Billitteri, narrazioni taormina

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“Senza dubbio sembrava un programma eccellente e articolato con grande chiarezza e semplicità; l’unico inconveniente era che Alice non aveva la più pallida idea di come metterlo in atto; e mentre scrutava un po’ ansiosa fra gli alberi , dei piccoli latrati secchi proprio sopra la sua testa le fecero repentinamente alzare lo sguardo…”

Mi piace raccontare una mia esperienza recentissima: sono “Alice” una dirigente, sicuramente molto volenterosa e armata spesso di spirito “crocerossino” che dopo aver avuto una reggenza presso un istituto comprensivo, ad anno scolastico inoltrato, si trova ad affrontare situazioni difficili e problematiche sia sui diversi aspetti educativo-didattici sia a livello organizzativo gestionale.

Il primo giorno di servizio presso quella scuola, seduta sulla poltrona della dirigenza, che mi sembrava enorme e scomoda, accoglievo e ascoltavo tutti coloro che chiedevano udienza per poter presentarmi il loro problema. Man mano che uscivano, dopo aver relazionato sul problema, li vedevo più rasserenati, come se il riferire il loro problema equivalesse alla risoluzione dello stesso. A fine giornata, la mia poltrona era diventata ancora più scomoda e più grande! (Ora capisco il perché: non era la poltrona che si era ingrandita ma ero io che mi ero rimpicciolita!)

Facendo leva sulle mie competenze relazionali, educative e didattiche, comincio ad elaborare un piano, proponendomi delle priorità legate all’urgenza e alla gravità dei problemi sottopostomi. Ma come realizzare questo piano?

Il primo problema che “Alice” pensa di affrontare riguarda il caso di un ragazzo “ dallelunghemani“di 15 anni, agli arresti domiciliari (il cui padre è ergastolano e il fratello maggiore in carcere per rapina), accusato di aver incendiato il negozio di un commerciante che non aveva voluto pagare il “pizzo”. Dallelunghemani veniva a scuola con un permesso speciale … per lui la scuola rappresentava l’unico contatto con il mondo esterno, per cui in quelle ore voleva “vivere” e non immergersi nella routine quotidiana di un qualunque studente.

Nonostante l’età, frequentava ancora la II media e nella sua classe le lezioni potevano svolgersi solo con il suo benestare.

Inutile a dirsi che le rimostranze, per questa spiacevole situazione, mi provenivano da tutte le parti: docenti, alunni e genitori …

“Alice” sempre più piccola, cercava di trovare nel suo bagaglio quella competenza che le permettesse di risolvere questa difficile situazione, ma il bagaglio sembrava sempre più grande ed Alice sempre più piccola. Ad un certo punto … i pressanti interventi di alcuni genitori , “latrati secchi proprio sopra la sua testa” le fecero buttare, repentinamente, all’aria quel bagaglio che aveva faticosamente messo assieme e alzando lo sguardo oltre … capì cosa avrebbe dovuto fare per risolvere la situazione.

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Chiamai Dallelunghemani e gli chiesi cosa volesse fare veramente e lo invitai a darmi la sua versione della sua triste vicenda e come mai avesse commesso quel reato. Man mano che Dallelunghemani parlava “Alice” diventava sempre più grande ed il ragazzo di contro, sempre più piccolo, palesandosi con tutte le sue debolezze e le sue difficoltà a relazionarsi con un mondo più grande di lui. Alla fine dell’incontro avevo assunto le mie normali dimensioni e finalmente avevo capito cosa fare.

Dalla discussione con Dallelunghemani era emerso il suo interesse a frequentare un corso per saldatori meccanici. Avevo già deciso … A settembre prossimo, il ragazzo avrebbe frequentato quel corso!

Dopo aver coinvolto i servizi sociali, chiamai la madre e la pregai di farmi un’istanza in cui mi comunicava che non avrebbe più fatto frequentare Dallelunghemani che avrebbe provveduto autonomamente all’istruzione dello stesso.

Grazie al sostegno e all’intervento dei servizi sociali, è stato inserito in un centro di aggregazione che frequenta con interesse, mattina e pomeriggio, perché sa che il suo obiettivo è vicino.

Nel centro lo preparano per gli esami di terza media a cui si presenterà da privatista e …. sono sicura che supererà gli esami.

Ristabilite le regolari proporzioni, ho avuto, con mio grande rammarico, i complimenti del consiglio di classe per la felice conclusione del caso, avevo tolto dalla classe quell’elemento che non li faceva lavorare.

Perché il rammarico? Nessun docente mi ha chiesto per quale motivo, questa soluzione avesse trovato la condivisione dell’alunno.

*****

Il suono squillante della sveglia mi desta da un sonno profondo e…,dalle spiagge assolate e i lidi affollati mi riporta improvvisamente alla mia stanza e ad una nuova realtà.

“Che giorno è oggi?”- mi chiedo, strofinandomi gli occhi come a voler ridestare la mente ancora offuscata dal sonno. Accendo il cellulare e il calendario che appare sul display mi ricorda la data: 1 Settembre 2001.

Sto ancora riflettendo su cosa mi attende quando, senza quasi accorgemene, mi ritrovo catapultata in una nuova dimensione che non conosco ma di cui dovrò far parte.

Varco la soglia della scuola, timorosamente e senza sapere esattamente dove sto andando e cosa sto facendo…; mi ritrovo in un ampio corridoio e, come colui che ha perso la bussola si lascia guidare dal sole e dall’istinto, anch’io procedo guidata da un vociare che sembra provenire da lontano. Le voci si fanno sempre più vicine e mi conducono ad un’ampia aula affollata da insegnanti che, ai miei occhi, appaiono impegnate in conversazioni animate,

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sembrano infervorarsi per qualcosa, ma non capisco cosa…noto che l’età media si aggira intorno ai 48 anni e mi sento così distante da loro.

“Cosa posso avere in comune con loro?”- è il primo pensiero che mi attraversa e a seguire tanti altri interrogativi intasano il mio cervello, “cosa ci faccio io qui?”, “come ci sono arrivata?”, “cosa mi aspetta?”…una sola risposta riesco a darmi, “non lo so!”.

Timidamente e quasi furtivamente entro in aula e vado a cercare un posticino in fondo in fondo, laddove potermi nascondere dietro qualche testa e mimetizzarmi con l’ambiente fino a diventare impercettibile. Noto che le insegnanti mi scrutano senza chiedere; mi sento come un alieno lanciato da una navicella in avaria in un mondo sconosciuto, popolato da strane creature che mi guardano per capire da dove provenga. Qualcuno osa chiedere: “di che sei figlia?”. Ma che razza di domanda è?

”Di nessuno!” rispondo istintivamente, cioè è ovvio che io sia figlia dei miei genitori, ma dicendo NESSUNO voglio dire che non sono lì in veste di figlia che accompagna o che cerca un genitore, sono un’insegnante anch’io, per quanto strano possa sembrare, essendo, apparentemente, solo una ragazzina poco più che ventenne.

Questo è l’inizio del viaggio che, il 18 Aprile 2012, mi ha condotta fino a Taormina.

Dal giorno del primo collegio, passo il tempo a cercare di capire qualcosa in più sul mio ruolo, i miei compiti, i miei doveri, i miei diritti; leggo riviste di didattica, sfoglio i libri di testo, ma soprattutto cerco nella memoria del mio passato da studente di scuola elementare per recuperare qualche ricordo che mi dia un input. SPLASH…faccio un buco nell’acqua! Il ricordo è sfumato, l’unica cosa che ancora percepisco come fosse ieri è l’antipatia che nutrivo verso l’inglese, o meglio verso l’insegnante d’inglese, eppure io ho studiato inglese e dovrei insegnare proprio quella stessa disciplina che da discente ho odiato.

Mi tornano in mente frasi incomprensibili da studiare a memoria e il volto serioso, a tratti “rabbioso” della mia maestra d’inglese.

“Io non voglio essere come lei!”, almeno di questo sono certa.

Tra ricordi e letture mi schiarisco le idee sul “programma” da seguire, analizzo gli obiettivi, associo i contenuti alle classi, preparo le lezioni; così mi rassicuro, convinta di sapere cosa fare, di aver fatto chiarezza, eppure… ho la percezione che qualcosa mi sfugga.

Arriva il fatidico primo giorno di scuola. Seconda tappa del mio viaggio: una bolgia infernale!!

Dal silenzio delle aule universitarie, eccomi sprofondata in chiassose aule elementari, mi sembra di stare nel girone dei dannati e mi chiedo: “ma cosa ho fatto di male per stare qui?”.

Indietro non si torna, quindi in un modo o nell’altro occorre agire, d’altronde ho con me la mia borsa di Mary Poppins, piena di fotocopie, di belle lezioni programmate con cura, ho chiari gli obiettivi e i contenuti, ma ecco cosa mi sfuggiva…COME mettere in atto tutto ciò!?

Non avevo pensato al modo, o per dirla con professionalità alla metodologia.

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Dunque, riflettiamo…se ci ritrova dentro un labirinto, per capire qual è la strada giusta, quella che porta all’uscita, bisogna iniziare a camminare, provare a percorrere qualche strada, tentare e anche sbagliare.

Chiedere…? Beh, in un labirinto in genere ci si ritrova soli, per cui tutt’alpiù posso interrogare me stessa, farmi le domande e darmi delle risposte, ma in fondo un’insegnante non dovrebbe porsi continuamente dei quesiti? Prima di interrogare gli altri non dovrebbe interrogare se stessa? prima di valutare non dovrebbe essere capace di auto valutarsi e prima di insegnare non dovrebbe forse essere capace di apprendere…?

E se nessuno sa dirmi come si insegna la mia disciplina, se nessuno sa indicarmi la rotta da seguire, allora devo guardarmi attorno, scrutare attentamente, cercare per trovare qualcosa, un’illuminazione, una lampadina che si accenda nella mia mente. Insomma, devo essere in grado di stilare, da bravo capitano, le mie carte di navigazione per non naufragare, perché con me affonderebbero anche quei “dannati” ,collocati in diversi gironi, che giornalmente mi vengono affidati.

Come Alice, anch’io scruto tra gli alberi ansiosa… e il mio percorso di ricerca va avanti ormai da 10 anni, tra alti e bassi, passando per mari tempestosi e acque tranquille, fronteggiando nemici e pericoli e incontrando amici, combattuta tra la voglia di scappare e la forza di andare ancora avanti, perché la ricerca, si sa, non è cosa semplice e il metodo perfetto e preconfezionato non esiste, come non esiste un’unica strada da percorrere. Esistono tante strade e stradine, tanti approcci da modulare in base alle esigenze dei ragazzi e tanti modi per mettersi alla prova continuamente.

Nel mio “viaggio”, esattamente come Alice, ho incontrato un Bianconiglio che andava sempre di fretta e non aveva mai tempo per fermarsi a parlare con me; un Bruco che mi guardava dall’alto del suo fungo e mi “sputava” addosso il suo fumo; un gatto che sogghignava e abbozzava risatine ironiche; una regina di cuori, abituata a sentenziare e tagliare teste; un cappellaio matto che mi ha insegnato ad osare, a mettermi in gioco,con un pizzico di incoscienza e di sana follia, sfidando la monotonia e l’appiattimento, perché come sostiene il cappellaio : “la gente vede la follia nella mia colorata vivacità e non riesce a vedere la pazzia nella loro noiosa normalità!”.

Muscar ?

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Ecco è arrivata una telefonata, finalmente, dopo tanto attendere per quaranta giorni una supplenza è assicurata. Certo c’è il viaggio da affrontare, perchè il paese è in cima ad una montagna e nella guida la prof. non è certo brillante, ma basta partire per tempo e concentrarsi, lo fanno tutti riuscirà pure lei. Il programma è fatto “articolato con grande chiarezza e semplicità”: partenza con largo anticipo, lezione pronta per le due classi in cui deve operare, tutto pianificato. Di buon mattino inizia il viaggio, la strada scorre ma non molto eppure sulla carta sembrava più breve, alla fine giunge alla meta. La prof. entra in

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classe con passo deciso, ma lo spettacolo che ha davanti è sconcertante: invece di alunni seduti, composti e silenziosi si ritrova una carambola di colori vocianti, sembrano un mazzo di carte da gioco gettate in aria da un giocatore impazzito. Seppur a fatica la prof. riesce a sistemare fanti e dame ognuno al proprio posto e ad ottenere un semisilenzio, anche se il programma ha subito uno scossone iniziale, pensa di poter finalmente procedere con il suo “programma ben articolato”, non ha però fatto i conti con l’arrivo del Jolly della situazione. All’ora successiva arriva spavaldo il Jolly che con aria decisa si avvia verso un posto vuoto, si siede e con grande attenzione scruta la prof. supplente che trova in classe. Dopo un po’ il Jolly si alza e dice che esce dalla classe, la prof. lo raggiunge sulla soglia e gli dice che lui non puo’ farlo che deve restare in classe, mentre la prof. e il Jolly duellano verbalmente sul da farsi, il mazzo di carte si è fatto improvvisamente silenzioso, magicamente ordinato, attento allo scambio di battute per vedere chi sarebbe uscito vincitore. La prof. chiede perché vuole uscire, il Jolly colto di sorpresa dalla domanda, perché evidentemente mai nessuno gliela aveva posta, cerca annaspando una risposta, alla fine dice che deve vedere se gli hanno portato la merenda, la prof. si accorge di essere ad un bivio “per di qua” avrebbe dovuto far uscire il Jolly senza dire nulla e lasciarlo andare in giro come il suo solito, ma avrebbe perso quel controllo che aveva ottenuto sul mazzo di carte, “per di là” avrebbe voluto seguire il Jolly ma doveva lasciare la classe. Cosa fare… ad un certo punto “scrutando tra gli alberi” la prof. decide di seguirlo, si mette al suo fianco e avanzano verso i bidelli che dicono che della sua merenda non c’è traccia, girano quindi i tacchi e tornano in classe, dal mazzo di carte intanto non giunge alcun rumore, arrivando quasi sulla soglia il Jolly, con un sorriso sornione e ammirato, si complimenta con la prof. per la sua mossa con la quale aveva sventato il suo tentativo di lasciare l’aula. Da quel giorno il Jolly accompagna sempre la prof. anche quando lei va nell’altra classe, chiede il permesso ai suoi insegnanti che glielo danno di buon grado senza chiedersi perché il Jolly seguisse la prof. Ma i quaranta giorni passano la prof. va via e il Jolly resta. La prof. ancora si chiede è stata lei a guardare tra gli alberi o è stato il Jolly?

Pietra Bellitto Grillo

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Non è facile dirigere una scuola di quasi 2000 alunni, di utenza medio-alta, apparentemente più semplice da gestire, in realtà più esigente e pronta a contestare, a chiedere i “propri diritti”, non sempre facendo il proprio dovere. Si prova tanta soddisfazione dinanzi alle eccellenze, ai numerosi successi di studenti che vincono olimpiadi, certamina, concorsi vari, ma si prova anche tanto smarrimento dinanzi alle infinite difficoltà, che quotidianamente ogni situazione ti pone davanti, impietosa, e che, malgrado la professionalità del tuo staff, la collaborazione dei docenti e del personale ATA, tutti pienamente coinvolti, spesso da sola devi comunque risolverti.

Ti senti spesso Alice, piccola piccola, lì ad affrontare le cose tanto più grandi di te: come quando è nata la nostra “scuola in ospedale” per gli studenti della secondaria di II grado.

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Come Alice “non avevo la più piccola idea di come metterla in atto”, ma avevo il ricordo indelebile di chi avevamo seguito nella “scuola in ospedale” a Milano, una studentessa che oggi non c’è più, a cui avevamo dato la gioia di continuare ad apprendere pur in una condizione difficile. Avevo il desiderio e la voglia di consentire a chi è meno fortunato dei tanti ragazzi che frequentano le nostre aule di godere del suo diritto allo studio e insieme alla salute. Così “scrutando tra gli alberi”, come Alice, ho “repentinamente alzato lo sguardo”: è stata firmata la convenzione con i Direttori generali delle tre grandi aziende ospedaliere della città, sono stati definiti modalità e interventi con gli operatori sanitari responsabili delle varie strutture. Non avendo ancora un organico fisso, gli stessi docenti del liceo hanno cominciato a prestare la loro attività in ospedale in orari fuori dal loro servizio, gratuitamente, come semplice volontariato, stanchi ma soddisfatti della loro opera. Quest’anno quattro docenti fissi in organico di fatto stanno prestando servizio negli ospedali cittadini, il prossimo anno saranno in organico di diritto: ogni giorno portano la scuola nei vari reparti, sono una presenza gioiosa, concreta, vigile, attenta ai bisogni e alle esigenze di studenti provenienti non solo dalle scuole secondarie di II grado di Catania, ma anche dalle numerose scuole della provincia e della Sicilia tutta. Usano le strategie didattiche più diverse secondo i bisogni dei singoli alunni e tenendo conto del loro stato di salute. Alle scuole di provenienza inviamo la certificazione e la valutazione delle competenze. Gli alunni e le famiglie ci ringraziano: manteniamo, attraverso l’attività scolastica, l’aggancio e la continuità tra la realtà dell’alunno ospedalizzato e la realtà esterna, teniamo vivo l’interesse per le attività didattiche, riducendo anche la sua ansia, facilitiamo il suo reinserimento nella classe di appartenenza. I sentimenti valgono ancora qualcosa.

Oltre ad “imparare ad imparare” e “imparare ad apprendere” bisogna anche “imparare ad emozionare”.

Gabriella Chisari

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Ho scrutato un po’ ansioso tra gli alberi…  

Alessia è arrivata a scuola l’otto gennaio di qualche anno fa, trasferita in fretta e furia da una città all’altra, per ordine del giudice, la notte di San Silvestro.

Dalla casa famiglia dove era stata inserita filtravano, per me, poche notizie, salvo una generica “complessità”.

Un piano semplice, senza eccellenza, mi ha accompagnato naturalmente a inserire Alessia nella classe meno numerosa, senza particolari problematicità.

Il paese è piccolo, la gente mormora e le voci erano arrivate ai genitori prima dell’arrivo della stessa bambina.

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Richiesta di un incontro immediato con il dirigente: “ Che Alessia sia trasferita in un’altra classe”.

Ed io: “Perché non in un’altra scuola, in un’altra città, in un’altra regione e così via discorrendo?”

La classe si svuota per una settimana: “I bambini rientreranno solo quando Alessia sarà trasferita! Punto!”

Il mio pensiero corre, per alcuni giorni, agli occhi di quei pochi genitori silenti. Saranno d’accordo con gli altri papà e mamme o stanno pensando?

Quegli occhi mi lasciavano sperare, senza la complicità dei miei insegnanti.

Pian piano, uno dopo l’altro, i bambini ritornarono a scuola.

Dopo due anni le situazioni mutano: Alessia, per ordine del giudice, deve rientrare nella propria città, ma non nella propria famiglia.

Scatto da centometrista in un corridoio del convento francescano adibito a scuola. Stacco secco. Le braccia gettate attorno al mio collo. Alessia … grazie!!!

Vito Emilio Picciché