circolo, e così in circolo aumenta molto la bilirubina diretta e quella indiretta rimane quasi invariata. ITTERO da OSTRUZIONE: sono otturate le vie biliari. Il fegato funzione bene ma non riesce a smaltire l’eccesso. Questo ittero è sempre segno di patologia, perché la bilirubina copulata è pur sempre tossica. Capita nella CALCOLOSI BILIARE (ostruzione cistifellea) o EPATICA (ostruzione dei dotti biliari), oppure in situazioni di stress con VASOCOSTRIZIONE e chiusura dei dotti biliari, oppure per assunzione dei farmaci o presenza di calcoli (caso più comune). Quando il livello della bilirubina è molto alto si può arrivare addirittura ad una secrezione di bilirubina + albumina nelle urine, perché a livello renale viene superata la soglia di filtrazione e il rene rilascia bilirubina (urine al marsala, perché diventano di colore bruno con un odore caratteristico). ITTERO da DANNO alle CELLULE EPATICHE: le cellule epatiche vanno incontro a modificazione perciò perdono la proprietà di copulare la bilirubina. Così non si forma più bilirubina diglucuronide e aumenta in circolo la bilirubina indiretta. E’ una situazione grave perché la bilirubina indiretta è lipofila e così si diffonde all’interno delle cellule alterando le strutture subcellulari (strutture mitocondriali). Un tessuto estremamente sensibile a questo danno è il t. cerebrale. Una particolare forma di bilirubina in eccesso (per iperproduzione) avviene nel neonato quando nasce (è fisiologica) dovuta al fatto che l’emoglobina del neonato deve passare da emoglobina fetale ad emoglobina adulta per permettere la respirazione. A questo punto vi è una rapida emolisi dei globuli rossi fetali e una sostituzione con i globuli rossi neonatali, il che comporta una notevole liberazione di emoglobina, un aumento di sintesi di bilirubina (nel neonato il sistema di copulazione è immaturo e perciò funziona molto poco. Così si accumula in circolo bilirubina: ITTERO NEONATALE. I bambini con la pelle gialla vengono messi sotto lampade azzurre, che distruggono il pigmento rotolabile, che va incontro a prodotti di degradazione non tossici e facilmente eliminabili. Così i livelli di bilirubina scendono. In alcuni neonati c’è però un difetto di copulazione (assente). In questi casi l’ittero può diventare massivo e prolungarsi nel tempo: CHERNITTERO. Può essere fatale perché nel neonato le membrane subcellulari sono ancora immature. Rapidamente la bilirubina supera al barriera ematoencefalica , va nel cervello e arriva ai mitocondri. E’ un danno irreversibile che causa danni cerebrali e, in alcuni casi, la morte (l’ittero non deve superare i due giorni di permanenza, altrimenti vuol dire che il danno è grave).���

Giovedì 16 gennaio 03 Chiusura della sintesi dell’emo Ieri abbiamo visto la sintesi dei precursori con cui si costituisce l’emo, vale a dire essenziale è la formazione dell’anello pirrolico perché poi, formato l’anello pirrolico non c’è che da polimerizzarlo e formare gli intermedi a 4 anelli pirrolici e si arriva progressivamente alla formazione della porfina.

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Ora, abbiamo visto che l’anello pirrolico si costituisce come porfobilinogeno, che è un pirrolo sostituito a partire da 2 molecole di ALA che a sua volta si costituisce a partire da una molecola di succinilCoA più una molecola di glicina quindi ogni molecola di porfobilinogeno nella sua costituzione ci costerà 2 molecole di succinilCoA e2 molecole di glicina.. Tenendo conto che per costituire l’anello porfinico ci vogliono 4 anelli pirrolici saranno 8 moecole di succinilCoA consumate e 8 molecole di glicina consumate.In effetti una caratteristica di questa via è che apparentemente non c’è consumo di ATP ma in effetti l’ATP è stato speso se non altro per formare i succinilCoA.Per di più storniamo il succinilCoA dal ciclo di Krebs e quindi tutta l’energia che viene nel ciclo di Krebs dalla degradazione del succinilCoA va persa. Quindi formare una molecola di emo non costa in termini di ATP direttamente ma indirettamente, in quanto sottrae metaboliti al ciclo di Krebs e viene a costare quindi molto. Il porfobilinogeno di cui abbiamo distinto un estremo acetico e un estremo propionico e in più un estremo metil-aminico (o aminometilico) che è la parte della molecola a cui è legato il gruppo CH2 NH2. Siamo ancora nel citoplasma, la sintesi procede nel citoplasma ,a questo punto 4 molecole di porfobilinogeno vengono legate insieme e in teoria dovrebbero portare la formazione di un tetrapirrolo lineare che ulteriormente si chiude per formare il primo composto ciclico. Se ciò avvenisse noi formeremmo un anello porfinico in cui si susseguono alternativamente acetico, propionico, acetico, propionico, acetico, propionico. In effetti nell’anello dell’emo questa simmetria non è rispettata perché a un certo punto ci ritroviamo con 2 radicali proponici affrontati e 2 gruppi metilici distanziati, per cui la molecola è asimmetrica. Dobbiamo quindi pensare ad una strategia che porterà ad un’alterazione nella successione degli anelli del porfobilinogeno . Il primo enzima che interviene, formato il porfobilinogeno prende il nome di uroporfilinogeno primo sintetasi, il quale, se lavorasse di per se, porterebbe alla formazione di un intermedio che non transiterebbe nella formazione dell’emo ma porta alla formazione di derivati porfinici atipici. Quindi questo primo enzima incomincia a legare insieme molecole di porfobilinogeno. In un primo momento affronta fra di loro 2 molecole di porfobilinogeno, elimina una molecola di ammoniaca; quindi manda via il gruppo amminico come NH3 e congiunge il carbonio residuo con il C5 dell’altra molecola di porfobilinogeno . In pratica l’enzima sottrae un H ad un C5 di un anello di porfobilinogeno e sottrae l’ammino gruppo all’anello che si sta aggiungendo, libera ammoniaca e lega insieme le 2 unità di porfobilinogeno formando un intermedio che ha 2 anelli pirrolici legati insieme. Si forma un dipirrolo lineare in cui caratteristica è la presenza di un estremo metil amminico. Quindi rimane una coda metilamminica sul lato acetico del primo porfobilinogeno e invece è monco dalla parte opposta. Poi l’enzima interviene una seconda volta: lega una seconda molecola e ripete quello che ha fatto prima, libera ammoniaca e forma un tripirrolo lineare. Poi interviene ancora una volta aggiungendo un’altra molecola di porfobilinogeno sempre col solito meccanismo. Se l’enzima continuasse a lavorare chiuderebbe l’anello cioè congiungerebbe l’estremo libero della quarta molecola di pirrolo aggiunta con l’estremo ammino-metilico della prima molecola di pirrolo e formerebbe un tetrapirrolo simmetrico in cui si alternano radicali acetico, propionico, acetico, propionico .Quindi formerebbe questo composto ciclico che ormai simula la formula dell’emo in cui però avremmo un’alternanza regolare acetico, propionico, acetico, propionico e quindi andremmo verso un composto che non potrà mai esordire in emo proprio per questa simmetria nella successione di radicali acetici e proponici. Se l’enzima funzionasse finirebbe per formare un composto che prende il nome di uroporfilinogeno primo, che sarebbe il composto ciclico definitivo. Per questo il nome di uroporfilinogeno primo sintetasi perché porterebbe in teoria e in alcuni casi lo farà e lo vedremo alla formazione dell’uroporfilinogeno primo là dove questo estremo venga a legarsi per eliminazione di ammoniaca all’estremo amino metilico della prima unità di porfobilinogeno. Ciò non accade in quanto questo enzima, uroporfinogeno primo sintetasi, è strettamente legato a una seconda entità che prende in alcuni testi riportata come uroporfilinogeno terzo sintetasi, in altri testi come uroporfilinogeno cosintetasi in quanto lavora in contemporanea

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con l’uropofilinogeno primo sintetasi quindi questa uroporfilinogeno primo sintetasi è affiancata da una uropofilinogeno terzo sintetasi o frequentemente indicata come coadiutore cioè fa da coadiutore per questa uroporfilinogeno primo, quindi si tratta solitamente come cosintetasi, uroporfilinogeno cosintetasi in quanto lavora in supporto alla prima , quindi o la trovate come uroporfilinogeno terzo sintetasi o la trovate come uroporfilinogeno primo cosintetasi . Allora cosa fa questa cosintetasi?in pratica prima che l’anello si chiuda ,cioè prima che la uroporfinogeno primo arrivi al fondo del suo lavoro attacca l’anello quattro, anello che indichiamo anello B,anello pirrolico B, l’anello pirrolico D e lo ruota di conformazione ,quindi sembra che si attacchi su questo estremo , ruoti l’anello e lo riagganci nella forma rovesciata quindi in pratica fa rovesciare l’anello in modo tale che vengano ad essere affrontati due radicali propionici e il radicale acetico rimane alla periferia .L’estremo propionico quindi si associa all’altro estremo propionico del porfobilinogeno. Dopo di che l’uorpofilinogeno primo sintetasi interviene e chiude finalmente l’anello formando non più un uroporfilinogeno primo ma un uroporfilinogeno terzo .Quindi dall’azione combinata dell’uroporfilinogeno primo sintetasi e della cosintetasi arriviamo alla formazione di questo composto ciclico in cui la successione dei radicali acetici propionici non è più simmetrica cioè alterna , non ha più la disposizione dei radicali acetici proponici simmetrica ma è alterata in una certa posizione, questo particolare isomero degli uroporfirinogeni prende il nome di uroporfirinogeno terzo ,cioè di uroporfirinogeni possiamo averne tanti a secondo di come si dispongono i radicali acetici e i radicali propionici .Quello che ci interessa e che sarà utile per formare l’emo è l’uropofirinogeno terzo ,se si formasse l’uroporfirinogeno primo non esorderemo mai nell’emo e lo vedremo e questo sarà una patologia mentre se formiamo l’uoporfirinogeno terzo che ha questa particolare successione saremo in grado di arrivare alla fine a formare emo. Allora dall’azione combinata dell’uroporfirinogeno primo sintetasi e della cosintetasi arriviamo alla formazione del primo composto ciclico che prende il nome di uroporfirinogeno terzo . Siamo ancora lontani dall’emo perché abbiamo radicali acetici che non ci sono più nell’emo, abbiamo quattro radicali propionici ( nell’emo ne troveremo soltanto due)abbiamo otto doppi legami (nell’emo ne troveremo undici) ,quindi siamo ancora notevolmente lontani dall’emo , seppure abbiamo già la struttura ciclica che prelude ,già corrisponde alla struttura simile, molto vicina a quella della porfina. Per definizione gli uroporfirinogeni sono derivati tetapirrolici ciclici tetracetico e tetrapopionico sostituiti. Per fare un rapido riassunto : nel mitocondrio formiamo da succinilCoA glicina l’acido aminoribunilico, che esce dal mitocondrio, raggiunge il citoplasma dove due molecole di ALA vengono unite insieme a formare porfobilinogeno, ad opera dalla porfobilinogeno sintasi, detta anche ALA deidratasi. Poi il porfobilinogeno ,sempre nel citoplasma, ad opera della uroporfilinogeno primo sintetasi, in collaborazione con la cosintetasi, si trasforma in uropofirinogeno terzo. Come si è giunti alla identificazione di questi due enzimi che lavorano in pari? Si è giunti con le caratteristiche che hanno questi due enzimi l’uroporfilinogeno primo sintetasi è termostabile mentre la cosintetasi è termolabile . Utilizzando dei lisati cellulari ,se questo lisato era preriscaldato intorno ai 40 gradi si arrivava alla formazione di uroporfilinogeno primo, non si arrivava all’uroporfilinogeno terzo, se invece non si effettuava questo riscaldamento il lisato portava alla formazione di uroporfilinogeno terzo dal che si è dedotto che con il riscaldamento si annullava una entità che è responsabile della evoluzione verso l’isomero terzo e non verso l’isomero primo. Entrambi gli enzimi sono di natura tiolica, e tutti e due sono inibiti da Sali di metalli pesanti, in particolare piombo. Sempre nella frazione solubile, l’uroporfilinogeno terzo diventa substrato per l’enzima che segue nella sintesi dell’emo che prende il nome di uroporfilinogeno terzo decarbossilasi o anche coproporfilinogeno terzo sintetasi , Quindi l’enzima trasforma l’uroporfilinogeno terzo in coproporfilinogeno terzo in una reazione che comporta la liberazione di 4 molecole di CO2, le quali provengono dalla reazione liasica di questa decarbossilasi sui radicali acetici, riconosciuti e4d eliminati dalla decarbossilasi.

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Il coproporfilinogeno terzo è un tetrapirrolo ciclico tetrametil ,tetrapropionico sostituito. In effetti la liasi coproporfilinogeno terzo sintetasi trasforma i radicali acetici in gruppi metilici e l’uroporfilinogeno diventa coproporfilinogeno, Con questo abbiamo formato i 4 metili definitivi che troveremo nell’emo. Con la formazione del coproporfilinogeno terzo la sintesi dell’emo cessa nel citoplasma e i composti si trasferiscono verso i mitocondri, a questo punto lasciamo il citoplasma e utilizzeremo poi enzimi che sono legati alla membrana mitocondriale, quindi andiamo verso una sintesi mitocondriale.Importante è ricordare che il primo enzima che segue, che è indicato come protoporfilinogeno nono sintetasi, è legato alla membrana mitocondriale però sul lato citoplasmatico quindi il substrato il corpo profilinogeno terzo non entra ancora dentro il mitocondrio ma viene riconosciuto da questo enzima che formerà il protoporfilinogeno nono che sta legato alla membrana mitocondriale interna però sul lato citoplasmatico quindi si affaccia lo spazio inter membrane. Cosa fa questa protofilinogero nono sintetasi, da alcuni indicata anche come coproporfilinogeno terzo ossidasi? E’ un enzima che richiede ossigeno molecolare, quindi altamente dipendente dalla disponibilità di ossigeno. In pratica trasforma i due radicali propionici in due gruppi ammidici , quindi questo enzima va ad attaccare i due radicali propionici, possiamo scegliere il radicale propionici nelle posizioni 2 - 4 del nostro anello e li trasforma nei corrispondenti vinilici in pratica determina una decarbossilazione e una reazione di ossidazione perché perdiamo idrogeno nel corso della reazione . La reazione non è compresa assolutamente nel suo meccanismo , la richiesta di ossigeno molecolare fa pensare che l’enzima agisca attraverso la formazione di un intermedio idrossilato e su questo provoca il distacco dell’acqua e simultaneamente della CO2. Questa uroporfilinogero terzo sintetasi lavora su due radicali propionici in presenza di ossigeno molecolare e molto probabilmente forma un intermedio idrossilato , quindi presenza di ossigeno molecolare in una reazione che però apparentemente non richiede NADPH+ H (quindi è una idrossilasi del tutto particolare) forma un intermedio idrossilato , su cui l’enzima interviene successivamente e determina in pratica l’allontanamento di una molecola di acqua ,quindi dovrebbe in teoria formare un intermedio insaturo che si risolve immediatamente in una decarbossilazione o formazione del gruppo vinilico,quindi va via una molecola d’acqua e si forma dapprima questo intermedio insaturo che in pratica è un acrivile, un acido acrilico sostituito , questo intermedio insaturo è labile e immediatamente perde il gruppo carbossilico per cui la catena da tre carboni diventa due carboni e si forma il gruppi vinilico, vi leviamo prima una idrossilazione poi una deidrazione poi una decarbossilazione .Tolta l’acqua si forma il doppio legame l’enzima interviene ancora una volta e in pratica forma il gruppo vinilico. Allora: toglie acqua, forma il saturo corrispondente e poi decarbossila e formerà il gruppo vinilico. E con questo arriviamo alla formazione del protoporfilinogeno nono. Ci stiamo avvicinando progressivamente alla formazione dell’emo definitivo .Questo prima enzima è legato alla faccia esterna della membrana interna del mitocondrio,l’enzima che segue invece è legato alla faccia interna della membrana interna del mitocondrio,quindi si affaccia alla matrice mitocondriale, per cui dobbiamo pensare che il protoporfilinogeno nono si trasloca definitivamente all’interno del mitocondrio,quindi passa alla membrana mitocondriale interna e andrà incontro a modificazioni che saranno mitocondriali. L’enzima che segue viene indicato come protoporfilinogeno nono ossidasi, la quale determina definitivamente la trasformazione del protoporfilinogeno nono in protoporfirina nona e sarà l’immediato precursore dell’emo. Allora , protoporfilinogeno nono in presenza di ossigeno molecolare ancora una volta, ad opera della proporfilinogeno nono ossidasi si trasforma in protoporfirina nona , e finalmente la forma l’isomero che, legando emo, si trasformerà nel terremo protoemo (?). Abbiamo formato la porfina con le sostituenti esattamente nelle posizioni che troveremo nell’emo e con gli 11 doppi legami alterni . Allora dal protoporfilinogeno nono l’intervento di questo ossidasi il cui meccanismo di reazione non si conosce , l’unica cosa che si sa è che richiede la presenza di ossigeno molecolare, ma non richiede altri cofattori,quindi non c’è intervento in altri NADPH+H né

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NADH+H arriviamo all’assetto definitivo cioè alla protoporfirina nona che prelude ormai al terremoprotoemo (?) Che cosa comporta l’azione di questa protoporfilinogeno nona ossidasi ? Comporta in pratica l’aggiunta di 3 doppi legami perché siamo a otto, ce ne mancano 3, quindi c’è una ridistribuzione di doppi legami all’interno , quindi una reazione di ossidazione perché la molecola viene dedrogenata quindi in pratica perde elettroni, quindi si ossida e arriviamo alla formazione della protoporfirina nona che finalmente presenta glì 11 doppi legami alterni caratteristici dell’emo. A Domanda Risponde:L’enzima è legato alla membrana mitocondriale sul lato interno. Allora che cosa ci manca per arrivare al terremo protoemo (?) ? Ci manca il ferro, al centro del sistema. Ferro che viene portato dall’ultimo enzima coinvolto nella sintesi dell’emo e prende il nome di FERRO CHERATASI . E’ una proteina che riesce a legare ferro e lo trasloca dentro , lo inserisce all’interno della proporfirina nona .Ora importante è, ricordate, questa ferro cheratasi apparentemente non ha gruppi prostatici e richiede ferro in forma ferrosa ed è energicamente inibita dall’ossigeno molecolare . Quindi mentre le due precedenti richiedevano ossigeno molecolare per le loro attività questa è inibita da ossigeno molecolare . questa inibizione probabilmente è dovuta al fatto che: 1° il ferro deve rimanere nella forma ferrosa , se ci fosse ossigeno molecolare, rapidamente il rischio di passare la forma ferrica è molto alto ,2° l’enzima porta un rilevante numero di gruppi tiolici sulla superficie , notevolmente vicini,per cui la possibilità che i gruppi tiolici interagiscano a formare ponti disolfuri in presenza di agenti ossidanti è alta e quando l’enzima nella forma di solfuro è inattiva, quindi viene bloccata dall’ossigeno perché l’ossigeno trasforma il substrato ferro ferroso in ferro ferrino , secondo perché ossida gruppi tiolici dell’enzima che invece per la piena funzionalità dell’enzima deve essere nella forma tiolica e non nella forma di solfuro,in più anche questa è inibita da metalli in particolare da piombo di nuovo. A questo punto il terremo lega la globina e si costituisce l’emoglobina definitiva. Con questo la sintesi dell’emo si chiude, e chiudiamo anche la sintesi dell’emoglobina. Poiché questa sintesi utilizza il compartimento nucleare , il comparimento citoplasmatico ,il compartimento mitocondriale è la ragione per cui non può avvenire in un globulo rosso maturo in cui nuclei e mitocondri mancano , quindi avviene durante la maturazione del globulo rosso probabilmente allo stadio di globulo rosso immaturo, cioè prima che avvenga la perdita del nucleo e prima che avvenga la perdita del mitocondrio , stadio che viene indicato con reticolocita che è lo stadio che precede la formazione del globulo rosso maturo. Allora quali sono i fattori che regolano la sintesi dell’emo? Innanzitutto la disponibilità del succinilCoA (perchè è fondamentale), il convolgimento nella sintesi dell’emo del ciclo dell’acido citrico (perché se non si forma succinilCoA la sintesi dell’emo non procede). Poi ovviamente la disponibilità di glicina, ma per la glicina non c’è problema perché è un amminoacido che noi siamo in grado di sintetizzare, quindi qualora con la dieta non sia apportato in quantità sufficiente l’organismo lo sintetizza.Quindi la vera limitazione è posta dal succinilCoA. L’acido folico L’acido folico (vitamina del gruppo B di cui non siamo capaci di sintesi) è formato dall’unione di due eterocicli, cioè si costituisce a partire da un composto che prende il nome di PTERIDINA che è un biciclo formato da un anello pirimidinico e un anello pirazinico condensati, allora il nucleo fondamentale dell’acido folico è questo eterociclo che indichiamo come pteridina che viene dalla condensazione di un anello pirimidinico con l’anello pirazinico, vi sono due DIAZZINE che intervengono , una è una pirimidina e l’altra è una pirazzina . Allora questa PTERIDINA nell’acido folico porta dei sostituenti quindi si complica : I sostituenti all’anello pteridinico sono rappresentati da un aminogruppo in posizione 2 da una funzione fenolica , quindi da un ossidrile in

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posizione 4 e da un gruppo metilico nella posizione 6, quindi è una 2 AMINO , 4 idrossi , 6 metil pteridina, il nucleo fondamentale che troviamo nell’acido folico.Allora questa pteridina sostituita è detta correntemente pterina . NON confondere pteridina e pterina. Pteridina è l’idrocarburo di partenza, la pterina porta dei sostituenti sulla pteridina ( un amino gruppo , un ossidile, e un gruppo metilico). Allora la 2AMINO , 4 IDROSSI ,6 METILPTERIDINA, forma la PTERINA. Nell’acifo folico questa pterina si complica perché viene a legarsi un acido para amino benzoico, di cui non siamo capaci di sintesi, cioè noi saremo in gradi di formare la pterina ma non siamo in grado di formare l’acido para amino benzoico,conseguentemente non siamo capaci di sintesi dell’acido folico perché non formiamo una delle componenti dell’acido folico. Allora l’acido para amino benzoico viene a legarsi con la pterina a livello del metile in 6 , quindi metile in 6 si trasforma in un ponte metilenico che aggancia il para amino benzoico . Quando andiamo a formare questa pteridina copulata con acido benzoico arriviamo a formare un acido che prende il nome di ACIDO PTEROICO ,quindi l’unione della pterina con para amino benzoico forma l’acido pteroico, che è l’immediato precursore dell’acido folico definitivo. Quindi per arrivare all’acido folico definitivo l’acido pteroico , a livello del gruppo carbossilico, si lega a una molecola di acido glutammico. Il legame tra l’acido glutammico e l’acido pteroico è un legame ammidico, quindi formiamo l’acido pteroil glutammico, che corrisoponde all’acido folico,quindi l’acido è pteroil glitammico, pteroil più acido glitammico, correntemente indicato come acido folico, Ora in natura questo acido folico può portare più molecole acido glutammico legate e si e si parla allora di acidi folimici, cioè gli acidi folimici non sono altro che polimeri di unità di acido glutammico con l’acido folico, quindi vi sono più unità di acido glutammico collegate insieme , dove il glutammico può legarsi col legame ALFA , quindi qui affrontiamo la seconda molecola , Questa seconda molecola di acido glutammico che si lega alla prima , il legame riguarda l’amino gruppo in alfa dell’acido glutammico che si aggiunge , e o il carbossile in Alfa o il carbossile in GAMMA, Quindi l’acido glutammico che si aggiunge lo possiamo trovare o legato al carbossile Alfa, quindi abbiamo un legame peptidico comune,caratteristico dei peptidi oppure abbiamo la isoforma di cui l’amino gruppo va a legarsi con il carbossile Gamma . però in alcuni casi l’acido glutammico si lega col legame isopeptidico andando ad impegnare il carbossile gamma, allora parliamo di un legame isopeptidico o legame gamma ,che impegna il carbossile legato al carbonio gamma . Allora questi sono acidi folinici perché sono derivati dall’acido folico . Passando all’acido folico la numerazione dei sostituenti cambia leggermente, quindi nella numerazione passiamo 9 , 10 e poi andiamo avanti. Mi fermo al 10 perché è la parte che ci interessa da vicino, importanti in questo acido folico i due azoti in posizione 5 e posizione 10 che sarebbero i due gruppi funzionali del coenzima folico . Questo acido folico lo introduciamo con la dieta, in genere fenomeni di carenza sono molto rari perché di acido folico ce n’è in abbondanza, l’importane è non mangiare solo carne o scatolami. Una volta introdotto nel nostro organismo ad opera di una folato riduttasi , che utilizza in modo specifico nato fosfato ridotto . Questa folato riduttasi va ad agire sull’ anello pirazinico, quindi sul secondo anello, e va ad idrogenare in un primo momento il doppio legame 5-6 ; quindi addizione idrogeno , utilizza il NADPH+H e riduce il doppio legame 5 e 6. Formiamo quindi un acido di-idrofolico, quindi in presenza di un NAD ridotto formiamo l’acido 5,6 di -idrofolico L’idrogenazione è avvenuta in corrisponednza dell’acido in posizione 5-6 , qui si parla di acido 5- 6 di idrofolico o anche di acido 7- 8 deidrofolico . 7-8 xchè mancano rispetto al fattore definitivo i 2 idrogeni se no mettete 5-6 di idrofolico perchè idrogenato nella posizione 5-6 In un secondo tempo in presenza di una nuova molecola di NADPH+ H viene allontanato il doppio legame 7-8. Quindi un’altra molecola di NADPH+H va ad idrogenare il doppio legame 7-8.

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E arriviamo alla formazione del coenzima folico o acido tetraidrofolico perché ha addizionato 4 atomi di idrogeno, quindi questo è il THF. In effetti di queste folato riduttasi ce ne sono due, una specifica per il doppio legame 5-6 e l’altra per il legame 7-8. Quali sono i gruppi funzionali di questo coenzima? I gruppi funzionali sono l’azoto 10 e 5 che trasportano l’unità monocarboniosa che è caratteristica di questo coenzima. Quindi questo coenzima trasporta unità monocarboniose , che vuol dire unità a un carbonio, unità che possono essere rappresentate da un gruppo idrossimetilico CH2OH, un gruppo metilico CH3, un gruppo formilico , un gruppo formilinico. Poi in alternativa legati all’azoto 5, 10 un gruppo metilenico e un gruppo metilico .Adesso vedremo cosa sono questi gruppi . Dal prospetto abbiamo unicamente un atomo di carbonio che in diversa forma viene accettato, ceduto da questo cofattore . Da ricordare che i sostituenti, circa 3,quindi il gruppo metilico e il gruppo formiminico normalmente li troviamo sull’azoto 5 e formiamo l’N5 metil tetraedrofolato o l’N5 formimino tetraedrofolato , Il gruppo idrossi-metilico e il gruppo formilico solitamente li troviamo legati all’azoto 10 come N10 formiltetraedrofolato e, questo è il primo e il secondo l’N10 idrossimetiltetraedrofolato , quindi N10 formiltetraedrofolato oppure N10 idrossi metil tetraedro folato. Il gruppo metilenico CH2 e il gruppo metilico CH formano invece ponte fra l’azoto 10 e l’azoto 5,Quindi formiamo N5-N10 metilen tetraedro folato o alternativamente possiamo trovare un gruppo metilico e quindi formiamo l’N5 - N10 metilen tetraedro folato. Caratteristica di questo coenzima è che può accettare un carbonio in una determinata forma , per esempio può accettare il gruppo idrossimetilico CH2OH e cederlo come gruppo formilico . Quindi mentre il gruppo è legato sul cofattore possono intervenire degli enzimi che modificano questo gruppo trasformando ad es: il gruppo idrossi metilico in un gruppo formilico , oppure un gruppo formilico in un gruppo formimilico, oppure trasformare un N10 idrossi metil derivato in un N5 - N10 metilen tetraedro folato. Quindi caratteristica è che il gruppo , una volta accettato, può essere modificato sul cofattore stesso e ceduto nella forma modificata, cosa che invece non avviene per gli altri cofattori. L’atro punto interessante è che, a seconda del gruppo legato, lo spettro di assorbimento di questo cofattore cambia, per cui è possibile, in base allo spettro di assorbanza diagnosticare qual è il gruppo legato al cofattore. Avremo bisogno di questo cofattore nel metabolismo delle basi puriniche e pirimidiniche in quanto interviene come donatore di unità monocarboniose nella sintesi delle basi puriniche, quindi interviene nella formazione dell’anello imidazolico e dell’anello pirimidinico della ADENOSIN 5 mono fosfato . Quindi entra nella formazione delle basi puriniche , quindi durante la loro sintesi, è coinvolta nel metabolismo di alcuni aminoacidi , in particolare della glicina, della serina, della meteonina . Quindi nella sintesi di questi amino acidi interviene il coenzima folico , interviene il catabolismo del NAD , quando la parte della nicotina AMMIDE deve essere eliminata , e viene eliminata come N metil sostituito . Quindi la funzione di questo cofattore è prevalentemente legato al metabolismo degli ammino acidi da un lato e alla sintesi delle basi puriniche dall’altro. La misura del NAD. Il NAD nel suo catabolismo si dissocia nelle diverse componenti e l’anello delle NCOTINAMMIDE viene eliminato come N metil derivato sostituito , allora un fabbisogno di coenzima folico è difficile stabilirlo , in genere è inferiore al milligrammo, si calcola che intorno ai 400 microgrammi largamente soddisfi il fabbisogno giornaliero , però una carenza di acido folico è estremamente rara . Importanti da ricordare sono i 2 composti che funzionano come anticoenzima forico quindi come antivitamina che trovano una applicazione clinica che sono il sostituito dell’acido folico all’ossidrile in 4, dove l’ossidrile in 4 viene sostituito da un amino gruppo,si parla di una amino pterina e la ameto pterina che è un prodotto di modificazione dell’amino pterina in cui l’azoto 10 ….torniamo indietro .. alla formula , la ameto pterina che è un derivato dell’amino

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pterina in cui l’azoto 10 è legato a un gruppo metilico. Quest’ultimo composto correntemente va sotto il nome di METO TREXATE , ed è un farmaco che viene usato come citostatico , quindi nella terapia dei tumori, perché bloccando la funzione del coenzima folico blocca la sintesi delle basi puriniche in quelle tappe in cui interviene il coenzima folico, in genere in associazione con 5 fluoruro acile, dunque è un composto altamente tossico , quindi va usato con notevole precauzione. Comunque il significato , l’impiego clinico si rifà alla funzione del coenzima folico che interviene nella costruzione delle basi puriniche, per cui se io blocco la formazione della base purinica , blocco inevitabilmente la rigenerazione dell’ RNA e del DNA e quindi vado ad interferire con la replicazione cellulare . Chiudiamo col coenzima folico , non dimanticatelo , lo riprenderemo a marzo. Ci rimangono ancora delle vitamine liposolubili, abbiamo visto la vitamina D , l’abbiamo vista con la sintesi del colesterolo , ci rimangono da vedere le altre vitamine liposolubili, che sono la vitamina A, la vitamina K e la vitamina E .La vitamina A è detta anche la vitamina della visione perché è coinvolta nei processi della visione, specialmente notturna e crepuscolare . E’ anche indicata col termine RETINOLO. In alcuni testi è indicata anche come Axerofitolo ? Sono termini equivalenti. Caratteristica di tutte queste vitamine, A-K-E, è che nella loro molecola entrano sempre unità isoprenoidi . D’altra parte anche la vitamina D trova i suoi precursori in unità isoprenoidi durante la sintesi del colesterolo . Complessivamente la vitamina A è formata da un anello ciclo esanico , o meglio ciclo esenico perché porta un doppio legame, che ha tre funzioni metiliche come sostituenti ,poi ha 9 carboni in catena laterale, configurati in unità isoprenoidi perché la ramificazione mi dice che è unità isoprenoide e su questa catena laterale due metili come ramificazione . Allora, la possiamo trovare come alcol, da cui il nome di RETINOLO, la possiamo trovare come ALDEIDE , e si parla di RETINALE e come acido, e passiamo all’ACIDO RETINOICO Di queste 3 forme con cui si presenta la vitamina A , la funzione biologica è riconosciuta unicamente per il retinale , quindi la vitamina A ALDEIDE, mentre più incerto è il significato della vitamina A come alcol o come acido. Come ALDEIDE RETINALE è intensamente coinvolta nei processi della visione crepuscolare notturna, in quanto il retinale entra a formare il gruppo prostetico di una proteina che è deputata alla visione e che prende il nome di rodopsina, quindi lo troviamo a livello della retina questo retinale copulato con questa proteina, ed insieme retinene retinale più la proteina, che prende il nome di rodopsina che è la proteina responsabile della visione , dove l’aldeide va a legarsi alla proteina a livello di un radicale divisina della proteina , quindi questa aldeide retinale in pratica è una reazione spontanea , quindi come col circolo il retinele arriva alla retina, nella retina viene legato spontaneamente, quindi non è una reazione enzimatica ma si lega spontaneamente a questa proteina, ed insieme retinene e protide, prende il nome di rodopsina , che è una proteina di colorazione rossa , quindi si forma un legame aldininico tra il retinene e la proteina che è nella forma priva di atinene e prende il nome di OPSINA. Insieme retinene più opsina costituisce la RODOPSINA. Quando arriva lo stimolo luminoso questo retinene subisce delle modificazioni conformazionali per cui si stacca dalla proteina e questo distacco viene percepito come uno stimolo del nervo ottico che si traduce in una percezione visiva mentre il ruolo della vitamina A come alcol lo conosciamo molto poco , ci sono sospetti che funga da portatore di catene oligosaccaridiche nella sintesi di glicoprotidi , perché l’hanno trovato legato a delle catene oligosaccaridiche, in cui è interessato il gruppo alcolico primario . Come acido retinoico, di significato oscuro, pare intervengano i processi di ossidificazione , sta di fatto che l’acido retinoico si porta al livello del nucleo , dove è in grado di legarsi a determinate sequenze nucleotidiche e fa da fattore di stimolo per la trascrizione di alcune proteine , quindi sarebbe coinvolto nella sintesi proteica dell’acido retinoico . Allora. Noi siamo in grado di formare la vitamina A ,però non siamo in grado di costruire questa catena , quindi dalla natura ci viene la provitamina che noi assumiamo sotto forma di sostanze di

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colorazione giallo che prendono complessivamente il nome di caroteni , di cui esistono tanti tipi, quelli che sono da precursori della vitamina A sono l’ALFA, il BETA e il GAMMA CAROTENI . Tutte le foglie verdi contengono questi caroteni e particolarmente ricco di beta carotene è la carota , questo vi spiega perché si dice mangia carote che fa bene per la vista. La carota è ricca di betacarotene da cui estraiamo la vitamina A, siamo in grado di formare il retilene e potenziare la sintesi della rodopsina. Che cosa sono questi caroteni? Sono composti di di-idrocarburi a 40 carboni, in pratica possiamo dire è il raddoppio della catena che entra a formare la vitamina A , cioè in pratica possiamo trascrivere questa molecola , ribaltarla in questo senso e ripeterla pari pari, quindi son due molecole di questo radicale a 15 carboni che si legano insieme ,per cui le 2 molecole sono simmetriche ,e poi si costruisce l’anello cicloesanico .Allora questo carotene è arrivato all’intestino ad opera di un enzima presente nelle cellule degli eterociti sui villi intestinali (?) e una ossido riduttasi che in presenza di ossigeno molecolare rompe il legame fra i 2 carboni terminali delle 2 catene e separa (?) in un primo momento l’albeide , quindi formiamo 2 molecole di vitamina A , quindi da una molecola di cherotene siamo in grado 2 molecole di vitamina A, in effetti la resa è molto bassa, non è che ne formiamo proprio 2 ,la resa è si e no del 40 % , quindi circa il 60 % di questo che rotene non concorre a formare vitamina A. Dall’ALFA CAROTENE ne formiamo solamente 1 perché nell’ALFA ca,rotene 1 degli anelli cicloesanici anziché portare il legame doppio tra 5 e 6 ce l’ha tra 4 e 5, e quindi non concorre a formare vitamina A . Nel GAMMA Carotene 1 degli anelli è aperto ,non è ciclico , e quindi uno degli anelli non concorre a formare vitamina A , quindi metà del GAMMA carotene e metà dell’ALFA Carotene daranno vitamina A ,la rimanente parte viene eliminata . In natura quindi non esiste la vitamina A ma esistono i precursori cioè le provitamine, dalle provitamine noi costruiamo la vitamina per un processo di ossidazione a livello intestinale e in parte anche a alivello epatico , dopodichè, una volta formata, la vitamina A è liposolubile, quindi non potrebbe essere trasportata in circolo, ed è trasportata da PROTIDI, si parla di protide portante retinolo. D’interesse è che questo protide portante retinolo ha un’alta affinità per altre proteine del plasma e in particolare, lo vedrete nella seconda parte del corso, un’altra proteina lega ORMONI della tiroide , cosiddetta TEROXINA, per cui in circolo , una parte della vitamina A la troviamo legata al protide portante retinolo ,a sua volta legata a questo protide che trasporta l’ormone tiroideo. Questa interazione tra le 2 proteine più vitamina A, questo composto prende il nome TRANS-TIRETINA, perché porta simultaneamente vitamina A e ormoni della tiroide, cioè tiroxina,trans-tiretina Logicamente se saimo difettosi di queste proteine di trasporto siamo difettosi anche di vitamina A perché non riusciamo a veicolarla nei tessuti , è una vitamina liposolubile, quindi dà fenomeni di accumulo e in effetti la troviamo accumaulata specialmente a livello del fegato ,di tessuto adiposo, dove la troviamo esterificata con acidi grassi . Poiché dà fenomeni di accumulo bisogna prenderla con una certa attenzione perché se no si va in rischio di andare in ipervitaminosi , ipervitaminosi che sovente si associa a danno del sistema dell’apparato scheletrico . E’ detta anche la vitamina protettiva per la cute , perché per meccanismi noon chiari concorre al regolare assetto delle proteine che formano la cute. È detta epitelio protettiva. Il fabbisogno giornaliero è inferiore al milligrammo. LEZIONE DI BIOCHIMICA DEL 03/03/2003 METABOLISMO DELLE BASI AZOTATE Il metabolismo delle basi azotate apparentemente si ricollega poco con gli altri processi metabolici ci cui abbiamo parlato fino ad ora ed in particolare sembra che abbia poca connessione con il ciclo di Krebs e che ne usufruisca poco. In realtà la sintesi delle basi azotate è strettamente dipendente al ciclo di Krebs perché si consuma per la loro sintesi moltissimo ATP, che viene direttamente e

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indirettamente dal ciclo dell’acido citrico. Quindi la sintesi delle basi pirimidiniche e soprattutto puriniche usufruisce altamente di ATP che si è costruito a spese di altre molecole che sono entrate in degradazione, in particolare di glicidi, di acidi grassi e di amminoacidi. Il nucleo centrale di tutto il corso della biochimica è il ciclo di Krebs, perché a questo ciclo �vivente, vale a dire glicidi, lipidi e protidi.

• I glicidi accedono al ciclo di Krebs largamente sotto forma di acetil-CoA, che a sua volta proviene dal piruvato, derivato dalla demolizione anossidativa della molecola del glucosio, il quale può avere un’origine estremamente varia: può essere glucosio che arriva direttamente alla cellula oppure può essere glucosio di deposito sotto forma di glicogeno. Il piruvato si trasforma in acetil-CoA tramite una decarbossilazione ossidativi e sarà l’acetil-CoA a entrare nel ciclo di Krebs. La decarbossilazione ossidativa del piruvato è fuori dal ciclo di Krebs e l’entità che accede al ciclo di Krebs è l’acetil-CoA.

• Gli acidi grassi, in particolare i lipidi con le loro molecole acido grasso, accedono al ciclo di Krebs come acetil-CoA, in quanto l’acido grasso viene degradato nella �-ossidazione e ogni giro della �-ossidazione forma acetil-CoA. Quindi l’acido grasso dà direttamente acetil-CoA che accede al ciclo di Krebs.

• Gli amminoacidi concorrono a fornire metaboliti al ciclo di Krebs sia sottoforma di acetil-CoA, ma anche sottoforma di intermedi del ciclo dell’acido citrico,vale a dire sottoforma di ossalacetato e di �-chetoglutarato. Quindi i vari cataboliti possono accedere al ciclo di. Krebs direttamente come acetil-CoA e vanno soggetti a tutte le reazioni del ciclo, ma possono entrare anche a livelli diversi del ciclo sottoforma di �-chetoglutarato o eventualmente sottoforma di fumarato e succinato

Nel divenire dei nucleotidi, in particolare nella loro sintesi, apparentemente non si utilizzeranno intermedi del ciclo dell’acido citrico e apparentemente non ci sarà accesso di acetil-CoA al ciclo di Krebs, però c’è dipendenza dal ciclo dell’acido citrico perché per la sintesi occorre ATP, e in più per innescare il processo occorrono amminoacidi e questi amminoacidi indirettamente derivano dal ciclo di Krebs. Gli amminoacidi interessati saranno la glicina, l’acido glutammico come glutammina, l’acido aspartico. Soprattutto glutammico, glutammica e aspartico si formano da intermedi del ciclo dell’acido citrico, �-chetoglutarato per il glutammico e ossalacetato per l’aspartato. La glicina invece fa parte a sé. Interessante nel catabolismo dei purin-nucleotidi è che non si formeranno intermedi che accedono al ciclo di Krebs, perché nel catabolismo lo scheletro della base purinica non viene degradato, ma viene eliminato come tale sotto forma di acido urico che ancora mantiene inalterato l’anello purifico. Ciò a differenza dei glicidi, lipidi e protidi i cui cataboliti terminali accedono al ciclo di Krebs. Differente è invece il catabolismo dei pirimidin-nucleotidi in cui l’anello viene completamente degradato. La degradazione si concluderà con la formazione da una parte di un amminoacido che è la �-alanina( la quale ulteriormente sarà degradata fino a formare acido malonico sottoforma di malonil-CoA).L’altra parte di questi pirimidin-nucleotidi viene invece eliminata sottoforma di metil-malonil-CoA e questo metil-malonil-CoA accederà al ciclo di Krebs sottoforma di succinil-CoA. Quindi nel catabolismo dobbiamo distinguere il catabolismo delle basi puriniche, in cui lo scheletro carbonioso non entrerà a fornire intermedi del ciclo dell’acido citrico, mentre il catabolismo delle basi pirimidiniche apporterà qualche cosa al ciclo dell’acido citrico sotto forma di metil-malonil-CoA, ma essenzialmente sotto forma di succinil-CoA per quanto riguarda il catabolismo della timina. Mentre il catabolismo dell’uracile, così come della citosina non apporterà apparentemente nulla al ciclo di Krebs, in quanto il cataboliti terminale sarà il malonil-CoA che, eventualmente, potrà entrare nella sintesi dell’acido grasso,ma non direttamente nel ciclo di Krebs. Altro fattore importante, che troveremo ripetutamente soprattutto nella sintesi delle basi puriniche, è il tetraidrofolato. Il tetraidrofolato è indicato con la sigla THF. Noi forniamo il THF a partire da una vitamina che è l’acido folico, il quale ci viene fornito indirettamente dal regno vegetale.

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L’acido folico si trova in tutte le parti verdi delle piante e quindi in particolare nelle foglie. Da questo acido folico, che per noi è vitamina, formiamo il THF che sarà il cofattore che interverrà ripetutamente nella sintesi delle basi puriniche in quanto donatore di unità monocarboniose. Quindi la caratteristica di questo fattore è di veicolare unità a un carbonio sotto forma variata. Dall’acido folico vitamina passiamo al cofattore in un processo di idrogenazione, quindi in un processo di riduzione, in presenza di NADH+H+. Arriviamo al cofattore che sarà il trasportatore dell’unità monocarboniosa, mentre l’acido folico come tale non può trasportare unità monocarboniose, quindi non funge da cofattore. L’acido folico è formato da una base azotata che viene dalla condensazione di un anello pirimidinico con un anello pirazinico. L’anello pirimidinico si condensa con il secondo eterociclo, che è un anello pirazinico in cui gli azoti sono in posizione para, mentre nel caso della pirimidina sono in posizione meta. In questo eterociclo introduciamo dei sostituenti, in particolare un amminogruppo in posizione 2 e un gruppo ossidrilico in posizione 4. In più a livello del C6 inseriamo una catena laterale. A mezzo di un C metilenico attacchiamo un derivato aromatico, l’acido paraminobenzoico, di cui noi non siamo capaci di sintesi e questo spiega perché non siamo in grado di formare l’acido folico. Riassumendo: l’eterociclo effettivo è formato da un anello pirimidinico sostituito in posizione 2 da un amminogruppo e in 4 da una funzione ossidrilica, da un anello pirazinico che in posizione 6 lega un C metilico che sarebbe il C9. Un H del C metilico viene sostituito dall’acido paraminobenzoico, di cui noi non siamo capaci di sintesi e questo spiega perché l’acido folico è vitamina. Noi siamo invece in grado di sintetizzare, partendo da GTP l’anello pirimidinico e pirazinico condensati, che formano in particolare l’eterociclo pterina. L parte che noi non siamo in grado di sintetizzare e quindi fa sì che l’acido folico sia vitamina è l’acido paraminobenzoico. A complicare questa struttura il gruppo carbossilico dell’acido benzoico viene a legarsi con legame ammidico a una molecola di acido glutammico o eventualmente a più molecole di acido glutammico. Possiamo avere più molecole di acido glutammico unite insieme, in cui l’unione fra le diverse unità di acido glutammico può essere:

• un’unione regolare, e cioè il carbossile di questo acido glutammico si unisce all’amminogruppo del glutammico successivo;

• può esserci anche un’unione con legame isopeptidico in cui l’amminogruppo della molecola di acido glutammico che si aggiunge va a legarsi al carbossile �, anziché al carbossile �. In questa sequenza possiamo avere 3, 4, 5 unità di acido glutammico legate insieme. Quindi non sempre troviamo il legame peptidico, cioè C-N� legato al C carbossilico.

Le parti funzionali di questa vitamina saranno l’N in posizione 5 e l’N in posizione 10 dove per diventare parte funzionale la molecola deve andare incontro a un processo di riduzione e trasformarsi in acido tetraidrofolico, che è il cofattore. Questo acido folico introdotto con la dieta viene assorbito a livello intestinale, viene dirottato ai diversi tessuti, viene decurtato della catena di acido glutammico eccetto una e successivamente idrogenato a livello dei doppi legami 5-6 e 7-8 e trasformato in acido tetraidrofolico che è il cofattore. Questa riduzione avviene a opera di una folatoriduttasi, la quale agisce sull’acido folico e in presenza di NADH+H+ riduce nelle posizioni 5-6 e forma il diidrofolato. Una seconda riduttasi, che sempre utilizza il NADH+H+, aggiunge H sul doppio legame 7-8 e forma il THF. Quindi la idrogenazione avviene in due tappe, a opera di una folatoriduttasi che riduce in 5-6 e il potere riducente viene da NADH+H+ e forma il diidrofolato, poi una seconda riduttasi agisce in posizione 7-8 sempre in presenza del NADH+H+ e forma il THF. In definitiva per aggiunta di 4 H passiamo dall’acido folico all’acido tetraidrofolico. In questa forma l’acido tetraidrofolico funge da trasportatore di unità monocarboniose, le quali possono legarsi o all’N5 o all’N10 o a entrambi. I gruppi trasportati dal THF, cioè dal coenzima folico, sono unità a un carbonio e sono rappresentate dal gruppo metilico, dal gruppo formilico, dal gruppo idrossimetilico o eventualmente dal gruppo metilenico o dal gruppo metinico che formano ponte tra l’N5 e l’N10. • gruppo metilico lo troviamo di solito legato all’N10 formando N10-metilTHF;

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• gruppo idrossimetilico, cioè il prodotto di ossidazione del metile, forma N10- idrossimetilTHF; • prodotto di ossidazione dell’idrossimetileformile forma N10-formilTHF oppure formimino THF. In genere formiminoTHF lo troviamo legato all’N5, quindi formiamo N5- formiminoTHF; • composti che formano un ciclo tra l’N10 e l’N5 e in questo caso vengono veicolati dal cofattore un gruppo metilenico –CH2 oppure un gruppo metinico –CH. Forma quindi l’N5, N10-metilenTHF perché il –CH2 è un metilene oppure N5,N10-metenilTHF, in cui il gruppo trasportato è un –CH, cioè un metino. Quindi i gruppi trasportati sono molti, ma la caratteristica è che c’è sempre solo un’unità ad un carbonio soltanto. La caratteristica di questo cofattore è che può accettare un gruppo, vedere questo gruppo modificato, mentre ancora è legato al cofattore e cederlo in altra forma. Per esempio può accettare un gruppo idrossimetilico e formare N10-idrossimetilTHF, questo idrossimetile può essere ossidato mentre è legato al cofattore e trasformato in formilTHF. Ed il formilTHF in presenza di ATP può cedere il formile e liberarlo come acido formico. Quindi mentre il gruppo è legato al cofattore questo gruppo può essere modificato in diverse svariate forme. Il gruppo può essere accettato dal cofattore in una forma e ceduto in un’altra forma e questa è una caratteristica del coenzima folico che in genere non abbiamo trovato negli altri cofattori. Quindi ci sono enzimi opportuni che agiscono sul gruppo legato all’N5, all’N10, lo modificano e successivamente il gruppo modificato viene ceduto. L’altra caratteristica è che a seconda del gruppo legato lo spettro di assorbimento varia. Per cui è possibile in base allo spettro di assorbimento diagnosticare qual è il gruppo legato al coenzima folico. Composti che agiscono come antivitamina e quindi antagonizzano la funzione del coenzima folico sono composti di sintesi che però vengono usati anche nelle terapie per antagonizzare la funzione del coenzima folico e quindi bloccare per esempio la sintesi degli acidi desossiribonucleici. Antagonisti sono l’aminopterina e la metopterina, indicata anche come metotrexate. L’aminopterina viene usata per antagonizzare la funzione del coenzima folico, questa antivitamina sostituisce l’ossidrile in 4 presente nella vitamina con l’aminogruppo. Quindi è un 2,4-diaminoderivato invece di un 2-amino-4-idrossiderivato. Il derivato metilato dell’aminopterina a livello dell’N10 è la metopterina . In pratica è un’aminopterina derivata, quindi funzionano come antivitamine in antagonismo con la funzione della vitamina, disturbano l’azione del cofattore. Ci sono anche degli acidi filinici che sono prodotti con più unità di acido glutammico legate in catena. Questi poliglutamil-derivati dell’acido folico antagonizzano la funzione del cofattore, cioè THF, entrano in competizione con il THF per legarsi all’enzima che funge da trasportatore dell’unità monocarboniosa e bloccano la funzione dell’enzima. Questi vari composti sono usati nella terapia contro il cancro come citostatici. CATABOLISMO Prima faremo il catabolismo dei nucleotidi purinici e pirimidinici e poi la loro sintesi. Le basi azotate si dividono in due grosse categorie: • le basi puriniche, rappresentate essenzialmente dall’adenina e dalla guanina; • le basi pirimidiniche, rappresentate essenzialmente dalla citosina e dall’uracile per gli acidi ribonucleici, timina e citosina per gli acidi desossiribonucleici. La differenza fondamentale tra gli acidi ribonucleici e quelli desossiribonucleici , oltre al fatto di sostituire l’uracile con la timina sta nella sostituzione del riboso con il desossiriboso, cioè il prodotto di riduzione del riboso a livello del C2.

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Nella sintesi prima formiamo il ribonucleotide che poi viene trasformato nel desossiribonucleotide ed eventualmente l’uracile è trasformato in timina. Quindi il desossiribonucleotide non si costituisce ex novo ma si costituisce per un processo di riduzione del ribonucleotide. Il nucleotide può essere presente come tale nella cellula come unità singola, ma più frequentemente lo troviamo in aggregati ad elevato peso molecolare, che sono gli acidi ribo e desossiribonucleici, per cui la maggior parte dei nucleotidi di cui parleremo nella degradazione vengono dalla demolizione di queste grosse molecole, che devono essere progressivamente degradate alle unità elementari, cioè il nucleotide. La degradazione di questi acidi ribo e desossiribonucleici avviene per un processo idrolitico ad opera di idrolisi che prendono il nome di ribonucleasi e desossiribonucleasi a seconda che attacchino l’acido ribo o desossiribonucleico. La struttura di una catena di acido ribo e desossiribonucleico è costituita da un’impalcatura data dal riboso legato al fosfato, quindi dalla sequenza riboso-P, riboso-P…, che rappresenta la parte idrofila polare. Mentre le basi azotate stanno lateralmente e rappresentano la parte idrofoba della catena.La base azotata viene a legarsi al riboso con il legame N-β-glucosidico. Il fosfato si lega con un legame fosfodiestereo al C3 di un’unità di riboso e al C5 di un’unità di riboso successiva. Si parla di un legame fosfodiestereo perché il P è legato con due legami di estere, uno al C3 e l’altro al C5. Se fosse legato ad un solo C si sarebbe chiamato fosfoestereo e non fosfodiestereo. La sequenza degli atomi che caratterizza questo filamento è data da : C-C-C- O-P-O-C -C-C-O-P-O-C-C-C .Questa è l’impalcatura del filamento e vale sia per gli acidi ribo che per quelli desossiribonucleici e rappresenta la parte idrofila della catena, mentre la parte idrofoba è quella che è legata alle basi azotate. Solitamente in questa catena distinguiamo due estremi, un estremo 5 ed un estremo 3. Parliamo di estremo 5 libero nel caso in cui la catena abbia l’estremo 5 non fosforilato e parliamo di estremo 3 libero nel caso in cui la catena abbia l’estremo 3 non fosforilato. La degradazione di queste catene può avvenire ad opera di endonucleasi, cioè idrolisi che attaccano la catena al centro, oppure di esonucleasi che attaccano la catena agli estremi, quindi all’estremo 5’ libero o all’estremo 3’ libero e staccano un nucleotide alla volta. Le endonucleasi attaccano all’interno della catena e la spezzano in due tronconi, poi tornano ad agire sui due tronconi e danno quattro tronconi e così via, ma non staccano mai le singole unità nucleotidiche una alla volta, come invece fanno le esonucleasi. Le nucleari sono poco conosciute, questo vale soprattutto per le desossiribonucleasi, mentre per le ribonucleasi ne è stata identificata una prodotta dal pancreas ad azione esocrina( cioè il pancreas che produce i fattori coinvolti nella digestione). Questa ribonucleasi è proteina di peso molecolare relativamente basso, intorno ai 20.000, però è una molecola fortemente ripiegata per la presenza di ponti disolfuro per cui è estremamente resistente agli agenti denaturanti e in particolare al calore. Esposta a 100 gradi e poi riportata e 27 gradi riprende intatte le sue proprietà catalitiche, quindi non viene denaturata dal calore. Questo fa sì che si comporti come un enzima estremamente stabile. La caratteristica di questa ribonucleasi è che attacca la catena polinucleotidica all’interno ma riconosce solo il legame fosfodiestereo laddove il P è legato ad un riboso legato ad una pirimidina in posizione 3. Quindi se ho gracile e citosina la ribonucleasi riconosce questo legame e spezza la catena a livello del P legato al c3 e forma un intermedio ciclico, un diestere , un cui la valenza del P che si è resa libera forma un legame estere con l’ossidrile in 2.Quindi la catena viene spezzata e formiamo un troncone che ha l’estremo 5’ libero ed un secondo troncone che all’estremo 3’ porta un diestere il cui P è legato alla posizione 2-3 del riboso. Formiamo un nucleoside riboso-2,3-diestere. Il P forma un legame fosfodiestereo tra il C2 ed il C3. Questo estere ciclico è instabile e spontaneamente si idrolizza nel riboso-3-P, quindi nell’estremo che ha il P solo nella posizione 3. L’enzima è estremamente specifico, perché se la base legata al riboso è una base purinica il legame non viene riconosciuto. Nel caso dell’attacco della ribonucleasi formiamo due tronconi, uno con l’estremo 3 fosforilato e l’altro con l’estremo 5 libero. Questi due tronconi possono essere ancora attaccati dalle ribonucleasi

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laddove ritrovi di nuovo un legame il cui riboso legato al P in 3 è a sua volta legato ad una base pirimidinica. Dall’azione progressiva di questa ribonucleasi si arriva a formare dei frammenti di peso molecolare piccolo, senza arrivare alla totale degradazione della catena. Su questi frammenti di peso molecolare piccolo intervengono le esonucleasi che staccheranno un’unità nucleosidica alla volta, fino a risolvere la catena polinucleotidica nei singoli nucleotidi. Per cui dall’azione esaurente di endonucleasi ed esonucleasi, nel caso di un acido ribonucleico si può arrivare ad una miscela di nucleoside –3-P o nucleoside-5-P. Nel caso degli acidi desossiribonucleici la degradazione è molto meno chiara, comunque anche in questo caso si arriva alla fine a formare una miscela di desossiribonucleotidi-3-P o 5-P, i quali finalmente saranno attaccati da delle idrolisi che prendono li nome specifico di nucleotidasi che attaccano il nucleotide staccando il P. Nel catabolismo ci sono tutti i nucleotidi che troviamo liberi nella cellula sotto le più svariate forme. Sotto forma di ATP, ADP, AMP o GTP o GDP, …cioè tutti i nucleotidi che abbiamo considerato come unità singola si abbinano nel loro catabolismo al catabolismo dei nucleotidi che vengono dal acidi ribo e desossiribonucleici. Per cui quando parliamo del catabolismo dei nucleotidi consideriamo tutti i nucleotidi che si possono generare da molecole più complesse oppure che sono già presenti come singoli nucleotidi. Una caratteristica del catabolismo dei nucleotidi è che questi come prima reazione vanno incontro ad una defosforilazione , quindi perdono il P, sia esso legato nella posizione 5, come più frequentemente accade, sia esso legato nella posizione 3 e vengono quindi risolti nel nucleoside più P. Questo vale sia per i nucleotidi purinici sia per quelli pirimidinici. In alcuni casi quando la base azotata porta un aminogruppo la reazione esterasica che stacca il P può essere preceduta da una reazione deaminasica che sottrae l’aminogruppo. Ciò vale per i nucleotidi animati e quindi vale per : adenosin-5-P, guanosin-5-P, citidin-5-P. Importante ricordare che si tratta di una reazione di idrolisi in cui l’aminogruppo viene allontanato sotto forma di ammoniaca. Sono le disaminasi che tolgono l’aminogruppo. L’adenosin-5-P viene risolto in inosin-5-P,guanosin-5-P viene risolto in xantosin-5-P e il citidin-5-P viene risolto in uridin–5-P. •••• Nel caso dell’adenosin-5-P l’aminogruppo viene allontanato come ammoniaca. Non è una reazione transaminasica, ma è una reazione di idrolisi ,quindi interviene una deaminasi che in presenza di H2O toglie via l’aminogruppo e lascia come residuo un ossidrile, per cui passiamo dall’adenosin-5-P all’inosin–5-P. Nel caso dell’adenina formeremo la base azotata ipoxantina, il cui nucleoside prende il nome di inosina ed il nucleotide corrispondente sarà l’inosin-5-P. • Nel caso del guanosin-5-P per una reazione deaminasica l’aminogruppo in posizione 2 viene eliminato e sostituito da un ossidrile, otteniamo la base azotata xantina, il cui nucleoside sarà xantosina e il cui nucleotide sarà xantosin-5-P , il quale potrà esistere nella forma enolica oppure nella forma chetonica, per il solito equilibrio cheto-enolico. • Il citidin –5-P per reazione deaminasica perde l’aminogruppo in 6 e lo sostituisce un ossidrile e forma la base azotata gracile e quindi uridin-5-P. Importante ricordare che questa reazione di deaminazione può avvenire in qualunque momento del processo di degradazione. Quindi lo possiamo trovare all’inizio,quando formeremo il nucleoside, o addirittura sulla base azotata. Ritorniamo alla reazione nucleotidasica, cioè la reazione di defosforilazione. Si risolvono i singoli nucleotidi nei nucleosidi corrispondenti. Il nucleotide perde il P diventando nucleoside. I nucleosidi che possiamo ottenere dal catabolismo degli acidi nucleici sono: adenosina, guanosina, citosina e uridina. Dagli acidi desossiribonucleici saranno i corrispondenti desossiribonucleosidi, fatta eccezione per l’uridina che viene sostituita dalla timidina. Un problema grosso nella degradazione è allontanare il riboso e quindi trasformare il nucleoside nella base azotata libera. Sembrerebbe possibile una reazione di idrolisi che spacca il riboso e forma la base. La cellula non segue assolutamente questa via idrolitica, perché non sarebbe proficua, in quanto porterebbe a formare riboso libero che per essere utilizzato dovrebbe essere

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riportato alla stato di riboso –P, consumando una molecola di ATP .La cellula segue invece una via fosforolitica che utilizza fosfato in una reazione molto simile a quella per degradare glicogeno ad opera della fosforilasi. Il glicogeno perde un’unità di glucosio alla volta , questo glucosio non si libera come glucosio ma come glucosio –1-P. E’ una reazione glicosiltransferasica, la fosforilasi trasferisce il glucosio dall’estremo non riducente delle catene lineari al P e si forma glucosio-1-P, il quale ,avendo li fosfato è ad un livello energetico sufficientemente alto per essere trasformato in glucosio –6-P ed entrare nel metabolismo. Lo stesso vale per il catabolismo dei nucleosidi. La cellula non stacca il riboso come tale, ma lo trasferisce ad un’unità di fosfato, formando riboso-1-P più la base azotata. Si parla di reazione fosforolitica o anche fosfotransferasica in quanto l’unità glucidica, riboso, viene trasferita all’ortofosfato. Si parla di una ribonucleosidefosforilasi che in effetti è una pentosiltransferasi. Importante in questa reazione è che il legame che univa il riboso alla base azotata era un legame β-glucosidico. Il riboso –1-P che si forma ha un legame α-glucosidico. Quindi nello staccare il riboso dalla base azotata l’enzima modifica la configurazione del gruppo glucosidico e da β, quando è legata alla base azotata, lo trasforma in α, quando è legato al fosfato. Quindi forma un riboso –1-P-α. Aggiungendo fosfato inorganico, cioè H3PO$, formiamo la base azotata desossiriboso-1-P. L’enzima ha due caratteristiche , rompe il legame glucosidico β tra la base azotata ed il riboso e forma un nuovo legame α-glucosidico tra riboso e fosfato. La nomenclatura è molto varia per quanto riguarda questo enzima che viene chiamato nucleosidefosforilasi, pentosiltransferasi o nucleosidepentosiltransferasi. E’ una glicol transferasi perché trasferisce il riboso dalla base azotata all’ortofosfato. Questa reazione pentosiltransferasica in caso di nucleosidi amminati e cioè nel caso della adenosina, guanosina e citosina può essere preceduta dalla reazione di deamminazione. Per cui nel caso delle basi aminate i nucleosidi possono essere deaminati e trasformati nell’idrossiderivato corrispondente. Si parla di nucleoside deaminasi e non più di nucleotide deaminasi. La nucleoside deaminasi toglie l’aminogruppo , per cui: • l’adenosina per reazione deaminasica perde l’ammoniaca e forma il nucleoside inosina; • la guanosina perde l’aminogruppo in posizione 2e forma il nucleoside xantosina; •••• la citidina perde l’aminogruppo e forma il nucleoside uridina. La reazione di deaminazione precede la reazione di sottrazione della molecola del riboso. Riassumendo: Dal nucleotide, perdendo il fosfato, passo al nucleoside. Quindi dall’adenosin-5-P passo all’adenosina. Dal guanosin-5-P passo alla guanosina. Dal citidin-5-P passo alla citidina. Dall’uridin-5-Ppasso all’uridina. Dal timidin-5-P passo alla timidina. Questi quattro nucleosidi possono perdere riboso e formare la base azotata più riboso-1-P. Quindi dall’adenosina formerò l’adenina. Dalla guanosina la guanina. Dalla citidina la citosina. Dall’uridina l’uracile. Dalla timidina la timina. A questo punto le basi che hanno un amminogruppo, vale a dire l’adenina, la guanina e la citosina, perderanno l’aminogruppo e daranno le corrispondenti basi ipoxantina, xantina e uracile. Oppure prima di perdere riboso i nucleosidi possono perdere l’aminogruppo, per quelli che hanno l’amminogruppo disponibile . Dall’adenosina passo al nucleoside inosina, dalla guanosina passo al nucleoside xantosina, dalla citidina passo al nucleoside uridina, mentre uridina e timidina non vanni incontro a deaminazione perché non hanno l’aminogruppo. Da questi tre nucleosidi così modificati per aggiunta di ortofosfato ed eliminazione di riboso-1-P passo alla corrispondenti basi azotate. Dall’inosina ottengo l’ipoxantina. Dalla xantosina ottengo la xantina. Dall’uridina ottengo l’uracile. L’aminogruppo si può sottrarre in qualsiasi momento della degradazione e perdendo l’aminogruppo il nome della base azotata e del nucleoside cambia. Da ricordare che la deaminazione è una reazione di idrolisi che comporta liberazione di ammoniaca e che il distacco del riboso non è una reazione di idrolisi, ma è una reazione di trasferimento in cui

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il pentoso viene trasferito all’ortofosfato formando il corrispondente glucoside riboso-1-P, non estere perché il legame non è estereo, ma glucosidico. Con questi passaggi siamo arrivati ad ottenere la basi singole e saranno queste che andranno incontro al catabolismo. Il catabolismo potrà iniziare da ipoxantina per quanto riguarda l’adenosin-5-P, xantina per quanto riguarda la citidin-5-P e uridin-5-P e dalla timina per quanto riguarda il timidin-5-P. Il catabolismo delle basi puriniche e quello delle basi pirimidiniche seguono due vie completamente differenti. CATABOLISMO DELLE BASI PURINICHE Il catabolismo delle basi puriniche si differenzia dal catabolismo delle basi pirimidiniche perché non viene degradato l’anello purifico, che rimane come tale e verrà eliminato. Mentre nel catabolismo delle basi pirimidiniche avremo la totale degradazione dell’anello pirimidinico. Il prodotto terminale del catabolismo delle basi puriniche è l’acido urico( da non confondere con gli acidi biliari e con la bilirubina). L’acido urico viene eliminato come tale. Nelle urine troveremo l’acido urico che conserva nella sua molecola l’anelo della purina. Nel catabolismo dell’adenina abbiamo ottenuto l’ipoxantina, questa verrà trasformata in acido urico previa la trasformazione intermedia di xantina. Dal catabolismo della guanosina-5-P o della guanina otteniamo come intermedio xantina che viene trasformata in acido urico. L’enzima che trasforma xantina in acido urico è lo stesso che trasforma l’ipoxantina in xantina. Ipoxantina diventa xantina ad opera dello stesso enzima che trasformerà la xantina in acido urico e che si chiama xantina ossidasi. Quindi questo enzima è tipicamente aspecifico come substrato, in quanto riconosce sia l’ipoxantina, sia la xantina, ed in entrambi i casi forma acido urico. La xantina ossidasi è un enzima flavinico, quindi porta come gruppo prostetico FAD ed è localizzata a livello dei perossisomi dove c’è la β -ossidazione perossisomale. A livello dei perossisomi è sempre accompagnata da altre ossidasi, in particolare dalla L-amminoacido ossidasi, dalla D-amminoacido ossidasi e dalla catalasi. La β-ossidazione che si svolge nei perossisomi è atipica perché per alcuni aspetti si discosta dalla β-ossidazione mitocondriale. La xantina ossidasi porta inizialmente due molecole di FAD per mole di protide, in più è un metallo protide, i cui metalli sono due. Uno è il molibdeno per cui si parla di una molibdoproteina, l’altro è il ferro. In pratica ci sono due atomi di molibdeno e otto di ferro per mole di enzima. Quindi porta 2 FAD, 2 molibdeno e 8 atomi di ferro. Il molibdeno e il ferro variano di valenza nel corso della reazione . Il molibdeno passa da valenza 6 a valenza 4 ed il ferro da valenza 3 a valenza 2.Inoltre, mentre il ferro è direttamente legato alla proteina, il molibdeno è legato alla proteina tramite un supporto rappresentato da una parte della molecola che richiama quello del THF, precisamente una uterina e probabilmente una tetraidrobiopterina. Questa uterina non è stata identificata definitivamente ma è stato identificato il sito di legame per il molibdeno. Noi siamo in grado di sintetizzare questa uterina partendo da guanosin-5-P. Abbiamo solo l’anello pirimidinico e l’anello pirazinico condensati, manca della sequenza paraminobenzoico e in più c’è una catena laterale che è un propandiolo. La parte che va dal N5 all’N8 più la catena laterale sono derivate dalla molecola del guanosin-5-P (in cui la catena laterale è composta da alcuni dei carboni del riboso), mentre i due atomi di N derivano dall’anello imidazolico del guanosin-5-P.L’anello imidazolico si è aperto e ha parzialmente inglobato la catena del riboso. Il molibdeno si pensa formi composti di coordinazione con i due ossidrili della catena del propandiolo. La xantina ossidasi è un enzima flavinico, ma una flavina di tipo ossitropo cioè ha un’alta affinità per l’ossigeno molecolare. Mentre flavina anossitropa vuol dire che ha una ridotta affinità per l’O2. Negli enzimi flavinici ossitropi l’enzima flavinico ridotto cede l’idrogeno all’ossigeno molecolare e forma perossido di idrogeno. Negli enzimi flavinici anossitropi la flavina ridotta si riossida a spese di una serie di trasportatori e al termine gli elettroni e i protoni andranno a formare con l’O2 una molecola di H2O. In queste flavine non si cede direttamente l’ H all’O2 ma l’ H raggiunge l’O

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tramite una serie di trasportatori intermedi e alla fine avremo formazione di H2O e non di perossido di idrogeno. Alcuni tessuti, come il fegato e la mucosa intestinale, sono particolarmente ricchi di xantina ossidasi. Nel fegato il catabolismo delle basi puriniche è nettamente dominante, nella mucosa intestinale la xantina ossidasi pare abbia un ruolo importante nell’assorbimento intestinale del ferro, anche se i meccanismi non sono chiari. Il funzionamento dell’enzima nella trasformazione dell’ipoxantina in xantina è lo stesso che avverrà nella trasformazione della xantina in acido urico. La trasformazione dell’ipoxantina in xantina comporta l’introduzione di una funzione ossidrilica a livello del C2. In questo modo l’ipoxantina si trasforma in xantina. La reazione richiede la partecipazione di H2 O e O 2 e al termine formiamo xantina più perossido di idrogeno. L’O indotto nel gruppo ossidrilico viene dall’ H2O e non dall’O2. L’O2 verrà utilizzato per formare perossido di idrogeno. Come prima reazione la xantina ossidasi facilita l’addizione di una molecola di H2O sul doppio legame tra il C2 e N3. In pratica aggiunge l’ossidrile sul C2 e l’ H all’ N3 e forma in posizione 2 un gruppo alcolico secondario, dove questo O è venuto dall’ossidrile dell’ H2O. Con questa addizione l’enzima ha creato un gruppo alcolico secondario che è suscettibile di ossidazione, cioè di deidrogenazione. A questo punto l’enzima interviene con il suo gruppo prostetico FAD e compie la reazione di deidrogenazione, cioè gli toglie via i due atomi di H sul gruppo alcolico secondario e forma FADH + H e in sua vece rimane apparentemente una funzione carbonilica, che può esistere come tale oppure trasformarsi nella forma ossidrilica, la forma enolica , formando il diidrossiderivato xantina. La forma carbonilica o chetonica è in equilibrio con la forma enolica e entrambi i gruppi ossidrilici possono passare nella forma chetonica. Il composto che ho ottenuto è un ibrido di risonanza tra diverse forme. Quando si parla di xantina si intendono queste forme fra loro in equilibrio. Dalla forma totalmente chetonica alla forma parzialmente chetonica alla forma totalmente enolica. Importante ricordare che la ipoxantina e la xantina sono relativamente solubili in acqua. Sulla xantina la xantina ossidasi ritorna una seconda volta e la trasforma in acido urico e con questo chiude il catabolismo delle basi puriniche. Questa volta vado ad attaccare in corrispondenza del C8 e con un meccanismo analogo a quello precedente l’enzima addiziona una molecola d’acqua, poi avviene la reazione di deidrogenazione e si forma il derivato chetonico, il quale può essere nella forma trichetoderivato oppure nelle varie forme intermedie. Quindi questa forma è in equilibrio con la forma enolica. Il prodotto di questa seconda reazione di ossidazione prende il nome di acido urico. Lo chiamiamo acido urico anche se non ci sono gruppi acidi perché in soluzione acquosa dà una reazione debolmente acida e si comporta come un acido debole, in quanto questo ossidrilico enolico ha una debole tendenza a dissociare, per cui lo potremo trovare in soluzione come O- + H+ e quindi formare dei sali, soprattutto dei sali con sodio oppure con potassio sotto forma di urato di sodio o urato di potassio. Mentre la dissociazione dell’ossidrile in posizione 2 è estremamente bassa ed avviene a pH ben al di sopra dell’ordine fisiologico. Quindi il gruppo OH in 8 è parzialmente dissociato, in pratica la pK di questo gruppo ossidrilico è intorno al 5,8. Il che vuol dire che al di sopra del 5,8 l’ossidrile è completamente dissociato e al di sotto di 5,8 tende a formare l’acido indissociato. pH fisiologico è intorno a 7,4 quindi è parzialmente dissociato a pH 7,4 e lo troviamo sotto di urato di sodio, urato di potassio largamente escreto con le urine. Lo troviamo nelle urine e anche in circolo, ancora sotto forma di urati e la percentuale in circolo varia normalmente intorno a 1 – 5 mg per 100 mm. Leggermente più basso nella donna in cui va da 1 a 4 mg. Nelle urine giornalmente ne eliminiamo da 600 mg a 1 g, quindi è una quota abbastanza alta. Una piccola percentuale la troviamo nelle feci nell’ordine di 10 – 30 mg al giorno. L’acido urico viene quindi eliminato prevalentemente per via renale, una piccola quantità viene secreta con le feci, in quanto viene secreta a livello dello stomaco, così pure a livello della bile,

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quindi va nell’intestino, qui è in parte degradato dalla flora batterica e una piccola quota è eliminata come acido urico nelle feci. Valori superiori a 5 mg, quindi intorno ai 7 – 10, sono valori indici di rischio, perché l’acido urico è scarsamente solubile, normalmente 1 g/l a pH 7, quindi è un valore estremamente basso, e quando superiamo questa quota l’acido urico tende a precipitare sotto forma di urati o cristalli di acido urico a livello delle cartilagini e delle articolazioni ed in parte viene eliminato con le urine. In parte questo acido urico eliminato con le urine tende forma dei cristalli che si depositano all’interno del rene e possono dare delle nefropatie. Induce calcolosi renali, calcoli che non sono formati da carbonato di calcio o ossolato di calcio, ma formati da urato di sodio e urato di potassio acido urico libero. I cristalli sono aghetti, hanno forma aghiforme e quindi tendono a ledere il tessuto su cui si depositano, per cui ne consegue una nefropatia, cioè una sofferenza renale e dolori estremamente forti a livello delle giunture e delle articolazioni. Quando questa quantità diventa evidente sfocia in una patologia indicata col termine di gotta. La gotta era notevolmente diffusa nel secolo scorso e all’inizio del secolo, oggi molto meno ed è in gran parte riferibile a difetti genetici o ad un’alimentazione non corretta, in genere un’alimentazione ricca di carni, soprattutto carne di selvaggina, che sono estremamente ricche di nuclei o tessuti ghiandolari e facilitano la formazione di acido urico. L’enzima flavinico si è ridotto ed è rimasto nella forma ridotta. Questo FAD ridotto si riossida attraverso l’intervento del molibdeno, di una seconda molecola di FAD e del ferro. Questo FAD ridotto cede elettroni al molibdeno. Dal molibdeno probabilmente passano alla seconda flavina, quindi alla seconda FAD. Dal FAD vengono ceduti al ferro e dal ferro vengono mandate all’O2 formando un anione superossido. Quindi questo FAD ridotto si ossida attraverso la riduzione e la riossidazione successiva del molibdeno, della seconda molecola di FAD e del ferro. Il ferro è responsabile del trasferimento di questi elettroni all’ossigeno molecolare per cui si forma in un primo momento l’anione superossido. Quindi gli elettroni vengono trasferiti uno alla volta all’O2 quindi formiamo da O2 per il passaggio di un elettrone una prima molecola di anione superossido. Poi arriva il secondo elettrone che compie la stessa trafila, di nuovo un O2 accetta un elettrone e formiamo il secondo anione superossido. In definitiva da questa xantina ossidasi vengono formate due molecole di anione superossido. Queste molecole di anione superossido vengono raccolte da un enzima che prende il nome di superossidodismutasi che provvede a trasformare l’anione superossido in anione perossido. Questa superossidodismutasi in pratica ossida una molecola di O a O2 riduce l’altro anione superossido in anione perossido. L’anione perossido più i due protoni che erano andati in soluzione dalla riossidazione del FAD formano perossido di idrogeno. Il perossido di idrogeno è tossico però a livello dei perossisomi esiste una catalasi che converte due molecole di perossido di idrogeno in H2O + O2. Con questo la tossicità dell’anione perossido viene neutralizzata. Importante è che all’interno dei perossisomi c’è tutto il sistema che serve per proteggerci da questo anione superossido e anione perossido, quindi nel contesto in cui la xantina ossidasi sta lavorando c’è anche il sistema che provvede a neutralizzare la tossicità degli intermedi che si formano. Tossicità che viene eliminata dall’intervento di due ossidoriduttasi, la superossidodismutasi da un lato e la catalasi dall’altro. LEZIONE DI BIOCHIMICA DEL 04 - 03 - 2003 Vi riporto prima di proseguire due schemi per seguire le varie modalità con cui un purin-nucleotide che contenga adenina o guanina arriva a trasformarsi in acido urico. Prendiamo come esempio la degradazione dell’AMP da una parte e del GMP dall’altra. L’AMP può arrivare ad acido urico attraverso almeno tre modalità differenti : la via apparentemente principale implica dapprima l’intervento di una nucleotidasi che in presenza di acqua stacca il fosfato e forma il nucleoside. La nucleotidasi potrà essere una 5 nucleotidasi o una 3 nucleotidasi a seconda che il fosfato sia in posizione 5 o in posizione 3. Nel nostro caso il nucleoside che si forma sarà adenosina. A questo punto l’adenosina può perdere il riboso e trasformarsi in adenina in una reazione ribosil

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transferasica in cui il riboso viene trasferito all’ortofosfato formando riboso 1P e adenina. Questa reazione è reversibile in quanto l’enzima è capace anche della reazione opposta : in presenza di adenina e riboso 1P è in grado di formare adenosina liberando fosfato. La trasformazione dell’AMP in adenosina è invece irreversibile. L’adenina in una reazione irreversibile in presenza di una deaminasi perde l’amminogruppo in posizione 6 come ammoniaca e arriva alla formazione di ipoxantina, la quale diverrà xantina, a sua volta trasformata in acido urico ad opera della xantina ossidasi. L’AMP può anche perdere immediatamente l’amminogruppo legato all’adenina in posizione 6 ad opera di una nucleotide deaminasi ( seconda via ) e arriviamo alla formazione del inosin-monofostato, IMP. Questo ad opera di una nucleotide fosfatasi perde il fosfato e diventa inosina. L’inosina in una reazione tranferasica mediata da una inosina fosforilasi forma ipoxantina che si ricongiunge alla via principale diventando xantina e successivamente acido urico. Terza possibilità : si parte sempre da AMP su cui interviene la 5 nucleotidasi che porta alla formazione di adenosina e a questo punto l’adenosina viene deaminata in una reazione idrolitica ad opera di un enzima chiamato adenosina deaminasi ,indicato con la sigla ADA ,traformandosi in inosina. L’enzima ADA è molto interessante in quanto è soggetto a danni di tipo genetico ; vi sono individui portatori di un difetto per cui o non formano la ADA deaminasi oppure la formano in modo incorretto. Di conseguenza si blocca una delle vie di catabolismo dei purin nucleotidi. Queste modificazioni colpiscono particolarmente i linfociti di tipo B e T, che vengono sintetizzati in quantità molto ridotte, il che comporta una grave immunodeficienza. Probabilmente il difetto genetico a livello dell’ADA va ad interferire con la sintesi dei desossiribonucleotidi impedendo alla cellula di replicarsi, essendo questi i componenti del DNA. Il difetto di questo enzima si pensa porti all’accumulo di adenosina la quale piò essere trasformata in AMP e ATP, e quest’ultimo trasformato in desossi ATP che si comporta come inibitore per l’enzima che darà origine ai desossiribonucleotidi. Viene quindi a bloccare la tappa che innesca la sintesi dei desossiribonucleotidi e la sintesi del DNA. Detto questo, siamo rimasti ieri alle reazioni della xantina ossidasi, enzima relativamente aspecifico perchè in grado di riconoscere sia la xantina, sia la ipoxantina e trasforma irreversibilmente la xantina in ipoxantina e questa in acido urico chiudendo il catabolismo delle basi azotate puriniche. L'enzima è una ossidasi, di tipo flavinico di peso molecolare intorno a 300.000 che porta nella sua struttura 2 molecole di FAD, 2 di molibdeno e 8 atomi di ferro. E' considerato una flavina ossitropa perchè il FADH2 si riossida non attraverso la catena respiratoria ma direttamente trasferendo l'idrogeno all'ossigeno molecolare formando perossido di idrogeno. D'altra parte questa xantina ossidasi non potrebbe usufruire di una catena respiratoria poichè si trova localizzata nei perossisomi, organelli che non hanno mitocondri. E' quindi la posizione di questo enzima nella cellula a far sì che questa non possa ossidarsi per mezzo della catena respiratoria. Sul meccanismo di funzionamento di questo enzima non si sa molto, l'unica cosa certa è che nell'introduzione del gruppo ossidrilico in posizione 2, l'ossigeno è portato dell'acqua e non è ossigeno molecolare, quindi l'ossigeno che noi introduciamo nella reazione entra successivamente nella riossidazione del cofattore ridotto, ma non entra come componente del substrato, cioè del prodotto della reazione. Il possibile meccanismo di reazione consiste nell'addizione in un primo momento di una molecola d'acqua sul C2, e in particolare introduco l'ossidrile legandolo al C aprendo di conseguenza il doppio legame e la valenza residua dell'N lega il protone in soluzione. Sul C2 viene dunque a crearsi apparentemente un gruppo alcolico secondario, il quale sarà suscettibile di ossidazione. A questo punto interviene l'enzima flavinico con il suo FAD e determina l'allontanamento dell'H legato direttamente al C, probabilmente come ione idruro e allontata forse come protone l'H legato all'ossigeno; sta di fatto che i 2 atomi di H si portano sul FAD e formano FADH2. Il prodotto della reazione sarà apparentemente un funzione carbonilico-chetonica, la quale funzione chetonica si pone immediatamente in equilibrio con la funzione enolica, cioè dalla forma chetonica passiamo alla forma enolica del substrato, in quanto c'è una reversibilità continua. Il problema è ora come si riossida questo enzima flavinico: l'unica cosa certa di questa fase è l'intervento nel processo di riossidazione del molibdeno e del ferro. Per cui probabilmente nel corso della riossidazione gli

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elettroni fluiscono sul molibdeno, secondo alcuni passerebbero alla seconda molecola di FAD dell'enzima, e da questo verrebbero trasferiti al ferro. In effetti sia ferro che molibdeno variano di valenza nel corso della reazione di ossidoriduzione e in particolare il ferro da trivalente diventa bivalente per tornare poi trivalente. Quindi i due metalli sono essenziali nel trasferimento degli elettroni tra il substrato che si è ossidato, l'enzima che si è ridotto nel suo gruppo prostetico e l'ossigeno molecolare. Al termine l’enzima libera un protone e un elettrone alla volta, il protone va in soluzione, l’elettrone va a legarsi all’ossigeno molecolare attraverso il ferro dell’enzima formando dapprima un anione superossido. Ogni elettrone che viene allontanato nella riossidazione del FAD passa attraverso molibdeno, FAD e ferro, raggiunge l’ossigeno molecolare e forma un anione superossido. L’enzima libera un H probabilmente sotto forma di protone più un elettrone, l’elettrone viene raccolto dall’ossigeno molecolare e forma un anione superossido, poi l’enzima rimuove il secondo elettrone e il secondo protone, segue la stessa trafila e forma il secondo anione. I due anioni superossido sono altamente tossici perché fortemente reattivi e possono con estrema facilità originare ossidazioni di proteine o grassi insaturi e la cellula se ne difende trasformandoli immediatamente in anioni perossido con liberazione di ossigeno molecolare. L’enzima che promuove questa reazione è indicato come superossido-desmutasi (SOD), ed è situata sia nel citoplasma, sia nei mitocondri. Queste superossido-desmutasi sono presenti nella cellula almeno in 2 forme : una che è un metallo protide, la più diffusa, che porta un rame e uno zinco, e una seconda che non porta metalli pesanti, ma lega magnesio. Nella prima forma il rame e lo zinco sono probabilmente legati a radicali di istidina : lo zinco ha esclusivamente funzione strutturale mentre il rame, che si trova in forma ossidata, interviene attivamente nel processo catalitico dell’enzima. In presenza del primo anione superossido liberato dalla riossidazione del FAD, il rame ossida l’anione superossido a ossigeno molecolare e a sua volta si riduce. L’enzima con rame ridotto reagisce con la seconda molecola di anione superossido riducendolo e ossidandosi a sua volta. L’anione perossido che si forma, anch’esso tossico per la cellula, viene degradato all’interno dei perossisomi ad opera di una catalasi che va di pari passo con la xantina ossidasi. Questa catalasi trasforma l’anione perossido in acqua più ossigeno molecolare. I due protoni che erano presenti in soluzione si legano all’anione perossido formando perossido di idrogeno. La catalasi agisce sul perossido di idrogeno liberando acqua e ossigeno molecolare. Questa catalasi è un emo protide con gruppo prostetico simile a quello dell’Hb, ma la grossa differenza è che nella catalasi il ferro è costantemente trivalente ; l’enzima è un tetramero, cioè formato da 4 subunità uguali ognuna delle quali porta un emo legato. L’enzima opera solo in presenza di NADPH+H. La catalasi è uno degli enzimi più attivi nel nostro organismo e quindi con estrema facilità, in rapporto alla sua elevata attività catalitica, riuscirà a neutralizzare la tossicità del perossido di idrogeno trasformandolo in acqua e ossigeno molecolare. Ci soffermiamo un attimo sull'acido urico e sul suo accumulo nei tessuti. Ci sono dei casi in cui l'acido urico si accumula in quantità eccessiva dando origine ad una patologia nota con il termine di gotta. Questa si manifesta con infiammazione delle articolazioni e danni renali in genere di tipo calcoloso, poiché questi cristalli di acido urico che tendono a depositarsi sono estremamente taglienti e acuminati e tendono quindi a lacerare i tessuti dando vita alla sensazione di dolore. La gotta si manifesta quando la quantità di acido urico in circolo supera un certo livello, il che si verifica quando si supera il valore di 7/10mg su 100ml, mentre la quantità normale nell'uomo è di circa 1/5mg su 100ml , nella donna 1/4mg su 100ml. Quali sono le cause dell'insorgere della gotta; in genere distinguiamo due tipi di gotta, una gotta di tipo 1 o primaria e una gotta di tipo 2 o secondaria. La gotta di tipo 1 è dovuta a un deficit genetico di enzimi che sono legati al metabolismo degli acidi ribo e desossiribonucleici. L'aumento di acido urico non è quindi dovuto ad una iperattività della xantina ossidasi, ma ad una eccessiva produzione di acidi ribo e desossiribonucleici che come conseguenza porterà ad un aumento, nel loro catabolismo, delle basi puriniche e quindi un aumento di acido urico. Il tipo di gotta più diffuso si riporta ad un difetto dell'enzima che dà inizio alla sintesi dei purin nucleotidi, enzima in grado di trasformare il riboso 5P in riboso 5P, 1PP che è il composto da cui prende inizio la sintesi dei purin nucleotidi. Questo

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enzima prende il nome di riboso 5P, 1PP sintetasi, in genere indicata con la sigla PRPP sintetasi. Soggetti portatori di gotta di tipo 1 hanno un'eccessiva attività di questo enzima, il che può dipendere o da una caratteristica dell'enzima, cioè da una modificazione del protide che ne causa un'eccessiva attività, o da una sua insensibilità ai fattori di modulazione negativa, che sono i prodotti finali della sua azione, cioè AMP, GMP ed eventualmente IMP. In soggetti portatori di gotta di tipo 1 la sintetasi è insensibile a questi fattori di modulazione negativa prodicendo elevate quantità di basi puriniche dal cui catabolismo deriverà un eccessivo accumulo di acido urico. Il difetto è dunque sulla via di sintesi dei purin nucleotidi. Un'altra causa della gotta di tipo 1 è la modificazione di un altro enzima che interviene nella sintesi dei purin nucleotidi, che è soggetto allo stesso tipo di modificazione ma che interviene nella seconda tappa della via di sintesi. La gotta di tipo 2 è invece di tipo indotto, cioè avviene laddove vi sia un eccessivo catabolismo di acidi ribo e desossiribonucleici: succede ad esempio nella leucemia dove abbiamo una distruzione intensa di globuli bianchi, ricchi di acidi ribo e desossiribonucleici per via del loro nucleo molto espresso, che per via della loro distruzione di massa portano ad un accentuato catabolismo delle basi puriniche e da qui ad un accumulo di acido urico. Terza possibilità, un metabolismo glicidico alterato : è frequente una iperuricemia in soggetti portatori di glicogenosi, una patologia causata da un accumulo di glicogeno, o nel fegato, o nel muscolo o in entrambi i tessuti, il che si risolve in un rischi frequente di ipoglicemia. In queste condizioni si sviluppa un metabolismo prevalentemente anaerobico, che porta a formazione di acido lattico, conseguentemente un abbassamento di pH e quindi una diminuzione della solubilità di acido urico che precipita sotto forma di cristalli. Si hanno forma temporanee di iperuricemia laddove si bevano liquidi estremamente acidi e in notevole quantità : viene superato il potere tamponante del sangue, si ha acidificazione delle urine e precipitazione di acido urico. Ultima possibilità, l’iperuricemia può essere causata da un difetto dell’enzima ADA, ma non è ben chiaro che cosa porti in questo caso all’accumulo di acido urico. Per prevenire l’iperuricemia e dunque la gotta, il modo più efficace è quello di bloccare l’attività della xantina ossidasi, bloccando il catabolismo delle basi puriniche a livello dell’ipoxantina, che è notevolmente più solubile dell’acido urico. Per fare questo è stato sviluppato un composto particolarmente efficace che viene largamente usato in terapia, che prende il nome di allopurinolo, che è un inibitore competitivo della xantina ossidasi, poiché simula la forma del substrato naturale della xantina ossidasi, vale a dire dell’ipoxantina. Questo allopurinolo è in pratica una ipoxantina , da cui differisce per la sostituzione dell’anello imidazolico con un anello pirazolico in cui i due atomi di N sono in posizione orto(posizione 8 e 9) anziché para(7 e 9). La terapia con allopurinolo può essere prolungata per lungo tempo per via della sua bassissima tossicità. L’acido urico è il prodotto finale del catabolismo delle basi puriniche solo nell’uomo e nella scimmia, mentre negli altri mammiferi, questo prosegue fino alla formazione di allantoina che viene eliminata con le urine. Nei pesci e negli anfibi il catabolismo prosegue ulteriormente e dall’allantoina si passa ad acido allantoico, eliminato come prodotto terminale attraverso le urine. Iniziamo ora il catabolismo dei pirimidin nucleotidi. Questo presenta grosse differenze con il catabolismo dei purin nucleotidi in quanto l’anello pirimidinico viene totalmente degradato, demolito. Sono dunque due catabolismi totalmente differenti. Prendiamo come esempio di partenza il UMP, uridin monofosfato. Successivamente analizzeremo anche la desossi timidina 5P. La via che seguono inizialmente è la stessa dei purin nucleotidi : possiamo cioè avere una 5 nucleotidasi o una 3 nucleotidasi che stacca il fosfato formando uridina. L’uridina ad opera di una nucleosiode fosforilasi perde il riboso 1P in presenza di fosfato e forma la base uracile. Nel caso del CMP, possiamo avere due vie : la prima porta, attraverso lo stesso meccanismo dell’UMP, alla formazione di citosina che successivamente viene trasformata in uracile ; la seconda possibilità è quella di perdere subito l’amminogruppo come ammoniaca e trasformarsi dunque subito in UMP, che entra nella precedente via di catabolismo. Può inoltre perdere l’amminogruppo a livello della citidina, trasformarsi in uridina e ricollegarsi alla via di catabolismo dell’UMP. Il terzo nucleotide che ci interessa, la desossitimidin5P, segue una trafila molto simile a quella dell’UMP, poiché la differenza sta solo nella base, che è metilata in posizione

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5. Da desossitimidin5P si passa a desossitimidina e successivamente alla base timina. La timina sarà poi degradata secondo un catabolismo specifico. Sia nel catabolismo dei purin nucleotidi, sia in quello del CMP, abbiamo sempre liberazione di ammoniaca in una reazione di idrolisi. Questa è un composto altamente tossico per la cellula in quanto porta ad un aumento del pH intracellulare, e dunque la cellula cerca in ogni modo di difendersene. Per fare questo ha a disposizione essenzialmente due meccanismi, uno che consiste nell’utilizzare acido glutammico, l’altro nell’utilizzo di glutammina. Nei tessuti periferici i due meccanismi sono operanti e servono ad eliminare da questi l’ammoniaca ; nel fegato il rischio di tossicità dell’ammoniaca è evitato in quanto questa può essere direttamente diretta verso il ciclo dell’urea ed eliminata sotto forma di urea. Nei tessuti periferici l’ammoniaca è dunque neutralizzata attraverso l’acido glutammico e la glutammina, questi due composti lasciano il tessuto periferico, si portano al fegato e qui l’amminogruppo viene eliminato come ammoniaca e questa è diretta al ciclo dell’urea. Per quanto riguarda il funzionamento dell’acido glutammico, questo si basa sulla disponibilità di alfachetoglutarato, di cui la cellula dispone essendo questo un intermedio del ciclo dell’acido citrico. Quindi nei tessuti periferici una parte dell’alfachetoglutarato formato nel ciclo dell’acido citrico, può lasciare il ciclo e servire a neutralizzare l’ammoniaca che si è eventualmente formata. Tutta l’ammoniaca che si forma nei tessuti periferici, e ne abbiamo un esempio nel catabolismo delle basi azotate sia puriniche che pirimidiniche e in quello degli amminoacidi, viene neutralizzata e successivamente convogliata al fegato sotto forma di acido glutammico, quindi nell’amminogruppo dell’acido glutammico, o sotto forma di glutammina. Il primo passaggio del meccanismo di difesa del nostro corpo è la trasformazione dell’ammoniaca in acido glutammico, di cui entra a far parte come amminogruppo, in una reazione di ossidoriduzione catalizzata dalla glutammato DH. La glutammato DH catalizza per un equilibrio reversibile, cioè in presenza di ammoniaca e alfachetoglutarato può formare glutammato o, viceversa, dal glutammato può formare alfachetoglutarato e ammoniaca : è quindi un enzima con funzione bidirezionale. Altra caratteristica importante di questa DH è che può utilizzare indifferentemente come cofattore NADH+H o NADPH+H. Se consideriamo l’equilibrio ammoniaca più alfachetoglutarato verso glutammato, in cui l’alfachetoglutarato viene dal ciclo di Krebs, il primo intermedio che si forma tramite una reazione spontanea accentuata tuttavia dalla presenza dell’enzima è il legame dell’ammoniaca sul chetogruppo dell’alfachetoglutarato che porta alla formazione di una chetimmina intermedia, detta anche acido imminoglutammico. Su questo acido imminoglutammico interviene a questo punto l’enzima, che si comporta effettivamente come osteoridutassi, che utilizza come cofattore nella reazione NADH+H o NADPH+H. Cosa fa in pratica l’enzima : addiziona l’H legato al NADH+H al C alfa sotto forma di ione idruro e utilizza il protone presente in soluzione mandandolo all’amminogruppo, per cui il prodotto della reazione sarà acido glutammico più NAD+. Quando la glutammato DH agisce come cofattore ridotto preferisce usare come cofattore NADPH+H, quando agisce come cofattore ossidato preferisce elettivamente il NADH+H, con preferenza per il NADPH+H quando la reazione va verso la riduzione e NADH+H quando va verso l’ossidazione. E’ importante ricordare che l’enzima è mitocondriale, quindi questa reazione avviene nello stesso compartimento in cui si forma l’alfachetoglutarato proveniente dal ciclo di Krebs, e c’è dunque uno stretto rapporto tra ciclo di Krebs, alfachetoglutarato e glutammato DH. A questo punto il glutammato lascia il tessuto periferico e in questo modo l’ammoniaca viene allontanata, dirigendosi verso il fegato dove per una reazione inversa si formano ammoniaca e alfachetoglutarato, con la chetimmina come intermedio. L’ammoniaca entra dunque nel ciclo dell’urea a livello del fegato e verrà eliminata come urea, appunto. Nei tessuti periferici l’equilibrio della reazione è spostato verso la reazione di riduzione, mentre nel fegato va in direzione esattamente opposta. Questo era il primo meccanismo. Il secondo meccanismo coinvolge la sintesi di glutammina, che è la monoammide dell’acido glutammico che si forma in un processo di amminazione del carbossile gamma dell’acido glutammico.

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Di nuovo dal ciclo di Krebs si forma alfachetoglutarato che diventa glutammato, attraverso più meccanismi oltre che tramite la glutammato DH, in quanto gran parte del glutammato si forma attraverso reazioni di transamminazione e non attraverso la glutammato DH come vedremo nel metabolismo degli amminoacidi. Arrivati ad acido glutammico, questo si trasforma in glutammina in una reazione ligasica mediata da una glutammato - ammoniaca ligasi, correntemente indicata come glutammina sintetasi. Il funzionamento di questo enzima non è completamente noto e della sua regolazione si parlerà nel metabolismo degli amminoacidi, ma sappiamo che l’intermedio che si forma nella reazione è un glutammil fosfato in cui il fosfato che proviene dall’idrolisi dell’ATP viene a legarsi temporaneamente al carbossile gamma formando un intermedio anidridico. Si forma quindi un gamma carbossil fosfato intermedio che in presenza di ammoniaca libera il fosfato e forma l’amminogruppo attraverso un legame ammidico. La glutammina formata lascia il tessuto periferico, in una reazione particolarmente attiva al livello del cervello e del muscolo, arriva al fegato oppure ai reni. Nel fegato la glutammina viene attaccata da una idrolasi, una glutamminasi, che idrolizza il legame ammidico, libera ammoniaca e forma acido glutammico. L’ammoniaca liberata entra nel ciclo dell’urea e viene eliminata sotto forma di urea. Nel rene avviene la stessa reazione, tuttavia qui l’ammoniaca liberata viene immediatamente espulsa dall’organismo come tale ; non viene trasformata in urea come accade a livello del fegato. Questo processo di eliminazione dell’ammoniaca attraverso la conversione in glutammato e glutammina entra nel grosso capitolo delle reazioni di detossificazione della cellula, cioè processi in cui la cellula elimina sostanze tossiche. Iniziamo ora la parte sul catabolismo delle basi azotate. Siamo arrivati alla formazione di uracile, il quale proviene sia dalla citosina sia da uracile stesso, che entra in catabolismo. Questo avviene per la maggior parte nella frazione solubile della cellula, cioè nel citoplasma. La prima reazione che avviene è di riduzione in presenza di NADPH+H, in cui interviene una uracile riduttasi che riduce il doppio legame trasformando l’uracile in diidrouracile. Questo va ora incontro ad una reazione di idrolisi : viene rotto il legame tra l’N3 e il C6 per effetto di una diidrouracile idrolasi detta anche cicloidrolasi, in una reazione irreversibile in presenza di acqua. Si apre dunque l’anello pirimidinico e si forma un acido a catena lineare che sarà un derivato dell’acido propionico, chiamato acido β - ureido propionico in cui il gruppo NH2-CO-NH2 è un radicale dell’urea. L’urea è la diammide dell’acido carbonico, il radicale perde un H e avremo l’ureido gruppo che si trova legato al C β dell’acido propionico. Abbiamo ora una nuova reazione di idrolisi in cui interviene una idrolasi che scinde il legame tra l’N e il gruppo carbonilico rompendo di nuovo un legame ammidico in presenza di acqua e da questa reazione si formano acido carbammico instabile, che in presenza di acqua si scinde in CO2 e NH3, e acido β ammino propionico, così chiamato perché troviamo l’amminogruppo sul Cβ anziché sul Cα, correntemente indicato come β alanina. E’ anche questa una reazione irreversibile. La β alanina va ora incontro ad una reazione di ossidazione a livello dell’amminogruppo ad opera di una β alanina ossidasi che allontana l’amminogruppo come ammoniaca e forma un gruppo aldeidico, in un processo che prende il nome di desamminazione ossidativa. L’amminogruppo viene perso come ammoniaca e l’aldeide che si forma prende il nome di semialdeide dell’acido malonico, o semialdeide malonica. Il destino della semialdeide malonica non è esattamente conosciuto, ma con tutta probabilità questa viene ossidata ad acido malonico e questo, copulato con CoA, forma malonil-CoA, il quale rientra nella sintesi dell’acido grasso. Come avvenga la trasformazione dell’acido malonico in malonil-CoA è incerto : potrebbe trattarsi di una attivazione classica, cioè in presenza di ATP che si scinde in AMP più pirofosfato, ma potrebbe avvenire anche in presenza di acetil-CoA in una reazione CoA transferasica. Insolitamente dunque un catabolita delle basi pirimidiniche va a finire nella sintesi dell’acido grasso, e potremmo dunque ritrovarlo come unità carboniosa in un acido grasso. Altra possibilità è che la semialdeide malonica, anziché venire ossidata ad acido malonico, venga ridotta a gruppo alcolico primario in presenza, forse poiché non è certo, NADH+H. Il prodotto di questa reazione, cioè un acido β idrossi

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propionico, va incontro a sua volta ad una reazione di deidrazione e si forma acido acrilico. Questo potrebbe essere ulteriormente ridotto ad acido propionico e quest’ultimo, come propionilCoA, carbossilato a metil-malonilCoA, succinilCoA, ad opera di una metil-malonilCoA isomerasi B12 dipendente, e diretto al ciclo dell’acido citrico come succinato. I metaboliti terminali della degradazione dell’uracile finiscono da una parte alla sintesi dell’acido grasso, dall’altra nel ciclo di Krebs. E con questo si ha la distruzione totale della molecola di uracile. LEZIONE DI BIOCHIMICA 05.03.03 PROF.SSA RINAUDO Continuiamo con il catabolismo delle basi pirimidiniche e chiudiamo, ci rimane da vedere il catabolismo della timina, base azotata che non ritroviamo negli acidi ribonucleici ma è confinata agli acidi desossiribonucleici dove ovviamente sarà sempre legata al desossiriboso e mai al riboso. La timina segue il metabolismo abbastanza vicino a quello dell’ uracile, perchè in effetti è derivata dall’uracile per metilazione del C5 la differenza sta proprio nel metile legata al C5 che darà dei metaboliti differenti rispetto a quelli che vengono dall’uracile. Il catabolismo segue in linea di massima le reazioni che abbiamo visto per l’uracile. Cioè la 1 reazione è fondamentale che precede ogni altra è la idrogenazione del doppio legame tra le posizioni 4 e 5 di solito interviene una riduttasi che utilizza come cofattore NADPH+H+, il quale ovviamente riduce il doppio legame, quindi satura il doppio legame e formiamo la diidrotimina. La diidrotimina va incontro a reazione di idrolisi esattamente come l’uracile che porta la rottura del legame apparentemente ammidico tra N3 e il gruppo chetonico in posizione 4 ed ad opera di una idrolasi (e quindi di una diidrotiminaidrolasi) addizioniamo l’elemento dell’acqua e apriamo l’anello quindi l’anello si apre e arriviamo a formare un acido βureidoisobutirico. La reazione è irreversibile e quindi andiamo verso la degradazione. Adesso nuova reazione di idrolisi che comporta la rottura del legame ammidico o peptidico tra l’ammino gruppo in β all’interno del gruppo ureido, si libera l’intermedio acido carbammico instabile che spontaneamente in presenza di acqua si scinde in NH3 e CO2, e formiamo l’acido βamminoisobutirico. L’ammino gruppo viene allontanato in una reazione in presenza di O2 e ad opera di una amminossidasi avviene l’ossidazione che comporta l’allontanamento di ammoniaca, trasformazione del gruppo metilenico in gruppo aldeidico e liberazione di H2O2 e formiamo una semialdeide metilmalonica. Nuova reazione di ossidazione in presenza di NAD+

attraverso la formazione dell’idrato dell’aldeide, quindi abbiamo una reazione di deidrogenazione che utilizza come cofattore NAD+, l’enzima stacca lo ione idruro all’H legato al C e lo manda al NAD+ (il solito meccanismo) e forma NADH+H+ e manda in soluzione come protone uno degli idrogeni legati alla funzione ossidrilica, per cui otteniamo un acido metilmalonico, che viene attivato a metilmalonilCoA, e adesso ci ricolleghiamo con il metabolismo dell’acido propionico, il metilmalonilCoA in presenza del coenzima B12 ad opera di una metilmalonilCoAisomerasi si trasforma in succinilCoA che andrà nel ciclo di Krebs. Allora per questa reazione vi riportate al catabolismo dell’acido propionico che abbiamo discusso nel catabolismo degli amminoacidi, così vi rivedete tutto il meccanismo della reazione, quindi mentre il catabolismo dell’uracile forma malonilCoA che andrà nella sintesi degli acidi grassi, il catabolismo della timina forma metilmalonilCoA che andrà nel ciclo di Krebs. Ultima considerazione NH3 che si rende libera nel corso della reazione nel corso del catabolismo verrà convogliata nei tessuti periferici su acido glutammico oppure su glutammina, a livello epatico andrà su acido glutammico e poi tutto l’acido glutammico periferico come la glutammina periferica veicolati al fegato dove ad opera della glutammatodeidrogenasi porteranno la formazione dell’NH3 che entrerà nel ciclo dell’urea Quindi non tutta l’ammoniaca trasformata in urea viene dal catabolismo degli amminoacidi di cui parleremo nelle prossime lezioni, ma una buona parte dell’ammoniaca che si rende libera nei tessuti viene dal catabolismo delle basi puriniche e pirimidiniche e anche questa andrà a formare urea. Con questo chiudiamo il catabolismo delle basi puriniche e delle basi pirimidiniche e passiamo adesso al II aspetto cioè la sintesi dei purin e pirimidin nucleotidi.

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SINTESI DEI PURIN E PIRIMIDIN NUCLEOTIDI È un processo notevolmente difficile specialmente per quanto riguarda la sintesi dei purinnucleotidi da composti semplici: è un processo estremamente complicato. I considerazione: la sintesi del purin e pirimidin nucleotidi può muovere da basi azotate già formate, quindi può muovere a partire da adenina, dalla guanina, dalla citosina, dall’uracile cioè da basi già preesistenti eventualmente anche dalla timina, alternativamente può procedere a partire da composti semplici e quindi costruiamo completamente la base azotata, quindi o partiamo dalla base già formata la quale deriva ovviamente dal catabolismo dei purin e pirimidin nucleotidi, oppure la costruiamo ex novo. La grossa differenza nella sintesi ex novo fra purin e pirimidin nucleotidi è che la base azotata nei purin nucleotidi si costruisce su un supporto che è rappresentato da una forma attiva del riboso in particolare il riboso5P1pirofosfato, quindi su questa molecola costruiamo progressivamente l’anello imidazolico e l’anello pirimidinico. Il supporto dà l’innesco alla costruzione della base. Nel caso invece dei pirimidinnucleotidi, la base si costruisce prima, e una volta formata, viene trasferita a riboso5P1PP, quindi in entrambi casi verremo a formare il nucleotide, però nel caso dei purin nucleotidi il nucleotide si è costruito su riboso, e nel caso dei pirimidin nucleotidi la base si forma di per sé indipendentemente dal riboso e da ultimo viene portata sul riboso: questa è la grossa differenza nelle 2 vie di sintesi. Vediamo allora il I aspetto, cioè costruiamo il nucleotide a partire da basi preformate che ovviamente derivano dal catabolismo di purine pirimidin nucleotidi questa via è del tutto secondaria e viene considerata come via di salvataggio cioè una via di recupero, quindi vuol dire non è la via predominante nella cellula; la cellula in genere preferisce costruirsi la base. Le basi che entrano in questa via di sintesi possono essere adenina, timina, guanina, citosina e uracile tenendo conto che non è possibile costruire il nucleotide modificando eventualmente la base, cioè ad esempio, potrei pensare di costruire prima la citosina amminando l’uracile, no, perché, le reazioni di trasformazione avvengono sul nucleotide e non a partire dalla base azotata, quindi entrano le basi come tali e non possono essere modificate, quindi non posso pensare, nel corso, di trasformare la base azotata in un’altra base ad es. trasformare l’uracile in citosina, perché il processo di trasformazione uracile-citosina avviene durante la sintesi del nucleotide e quindi non si può trasformare uracile in citosina a base azotata singola. L’amminazione prevede una forma più complessa che non sia la base azotata, in effetti prevede la forma sotto forma di nucleotide. Così lo stesso non posso pensare di derivare la timina dall’uracile, perché questa si costruisce a partire dal nucleotide; o peggio ancora, trasformare l’adenina in ipoxantina e poi andare ad ossidare la xantina in ipoxantina xantina e poi trasformarla in guanina, questo non è possibile, queste trasformazioni avvengono soltanto quando la base è legata in forma complessa a formare il nucleotide, quindi trasformeremo IMP in AMP, e trasformeremo IMP in GMP, perché la base è legata a un supporto, cioè è legata al riboso, quindi le basi libere non possono essere modificate. Come base libera prendiamo ad es. l’adenina e quello che dico per l’adenina va bene per la guanina; per le basi pirimidiniche prendiamo l’uracile come esempio, ma le reazioni si ripetono pari pari. Nella I reazione l’adenina puo’ essere trasformata direttamente in AMP in una reazione a cui partecipa un composto che ancora non conosciamo e ne vedremo la sintesi adesso che è il riboso 5P1PP, che e’ indicato con la sigla PRPP. In una reazione pentosilpentosofosfatotransferasica il pentoso riboso 5 P viene portato su N 9 della adenina, con liberazione di pirofostato e formiamo AMP: vale la regola che il composto che dona e’ il composto che si accorcia,il composto che perde e’ il rib 5P1PP. Allora, reazione di trasferimento, rib5P viene portato sulla adenina in particolare su N9, e formiamo AMP+PP. La reazione è irreversibile, perché il pirofosfato che si libera nel corso della reazione lo abbiamo già visto più volte è composto tossico per le cellule e immediatamente ad opera di una pirofosfatasi viene risolto in 2 molecole in ortofosfato. Altra considerazione: nel riboso 5P1PP in legame C1 glucosidico era nella forma anomerica α quando viene a legarsi nella base azotata diventa β, quindi questa transferasi ha la caratteristica di rovesciare la configurazione del C

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anomerico in pos.1 del PRPP passando dalla configurazione α alla configuraz. β che e’ quella che caratterizza il legame glucosidico di tutti i nucleosidi. In più qui avevamo un legame O-glucosidico, che nel caso del legame tra il riboso e la base azotata diventa un legame N-glucosidico. La stessa reazione si applica all’uracile, quello detto per l’adenina vale anche per l’uracile. Anche l’uracile + PRPP, in una reazione di nuovo pentoso fosfatotransferasica, questa volta specifica perché la base azotata dà la specificità: quindi e’ una transferasi specifica per l’uracile, formiamo UMP. La stessa reazione la applichiamo alla guanina e formeremo GMP o la applichiamo alla citosina e formeremo CMP. Problema invece riguarda la timina, la quale molto difficilmente viene usata come base libera, in quanto non abbiamo del desossiriboso libero, ma il desossirib. lo formiamo sempre dopo riduzione del riboso in forma già legata al nucleotide, per cui la formazione di nucleotidi con base azotata timina attraverso il processo di sintesi di salvataggio, cioè utilizzo della base preformata, è estremamente improbabile, in quanto non c’è disponibilità o è estremamente ridotta la possibilità di avere del desossiriboso 5 P1PP. Il vantaggio di questa reazione è che porta la formazione direttamente del nucleotide, quindi non passiamo attraverso il nucleoside; AMP poi in 2 reazioni cinasiche (e anche UMP) si trasformera’ in ATP. Allora formato AMP, 2 reazioni cinasiche formeranno ATP. Importante e’ ricordare che la fosforilazione avviene gradualmente, prima la AMP reagisce con una molecola di ATP, in una reazione cinasica l’ATP dona il fosfato e forma 2 molecole di ADP. L’enzima che catalizza questa reazione prende il nome di adenilatocinasi, perché ha come substrato l’adenilato o anche miocinasi. La reazione è reversibile, quindi l’enzima da 2 molecole di ATP può formare AMP e ATP o viceversa da AMP + ATP può formare 2 molecole di ADP. La II cinasi non utilizza come cosubstrato l’ATP, perché sarebbe illogico, ma utilizza il GTP, quindi la successiva reazione cinasica, e’ questa volta il GTP che dona il fosfato, la reazione è di nuovo reversibile e formeremo ATP+GDP, il II enzima sarà un ADPcinasi, che utilizza cosubstrato il GTP. Essendo reazioni cinasiche sono tutte Mg2+ dipendenti. Per quanto riguarda l’UMP la sua progressiva fosforilazione avverrà sempre su intervento ATP, quindi dapprima una rezione cinasica UMP+ATP formerà UDP+ADP, e poi UDP + ATP formerà UTP+ADP. Lo stesso vale per GMP e per CMP. Ora si sintetizza il PRPP e questo lo rimandiamo alla sintesi delle basi puriniche e pirimidiniche ex novo , ne parliamo in quella sede. Per il momento lasciamo in sospeso la sintesi del cosubstrato che la vediamo subito dopo. Altra alternativa in questa via di salvataggio è la trasformazione della base azotata in nucleoside e poi la trasformazione successiva del nucleoside in nucleotide. Questo vale per tutte le basi azotate eccetto che per la timina. Andiamo da adenina + rib 1P reazione pentosiltransferasica, il rib. viene portato sull’adenina e si libera ortofosfato. La reazione è perfettamente reversibile. La reazione è pentosiltransferica questa volta il riboso 1P dona il riboso, nella reazione si libera l’ortofosfato e formiamo adenosina + ortofosfato. Viceversa dalla adenosina + ortofosfato è possibile formare adenina + rib 1 fosfato, e l’abbiamo visto ieri nelle reazioni del catabolismo dei purinnucleotidi. Il problema è da dove viene il rib 1P. Viene dal ciclo dei pentosofosfati, dove all’inizio della fase anossidativa formiamo rib 5P. Il rib5P per una isomerasi viene trasformato in rib1P essendo cofattore il rib1-5 bisfosfato.(un diestere) Analogamente a quanto abbiamo visto prima della glicolisi anaerobia, nella immissione del G1P come G6P. Nella reazione di trasferimento del riboso, l’enzima trasforma la configurazione α glucosidica presente sul riboso 1P, in una config. β glucosidica, al momento in cui il rib si lega alla base

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azotata, questa è una caratterstica delle pentosiltransferasi che rovesciano sempre la configurazione del legame glucosidico dal substrato al prodotto della reazione. Quello che abbiamo detto per questa reazione vale anche per l’uracile, (uracile +rib1P forma uridina + ortofosfato). Adesso il problema è di trasformare il nucleoside in nucleotide, la reazione è catalizzata da una cinasi, (una nucleoside cinasi) che utilizza come cosbustrato ATP, la reazione è irreversibile, perchè passiamo da un legame di anidride sull’ATP, legame ricco di energia, in un legame a bassa energia, quale il legame estere che lega il P a C5 del rib, la reazione è fortemente esoergonica. Lo stesso vale per l’uridina , l’uridina + ATP formiamo UMP + ADP, reazione sempre irreversibile. Mentre la fosforilazione dei nucleotidi sono reazioni reversibili, la fosforilazione dei nucleosidi e’ irreversibile. Con questo chiudiamo la sintesi dei purin e pirimidin nucleotidi a partire da basi azotate preformate quindi libere. Vediamo adesso la sintesi dei pirimidin nucleotide a partire da composti semplici, processo molto complicato anche per la nomenclatura La sintesi exnovo dei purinnucleotidi inizia a partire dalla disponibilità di rib 5P1PP che è il composto che dà l’innesco al processo di sintesi e pertanto l’enzima che formerà questo composto è un enzima altamente regolato perché si trova all’inizio di una via di sintesi. Quindi, ci sarà una forte pressione da parte dei componenti della cellula sull’enzima per modulare la sua attività. L’enzima utilizza come substrato il rib5P che viene direttamente dalla I reazione della fase anossidativa del ciclo del G6P, il ribuloso5P, per la reazione di isomerizzazione si trasforma in rib5P; quindi attingiamo la sintesi delle fasi puriniche al ciclo del G6P ed è fortemente dipendente dall’attività di questo processo. Il metabolismo glicidico condiziona il metab. delle basi puriniche e pirimidiniche. Lasciamo indefinita la configurazione del C anomerico del rib perché quando e’ in soluzione e’ in equilibrio tra le forme α e le forme β, seppure l’equilibrio e’ spostato al favore della forma β. Interviene come enzima una 5 fosforibosil 1 pirofosfatosintetasi (PRPP sintetasi) Donatore del pirofosfato è il l’ATP quindi è il II esempio di reazione pirofosfocinasica che incontriamo. (il I es. era: tiamminapirofosfato dalla vit. B1 tiamina in una reazione pirofosfocinasica formiamo tiamina pirofosfato, e perciò formiamo il gruppo prostetico degli enzimi che abbiamo visto piruvato idrogenasi e quelli legati al ciclo dei pentosofosfati). Qui c’è una pirofosforilazione in 1 del rib. La reazione è irreversibile perché l’AMP che si forma viene rapidamente allontanato dal sistema, prodotto della reazione sarà AMP + rib5P1PP. Allora l’enzima è fortemente dipendente da Mg2+ ed è fortemente regolato nel senso di attivazione da rib5P, quindi potenti attivatori sono Mg2+, da cui l’enzima dipende strettamente, e il rib5P. Potenti inibitori dell’enzima sono IMP (1° nucleotide che formeremo) AMP, GMP, i quali esercitano una pressione nettamente negativa sull’enzima e quindi faranno da fattori di regolazione, il che vuol dire che se nella cellula si accumulano questi nucleotidi, immediatamente la sintesi delle basi puriniche da composti semplici si frena. Quindi quanto detto ieri una iperoglicemia (gotta I) può derivare da una modulazione dell’attività dell’enzima, in quanto da un difetto di questo enzima potrebbe non risentire della pressione negativa data dal mononucleotide, oppure viene formato in eccesso (è iperattivo) quindi se è molto attivo ci sarà una sintesi forte di purinnucleotidi e quindi una maggiore quantità di nucleotidi che verranno catabolizzate da acido urico, da cui iperoglicemia che consegue. Quindi se l’enzima non risente di questa inibizione sarà sregolato nel senso di un’attivazione estrema. Prima reazione che dà inizio è la formazione di questo rib5P1pirofosfato; da questo momento in poi ci addentriamo nel processo di sintesi tipico del purinnucleotide a partire da composti semplici, e in questo processo saranno coinvolti fortemente amminoacidi, quindi la formula degli amminoacidi sarà importante conoscerla, vale a dire gli amminoacidi che vengono utilizzati sono la Glicina, la Glutammina e l’acido aspartico, sono i 3 più fortemente coinvolti, poiché gli amminoacidi contengono un N, ne consegue che l’N che entrerà a formare l’anello purinico è l’azoto che viene

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dall’amminogruppo degli amminoacidi. Secondo composto che viene coinvolto nella sintesi sarà il tetraidrofolato (THF) sotto forma di formiltetraidrofolato (o metenilTHF), quindi la non disponibilità di acido folico porta come conseguenza ad una modulazione negativa della sintesi dei nucleotidi purinici. Allora vediamo di affrontare il processo: I reazione: il rib5P1PP interagisce con una Glutammina e formiamo l’intermedio 5fosforibosilammina, in pratica perdiamo il pirofosfato al C1 e leghiamo il C1 all’amminogruppo quindi formiamo la 5fosforibosilammina. Donatore dell’amminogruppo è la Glutammina per quanto riguarda l’amminogruppo legato in legame ammidico, quindi legato al carbossile γ. La reazione che segue, quindi II reazione del processo, interviene una molecola di glutammina e l’ammidogruppo, cioè l’amminogruppo legato con legame ammidico, viene portato al C1 del rib il quale ovviamente perde il PP, quindi l’enzima è considerato un ammidotransferasi, perché lavora su un gruppo ammidico e trasferisce questo amminogruppo in legame ammidico, lo trasferisce al C1 del riboso, quindi arriviamo alla formazione di 5fosforibosilammina. Nel momento in cui lega l’amminogruppo al C1 rovescia la configurazione del legame glucosidico che da α nel PP diventa β, quindi si forma un 5fosforibosilammina in configurazione β. La reazione è irreversibile, non ha bisogno di apporto di ATP, perché l’energia viene donata dal PP, che simultaneamente viene scisso in 2 molecole di ortofosfato. Non è una reazione ligasica, ma ammidotransferasica, perché non abbiamo consumo di ATP, in quanto è sufficiente il legame pirofosforico sul C1 a dare l’apporto energetico richiesto per la reazione, per cui nel corso della reazione liberiamo l’acido glutammico, 2 molecole di ortofosfato, + 1-5-fosforibosilammina. Questo amminogruppo è il precursore del N9 dell’anello imidazolico, quindi la sintesi della base purinica procede sull N dell’anello imidazolico per poi procedere successivamente nella sintesi dell’anello pirimidinico, quindi prima si forma l’anello imidazolico e poi quello pirimidinico. Primo intervento del metabolismo degli amminoacidi con la comparsa di glutammina la cui sintesi l’abbiamo vista ieri, cioè, acido glutammico + ATP in presenza di ammoniaca ad opera della glutammina sintetasi formiamo Glutammina, ovviamente l’acido Glutammico in larga misura viene da αchetoglutarato in un processo di amminazione che vedremo successivamente per cui la II reazione di sintesi delle basi puriniche è fortemente dipendente dal ciclo di Krebs in quanto da questo viene l’αchetoglutarato che darà origine al Glutammato. La reazione che segue: interviene un II amminoacido nella reazione che è la Glicina, quindi in presenza di glicina in una reazione ligasica che consuma ATP, il gruppo carbossilico della Glicina viene condensato con l’amminogruppo della 5fosforibosilammina a formare Glicinammideribosofosfato o 5fosforibosilglicinammide. Reazione ligasica è l’energia necessaria per formare un legame ammidico tra l’amminogruppo della 5fosforibosilammina e il gruppo carbossilico della Glicina e la formazione di un legame ammidico è sempre costosa, quindi come minimo consumiamo una molecola di ATP, ma in altre condizioni vedremo che se ne consumerà molto di più. L’enzima sarebbe una 5fosforibosilglicilammidesintetasi e con questo ci siamo già portati al 5 degli elementi che compongono l’anello imidazolico, ci manca ancora quello che sarà il futuro C8, cioè il gruppo CH in posizione 8. Questo C8 sarà il futuro C8 della base purinica, viene portato dal tetraidrofolato sotto forma di N5, N10metilentetraidrofolato, oppure sotto forma di formilTHF, comunque le due forme metilen e formil sono tra di loro interconvertibili. Allora III reazione del processo addizioniamo un C all’amminogruppo del Glicinammideribosilfosfato, donatore THF. Allora il donatore dell’unità monocarboniosa può essere o il N10formilTHF, per cui il formile è legato all’N10, oppure il composto di ciclizzazione tra N10 e N5 che prende il nome di metenilTHF; quindi o partiamo dal N10formilTHF o dal composto ciclico che si converte rapidamente nella forma formilica; N5, N10metenilTHF, perché abbiamo un gruppo CH e non un gruppo CH2; da quest’intermedio per aggiunta di un protone in presenza di acqua si arriva alla formazione di formilTHFN10, quindi le due forme sono tra loro in equilibrio. Importante è per il calcolo del costo energetico, questo formilTHF si può formare da acido formico libero + THF, ovviamente il legame dell’acido formico all’N10 costa e, in effetti, la reazione è di tipo ligasico e

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spenderemo un ATP, quindi utilizzare il THF vuol dire avere speso alle spalle precedentemente un ATP, di cui dovremo tenere conto nel computo del costo energetico per formare il nucleotide. Allora interviene una N10formilTHFtransferasi, che trasferisce il formile da THF all’amminogruppo della glicinammideribosofosfato. Allora e’ una formiltransferasi che trasferisce il formile dal N10 del THF all’ammino gruppo della glicinammide rib fosfato, quindi questo carboniometenilico in presenza di acqua più un protone o direttamente dal formile (l’Harper utilizza il metenil) mentre e’ più probabile l’utilizzo del formil THF; dona l’unità monocarboniosa, la quale viene inserita e formiamo formilglicinammide-rib- fosfato e con questo abbiamo tutti gli atomi componenti l’anello imidazolico della base purinica, per cui verrebbe da pensare che non c’è da chiudere e legare insieme il C che abbiamo aggiunto adesso con l’ammino gruppo legato al rib per avere l’anello imidazolico; sembrerebbe logico che adesso l’anello si chiuda direttamente per riunione del formile all’immino gruppo legato al rib, in effetti prima della chiusura precede una ulteriore reazione che comporta l’introduzione di un ammino gruppo a livello del C2, quindi questo gruppo chetonico viene sostituito da un ammino gruppo. Il donatore dell’ammino gruppo è la glutammina, quindi una nuova molecola di glutammina viene spesa. Reazione di tipo ligasico, interviene una ligasi che lega l’ammino gruppo del legame ammidico della glutammina lo lega al C carbonilico della formilglicinammide-rib- fosfato. Il meccanismo della reazione è oscuro, arriviamo comunque alla formazione di questo amminoderivato, molto probabilmente prima c’è imminoderivato intermedio, quindi, nel momento in cui l’ammino gruppo viene trasferito, si forma un intermedio imminico, che è in equilibrio con l’intermedio amminico, per una trasposizione del doppio legame tra il C-N tra i due carboni, quindi prima si formerebbe l’intermedio imminico, che poi si stabilizza con l’intermedio amminico. Glutammina dona l’amminogruppo legato con legame ammidico, si libera acido glutammico, simultaneamente l’ATP si scinde in ADP e P e formiamo un amminoformilglicinammideribfosfato. La reazione che segue porta la chiusura dell’anello imidazolico. Si parla di una 5fosforibosilamminoimidazolociclasi (o cicloidrolasi), la quale per eliminazione di acqua chiude l’anello imidazolico tra l’N imminico e il gruppo formilico. La reazione, probabilmente, prevede la formazione di un intermedio, in cui il gruppo aldeidico è in forma enolica, cioè probabilmente l’intermedio attivo è l’intermedio enolico, quindi si ha una trasposizione del doppio legame tra il gruppo CO e i due carboni vicini, per cui è facile prevedere l’eliminazione di una molecola d’acqua con chiusura dell’anello. Adesso cominciamo a costruirci l’anello pirimidinico: in ordine quello che viene inserito per primo sarà il futuro C6 dell’anello pirimidinico, quindi il C che sarà destinato a legare poi l’amminogruppo. Ora questo C istantaneamente viene inserito come bicarbonato ione, quindi si parte da CO2 (anidride carbonica o bicarbonato ione ) senza necessità di cofattore, quindi l’enzima non utilizza un gruppo prostetico (normalmente le reazioni di carbossidazione che abbiamo visto finora prevedevano biotina e la reazione era di tipo ligasico: esempio piruvatocarbossilasi, avevamo utilizzato piruvato + CO2 + ATP in presenza dell’enzima biotinico). In questo caso non interviene biotina, né è richiesto l’intervento di vitamina K, che è un altro agente coinvolto nella reazione di carbossilazione, quindi è indipendente apparentemente da cofattori e non è una rezione ligasica, quindi non si sa bene quale sia il meccanismo di questa reazione, per cui viene introdotto in presenza di CO2 si forma un gruppo carbossilico che viene legato al C2 dell’imidazolo in via di formazione, quindi reazione di carbossilazione. La reazione è irreversibile e formiamo un 2ammino3carbossimidazoloribosofosfato, adesso interviene un III amminoacido nella sintesi della base purinica che è l’acido aspartico, che concorre alla formazione dell’anello purinico donando l’amminogruppo; la reazione è di tipo ligasico e prevede la formazione di un legame tra l’amminogruppo dell’acido aspartico e il gruppo carbossilico per eliminazione di una molecola d’acqua, per cui formiamo un nuovo intermedio che possiamo identificare come 2ammino3succinilcarbossiammideimidazoloribfosfato. Dedichiamo l’attenzione su questo intermedio, perché frequentemente troveremo l’acido aspartico (ancora nel ciclo dell’urea) come donatore di amminogruppi in un meccanismo simile a quello che abbiamo appena visto. Quindi interviene come donatore di un amminogruppo in una reazione ligasica in cui si forma questo

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intermedio succinil derivato. È un po’ una caratteristica dell’acido aspartico quando interviene come donatore dell’ammino gruppo, la reazione è irreversibile. Con questo abbiamo introdotto il futuro N1 della base purinica, quindi, in pratica, della base purinica futura ci manca ancora il C2 e poi l’anello è formato. Adesso la reazione che segue porta il distacco del radicale succinico, che si elimina come acido fumarico e formiamo il 2ammino3carbossiammideimidazoloribfosfato, quindi una reazione liasica, adesso, l’acido succinico viene allontanato come acido fumarico, ma l’ammino gruppo dell’acido aspartico rimane legato al composto in via di formazione. Allora si elimina acido fumarico e allora formiamo la 2ammino3carbossiammideimidazoloribfosfato + acido fumarico. Ovviamente l’acido fumarico lascia il processo che si svolge nel solubile, quindi lascia la frazione solubile e si sposta verso i mitocondri, non avendo problema di attraversamento della membrana mitocondriale interna, perché esiste su questa un trasportatore per gli acidi dicarbossilici. Allora l’acido fumarico si trasferisce al ciclo di Krebs, ovviamente siamo nel compartimento solubile dobbiamo accedere a quello mitocondriale, il problema non sussiste in quanto l’acido fumarico passa attraverso la membrana del mitocondrio, perchè ci sono dei trasportatori specifici e arriva nel ciclo di Krebs, dove verrà convertito successivamente in acido malico, poi in acido ossalacetico e concluderà il processo. Ancora una volta la reazione è irreversibile e quindi va verso la formazione del fumarato da una parte e del derivato in via di formazione dall’altra. Allora manca un C per chiudere l’anello, C che viene donato da formilTHF, sotto forma di N10formilTHF, quindi +N10formilTHF formiamo e introduciamo in pratica il C che ci permetterà di chiudere l’anello. E quindi formiamo un nuovo intermedio che sarà un 2formilammino3carbossiammideimidazoloribosofosfato. Adesso interviene una ciclasi che permette la chiusura dell’anello, quindi interviene una formilamminocarbossammideimidazoloribfosfatociclasi (o cicloidrolasi) che chiude finalmente l’anello eliminando una molecola d’acqua, ovviamente per l’eliminazione di una molecola d’acqua dobbiamo pensare che il composto reagisca molto probabilmente nella forma enolica, perciò diventa facile l’eliminazione di una molecola d’acqua, quindi in equilibrio tra la forma formilica e la forma enolica corrispondente. E con questo arriviamo a formare il I nucleotide definitivo che prende il nome di inosin5P (IMP). Quindi la forma chetonica è in equilibrio con quella ossidrilica o enolica, ed è quella enolica che verrà utilizzata nella reazione che segue. Allora il composto che si forma è un derivato della base azotata ipoxantina e si chiama inosin5P. Ora riassumiamo l’origine dei diversi atomi componenti l’anello. Ovviamente il riboso viene dal ciclo dei pentosi. Allora incominciamo dall’anello imidazolico l’N9 e l’N3 vengono dalla glutammina, N7 viene dall’amminogruppo della glicina, N1 dall’amminogruppo dell’acido aspartico. Poi C4 e C5 vengono dalla glicina, C6 viene dalla CO2, C2 e C8 vengono dal formilTHF. Ora quanto è costato formare questa molecola? Prima abbiamo formato rib5P1PP e abbiamo consumato un ATP, effettivamente una, in realtà, considerando che l’ATP va ad AMP (e per ricostruire l’ATP consumerò 2ATP) in effetti ho consumato 2ATP, quindi anche se apparentemente è un ATP che interviene, per ricostruire questo ATP dovrò spendere 2ATP, quindi in effetti per costruire rib5P1PP è costato 2ATP. Poi avendo formato 2formilTHF e, sapendo che per ogni formilTHF spendo un ATP, quindi 2ATP li ho spesi per formare formilTHF; per legare la Glicina sulla 5fosforibosilammina ho speso un ATP, poi legando la glutammina nel formare l’amminogruppo in posizione 2 dell’imidazolo, la I volta non è costato perché avevamo il radicale pirofosforico che se ne andava, la II volta invece ci è costato un ATP per formare l’N2. Quindi in totale come minimo ho speso 6ATP. Quindi è notevolmente costosa come sintesi, tenendo conto che dalla glicolisi anaerobia, quando io degrado glucosio, formo al massimo 2ATP. Ma non è ancora finito, perché siamo soltanto all’inosin5fosfato e dobbiamo arrivare ad AMP e GMP processi che ci costeranno ulteriormente. Lezione del 06-03-2003 Ricapitolazione delle reazioni

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I^ reazione: trasformazione del Rib5P in Rib5p 1 pirofosfato con consumo di 1 ATP che cede n una reazione pirofosfocinasica i due radicali fosforici beta e gamma Rib5P 1 pirofosfato si indica con l'acronimo PRPP, ovvero fosforibosilpirofosfato. In questo passaggio il fosfato è legato al ribosio in posizione 1 (quindi al C anomerico) con un legame alfa-glicosidico. II^ reazione: interviene glutammina che cede l'amminogruppo legato con legame ammidico al Rib5P1PP, si libera acido glutammico e si forma 5Pribosilamina. Importante è il fatto che, nel trasferimento dell'amminogruppo, l'enzima determina un rovesciamento della configurazione del C anomerico del Rib che da alfa diventa beta; l'aminogruppo della glutammina è quindi legato al Rib5P con legame beta-glucosidico: si forma quindi una 5 ribosilamina beta. III^ reazione: reazione ligasica, in cui la glicina viene condensata col suo gruppo carbossilico all'amminogruppo della 5Pribosilamina e forma un legame amidico o peptidico che necessita di 1 molecola di ATP => ADP + Pi. Si forma il glicinamideribosilfosfato. IV^ reazione: il glicinamideribosilP reagisce con N5N10 metilentetraidrofolato o N10 brumiltetraidrofolato (le due forme del coenzima sono in equilibrio fra di loro e si spostano quindi facilmente dalla forma metenil- alla forma brunil-). Si libera THF e formiamo formilglicinamideribosilP. �V^ reazione: reazione ligasica, in presenza di glutamina che dona l'aminogruppo e si trasforma in glutammato con l'utilizzo di un ATP => ADP + Pi mentre l'aminogruppo viene portato sulla formilglicinamideribosilP, formando un aminoformilglicinamideribosilP. �VI^ reazione: reazione irreversibile con cui si chiude l'anello imidazolico con consumo di ATP => ADP + Pi. Si forma un 5 aminoimidazoloRibP (nella nomenclatura si cambia il conteggio perchè si va in senso orario nell'anello imidazolico). �Termina la costruzione del primo eterociclio e inizia la costruzione del secondo eterociclo dell'anello pirimidinico. �VII^ reazione: reazione non del tutto chiara. Si lega una molecola di Co2 con formazione di un 5-amino-4carbossi-imidazoloRibP. Non si richiedono cofattori o consumo di ATP. �VIII^ reazione: reazione ligasica in presenza di aspartato con consumo di ATP. Si forma un 5amino-4succinil-carbossilamideimidazoloRibP. IX^ reazione: reazione liasica, in cui si libera fumarato con formazione di un 5amino-4carbossamideimidazoloRibP. A questo punto manca ancora 1 C per chiudere l'anello pirimidinico, C portato ancora 1 volta da THF. Si forma il 5formamino-4carbossamideRibP che infine per eliminazione di una molecola di H2O diventa inosinmonofosfato (IMP), il primo nucleotide che si costruisce. �ATP consumato per produrre IMP: I^ reazione: 2 ATP per la formazione di Rib5P1PP; III^ reazione: 1 ATP per la condensazione della Gly sulla 5Pribosilamina; IV^ reazione: 1 ATP per formare THF; V^ reazione: 1 ATP per legare glutamina;

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VI^ reazione: 1 ATP per chiudere anello imidazolico; (Totale parziale 6 ATP solo per la formazione dell'anello imidazolico) VII^ reazione: 1 ATP per legare l'aspartato; VIII^ reazione: 1 ATP per formare THF; Totale 8 ATP Regolazione del processo: la regolazione più importante è quella svolta dall'IMP sulla I^ reazione (formazione di Rib5P1PP) in quanto l'IMP (così come l'AMP e in misura minore GTP) è un potente inibitore del' enzima 5Pribosil1PPsintetasi, che è quindi estremamente sensibile all'azione inibente dei prodotti terminali della seq. metabolica (regolazione a feedback) . Da questa inibizione l'enzima è protetto da Rib5P che è il substrato della reazione e da elevate concentrazioni di Mg++.��A questo punto bisogna formare AMP (ed eventalmente convertirlo in ADP e ATP) e GMP (e GDP e GTP). �Perchè IMP venga trasformato in AMP deve avvenire una reazione ligasica in cui è richiesto acido aspartico come donatore dell'amminogruppo che sostituisce l'ossidrile in posizione 6 (l'acido aspartico interviene quindi due volte nella sintesi dell'AMP 2 volte, prima per costruire l'anello pirimidinico, e poi per legare il gruppo amminico in pos. 6 dell'adenina): l'acido aspartico elimina una molecola di H2O tra il gr. aminico dell'ac. aspartico e l'ossidrile in posizione 6, reazione irreversibile che simula la formazione di un legame peptidico e che richiede 1 molecola di GTP => GDP + Pi, catalizzata dall'enzima succinil adenilato sintetasi o succinil adenilato ligasi. Si forma l'intermedio succiniladenilato, che può essere visto come una mol. di ac. succinico legato a una molecola di adenilato. In questa reazione non viene utilizzato ATP che ne è invece un forte inibitore (e d'altra parte è logico che andando verso la formazione di AMP si attinga a un altro nucleotide proprio perchè la cellula necessita di ATP). A questo punto il succiniladenilato si trasforma a opera di una succiniladenilato liasi in ac. fumarico e AMP (reazione irreversibile). L'acido fumarico si allontana rapidamente finendo nel ciclo di Krebs. Siamo nella frazione solubile per cui l'acido fumarico va a traslocare al mitocondrio ma non ci sono problemi di eccesso al mitocondrio perchè la membrana interna porta un trasportatore per gli acidi bicarbossilici. ATP e GTP consumato per produrre AMP: 7 ATP per produrre IMP + 1 GTP per trasformare IMP in AMP. �La formazione di GTP avviene attraverso passaggi più complicati che richiedono almeno due reazioni successive con due enzimi diversi. Alla base di tutto c'è un processo di ossidoriduzione. IMP rimane il punto di partenza per la formazione di GMP. La prima reazione cui IMP va incontro è una reazione di ossidoriduzione. L'ossidazione avviene a livello del C2 (reazione che per certi aspetti ricorda la trasformazione dell'ipoxantina in xantina che avviene per l'acido urico, anche se gli enzimi coinvolti sono differenti), sul quale interviene una IMP deidrogenasi, enz. di natura tiolica che utilizza come cofattore NAD. L'enzima va a legarsi con il suo gruppo tiolico a livello del C2: l'addizione dell'atomo di zolfo rompe il doppio legame e l'H del gruppo tiolico si porta sull'atomo di N. Si forma un intermedio, in cui l'enzima è legato con il gruppo tiolico è legato al substrato "mimando" un legame tioetere. Formando questo intermedio, l'enzima si comporta come

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una vera ossidoriduttasi togliendo l'H legato al C come ione idruro e mandandolo al NAD e liberando in soluzione come protone l'H legato all'N. Si forma un nuovo intermedio che è un prodotto di ossidazione instabile che per effetto dell'enzima in presenza di H2O si risolve nella riformazione dell'enz. con il suo gruppo tiolico, mentre l'ossidrile dell'acqua rimane legato al C2 (l'ossidrile che abbiamo introdotto viene dall'H2O). A questo punto avviene una reazione di idrolisi: H+ si porta all'N e l'ossigeno si porta al C. Si forma un ulteriore intermedio, lo xantosin5P. Terminata la prima reazione di ossidoriduzione,in cui H2O ha donato l'atomo di O che troviamo nella xantosina5P, segue una reazione di aminazione, ovvero una reazione ligasica in cui una glutamina dona l'aminogruppo il quale va a sostituirsi al gruppo ossidrilico e si arriva alla formazione di GMP. Quest'ultima reazione è inibita da GTP (così come la sintesi di AMP era inibita da ATP). Gli enzimi che intervengono nella formazione di IMP non sempre presentano singole attività enzimatiche, ma almeno in 3 casi abbiamo un sistema polifunzionale che regola intere reazioni; in particolare la III^ reazione (trasformazione della 5Pribosilamina in glicinamideRibP), la IV^ reazione (formilazione della glicinamide RIbP) e la VI^ reazione (formazione dell'aminoimidazoloRibP) sono di competenza di una unica proteina polifunzionale, che presenta 3 attività enzimatiche sulla sua catena: ha quindi regioni che presentano attività ligasica per la glicina, regioni che hanno attività transferasica e regioni con attività cicloidrolasica. Anche le reazioni VII^ e VIII^ (rispettivamente carbossilazione e reazione ligasica che lega il succinato) sono regolate da un'unica proteina bifunzionale, così come le reazioni X e XI (risp. formilazione e chiusura anello pirimidinico). Tutto questo si può spiegare con il fatto che è più conveniente avere più attività conglobate su un'unica proteina che averle divise su proteine differenti. Qui si chiude la sintesi dei pirimidin nucleotidi, ricordando che il processo non finisce qui ma i singoli nucleotidi darannoorigine ad acido ribonucleico o potranno essere fosforilati a formare���������cofattori. SINTESI DEI PIRIMIDIN NUCLEOTIDI Il primo nucleotide che si forma come pirimidin nucleotide è l'uridin monofosfato (UMP), da cui si formerà prima citidin monofosfato e quindi timidin5P. Sintesi di UMP: la prima grande differenza rispetto alla sintesi del purin nucleotide dell'IMP è il fatto che il ribosio non serve da base sulla quale costruiamo l'eterociclo, ma anzi si��������� � ����termine a base azotata formata. Si crea di conseguenza prima la base che verrà poi spostata sul Rib, base che avrà nuovamente origine da composti relativamente semplici, rappresentati da ac. aspartico, CO2 e ATP. Il composto che dà inizio al rpocesso di sintesi è il carbammilfosfato, in pratica l'anidride dell'acido carbamminico, in cui il legame di anidride è estremamente instabile e ricco di energia. Il carbammilfosfato (CAP) si può formare nelle nostre cellule tramite due meccanismi diversi, uno utilizzato per formare CAP destinato alla sintesi delle basi pirimidiniche e uno che forma CAP utilizzato per la sintesi di urea, che presentano 5 fondamentali differenze: 1. Il CAP destinato alla sintesi di basi pirimidiniche si può formare in tutti i tessuti (perchè tutti i tessuti sono in grado di dintetizzare pirimidin nucleotidi), mentre la formazione di CAP utilizzato per la sintesi dell'urea è esclusiva del fegato: esistono pertanto due differenti carbammilfosfato

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sintetasi, una esclusiva del fegato (CAP sintetasi I) e una seconda comune a tutti i tessuti (CAP sintetasi II). 2. La CAP sintetasi I è segregata esclusivamente nel mitocondrio *****, mentre la CAP sintetasi II è in soluzione nel citoplasma. 3. La CAP sintetasi I utilizza NH3 per formare l'aminogruppo, mentre la CAP sintetasi II utilizza glutammina. 4. La CAP sint. I ha come attivatore Nac glutammato, mentre la CAP sint. II ne è del tutto indifferente. 5. La CAP sint. I non risente da inibizione da pirimidin nucleotidi, al contrario della CAP sint. II che è fortemente inibito da UMP (prodotto terminale) e in parte anche da CMP. Il processo di sintesi di CAP da parte della sintetasi II a livello del citoplasma non è noto; si sa tuttavia che richiede 2 moleceole di ATP, di cui una avrà funzione ligasica creando un legame labile, mentre l'altra avrà azione fosforilante. La reazione parte da CO2 il quale viene legato al sito catalitico dell'enzima e affrontato all'ATP: l'enzima catalizza una reazione irreversibile per cui stacca il fosfato dall'ATP e lo trasferisce alla CO2 formando il carbossilP intermedio (fortemente instabile), in cui vi è un legame C-O ricco di energia che in un tempo successivo viene utilizzato per legarsi all'aminogruppo della glutammina, e liberando ADP. Dunque sul carbossilP che si è formato viene portata la glutammina; in pratica si stacca un gruppo fosfato che viene sostituito dall'aminogruppo della glutammina (qst reazione avviene sempre sulla superficie dell'enzima): si forma un nuovo intermedio instabile che non si libera nel sistema e che è pertanto un carbamilenzima��Il carbamilenzima formato affronta una seconda molecola di ATP che dona un gruppo fosfato e permette al prodotto finale (il carbamilP) di separasi dall'enzima. Il costo in termini energetici della reazione è di 2 ATP, e la loro presenza fa si' che l'enzima sia Mg++ dipendente. Formato carbamilP segue una seconda reazione in cui incomincia a costruirsi l'anello pirimidinico; in questa reazione interviene ac. aspartico che donerà oltre a un aminogruppo anche lo scheletro carbonioso (dei 4 C dell'ac. aspartico alla fine 3 entreranno a formare l'anello pirimidinico). La reazione è catalizzata da una aspartato-carbonil-fosfato-carbamil transferasi (nota anche solo come carbamiltransferasi), che trasferisce il carbamile del carmbamilP all'aminogruppo dell'aspartato. Nel corso della reazione si libera fosfato, che fornisce l'energia necessaria perchè il carbamile si condensi sull'aminogruppo dell'ac. aspartico e si formi quindi carbamilaspartato. La reazione non è di tipo ligasico perchè� l'energia per la condensazione è data dall'idrolisi del P legato al CAP. Si forma un legame di tipo amidico (ed è quindi necessaria energia); è una reazione transferasica, in cui viene donata l'il cvarbamile all'aminogruppo dell'ac. aspartico. Sono a questo punto presenti tutti gli atomi componenti l'anello pirimidinico, che adesso deve solo più essere chiuso. Questo avviene tramite una reazione di idrolisi (viene quindi eliminata una molecola di H2O), catalizzata da una cicloidrolasi o meglio da una diidroorotasi perchè il prodotto finale della reazione sarà l'acido diidrorotico: si forma quindi un anello pirimidinico, seppure idrogenato. �Fino a questo punto le reazioni si sono svolte nel citoplasma, mentre a questo punto intervine un enzima che si trova legato alla faccia esterna della membrana interna sdel mitocondrio. L'enzima in questione è una osteoriduttasi che porta come gruppo prostetico FAD e utilizza come cosubstrato NAD: è un enzima flavinico che lavora in presenza di NAD e ac. diidroorotico, il quale passa nello strato intermembrana e incontra l'enzima, che, comportandosi come una deidrogenasi, toglie 2 H formando ac. orotico (l'H rimane sul FAD dell'enzima che si libera come FAD ridotto,

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dopodichè l'enz. flavinico ridotto in presenza di NAD trasferisce l'H dal FAD ridotto al NAD stesso: il risultato finale della reazione è che abbiamo NAD ridotto, ac. orotico e enzima flavinico). A questo punto abbiamo solo un carbossile in più che ci separa dall'anello dell'uracile, a cui bisognerà poi aggiungere il Rib5P. L'ac. orotico ritorna nel citosol dove si conclude il processo di sintesi. La prima reazione cui l'acido va incontro è inaspettata, visto che si penserebbe che prima vi sia l'allontanamento del gr. carbossilico: si porta subito il Rib in forma di Rib5P1PP e segue quindi una reazione fosfopentosotransferasica, in cui il Rib5P1PP dona il Rib5P all'ac.orotico e formiamo orotidin5P e PP, che in presenza di H2O si scinde immediatamente in ortofosfato. A questo punto l'orotidin5P viene decarbossilato e in seguito a una reazione liasica arriviamo a uridinmonofosfato (UMP), del cui anello i C 4,5 e 6 e l'N 1 vengono dall'ac. aspartico, mentre provengono dal CAP l'N 3 e il C 2. �Sintesi di CMP: l'UMP non può essere trasformayo direttamente in citosimonofosfato (CMP) perchè gli enzimi che devono trasformare la base azotata U in C non funzionano su UMP, quindi si deve trasformare UMP in UTP attraverso 2 reazioni cinasiche mediate da ATP: dapprima si trasforma UMP in UDP a opera di una UMP cinasi e quindi a opera di una UDP cinasi trasformiamo UDP in UTP. Sono due cinasi differenti, una specifica per l'UMP e una specifica per UDP. A questo punto l'UTP può finalmente convertirsi in CTP, quindi si può passare a formare l'anello della citidina, il che significa aggiungere un aminogruppo donato da una glutammina in posizione 6, reazione liasica in cui interviene ATP => ADP + Pi. �Ricapitolazione delle reazioni I^ reazione: sintesi di CAP a partire da ATP + CO2 + glutammina. II^ reazione: CAP + aspartato forma carbamilaspartato. III^ reazione: carbamilaspartato a opera della diidroorotasi K3 forma diidroototato. IV^ reazione: diidroorotato a opera di una osteoriduttasi diventa orotato. �V^ reazione: orotato + Rib5p1PP forma oroditin5P + PP. VI^ reazione: oroditin5P subisce decarbossilazione e quindi una reazione liasica forma UMP. ATP consumato per sintetizzare UMP e CTP: la formazione di UMP richiede dalle 4 alle 5 molecole di ATP se si considera a partire da: a) Rib5P =>2 ATP per formazione di Rib5P1PP + 2 ATP per sintesi di CAP => 4 ATP totali; B) Rib => 1 ATP per formazione di glucosio6P (poichè non abbiamo una fosfocinasi che forsforila RIb in posizione 5 dobbiamo considerare come ATP consumato quello che utilizziamo formazione del Glu6P da cui avrà poi origine Rib5P) + 2 ATP per Rib5P1PP + 2 ATP per CAP => 5 ATP totali. Se consideriamo anche tutto il processo fino a CTP dobbiamo aggiungere altre 2 ATP fino a UTP + 1 fino al prodotto finale, per cui in totale saranno 7 o 8 ATP

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Regolazione del processo: L'UMP ma soprattutto L'UTP sono energici inibitori della reazione CAP sintetasica, e se si accumulano nella cellula reprimono la prima reazione e la sintesi del����� �����non può partire. Da tutto questo sistema l'enzima è protetto dal Rib5P1PP che funziona invece da attivatore. Il CTP che si forma agisce invece da inibitore della seconda rezione. Nella sintesi di CTP la reazione in cui si spende 1 ATP per trasferire l'aminogruppo della glutammina è inibita da ATP stesso, per cui vi è regolazione negativa da parte dei purinnucleotidi sulla sintesi di pirimidinnucleotidi, in quanto un eccesso di STP inibisce sintesi di CTP. Gli enzimi 1,2,3 non sono 3 entità distinte ma sono 3 espressioni di un enzima polifunzionale, che in particolare presenta nella regione centrale attività carbammilP sintetasica, nella porzione carbossiterminale attività carbammiltransferasica e nell'estremità amminoterminale attività diidroorotasica. Le tappe che chiudono il processo (V e VI) sono catalizzate da una solo proteina bifunzionale che presenta attività transferasica e attività decarbossilasica. Degli enzimi coinvolti nella sintesi dell'UMP soltanto la deidrogenasi è un enzima a sè stante. Patologie correlate: sono noti deficit genetici dell'ultimo enzima della sintesi dell'UMP (che presenta attività fosforibosiltransferasica e decarbossilasica) che si risolve in una patologia che ha come manifestazione più evidente l'eliminazione di forte quantità di acido orotico con le urine e che prende il nome di oroticoaceduria. Si parla di oroticoaceduria di tipo 1 quando manca la fosforibosiltransferasi e in genre questo������������associa sempre con un deficit per la decarbossilasi. Si parla di oriticoaceduria di tipo 2 quando manca solo la decarbossilasi. LEZIONE DEL 07/03/03: TRASFORMAZIONE DEL RIBOSIO IN DESOSSIRIBOSIO: Una delle caratteristiche dei tessuti animali è che il desossiribosio non ha origine da ribosio libero, ma si forma solo se il ribosio è incorporato in un nucleotide; nei batteri, invece, è possibile una sintesi ex novo di desossiribosio. Quindi c’è una situazione molto diversa tra batteri e animali superiori. Per quanto riguarda dunque i tessuti animali, la trasformazione di ribosio in desossiribosio avviene solo quando il ribosio è legato in un nucleotide bifosfato, quindi ADP, GDP, UDP o CDP, mentre non avviene sui nucleotidi mono- o tri- fosfato. Come avvenga la reazione non è chiaro; è un meccanismo estremamente complesso, che prevede l’intervento di un enzima, che prende il nome di ribonucleotide riduttasi, in quanto agisce su un ribonucleotide, che ha la funzione specifica di ridurre il C dell’ossidrile alcolico 2 del ribosio a C metilenico. L’enzima è costituito da due parti indicate come protide B1 e protide B2, delle quali B1 ha una massa molecolare intorno a 120.000 e B2 intorno a 80.000; ogni parte è formata da 2 subunità ed esse sono unite a costituire un tetrametro formato da 2 catene di un tipo e 2 catene di un altro (2β2). Substrato di quest’enzima è, oltre il nucleotide bifosfato, la tioredossina; essa appartiene al gruppo delle proteine acide di basso peso molecolare, intorno a 12.000, ed è caratterizzata dalla presenza nella sua molecola di un ponte disolfuro che alternativamente può passare alla forma di ditiolo attraverso un processo di riduzione. Quindi la tioredossina esiste in vivo in due forme: la prima, indicata come “tioredossina disolfuro o ossidata”, la seconda come “tioredossina ditiolo o ridotta”. In questa possibilità di passare dalla forma ossidata a quella ridotta, la tioredossina richiama il dipeptide glutatione, implicato nel ciclo del G6P, che esiste anch’esso in una forma ossidata GSSG e in una forma ridotta GSH. Ritornando alla ribonucleotide riduttasi, nella forma tetramerica le due unità (B1 e B2) sono tenute insieme solo da un atomo di Mg (legame labile); solo quando è associato, è in forma attiva, altrimenti è in forma inattiva. Dunque, questa ribonucleotide riduttasi lega sulla propria superficie, da una parte, il nucleotide bifosfato e, simultaneamente, da un’altra, la tioredossina nella forma

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ridotta: determina l’allontanamento di una molecola di H2O dall’O del gruppo alcolico secondario in posizione 2 del ribosio e i 2 atomi di H dei gruppi tiolici della tioredossina; si forma 2-desossiribonucleotide bifosfato + tioredossina ossidata. Bisogna ora che la tioredossina ossidata ritorni alla forma ridotta, altrimenti il sistema si ferma. Questo si verifica grazie a un enzima additivo che lavora parallelamente alla ribonucleotide riduttasi, che è la tioredossina riduttasi: è un enzima flavinico che utilizza come cosubstrato NADPH+H+. Dunque, la tioredossina ossidata che si è formata viene legata immediatamente da un altro sistema enzimatico formato dalla tioredossina riduttasi, la quale probabilmente è un libero e lega una molecola di FAD; da una parte quest’enzima lega la tioredossina ossidata, da un’altra NADPH+H+. Quindi sulla superficie dell’enzima è presente un sito che riconosce NADPH+H+, un sito cui è legato FAD e un sito che lega la tioredossina ossidata. L’enzima, una volta legato NADPH+H+, lo ossida, gli toglie gli atomi di H e li trasferisce al suo gruppo prostatico FAD: FAD si riduce (diventa FADH2); una volta ridotto, l’enzima trasferisce gli atomi di H a un ponte disolfuro insito nella sua molecola e da ultimo gli atomi di H fluiscono dal tiolo sull’enzima alla tioredossina che passa alla forma ridotta. Si verifica insomma una sequenza di trasferimenti di H da NADPH+H+ a FAD, dal FAD a un ponte disolfuro presente nell’enzima e infine alla tioredossina. L’importanza del NADPH+H+ non è quindi limitata alla sintesi degli acidi grassi, a quella del colesterolo e alle reazioni di idrossilazione, ma è anche importante nella sintesi dei desossiribonucleotidi in quanto rientra nel sistema di trasformazione del ribosio in desossiribosio. In questo modo, insomma, GDP, UDP, CDP e ADP accedono al sistema della ribonucleotide riduttasi e danno così origine ai corrispondenti desossiribonucleotidi. SINTESI DI TMP: Questo processo non si verifica a partire da uracile libero né si costruisce come base indipendente, ma procede da UMP. L’enzima coinvolto è chiamato timida sintetasi, anche se in realtà il nome non è corretto in quanto il prodotto della reazione non è una timida ma un nucleotide; non è una ligasi, ma una trasferasi di gruppi nucleotidici. La reazione richiede UMP, la timida sintetasi e come donatore di metile un derivato dell’acido tetraidrofolico (THF=tetraidrofolato), precisamente N5-N10-meteniltetraidrofolato. L’enzima provvede a trasferire al C5 dell’uracile il gruppo metinico più 2 atomi di H che sottrae a livello della base azotata, trasformando la base azotata stessa in 6,7-diidrofolato + il metile che viene trasferito. Dei due atomi di H, uno deriva dal C6 del THF, l’altro non si sa con precisione da dove, ma comunque dal mezzo nel corso della reazione. Come avvenga la reazione, quindi, non è chiaro, cosicché talvolta si parla direttamente di N10-metilTHF con formazioni di diidrofolato come prodotto della reazione. Comunque due atomi di H vengono sottratti dal sistema per completare il gruppo metinico, che viene trasferito come gruppo metilico. Quindi, l’enzima trasferisce il C metinico come metile in posizione 5 dell’UMP e forma TMP. Residuo di questa reazione è un 7,8-diidrofolato, che deve tornare alla forma di THF per permettere al cofattore di funzionare ciclicamente. Quest’ultima reazione è mediata da una diidrofolatoriduttasi, che utilizza come cofattore NADPH+H+ e permette la formazione, partendo da 7,8-diidrofolato + NADPH+H+, di THF, cioè 5,6,7,8-tetraidrofolato. L’enzima cioè riduce il doppio legame tra l’N5 e il C6. Ancora una volta è NADPH+H+ che interviene. Bisogna ricordare i fattori di inibizione di questo enzima, perché la sintesi di desossiribonucleotidi permette alla cellula di replicarsi, perciò farmaci contro la timina sintetasi saranno utilizzati per bloccare la sintesi di timida, che è una delle basi azotate del DNA. Tra questi farmaci:

��amminopterina: è un analogo del THF, sostituendo un gruppo ossidrilico con un amminogruppo;

��metopterina (o metotrexate): altro analogo del THF; ha un amminogruppo in corrispondenza del C4 e porta l’N10 metilato;

In più ci sono anche omologhi dell’acido folico con più residui di acido glutammico in coda; probabilmente questi poliglutammilderivati competono con THF per legarsi all’enzima.

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PROVENIENZA DELL’AZOTO COMPONENTE GLI AMMINOACIDI: L’azoto viene dall’aria e si trasforma in azoto organico non per opera degli animali o delle piante superiori, ma dei batteri. Esistono due tipi di batteri deputati alla fissazione dell’azoto: 1)un gruppo vive libero nel terreno, 2)le alghe, che hanno la possibilità di fissare l’azoto come gas e poi trasformarlo in ammoniaca, quindi di legare questa ammoniaca ad acidi, in particolare dell’acido α-chetoglutarico. Oltre ai batteri che vivono liberi nel terreno, c’è un gruppo di batteri che vive in simbiosi con le radici delle piante, in particolare delle leguminose, per es. il fagiolo. Essi formano dei tubercoli su queste radici, fissano l’azoto dell’aria per la pianta e in cambio, dalla pianta, ricevono i glicidi, che sono necessari per la formazione di α-chetoglutarato, su cui verrà fissato l’amminogruppo. Quindi un batterio dà alla pianta amminoacidi, o nel caso, ammoniaca, e riceve glicidi. Si parla di simbiosi, perché questi batteri non sono in grado di fissare l’anidride carbonica, necessaria per la formazione di glicidi. La seconda possibilità per fissare l’N2 parte da sali presenti nel terreno, per es. sali ammoniacali, ma più frequentemente nitriti e nitrati. In questo caso anche le piante sono in grado di trasformare, dapprima, questi sali in ammoniaca, e poi, legare l’ammoniaca ad acidi, in particolare α-chetoglutarato, e trasformarlo in glutammato e acido aspartico; da qui inizia il processo di utilizzo dell’azoto. Il processo di fissazione dell’azoto dell’aria compiuto dai batteri è complesso, non noto e estremamente dispendioso: per fissare una sola molecola di N2 occorrono 15 molecole di ATP. Questa energia i batteri la traggono dal piruvato, che, nel caso di batteri che siano in grado di fissare l’anidride carbonica, deriva dalla degradazione di glicidi, in particolare dall’amido, che verrà degradato a G1P, quindi in G6P ecc. oppure da glucosio libero, che viene poi fosforilato a G6P ed in seguito, con la via gli colitica, si ottiene il piruvato.Questo piruvato segue un destino abbastanza simile, anche se il sistema della reazione è completamente diverso, a quello che avevamo visto quando si era parlato della piruvatodeidrogenasi: il piruvato viene trasformato in AcetilCoA in una reazione insolita, cui partecipa una proteina tipica di questi batteri, che prende il nome di ferredossina. La reazione è irreversibile, si forma AcetilCoA + ferredossina ridotta, Se ci si sposta nel sistema della piruvatodeidrogenasi si può pensare che questa ferredossina abbia il ruolo del NAD+, cioè quello che il NAD+ compie nella degradazione ossidativi del piruvato; là avevamo piruvato + NAD+ + CoASH → NADH + H+ + AcetilCoA. In seguito, AcetilCoA, per opera di una trasferasi che non è assolutamente presente nei nostri tessuti, si trasforma in Acetilfosfato + CoASH e si conserva l’energia del legame col fosfato (o legame di anidride mista) (formiamo un legame ricco di energia); ora questo Acetilfosfato, in presenza di ADP, forma ATP + acetato. A questo punto interviene un enzima che provvede a fissare l’N2, l’azotasi, davvero complesso nella sua funzione, la quale lega l’ATP, che deriva dalla decarbossilazione del piruvato, la ferredossina nella forma ridotta e l’N2 molecolare; sono richieste almeno 15 molecole di ATP (quindi almeno 15 molecole di piruvato vengono consumate); vengono prodotte 2 molecole di ammoniaca + ferredossina ossidata + ADP + Pi. L’ammoniaca, a questo punto, può essere rilasciata e potrà essere utilizzata come sale d’ammonio dalle piante, ma più frequentemente viene convertita dal batterio in amminoacidi, i quali, in seguito alla disintegrazione del batterio, potranno essere assorbiti dalla pianta. Quindi, di solito, questa ammoniaca reagisce con α-chetoglutarato, reazione spontanea in un primo momento, che forma la chetimmina corrispondente e la chetimmina + NADH+H+ o NADPH+H+ → glutammato. Né le piante né gli animali sono in grado di compiere queste reazioni: non sono in grado di fissare direttamente l’N2. Altro sistema, comune alle piante e ai batteri, consiste nell’utilizzo di sali, soprattutto nitrati, tritinitrati, che sono presenti nel suolo, e sali ammoniacali. Nel caso dei batteri, si parla di batteri nitrificanti e nitrosanti; i nitrificanti attaccano i nitrati e li trasformano in nitriti, i nitrosanti trasformano i nitriti in ammoniaca, e a questo punto l’ammoniaca verrà legata ad α-chetoglutarato. Sono, queste, reazioni di ossido-riduzioni, che probabilmente usano come cofattore NAD+.

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Quali sono i sistemi che la pianta utilizza per sfruttare l’azoto dell’ammoniaca? Uno è quello dell’α-chetoglutarato che abbiamo già visto, il secondo utilizza come accettare di ammoniaca fumarato, che, attraverso una reazione ammoniacoliasica, viene trasformato in aspartato. Di questo enzima noi non abbiamo disponibilità, quindi per noi è l’acido glutammico a svolgere un ruolo fondamentale nella degradazione dei diversi amminoacidi. Per quanto riguarda l’anidride carbonica, essa viene fissata dalle piante, trasformata in precursori di natura glucidica e questo carbonio viene accumulato come amido e poi mobilitato. METABOLISMO PROTIDICO: Duplice aspetto: -sintesi amminoacidi non essenziali -demolizione dei protidi La demolizione delle proteine ad amminoacidi, come per glicidi e lipidi, si articola in digestione e catabolismo, dove per digestione si intende la degradazione della molecola nel canale digerente e per catabolismo la degradazione della molecola a livelli tessutali. Digestione: la digestione delle proteine prevede un susseguirsi di reazioni di idrolisi, quindi gli enzimi che intervengono sono tutti idrolisi, fino a trasformare la proteina in composti semplici: bisogna arrivare almeno alla formazione di tripeptidi o dipeptidi, ma meglio ancora di amminoacidi, perché i vari componenti della proteina possano passare in circolo e essere distribuiti ai tessuti. La digestione dei protidi inizia nello stomaco, ad opera di un enzima, la pepsina. La pepsina ha tre caratteristiche: 1) viene prodotta nello stomaco dalle cellule della mucosa gastrica in forma inattiva (pepsinogeno) 2) il passaggio da pepsinogeno a pepsina è un processo spontaneo 3) l’enzima agisce a pH estremamente acido (intorno a 1 o 2): è l’unico enzima dei nostri tessuti ad agire ad un pH così acido. Un pH così acido all’interno del lume gastrico è determinato dal fatto che le cellule della mucosa gastrica sono in grado di secernere protoni insieme a cloro ioni nella formazione di acido cloridrico; si dice che la mucosa gastrica è in grado di sintetizzare HCl e secernerlo all’esterno. L’HCl si forma nelle cellule della mucosa gastrica per azione della carbonico anidrasi, la quale provvede a legare insieme CO2 e H2O a formare acido carbonico (l’intervento della carbonico anidrasi è la prima reazione nella sintesi dell’acido cloridrico). Questo enzima porta Zn come gruppo prostatico (è uno zinco-protide). L’acido carbonico è un acido debole e si dissocia poco. I protoni verranno secreti nel lume gastrico e concorreranno alla sintesi dell’acido cloridrico, i bicarbonato ioni dalle cellule della mucosa gastrica vengono trasferiti al circolo venoso, e in scambio al bicarbonato ione che esce, entra un cloro ione, il quale attraversa la cellula gastrica e viene immesso nel lume gastrico insieme ai protoni, formando quindi HCl. Mentre l’uscita di Cl- dalla cellula della mucosa gastrica non prevede un sistema di trasporto attivo, l’uscita del protone nel lume necessita del consumo di ATP. Si parla di una pompa protono-potassio dipendente presente sulla parete delle cellule della mucosa gastrica dal lato del lume. E’ una ATPasi, perché consuma ATP per pompare fuori protoni, che è attivata da protoni (quando la concentrazione di H+ all’interno della cellula gastrica raggiunge un certo valore, la pompa si attiva pompando fuori H+ e in scambio trasporta dal lume dentro la cellula K+) Funzionamento di questa ATPasi: scinde ATP in ADP + Pi e utilizza l’energia che deriva da questa scissione per pompare fuori protoni; ha quindi un sito di legame per l’ATP e un sito per i H+. Quando la concentrazione di H+ all’interno della cellula gastrica raggiunge un certo livello, il H+ si va a legare in prossimità del sito ad attività ATPasica e l’ATP si scinde in ADP + Pi; questa idrolisi libera energia, che è sufficiente a provocare una deformazione della pompa che praticamente diventa un canale per i protoni; in scambio, sul lato che guarda il lume, la pompa lega il K+ e lo porta all’interno della cellula. Probabilmente questa pompa è attivata anche dallo stimolo meccanico del cibo che entra nello stomaco; in più è regolata da ormoni: uno di questi è la gastrina, che viene prodotta dalle cellule della mucosa gastrica.

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Il pH in condizioni di riposo è intorno a 5, ma una volta attivata la pompa H+/K+ può scendere rapidamente a 1-2, favorendo la trasformazione dell’enzima pepsinogeno in pepsina; quindi, quando il cibo entra nello stomaco, le cellule gastriche secernono il pepsinogeno nel lume, il pH diminuisce e il pepsinogeno si attiva in pepsina. Questa trasformazione, da pespinogeno in pepsina, consiste nella rottura di legami peptidici mediato dall’acidità del succo gastrico; i legami peptidici interessati sono probabilmente labili e superficiali, quindi a immediato contatto con l’acidità del mezzo, e la loro idrolisi determina non la frammentazione della proteina, ma il distacco solitamente di due frammenti peptidici in successione: complessivamente vengono allontanati circa 40 amminoacidi dalla molecola del pepsinogeno. Il pepsinogeno ha un peso molecolare intorno a 40.000, la pepsina intorno a 35.000. Con il distacco di questi frammenti dall’estremo ammino-terminale, la forma della proteina muta e in pratica si scopre il sito attivo. Nel sito attivo della pepsina ci sono due radicali di acido aspartico, per questo la pepsina classificata tra le aspartico proteasi, perché utilizza come amminoacido reattivo nel suo sito catalitico l’aspartato. La pepsina riconosce protidi denaturati (in parte questa denaturazione è già stata eseguita dall’acidità dello stomaco): la carne cotta sarà digerita meglio della carne cruda, perché il calore fa sì che il protide sia maggiormente srotolato e i legami peptidici suscettibili all’attacco della pepsina siano più superficiali. La pepsina attacca legami peptidici in cui l’ammino-gruppo sia dato da amminoacidi acidi (Asp, Glu) o a catena ramificata (Val, Leu, Ile) o aromatici (Phe, Tyr, Trp).Non vengono riconosciuti dalla pepsina: 1) collageno e cheratine: sono molecole troppo compatte e l’azione del succo gastrico non è sufficiente perché siano rese attaccabili dalla pepsina; in più in questi peptici probabilmente non ci sono legami peptidici consoni alla pepsina 2) protidi basici anche a basso peso molecolare (es. istoni), perché non c’è il legame peptidico confacente (bassissima disponibilità di Asp e Glu) 3) una serie di glicoprotidi, detti mucine mucidi, che rivestono la mucosa gastrica, perché le catene glucidiche tengono lontana la pepsina e coprono i legami peptidici che altrimenti potrebbero essere attaccati dalla pepsina. Se così non fosse, le cellule della mucosa gastrica verrebbero digerite dalla pepsina: questo è quello che succede nell’ulcera; chi soffre di ulcera ha probabilmente un assetto di mucine mucidi non perfetto o irregolarmente coperto da unità glucidiche per cui la pepsina riesce facilmente ad aggredirle oppure ha una secrezione gastrica altissima. La carbonico anidrasi è attivata da cAMP, quindi tutti i farmaci che potenziano la produzione di cAMP agiscono come attivatori della carbonico anidrasi, quindi potenziano la sintesi di acido cloridrico. Chi soffre di ulcera deve far attenzione a questi farmaci perché, aumentando la produzione di HCl, aggravano ancor più la situazione. Il cibo rimane nello stomaco circa mezz’ora e, in questo tempo, non più del 10% dei legami peptidici presenti nella proteina viene degradato. L’importante è però che la proteina venga denaturata dall’azione acida di HCl, condizione essenziale perché la proteina possa procedere verso l’intestino, dove le proteasi che vi lavorano richiedono necessariamente che la proteina sia nella forma denaturata. Al termine della digestione nello stomaco, il contenuto acido dallo stomaco fluisce all’intestino, dove l’acidità viene rapidamente neutralizzata per effetto del secreto pancreatico. Il pancreas è una grossa ghiandola a secrezione esterna ed è responsabile della produzione del succo pancreatico che è indispensabile per la digestione; in più una piccola porzione del pancreas si comporta come ghiandola endocrina responsabile della produzione dell’insulina, del glucagone e della somatostatina. Il succo pancreatico è ricco di carbonato ioni e quindi concorre a neutralizzare l’acidità del contenuto acido che viene dallo stomaco, neutralizzazione che è essenziale perché gli enzimi presenti nell’intestino lavorano tutti intorno a valori di pH neutro o addirittura di pH basico. D’altra parte il succo pancreatico concorre a portare proteine, e in particolare enzimi che sono legati alla digestione dei polisaccaridi (soprattutto dell’amilosio, dell’amilopectina e del glicogeno), dei trigliceridi, dei colesteridi (lipidi composti da colesterolo + acidi grassi), oltre a enzimi che concorrano alla conclusione della digestione delle proteine. Gli enzimi prodotti dal pancreas vengono portati nell’intestino in forma inattiva e si attivano nell’intestino stesso. Essi sono: tripsinogeno, che si trasformerà a livello intestinale in → tripsina

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chimotripsinogeno → chimotripsina proelastasi → elastasi procarbossipeptidasi A e B → carbossipeptidasi A e B L’attivazione del chimotripsinogeno, della proelastasi e della procarbossidasi è mediata da tripsina, quindi, prima che sia stato attivato il tripsinogeno, gli altri enzimi non possono essere attivati. L’attivazione del tripsinogeno in tripsina è mediato da un enzima prodotto dalle cellule delle pareti intestinali, in particolare dalle cellule ad orletta-spazzola [???], che sono le cellule che rivestono la mucosa intestinale. Questo enzima è chiamato enterocinasi (così è stato chiamato per la prima volta), ma questo nome è oggi sostituito da enteropeptidasi, in quanto non si tratta di una cinasi, ma di una idrolisi. Esso non è prodotto dal pancreas, ma dalle cellule della mucosa intestinale e ha la caratteristica di essere un glicoprotide con una quantità di glicidi estremamente alta (circa il 37% della massa molecolare della proteina è ricoperto da glicidi) e frequentemente, in questa componente glucidica compare acido sialico (quindi è una glicoproteina con caratteristiche acide). Ha un’alta specificità per il substrato: il suo unico substrato proteico è il tripsinogeno; in più porta nel sito catalitico serina ed è inglobata nella grossa classe delle serina-proteinasi, che raccoglie la maggior parte delle proteasi. Lezione del 10 marzo 2003 Digestione delle proteine La digestione delle proteine, a livello dello stomaco, è attuata da una serie di idrolasi, tra cui figurano PEPSINA, ENTEROPEPTIDASI, TRIPSINA, CHIMOTRIPSINA, ELASTASI e CARBOSSIPEPTIDASI. ��PEPSINA È prodotto dalle cellule dello stomaco sottoforma del precursore inattivo PEPSINOGENO, il passaggio nella forma attiva di PEPSINA avviene spontaneamente nello stomaco, in presenza di HCl e quindi di un pH acido. L’HCl prodotto a partire da CO2 ed H2O in presenza dell’enzima carbonico anidrasi presente nelle cellule parietali della mucosa gastrica, che richiede Zn2+ :

−+ +↔ →+ 33222 HCOHCOHOHCO RBONICAANIDRASICA

Lo ione bicarbonato HCO3

- così prodotto è espulso dalla cellula tramite la proteina della banda 3, un antiporto anionico di membrana Cl-/HCO3

-; in questo modo è introdotto Cl- nella cellula. Tuttavia questo ione cloro non viene legato al protone, precedentemente formato, per sintetizzare acido cloridrico, in quanto questo protone viene subito espulso dalla cellula (nel lume gastrico) tramite trasporto attivo mediato da una ATPasi, la quale, idrolizzando l’ATP in ADP, ricava energia necessaria per formare un poro proteico nel quale transita il protone. La formazione dell’acido cloridrico è regolato dall’ormone gastrina e l’espulsione nel lume del protone H+ concorre ad abbassare il pH del lume gastrico. Il passaggio pepsinogeno � pepsina si ha tramite la rottura di legami peptidici che rimuovono amminoacidi coprenti il sito catalitico; questo quindi diventa accessibile e possiede due importanti residui di Asp, si tratta quindi di un aspartato protide o proteasi acida. L’enzima è in grado di riconoscere proteine denaturate (derivanti dalla cottura dei cibi) ed in particolare legami peptidici che coinvolgono amminoacidi: ��Acidi: Asp, Glu ��A catena ramificata: Val, Leu, Ile ��A catena aromatica: Phe, Tyr, Trp

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Non vengono riconosciuti invece ��Scleroprotidi: ad es. collagene ��Nucleoprotidi: protidi basici ��Mucine e mucoidi La pespsina agisce sulla proteina da degradare e sul legame peptidico che riconosce, utilizzando i propri residui di Asp nel sito catalitico e formando un legame peptidico con la proteina; questo legame viene poi risolto liberando un peptide originato dalla proteina ingerita e riconosciuta da pepsina. L’azione della pepsina è di circa mezz’ora, tempo nel quale il bolo sosta nello stomaco, ed idrolizza circa il 10% dei legami, dopodiché la pepsina si denatura acausa del pH troppo acido. Il bolo acido è trasportato nell’intestino, dove il suo pH è innalzato da carbonati ioni prodotti dal pancreas e riversati nel succo pancreatico, peraltro ricco di enzimi prodotti come precursori attivati per reazioni di taglio proteolitico. Tra tutte l’enzima chiave è la TRIPSINA, attivata da un enzima prodotto dalle cellule dell’orletto a spazzola: l’ ENTEROPEPTIDASI su cui ora ci soffermeremo. ��ENTEROPEPTIDASI È un glicoprotide, nel quale il 37% della sua massa è data dai glicidi presenti, è molto ricco di acido sialico ed ha come unico substrato (specificità di substrato assoluta) il TRIPSINOGENO. Porta un sito catalitico di Ser che si associa ad Asp e His, formando la triade catalitica dell’enzima (che è una serina enzima) e riconosce il legame peptidico che coinvolge la Lys legato ad un gruppo carbossilico. L’enteropeptidasi può intervenire anche una sola volta. ��TRIPSINA È prodotta dal pancreas come precursore inattivo detto TRIPSINOGENO, la sua attivazione può avvenire nel lume intestinale a livello delle cellule dell’orletto a spazzola. Richiede come attivatore lo ione Ca2+, la cui funzione non è nota, ma sembra procurarne una allungata sopravivenza nell’intestino. Nel sito catalitico è presente la triade catalitica Ser – His – Asp. Riconosce peptici che hanno legami peptidici basici, quindi si liberano tanti peptici quanti sono i legami basici presenti. È inibito dall’inibitore di Kazal presente nel pancreas bovino, per prevenire l’autodigestione da parte di queste proteasi, è inibito inoltre da Alchilfosfatasi. È capace di digerire sia gli elementi metabolici che gli altri enzimi, è necessaria quindi una protezione per la sopravvivenza degli enzimi. All’interno della triade catalitica della tripsina, si verifica uno spostamento di protoni tra i 3 amminoacidi catalitici: l’His tende a prelevare un protone H+ dall’ossidirle della Ser e lo posizione sul proprio gruppo ammoniaco, trasformato in ione ammonio carico positivamente; successivamente l’Asp tende a prelevare l’H+ dallo ione ammonio appena formato e resta protonato. Il peptide quindi viene attaccato nucleofilicamente dalla serina, che presenta un gruppo ossidrile carico negativamente –O- (è quindi un gruppo avido di cariche positive), successivamente il protone legato ad Asp è addizionato al legame peptidico, con formazione di un peptidil – serina enzima e liberazione di un frammento con estremo N. Tutto è eseguito in presenza di acqua. Nelle immediate vicinanze del sito catalitico è presente la tasca di legame che porta al fondo un residuo di un amminoacido acido che può essere Asp. Questo meccanismo di reazione è simile a quello di chimotripsina ed elastina, che sono soggetti agli stessi inibitori.

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��CHIMOTRIPSINA Il pancreas produce inoltre la chimotripsina, nella forma inattiva di chimotripsinogeno e di cui probabilmente esistono due isoforme. La sua attivazione si ha per mezzo della tripsina, senza la quale la chimotripsina non può essere attivata. La tripsina riconosce il legame tra la Arg15 e la Ser16 ed in presenza di acqua scinde il legame formando il � – chimotripsinogeno, composto instabile che si autodigerisce, in presenza di acqua, con taglio proteolitico tra la Leu13 e la Ser14; si forma così il � – chimotripsinogeno. Questo � – chimotripsinogeno è anch’esso instabile e, sempre in presenza di acqua, si autodigerisce riconoscendo se stesso in un punto più lontano, tra la Tyr146 e la Thr147, formando – chimotripsinogeno. Quest’ultimo è nuovamente instabile ed è capace di autodigerirsi in � – chimotripsinogeno, che costituisce la chimotripsina stabile, nuovamente per taglio proteolitico tra Asn148 e Ala149. La chimotripsina si attiva quindi per perdita di due piccoli peptidi e la forma stabile definitiva è costituita da tre catene che chiameremo A, B e C unite tra loro da ponti disolfuro. La triade catalitica risulterà distribuita tra le catene B e C, mentre non èdi pertinenza della catena A. I legami che riconosce e che è in grado di idrolizzare sono quelli in cui il gruppo C=O è dato da amminoacidi: ��A catena ramificata ��Aromatici ��Acido (Asp, Glu) o loro ammidi (Asn, Gln) Anche in questo caso, l’enzima possiede una tasca profonda di legame con amminoacido di natura non acida, non ancora ben identificato. A questo punto possiamo definire proteasi ad attività: ��Tripsino simile: attività peptidasica simile a tripsina, riconosce solo amminoacidi basici. ��Chimotripsino simile: riconosce solo amminoacidi acidi, ramificati ed aromatici ��ELASTASI Prodotta in forma inattiva di PROELASTASI, è attivata nell’intestino ad opera della tripsina, senza perdita di massa. Attacca i legami in cui il C=O è dato da amminoacidi neutri (Gly, Ser, Lys, Ala, Met, Thr). La sua proprietà specifica è quella di dare inizio alla digestione dell’elastina (scleroprotide). Tutti questi enzimi sono esopeptidasi, cioè che degradano la proteina dall’esterno; le uniche endopeptidasi utilizzate sono la CARBOSSIPEPTIDASI e l’AMMINOPEPTIDASI, prodotti rispettivamente dal pancreas e dall’intestino e che degradano la proteina a partire da estremi opposti. ��CARBOSSIPEPTIDASI Esiste in due isoforme A e B,prodotte dal pancreas come precursore inattivo, attivato nuovamente nell’intestino. Le due isoforme differiscono per il tipo di estremi che sono in grado di riconoscere e su cui possono agire. L’isoforma A è prodotta sottoforma di PROCARBOSSIPEPTIDASI in forma dimera, il cui sito catalitico si trova sulla prima delle due subunità. La seconda subunità ha attività chimotripsino simile ed è in grado di riconoscere la prima, staccandone un piccolo frammento, con formazione di carbossipeptidasi A� attiva. Questa è riconosciuta dalla tripsina, la quale asporta un altro piccolo frammento, formando la carbossipeptidasi A� che a sua volta è substrato della chimotripsina, la quale, asportando ancora un piccolo frammento, forma la definitiva carbossipeptidasi A�. È un

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metallo protide, con Zn2+ coordinato alla triade catalitica His – His – Glu; scinde legami peptidici che coinvolgono amminoacidi aromatici e raramente a catena ramificata. La carbossipeptidasi B è prodotta invece sia in forma dimera che in forma trimera; si è osservato, tuttavia, che la forma trimera, giunta nell’intestino, perde la terza subunità (di cui non si conosce l’esatta funzione) divenendo uguale alla forma dimera prodotta direttamente dal pancreas. A differenza della A, la carbossipeptidasi B è attivata esclusivamente dalla tripsina con un taglio proteolitico che comporta la perdita di circa il 50% della massa della carbossipeptidasi. ��AMMINOPEPTIDASI L’enzima lavora solo se ancorato alla membrana delle cellule ad orletto a spazzola, rivolta verso il lume dell’intestino; parte di queste possono agire in ambiente intracellulare su proteine traslocate all’interno dell’enterocita. È anch’esso un metallo protide in cui appaiono Zn2+ e Mg2+. Con questo apparato enzimatico, tutte le proteine sono degradate nel lume del digerente, tuttavia resta ancora da degradare il collagene, per il quale servono enzimi specifici ed in grado di idrolizzare legami che coinvolgono l’idrossiprolina (presente solo nelle molecole di collagene). Una volta degradate completamente le proteine, gli amminoacidi liberati nel lume, diffondono negli enterociti grazie ad un trasporto stereo specifico. Tra tutti questi uno lavora a livello del rene ed è la � – glutamiltranspeptidasi, la quale, per la diffusione degli amminoaicidi, forma un ciclo conosciuto come ciclo di Mester (o del � – glutammile). In questo ciclo la � – glutamiltranspeptidasi, che si trova sulla membrana, utilizza come cosubstrato l’amminoacido extracellulare ed il glutatione intracellulare (funge da trasportatore di amminoacidi). Riassunto della lezione dell’11/03/2003

(Queste cose non ci sono sui testi)

DEGRADAZIONE DELLE PROTEINE PER LA VIA UBIQUITINA DIPENDENTE

Limiti nel citoplasma o nel nucleo

Premesse: la proteina per entrare in questo catabolismo deve essere ubiquitinata (legata ad una molecola della proteina a basso peso molecolare: ubiquitina) � Formazione di un legame isopeptidico tra il carbossil- terminale della Glicina dell’ubiquitina e

una Lisina della catena della proteina (solitamente una sola Lisina per ogni molecola di proteina, ma a volte più residui di Lisina per ogni molecola di protide che viene ubiquitinato).

� 1 oppure 2 o 3 catene di ubiquitina la catena deve essere di almeno 7 o 8 unità; se è minore (1 o 2 unità) la proteina non viene avviata alla degradazione perché non viene riconosciuta dalla proteasi deputata a degradarla.

Significato dell’ubiquitinazione = oscuro o Modo per sottrarre la proteina dalla sua funzione (evitare un eccesso di funzione della

proteina nella via metabolica in cui è coinvolta); o Modo per proteggere la proteina da un eventuale sistema di denaturazione (agenti inattivanti

le proteine: radiazioni UV o radicali dell’ossigeno); o Modo per segregare ubiquitina perché non venga degradata e restituire ubiquitina laddove ce

ne sia di nuovo bisogno Il processo di ubiquitinazione è un processo che costa: per ogni catena di ubiquitina che si lega ad una proteina spendiamo una molecola di ATP e, in più, per ogni molecola di ubiquitina che va ad

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allungare la catena di poliUB spendiamo una molecola di ATP. Questo spiega perché il processo di degradazione via ubiquitina è indicato come un processo ATP-dipendente. ATP è agente fondamentale perché l’ubiquitina si leghi alla proteina. ATP è anche implicato nella degradazione vera e propria della proteina.

via estremamente dispendiosa! SEGNALI DI UBIQUITINAZIONE 1. fosforilazione in determinati siti della proteina destinata a degradarsi su residui di SERINA (ma

anche TREONINA e TIROSINA raramente) all’interno di sequenze particolari dette PEST (Prolina P, Glutammico E, Serina S, Treonina T) non necessariamente uniti tra loro, ma racchiusi in sequenze di 12 amminoacidi (difficili da individuare!)

2. regola dell’N-terminale; cioè natura dell’amminoacido che sta all’estremo amminico della catena protidica. Due classi di amminoacidi: - proteine con tempo di emivita breve (minuti o ore)

- amminoacidi BASICI (Arg, Lys); - amminoacidi AROMATICI (Phe, Tyr, Thr, Leu e Iso);

- proteina a lunga emivita (uno o più giorni) - amminoacidi NEUTRI (Ala, Gly, Met, Val); - amminoacidi ACIDI

Se l’N-terminale è preceduto da un altro radicale (la possibilità più frequente è che ci sia Met perché è l’amminoacido che dà originalmente inizio a tutte le proteine) come si comporta la proteina? Ha un tempo di emivita lungo. (per esempio: Met che precede Arg? La Metionina maschera l’Arginina. Questo radicale deve essere allontanato perché queste proteine possano andare incontro a degradazione)

3. cassetta o sequenza di distruzione una sequenza di 9 amminoacidi che è il segnale di distruzione della proteina; di questa sequenza sono importanti l’amminoacido 1 e l’amminoacido 4 (una Arg e una Leu).

Frequentemente queste caratteristiche le ritroviamo in proteine coinvolte in processi cellulari di estrema importanza per l’omeostasi della cellula (replicazione cellulare, ciclo cellulare), in fattori di trascrizione (che regolano la trascrizione delle proteine portandosi a livello del DNA), in fattori di regolazione dei processi immunitari e della risposta all’infiammazione (risposta infiammatoria).

Esempio: fattore NPKB e il suo inibitore KB sono regolati da un catabolismo via ubiquitina.

PROTEASI DEPUTATA A DEGRADARE LA PROTEINA una volta UBIQUITINATA chiamata PROTEASOMA 26S (26S – indica la velocità di sedimentazione in un campo centrifugazionale

26 = cifra elevata → indica che questa proteina ha una massa molecolare notevolmente alta: supera i 2 milioni di Dalton, è una delle proteine più grosse presenti nei nostri tessuti)

[S → maiuscolo: è l’unità Swebberg] unità proteasoma 26S – proteina di peso molecolare molto alto

è multisubunità- è formata da più complessi, di cui uno contiene l’attività catalitica (dove ogni complesso è formato da più subunità)

Due complessi: proteasoma 20S e proteina 19S o regolatore 19S o PA700 ( → 700.000 Dalton = massa molecolare della proteina)

IMPORTANTE: il proteasoma 20S contiene al proprio interno l’attività catalitica � rappresenta il sito attivo di questa grossa

proteasi. La particella 19S ha una funzione di regolatore dell’entità catalitica. Solitamente si trovano 1unità 20S e 2 unità 19S. L’assemblaggio (unione del 19S al 20S) è un processo che richiede ATP. In assenza di ATP il 19S si stacca dal 20S e le due particelle coesistono separate.

20S

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In presenza di ATP e, ovviamente, magnesio, le due particelle aggregano e si forma il 26S. La proteina ubiquitinata viene avviata al 26S, entra nel 26S, scende e viene triturata all’interno del nucleo catalitico e rilasciata sotto forma di frammenti peptidici. Il 26S non arriva mai alla totale degradazione della proteina; cioè alla risoluzione della proteina nei singoli amminoacidi. Rilascia frammenti peptidici di lunghezza varia, 5-7-9-11-15 amminoacidi (7→11 amminoacidi) che possono essere privi di ubiquitina o portare ancora ubiquitina legata.

Quando la proteina accede al 26S è ancora ubiquitinata o in ogni caso è ubiquitinata fino al momento in cui prende contatto col 26S, infatti, la catena di poliUB è essenziale perché la proteina venga riconosciuta dal 26S.

PROBLEMA: se la proteina entra nel 20S senza ubiquitina e sia legata invece al 26S portando ubiquitina, sicuramente in un certo momento del suo transito attraverso il 26S deve aver perso la catena di poliUB. Fino ad oggi non si sono identificate delle subunità del 19S o del 20S in grado di staccare ubiquitina → rimane un mistero come, in alcuni casi, la proteina, dopo aver interagito con il 26S in forma di proteina + ubiquitina, poi liberi solo peptidi che non portano ubiquitina � ad un certo punto la catena di poliUB si è staccata dal substrato e la proteina è entrata nel gruppo catalitico senza la catena di poliUB. Sicuramente deve esserci una qualche subunità dei due complessi che ha una proprietà deubiquitinante, al momento non identificata. Quelle che si presuppongono facenti parte del 26S sono subunità che hanno attività decurtante la catena di poliUB, in grado di accorciare la catena, ma non in grado di staccare l’ubiquitina dalla proteina. Non sappiamo in quale momento e perché avviene il distacco dell’ubiquitina. È competenza del 19S accorciare la catena di poliUB staccando un’unità alla volta, senza arrivare a staccare l’ultima unità di ubiquitina dalla proteina. Perché la proteina deve essere ubiquitinata per legarsi al 26S? La ragione non la sappiamo, è probabile che sia necessaria la catena di poliUB perché il 26S riconosca la proteina e l’agganci. Sicuramente è la sequenza poliUB che fa da gancio, fa da fattore di riconoscimento da parte del 26S per la proteina che deve essere degradata.

Struttura del 20S Il 20S si presenta come un cilindro cavo, un cilindro vuoto al proprio interno. In questa cavità centrale si affacciano le entità che hanno attività catalitica. La degradazione delle proteine avviene all’interno del cilindro cavo definito dalle subunità che concorrono a formare il 20S. Questo 20S è formato da due tipi di subunità, indicate come subunitàα e subunitàβ e precisamente 14 subunitàα e 14 subunitàβ, quindi in totale è formato da 28 subunità. Le subunitàα sono distribuite su due anelli ciascun formato da 7 subunità. Per ogni proteasoma 20S abbiamo due anelli formati da subunitàα, ognuno di 7 subunità. Altrettanto le 14 subunitàβ si raggruppano in due anelli, ciascun formato da 7 subunitàβ; mentre non esistono anelli ibridi α e β. Quindi, in definitiva, la struttura di questo proteasoma 20S la possiamo indicare come formata da α7, β7, β7, α7: due anelli α che prendono contatto con le subunità 19S e due anelli β che stanno all’interno. L’anello α si trova a contatto con l’anello β e due anelli β collabiscono tra loro, mentre non collabiscono tra loro due anelli α. In questa disposizione nell’interazione tra l’anello α e l’anello β si viene a creare una specie di poro, cioè una piccola camera indicata come “anticamera”. Abbiamo un piccolo poro che stabilisce il contatto tra l’anello α e l’anello β; poi abbiamo una grossa cavità definita all’interno delle subunitàβ che prende il nome di “camera centrale”o “camera catalitica”, e poi abbiamo ancora una camera ristretta delimitata dall’anello β e l’anello α.

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IMPORTANTE: la comunicazione tra l’anticamera e la camera centrale è estremamente ristretta (non c’è quasi comunicazione). Questo rende molto difficile il passaggio di molecole di grosso peso molecolare, particolarmente se in forma sferica. In definitiva le subunitàα si dispongono fra di loro in modo così compatto da rendere veramente difficile l’ingresso alla camera centrale catalitica.

Questo proteasoma 20S si è formato nel corso della filogenesi in organismi estremamente semplici; lo troviamo già nei batteri dove, a differenza che nei nostri tessuti, cioè nei tessuti degli animali superiori e anche delle piante, il proteasoma aveva struttura molto semplice, cioè era sempre formato da 14 subunità, ma le subunitàα erano tutte uguali tra loro e le subunitàβ erano tutte uguali tra loro. Era formato da due soli tipi di catene: cateneα e cateneβ. Nei nostri tessuti, quindi negli animali superiori, c’è stato un ulteriore differenziamento e si sono formate 7 diverse subunitàα e 7 diverse subunitàβ, per cui in totale abbiamo almeno 14 geni che regolano la sintesi del proteasoma nei nostri tessuti (7 geni regolano le subunitàα e 7 geni regolano le subunitàβ), mentre nel caso dei procarioti avremo solo 2 geni: uno che codifica per le subunitàα e uno che codifica per le subunitàβ. Nei nostri tessuti, quindi, il proteasoma è estremamente eterogeneo perché le subunitàα sono tutte differenti tra loro e sono differenti dalle subunitàβ che a loro volta sono tutte differenti tra loro seppure ci sia una certa somiglianza di sequenza. Abbiamo quindi conservato una certa memoria del proteasoma originale pur avendolo modificato probabilmente in rapporto alla necessità e alla funzione che il proteasoma deve svolgere nei nostri tessuti rispetto a organismi più semplici. Si ritiene che le subunitàα abbiano un ruolo prevalentemente costitutivo, cioè concorrono alla stabilità del proteasoma 20S. le subunitàα non hanno attività catalitica, quindi sono tutte inattive. Alcune portano di tanto in tanto delle sequenze KE KE KE: in genere 4 amminoacidi con sequenza Lisina e Glutammico, per cui c’è alternanza molto vicina amminoacido ACIDO – amminoacido BASICO, acido, basico… Queste sequenze sono considerate come “sequenze che facilitano l’interazione proteina-proteina” e, in effetti, 3 subunità α portano queste sequenze e sono le subunità α che stabilizzano il rapporto con le subunità del complesso 19S e, a sua volta, sul complesso 19S troveremo delle subunità che hanno sequenze KE KE KE che a loro volta facilitano l’interazione con le subunitàα. Alcune subunitàα portano le cosiddette sequenze di segnale per la traslocazione del proteasoma al nucleo, infatti, come abbiamo detto, la proteasi ubiquitina dipendente è sia citoplasmica sia nucleare. Le subunitàβ si differenziano dalle subunitàα sia per sequenza sia perché portano attività catalitica. Nel proteasoma dei batteri tutte le subunitàβ sono attive e quindi hanno attività catalitica. Nei proteasomi degli organismi superiori, in particolare nei proteasomi dei nostri tessuti, solo 3 delle subunitàβ sono cataliticamente attive, le altre, per cause che non conosciamo, sono invece inatttive. Cosa vuole dire attive? Vuol dire che sono dotate di attività peptidasica. Cioè attività limitata all’idrolisi di peptidi, cioè di sequenze amminoacidiche a basso peso molecolare. (Mentre in alcuni testi si parla [con un termine confondente] di attività proteasica, che indica attività su molecole di peso molecolare rilevante, vale a dire su proteine vere e proprie [massa molecolare superiore a 5000]). Il 20S è capace unicamente di attività peptidasica, cioè non è in grado di degradare proteine, degrada unicamente peptidi, quindi si comporta come una peptidasi, anche se è correntemente indicato come proteasi, perché sia le peptidasi sia le proteasi attaccano legami peptidici, indicati anche come legami protidici, cioè legami ammidici. Perché il 20S non riesce ad attaccare le proteine? Molto probabilmente perché l’accesso alla camera catalitica è così stretto che non permette il passaggio di molecole di una certa rilevanza. Quindi è l’occlusione data dalle subunitàα, cioè lo stretto canale che mette in comunicazione le subunitàα, l’anticamera in pratica, con la camera

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centrale che rende impossibile l’accesso della proteina. Particolarmente se si tratta di una proteina nativa, cioè di una proteina di struttura globulare. Allora ne consegue, poiché il 20S quando è parte del 26S è, invece, in grado di degradare proteine, vuol dire che nel momento in cui la proteina si introduce nella camera catalitica in pratica è stata denaturata, cioè è stata distesa dalla forma globulare trasformata in una forma filamentosa sufficientemente stretta da poter entrare attraverso il poro della camera catalitica. (su questo torneremo parlando dell’interazione del 19S). Allora il proteasoma 20S, se io lo stacco dal 26S e lo costruisco come entità singola, non è dotato di attività proteasica ma soltanto di attività peptidasica. Ma esiste come entità singola il 20S? La risposta è: probabilmente! Il grosso problema è quando io purifico il proteasoma 20S potrei per qualche motivo disassemblarlo e dire: “nel mio sistema ho del proteasoma 20S libero” in effetti questo potrebbe derivare dalla disintegrazione del 26S quindi è tutt'oggi aperto il problema se il 20S esiste come entità libera singola nei tessuti oppure se esiste aggregata ad altri complessi, come nel caso del 26S aggregato al 19S. (Andando avanti vedremo che c’è un altro complesso che interagisce col 20S e sarà indicato come 11s) Poiché la quantità di proteasoma 20S quando uno purifica i proteasomi dei tessuti è rilevante, cioè se ne trova molto, è molto probabile che il 20S esista anche come entità indipendente. Che ruolo abbia come entità indipendente non lo sappiamo assolutamente, sta di fatto che quando lo purifichiamo come entità indipendente ha puramente un’attività peptidasica e non attività proteolitica. Il 26S è una molecola molto instabile e, inoltre, richiede costantemente presenza di ATP, per cui è probabile che col subentrare della morte e con la caduta dei livelli di ATP rapidamente nei tessuti il 26S si disintegri e ritorni nella forma 19S e 20S. È molto difficile stabilire se esiste davvero questo 20S, è probabile, tuttavia, che una parte ci sia stante la quantità elevata di 20S che si trova quando uno va a separare i diversi proteasomi. Quale ruolo abbia come entità singola non lo sappiamo, ha unicamente attività peptidasica e non attività proteolitica, non riconosce le proteine, ma riconosce soltanto addotti di massa relativamente piccola. Qui subentra la proprietà caratteristica del 20S; nei batteri il 20S ha un’unica attività peptidasica e, precisamente, attacca peptidi laddove un amminoacido idrofobico (e soprattutto aromatico: Tirosina, Fenilalanina, Triptofano) impegni il proprio gruppo carbossilico con il gruppo amminico dell’altro amminoacido. Quale proteasi nel canale digerente abbiamo trovato che era specifica per rompere legami in cui il gruppo carbossilico è dato da aminoacidi idrofobici, in particolare aromatici? CHIMOTRIPSINA: per questo si dice che il 20S nei batteri ha un’attività CHIMOTRIPSINO SIMILE, perché riconosce legami sui quali è attiva elettivamente la chimotripsina. In misura minore riconosce anche il legame peptidico laddove sia dato da aminoacidi a catena ramificata che sono lo stesso idrofobici, mentre non riconosce legami peptidici in cui il carbossile sia dato da un aminoacido basico oppure acido.

Tutte le 14 subunitàβ che concorrono a formare i due anelli β nei proteasomi dei batteri sono dotati di attività chimotripsino simile per cui nella cavità centrale si affacceranno 14 siti catalitici.

La grossa differenza è che nel proteasoma degli organismi superiori, in particolare, nei tessuti animali e nei nostri tessuti, le subunitàβ attive sono esclusivamente 3, indicate come: β1, β2 e β5, che in alcuni testi sono riportate anche come subunità y, subunità z, subunità x. Si è riusciti ad identificare qual è il substrato elettivo per queste 3 subunità. Tutte e tre hanno una specificità diversa, in particolare: le subunità β5 hanno attività chimotripsino simile (quindi riconoscono legami peptidici in cui il carbossile sia dato da un aminoacido aromatico, meno bene a catena ramificata)

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Le subunità β2 o z hanno attività tripsina simile (rompono legami peptidici in cui il carbossile sia dato da un amminoacido basico, Arginina o Lisina – non tocca legami peptidici in cui ci sia Istidina) β1 riconosce elettivamente legami peptidici in cui sia presente col gruppo carbossilico un amminoacido acido; si parla quindi di attività post glutammilidrolasica, che rompe il legame peptidico che all’estremo carbossilico porta un gruppo acido, agisce alla fine dell’acido glutammico, se c’è! (PGPH = idrolasi post glutammil peptidasica) Nella camera catalitica del proteasoma 20S dei nostri tessuti quanti siti catalitici troveremo? 6 (2 anelli β, ognuno con 3 siti catalitici) Le subunità β sono attive solo se sono legate all’interno del proteasoma, quando io cerco di staccare le singole subunità, in pratica, s’ inattivano; il che sta ad indicare che il proteasoma 20S è un tutt’uno ed esiste come attività funzionale solo se è un tutt’uno, cioè se è dato dall’aggregazione delle subunitàα e delle subunitàβ. Questo spiega perché nei tessuti non esistono le singole subunità, cioè non abbiamo mai trovato subunitàα e subunitàβ staccate. Nei nostri tessuti il proteasoma 20S (e questo varrà anche per il 26S) è ancora più complicato rispetto al proteasoma dei batteri, poiché, in condizioni particolari e in particolare in alcuni tessuti, alcune delle subunitàβ possono essere sostituite da altre subunità, cioè non troviamo solo subunità β1 → β7 ma troviamo in aggiunta altre subunità che vanno a sostituirsi alle subunità che correntemente troviamo nel proteasoma che sono dette subunità costitutive. Le tre subunità catalitiche β1, β2 e β5 possono essere sostituite da altre tre subunità… che si sostituiscono alle tre subunità catalitiche, cioè non esiste un proteasoma in cui troviamo β1 più la subunità a lei più simile, o c’è β1 o c’è la subunità a lei corrispondente, ma non possono coesistere le due. Quindi ne consegue che il proteasoma è sempre formato da 7 subunità β sebbene sostituito in tre di queste. Queste tre subunità talvolta si sostituiscono in tessuti con elevata attività antigenica, tessuti che attivamente portano in superficie peptidi che, laddove siano riconosciuti dalla cellula come non propri, ma estranei, portano alla distruzione della cellula e cioè, in alcuni tessuti ad elevata risposta immunitaria (per esempio nella milza, nel polmone, nel pancreas, nel rene); le tre subunità costitutive catalitiche vengono sostituite da altre tre subunità che vengono dette subunità inducibili. Perché inducibili? Perché in vitro, aggiungendo a culture cellulari una citochina che è coinvolta nell’attivazione del sistema immunitario, i proteasomi di queste cellule stimolati con interferon γ vedono scambiate le tre subunità costitutive con altre tre corrispondenti che sono state, quindi, indotte dall’interferon γ… L’ interferon γ determina la formazione delle tre subunità inducibili e la loro incorporazione nel proteasoma. Come si chiamano? LMP 2 (β1); MECL 1 (β2); LMP 7 (β5); per semplificare questa nomenclatura frequentemente le troviamo indicate come iβ1, iβ2, iβ5, dove “i” sta ad indicare inducibile. Che differenza c’è? C’è differenza nei riguardi dell’attività peptidasica:

- iβ1 ha un’attività chimotripsino simile; - iβ2 conserva la specificità di legame di β2, ma estremamente più attiva, ha un’attività

notevolmente più alta (+++); - iβ5 ha anch’essa attività chimotripsino simile, ma estremamente più attiva

(rispetto ad un proteasoma con 3 subunità costitutive) scompare l’attività acida (non c’è idrolisi del legame acido) e l’entità dell’attività è notevolmente più alta.

Quando un tessuto si arricchisce in un proteasoma che contiene subunità inducibili avrà un potere di generare peptidi notevolmente più alto e porterà alla formazione di peptidi prevalentemente con l’estremo carbossil- terminale portante un amminoacido aromatico o idrofobico, o un amminoacido basico (mentre non troverò solitamente peptidi con estremo acido).

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È importante perché peptidi con l’estremo idrofobico o basico sono i peptidi utilizzati in modo elettivo dal sistema immunitario per generare la risposta immunitaria. Del tutto sperimentale, il 20S può essere potenziato enormemente nell’attività chimotripsino simile con perdita, però, dell’attività tripsino simile e PGPH, per trattamento con agenti caotropici, agenti cioè (che) disturbano l’assetto della proteina oppure con detergenti. Elettivamente il composto che si utilizza per indurre questo aumento dell’attività è il sodio dodecilsolfato, SDS. In presenza di piccole quantità di SDS si può potenziare enormemente l’attività del proteasoma 20S rendendolo però capace unicamente di attività chimotripsino simile con perdita dell’attività tripsino simile e PGPH. Ora si è andati a vedere che cosa succedeva nel trattamento con SDS. La cosa interessante è che l’SDS dilata notevolmente l’apertura della camera catalitica, cioè lo stretto canale definito dalle subunitàα, per cui con estrema facilità i peptidi riescono ad entrare, quindi c’è più substrato disponibile e, in effetti, per trattamento con SDS il proteasoma 20S è in grado di degradare alcune proteine a massa molecolare piccola, per esempio l’insulina, particolarmente se risolta nelle sue subunità, oppure peptidi di una discreta massa molecolare, per esempio il glucagone che ha 29 amminoacidi, attività che non avrebbe assolutamente come particella nativa non trattata con SDS. Quindi questa è una prova sperimentale che effettivamente è lo stretto accesso alla camera catalitica che frena e, probabilmente, impedisce al 20S di avere attività proteasica. Il peso molecolare del 20S è intorno a 700000 Dalton (= 700 KD) approssimativamente. È una proteina di notevole rilevanza come massa molecolare e le subunità che la costituiscono hanno un peso molecolare che varia tra 22000 (per LMP2) fino a 31-32000 (34000 max), quindi sono tutte subunità nel range di 25-28000. Non è più un problema riconoscerlo perché sono in commercio tutti gli anticorpi contro le singole subunità che lo costituiscono, quindi l’identificazione del 20S è estremamente facile perché è possibile mediante reazione anticorpo arrivare alla sua identificazione e alla sua distribuzione nel tessuto. Il guaio è che ce n’è pochissimo, cioè non è possibile determinare l’attività di prot 20S in un estratto grezzo di tessuto, per esempio in un lisato cellulare, perché l’attività del proteasoma è sì e no un centesimo rispetto all’attività di tutte le proteasi e peptidasi presenti nel tessuto che sono enormemente predominanti. L’unica possibilità è trattare il lisato cellulare con l’SDS. In queste condizioni l’SDS denatura tutte le proteasi aspecifiche ed esalta moltissimo l’attività del 20S; allora in queste condizioni si riesce a fare una misura specifica, cioè si riesce ad identificare soltanto il 20S, perché il 20S (così come il 26S) sono soggetti a inibizione da una serie di inibitori dei proteasomi che possono essere di differente categoria, in genere sono analoghi strutturali del substrato che normalmente si utilizza per determinare l’attività di questi proteasomi. Qual è il substrato dell’attività di questi proteasomi? Sono in genere substrati sintetici che ormai sono in commercio, quindi l’industria li produce, si tratta in genere di peptidi formati da 4 o 5, al massimo 6 amminoacidi, i quali all’estremo portano legato un fluoroforo, cioè una molecola che, laddove staccata, dà fluorescenza e quindi è possibile con un fluorimero misurare la fluorescenza sviluppata. Questa è la molecola del peptide il quale porta un amino terminale; il carbossil- terminale è legato con questa molecola (che possiamo indicare in questo modo) sovente sono composti di natura aromatica fluorescenti

O H2N C

Allora finché questa molecola, che diventerà fluorescente, è legata non ha fluorescenza, al momento in cui il legame viene rotto e quindi si stacca il peptide e il fluoroforo viene allontanato, il fluoroforo diventa fluorescente e quindi dall’intensità della fluorescenza è possibile determinare la quantità di substrato che si è formata. Per cui i peptidi che si usano per determinare l’attività del proteasoma sono peptidi il cui C terminale è legato al fluoroforo e questo C terminale può essere un

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amminoacido aromatico (Tyr) oppure a catena ramificata (per esempio Leu) oppure può essere un amminoacido basico (Lys o Arg) oppure un amminoacido acido (acido glutammico). Se il C terminale è dato da un amminoacido aromatico potrò determinare l’attività chimotripsino simile, un amminoacido basico avrò l’attività tripsino simile, un amminoacido acido e avrò l’attività PGPH. Questi peptidi sono estremamente comodi perché quando si purifica il proteasoma, ogni tappa di purificazione deve essere seguita da identificazione (cioè dimostrare che si ha ancora il proteasoma tra le mani) allora si fa un’elettroforesi su gel e poi al termine della corsa si irrora il gel con il peptide fluorogenico, lo si sottopone alla lunghezza d’onda opportuna e se c’è il proteasoma il peptide verrà scisso e si libera il fluoroforo e quindi il gel si accende esattamente nel punto in cui si è localizzata la nostra proteina. Ovviamente nei tessuti esistono innumerevoli attività aspecifiche che sono in grado di rompermi il legame, per cui, in una preparazione grezza, io metto il peptide e questo viene immediatamente idrolizzato e il mio tubo avrà una bella fluorescenza perché c’è stata attività proteolitica, ma di questa, forse neanche un centesimo è dovuta al mio proteasoma. Utilizzando l’SDS, in pratica l’SDS è un denaturante di tutte le attività aspecifiche, ma lascia quasi indenne l’attività del proteasoma 20S, addirittura la esalta, per cui nel totale riuscirò a vedere quel poco di attività di competenza del 20S, anche in una preparazione grezza. La seconda possibilità è invece di inibire le attività aspecifiche con degli inibitori opportuni e poi mettere in evidenza l’attività, allora in questo modo è possibile avere attività solo del proteasoma. Se io ho una miscela di proteasi in cui è incluso il mio proteasoma e metto un inibitore di queste proteasi emergerà soltanto l’attività del proteasoma; o viceversa, se metto un inibitore tipico del proteasoma potrò determinare quanto proteasoma ho nella mia soluzione facendo la differenza, perché avrò l’attività totale, l’attività in presenza dell’inibitore del proteasoma, la differenza sarà l’attività del proteasoma che è scomparsa. Inibitori specifici del proteasoma: il più specifico di tutti è un composto di attività fungina (un antibiotico, in pratica) che prende il nome di lactacistina; oppure l’epoximicina, che sono i due specifici per il proteasoma. Questi riconoscono il proteasoma e in genere non toccano le proteasi aspecifiche. Oppure ci sono una serie di inibitori che sono meno specifici, perché toccano anche altre attività peptidasiche, vale a dire gli analoghi strutturali dei peptidi più in uso per la misura, i quali anziché avere l’estremo carbossilico portano un estremo aldeidico. Si parla di peptidi aldeidici. In questo caso l’inibitore non avrà ovviamente il fluoroforo legato. Questo gruppo aldeidico entra in competizione con le subunità catalitiche e impedisce in pratica l’accesso del substrato quindi si comporta come inibitore del proteasoma. Il fatto è che questi inibitori aldeidici sono inibitori di molte proteasi distribuite nei tessuti e, quindi, l’inibizione del proteasoma da questi inibitori è da prendere con una certa oculatezza. Oppure vinil derivati o solfonilderivati dei peptidi in cui l’estremo del peptide anziché avere un gruppo carbossile è sostituito con un radicale vinilico o solfonico, quindi mimano sempre il substrato, ma non corrispondono effettivamente al substrato. In genere questi sono inibitori di tipo competitivo perché competono con il substrato e quindi di tipo reversibile, mentre l’inibizione da lactacistina o epoximicina è un’inibizione irreversibile. Osservazioni di questi ultimi anni dimostrano che sono inibitori relativamente specifici dei proteasomi molti dei farmaci che sono utilizzati nella terapia AIDS; quindi farmaci che sono stati costruiti per tutt’altro scopo, cioè quello di disturbare il virus dell’AIDS (impedirne/bloccarne la replicazione o diminuirne l’aggressività). L’industria farmaceutica aveva identificato queste molecole come specifiche per bloccare alcune attività enzimatiche del virus, per cui il virus non riesce più a riprodursi, oppure viene generata una forma non attiva. Questi inibitori si sono rivelati poi inibitori del proteasoma e sono notevolmente specifici, quindi possono essere utilizzati nella diagnosi di implicazione del proteasoma stesso, il che apre molti dubbi sull’effettivo target della terapia AIDS, cioè se è dovuta esclusivamente all’effetto della

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terapia contro il virus, oppure se non è dovuta a frenare l’attività del proteasoma che è eccessivamente esaltata nel paziente affetto da AIDS. Specialmente in fase terminale il paziente affetto da AIDS soffre di cachessia, disintegrazione del tessuto muscolare. Il proteasoma è fortemente coinvolto nella dinamica, nel turn-over delle proteine muscolari, pare che almeno il 70-80% della degradazione della proteine muscolari sia a carico del proteasoma. Quindi è probabile che questi pazienti abbiano un proteasoma estremamente attivo che divora, in pratica, le loro proteine; ovviamente queste molecole terapeutiche, bloccando il proteasoma, sono di vantaggio per il paziente perché gli frenano la cachessia. Al momento si apre un altro grosso aspetto del modo con cui curare l’AIDS, cioè non soltanto contro il virus, ma cercare di frenare processi eccessivamente sregolati, come conseguenza ovviamente dell’aggressività del virus. 26S Deriva dall’aggregazione del 20S e del 19S; una molecola di massa molecolare più grande 2000KDalton, almeno 2 milioni di Dalton, se non di più, e si costituisce in un processo ATP dipendente: l’idrolisi dell’ATP, in pratica, permette l’aggregazione del 19S e del 20S. È un’aggregazione estremamente labile, per cui è sufficiente una caduta dei livelli di ATP, in vivo, per determinarne la disintegrazione; oppure variazione di forza ionica o variazione del pH del mezzo o variazione della concentrazione salina possono alterare profondamente questa interazione. Importante è che, legandosi al 19S il nucleo catalitico è capace di attività protealitica e, in particolare, diventa specifico per proteine ubiquitinate. Diventa una vera e propria proteasi con una notevole specificità, perché riconosce quasi elettivamente proteine ubiquitinate. Quasi perché il proteasoma 26S è in grado di degradare anche un numero ridotto di proteine non ubiquitinate, tra cui l’ornitina decarbossilasi, la quale è substrato del 26S, ma non richiede la sua ubiquitinazione per essere degradata, richiede invece l’accoppiamento con un’altra molecola, che funge da inibitore, per l’ornitina decarbossilasi che è detto antizima. L’unione dell’ornitina decarbossilasi con l’antizima costituisce l’entità che verrà attaccata dal 26S. Altra differenza rispetto al 20S, il 26S è molto più attivo, per cui ha un’attività peptidasica molto più alta, attività specifica più elevata, e, in più, la sua attività dipende dalla presenza di ATP (cosa che non vale per il 20S). L’ATP svolge molteplici ruoli nei riguardi della funzione del 26S:

1) ne garantisce la stabilità; 2) è indispensabile perché la proteina ubiquitinata possa prendere contatto con il 26S ed essere

introdotta nella camera catalitica; 3) è necessario per la sua attività catalitica perché la esalta.

Importante: mentre per la degradazione della proteina l’ATP deve scindersi in ADP e fosfato, per attivare il 26S non è richiesta l’idrolisi, ma è la molecola di ATP come tale che funge da modulatore allosterico, cioè conferisce al 26S la conformazione più idonea per la sua attività. Quindi l’ATP gioca in due modi: come donatore di energia per facilitare l’ingresso della proteina nel nucleo catalitico (perché altrimenti la proteina non entrerebbe), ma gioca anche come modulatore allosterico nello stabilizzare il 26S nella sua forma più idonea alla sua attività catalitica e, in questo caso, non richiede la sua degradazione a ADP e fosfato.

19S. Caratteristiche del 19S. peso molecolare intorno ai 700000 Dalton; formato all’incirca da 17 subunità (si ritiene, ma c’è ancora qualche dubbio) che si distinguono in due grossi gruppi: subunità con caratteristiche di ATPasi e subunità che non hanno questa caratteristica. In genere, comunemente sono indicate come subunità ATPasiche e non ATPasiche; le subunità ATPasiche sono 6, le subunità non ATPasiche sono 11.

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Queste 17 subunità si ripartiscono in due subcomplessi che sono indicati come BASE e COPERCHIO:

- 6 subunità ATPasiche + 3 subunità non ATPasiche concorrono a formare la base; - 8 subunità nonATPasiche formano il coperchio

(in inglese “base and lid”). Perché BASE? Perché si appoggia sulle subunitàα del 20S e ne prende contatto e il coperchio chiude questa grosssa molecola e sta al di sopra della base. Quale sia la funzione di questi due complessi assolutamente non è chiara! Sta di fatto che la base è importante per l’interazione e, in effetti, alcune delle subunità della base hanno la sequenza KE KE KE. In secondo luogo, la base ha attività ATPasica e, quindi, è in grado di scindere ATP in ADP e fosfato, reazione che è essenziale perché la proteina ubiquitinata possa entrare nella camera catalitica. In questa reazione si libera energia che viene utilizzata per denaturare la proteina, cioè trasformarla da una forma sferica ad una forma allungata che è la forma più idonea perché possa scivolare all’interno della camera catalitica. In più, alcune subunità della base (ma non sappiamo quali) servono per il riconoscimento della proteina che deve essere degradata e, in particolare, riconoscono le catene di poliUB, quindi legano la proteina. È importante per l’interazione substrato- proteasoma. In più nell’interazione base- proteasoma 26S l’apertura del canale di accesso alla camera catalitica viene enormemente dilatata e questo spiega perché la proteina può finalmente entrare nel nucleo catalitico, quando è 26S (e quando è 20S non entra). Sul coperchio risiede una probabile attività DUB. Una delle subunità del coperchio ha probabilmente un’attività disassemblante le catene poliUB cioè concorre a decurartare parzialmente la catena di poliUBIQUITINA portata dal substrato. Quando la proteina entra nel sito catalitico, probabilmente non ha più la lunghezza originale della catena di poliUB, ma ha la catena accorciata. Alcune subunità del 19S hanno facilità di interagire con proteine esogene e in particolare con alcune proteine virali (riconoscono quindi alcuni virus). Quale sia il significato di questa interazione non lo sappiamo, sta di fatto che l’interazione con alcune di queste proteine virali può modificare l’attività del 20S e, in alcuni casi, risolversi in un aumento oppure una repressione dell’attività. Ad esempio è nota un’interazione del 26S e, in particolare, del 19S per la proteina TAT che è una delle proteine che costituiscono il virus dell’HIV. 13 marzo 2003 Continuazione proteasoma e catabolismo amminoacidico. Il proteasoma esiste i più forme: -una con peso molecolare basso che corrisponde al’MPS che ha attività catalitica ma anche peptidasica(N.B. l’attività è multicatalitica perché attacca 3 diversi tipi di legame. Il 20S esiste in associazione con il 19S dando origine al 26S che si differenzia dal 20S poiché ha attività peptidasica che dipende da ATP e ha la capacità di degradare proteine legate a catena polisaccaridiche.Tale processo di degradazione è dispendioso per cui ,in assenza di ATP il 26S è inattivo. Il 20S può esistere anche in associazione con un’altra particella,l’11S, che ha la funzione i potenziare l’attività peptidasica del 20S ma non lo rende idoneo a degradare proteine e non consuma ATP. Il regolatore 11S è completamente diverso da quello 19S,sia per il suo funzionamento,sia strutturalmente.Quale sia la funzione dell’11S ancora oggi non è stato compreso con precisione ma, tenuto conto che la trascrizione dell’11S è regolata dall’interferon-gamma è probabile che

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l’interazione dell’11S con il 20S potenzi l’attività catalitica formando peptidi idonei a essere portati……………….. E’ stato dimostrato che esiste un proteasoma 26S ibrido formato da un 19S+11S+20S.Si tratta di un proteasoma con funzione mista che si comporta in parte come un 11S poiché degrada le proteine e in parte come fosse un 20S+19S perché è coinvolto nella risposta immunitaria e, in questo caso, prende il nome di PA-28.Il PA-28 si presenta in due differenti PA-28 regolatori 11S.(?).E’ formato da due tipi di subunità, � e � , che si uniscono a formare degli anelli, probabilmente 7 anelli che si dispongono ai due stremi di 20S formando così 2 cappucci all’estremità del 20S e del 19S. Caratteristica dei protesomi è la presenza, in un sito catalitico di una TREONINA che rappresenta l’N-terminale delle catene �;nel proteasoma 20S le catene catalitiche sono �1 ,�2 e �5 mentre nel proteasoma batterico tutte le catene � portano Treonina come N-terminale.In questa situazione l’ossidrile della Treonine si comporta come l’ossidrile della Ser ,cioè come nucleofilo nei confronti del legame che deve essere scisso.(N.B. Fino al momento dell’assemblaggio non è possibile individuare un Treonina come N-terminale poi viene rimossa una catena peptidica e si presenta così allestremità la Treonina).Gli inibitori aldeidici ,del proteasoma, portano il loro gruppo aldeidico sulla Treonina formando con la Treonina un legame emiacetalico.La Treonina perde l’H legato al gruppo alcolico secondario per cui l’O tende a formare un legame con il C carbonilico.Nel caso dei monosaccaridi il processo di ciclizzazione (ad es.il glucosio) avviene per spostamento dell’H all’O del penultimo gruppo alcolico della catena sull’O carbonilico.Lo stesso tipo di legame si forma con la lactosina e l’epassimicina con la sola differenza che con l’inibitore si tratta di un legame irreversibile per cui il proteasome rimane irriversibilmente bloccato. I proteasomi sono proteine tioliche :portano cioè un gruppo SH come gruppo reattivo nella catalisi. Tra le molecole proteasomiche ancora poco identificate è da ricordare la CALPAINA. Questa è una proteasi citoplasmatica Ca2+ dipendente ed è fortemente contrastata da un antagonista detto CALPASTATINA. N.B. Il proteasoma non porta alla totale degradazione della proteina ma solo alla formazione di peptici,questi saranno sottoposti all’azione di AMMINOPEPTIDASI che completano la degradazione partendo dall’N-terminale e staccando un aa alla volta. PROTEOLISI LISOSOMIALE:non ATP dipendente e si svolge a pH acido; PROTEOLISO CITOPLASMATICA: è ATP dipendente e si svolge a pH fisiologico. Nel degradare la catena carboniosa di un aa l’organismo trae energia poiché la catena carboniosa , direttamente o indirettamente,confluisce sul ciclo di Krebs e quindi verrà totalmente trasformata in H2O e CO2.Normalmente la cellula ricava l’energia necessaria dalla degradazione di glicidi e lipidi e la degradazione della proteina e l’ultima cosa cui ricorrere,tiene cioè le proteine come riserve estreme.Tale degradazione può essere massima,in caso di digiuno(proteine del fegato e dello stomaco). Per degradare un aa è necessario scinderlo in tutte le sue componenti:1)Carbossile,2)N-gruppo,3)Catena carboniosa. Il catabolismo amminoacidico inizia col distacco del N-gruppo in un processo che prende il nome di DESAMINAZIONE. Tale processo può portare al semplice trasferimento dell’N-gruppo dall’aa ad un composto adiacente o al distacco dell’N-gruppo come NH3. Esistono due diversi tipi di desaminazione: -DESAMINAZIONE OSSIDATIVA E’ u processo di ossidoriduzione in cui l’N-gruppo viene perso comeNH3 in un processo di ossidoriduzione. Questa reazione è catalizzata da due enzimi: -AMMINOACIDOOSSIDASASI -GLUTAMMATODH

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-DESAMINAZIONE ANAOSSIDATIVA In questo caso l’ N-gruppo viene allontanato per : -TRANSAMMINAZIONE in una reazione reversibile valida per tutti gli amminoacidi (fatta eccezione per la Lys) -LIASI in una reazione irreversibile che interessa soltanto cisterna,serina treonina e istidina. DESAMINAZIONE OSSIDATIVA. La desaminazione ossidativi fa capo a 2 enzimi: GLUTAMMATODEIDROGENASI. E’ un enzima mitocondriale che interviene come deidrogenasi NAD dipendente e con il meccanismo caratteristico di questi enzimi allontana come ione idruro l’H legato a C e lo manda al NAD formando NADH + H+ o NADPH + H+ e allontana come protone uno degli H legati all’N-gruppo rilasciandolo in soluzione(gli H+ confluiranno nella catena respiratoria). Pertanto il prodotto della reazione sarà un imminoglutammato L’imminogruppo però è instabile e ,spontaneamente,senza necessità di catalisi enzimatica,in presenza di H2O forma “�-chetoglutarico” e ammoniaca. Questa desaminazione ossidativa dell’acido glutammico in pratica è operante esclusivamente a livello epatico.Bisogna inoltre ricordare che tale enzima si trova nei mitcondri in stretta prossimità di enzimi di cilclo dell’urea in modo tale che NH3 liberata dalla reazione glutammatodeidrogenasi possa fluire direttamente al ciclo dell’urea. Mentre le amminoacido ossidasi sono poco attive e quindi non avrebbero significato nel catabolismo amminoacidico( perché in esso giocano un ruolo secondario) la glutammatoDH è estremamente attiva a livello epatico pertanto si può pensare che proprio questo enzima sia il maggior responsabile del distacco dell’N-gruppo degli amminoacidi sotto forma di NH3.Ne consegue quindi che tutti gli amminoacidi,direttamente o indirettamente, porteranno l’N-gruppo su “ac. �-cheto-glutarico” e formeranno glutammico e questo ,nei tessuti periferici ,verrà rilasciato e trasportato al fegato ,dove verrà trasformato dalla glutammatoDH, mentre nel fegato stesso subirà immediatamente l’azione della glutammatoDH.In pratica,quindi, l’N-gruppo dell’acido glutammico raccoglie l’N-gruppo di quasi tutti gli amminoacidi, una piccola quota potrà fluire su ac. ossalatcetico formando ac. aspartico. AMMINOACIDO OSSIDASI Opera un processo irreversibile che culmina con la formazione di NH3 e H2O2(perossido di H).Tale processo è comune a tutti gli aa eccetto l’acido glutammico che segue una desaminazione ossidativi particolare. DESAMINAZIONE ANOSSIDATIVA. Premesso che la desam.anossidativa per transaminazione non porta a liberazione di NH3,questo è il processo maggiormente implicato nella degradazione degli aminoacidi.Possiamo affermare che quando un amminoacido entra in catabolismo il 90- 95% delle probabilità è che il suo N-gruppo si trovi su ac.glutammico e da questo venga poi liberato come NH3. TRANSAMINASI. -Gli enzimi che determinano questo trasporto dell’N-gruppo nella desam.anossidativa per transaminazione prendono il nome di AMINOTRANSERASI o , più frequentemente, TRANSAMINASI.Tali enzimi sono distribuiti in tutti i tessuti, sia nel compartimento citoplasmatico che in quello mitocondriale(quindi all’interno della cellula sono ubiquitari).

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-Tutte queste transaminasi portano come gruppo prostatico PIRIDOSSAL-FOSFATO(PLP) quindi sono tutti enzimi coniugati.(Il PLP può essere considerato comr il gruppo prostetico elettivo degli enzimi coinvolti nella desaminazione di un amminoacido ,a meno che non si tratti di una reazione ossidativa). Il PLP è già stato incontrato in precedenza come gruppo prostatico della glicogeno fosfolrilasi,enzima coinvolto nella degradazione del glucosio.Ci troviamo di fronte ad un’apparente anomalia in quanto un composto che sembra essere elettivo per il catabolismo degli amminoacidi interviene anche nel metabolismo dei glicidi.Questo è comprensibile considerando che nei due casi il PLP lavora in modo differente e i gruppi utilizzati nella catalisi sono completamente differenti,nonostante le modalità d’interazione del PLP con la fosforilasi da una parte e con la transaminasi dall’altra siano sovrapponibili.In sintesi il PLP riconosce sempre sulla proteina lo stesso gruppo(utilizzato per legarsi alla proteina stessa) però i gruppi funzionali del PLP saranno utilizzati in modo diverso a seconda che esso sia gruppo prostatico della fosforilasi o gruppo prostetico di enzimi legati a catabolismo amminoacidico. Come dice il nome stesso il “ Pirossal fosfato” è un derivato dell’eterociclo piridina e quindi una “monoazina” (con un solo atomo di N) e deriva da una vitamina ,di cui noi non siamo capaci di sintesi, e prende il nome di “piridossina”o “piridossolo” . La vitamina può essere definita come una “piridina- derivato” (2metil-3idrossi-4 5idrossimetilpridina. In pratica è un bialcol con un ossidrile fenolico nella sua molecola).Questa vitamina viene introdotta con la dieta ed è di distribuzione quasi ubiquitaria pertanto è difficile andare in carenza di tale vitamina;nell’intestino viene assorbita con facilità,portata ai tessuti dove viene convertita in gruppo prostetico. -La piridossina subisce un’ossidazione sull’idrossimetile in 4 che viene trasformato in fornile e arriviamo a formare il piridossale;il piridossale per reazione cinasica diventa “piridossal5fosfato”.Quindi la piridossina va incontro dapprima ad una reazione di deidrogenazione ad opera di una piridossina deidrogenasi NAD dipendente che forma un “2metil3idrossi4fornil5idrossimetilpiridina”;viene indicato come piridossale in quanto alla funzione aldeidica compete la desinenza -ALE. Il piridossale ora, dopo una reazione piridossal cinasica, diventa “piridossalfosfato”(PLP) che è appunto il gruppo prostetico dell’enzima. In questo PLP il gruppo con cui esso si lega alla proteina per formare l’enzima coniugato è il gruppo fornilico cioè il gruppo aldeidico in posizione 4.Questo legame è comune sia agli enzimi coinvolti nel catabolismo degli amminoacidi, sia alla fosforilasi.Da parte sua la proteina condivide con il fornile un “N-gruppo” di un radicale di Lys.Questo dunque è un legame costante e comune a tutti gli enzimi che hanno come gruppo prostetici PLP.( Il legame tra proteina e il suo gruppo prostetico PLP è spontaneo in presenza di PLP stesso)Si tratta di un legame relativamente labile,una semplice dialisi o una variazione di pH (più acido)tende a staccare il PLP che poi si attaccherà di nuovo spontaneamente:il legame quindi è labile ma costantemente reversibile.(Questo legame si può trovare in fosforilasi, transaminasi, amminoacido-liasi,decarbossilasi,..) N.B.Il gruppo funzionale di questo gruppo prostetico è invece diverso a seconda che si tratti delle fosforilasi o di enzimi coinvolti nel catabolismo amminoacidico. Nel caso della fosforilasi ha notevole importanza,nella catalisi,il gruppo fosforico legato al C5 perché la reazione (catalizzata dalla fosforilasi)interessaa l’enzima legato al PLP con legame aldiminico e i due substrati,da un lato il glicogeno dall’altra il fosfato: la funzione dell’enzima era di rompere il legame glucosidico 1-4 (alfa) (attaccando quindi l’ultimo legame glucosidico vicino all’estremo non riducente) e trasferire l’unità di glucosio al fosfato formando glucosio-1fosfato e liberare il troncone rimanente.In questa reazione la catalisi era fortemente attivata dalla presenza del PLP,elemento indispensabile;ci sono infatti buone indicazioni che il fosfato legato al C5 del PLP aumenti l’acidità del fosfato substrato, rendendolo cioè più facilmente dissociabile,in questo modo il protone dissociato fa da catalizzatore acido nella rottura del legame glucosidico.E’ stato in effetti isolato un intermedio in cui il glucoso1P è legato al fosfato in 5 del PLP ,in questo modo si

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formerebbe una catena:enzima-PLP-piridossale-fosfato-fosfato-glucoso che poi si rompe immediatamente formando glucoso1-P restituendo il fosfato al PLP .Quindi l’importante nella fosforilasi era la presenza del fosfato. Nel caso invece del catabolismo amminoacidico il radicale fosforico apparentemente non interviene nella catalisi mentre ha molta importanza il gruppo aldeidico,nonostante sia impegnato con l’enzima e quindi,a prima vista, non disponibile.In realtà nel corso della catalisi questo legame con l’enzima si ribalta sul substrato,quindi l’enzima cede temporaneamente ilPLP al substrato per poi recuperarlo al termine della reazione.Come avviene questo? Per descriverlo è necessario entrare nei dettagli della transaminazione.In una reazione di transaminazione ci sono sempre un amminoacido e un “�-chetoacido”, l’amminoacido che deve desaminarsi cederà il proprio N-gruppo al chetoacido che fungerà da recettore,come conseguenza l’amminoacido diventa un “�-chetoacido”e il “chetoacido”un “�-amminoacido”:non c’è liberazione dell’N-gruppo.il nuovo amminoacido è in grado di trasferire di nuovo l’N-gruppo ad un altro “�-chetoacido” e così avanti, questo N-gruppo continua a rimbalzare da un amminoacido ad un “chetoacido” finchè troverà come recettore l’”�-chetoglutarato”,a questo punto la transaminazione cesserà perchè il glutammato formato verrà catturato dalla glutammato deidrogenasi e l’N-gruppo allontanato sotto forma di NH3.E’ possibile poi avere più transaminasi che lavorano in catena ma il risultato sarà comunque formazione di acido glutammico,quindi,in un ultimo passaggio l’N-gruppo dell’amminoacido d’origine lo troveremo come N-gruppo di acido glutammico che lo perderà poi come NH3,la quale finirà poi nel ciclo dell’urea. Descrizione generale di una transaminazione: nel corso della reazione l’N-gruppo lo troveremo temporaneamente legato al PLP. In un primo momento, infatti, la transaminasi prende rapporto con l’enzima ,il quale si presenta come “aldimina” con la Lys nella sua catena peptidica.L’enzima richiama a sé i due H dell’N-gruppo e dell’amminoacido e li sposta sul legame aldiminico e ribalta il doppio legame C=N della Lys su C-N di amminoacido.(quindi temporaneamente l’enzima si separa con la sua Lys libera e contemporanemente il suo C libero forma un legame aldiminico con l’amminoacido formando l’aldimina o chetimina tra gruppo prostetico di enzima, in particolare il fornile dato dall’enzima e l’N-gruppo dell’amminoacido).Il composto formato prende il nome di BASE di SHIF A .Questo intermedio è legato all’enzima e ciò sta ad indicare che l’interazione Lys-PLP è una delle possibili interazioni tra gruppo prostetico ed enzima e il PLP interagisce con enzima anche in altre posizioni non perfettamente note(un forte legame sembra instaurarsi tra il con il fosfato in pos.5 ma sembra interessato anche l’ossidrile fenolico e l’N dell’anello eterociclico.). Formata la Base di Shif A l’enzima la tautomerizza in BASE di SHIF B,semplicemente spostando L’H legato al C-� sul carbonio aldeidico del PLP e fa slittare il doppio legame tra C=N dell’amminoacido. La Base di Shif B viene poi risolta dall’enzima in “pirdossamin-5P enzima” e “chetoacido”(in presenza di H2O).In questo modo ho liberato il primo prodotto della reazione cioè il chetoacido, mentre l’N-gruppo dell’amminoacido iniziale è finito sul C fornilico(legato in 4) del PLP che si è trasformato in un gruppo ammino-metilico:da PLP il gruppo prostetico è diventato “piridoxamin-P”.Con questo chiudiamo la prima parte della reazione perché l’amminoacido è diventato “�-chetoacido”. Il problema è che la reazione non si è chiusa perché abbiamo il PLP non come AL-derivato ma come AMMINO-derivato e quindi,affinché la catalisi continui ,dobbiamo riportarlo in forma di AL-derivato.Ritornare all’AL-derivato vuol dire semplicemente ripercorrere all’indietro le tappe descritte finora utilizzando come substrato l’�-chetoacido accettore.Il chetoacido(con catena laterale R2)viene attivato dall’enzima verso il sito catalitico dell’enzima stesso e ,in pratica, elimina spontaneamente un molecola di H2O tra gruppo carbonilico e l’N-gruppo del PLP e forma il primo intermedio:BASE di SHIF B, poi convertita dall’enzima in BASE di SHIF A (il doppio legame viene spostato tra C e N del PLP e un H del gruppo metilenico del PLP si sposta al C-alfa di PLP),questa base viene risolta in presenza di H2O nel nuovo amminoacido che porterà l’N-gruppo

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dell’amminoacido donatore più PLP libero;non appena il PLP si lega col gruppo aldridico riconosce l’N-gruppo della Lys dell’enzima e torna a legarsi. Con questo si chiude la reazione di transamminazione. Le tappe sono tutte irreversibili e non c’è mai liberazione di NH3 ma l’N-gruppo slitta da amminoacido a chetoacido,dall’amminoacido al chetoacido e così via. Lezione di BIOCHIMICA -venerdi 14 marzo 2003 La desaminazione ossidativa comprende in uno dei suoi aspetti la transaminazione:reazione reversibile in cui l'aa cede il proprio aminogruppo a un chetoacido il quale diventa aa e a sua volta potrà trasferire l'aminogruppo a un altro chetoacido.Solitamente l'accettore terminale è l'ac.alfachetoglutarico.La reazione si conclude con la formazione di ac.glutammico e a questo punto l'aminogruppo è in grado di essere staccato come NH3 ad opera della glutammatoDH e con questo si chiude la sequenza di trasferimento di un aminogruppo da un aa a un altro accettore perchè si arrivi alla formazione di NH3 libera. Lo scopo del catabolismo degli aa è proprio quello di eliminare l'aminogruppo dell'aa come NH3. La DESAMINAZIONE OSSIDATIVA PER LIASI è un processo irreversibile:la liasi provvede ad allontanare l'aminogruppo come NH3 previa ina precedente reazione che consiste in liberazione di H2O E idrogeno solforato.Q.sta via catabolica è propria solo di alcuni aa: ser e thr perdono l'aminogruppo ad opera di una idrolasi specifica per ognuno dei 2 aa; cys perde il gruppo tiolico ad opera di una desolfidrasi:l'allontanamento di i drogeno solforato è il punto di partenza dell' aminogruppo come NH3; sull'hys agisce la desaminasi,che stacca direttamente l'aminogruppo come NH3.Le idrolasi e desolfidrasi sono plp dipendenti. Sulla ser interviene dapprima la serDH ;realizza una reazione irreversibile.Riconosce l'ossidrile alcolico primario della ser ee l'H legato al C alfa:toglie H2O e forma un intermedio instabile,derivato dell'acido acrilico(ac. alfa aminoacrilico).La reazione enzimatica è finita con la sottrazione di H2O.L'ac .alfa aminoacrilico si trasforma reversibilmente in seguito a reazione spontanea nell'ac.imminoproprionico.Possiamo immaginare che un H del gruppo NH2 si sposti al C metilenico e formi CH3 e che il doppio legame si ribalti tra C e N: si forma un ac.imminoproprionico che è instabile e in presenza di H2O forma spontaneamente ac.piruvico.Solo la prima reazione,quella di deidrzione,è catalizzata dall'enzima serDH,che èPLP dipendente.Probabilmente l'enzima forma con la ser una base di Schiff A;poi si innesca la reazione. La thrDH agisce in maniera simile.Anche qui l'enzima determina l'allontanamento di una molecola di H2O e forma il derivato insaturo corrispondente:l' ac.alfa aminocrotonico.Qsto è instabile e spontaneamente si trasforma in ac.alfa iminobutirrico,che in presenza di H2O spontaneamente forma l'ac.alfa chetobutirrico,che può andare incontro a una decarbossilazione ossidativa in presenza di NAD e CoASH.Si perde gruppo carbossilico come CO2 e si forma proprionilCoA.Qsto diventerà metilmalonilCoA,succinilCoA e arriverà al ciclo di Krebs.Con la formazione di proprionilCoA ci ricolleghiamo al metabolismo dell'ac.proprionicoca:con la carbossilazione in presenza di biotina e ATP formiamo metilmalonilCoA.Qsto isomerizza in presenza di CoB12 in succinilCoA,che entra poi nel ciclo di Krebs. La cys si differenzia nel catabolismo della ser solo nella prima tappa,dopo di che iprocessi si ricongiungono. Una cys desolfidrasi agisce come la serDH:toglie una molecola di idrogeno solforatotra gruppo tiolico e H legato al C alfa e forma ac.aminoacrilico.Qsto si ricollega con ilmetabolismo della ser:diventa ac.iminoproprionico e poi spontaneamente si scinde in proprionico e NH3. La desaminasi che lavora sull'hys,a differenza della deidratasi e della desolfidrasi,nn usa PLP.Si

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comporta come NH3 liasi:toglie l'aminogruppo in alfa e uno degli H in beta.Forma l'ac. insaturo betaimidazolilacrilico( acrilico perchè la catena carboniosa corrisponde all'ac.acrilico),detto anche ac.urocanico,perchè è stato isolato nelle urine del cane.Nell'ac.urocanico abbiamo 2 doppi legami perciò assorbe gli UV.è alla base di molte creme antisolari. Aspetti secondari del metabolismo degli aa: reazione di decarbossilazione con trasformazione dell'aa in amina con un C in meno; reazione di racemizzazione:esiste un sistema di protezione che riporta Daa in Laa. DECARBOSSILAZIONE Si parla di aa decarbossilasi,che hanno tutte come gruppo prostetico PLPe trasformano l'aa nell'amina con un C in meno.Attraverso qsto processo alcuni aa sono trasformati in sostanze che hanno carattere di ormoni:ormoni di fusione.Soprattutto gli aa aromatici sono decarbossilati:hys si trasforma in istamina;trp in triptamina;tyr in tiramina. L'intermedio che si forma durante la reazione è la base di Schiff A. A qsto punto il metabolismo nn procede ma l'enzima toglie il gruppo carbossilico e forma la base di Schiff dell'amina corrispondente con un C in meno,nn più dell'aa.In presenza di H2O il composto si risolve in amina e PLP libero. RACEMIZZAZIONE Il processo nn è noto.All'inizio si forma base di Schiff A,che diventa poi base di Schiff B.Da qsta si passa poi alla C.L'aa si trova legato codirezionalmente con il lato del PLP che porta il gruppo alcolico primario.Nel passaggio a base di Schiff B il radicale dell'aa è spostato dalla parte opposta,per cui si affronta all'OH di PLP e in più ritorna come configurazione a quella della base di Schiff A.Nn è stato isolato l' intermedio.Da b.Schiff B si passa a C:l' aa è ribaltato dal lato dx a quello sx di PLP.La base di Schiff C in presenza di H2O si risolve spontaneamente nell'aa e nel PLP.L'aa avrà configurazione L e nn più D. Nella transaminazione formiamo l'alfachetoacido.Tutti gli alfachetoacidi banno incontro alla decarbossilazione ossidativa che li trasforma nell'acilCoA con un C in meno:è una reazione irreversibile che ha aspetti in comune con la decarbossilazione ossidativa del piruvato(primadel ciclo di Krebs) e con quella dell'alfachetogluterato(nel ciclo di Krebs) Esistono deficit genetici di alfachetoacido decarbossilasi:comporta il blocco del catabolismo dei singoli aa.Gli aa nn riescono a trasformarsi nalla forma metabolicamente convertibile.Qsti alfachetoacidi si accumulano nelle urine,che diventano dense perchè gli alfachetoacidi formano dei polimeri.I danni sono a carico del tessuto nervoso.Colpisce i bambini:deficit mentale; a volte morte. L'alfachetoacido decarbossilasi condivide con la piruvatoDH e l'alfachetogluteratoDH l'enzima E3.Qsta aa decarbossilasi ha in comune con la piruvatoDH il il fatto di essere un complesso enzimatico formato da 3 enzimi che corrispondono come funzione ai 3 enzimi della decarbossilazione ossidativa del piruvato:E1 ha come gruppo prostetico TPP(tiamina pirofosfato);E2 ac.lipidico;E3 FAD. Si ritiene che E3 sia lo stesso enzima del complesso dell'alfachetogluteratoDH e della piruvatoDH. Nel primo momento l'alfachetoacido prende rapporto con E1 che ha come gruppo prostetico TPP.L'anello tiazolico ha il C2 suscettibile di deprotonazione:cede H in presenza dell'enzima e l'orienta sull'O carbonilico del substrato.Il C carbonilico si lega con il C2 dell'anello tiazolicodi TPP.Si forma un intermedio:alfaidrossiaciltiaminaPP enzima. A qsto intermedio si affaccia E2 che ha ac.lipoico legato.L'ac.lipoico è formato dall'anello del ditiolano,2 atomi di S,3 di C.L'anellodel ditiolano si lega a una catena valerianica,la quale si lega con legame isopeptidico alla lys di E2. E2 si affronta a E1 legato al substrato.E1 determina il distacco del gruppo carbonilico come CO2 e

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forma un nuovo intermedio idrossiderivato.Qsto è usato per ridurre l'anello di tiolano di E2:l'enzima orienta l'atomo di H verso l'atomo di zolfo del tiolano,apre l'anello e forma il nuovo intermedio.L'enzima riduce l'anello di tiolano,vi trasferisce la catena carboniosa e intanto E1 si stacca.Su E2 c'è il tiolano ridotto con legato la catena dell'acido decarbossilato.L'intermedio idrossiderivato è utilizzato per ridurre l'anello di tiolano,trasferire l'acile al tiolano ridotto e liberare E1.Su E2 c'è un acile con un C in meno. IL nuovo intermedio in presenza di CoAsi trasforma in E2 con l'anello di tiolano ridotto e forma l'acilCoA che ha un C in meno.E2 che porta il ditiolano ridotto si ossida in presenza di E3 che porta FAD.E3 ossida l'anello del ditiolano e quindi si riduce nel suo gruppo prostetico FAD.Da ultimo E3 in presenza di NAD si riossida e al termine avremo NAD ridotto.Qui il FAD si riossida a spese del NAD;ciò avviene anche nella piruvatoDH,in alfachetogluteratoDH,nel metabolismo delle basi pirimidiniche quando l'ac.diidrorotico diventa orotico Il FAD ridotto si riossida: -quando va nella catena respiratoria.Si parla di enzimi flavinici anossitropi:enzima del complesso 1,NADH DH,succinatoH,acilCoA DH. -a spese dell'O molecolare:aa ossidasi,xantina ossidasi.SI parla di enzimi flavinici ossitropi. -quando è legato a E3 di piruvatoDH.,alfachetogluteratoDH,alfachetoacido decarbossilasi,diidrorotatoDH.La riossidazione di FAD è mediata da NAD:l'H fluisce dal FAD al NAD,anzichè l'opposto come nella catena respiratoria. Ogni aa quando entra nel catabolismo viene modificato:perde aminogruppo per transaminazione;per qualche aa per liasi o per desaminazione ossidativa.Qsta ultima reazione è improbabile per via della scarsa attività dell'aa ossidasi,fatta eccezione per il glutammato che invece è desaminato ossidativamente per deidrogenazione a livello epatico. L'aa prima è desaminato e poi va incontro a catabolismo.Nella desaminazione il suo aminogruppo è liberato come NH3.Localmente NH3 è neutralizzato: o legato a alfachetogluterato per formare glutammato, o legato a glutammato per formare glutammina.Glutammato e glutammina dai tessuti periferici si traslocano al fegato,dove viene staccato l'aminogruppo liberando NH3.Nello stesso compartimento in cui avviene la liberazione di NH3 è funzionante un processo che la neutralizza trasformandola in urea,che è solubile e nn ha la tossicità di NH3.Il processo che trasforma NH3 in urea si chiama CICLO DELL'UREA o CICLO DI KREBS. è un processo conpartimentato :inizia nel mitocondrio e finisce nel citoplasma ;prevede un conposto fondamentale ,il carbammil fosfato (gia nella sintesi delle basi pirimidiniche ).C'è una carbamminil fosfato sintetasi che forma carbammil fosfato a partire da CO2 ,NH3 e ATP in una reazione ligasica .Si chiama CAP1.Cè una CAP2 .:dà avvio alla sintesi delle basi pirimidiniche .Entraqmbi gli enzimi danno carbammil fosfato e sono delle ligasi perche consumano 2 ATP ; sono proteine diverse :la1 enemitocondri ,la2 è nel solubile .La1 utilizza come substrato NH3,la 2 utilizza glutamina come donatore dell'N amminico . La 1 necessita come cofattore N acetil glutammato , al quale la 2 è indifferente . La 2 è sensibile alla regolazzione da prodotto terminale della seguenza ,UMP : regolata negativamente dal prodotto terminale della via metabolica a cui dà inizio, UMP Launo ne è indifferente . La sintesi inizia nei mitocondri.Il 1 metabolita che si forma è il carbammil fosfato (reazione ireversibile) :CO2 è disponibile nei mitrocndri perchè si libera nel ciclo di Krebs ;l'ATP dalla catena respiratoria ( fosforilazione ossidativa ). Entrambi i processi sono mitocondriali.NH3 viene da aaattraverso reazione di transaminazione ,ma da ultimo tutto converte sul glutamato e attraverso le DH si forma NH3 (reazione mitocondriale).CAP1 utilizando il sistema ATP è Mg dipendente ;cè competizionetraMG e Ca: Mg è attivatore e CA inibitore. è stato isolato un intermedio in cui la molecola DCO2 si trova legato tra due molecole di ATP con legame di anidrite tra i 2 ossidrili dell'ac. carbonico e i 2 radicali fosfato in gamma . Siforma un adenosin trifosfato carbossi ATP o anidrite carbonica attiva. Il secondo intermedio porta legato il gruppo NH2 come un carbamilfosfato adenosindifosfato con liberazione ADP e P . Il primo

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intermedio va incontro a scissione del legame anidrite e la rottura facilita il trasferimento DNH3 sotto forma di NH2 su qsto intermedio che è una specie di carbossil fosfato. IN un 1 momento c'è rottura del legame di anidrite con liberazione di ADP,formazione di nintermedio in cui il fosfato è ancora legato al bicarbonato ione . Da qsto intermedio in presenza di NH3 si forma lintermedio stabile definitivo in cui cè un carbammile e una molecola ATP. La formazione dell' intermedio costa perchè si è formato legame peptidico tra NH3 ,gruppo carbosile e ac. carbonico. Questo intermedio e il carbammil ATP ; si sono liberati ADP e P . Dall'intrmedio si libera poi carbammil fosfato e ADP in presenza di H2O .CAP1lavora solo se ha a disposizione ac Nacetilglutammico,cosubstrato della reazione . Lacido si forma in una reazione transferasica a partire da acetilCoA e acido glutammico : la reazione è inreversibile ed è catalizzata da Nacetilglutammato sintetasi o glutammatoacetil transferasi ; lacetile è trasferito dal CoA all' amino gruppo dell'acido glutammico . Questa transferasi è attivata da Arg , l'ultimo metabolita del ciclo dellurea prima di formare urea. Nacetilglutammato è labile perchè compete con esso la Nacetilglutammato idrolasi che in presenza H2O stacca l'acetile e forma ac glutammico: reazione inreversibile . Nei mitocondri è disponibile il glutammato . Nel fegato la presenza di glutammato dipende da reazione di transaminazione in cui alfachetogluterato con aa forma glutammato e alfachetoacido. IL continuo rifornimento di glutammato necessario per formare Nacetilglutammato che è attivatore di KAP è inprobabile che venga da un'aminazione di alfachetogluterato via glutammato idrogenasi perchè andrebbe in contrasto con la reazione opposta che cerca di desaminare gli aa per trasferire l' amino gruppo sul glutammato che a sua volta viene desaminato dal glutammato idrogenasi. Seppure da un punto di vista metabolico sarebbe spiegabile la trasfomazione dell' alfachetogluterato in glutammato per formare Nacetilglutammato, in effetti in un tessuto che sta formando urea è inprobabile ,metre è molto più probabile che il glutammato si formi pre reazioni di transaminazioni in cui gli aa trasferiscono l' aminogruppo su alfachetoglumerato formando glutammato. Il fegato ha disponibilità perchè lo forma nel ciclo diKrebs .IL glutammato viene da reazioni di transaminazione e nonsi forma per aminazione via glutammato idrogenasi . Il ciclo dell'urea dipende attivamente dal ciclo di Krebis non solo per avere CO2 e ATP, ma anche glutammato via alfachetogluterato. Formato il carbamil fosfato interviene un aa che si forma da modificazioni in particolare di Arg : l' ornitino (ac alfa,delta diamino valerianico). Tutti gli aa che intervengono nel ciclo dell' urea sono a5 C: ciclo dei 5 Carboni . Gli intermedi del ciclo dell' urea derivano tutti dall' ac .valerianico. L' ornitina fa da supporto per legare il carbamil fosfato e formare un nuovo aa, la citrulina(acido alfa amino delta ureido valerianico) : ha un carbonile in piu ' rispetto a lornitina . Seconda reazione del ciclo ( è ancora mitocondriale): ornitina lega carbamilfosfato in una reazione carbamil transferasica e forma la citrulina. Reazione irreversibile:si perde l'energia del legame carbamilfosfato ,un legame di tipo anidride;il P si stacca e fornisce energia per legare il carbamile all'aminogruppo dell'ornetina. Agisce l'ornitina carbamil transferasi. L'enzima nella forma attiva è un trimero:3 catene uguali che originano da un precursore, un monomero formato da una catena peptidica piu' lunga che origina a livello dei ribosomi nel citoplasma.La transferasi è nei mitocondri; nasce come precursore detto preprotransferasi , entr nel mitocodrio e la catena va incontro a 2 tagli proteolitici che staccano in successione 2 franmenti. Si forma la catena peptidica matura che con 2 catene similari forma il trimero. Il trimero si forma all'internodel mitocondrio dopo maturazione della catena precursore. IN genere le prpteine mitocondrili che provengono dal citoplasma hanno la sequenza pro o pre ricca in aa basici . Sembra che questa carica positiva faciliti l'ingresso nel mitocondrio . Sulla menbrana interna c'è un traslocatore. Con la formazione della citrullina il ciclo dell' urea si ferma nel mitocondrio e non puo' proseguire. La citrullinviene traslocata fuori e il processo continua nel citoplasma .La citrullina è un composto polare ma non carico, quindi riesce ad attraversare la menbrana interna del mitocondrio e raggiungere il citoplasma. Qui avvengono le 3 reazioni che concludono il ciclo dell' urea .La 1 è una reazione ligasica in cui la citrullina è legata a 1 molecola di ac aspartico nella formazione dell' intermedio

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arginin succinato . Piu' facile è capire il meccanismo della reazione se scriviamo la citrullina non nella forma chetonica, ma enolica. Per passare alla forma enolica un H legato All' aminogruppo si sposta sull' O carbonilico e il doppio legame si ribalta tra C e N.Le 2 forme sono in equilibrio tra loro. Ad essa si affronta poi l' ac aspartico el' enzima determina l' unione dell' N aminico dell' ac aspartico con il C carbonilico della citrullina ed eliminazione di una molecola di H2O. L'eliminazione di H2O è simultanea alla scissione di ATP in AMP e PP. Si forma l'intermedio definitivo: argininsuccinato. Prima dell' intermedio definitivo è probabile che si formi un intermedio in cui l' ac aspartico lega AMP :è l' aspartiladenilato intermedio . La reazione è ligasica e poiche' richide ATP dipende dalla presenza di Mg . L'enzima è altamente specifico: riconosce la citrullina da 1 parte e l' ac aspartico dall'altra . L'ac. aspartico si forma nel mitocondrio oppure puo' essere formato nel citoplasma e traslocato nel mitocondrio attraverso 1 reazione di transaminazione a partire da ac. ossalacetico che proviene dal ciclo di Krebis con qualsiasi aa in particolare l' ac . glutammico. Da qui la spiegazione al fatto che 2 amino gruppi dell' urea anno origine diversa: 1 viene da NH3 e l'altro viene da aa , in particolare dall' aminogruppo dell' ac. aspartico. BIOCHIMICA – Prof.ssa RINAUDO – lunedì 17 marzo 2003 Concludiamo con il CICLO dell’UREA: avevamo visto la REAZIONE LIGASICA in cui la CITRULLINA in forma ENOLICA e non chetonica si legava all’amminogruppo dell’Ac. Aspartico in una reazione dispendiosa in cui l’ATP scendeva in AdenosinMonofosfato + Pirofosfato formando l’intermedio ARGININ-SUCCINATO. La reazione è di tipo ligasico:interviene una ARGININ-SUCCINATO SINTASI (o arginin-succinato sintetasi) che lega insieme l’amminogruppo dell’Ac. Aspartico all’ossidrile enolico della citrullina con contemporanea scissione dell’ATP e AdenosinMonofosfato+Pirofosfato. In questa reazione l’ATP richiede Magnesio, ed è probabile che l’AMP si leghi all’ossidrile della citrullina formando l’intermedio CITRULLIN-ADENILATO. L’AMP rimane legato al gruppo enolico della citrullina in un legame simile a quello di anidride, si dice LEGAME ENOLICO, estremamente instabile ma ricco di energia, che conserva in se l’energia del legame che si è scisso. Successivamente,l’AMP viene staccato e l’ossidrile enolico della citrullina viene legato all’amminogruppo dell’Ac. Aspartico; per cui formiamo questo intermedio: ARGININ-SUCCINATO, perché in effetti la molecola più in basso è la molecola di Arginina. Ci stiamo avvicinando al prodotto finale della sequenza metabolica che sarà Arginina che poi si risolverà in Urea + Ernitina. Appena formato, questo intermedio estremamente labile, diventa il substrato per la reazione successiva: reazione liasica, catalizzata dall’enzima ARGININ-SUCCINASI, la quale provvede a staccare Arginina formando una molecola di Ac. Fumarico. Questo intermedio, in un momento successivo elimina Arginina + Ac. Fumarico. (Cioè: è molto probabile che questo idrogeno venga a legarsi all’azoto e insieme si formi un doppio legame); l’enzima è quindi detto ARGININ-SUCCINATOLIASI (o arginin-succiliasi). L’enzima è estremamente specifico, ed è una liasi perché si forma un doppio legame per eliminazione di gruppi. Ha come energici inibitori derivati fluorurati dell’Ac. Fumarico: Ac. Monofluorofumarico o Ac. Difluorofumarico in cui i carboni legati al doppio legame sono sostituiti da un atomo di fluoro. Questo inibitore è di particolare interesse perché riconosce il sito attivo dell’enzima e si lega, ma non riesce più a staccarsi; quindi compete con il substrato per legarsi all’enzima ma, una volta legato, non riesce più a staccarsi. E’ considerato un inibitore KILLER. L’enzima lo riconosce ma non riesce più a liberarsene. Per di più, l’enzima è estremamente specifico: riconosce unicamente come substrato l’arginin-succinato e non riconosce altri substrati. Siamo arrivati a formare ARGININA, che è l’ultimo intermedio del CICLO dell’UREA prima della formazione di urea. L’Arginina sarà substrato adesso per una idrolasi indicata come ARGINASI, la quale scinde l’Arginina in PSEUDOUREA + ornitina e la pseudourea rapidamente si converte in UREA. Quindi più Acqua. Possiamo immaginare che Il Protone dell’acqua si porta all’azoto legato

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al Carbonio metilico e l’ossidrile si sposta al carbonio. Per cui il primo prodotto della reazione, il prodotto immediato di questa reazione irreversibile, è pseudourea che poi spontaneamente si converte in urea. Il ciclo dell’Urea si conclude. L’ARGINASI, pur essendo un’idrolasi, è un metallo protide in cui il metallo è rappresentato dal Manganese. Ed è notevolmente specifica per l’Arginina,che rappresenta pressoché il suo substrato assoluto. Molto interessante è la distribuzione nei tessuti: si trova praticamente in tutti i tessuti in piccole quantità ma è particolarmente concentrata nei tessuti epatici. Allora: che ruolo svolge questa arginasi fuori del fegato? Svolge un ruolo fondamentale nel catabolismo dell’Arginina formando Ornitina, quindi è anche importante per la sintesi di ornitina. Nel fegato invece è presente in quantità elevata e solo qui darà origine ad urea. A questo punto l’Ornitina, che ha dato inizio al processo e si ritrova anche alla fine del processo, funge quindi da catalizzatore del processo, deve ritornare al mitocondrio per innescare un nuovo giro. Il problema è che l’Ornitina è una composto relativamente carico ed ha difficoltà a passare la membrana mitocondriale. Molto probabilmente il passaggio è attivo, insieme all’Ornitina passa un anione, inoltre il passaggio richiede ATP. Mentre l’uscita della citrullina dal mitocondrio, essendo un composto polare ma non carico non ha problemi durante il passaggio. RICAPITOLAZIONE del PROCESSO: Il processo inizia nel mitocondrio, formiamo carbonil-fosfato, su questa reazione, catalizzata dalla carbonil-fosfato sintetasi 1, è presente una importante regolazione da parte dell’N-acetilglutammato, il qual si forma da acetil CoA più Ac. Glutammico. Quando l’Acetil CoA, che entra nel per il ciclo di Krebs, è molto abbondante nel mitocondrio il ciclo dell’urea è fortemente attivato perché c’è forte disponibilità di Acetile per legare Glutammato e formare il composto attivo. L’Ac. Glutammico essenzialmente deriva dalle reazioni di transaminazione che avvengono all’interno del mitocondrio e, in particolare l’Ac. Glutammico, dopo diversi passaggi, si può formare dalla reazione di transaminazione in cui l’Ac. Aspartico dona l’amminogruppo all’Ac. chetoglutarato che viene dal ciclo di Krebs, e forma Ac. Glutammico. Il Carbonil-fosfato reagisce con l’Ornitina, e forma Citrullina. La citrullina esce dal mitocondrio ( non ha problemi di uscita ) e nel citoplasma reagisce con l’Aspartato, in una reazione ligasica, formando Arginil-succinato, quindi spendiamo una molecola di ATP, in effetti due perché si scinde in AMP + Pirofosfato. Poi l’Arginil-succinato ad opera della liasi libera Fumarato e forma Arginina. L’arginina, a sua volta, in presenza di acqua forma urea + ornitina, ornitina che torna nel mitocondrio tramite un passaggio non spontaneo, mediato, che consuma ATP e richiede in contemporanea la traslocazione nel mitocondrio di un anione, perché essa è carica positivamente e l’anione annulla la sua carica. Per quanto riguarda il Fumarato, esso può attraversare la membrana mitocondriale interna perché è un acido dicarbossilico e sulla membrana del mitocondrio ci sono trasportatori per gli acidi carbossilici, si ricongiunge al ciclo di Krebs dove verrà trasformato in Ossalacetato e potrà continuare il ciclo. Quindi abbiamo contemporaneamente un chetoglutarato che viene donato dal ciclo di Krebs e un Fumarato che torna al ciclo di Krebs, eventualmente integrando la molecola di

chetoglutarato che è stata consumata. Quanto costa formare UREA? 4 ATP: 2 le consumiamo per formare carbonil-fosfato e 2 le consumiamo per trasformare ATP in AMP + Pi. Importante ricordare questa CAP (carbonil-fosfato sintetasi). Ce ne sono due: la CAP1 è legata ai mitocondri ed è legata al ciclo dell’urea, dipende da N-acetilglutammato per la sua attività e utilizza ammoniaca libera, la CAP2 è nel solubile, non dipende da ammoniaca libera ma dipende da Glutammina, e non è regolata da N-acetilglutammato.

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IL METABOLISMO DEI SINGLI AMMINOACIDI Importante soprattutto per chi vuole studiare pediatria (porta molte malattie, non troppo diffuse) Avete visto la classificazione degli amminoacidi in base alla natura chimica dell’amminoacido, cioè in base ai gruppi che portava: Amminoacidi NON POLARI

POLARI CARICHI NON CARICHI Questa è una classificazione CHIMICA. Dal punto di vista fisiologico è invece più interessante una seconda classificazione che distingue gli amminoacidi in 2 grandi gruppi nel caso del neonato e in 3 gruppi nel caso dell’adulto: AMMINOACIDI ESSENZIALI: amminoacidi che siamo in grado di degradare ma non di sintetizzare. Non siamo in grado di formarli in nessuna età, né da bambini, né da adulti Valina, Leucina, Isoleucina, (idrofobici, ramificati), fenilanina, triptofano (aromatici), treonina, lisina. Questi 7 amminoacidi sono essenziali per l’adulto e per il bambino ma nel caso del bambino bisogna aggiungere alla lista degli essenziali la istidina e la metionina;che non sono essenziali nell’adulto perché è in grado di formarli in piccola misura, ma non abbastanza da soddisfare il fabbisogno giornaliero. Istidina e Metionina vengono quindi definiti SEMI-ESSENZIALI. Tutti gli altri amminoacidi vengono definiti NON ESSENZIALI e di tutti questi siamo in grado sia di sintesi, sia di degradazione. PER L’ESAME!!!!! Di tutti gli amminoacidi essenziali chiederò la demolizione e non la sintesi, mentre per quelli non essenziali, chiederò sia la sintesi che la demolizione. Gli amminoacidi ammettono più vie di sintesi e degradazione, dovrete saperne almeno una per la sintesi e una per la demolizione. Iniziamo con l’amminoacido più semplice che è la GLICINA. E’ l’unico degli amminoacidi che non porta carboni asimmetrici perché il carbonio legato all’amminogruppo non è un carbonio terziario. La glicina possiamo sintetizzarla e degradarla. DEGRADAZIONE. Esistono più vie ma ce n’è una più usata e complessa 1° Via di Degradazione. Prevede l’intervento di almeno 4 enzimi: Il primo enzima utilizza come gruppo prostetico piridossalfosfato, si lega quindi all’amminogruppo della Glicina sotto forma di base di Shiff e agisce come decarbossilasi e toglie via il gruppo carbossilico, simultaneamente il piridossalfosfato si stacca e l’amminometile formato viene trasferito al secondo enzima:l’AMMINOMETILTRANSFERASI. Questo porta come gruppo prostetico Ac. Lipoico (che abbiamo già incontrato: nella decarbossilazione ossidativa del Piruvato come gruppo prostetico dell’enzima E2, nella decarbossilazione ossidativa dell’ chetoglutarato e nella decarbossilazione ossidativa di tutti gli chetoacidi. Quindi stranamente questa amminometiltransferasi porta come gruppo prostetico Lipoato). Decarbossilato questo intermedio l’enzima E1 e l’enzima E2 interagiscono fra di loro, l’amminometile viene trasferito dall’enzima E1 all’enzima E2 legandosi all’Ac Lipoico. Il gruppo prostetico lipoato dell’enzima E2 è legato ad una lisina (come già nel complesso E2 della piruvato decarbossilasi). Dall’enzima E1 viene portato l’amminometile sul gruppo tiolico dell’enzima E2: il ponte disolfuro si apre e l’amminomaetile viene a legarsi formando una catena a 8 carboni in cui in posizione 8 abbiamo un gruppo tiolico sostituito con uno amminometile. Si forma così l’AMMINOMETILDIDROLIPOATO enzima, l’enzima E1 si stacca e l’unità che faceva parte della glicina rimane legato all’AC. Lipoico ridotto. Formato questo

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AMMINOMETILDIDROLIPOATO enzima E2, esso affronta l’enzima E3 che porta come gruppo prostetico tetraedrofolato e in una reazione non chiara nei suoi passaggi abbiamo liberazione del gruppo NH2 come ammoniaca e trasferimento del carbonio ammetilenico al tetraedrofolato con formazione di N5-N10-METILENTETRAEDROFOLATO (il gruppo metilenico lega simultaneamente l’azoto 5 e l’azoto 10 del tetraedrofolato). Quindi l’interazione dell’enzima E2, che porta legato l’amminometile all’Ac. Lipoico, con l’enzima E3, che porta come gruppo prostetico il tetraedrofolato, porta alla eliminazione dell’azoto amminico come ammoniaca, alla formazione del DIIDROLIPOATO enzima. L’ammoniaca dai mitocondri (viene trasferita?) direttamente al ciclo dell’urea, se siamo ai tessuti periferici viene neutralizzata con Ac. glutammico o glutammina e poi veicolata al fegato. Il secondo prodotto della reazione (ammoniaca) è stato liberato, rimangono da vedere il diidrolipoato enzima che è nella forma ridotta e l’N5-N10-metilentatraedrofolato che può essere utilizzato come tale (per esempio nella sintesi della timina (timidin-5-fosfato)) oppure può legare una molecola d’acqua e trasformarsi in idrossimetiltetraedrofolato,il ponte metilenico si spezza e il carbonio rimane legato all’ N10. Esso può essere ossidato, in una reazione di diedrogenazione a formiltetraedrofolato: l’idrossimetile diventa formile e c’è il NAD come accettare dell’idrogeno. Questo formile in presenza di acqua può dare origine ad Ac. formico in una reazione ligasica con formazione di ATP da ADP+P. Ora, il diidrolipoato enzima deve assolutamente tornare nella forma di lipoato enzima per permettere al processo di riciclare. Il passaggio avviene ad opera di una deidrogenasi che utilizza come cofattore FAD e che probabilmente è simile all’enzima E3 del complesso piruvato deidrogenasi. Importante: questa deidrogenasi è un enzima flavinico, mitocondriale, che ossida il lipoato a spese di NAD; il NAD si riduce e il lipoato si ossida. Con questo l’enzima E2 si ossida e può ripetere il ciclo. Al termine di tutti questi passaggi la molecola glicina si è risolta in ammoniaca, CO2 e Ac Formico. Questa è la via più battuta per il catabolismo della glicina. Accanto a questa c’è una seconda via, più breve e meno approfondita in cui l’amminogruppo della glicina può transaminare su un chetoacido (Per esempio: ac. ossalacetico o chetoglutarico), quindi per reazione di transaminazione o tramite desaminazione ossidativa ad opera di amminoacidossidasi (hanno gruppo prostetico flavinmononucleotide) la glicina perde l’amminogruppo e si trasforma in Ac. gliossilico. Quindi per desamminazione, il gruppo amminico viene allontanato e il carbonio si trasforma praticamente in gruppo formilico e formiamo Ac gliossilico. Questo è rapidamente ossidato in Ac. Ossalico e l’Ac. ossalico è eliminato con le urine. Iniziamo con il secondo amminoacido, che è l’omologo superiore della glicina, ovvero l’ALANINA. Il catabolismo dell’Alanina lo abbiamo in parte già descritto quando abbiamo parlato della desamminazione ossidativa perliasi. (Durante la desamminazione ossidativa perliasi della serina e della cisteina i due amminoacidi confluiscono per dare Ac. Piruvico). Il catabolismo dell’Alanina procede tramite 2 modalità, una sicuramente predominante e l’altra molto meno battuta: desamminazione per transaminazione (reaz. Reversibile) in cui il chetoacido accettore è normalmente Ac. ossalacetico o Ac. chetoglutarico oppure desamminazione ossidativa per amminoacidossidasi che libera ammoniaca e forma Ac. piruvico. Normalmente gli accettori dell’amminogruppo dell’Alanina sono l’ossalacetato o chetoglutarico, che diventano rispettivamente Aspartato e Glutammato. Se la desamminazione è ossidativa si libera ammoniaca e si forma Ac. Piruvico. Sintesi dell’Alanina: parte da amminoacidi, in particolare dalla serina e dalla cisteina (che abbiamo visto). Tramite una desamminazione perliasi, ad opera di una deidratasi per la serina e di una desolfidrasi per la cisteina, si forma l’amminoacrilico, con perdita di acqua o di idrogeno solforato,

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che poi si converte reversibilmente in imminopropionico e l’imminopropionico instabile in presenza d’acqua forma piruvato + ammoniaca. Ora il piruvato può essere transaminato e formare alanina. L’Alanina si può anche formare direttamente nel catabolismo della catena del triptofano, in cui la catena del triptofano viene staccata in blocco formando Alanina. Catabolismo dell’Alanina: bisogna soffermarsi un momento per quanto riguarda il muscolo scheletrico e una comunicazione continua fra muscolo scheletrico e fegato. Processo che viene indicato come CICLO dell’ALANINA. Il Ciclo dell’Alanina inizia nel muscolo scheletrico, soprattutto quando esso è in attività fisica, e consiste nell’uso di amminoacidi a catena ramificata da una parte e di Ac. Piruvico dall’altra. Quando il muscolo va in contrazione richiede energia che proviene dal catabolismo del glicogeno, via glucosio-1-fosfato che entra nella via glicolitica formando Piruvico e, dall’altra parte, consuma attivamente amminoacidi. Il muscolo scheletrico è elettivo nei riguardi di tre amminoacidi ramificati: Valina, Leucina, Isoleucina, che estrae attivamente dal circolo per formare energia da aggiungere a quella ricavata dal glicogeno, che rappresenta la sorgente maggiore. Se il muscolo è in contrazione, dalla via glicolitica si arriva alla formazione di Piruvato, il quale, ad opera della lattico deidrogenasi, viene convertito in Ac. Lattico (reazione reversibile nel muscolo scheletrico ma irreversibile nel fegato). Nei primi istanti della contrazione muscolare c’è una alta percentuale di possibilità che il glucosio venga a formare Ac. Lattico: glicolisi anaerobica (anziché dirottare il Piruvato verso il Ciclo di Krebs lo si incanala per la formazione di lattato, via non proficua in termini energetici ma che, all’interno del processo stesso, genera ATP direttamente disponibile per il muscolo). Se questa via è vantaggiosa essa è anche rischiosa perché crea Ac. Lattico che, essendo un acido, sposta il pH cellulare diventando dannosa per il muscolo. La cellula si previene dall’accumulo di Ac. Lattico, in parte eliminandolo, in parte impedendo la sua formazione dando luogo alla formazione di alanina. Nella glicolisi, arrivati a Piruvato, una parte passerà ad essere trasformato in Ac. Lattico, che verrà poi eliminato con il circolo, e una parte viene convertito in Alanina. La sintesi dell’Alanina avviene tramite una reazione di transaminazione in presenza dei 3 amminoacidi a catena ramificata che il muscolo sottrae attivamente dal circolo. In parte il muscolo li utilizza nella sintesi protidica, in parte li degrada per formare energia. Per poterli degradare bisogna assolutamente togliere l’amminogruppo tramite transaminazione. I 3 amminoacidi cedono i loro amminogruppi al piruvato formando Alanina. Quindi la conversione Piruvato-Alanina è fortemente mediata dalla presenza di Valina, Leucina e Isoleucina che vengono transaminate formando i corrispondenti chetoacidi mentre il piruvato diventa Alanina. In questa reazione di transaminazione il muscolo utilizza questi 3 amminoacidi invece di utilizzare Ac. Aspartico o Ac. Glutammico. Questa Alanina lascia il muscolo, viene messa in circolo, arriva al fegato e, qui per una reazione di desamminazione, viene trasformata in Ac. Piruvico. Il Piruvato, nel citoplasma delle cellule epatiche, verrà portato nei mitocondri dove tramite gluconeogenesi formerà glucosio. Questo glucosio giungerà di nuovo ai muscoli mediante il circolo dove verrà nuovamente degradato per formare energia. Ricapitolando: il piruvato lascia il muscolo come Alanina, arriva al fegato dove è convertito in glucosio che viene riimmesso nel circolo e che tornerà ai muscoli per fornire energia. Questo continuo scambio fra fegato e muscolo, muscolo e fegato prende il nome di Ciclo dell’Alanina; esso ha più vantaggi: impedisce la formazione di Ac. Lattico nel muscolo, permette al muscolo di recuperare il glucosio che ha perso durante la contrazione.

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Nel caso in cui il piruvato venga trasformato in Ac. Lattico, esso lascia il muscolo e può essere recuperato da 2 tessuti: il Cuore (nel quale ad opera della lattico deidrogenasi l’Ac. Lattico viene convertito in Piruvico, il Piruvico viene decarbossilato ossidativamente e,come Acetil CoA entra nel ciclo di Krebs. “Il cuore respira l’acido lattico dei muscoli” ), il fegato (che possiede una lattico deidrogenasi che funziona bidirezionalmente: può trasformare lattato in piruvato e piruvato in lattato. Quindi il lattato viene trasformato in piruvato, il piruvato entra nella gluconeogenesi trasformandosi in glucosio che verrà portato nel muscolo. Lo scheletro carbonioso dell’Ac. Lattico ritorna al muscolo come scheletro carbonioso di Glucosio). Il processo di comunicazione continua fra Muscolo e Fegato per quanto riguarda l’Ac. Lattico prende il nome di CICLO DEI CORI. Quindi nel muscolo abbiamo 2 cicli importanti: il ciclo dell’Alanina e il ciclo dei Cori. Passiamo al 3° amminoacido: la SERINA. Esistono diverse possibilità di catabolismo: 1- In parte il catabolismo di questo amminoacido lo abbiamo già visto: desamminazione anossidativa per liasi, attraverso la quale si forma Ac. Piruvico. 2- La serina può inoltre essere catabolizzata per formare Glicina, via tetraedrofolato ad opera di un idrossimetiltetraedrofolato transferasi: l’idrossimetile della serina slitta sul tetraedrofolato, formiamo N5-N10metilentetraedrofolato e da questo formiamo Ac. Formico. Importante è che in questa reazione di idrossimetiltrasferimento, la serina non è libera ma legata a piridossalfosfato. Quindi, in pratica, questa idrossimetiltransferasi utilizza come gruppo prostetico piridossalfosfato per formare la base di Shiff con l’amminogruppo della serina. 3- La serina può essere transaminata formando Ac. Idrossipiruvico. L’Ac. Idrossipiruvico viene ridotto ad Ac. glicerico, in particolare Ac. diglicerico che, mediante una reazione cinasica, diventa 3fosfoglicerato e con questo ci raccordiamo con la glicolisi. Queste sono le tre vie cataboliche per la Serina:desamminazione anossidativa per liasi, desamminazione per transaminazione, conversione in Glicina. La serina è un amminoacido non essenziale, siamo in grado di formarlo a partire da intermedi della via glicolitica,in particolare dal 3fosfoglicerato. Sintesi: Dal 3fosfoglicerato in una reazione di ossidazione, ad opera di una 3fosfoglicerato deidrogenasi, formiamo l’Ac. Fosfoidrossipiruvico. Questo è un chetoacido e può essere transaminato:in presenza di Aspartato o Glutammato, quindi un’amminotransferasi porta l’amminogruppo al chetogruppo dell’ac. fosfopiruvico e formiamo una 3fosfoserina. Da questa 3fosfoserina, in presenza di acqua, per una reazione fosfatasica ad opera di una serina fosfatasi, arriviamo alla formazione della serina. La TREONINA. E’ un’amminoacido essenziale, non parliamo di sintesi ma solo di degradazione. Una via di degradazione l’abbiamo già trovata quando abbiamo parlato della desamminazione anossidativa per liasi. I due composti si interconvertono e formiamo l’Ac. Imminobutirrico, che spontaneamente, in presenza di acqua, perde ammoniaca e forma chetobutirrico + ammoniaca. L’ chetobutirrico è un chetoacido, va incontro a decarbossilazione ossidativa e si trasforma in Ac. Propionico. La decarbossilazione ossidativa in presenza di NAD e di CoA, forma NAD ridotto, Co2 e proprionilCoA. Il propionilCoA entra nel catabolismo dell’Ac. Propionico, verrà convertito in metilmarronilCoA il quale diventerà SuccinilCoA e arriverà al ciclo di Krebs. Seconda via di catabolismo,estremamente breve: la treonina può essere attaccata da una treonina liasi che rompe la molecola tra il carbonio 2 e il carbonio 3, formiamo Glicina più acetaldeide. L’acetaldeide verrà ossidata ad Ac. Acetico e poi ad Acetil CoA che andrà nel ciclo di Krebs. Secondo la prima modalità la treonina arriva al ciclo di Krebs come SuccinilCoA, secondo la seconda modalità come AcetilCoA.

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Medicina - Prof.sa Rinaudo – Canale A Lezione di Biochimica del 19 marzo 2003 Argomento: Il catabolismo degli amminoacidi a catena ramificata, della cisteina e metionina La volta scorsa abbiamo visto il metabolismo della serina e dell’alanina e della treonina. Allora, ripartiamo dalla treonina e andiamo avanti. Vediamo se oggi ce la facciamo a fare i tre amminoacidi a catena ramificata: questi hanno un metabolismo abbastanza simile, almeno nella prima parte perché tutti e tre vanno incontro ad una desamminazione per transamminazione prevalente in cui normalmente nei tessuti, fatta eccezione per il muscolo, la transamminazione avviene a carico di alfa-cheto glutarato o eventualmente di ossalacetato con formazione rispettivamente di acido glutammico e di acido aspartico. Nel muscolo scheletrico invece, e ve l’avevo accennato nel ciclo dell’alanina, i tre amminoacidi ramificati transamminano prevalentemente sul piruvato in modo da formare alanina, sottrarre il piruvato alla trasformazione di lattato, e in tal modo prevenire l’accumulo di acido lattico nel tessuto muscolare e favorendo la formazione di alanina dando origine ad un amminoacido che sarà in grado di formare glucosio a livello del fegato, in quanto l’alanina è uno degli amminoacidi che per transamminazione da acido piruvico; e a livello epatico l’acido piruvico viene incanalato nella gluconeogenesi a formare glucosio. Abbiamo parlato l’ultima volta del ciclo dell’alanina, va bene? Quindi negli altri tessuti normalmente i tra amminoacidi transamminano su alfa-cheto glutarico e ossalacetico, nel muscolo scheletrico invece transamminano preferenzialmente su piruvato, in modo da formare in questo caso alanina, mentre negli altri tessuti si forma glutammato oppure aspartato. E in questo modo arrivano a formare gli alfa-cheto acidi corrispondenti. Quindi: alanina… (beh, facciamo la formula). Allora, tutti e tre questi amminoacidi vanno incontro a transamminazione… e formano l’alfa-cheto acido corrispondente che nel caso della valina, il primo amminoacido che prendiamo in considerazione, sarà l’acido alfa-cheto isovalerianico! Allora nel caso della valina sarà l’alfa-cheto isovalerianico, nel caso della leucina sarà l’alfa-cheto (quanti carboni ha la leucina? – 6) isocapronico. E poi nel caso della isoleucina sarà ancorà un alfa-cheto isovalerianico (ancora abbiamo 5 carboni in catena, con un metile in catena laterale). In genere lo consideriamo dunque un alfa-cheto beta-metil valerianico, non può come isocapronico ma come metilvalerianico. Allora questi tre chetoacidi andranno incontro ad una reazione comune, ché sono tutti alfachetoacidi, e sarà una decarbossilazione ossidativa in presenza di NAD e di CoA, ci rifacciamo alla decarbossilazione ossidativa del piruvato, verranno trasformati nei corrispondenti acil-CoA con un carbonio in meno. Quindi tutti e tre vanno incontro a decarbossilazione ossidativa che richiede la presenza di NAD e di CoA che porta alla formazione dei corrispondenti acil-CoA con un carbonio in meno. Tutti e tre vengono decarbossilati e legati al CoA… Allora nel corso del catabolismo di questi amminoacidi, nel corso di queste reazioni, insistono delle alterazioni genetiche in cui l’amminoacido decarbossilasi, in pratica, è assente o si genera in una forma inattiva, quindi non funzionante, il che comporta un accumulo di questo alfa-cheto acidi nelle urine. Dunque l’organismo non riesce a trasformare, a fare la decarbossilazione ossidativa, gli alfa-cheto acidi si accumuleranno in circolo, e, in quantità maggiore, si ritroveranno nelle urine dove vanno incontro a processi di trasformazione particolari, in modo tale da formare dei derivati che tendono ad aggregare tra di loro formando delle molecole complesse, per cui le urine aumentano di peso specifico, diventano sciroppose, la così detta urina sciropposa caratteristica di questa malattia

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ed assumono un odore caratteristico che già vi ho detto di sciroppo d’acero. Per cui si parla di urine a sciroppo d’acero. Ora ricordate che in questa alterazione viene anche coinvolta la treonina di cui abbiamo parlato ieri, che nel suo catabolismo forma l’alfa-cheto butirrico (se ve ne ricordate ne abbiamo parlato l’altro giorno): e anche questo va incontro allo stesso danno: cioè dà delle urine… concorre… in parte viene ridotto ad idrossi-derivato, il quale tende, non si sa per quale modo, a polimerizzare, formando molecole di dimensioni e peso molecolare maggiore. Quindi la diagnosi è abbastanza facile se uno esamina le urine, l’identifica perfettamente. Allora il danno dalla mancanza di questo enzima si risolve per motivi non ancora chiari in danni neurologici notevoli, per cui la malattia deve diagnosticata nei primi giorni di vita, in modo da evitare un accumulo di questi acidi. Il problema è molto grave perché questi amminoacidi sono tutti essenziali, per cui fare una dieta ridotta con questi amminoacidi è veramente difficile. Quindi non è facile la cura di questa alterazione e sovente può essere fatale: il bambino vive qualche anno e poi la vita diventa impossibile. Quindi quale sia l’origine di questo danno neurologio non lo sappiamo: probabilmente questi amminoacidi accumulandosi vanno incotro ad alterazioni che vengano ad alterare il metabolismo lipidico per cui si altera la componente lipidica del tessuto nervoso che ne è essenziale per la sua funzionalità. Se invece tutto procede normalmente i tre amminoacidi ramificati vanno incontro ciascuno al suo catabolismo particolare, e ora lo esamineremo: La valina Vediamo il primo che deriva dalla valina che sarà un acido, un isobutirrilCoA perché ha perso un carbonio, è diventato un derivato dell’acido butirrico. Questo isobutirrilCoA va incotro ad una beta-ossidazione normale che apparentemente sembra anomala, in effetti è quella normale. Allora nella beta-ossidazione la prima reazione era una deidrogenazione a carico del carbonio alfa e beta: e noi possiamo considerare come alfa e beta questi due carboni; subiranno lo stesso passaggio, andando incontro alla prima reazione della beta-ossidazione, per cui interverrà un enzima flavinico (FADenzima) che si trasformerà in enzima ridotto e formiamo un composto che possiamo considerare un derivato dell’acido acrilico che sarà l’acido metilacrililCoA. (L’acido acrilico è l’acido insaturo CH2 doppio legame CH COH). Poi seconda tappa della beta ossidazione è una reazione idroliasica con aggiunta di acqua sul doppio legame, e anche in questo caso viene aggiunta acqua, il cui protone va al carbonio alfa e l’ossidrilione al carbonio beta. Allora in presenza di acqua, ad opera di una idroliasi specifica possiamo considerarlo come un derivato dell’acido idrossipropionico, dunque sarà un alfa-idrossimetilpropionilCoA, considerando questo carbonio alfa… sarà un propionilCoA sostituito da un idrossimetile. L’idrossimetile sarà un idrossimetilpropionilCoA… considerando la catena principale questa. La terza tappa della beta-ossidazione è una reazione di deidrogenazione a carico del carbonio beta e in questo caso deidrogeniamo il carbonio beta ancora una volta. Dunque considerando sempre come carbonio beta questo… terza tappa della beta-ossidazione, reazione di ossidazione… e formiamo un proprionilCoA fornil sostituito, quindi fornilpropionilCoA. Allora lo si può definire anche in un altro modo, viene indicato come semialdeidemetilmalonica attiva, perché è legata a CoA. Perché semialdeidemetilmalonica? Perché in effetti lo possiamo considerare come un acido metilmalonico in cui uno dei gruppi carbossilici si è trasformato in gruppo aldeidico. Quindi o lo definiamo come un fornilpropionilCoA o più correntemente come semialdeidemetilmalonica attiva, dove considerando che l’acido metilmalonico allora l’acido malonico è l’acido dicarbossilico a tre carboni metil sostituito e sarà l’acido metilmalonico. In questo acido metilmalonico il gruppo carbossilico lo troviamo sostituito col CoA e il secondo gruppo carbossilico è ridotto a forma di aldeide, per cui semialdeide metilmalonica attivata perché

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legata al CoA. Quindi solitamente si parla di una semilaldeidemetilmalonica attiva dove per attiva intendiamo il legame col CoA. Adesso il destino di questo semialdeidemetilmalonica attiva non è noto; molto probabilmente va incontro ad una ulteriore ossidazione, per cui si trasforma in metilmalonilCoA. Quindi è molto probabile che questa semialdeidemetilmalonica attiva si trasformi in metilmalonilCoA e a questo punto questo torna sul metabolismo dell’acido propionico, viene trasformato in succinilCoA, ad opera di una isomerasi coenzima B12 dipendente… succinilCoA che entra nel Ciclo di Krebs. Quindi metilmalonilCoA ad opera di una metilmalonilCoA isomerasi che utilizza il coenzima B12 si trasforma in succinilCoA e a questo punto ritorna nel sistema dell’acido citrico e verrà trasformato in succinato e proseguirà nel suo catabolismo. Quindi al termine di questo processo ossidativo la valina in pratica la ritroviamo come ammoniaca da una parte e CO2 dall’altra perché verrà completamente degradata nel ciclo dell’acido citrico. La leucina Un po’ pià difficile è il catabolismo della leucina: questo dà qualche problema. Allora il problema che nasce su questo composto è il fatto che se noi consideriamo questo il carbonio alfa e questo il carbonio beta, il carbonio beta è sostituito e un sostituente legato al carbonio beta in pratica rende impossibile la beta-ossidazione: questa è la causa per cui il catabolismo della leucina inizia con la beta-ossidazione ma poi se ne discosta perché ha il carbonio beta occupato, e questo blocco rende impossibile il proseguire della beta-ossidazione. Allora, prima tappa della beta-ossidazione: deidrogenazione. E anche in questo caso avremo la deidrogenazione a carico del carbonio alfa beta. Allora questo composto viene indicato come metilcrotonilCoA dove l’acido crotonico è rappresentato dalla catena lineare, quindi un metilcrotonilCoA. Allora, a questo punto, la beta ossidazione si ferma perché il carbonio beta non è disponibile, deve cercare una via alternativa per uscire da questa difficoltà. Allora, su questo composto, e qua è la differenza rispetto ad un catabolismo normale, procede una carbossilazione a carico di uno dei carboni metilici. Uno di questi viene carbossilato e come avverrà questa carbossilazione? Quali sono i meccanismi che generalmente la cellula usa per allungare la catena carboniosa? Ne abbiamo già incontrati più volte queste carbossilazioni, vi ricordate? Eh? La prima l’abbiamo incontrata nella carbossilazione del piruvato nella gluconeogenesi per esempio. L’abbiamo trovata nella carbossilazione dell’acido propionico, vi ricordate? Allora, è una reazione ligasica in cui il gruppo prostetico dell’enzima è una biotina. Biotina, quindi la reazione ligasica richiede ATP che si scinde in ADP e P e il composto che viene carbossilato in primis è la biotina, gruppo prostetico dell’enzima, che a sua volta cederà il carbossile al substrato. Allora, reazione di carbossilazione in presenza di biotina. Allora, ancora una volta, abbiamo messo sulla lavagna la molecola della biotina che è formata da due eterocicli: un eterociclo che possiamo riportare ad un tiofene idrogenato, quindi ad un tiofano, condensato con un imidazolo anch’esso ossidato. Allora, il gruppo reattivo di questo… ah, è importante in tutte le carbossilasi biotina dipendenti, la biotina si lega alla proteina a mezzo della sua catena laterale, che è la catena valerianica in cui il gruppo carbossilico viene ad impegnarsi con una lisina della catena dell’enzima. E quindi forma questo legame tra l’epsilon amminogruppo della lisina e il carbossile dell’acido valerianico. Questa è una costante per tutti gli enzimi che utilizzano biotina come gruppo prostetico. Allora, nella prima reazione, ed è quella che spende, cioè quella che costa in ATP, l’ATP si scinde in ADP e P e simultaneamente l’azoto, che viene indicato come azoto 1’, viene carbossilato. Quindi tra il carbonio e l’azoto si forma un legame similpeptidico ed è questo la causa di consumo di ATP, perché formare un legame peptidico costa in ogni caso. Dunque formiamo questa carbossibiotinaenzima instabile, la quale finalmente sarà in grado di spostare il gruppo carbossilico al substrato, trasformandone il prodotto di carbossilazione. E formiamo questo nuovo composto che adesso avrà 5 e dunque sarà un derivato dell’acido valerianico metilato, viene indicato normalmente col nome di acido glutaconico, dunque sarà l’acido glutaconilCoA. Allora, questo acido è instabile e

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subisce una reazione liasica con aggiunta di acqua, quindi in presenza di una liasi specifica, in particolare di una idroliasi perché aggiunge acqua, viene trasformato in beta-ossi beta-metil glutarilCoA, dunque un derivato dell’acido glutarico sostituito. Allora questo beta-ossi beta-metil glutarilCoA l’abbiamo già trovato, se vi ricordate, nella sintesi del colesterolo: la grossa differenza è che in questo caso siamo nel compartimento mitocondriale perché la rivelazione di questi chetoacidi è prevalentemente mitocondriale mentre nella sintesi del colesterolo era nell’ambiente solubile, nel citoplasma. Allora questo beta-ossi beta-metil glutarilCoA comune, cioè metabolita comune alla sintesi del colesterolo, con la differenza che questo si forma prevalentemente nei mitocondri mentre nel caso del colesterolo eravamo nel citoplasma, questo acido va incontro ad una reazione ancora una volta liasica che porta alla rottura della molecola tra il carbonio alfa e il carbonio beta, in modo da formare dalla parte superiore della molecola questo derivato a quattro carboni che sarà un acido beta-chetobutirrico, normalmente indicato come acetilacetico… dalla parte inferiore della molecola acetilCoa. Allora, l’acetilCoA continua regolarmente nel ciclo di Krebs, l’acetoaceto invece non è suscettibile di ulteriore catabolismo nel fegato, e va ad accumularsi come corpo chetonico: vi ricordate che l’acido acetacetico fa parte dei corpi chetonici, unitamente al beta-idrossibutirrico e all’acetone. Allora se siamo a livello epatico, l’acetoacetato non ha nessuna possibilità di essere utilizzato e quindi verrà mandato in circolo, se siamo nei tessuti periferici l’acetoacetato può essere attivato in presenza di succinilCoA a formare acetoacetilCoA che entrerà nella beta-ossidazione risolvendosi in due molecole di acetilCoA e successivamente andrà a finire nel ciclo dell’acido citrico. Quindi fate attenzione! Se siamo nel fegato l’acetoacetato non ha altro destino e dal fegato viene eliminato e mandato in circolo come corpo chetonico. Se siamo nei tessuti periferici, in particolare nel muscolo, nel cuore e nel cervello, l’acetoacetato può essere attivato con un meccanismo di attivazione particolare per questo acetoacetato nei mitocondri, che prevede la presenza di succinilCoA come donatore di CoA . SuccinilCoA che si trasforma in succinato, il quale andrà al ciclo di Krebs e dall’altra parte forma (scrive) acetoacetilCoA. Quindi coA viene portato sull’acido acetacetico, formiamo acetoacetilCoA + succinato. L’acetoacetilCoA in presenza di CoA entra nella beta-ossidazione, si trasforma in due molecole di acetilCoA, le quali andranno nel ciclo di Krebs. Quindi la differenza tra fegato e tessuti periferici è profonda perché il fegato non utilizza l’acido acetacetico e quindi è un metabolita terminale mentre nei tessuti periferici l’acido acetacetico può essere attivato ad acetoacetilCoA, trasformato in acetilCoA e inviato al Ciclo di Krebs. Allora, poiché la leucina conclude il suo metabolismo a livello del fegato formando un corpo chetonico, la leucina viene considerata un amminoacido chetogenetico perché è in grado di generare corpi chetonici. Allora, su questa base gli amminoacidi possono essere classificati in tre gruppi (ulteriore classificazione degli amminoacidi, ed è quella che frequentemente si usa nel linguaggio comune, nella clinica ad esempio): amminoacidi chetogenetici, che nel loro catabolismo generano corpi chetonici, amminoacidi glicogenetici, se formano intermedi che possono raccordarsi alla gluconeogenesi ed essere utilizzati per formare glucoso (allora gli amminoacidi che entrano nel ciclo di Krebs come acetilCoA possono formare acido acetacetico e questo è uno dei componenti che può entrare in gluconeogenesi a livello dell’ossalacetato e quindi essere utilizzati come glucosio), e poi amminoacidi misti che nel loro catabolismo danno sia corpi chetonici sia precursori glucogenetici, in particolare acetilCoA e qui è il caso della leucina che quindi ha un doppio significato: formando acetilCoA è un glucogenetico perché questo entra nel ciclo di Krebs, forma acido ossalacetico che può rientrare nella gluconeogenesi, e poi è chetogenetico perché forma acido acetacetico che dà origine a corpi chetonici. Dunque vi sono amminoacidi che formano solo corpi chetonici e concludono il loro metabolismo con la formazione di corpi chetonici e amminoacidi che invece formano nel loro catabolismo intermedi ricollegabili direttamente o indirettamente con la gluconeogenesi e vi sono amminoacidi misti che possono avere l’una e l’altra funzione.

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Questa distinzione ha un significato clinico perché soggetti che vanno facilmente incotro alla formazione di corpi chetonici, cioè tendono ad avere corpi chetonici alti, per qualsiasi motivo tendano a formare corpi chetonici a quantità elevate, quindi hanno qualche disturbo metabolico, nella dieta dovranno far attenzione a non prendere cibi particolarmente ricchi in amminoacidi chetogenetici che porterebbero ad aggravare la loro patologia. Va bene? Allora abbiamo chiuso anche il metabolismo della leucina, adesso abbiamo la isoleucina che ha un metabolismo apparentemente difficile ma invece è relativamente facile. L’isoleucina Perché ha un metabolismo facile? Perché pur essendo ramificato, la ramificazione insiste sul carbonio alfa e la presenza di un carbonio alfa sostituito non dà problemi nellla beta ossidazione dunque può proseguire nella beta ossidazione normale. Allora, prima tappa della beta-ossidazione è una reazione di deidrogenazione: al solito si forma l’isomero trans nel corso della reazione dunque questo idrogeno sta da una parte del piano e il metile sta dalla parte opposta, si forma il tras-deidroacilCoA. Poi, seconda tappa della beta-ossidazione, reazione idroliasica (scrive formula): formiamo un alfa-metil beta-idrossi butirilCoA. Tappa successiva: ossidazione del gruppo ossidrilico a gruppo chetonico (scrive)… formiamo un alfa-metil beta-cheto butirilCoA. Ultima tappa della beta-ossidazione: aggiunta di CoA… e rottura in pratica della catena tra il carbonio alfa e il carbonio beta, per cui dai carboni 4 e 3 del substrato originiamo acetilCoA e dai carboni rimanenti formiamo propionilCoA. Quindi la reazione porta alla formazione di acetilCoA dall’altra di propionilCoA. Allora, l’acetilCoA andrà direttamente nel ciclo di Krebs. Il propionilCoA formerà metilmalonilCoA che poi darà succinilCoA che a sua volta andrà nel ciclo di Krebs. E quindi l’isoleucina è un amminoacido essenzialmente glicogenetico perché direttamente o indirettamente va ad accordarsi col ciclo di Krebs e quindi formare intermedi utilizzati nella gluconeogenesi. Con questo abbiamo chiuso il metabolismo dei tre amminoacidi a catena ramificata ricordando che di questo stesso metabolismo cioè degli acidi grassi a catena ramificati ne avevamo già parlato se tornate indietro nella beta-ossidazione. Dunque è la seconda volta che facciamo questo metabolismo: l’abbiamo visto nella beta-ossidazione di acidi a catena ramificata, riguardando la beta-ossidazione ve lo ritrovate, ve l’ ho ripetuto qua e dunque dovrebbe essere chiaro il processo. Cisteina e Metionina Allora vediamo il catabolismo della cisteina che è notevolmente complesso perché ammette numerose vie, dunque può seguire diverse vie la cisteina e altrettanto complesso è anche la sintesi perché non è un amminoacido indispensabile perché si ricollega al metabolismo della metionina. Quindi c’è una interrelazione tra cisteina e metionina, per questo le trattiamo insieme, perché la cisteina è collegata al metabolismo della metionina nella sua sintesi. Allora, la cisteina ha meccanismi di desamminazione vari, uno l’abbiamo già visto, cioè per opera di una desolfidrasi può perdere il gruppo tiolico come idrogeno solforato e trasformarsi in un imminoderivato che poi fondamentalmente darà origine ad acido piruvico nel corso del metabolismo. Desamminazione per liasi che è una delle vie, ma non la più importante della cisteina, questa l’abbiamo già vista: allora, in primis, in questa deasmminazione per liasi la cisteina perde il gruppo tiolico che va via come idrogeno solforato, si trasforma in un intermedio instabile che è l’acido amminoacrilico, il quale è instabile e a sua volta si trasforma nell’imminoproprionico, queste sono tutte reazioni spontanee, dunque non dipendendono più da enzimi il quale in presenza di acqua origina ammoniaca + acido piruvico. Dunque questa era la desamminazione anossidativa

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per liasi… in quanto forma acido piruvico la cisteina è un amminoacido… ? Vediamo un po’… potrebbe essere un glucogenetico perché il piruvico è il punto di partenza per la gluconeogenesi. Prima possibilità e l’abbiamo già vista. Seconda possibilità che è largamente battuta specialmente a livello epatico: è un’ossidazione progressiva del gruppo tiolico in presenza di ossigenasi che utilizzano ossigeno molecolare nella reazione come agente ossidante. Allora, la cisteina, se seguiamo la via taurina, non perde il gruppo tiolico, anzi, lo conserva, e questo va incontro ad ossigenazioni successive, trasformandosi in… nell’acido amminosolfinilpropionico, quindi nel solfinilderivato corrispondente, il quale si ossida ulteriormente e si trasforma nel solfonil derivato corrispondente. Allora, queste trasformazioni, a carico del gruppo tiolico posso avvenire o sull’amminoacido come tale ma preferenzialmente sull’amminoacido deamminato, per cui, prima di fare l’ossidazione del gruppo tiolico, in genere la via più battuta consiste in una desamminazione per transamminazione. Quindi la cisteina va incontro prima ad una transamminazione, e la transamminazione è ad opera di trasamminasi, per cui transamina la cisteina su acido ossalacetico, su acido alfa-chetoglutarico e forma aspartico e glutammico e si trasforma nel chetoacido corrispondente che sarà un acido beta-tiolpiruvico. Questo acido beta-tiolpiruvico andrà incontro a processi di ossidazione progressiva, quindi l’ossidazione può essere direttamente sulla cisteina o viceversa. Se prosegue direttamente sulla cisteina arriverà a formare l’ipotaurina e la taurina. Se prosegue invece nell’altro senso vedremo che destino avrà. Le due vie possono dunque andare avanti in pari, ci siamo? Se proseguiamo sulla reazione che non prevede una desamminazione, dunque sulla prima, a livello dell’acido alfa-amminosolfinilpropionico, può agire una decarbossilasi, quindi una liasi, che toglie via il gruppo carbossilico e forma una solfiniletilammina, normalmente indicata come ipotaurina perché per ossidazione successiva si trasformerà in taurina (scrive)… questa è la taurina, va bene? che è l’acido amminoetilsolfonico. Quindi, formiamo prima ipotaurina e poi andiamo alla taurina. Altrimenti la decarbossilazione può avvenire direttamente sul solfonilderivato, quindi a questo punto per reazione di decarbossilazione arriviamo direttamente alla taurina. La taurina adesso nel fegato viene largamente utilizzata per copulare gli acidi biliari, l’acido biliare sarà trasformato in acilCoA derivato e questo formerà l’acido taurocolanico che è il catabolita terminale nella formazione degli acidi biliari in organismi prevalentemente carnivori. Ci siamo? Dunque se siamo a livello epatico in larga misura la cisteina finisce a ipotaurina e poi taurina, o successivamente direttamente a taurina e questa sottratta al catabolismo della cisteina e avviata verso gli acidi biliari per una reazione di copulazione. Altrimenti si può avere la transamminazione, formiamo il chetoderivato, e quindi prosegue lungo questa strada che non è chiara come finisce ma molto probabilmente, arrivati a formare il solfonilchetoderivato questo si libera come acido solforico e quindi come solfato e forma acido piruvico. Dunque il prodotto catabolita terminale dell’ossidazione progressiva del gruppo tiolico, dopo transamminazione sarà solfato (di sodio, di potassio, come voi volete) + acido piruvico. Ulteriore via di cui non si conoscono i passaggi, dopo transamminazione la cisteina può perdere il gruppo tiolico come solfo inorganico e trasformarsi in acido piruvico. Quindi altra modalità con cui il gruppo tiolico viene allontanato, per processi che non si conoscono esattamente, comunque sono delle ossidazioni, avvenuta la transamminazione per una transamminasi, quindi, avvenuta questa reazione, il gruppo tiolico viene allontanato in un processo di ossidazione come solfo inorganico e si libera acido piruvico di nuovo. Quindi ha innumerevoli strade nel suo catabolismo. Da ultimo la cisteina può essere ossidata a cistina ed è questa una reazione spontanea se la cisteina è libera, cioè se noi abbiamo una cisteina in soluzione, dopo 10 min ci accorgiamo che s’è formato un bel precipitato bianco, perché l’ossigeno molecolare è sufficiente a trasformare la cisteina in cistina che è largamente insolubile in acqua.

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Allora, ulteriore processo, che non richiede apparentemente, quando la cisteina è libera, una reazione enzimatica in pratica avviene deidrogenazione, quindi chiaramente ci sarà un agente riducente, probabilmente c’è ossigeno molecolare nel sistema, le due cisteine vengono ossidate, vengono legate fra di loro mediante un ponte disolufuro che rende in pratica insolubile la cisteina. Nei tessuti invece questa ossidazione può avvenire a cisteina incorporata nelle proteine, laddove i due gruppi tiolici siano sufficientemente vicini, allora la reazione può essere data da agenti esterni, e quindi la proteina sarà danneggiata, ad esempio radicali dell’ossigeno possono portare un’alterazione delle proteine ricche in gruppi tiolici perché traformano il ditiolo nel disolfuro corrispondente; oppure ci sono reazioni enzimatiche che provvedono ad ossidare quindi a deidrogenare i gruppi tiolici sufficientemente vicinim, formando il ponte disolfuro. Quindi quando nella proteina troviamo un ponte disolufuro in genere è dovuta ad una reazione di deidrogenazione che ha legato insieme i due gruppi tiolici. Alternativamente per danno da agenti esterni la proteina ditiolo può diventare un disolfuro. Con questo chiudiamo la parte che riguarda il catabolismo e ci rimane la sintesi della cisteina, che si ricollega al metabolismo della metionina, in quanto la sintesi parte da un intermedio formato nel catabolismo della metionina che sarà la omocisteina. Quindi la sintesi della cisteina parte da un derivato che ancora non conosciamo che è la omocisteina, prodotto di demetilazione della metionina. Il guaio è che questa demetilazione come metionina libera è estremamente improbabile, e quindi è necessario attivare prima la metionina, metionina attiva che in questo modo perderà il metile e ci permetterà di formare omocisteina. Per cui, la sintesi della cisteina, la riportiamo al catabolismo della metionina e le trattiamo insieme. Allora, tanto per chiudere il capitolo vediamo solo come la cisteina viene sintetizzata a partire dall’omocisteina, poi ci ricollegheremo al metabolismo della metionina. L’omocisteina è l’omologo superiore della cisteina, non esiste come amminoacido singolo e libero. Dunque questa in una reazione liasica in presenza di serina viene legata a questa e forma un intermedio che prende il nome di cistationina. Dalla omocisteina + serina in una reazione liasica che utilizza come cofattore piridossalfosfato in pratica abbiamo l’eliminazione di una molecola d’acqua tra gruppo tiolico della omocisteina e l’ossidrile alcolico della serina, i due composti vengono legati insieme e formiamo un intermedio che prende il nome di cistationina. Questo intermedio per nuova reazione liasica si trasforma in cisteina da una parte e un intermedio non definito che alla fine si risolve in un acido alfa-chetobutirrico + ammoniaca. Quindi, nuova reazione liasica, in presenza di piridossalfosfato… dunque la prima la potevamo indicare come cistationinasintetasi, il primo enzima che lega l’omocisteina alla serina. La seconda, che è nuovamente una reazione liasica, la indichiamo come cistationinaliasi o correntemente cistatiolasi, un po’ scioglilingue. Il primo unisce insieme, il secondo scinde nuovamente però scinde di nuovo in presenza di acqua, ovviamente, ma scinde liberando da una parte la cisteina e dall’altra forma un intermedio che probabilmente è in un primo momento un idrossiderivato, dunque un gamma-idrossiderivato che non l’hanno mai pero’ isolato perché instabile e si trasforma rapidamente in acido alfa-chetobutirrico + ammoniaca. Quindi, potrebbe formarsi questo intermedio instabile, che non è mai stato isolato… questo intermedio instabile, che potrebbe essere una omoserina, perché è l’omologo superiore della serina, non l’hanno mai isolato perché immediatamente si trasforma, e non si sa come, perde ammoniaca e si trasforma in acido alfa-chetobutirrico. Questo acido l’abbiamo già trovato come intermedio nel catabolismo della treonina, potrebbe andare incontro ad una decarbossilazione ossidativa e trasformarsi in propionilCoA + CO2, se manca questa decarbossilasi, questo acido alfa-chetobutirrico si accumula nelle urine, probabilmente come prodotto di riduzione di un alfa-idrossibutirrico e dà origine a prodotti di polimerizzazione, concorre a formare le urine a sciroppo d’acero. Ci siamo? Quindi, la sintesi della cisteina dipende strettamente dal catabolismo della metionina, poiché questo è un amminoacido essenziale, capite l’importanza di introdurre metionina perché non soltanto se c’è una ridotta quantità di metionina, non solo alteriamo l’utilizzo della metionia ma anche la possibilità di avere disponibilità di cisteina.

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Allora, passiamo adesso al metabolismo della metionina perché va in seguito a quello della cisteina. La metionina allora. Il catabolismo della metionina richiede l’allontamente del gruppo metilico che non possiamo staccare se non dopo averla trasformata in metionina attiva, cioè legata ad ATP. Reazione di cui vi ho parlato rapidamente quando abbiamo utilizzato la metionina come donatore di metili nella sintesi della colina, e avevamo detto “poi la rivediamo meglio quando arriviamo alla sintesi degli amminoacidi”, e in effetti oggi è giunta l’occasione per parlarne. La metionina viene trasformata in metionina attiva, la cosiddetta S-adenosilmetionina, corentemente SAME, in presenza di ATP (scrive). Allora la reazione è di tipo liasico ma è estremamente difficile nel suo svolgimento perché comporta la perdita dei tre radicali fosforici dell’ATP, due che si liberano come pirofosfato e il terzo che si libera come fosfato libero, quindi è probabile che la reazione abbia intermedi successivi, non avvenga immediatamente per distacco dei tre radicali fosforici ma porti alla formazione di intermedi che per altro non hanno isolato, per cui al termine ci troviamo con: pirofosato, ortofosfato e S-adenosilmetionina. Quindi è detta metionina attiva perché l’atomo di solfo in pratica è un solfo solfomio in pratica (?), estremamente attivo, e solo in queste condizioni la metionina può fungere quale donatore di metili, dunque donare il metile a composti che a loro volta vengono metilati, e la metionina perdendo il metile si trasforma in S-adenosilomocisteina, composto praticamente inattivo. Allora, nella donazione di metili, per esempio nella sintesi delle fosfatidilcoline, arrivati alla formazione di fosfatidiletanolammina, la trasformiamo in colina per una trimetilazione successiva in cui i tre gruppi metilici sono donati dalla metionina. Ora l’abbiamo trovata nella metilazione della lisina, nella sintesi della carnitina se andate a vedere, tornando indietro, già allora avevamo parlato di metionina attiva… l’abbiamo trovata due volte nel corso del metabolismo: una come datore di metili nella sintesi della carnitina, secondo nella sintesi della colina a livello del metabolismo lipidico. Allora, dopo il distacco del metile, la metionina si trasforma in omocisteina che è il suo omologo superiore e quindi formiamo una S-adenosilomocisteina, composto che non è più attivo in pratica e quindi va incontro a catabolismo. Il catabolismo prevede in primis il distacco dell’adenosina, distacco che è estremamente difficile nella sua formulazione, in quanto gli enzimi che intervengono non sono noto, ne hanno misurato alcuni intermedi, tra cui ad esempio, nel corso di distaccare adenosina uno dei primi intermedi che si forma è un derivato chetonico (scrive) al carbonio 3, che forma un riboso che ha l’ossidrile in 3 sostituito, cioè ossidato a gruppo chetonico – questo è il primo intermedio che si forma nel tentativo di staccare adenosina dalla omocisteina. Dunque si forma prima un 3chetoribosil-derivato, ovviamente in presenza di NAD che diventa NADH, dunque una vera reazione di deidrogenazione. Alla formazione di questo intermedio segue una seconda ossidazione che porta alla formazione di un nuovo intermedio, forma un doppio legame in pratica a carico del carbonio 5 e del carbonio 4 del ribosio. Quindi in pratica viene allontano quest’idrogeno e quest’altro idrogeno e si forma un nuovo intermedio lo indicando come deidroderivato perché è un prodotto di deidrogenazione, altamente instabile, al quale in presenza di acqua si ritorna, probabilmente avviene una reazione liasica, la omocisteina viene staccata e si forma l’adenosina libera ancora ossidata nel carbonio 3. Quindi in presenza di acqua questo legame viene scisso, la reazione probabilmente è complicata, e quindi porta alla formazione di… e questo riboso è ancora ossidato al carbonio 3 che poi ulteriormente viene ridotto e quindi il prodotto di formazione definitiva sarà adenosina, che in presenza di ATP diventerà adenosinmonofosfato e in presenza di una seconda molecola di ATP diventerà adenosindifosfato il qualche in presenza di GTP diventerà ATP. In pratica tre reazioni cinasiche trasformano l’adenosina in ATP. Allora a questo punto si è formata l’omocisteina libera che andesso verà utilizzata nella sintesi della cisteina ricollegandosi alle reazioni che abbiamo visto prima. Questa è la più battuta. Alternativamente, ma in piccola misura, l’omocisteina può andare incontro ad una metilazione e trasformarsi in metionina: il problema è che questa metilazione avviene ad una velocità estremamente bassa, quindi è pochissima la quantità di metionina che riusciamo a formare per metilazione diretta e questo fa sì che la metionina sia considerato un amminoacido propriamente essenziale. Allora, interessante è vedere come avviene questa metilazione della metionina, quindi si

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parla della metilazione diretta della metionina. Il donatore del metile è ancora una volta la vitamina B12 che abbiamo già visto come cofattore B12, vi ricordate?, in cui avevamo la vitamina B12 legata ad una desossiadenosina. Qui invece troviamo il cobalto legato ad un gruppo metilico, quindi si parla di una metilcobammide. - così ripassiamo ancora una volta la vitamina B12 La vitamina B12 (metilcobammide) L’abbiamo di nuovo fatta una volta sulla lavagna così almeno ce la ricordiamo. Allora, l’importante caratteristica dell’anello della vitamina B12 è il nucleo centrale che prende il nome di corrina. Questa corrina è simile alla porfina che troviamo nell’EMO, la differenza fondamentale è che l’anello primo, che è detto anello A, è legato direttamente all’anello D (quattro), manca il ponte metinico. Così abbiamo un legame diretto carbonio-carbonio. Si differisce dalla porfina perché questa ha 11 doppi legami coniugati e questa ne ha soltanto 6 quindi è molto più ridotta della porfina questa corrina. In più mentre la porfina porterà al centro del sistema un atomo di Fe questa porta un atomo di Cobalto. Sostituenti caratteristici sono 8 gruppi metilici distribuiti nelle posizioni 1’, 1, 3, 5 5, 7 sull’anello e in più abbiamo due ponti metinici metil sostituiti, i metini in posizione alfa e in posizione gamma. Poi porta radicali di acetammide (non acido acetico!) (scrive) nelle posizioni 1, 3, 8. Poi dei radicali di propionammide (è un radicale dunque la valenza qua è libera che va a legarsi in posizione 2, 4, 6, 7. Importante è che la propionammide in posizione 7 viene a legarsi ad un alcol che è un isopropanolo, quindi da alcuni questo radicale in 7 viene considerato un radicale propionico che con legame ammidico si lega ad un amminoisopropanolo. Nei testi frequentemente lo trovate indicato come in 7 ha un solo radicale propionico che si lega con un legame ammidico ad un amminoisopropanolo. Allora, l’ossidrile di questo isopropanolo con legame diestere viene a legarsi ad un nucleotide che è il dimetilbenzimmidazoloribosofosfato (nucleotide: la base azotata è formata da un anello aromatico, un benzene dimetil sostituito + un anello imidazolico). Importante, qui è la caratteristica, normalmente nei nucleotidi che consideriamo correntemente, il legame tra la base azotata e il ribosio è un legame N-beta-glucosidico, in questo caso invece è N-alfa-glucosidico. Questo è importante. Questo riboso a sua volta è fosforilato in 3 e il fosfato in 3 viene a legarsi con legame diestere all’isopropanolo. Allora, al centro del sistema tetranulare troviamo un atomo di Co il quale lega coordinativamente i 4 atomi di azoto dei 4 anelli pirrolici, un quarto legame coordinativo viene mandato all’azoto del benzimmidazolo (e fanno 5), il 6° legame coordinativo può essere mandato ad una desossiadenosina nel caso del coenzima B12 oppure ad un gruppo metilico nel caso del coenzima che ci interessa oggi che prende il nome di metilcobammide. Quindi, se l’atomo di Co al centro del sistema lega un gruppo metilico, sempre con legame coordinativo, in questo caso parliamo di metilcobammide ed è il cofattore che ci interessa oggi perché l’enzima che utilizza questo cofattore agisce come metilante la omocisteina e trasforma la omocisteina in metionina. Quindi la metilazione della omocisteina avviene ad opera di una metiltransferasi il cui cofattore è una metilcobammide, chiaro questo? Allora, il problema è che questa metilcobammide si forma… cioè, il metile portato dalla metilcobammide, deriva… a sua volta si ottiene per transmetilazione in presenza di una… quindi il donatore iniziale di questo metile è un tetraidrofolato che porta all’azoto 5 un gruppo metilico. La reazione che porterà alla formazione di metilcobammide è preceduta da una reazione in cui, cioè avviene per opera di una metiltransferasi, cioè questo metile viene donato alla cobammide da una metiltransferasi che a sua volta utilizza come cofattore l’N5metiltetraidrofolato. Ci siamo? Quindi nella catena, il metile ultimo che troveremo a formare la metionina, si forma in partenza da una (scrive) N5metiltetraidrofolato, il quale si sarà formato a sua volta da altre molecole sostituenti sul tetraidrofolato che potrà essere l’idrossimetiltetraidrofolato, un formiltetraidrofolato, cioè sono tutti composti che opportunamente modificati potranno dare il 5metil. Allora, questo N5metiltetraidrofolato in presenza di una metiltransferasi che usa questo N5metiltetraidrofolato trasferisce il metile alla cobammide e forma la metilcobammide che ad opera della metiltransferasi cede il gruppo metilico alla omocisteina e forma la metionina.

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Allora, il problema è che N5metiltetraidrofolato se ne forma poco, quindi diventa poco il substrato che può essere usato come metilante la omocisteina e per di più la metilcobammide-transferasi è estremamente poco attiva. D’altra parte la disponibilità di omocisteina è molto limitata perché in grande misura finisce nella sintesi della cisteina. Quindi, in effetti, quello che rimane del catabolismo della metionina è così poco che la metilazione diretta, direi che è estremamente precaria, e questo fa sì che la metionina sia anche per l’individuo adulto, non solo per il neonato, un amminoacido indispensabile praticamente. Allora, un difetto di questa cobammidemetiltrasferasi, esistono dei soggetti portatori di questo difetto, si risolve in una patologia indicata come anemia perniciosa. Quindi, globuli rossi molto bassi, e questo difetto è da riportarsi ad una alterata maturazione del globulo rosso a livello del midollo osseo. Probabilmente si riflette, in origine, in una alterata formazione dei progenitori del globulo rosso. E qui non si capisce bene, questa patologia si riporta ad una difettosi sintesi del gene che preordina questa cobammidemetiltransferasi: quale legame ci sia, non lo si conosce; probabilmente però si riporta ad un difetto nell’utilizzo dell’ N5metiltetraidrofolato il quale dovrebbe convertirsi in meteniltetraidrofolato e formare del metile per la sintesi della timina. Quindi, in origine, quest’anemia si riporta ad una difettosa sintensi di timidin5fosfato, cioè la sintesti della timina, perché non verrebbe metilata, allora se non viene metilata si forma un DNA anomalo che a sua volta porterà ad un arresto, in pratica, della possibilità di formare la proteina attiva. Ricordate che alternativamente un deficit di vitamina B12 fa sì che ci sia poca disponibilità di cobammide per essere metilata e conseguentemente tutto ciò che ne segue. Dunque questo deficit può essere dovuto a difettosa trasferimento del metile dalla metilcobammide oppure ad un difetto di disponibilità di vitamina B12 perché questa porta conseguentemente ad una minore disponibilità di formazione del coenzima. Con questo chiudiamo il catabolismo della metionina e la sintesi della cisteina. Ovviamente la sintesi della metionina che potrebbe venire ancora con altre modalità, non è a disposizione dei nostri tessuti, è possibile nei microorganismi e nelle piante ma non nei nostri tessuti: dunque l’unica via per formare metionina è la metilazione diretta, per altro precaria, conseguentemente la metionina diventa un amminoacido essenziale.

LEZIONE DEL 20\03\2003

II catabolismo della fenilalanina e del triptofano è piuttosto complesso per le innumerevoli possibilità che ha.La caratteristica di questi due amminoacidi aromatici è quella di coincidere con la sintesi di innumerevoli altri composti,mentre si trasformano danno origine a composti che lasciano il catabolismo dell’amminoacido e vanno verso la formazione di composti che sovente hanno un’azione ormonale.Il catabolismo della fenilalanina coinvolge anche il catabolismo della tirosina(questo è il motivo per cui i due amminoacidi vengono trattati insieme).

La fenilalanina è un amminoacido essenziale mentre la tirosina non lo è in quanto si origina dalla fenilalanina(quindi in assenza di fenilalanina non ci sarà neppure tiroxina,in assenza del precursore il composto successivo non può avere origine).La fenilalanina può in piccola misura seguire il suo catabolismo tenendo,però,conto che il 70% della fenilalanina si trasforma in tirosina .Se procede come fenilalanina,il suo catabolismo prevede una reazione di transaminazione in cui l’accettore dell’ammino gruppo sarà l’acido ossalacetico α-cahetoglutarato e in questo modo la fenilalanina si trasforma nel cheto acido corrispondente cioè l’acido fenilpiruvico. Gli accettori sono ossalacetato o α-chetoglutarico con formazione di acido aspartico e acido glutammico.A questo punto essendo un α-cheto acido ci potremo aspettare che intervenga un α-chetoacido decarbossilasi che elimini il gruppo carbossilico,ma per la fenilalanina questo non è normalmente la regola.Quindi a differenza degli altri amminoacidi ramificati,α-chetoacido non va incontro a decarbossilazione ossidativi ma può essere eliminato come tale.Una volta formato l’acido fenilpiruvico e’ possibile trovarlo nelle

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urine e a questo punto il catabolismo si conclude.Esiste però un’alternativa,che l’acido fenilpiruvico venga ridotto del suo gruppo carbonilico e allora lo troviamo nelle urine come acido fenil-lattico ;oppure può andare incontro ad una semplice decarbossilazione,interviene una liasi che toglie il gruppo carbossilico e a questo punto lo troviamo come fenilacetico spesso copulato con glicina a formare acido fenilaceturico.

Frequentemente,però, la fenilalanina entra in un’altra via di catabolismo in cui il primo composto è la tiroxina.Quindi la fenilalanina può essere catabolizzata via tirosina.La trasformazione della fenilalanina in tiroxina prevede l ‘intervento di ossigeno molecolare e di una fenilalanina 4-idrossilasi specifica per idrossilare in posizione 4.La reazione è complessa e vede come cofattore una tetraidrobiopterina. La tetraeidrobiopterina può esistere sia nella forma che tonica che in quella ossidrilica .Le due forme sono in equilibrio.

La cosa importante è che il secondo anello è completamente idrogenato,mentre il primo anello può avere caratteristiche di un anello aromatico.Nella biosintesi questo anello delle tetraidrobiopterina origina dalla modificazione di una molecola di guanosintrifosfato(o più semplicemente di guanosinmonofosfato).facilmente visualizzabile la somiglianza,infatti il primo anello,cioè quello che stiamo considerando,è semplicemente ribaltato.Il secondo anello quello imidazolico,partecipano alla tetraidrobiopterina i due atomi di azoto e gli atomi di carbonio,la rimanente parte deriva dal ribosio. L’anello imidazolico del nucleo pirimidinico è stato aperto e ha incorporato una parte del carbonio riboso.Questo spiega perché siamo in grado di sintetizzare questo anello.Questo stesso anello noi lo troviamo modificato nel coenzima folico,il problema è che noi non siamo in grado di formare l’acido paramenobenzoico,conseguentemente l’acido folico diventa vitamina.

Questa tetraidrobiopterina interviene nella reazione idrossilasica e ne è il fulcro.Ossigeno viene legato alla tetraidrobiopterina che compare in forma chetonica (questo gli permette di poter agire come accettore dell’ossigeno)Grazie all’enzima,fenilalanina idrossilasi,in posizione 4’ viene introdotta una molecola di ossigeno e questo comporta la scomparsa di un doppio legame(rimaneggiamento anello),ribaltamento del doppio legame sull’atomo di azoto e il doppio legame si apre e lega da un lato ossigeno molecolare e dall’altro si ripristina con l’azoto.Si è così formato il 4 perossiderivato.Pertanto primo intermedio del composto è la tetraidrobiopterina più ossigeno legato attraverso un legame perossidico nella posizione 4 ‘ dell’anello pirimidinico.Questo intermedio viene sfruttato dalla fenilalanina idrossilasi,toglie un atomo di ossigeno dal derivato perossidico e lo trasferisce alla fenilalanina andando a localizzarlo nella posizione 4 e forma il prodotto di reazione tiroxina.

E’ necessario tornare alla tetraidrobiopterina perché nonostante sia stato tolto un ossigeno rimane comunque un idrossi derivato. A questo punto la fenilalanina idrossilasi agisce una seconda volta,la reazione prosegue sull’intermedio appena formatosi,toglie una molecola di acqua fra l’idrogeno legato all’azoto in posizione 5 e il gruppo ossidrile in posizione 4.Come conseguenza la molecola del derivato si trasforma nel derivato crinoide molto instabile e in presenza di una molecola di NADP ridotto si trasforma nella tetraidrobiopterina di partenza e la reazione può dirsi conclusa.Alternativamente questo derivato di tipo crinoide tautomerizza in una seconda forma di tetraidrobiopterina che viene chiamata 6,7 diidrobiopterina(o 5,6 diidrobiopterina?)(una semplice trasposizione di un doppio legame fra i due tautomeri).Su questa diidrobiopterina interviene ancora una volta un NADP ridotto e si forma nuovamente tetraidrobiopterina.Questa prima tappa è molto importante perché si associa al deficit di enzimi che intervengono e si risolve nell’impossibilità di formare tiroxina,come conseguenza la fenilalanina si accumula nei tessuti e segue la via del suo catabolismo proprio,cioè la via dell’acido fenilpiruvico.(La formazione di acido fenilpiruvico è molto alta perché alta è la concentrazione di fenilalanina che non riesce ad entrare nella via di trasformazione in tiroxina).Questo contrassegna una patologia particolare la fenilchetonuria o oligofrenia fenilpiruvica.Oligofrenia sta per deficit di tessuto nervoso con evidenti disturbi ed

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accumulo nelle urine di acido fenilpiruvico.Essendoci un danno nella trasformazione fenilalanina-tirosina,si forma poca tiroxina che nei soggetti fenilchetonurici porta ad un parziale albinismo(depigmentazione della cute,i capelli diventano bianchi e le sclere si schiariscono) Tutto ciò è dovuto alla mancanza di tiroxina,coinvolta nella sintesi del pigmento melanina.Quindi nei soggetti affetti da fenilchetonuria si parla di albinismo secondario in quanto le cause che lo determinano sono diverse dall’albinismo primario.Se la malattia non è diagnosticata preventivamente il bambino cresce per pochi anni con deficit mentali enormi.La carenza di questo enzima è davvero fatale e quindi deve esserci una diagnosi precoce nelle prime settimane di vita e questo è abbastanza semplice in quanto l’alta concentrazione di acido fenilpiruvico nelle urine è tangibile.Come può l’acido fenilpiruvico provocare danni celebrali così ingenti tanto da precludere lo sviluppo?Le cause precise non si conoscono ancora,tuttavia è possibile dare una sorta di risposta a livello molecolare:l’accumolo di acido fenilpiruvico comporta una inibizione di 3 enzimi che sono necessari in 3 processi metabolici.Per primo inibisce il desossicinesi,quindi un eccesso di acido fenilpiruvico,quindi viene bloccato l’utilizzo del glucosio;inibisce la glucoso6 fosfato diidrogenasi e quindi colpisce la fase ossidativi del ciclo del glucoso6 fosfato portando coma conseguenza un deficit di NADP ridotto con una conseguente carenza di sintesi di acidi e di colesterolo e tutte le sintesi protettive dell’organismo verrano alterate perché in esse è coinvolto il NADP ridotto.Ed in ultimo inibisce il piruvato deidrogenasi a livello mitocondriale, bloccando la piruvato deidrogenasi si riduce l’entità del ciclo di Krebs,meno acetil coenzima A accede al ciclo di Krebs,ma soprattutto si riduce la formazione di acetil coenzima A dal piruvato e questa riduzione di acetil coenzima A si a danno della sintesi dell’acido grasso.Questa compromissione nella sintesi dell’acido grasso è probabilmente una delle cause primarie del danno neurologico.Mancano infatti gli acidi grassi che vanno a costituire la parete della cellula nervosa e entrano come componenti delle guaine mieliniche dei nervi.Sostanzialmente il nervo non cresce o cresce male poiché la sue guaine sono estremamente difettose a quindi tutte le trasmissioni dei segnali risultano alterate.La cura è molto difficile,si deve ridurre enormemente la quantità di fenilalanina e aggiungere tiroxina perché non viene sintetizzata.Il bambino nei primi mesi di vita deve seguire una dieta particolare,in genere fatta con idrolizzati di caseina,la proteina del latte,privata di fenilalanina e arricchita in tiroxina.Questi idrolizzati così costituiti prevengono il danno da parte di accumulo di acido fenilpiruvico,perché la quantità di fenilpiruvico si riduce enormemente.Il problema è che la fenilalanina è un amminoacido essenziale e quindi deve essere fornito e quindi diventa a questo punto essenziale un continuo monitoraggio della concentrazione dei livelli di fenilalanina ,che viene mantenuta entro livelli accettabili(2/6 mg ogni 100 mml,se il deficit non viene controllato si arriva anche a20/30 mg).L’importante,per una condotta normale di vita,è una diagnosi precoce.Se tutto funziona, si ha la formazione di tiroxina che può andare o in catabolismo o può evolvere verso la sintesi di altri composti come gli ormoni della midollare della surrene,sintesi di melanine(responsabili del colore della pelle,dei peli,dei capelli e delle sclere).Se la tiroxina procede nel suo catabolismo interviene una tiroxina transaminasi ,in questo caso l’enzima è specifico per la tiroxina,transamina la tiroxina sull’α-chetoglutarato ossalacetato e lo trasforma nel cheto acido corrispondente(acido paraidrossifenilpiruvico).Questa transaminasa ha la caratteristica che la sua sintesi è controllata da ormoni ed è in particolare potenziata dall’insulina,dal glucagone e da ormoni della corticale della surrene.La sintesi di questa transaminasi è,invece,inibita dagli ormoni della crescita(GH).Su questa reazione c’è un punto di controllo in quanto è noto un difetto di questa transaminasi che porta ad un eccesso di tiroxina.(il difetto non è poi così grave anche con alti livelli di tiroxina).Se tutto procede per il meglio l’acido fenilpiruvico va incontro ad un’altra reazione di ossidazione.Interviene una omogentisinato sintetasi la quale agisce in presenza di ossigeno molecolare,a questo punto si registrano alcune modificazioni:allontanamento del gruppo carbossilico come anidride carbonica,spostamento della catena de3ll’acetile,residua un gruppo ossidrilico.

Il prodotto della reazione è un nuovo composto che sarà l’acido 2,5 diossifenilacetico,più correntemente indicato come acido omogentisinico.Questa molecola è un paraidrochinone con gli

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ossidrili in posizione para,inoltre è una molecola instabile perché in presenza di ossigeno molecolare si trasforma nel chinone corrispondente;va specificato che la reazione avviene del tutto spontaneamente e il nuovo composto prende il nome di alcaptone.Il passaggio dalla forma di idrochinone a chinone comporta la formazione di questo alcaptone che è colorato di bruno.Quando la formazione di questo acido omogentisinico è alta viene eliminata con le urine che all’aria immediatamente imbruniscono.Quando ciò accade parliamo di alcaptonuria cioè di eliminazione di una forte quantità di alcaptone,il fatto che accada è indice in un blocco nel catabolismo della tiroxina e più precisamente nella reazione successiva cioè quella che dovrà trasformare l’acido omogentisinico nel successivo prodotto di reazione.Altro difetto sulla via di catabolismo della tiroxina è l’enzima deputato a trasformare l’acido omogentisinico,l’enzima in questione è un omogentisinato ossigenasi.Passaggio successivo ad opera dell’omogentisinato diossigenasi,la quale lavora in presenza di ossigeno molecolare,l’anello dell’acido omogentisinico viene aperto e l’ossidazione riguarda il legame del C1 e C2(sono davvero pochi i casi in cui l’anello viene aperto).Se tutto procede al meglio l’acido omogentisinico non si accumula.Cosa residua da questa reazione di ossidazione?Processo di ossidazione si rompe un legame e il C che porta la catena acetica diventa un carbonio carbonilico e il secondo carbonio che legava un ossidrile diventa un carbonio carbossilico.La forma ossidrilica si trasforma nella forma che tonica e arriviamo ad un composto stabile e definitivo diviso in due parti.Una parte il cui scheletro corrisponde all’acido maleico e una seconda parte cha corrisponde alla molecola dell’acido acetil acetico,quindi due molecole inglobate.Cosa accade su questo composto?Si forma un maleil aceto acetato come intermedio.Questo maleil aceto acetato si trasforma nel fumaril aceto acetato che è semplicemente una trasformazione cis-trans,una trasformazione mediata da una isomerasi,che utilizza come cofattore un glutatione che diventa fumaril aceto acetico.Il fumaril aceto acetico più acqua libera da una parte acido aceto acetico che un corpo chetonico e dall’altra acido fumario che va al ciclo di Krebs.La tiroxina è considerato un amminoacido chetogenetico(perché così come la fenilalanina forma nel suo catabolismo corpi che tonici.I danni che si riscontrano in questa via di catabolismo sono:1)oligofrenia e quindi la trasformazione della fenilalanina in tiroxina;2)la trasformazione della tiroxina in acido 4 idrossifenilpiruvico,per difetto della transaminasi che si risolve in una patologia caratterizzata da alti livelli di tiroxina con danni meno ingenti della precedente;3)manca la ossigenasi responsabile della trasformazione dell’acido omogentisinico in maleil aceto acetico, quindi accumulo dell’acido omogentisinico.Il danno conseguente alla mancanza di questo enzima non è poi così grave,non si riscontrino infatti danni neurologici.le uniche caratteristiche sono iperpigmentazione della cute in questi soggetti,la cute diventa scura e in modo particolare i padiglioni auricolari,le sclere imbruniscono.L’accumolo di acido omogentisinico favorisce la formazione di alcaptone che a questo punto si deposita a livello della cute e forma dei propri di polimerizzazione che concorrono ad imbrunire la cute.Questo eccesso di alcaptone tende a precipitare a livello delle articolazioni dando una situazione di infiammazione della cartilagine(reumatismo alcaptonurico),artrosi delle articolazioni.La diagnosi risulta piuttosto facile,le urina imbruniscono,si ossidano spontaneamente all’aria.Almeno tre danni sono conosciuti a livello del catabolismo della fenilalanina,la fenilalanina è uno degli amminoacidi maggiormente studiati nel suo divenire in rapporto al deficit e alle alterazioni che conseguono a diverse tappe della sua demolizione.

La tiroxina non va in catabolismo ma in trasformazione,cioè origina dei composti che avranno a loro volta un destino diverso.I composti che si generano dalla tiroxina sono di due tipi:ormoni e melanina(pigmento che regola l’ intensità di colore della pelle,regola la pigmentazione del colore dei capelli e dei peli).La funzione della melanina nell’uomo non è molto chiara,lo è invece per quanto riguarda gli animali;per esmpio il cambiamento di colore della rana a seconda che si sposti alla luce è dovuta ad un movimento di pigmento sotto la cute.La tiroxina non viene transaminata,agisce una tiroxina idrossilasi diversa dalla fenilalanina idrossilasi;le due idrossilasi sono diverse e hanno caratteristiche differenti,ma che utilizzano lo stesso cofattore,l a

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tetraidrobiopterina.Il meccanismo di idrossilazione è uguale a quello descritto per la fenilalanina idrossilasi.

In presenza di ossigeno molecolare ad opera della tiroxina idrossilasi ,che utilizza la tetraidrobiopterina,la tiroxina viene trasformata in 3,4 diossifenilalanina detta più correntemente dopa.Questo processo si svolge con tenue intensità a livello della midollare della surrene,tessuto deputato alla sintesi di adrenalina e noradrenalina ,ormoni che lavorano con meccanismo pari a quello del glucagone(tutti AMPc dipendenti)Anche nei gangli sinaptici e in cellule ben differenziate avviene questo meccanismo.Formata la diossifenilalanina il composto va incontro ad una reazione di decarbossilazione in presenza di piridossalfosfato,prima si forma la base di Shift con l’ammino gruppo e poi l’enzima funziona da decarbossilasi e formiamo l’amina corrispondente definita come dopamina..La dopamina va incontro ad una reazione di idrossilazione ad opera di una dopamina idrossilasi sistema che utilizza NADP ridotto,FAD.Avviene la reazione ,il gruppo metilenico viene trasformato in un gruppo alcolico secondario.Con questa reazione di idrossilazione si crea un centro di assimetria ,il composto attivo è L,quindi si forma L-idrossilasi,meglio indicato con il termine di noradrenalina(nor indica che si ha un metil in meno rispetto alla adrenalina definitiva).A questo punto la noradrenalina viene mutilata a livello dell’azoto amminico,donatore del metile,è una S-adenosinmetionina,Tutti i soggetti con carenza di tiroxina faranno difficoltà a formare questi composti(adrenalina,noradrenalina),avranno un deficit di ormoni circolanti per quanto riguarda la midollare della surrene.Altra patologia che si associa al soggetto con fenilchetonuria è deficit di adrenalina e di noradrenalina;con questo concludiamo la via trasformazione.La sintesi delle melanine che procede da tiroxina e in particolare da 3,4 diossifenilanina .La sintesi della melanina parte dalla Dopa.Nelle cellule che sono deputate alla sintesi di questo pigmento ci sono cellule che sono sotto il controllo dell’ormone ipofisario,la melanotropina,ormone deputato a potenziare la sintesi della melanina ed è il prodotto del lobo intermedio dell’ipofisi.Questa dopa viene ulteriormente ossidata a formare il chinone corrispondente,il meccanismo è poco conosciuto.Questo composto chiamato dopachinone è molto instabile e per ragioni ancora sconosciute la catena laterale ciclizza sull’anello del chinone e forma un nuovo composto che prende il nome di dopacromo.Quest’ultimo è in equilibrio con il leucadopacroma,prodotto di riduzione,i 2 composti coesisteno all’interno di queste cellule.Le due molecole interagiscono e formano la melanina che pertanto non ha una forma definita.

I soggetti con deficit di tiroxina idrossilasi avranno come conseguenza un deficit di melanina,un deficit genetico che si traduce nell’albinismo(totale depigmentazione della cute,dei capelli,della ciglia e delle sopracciglia,accanto ad esse numerose altre sintomatologie)L’albinismo sopra descritto è un albinismo di tipo primario che si suddivide in tre diversi tipi i quali fanno capo ad un deficit di tiroxina idrossilasi.

CATABOLISMO DEL TRIPTOFANO:

Il triptofano è un amminoacido indispensabile,ma poco rappresentato nelle proteine.Il suo catabolismo inizia con una reazione di ossidazione ad opera del triptofano ossigenasi che porta all’aperturadell’anello pirrolico.L’enzima compia un’ossidazione a livello del doppio legame sull’anello pirrolico,il carbonio legato all’azoto si trasforma in un gruppo aldeidico.Formiamo il formil cinurenina,formato da un acido formando benzoico legato ad una catena di alanina.La formilcinurenina va incontro ad idrolisi che stacca l’acido formilico come acido formico e formiamo cinurenina.La cinurenina può proseguire il catabolismo oppure dare origine al prodotto di idrossilazione ,la idrossicinurenina e poi in presenza di ossigeno molecolare viene idrossilato il C5 e viene riformata cinurenina.Tutti e due i composti cinurenina e idrossicinurenina vanno incontro ad una reazione di transaminazione ,in presenza di piriddossal fosfato,e formiamo il cheto acido corrispondente.A questo punto spontaneamente il gruppo carbonilico interagisce con quello amminico e l’anello si chiude e si forma un composto biciclico,eravamo partiti da un composto

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biciclico e tornimo ad un composto biciclico.Siamo arrivati a formare due acidi:cinurenico e xanturenico(per la sua colorazione leggermente gialla) prodotti finali del catabolismo del triptofano.IL catabolismo può divergere a livello della formazione di cinurenina e idrossicinurenina,non subire la reazione di transaminazione ma andare incontro ad una reazione idrolasica che stacca la catena amminopropionica formando α-alanina.La catena laterale va via e formiamo due metabolici:ortominobenzoico(o antraminico)eidrossiortominobenzoico(o idrossiantraminico).Questi due acidi vengono eliminati con le urine e sono copulati a glicina formando rispettivamente acido ippurico e idrossiippurico.L’antraminico termina il suo catabolismo con l’acido ippurico mentre l’idrossi derivato ,idrossiantraminico,può procedere il suo catabolismo e formare l’acido nicotinico.L’acido idrossi antrminico va incontro ad una reazione di ossidazione,una ossigenasi interviene e apre l’anello formando un derivato instabile:acroleil ammino fumario(praticamente non esiste perché l’anello immediatamente si chiude).Questo intermedio non è mai stato isolato pertanto si suppone che si formi ma che immediatamente dopo si trasformi in un composto ciclico:l’acido chinolinico.Questo acido va incontro a decarbossilazione,interviene una liasi che toglie un gruppo carbossilico,formiamo acido nicotinico,amicato come nicotinammide(vitamina b).La conclusione è che nel catabolismo del triptofano originiamo una vitamina B ,però essendo che il triptofano è poco rappresentato nelle proteine(largamente utilizzato per altre modalità),la quantità di acido nicotinico prodotto è poca,dipendiamo dall’ambiente esterno(carenza di acido nicotinico:pellagra).Il triptofano può essere un punto di partenza per la sintesi di due ormoni:serotonina e melatonina;per andare alla sintesi di questu due ormoni il triptofano deve andare incontro ad una reazione di decarbossilazione in presenza di piridossalfosfato,interviene una liasi che funge da decarbossilasi,il triptofano diventa triptamina e per una reazione di idrossilazione(cioè intervento di ossigeno molecolare)la triptamina diventa idrossitriptamina,cioè serotonina.Alternativamente la serotonina viene mutilata e si forma metossitriptamina che è l’ormone melatonina (prodotta dall’epifisi),non è molto chiaro il ruolo della melatonina.Il catabolismo del triptofano è concluso.

BIOCHIMICA- lezione del 21/3/2003 ISTIDINA: DEMOLIZIONE (la sintesi non verrà affrontata poiché è un amminoacido essenziale):

1. L'amminoacido può essere totalmente catabolizzato; 2. L'amminoacido può dare altri composti, cioè ormoni.

1. Via del completo catabolismo: Il catabolismo inizia con la desamminazione anossidativa dell'His ad opera di una liasi che toglie ammoniaca tra l'amminogruppo legato al carbonio a e l'idrogeno legato al carbonio b. Si forma un acido insaturo, noto come acido urocanico. La reazione è irreversibile. L'ammoniaca va nel ciclo dell'urea se siamo nel fegato, invece è catturata da acido glutammico a formare glutammina o da a-chetoglutarico a formare acido glutammico se siamo nei tessuti periferici. Interviene sull'intermedio una reazione idroliasica, in presenza di acqua, (non nota nei suoi particolari), che porta ad un riassestamento dei doppi legami e alla formazione di acido imidazolon propionico: i due idrogeni dell'acqua si addizionano sui due carboni metilici e l'ossigeno sul carbonio 3 dell'anello. Questo intermedio è instabile e, in presenza di acqua, ad opera di una idrolasi, viene aperto l'anello imidazolico a livello del carbonio carbonilico e dell'azoto in 2, formando l'acido a-formimmino glutammico (in cui l'ammino gruppo dell'acido glutammico è legato ad un gruppo formimminico) e i due atomi di azoto presenti sono quelli dell''istidina.

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Questo non si accumula, ma interviene rapidamente un enzima di trasferimento che trasferisce il formimmino gruppo al tetraidrofolato e forma in tal modo N5-formimminoTHF e acido glutammico. Sull'N5-formimmino THF interviene una idrolasi che agisce sul gruppo formimmininico, scinde il doppio legame tra C ed N, libera ammoniaca e trasforma il carbonio in un carbonio aldeidico, poiché si forma N5-formil THF. Questo composto, in presenza di una reazione ligasica, forma acido formico, mentre ADP+P danno ATP. In pratica il formil si troverà come acido formico libero in una reazione ligasica: l'energia del legame è trasformata in sintesi di ATP da ADP+P. L'acido glutammico liberato può andare incontro a transaminazione e formare acido a-chetoglutarico, rientrare nel ciclo di Krebs e qui essere degradato.

2. In alternativa a questa via, l'acido imidazolon propionico, in presenza di ossigeno molecolare, si trasforma in acido idantoin proprionico, che è un catabolita terminale ed è eliminato con le urine.

3. L'istidina può dare l'ormone istamina in una reazione di decarbossilazione ad opera di una

liasi. In una reazione liasica, che ha come cofattore piridossalfosfato, l'istidina perde il gruppo carbossilico, libera CO2 e forma in tal modo istamina (ormone già attivo, responsabile di molte reazioni allergiche). Questo ormone è catabolizzato ad opera di una desammminazione di tipo ossidativo, in presenza di O2: viene allontanato l'amminogruppo come ammoniaca e si forma l'aldeide corrispondente, ossia l'imidazonil acetaldeide, che va avanti nell'ossidazione e forma l'acido imidazonil acetico. L'imidazonil acetico si ritrova nelle urine copulato con ribosio: è un fatto estremamente insolito, anche per il modo con cui è legato (è legato all'azoto in 2). ARGININA: E' demolita e riformata nel ciclo dell'urea, da cui può uscire come prodotto o può essere catabolizzato ad ornitina. E' punto di partenza per altri composti di interesse, in particolare per la formazione di creatina, poliammine e monossido di azoto NO.

1. SINTESI DI CREATINA: Avviene solo a livello epatico e, una volta formata, viene smistata dal fegato ai tessuti periferici, dove svolgerà il suo ruolo. La creatina può essere considerata come formata da glicina cui viene legato un gruppo guanidinico, che in questo caso troviamo metilato. Nel fegato, l'arginina dona il suo gruppo guanidinico alla glicina e forma il primo intermedio che prende il nome di acido guanidin acetico o glicociamina. Il gruppo ammidinico dell'arginina, in presenza di glicina, ad opera di una ammidino transferasi, viene trasferito sull'ammino gruppo della glicina e forma acido guanidin acetico o glicociammina. L'arginina è trasformata in ornitina. La glicociamina è coinvolta in una reazione metiltransferasica, in cui il donatore è S-adenosil metionina e si forma creatina. L'atomo di zolfo della metionina è impegnato nel legame con il metile, è attivo e ciò facilita il trasferimento del metile. La metiltransferasi toglie il metile a S-adenosilmetionina, la trasforma in S-adenosil omocisteina e il gruppo metile slitta sull'azoto amminico legato al gruppo metilenico della glicociamina. La creatina dal fegato viene mandata in circolo e, con una certa elettività, viene estratta dal circolo a livello del tessuto muscolare (scheletrico e cardiaco) e del tessuto cerebrale. Qui la creatina è trasformata, in una reazione cinesica, in fosfo-creatina, che è il composto attivo. Il legame N-P è ricco di energia, la reazione creatina cinasica è reversibile: da creatina fosfato e ADP posso formare

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creatina e ATP. La creatina fosfato funge da riserva di energia quando il muscolo è a riposo. Quando il muscolo va in contrazione, il creatin fosfato è trasformato in ATP e creatina e l'ATP è usato nella fibra muscolare per la contrazione. In condizioni di riposo, invece, l'equilibrio è in senso opposto: creatina e ATP forma ADP e creatin fosfato, che viene depositato. Questo accade perché l'ATP è un composto relativamente labile che può essere utilizzato in un grande numero di processi, mentre il creatin fosfato può essere usato in un solo processo, cioè via creatina. E' un modo di preservare l'energia e usarla al momento opportuno. Il muscolo accumula creatin fosfato in condizioni di riposo. La creatina cinasi (chiamata CK) esiste in almeno 3 isoforme (2 sono forme pure e 1 ibrida). E' sempre un dimero, formato da catene di tipo M (isoforma tipica del tessuto muscolare) e catene di tipo B (isoforma tipica del cervello). Come dimero lo possiamo trovare nelle forme MM, MB, BB, che sono libere nel citoplasma. Esiste una quarta isoforma, la cosiddetta isoforma mitocondriale, poiché è legata alla faccia esterna della membrana interna del mitocondrio. Nel caso del muscolo, la parte che utilizzerà l'energia sarà la miofobrilla, immersa nel citoplasma. La localizzazione della creatina cinasi mitocondriale è estremamente strategica, poiché è in grado di captare l'ATP formato nel mitocondrio in uscita. L'ATP, una volta formato, esce dal mitocondrio per un traslocatore sulla membrana interna del mitocondrio, il trasportatore per gli adenil nucleotidi, che lega l'ATP sul lato interno e lo ribalta sul lato esterno. In uscita, si trova davanti la creatina cinasi, che capta l'ATP e lega la creatina, che attraversa la membrana esterna del mitocondrio e si colloca nello spazio intermembrana. In tal modo, la cinasi forma creatin fosfato e ADP. L'ADP torna nel mitocondrio e il creatin fosfato, che muove verso il citoplasma, portandosi sulle miofobrille, dove trova la creatina cinasi solubile che catalizza l'equilibrio opposto: da creatin fosfato e ADP formerà creatina e ATP. L'ATP andrà a legarsi sulle miofibrille, dove verrà idrolizzato in ADP+Pi e l'idrolisi di questo legame permetterà alla fibra di contrarsi. La creatina cinasi mitocondriale forma creatin fosfato, mentre quella solubile trasforma creatin fosfato in ATP, rendendolo disponibile per la miofibrilla. La cellula usa creatin fosfato perché non ci sono idrolisi che siano in grado di attaccare questo legame, mentre sul legame pirofosforico dell'ATP ci sono molte anidride fosfatasi che possono agire per trasformarlo in ADP+P. Pertanto il creatin fosfato è molto più stabile dell'ATP. La creatina cinasi è uno degli enzimi usati come marker dell'affaticamento del muscolo o di danno cellulare: quando il muscolo si affatica, la membrana cellulare è più lassa e alcune proteine possono fluire all'esterno, e tra queste c'è la creatina cinasi. Alti livelli di CK possono essere indice di una usura intensa del tessuto muscolare o, nel tessuto cardiaco, di necrosi della cellula muscolare (ciò che accade durante l'infarto del miocardio). Il creatin fosfato è in parte instabile, poiché può spontaneamente, o come creatina o come creatin fosfato, trasformarsi in creatinina, che viene escreta con le urine. In vivo, la molecola si ripiega su se stessa e l'ammino gruppo si trova abbastanza vicino al gruppo carbossilico ed è facile la formazione di una ammide interna per eliminazione di acqua. La creatinina è indice di usura del muscolo e di funzionalità renale (un aumento è indice di danno della funzionalità renale).

2. SINTESI DELLE POLIAMMINE: L'arginina cede il gruppo ammidinico e forma in tal modo ornitina (che è uno dei cataboliti dell'arginina). L'ornitina così ottenuta può essere punto di partenza per la sintesi delle poliammidi, che sono composti basici, il cui significato in vivo non viene esattamente compreso, ma sono messe in rapporto ad una degenerazione tumorale della cellula: possono legarsi al DNA (in quanto basici), scollare le catene di DNA ed alterarle e dare origine ad una serie di degenerazioni che possono determinare una replicazione non più controllata. L'ornitina va incontro ad una reazione di decarbossilazione ad opera di una ornitina decarbossilasi dipendente da piridossalfosfato e forma la prima poliammina che prende il nome di putrescina, ed è un diammino butano (è la poliammina che formiamo in quantità maggiore). La putrescina può a sua

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volta dare origine ad altre due poliammide, ossia la spermidina e la spermina (le poliammide più distribuite sono 3: la putrescina, la spermidina e la spermina). Per passare dalla putrescina alle altre due ammine, dobbiamo consumare S-adenosil metionina, che funziona non come donatore di metili, ma di un ammino propile. La parte di S-adenosilmetionina che viene utilizzata è la catena legata all'adenina, che, prima di legarsi alla putrescina, subisce una decarbossilazione ad opera di una S-adenosilmetionina decarbossilasi e diventa una amino propil tioadenosina: la sua catena diventa una catena ammino propilica. L'ammino propile verrà donato ad uno dei due ammino gruppi della putrescina, con formazione della spermidina (ammino propil putrescina) tramite una ammino propil transferasi. Rimane una metil S-adenosina, il cui destino è incerto. Per passare alla terza poliammina, la stermina, interviene nuovamente una molecola di S-adenosilmetionina che viene decarbossilata ad amino propil tioadenosina. L'ammino propil transferasi trasferisce l'ammino propile all'amino gruppo libero della spermidina e forma la spermina (diammino propil putrescina). L'ornitina decarbossilasi è una delle proteine che hanno il tempo di emivita più breve (da 2 secondi a 10 minuti: rapido turnover) ed è regolata dall'antizima, che è una proteina dal basso peso molecolare che legandosi a questa decarbossilasi la blocca. Legata all'antizima, questa decarbossilasi diventa substrato per il proteasoma 26S: è una delle poche proteine che vengono degradate dal proteasoma 26S senza essere ubiquitinata (l'antizima svolge le funzioni dell'ubiquitina).

3. SINTESI DEL MONOSSIDO DI AZOTO: coinvolge arginina e, in presenza si ossigeno

molecolare, forma un intermedio del ciclo dell’urea : l'acido alfaaminodeltaureidovalerianico o citrullina . NO ha un tempo di emivita molto breve. La NO sintetasi è un enzima molto complesso nel suo gruppo prostetico . I cosubstrati della NO sintetasi sono NADPH + H+ ; FAD;FMN; tetraidrobiopterina;emo.Gli intermedi della reazione che porta alla formazione di NO per la complessità del sistema di cofattori che intervengono e per la elevata velocità della reazione non sono stati isolati. In presenza di ossigeno molecolare e di NADPH + H+ si ha nel primo passaggio introduzione di un atomo di ossigeno a livello del carbonio del gruppo NH2 dell’arginina. Si ha la formazione di un idrossi amino derivato: NHOH. Quindi dell’O2 molecolare un atomo di ossigeno è impiegato a formare NHOH e un ossigeno si lega ai due idrogeni del NADPH + H+ e forma H2O.Da questo intermedio con partecipazione di FAD , di tetraidrobiopterina e forse qualche altro cofattore vengono allontanati due atomi di H con la formazione di un intermedio instabile che evidentemente si libera.In corrispondenza del gruppo NO che si è staccato rimane un atomo di ossigeno. La NOS: è presente in isoforme e in particolare si riconoscono: una isoforma inducibile e una costitutiva. Quest’ultima è tipica della NOS del cervello e della NOS delle cellule dell’endotelio; l’isoforma inducibile è tipica dei macrofagi (cellule della serie bianca deputata alla distruzione di determinate proteine).La NOS costitutiva è un enzima che dipende da calcio e da calmodulina che pare siano parte integrante della proteina ; mentre la NOS inducibile non richiederebbe calcio e calmodulina come parte della proteina ma potrebbe utilizzarle solo nel momento in cui viene attivata.

NO diffonde rapidamente dal luogo in cui si forma e ad esempio a livello dell’endotelio dei vasi NO appena formato diffonde nello strato muscolare sottostante la muscolatura liscia dove interferisce con i processi di contrazione della muscolatura liscia .Il primo substrato di questo NO è un enzima che prende il nome di guanilato ciclasi che agisce su GTP e forma GMPciclico .La gunilato ciclasi è attivata da NO perché porta come guppo prostetico emo , NO ha alta affinità per l’emo si lega e attiva il processo. GMPciclico formatosi si porta ad attivare proteine con attività di protide cinasi (molto simile al protide cinasi A). che legandosi a GMPciclico vengono attivate. Il substrato del protide cinasi sensibile a GMPciclico è rappresentato da una cinasi che lavora a livello delle miofibrille fosforilando le catene leggere della miosina .La fosforilazione delle catene leggere

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mediata da una protide cinasi per le catene leggere del muscolo liscio. Quest’ultima agisce sulla miosina cinasi (attiva nella forma defosforilata!!!!) e la fosforila in presenz di ATP. La miosina cinasi attiva va a fosforilare le catene leggere della miosina del muscolo liscio e la trasforma in una specie attiva in grado di indurre contrazione muscolare . La miosina cinasi per fosforilare le catene leggere della miosina deve essere nella forma attiva cioè defosforilata ed unita a calcio e calmodulina. Quindi per ricapitolare NO liberatosi si lega a una guanilato ciclasi che porta emo come gruppo prostetico e questo emo viene riconosciuto da NO e in questo modo NO legandosi all’emo attiva la guanilato ciclasi. Quest’ultima attiva forma GMPciclico il quale si lega a delle protidi cinasi inattive e le rende attive; la protide cinasi attiva va ad attaccare la miosina cinasi delle catene leggere e la trasforma nella forma fosforilata che indica la forma non attiva. Ci sono due tipi di guanilato ciclasi : una forma solubile e una di membrana di cui ne sono note solo quattro forme di cui due sono attivate da un fattore prodotto a livello dell’atrio del cuore detto fattore matiuretico atriale. In genere le guanilato ciclasi di membrana sono disposte in maniera tale che l’amino terminale stia fuori della cellula e il carbossil terminale guarda all’interno della cellula. La parte che sta fuori fa da recettore per un ormone ; la parte che sta dentro è la guanilato ciclasi. L’enzima è bifacciale da una parte funge da recettore dall’altra da guanilato ciclasi. Il recettore per due guanilato ciclasi è rappresentato da una molecola di piccola massa molecolare prodotto a livello atriale ; questo ormone riconosce la guanilato ciclasi di membrana si lega all’amino terminale della gunilato ciclasi modifica la conformazione e si riflette in una sua attivazione. Il catabolismo della lisina (detto acido alfaepsilondiaminocapronico) Inizia a livello dell’aminogruppo in alfa con una deaminazione ossidativa in presenza di O2 ad opera di una aa ossidasi specifica che usa come cofattore FMN . Il gruppo amminico si libera come NH3 con formazione di un alfa cheto acido che va incontro a un processo di ciclizzazione spontanea per cui l’amino gruppo in epsilon va a legarsi con eliminazione di H2O al C carbonilico con la formazione di un composto ciclico detto acido piperidin-2-carbossilico.In presenza di NADPH+ +H il doppio legame viene idrogenato e si forma un secondo composto ciclico che è detto acido pipecolico L’acido pipecolico viene deidrogenato in presenza di NAD con formazione dell’acido piperidin-6-carbossilico . L’anello si apre in presenza di H2O con formazione di un composto lineare a 6C che prende il nome di semi aldeide amino adipica che in presenza di NAD viene ossidata ad acido amino adipico. Questo va incontro ad una transaminazione normale con formazione dell’acido alfa cheto adipico che va incontro a una decarbossilazione ossidativa trasformandosi in glutarilCOA in presenza di coenzima A e NAD .Il glutaril coenzima A entra nella betaossidazione e nella prima reazione della beta ossidazione viene deidrogenato in presenza di FAD che passa a FADH2 in alfa e in beta con formazione dell’insaturo corrispondente che è instabile e perde spontaneamente il gruppo carbossilico come CO2 e si trasforma nel composto stabile definitivo che è il crotonilcoenzimaA da cui per addizione di acqua si forma il beta idrossi derivato. La terza tappa della beta ossidazione richiede NAD con formazione del derivato chetonico che è un beta cheto gluturil coenzimaA che in presenza di COA forma due molecole di acetilCOA e con questo il catabolismo si chiude .La lisina poiché forma acetilcoenzimaA è detto aa glucogenetico . La lisina può seguire una seconda via che inizialmente è individuale poi si ricollega con la via sopra esaminata. Via per cui si forma la saccaropina in cui la lisina reagisce con l’acido alfa cheto glutarico in cui l’amino gruppo in epsilon della lisina si lega al gruppo carbonilico dell’alfa cheto glutarato e si forma un intermedio detto saccaropina è una reazione di ossidoriduzione . L’operazione successiva richiede come cofattore NAD e in presenza di H2O il legame si svolge in lisina da una parte come

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gruppo aldeidico (trasformandosi poi in acido amino adipico si ricollega alla prima via)e dall’altra acido glutammico. IL CATABOLISMO DELLA PROLINA: Il cat. inizia con una reazione di deidrogenazione che trasforma la prolina nell’insaturo corrispondente , vengono eliminati due atomi di H tra N1 e C5 formando l’acido pirolidin-2-carbossilico.L’anello di questo composto si apre con formazione in presenza di H2O della semi aldeide glutammica ossidata a carbossile libera acido glutammico. La sintesi in larga parte è legata ad ornitina che si forma nel ciclo del’urea , che viene per transaminazione desaminativa sull’amino gruppo in delta con formazione della semi aldeide glutammica che ciclizza e viene a formare acido pirrolidin-2-carbssilico che in presenza di NAD ridotto per idrogenazione libera prolina . IDROSSILAZIONE DI PROLINA E LISINA. Avviene quando questi due aa sono inglobati nel pro- collageno . La posizione più frequente nel caso della prolina è la posizione 4 e raramente in posizione 3. Nel caso della lisina è sempre nel penultimo carbonio della catena . L’enzima che interviene a idrossilare prende il nome di prolina o lisina idrossilasi in presenza di O2 ,alfa cheto glutarato e per la sua attività Fe2+ ed attivato da VITC .Si viene a formare 4 – idrossi prolina e delta idrossi lisina. La lisina all’interno delle catene del collageno può andare incontro ad un’altra ossidazione in cui l’epsilon amino gruppo viene liberato come NH3 e residua un gruppo aldeidico prendendo il nome di allisina per intervento di una lisina ossidasi in presenza di O2 che agisce da desaminasi ossidativa.