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Biblioteca per le Professioni Collana diretta dal Dr. Simone Pesci

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Guido PesciPedagogia e Pedagogisti© 2013 Edizioni Scientifiche ISFAR - Firenze Viale Europa, 185/b - 50126 Firenze Tel./Fax 055 6531816 www.isfar-firenze.it

Questa pubblicazione è strettamente riservata e la sua riproduzione, anche par-ziale o ad uso interno o didattico, con qualsiasi mezzo effettuata comprese le copie non autorizzate, è vietata.

Guido Pesci

Pedagogia e Pedagogisti

Edizioni Scientifiche ISFAR Firenze

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Indice

Il cammino storico .......................................................................................................................... Pag. 7Il Mondo Classico .................................................................................................................... » 7Nuovo umanesimo ................................................................................................................... » 8Pedagogia contemporanea ........................................................................................... » 14Metodi e Piani ................................................................................................................................ » 18

Pedagogista... in aiuto ................................................................................................................ » 27

Il pedagogista dipendente o libero professionista ............................. » 41Gli istituti medico-pedagogici ............................................................................... » 42Gli istituti medico-psico-pedagogici ............................................................ » 45I pedagogisti negli istituti assistenziali ..................................................... » 48Gli istituti medico-pedagogici provinciali ........................................... » 50I pedagogisti responsabili dei centri di recupero e diriabilitazione ..................................................................................................................................... » 50Il pedagogista dipendente delle Amministrazioni Locali » 51 I pedagogisti nelle Commissionimedico-psico-pedagogiche dei Comuni ................................................. » 51Il pedagogista libero professionista ............................................................... » 52

Professione pedagogista ........................................................................................................... » 55Ambiti di intervento .............................................................................................................. » 56

Bibliografia .................................................................................................................................................. » 58

Legge 14 Gennaio 2013, n. 4 (GU n. 22 del 26-1-2013) ........ » 61

SINPE Società Nazionale Pedagogisti ............................................................... » 69Statuto ........................................................................................................................................................ » 69Regolamento ..................................................................................................................................... » 82Codice Deontologico ........................................................................................................... » 84

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IL CAMMINO STORICO

Il Mondo ClassicoLa pedagogia del passato, dei grandi educatori da cui apprendia-

mo tanta ammirevole esperienza, impone di rintracciare ed esporre quanto il problema pedagogico sia coestensivo nel tempo all’esisten-za umana ed essenziale alla vita di ogni persona.

Dalla storia della pedagogia si rintraccia la grande importanza della Grecia nel condurre il cittadino delle pòleis al compiuto ideale di uomo, inteso come esplicazione di tutte le energie e di tutte le doti della natu-ra umana, l’apertura a tutti i valori umani, espresso comprensivamente dal termine greco areté. La pedagogia in quel glorioso periodo si è animata dei principi dell’armonia e della euritmia, e ha reso tangibile come fossero tendenziali per l’integralità della formazione sostenu-ta dalla calocagathia, fusione di abilità, capacità, saggezza, cultura e prudenza. Un periodo storico, a partire dall’epoca omerica fino a tutto il periodo ellenistico (1000 a C. - 500 d. C. circa), da cui la pedagogia ha tratto significativi orientamenti su come promuovere sollecitazioni utili all’evoluzione dell’uomo. Un proficuo periodo in cui incontria-mo l’Umanesimo sofista, espressione dei pre-socratici e l’Umanesimo socratico la cui via maestra tracciata da Socrate è percorsa da Platone che destina alla pedagogia un fine sociale e una selezione educativa per coprire i diversi ranghi della società. Il grande discepolo di Plato-ne, Aristotele, apporta innovazioni alla paideia con una accentuazione nella specificazione della felicità come armonico sviluppo e perfezio-ne di tutte le capacità dell’uomo, e rendela pedagogia più concreta includendo l’educazione fisica attraverso la ginnastica.

La paideia mantiene il suo fascino anche dopo la conquista della Grecia da parte di Roma, che la arricchisce con le caratteristiche del-

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la «mens romana», una pedagogia che destina alla famiglia maggior senso di dedizione, una più forte coscienza della responsabilità diret-ta dei genitori sull’educazione e una impronta di praticità e concre-tezza. All’ideale greco, con Roma si è aggiunta la caratteristica vir-tus romana il cui programma educativo è rivolto a rendere perfetto l’uomo adulto e a non preoccuparsi del bambino (come spiega anche il nome di Humanitas con cui da Cicerone è reso latino il parallelo concetto greco di paideia) oltre a ciò un prevalente interesse per la scuola di retorica e per il maestro retore anziché per il ludi magister o il grammaticus, impegnati nelle scuole inferiori, considerati non preparati in campo educativo. Al programma di cultura superiore di Cicerone seguì Seneca il quale all’abbondanza delle nozioni prefe-risce la conquista personale della virtù, una educazione intellettuale e un atteggiamento ascetico-stoico nella cura del corpo ordinata a farne un sano strumento dell’anima. A Quintiliano che fa proprio l’ideale culturale educativo dell’oratore già sostenuto da Cicerone e da Seneca, si devono i principi e la pratica pedagogica, precorritrice della pedagogia attiva, l’esaltazione dell’opera educativa della fami-glia e l’importanza dell’educazione fin dalla prima infanzia, consi-derata un indispensabile curriculum per il perfetto oratore. Questo il contributo di Roma all’ideale della paideia sostanziata da praticità e di concretezza, attraverso cui la pedagogia Umanistica-classica riap-parirà con rinnovata efficienza sulla scena, dopo un lungo periodo di decadenza, con il denominato Nuovo Umanesimo che coincide con la prima fase del Rinascimento, a partire dal 1400. Un ritorno del-l’ideale culturale-pedagogico umanistico classico, con significative conseguenze sulla nostra cultura.

Nuovo UmanesimoIl nuovo Umanesimo vuol ridare alla cultura Umanistica la sua

era funzione pedagogica formativa della mente e della personalità dell’uomo. Nuovi criteri pedagogici che, basati sullo studio dei clas-sici, hanno come fine il raggiungere e esercitare la virtù e la sapien-za, indirizzare lo spirito e il corpo a cose nobili che portano ai più alti premi dell’onore e della gloria. Si mira alla formazione comple-ta e armonica dell’uomo, allo sviluppo di tutte le sue qualità morali,

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intellettuali e fisiche, niente affatto sconosciuta all’antichità pagana, ma che adesso si fonda in una sensibilità religiosa e morale orientata ad una valutazione della persona umana più completa. Tra i Pedago-gisti Umanisti sono da ricordare Vittorino da Feltre (1378-1446) i cui insegnamenti sono espressi nella sintesi operata tra criteri uma-nistici e princìpi cristiani, resa possibile dalle sue qualità pedagogi-che, programmatiche e metodologiche. Egli viene sollecitato ad ot-tenere questo successo dalla necessità di una costante ricerca finaliz-zata a trovare risposte educative adatte a una definita educazione fi-sica, intellettuale con programma enciclopedico-umanistico gradua-to all’età del soggetto, e di istruzione condotta in un clima di cordia-lità e di simpatia, sostenute dai criteri della pedagogia umanistica. All’umanesimo, in questa epoca del Rinascimento, certe istanze vengono potenziate nella necessità di individuare metodi e di strut-turare criteri pedagogici rivolti particolarmente in attenzione al bam-bino e al rispetto della sua personalità. Con simili attenzioni verso la funzione pedagogica formativa opposta ad una disciplina dura e in-vilente incontriamo anche Erasmo da Rotterdam (1463-1536), i cui criteri sono lo studio della cultura classica, l’impegno per una scuola concreta e la difesa dell’educazione femminile, ed in particolare la necessità di conoscere le potenzialità dell’allievo. Rabelais (1494-1553) e Montaigne (1533-1592) non si distaccano da questi orienta-menti e propongono cambiamenti sostanziali nei metodi educativi e nei programmi scolastici con il chiaro intento di reagire alla deca-denza, il primo, sostenuto da una ottimistica e naturalistica conce-zione della natura umana che chiede al suo Pantagruel di essere un pozzo di scienza associato ad un’ottima formazione fisica; il secon-do, Montaigne, il quale propugna per l’istruzione la comunicazione di cose e non di parole, badando più al contenuto che alla forma, senza perciò l’intento di formare l’uomo erudito, “una testa ben for-mata, più che ben piena”. Da ambedue questi pedagogisti si coglie il caratterizzarsi della pedagogia come natura, natura in genere per Ra-belais, natura umana per Montaigne, un metodo scientifico-speri-mentale con il quale colmano le lacunosità, imprecisioni e asistema-ticità precedenti. La conseguenza è la sentita necessità di un cambia-mento radicale che avrà inizio e si farà sentire solo nel secolo suc-

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cessivo con Comenius (1592-1670), John Locke (1632-1704) e Fè-nelon (1651-1715). Di Comenius si ricordano la grande fiducia nel metodo sperimentale, i suoi nuovi metodi pedagogici e i procedi-menti didattici con la nuova concezione dei diversi gradi di scuola (gremii, vernacola, latina, accademia) e la gradualità dell’insegna-mento, pur senza negare la pansofia, oltre che aprire le scuole a tutte le categorie di cittadini e classi sociali. La pedagogia Lockiana se-gue la natura come Comenius e promuove lo studio dell’anima del bambino e le sue capacità, per guidarlo e orientarlo verso una libertà di giudizio, in autenticità di interiorità ed esperienza. Fènelon si in-dirizza sulla necessità di una educazione e di una istruzione della donna. Un lento, progressivo maturare del pensiero e dell’azione pe-dagogica che ci ha trasportato alle origini della pedagogia nuova, da cui abbiamo assistito al costante impegno per un maggior adegua-mento formativo tenendo conto della totalità dell’uomo. Il rappre-sentante più distintivo degli albori della nuova pedagogia che si in-castona nel periodo illuminista, è Gian Giacomo Rousseau (1712-1778). Di Rousseau possiamo richiamare alcuni aspetti come la sen-tita necessità di attuare una educazione libera e non soggiogata al-l’asservimento dell’assolutismo politico, un uomo formato secondo la libertà e spontaneità della natura, cittadino di una nuova società. Per natura Rousseau intende il complesso delle attitudini fondamen-tali dell’uomo, capacità, istinti, necessità, tendenze, ciò che è agente, attivo e dinamico, spontaneo e originario nell’individuo. Un ricono-scimento dell’uomo che richiede una educazione condotta nel rispet-to della spontaneità della persona e che prevede una educazione ge-netico-funzionale capace di adeguarsi alle esigenze psicologiche delle varie fasi dello sviluppo e di limitare le facoltà dei bambini fino ai 12 anni eminentemente sensitiva, attendere i 15 anni per la forma-zione sociale e i 18 per quella religiosa, negando la possibilità o l’opportunità di ogni anticipazione. Una decisiva svolta nel campo della pedagogia pur adombrata dall’ingenua spontaneità riconosciu-ta alla natura, l’annientamento dell’autorità dell’educatore, l’espan-sione del sentimento a scapito della ragione e dell’oggettività della norma morale. Limiti che verranno superati dai seguaci che si sono presentati dopo di lui, fra questi Enrico Pestalozzi (1746-1827) che,

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dapprima entusiasta delle idee sociali e pedagogiche di Rousseau, in seguito alle sue esperienze educative a contatto con i figli del popo-lo, i poveri, gli umili, sostiene il principio di una pedagogia del-l’amore come fine dell’educazione, retto dalla bontà, dedizione, comprensione e carità in opposizione alle divisioni classiste. Un’edu-cazione orientata a preparare la persona alla vita sociale tenendo conto di tre stati: lo stato di natura o di innocenza, lo stato di bontà sostenuta dalla formazione della virtù e dal carattere, la conquista di uno stato interiore di moralità e integrazione sociale. Principi che si raggiungono, sostiene il Pestalozzi, con una educazione familiare ad opera specialmente della madre e successivamente della scuola, con-dotta con un metodo didattico all’elaborazione dei dati ricavati dal diretto contatto con la natura e con le cose, da cui ricavare intuizioni di forma, numero, nome, e dare accesso al disegno, la geometria, la scrittura l’aritmetica, la lingua, e uno spontaneo sviluppo del pensie-ro. Esperienze fondamentali dalle quali tutto si dovrebbe alimentare spontaneamente fino a raggiungere un’efficace opera formativa. Nella scia pedagogica idealistico-romantica si svolge anche il pen-siero e l’opera educativa di Federico Froebel (1782-1852) pur con maggior organicità e determinatezza rispetto al Pestalozzi, dal quale trae significato la sua teoria e la metodologia dei giardini d’infanzia froebeliani; “giardini d’infanzia” in cui si ricollegano la corrente na-turalistica e idealistica. Secondo Froebel in ogni fanciullo c’è e si sviluppa un principio divino e la pedagogia deve secondare tale svi-luppo, più che prescrivere, determinare, intervenire. L’educazione deve perciò essere orientata alla liberazione della persona tenendo conto “dell’ottimo e il giusto” con cui si esprime, un idealismo che è alla base della riconosciuta importanza del lavoro dell’uomo al pari dell’operosità che si è manifestata in Dio nella creazione. L’im-portanza del lavoro nell’educazione dell’uomo si traduce per il bam-bino nel gioco, il gioco come mezzo fondamentale per l’educazione e l’istruzione dell’infanzia. Froebel che è stato il creatore dei così detti «giochi educativi» ha composto in un sistema ben preciso que-sto insegnamento basato sul gioco e ha pensato ad un insieme di giochi educativi che, secondo lui, potranno permettere al bambino di sviluppare delle attitudini funzionali fondamentali. Un metodo fun-

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zionale, attivo, in opposizione ai metodi istruttivi, che si basa sul gioco, sulla riconosciuta importanza allo stimolo che un oggetto in contatto con il bambino poteva avere sul bambino stesso, e sull’atti-vità motoria corporea, ciò che rende Froebel un precursore della psi-comotricità funzionale. Nella pedagogia di Froebel si vedono anche già abbozzate le idee di Piaget perché pensava che portare il bambi-no a utilizzare tutte le sue risorse riguardanti la sua motricità e la sensorialità gli avrebbe permesso poi di arrivare ad acquisizioni più astratte, cioè utilizzare un certo tipo di materiale scelto apposta per passare dal concreto all’astratto, permettere al bambino di partire dall’intelligenza sensorio-motoria all’intelligenza che Piaget ha de-finito delle operazioni concrete con la successiva rappresentazione mentale dell’azione da intraprendere su quel determinato oggetto. Froebel è stato perciò anche il precursore delle intuizioni che Piaget ha approfondito in seguito. In questo periodo si distinguono anche Albertina Necker de Saussure (1766-1841) e Padre Gregorio Girard (1765-1850), ciascuno apportando un proprio contributo integrando e portando all’opera di Rousseau un più stabile equilibrio e elimi-nando le sovrastrutture idealistiche del Pestalozzi. Il cammino stori-co della pedagogia ci porta in particolare ad incontrare G. F. Herbart (1776-1841), riconosciuto come il fondatore della pedagogia scien-tifica, un sistema organico di concetti intorno al fine e al metodo dell’educazione. Egli condanna la idealistica identificazione della pedagogia con la filosofia, considera priva di fondamento la pedago-gia puramente descrittiva del fatto educativo che ha offerto Rousseau o quella appagata dall’esperienza, la pedagogia empirica, e ancor meno quella pedagogia che si affida agli influssi sociali. Herbart, visitata la scuola condotta dal Pestalozzi, pur ammirandone i risulta-ti da lui ottenuti, sente comunque la necessità di colmare delle im-portanti lacune dando vita ad una pedagogia collegata all’etica, e indica il fine al quale deve mirare il processo formativo della perso-nalità dell’educando e alla psicologia che offre i mezzi di cui si deve valere il pedagogista per conseguire quel fine. All’autoeducazione antepone l’etero-educazione, attribuendo grandissima importanza all’opera del pedagogista così da definire l’istruzione più propria-mente istruzione educativa, capace di suscitare rappresentazioni e

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pensieri che abbiano valore per la formazione del carattere. Sostiene la teoria degli interessi, interesse di conoscenza, di partecipazione, simpatetico, che si riferisce alle gioie e ai dolori degli altri, interessi simultanei e armonici da cui derivano due conseguenze didattiche, la prima che l’insegnamento per essere efficace deve inserirsi nella se-rie di nozioni già possedute e fondersi con esse, la seconda, che il pedagogista deve cercare di destare sempre maggior interesse, rice-vendo e procurando un senso di piacere. Da queste premesse è sorta la didattica definita dei “gradi formali” a cui in tanti si sono riferiti prima dell’avvento dei metodi attivistici, e che consiste in un modo di procedere che è come una formalità (forma in senso filosofico) dell’atto didattico, da applicarsi (informare) all’insegnamento di qualsiasi materia. I “gradi formali”, richiedono chiarezza, delimita-zione e descrizione dell’oggetto nei suoi molteplici aspetti, associa-zione intesa come sintesi della molteplicità di elementi o aspetti, nell’unità dell’oggetto e la sua chiarificazione a mezzo di accosta-menti e comparazioni, sistema inteso come l’armonica fusione delle nuove cognizioni con il complesso delle nozioni già possedute, e il metodo, pieno e fruttuoso possesso delle nozioni, con capacità di pratiche applicazioni.

In questo stesso periodo in Italia, in campo pedagogico si assiste ad un grande risveglio con caratteri che vanno oltre i limiti del pro-blema scolastico-didattico per spingersi su aspetti teorici e pratici dell’educazione rivolta all’unificazione dell’Italia e alla formazione intellettuale, religiosa, morale e patriottica degli italiani. Di questo periodo storico della pedagogia sono importanti il Cuoco, Lambru-schini, Rosmini e Aporti, confusi con la contemporanea concezione del Positivismo pedagogico, della pedagogia scientifico-sperimen-tale, contrapposta al saper umanistico, con letture di autori quali lo Spencer (1820-1903) che ne ha la paternità e per l’Italia l’Ardigò (1828-1920), il Gabelli ed altri.

Concezione che si basa su un sapere strumentale di conoscenza certa dell’uomo e delle sue funzioni, che sacrifica l’autonomia della persona umana al meccanicismo, riduce la vita nei suoi aspetti indi-viduali e sociali ad “ingegneria sociale” e persegue una educazione tradotta in un rutinario addestramento.

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Pedagogia contemporaneaPositivismo e pedagogia sperimentale ci portano alle soglie dei

contributi dei pedagogisti contemporanei che, a seguito di una sele-zione, verranno evidenziati con dei tratti essenziali, adatti a produrre la distinzione e la validità dei principi sostenuti e degli orientamenti metodologici indicati.

Édouard Claparède (1873-1940), contemporaneo di Piaget, tra tante opere pedagogiche che ha scritto, ne «L’educazione funzionale» so-stiene la riconosciuta evoluzione dei bisogni in funzione dell’età del soggetto e le coesistenti necessità biologiche e sociali. Due teorie com-plementari, una che sostiene il principio che la società debba permette-re all’individuo di affermarsi in quanto persona e di avere il ruolo che gli compete, che è quello di essere cittadino di una società, concetto condiviso col Dewey, e l’altra il bisogno della persona di raggiungere il suo scopo. Un atto che se non è collegato ad un bisogno, secondo Claparède, è una cosa contro natura che la scuola tradizionale si osti-na ad ottenere dai suoi disgraziati allievi, far fare loro, dalla mattina alla sera e dal gennaio a dicembre, delle cose che non rispondono ad alcun bisogno e che si pensa di suscitarlo ricorrendo ad una serie di mezzi, punizioni, cattivi punti, ricompense, esami, minacce ecc., che hanno l’efficacia che ognuno conosce. Modelli educativi dimentichi che ogni atto deve essere sempre funzionale, cioè deve avere sempre come caratteristica quella di realizzare i fini capaci di far sviluppare il bisogno che lo ha fatto nascere. Ne deriva che l’educatore non potrà più essere un formatore di anime in senso tradizionale o, come molto spesso avviene, un trasmettitore di cognizioni con il proposito di sol-lecitare il più possibile l’avvento dell’età adulta o, più negativamente, un imbottitore di crani, ma dovrà essere uno stimolatore di interessi individuali che potranno essere inizialmente percettivi, poi glossici, quindi strutturati sui “perché”, fino agli interessi speciali ed obietti-vi. L’educazione funzionale si propone per questo come solida base scientifica per tutta la corrente della Scuola Attiva. Ciò spiega perché la corrente funzionalista ha respinto le concezioni behavioriste che hanno alimentato le strategie della pedagogia istruttiva, atomistica, che voleva vedere scomposte le nozioni da imparare, per sostenere la concezione di tipo globale che considera la persona nella sua unità. Il punto di vi-

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sta funzionale permette di stabilire leggi che esprimono delle relazioni costanti esistenti tra determinate forme di condotta e determinate situa-zioni. Tali leggi autorizzano delle deduzioni, delle applicazioni e sono concretamente utili. Per Claparède le leggi che regolano la condotta, quando la si consideri dal punto di vista funzionale, sono: • Legge del bisogno: enunciato sulla coordinazione fondamentale tra

il bisogno e le reazioni adatte alla sua soddisfazione; ogni bisogno tende a provocare le reazioni adatte a soddisfarlo.

• Legge dell’estensione della vita mentale: lo sviluppo della vita mentale è proporzionale alla differenza esistente tra i bisogni ed i mezzi per soddisfarli.

• Legge di anticipazione: ogni bisogno che, per la sua stessa natura, rischia di non poter essere immediatamente soddisfatto, si manife-sta anticipatamente (cioè prima che la vita sia in pericolo).

• Legge dell’interesse: ogni condotta è dettata da un interesse. Cioè ogni azione consiste nel raggiungere il fine che ci preme in un dato momento.

• Legge dell’interesse momentaneo: in ogni istante un organismo agisce seguendo la via del suo maggior interesse, o come viene esposta in una seconda formula: in ogni momento, è l’istinto che più preme, quello che sopravanza gli altri.

• Legge della riproduzione del simile: ogni bisogno tende a riprodur-re le reazioni (o situazioni) che gli sono state anteriormente giove-voli, a ripetere la condotta che è riuscita precedentemente in una simile circostanza.

• Legge del tentativo: quando la situazione è così nuova che non ri-chiama alcuna associazione di similitudine, o quando la ripetizione del simile è inefficace, il bisogno fa sviluppare una serie di reazioni di ricerca, reazioni di prove, di tentativi.

• Legge di compensazione: quando l’equilibrio rotto non può essere ristabilito da una reazione adeguata, esso è compensato da una rea-zione contraria alla reazione che suscita.

• Legge dell’autonomia funzionale: in ogni momento del suo svilup-po un essere animale costituisce un’unità funzionale, cioè le sue capacità di reazione sono appropriate ai suoi bisogni (1912 [tr. it. 1952, pp. 32-58]).

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John Dewey (1859-1952), maestro dell’attivismo americano, sostiene che il pensiero si esercita non fuori dell’azione, ma speri-mentalmente nell’azione stessa, attivismo è quindi sperimentalismo. L’opera educativa secondo Dewey, nega la pura teoreticità del pen-siero, rispettando lo sviluppo spontaneo del bambino deve svolgersi in concretezza di situazioni e in perfetta fusione di teoria e pratica. Egli ripudia la scuola puramente classica e teorica, e dà valore alla necessità del lavoro nella scuola, come occasione di educazionee sostanziale applicazione sperimentale del pensiero. La scuola deve rimanere aperta alla totalità delle esperienze, favorire la socializza-zione e sopprimere la differenziazione in indirizzi scolastici. La pe-dagogia sostanziarsi quindi di una rinuncia al despotismo antipsico-logico dei programmi, rispondere ai reali interessi dell’allievo e ad una maggiore connessione tra scuola e vita. La corrente funzionalista del Dewey persegue l’adattamento del soggetto all’ambiente socio-culturale che lo circonda mantenendo le sue proprie caratteristiche. Non una orientazione da confondersi con un certo condizionamento sociale bensì una concezione che dà la giusta importanza al ruolo dell’ambiente sociale e di adattarsi ad esso in maniera da permettere all’individuo di affermarsi nella società in quanto persona e permet-terle di avere il ruolo che le compete, quello di essere cittadino di una società. Non sfugge che la corrente funzionale si è sviluppata in opposizione alla corrente comportamentista di Watson e Skinner, emersa nello stesso periodo, e che sostanzia il criterio della pedago-gia istruttiva.

Rosa Agazzi (1866-1951), assieme alla sorella minore Carolina, ancor prima del Decroly e della Montessori fu una delle più grandi rinnovatrici dell’educazione infantile in senso attivistico. Nel 1892 istituì un Asilo modello in cui operò una geniale riforma pedagogica. Essa fu sostenuta da vivi interessi psicologici, biologici, e spiritua-li-religiosi che la guidarono al rispetto di impegni pedagogici e di-dattici, e nell’individuare valide risorse nell’ambiente. Per l’Agazzi il bambino è un essere attivo, stimolato nel suo intimo da forze che ne determinanolo sviluppo, perciò scopo dell’educazione è quello di promuovere il libero sviluppo di queste forze in un ambiente in cui egli si abitua ad operare da sé. Il nome di Asilo viene poi mutato in

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“Scuola materna” e ciò indica l’orientamento dello spirito educati-vo: «creare attorno al bambino un ambiente il quale s’accordi con la vita domestica e sociale, fonte inesauribile di mezzi educativi». La maestra assume il ruolo di madre che vive con i suoi bambini, in un ambiente che intende rispecchiare la vita familiare, il rispetto del-l’ordine, di pulizia, il senso di responsabilità personale e solidarietà collettiva. Il materiale didattico, che costituisce il «museo didatti-co» o «museo delle cianfrusaglie», è quello raccolto dalle tasche dei bambini, quindi semplice; cianfrusaglie che si potevano trovare dap-pertutto, come biglie, bottoni, chiodi, sassi... inserito in dei sacchetti o delle scatole, distinto per forma, materia dimensione, numero, e dato di volta in volta a ciascuno per fare enumerazioni, associazioni, comparazioni, classificazioni.... Degno di rilievo è anche il sistema dei contrassegni con cui si introduce l’apprendimento del nome o della cosa esposta, il gioco e l’educazione fisica, giochi di movimen-to con ritmi e canti, l’educazione igienica con il «regno dell’acqua», la vita operosa, con le occupazioni di casa, il giardinaggio, o «l’ar-te delle piccole mani», l’educazione intellettuale, lezioni di cose e esercizi di lingua parlata, l’educazione religiosa e morale, profon-damente sentita e sapientemente realizzata. Tutto mirabilmente fuso col naturale svolgersi giornaliero della vita del bambino.

Maria Montessori (1870-1952), è una grande rinnovatrice del-l’educazione infantile in senso attivistico. Anche lei, come il Decroly, giunge alla pedagogia dalla medicina, interessata all’educazione dei bambini ed in particolare dei bambini disabili. Impegnata ad aiutare i bambini disabili segue i metodi di Séguin e del Gonnelli-Cioni e si rende conto che non avevano nulla di specialee che sarebbero stati convenienti per tutti i bambini. Il metodo che ne scaturì venne rea-lizzato nella Casa dei bambini, una scuola da lei condotta, metodo seguito poi in tutto il mondo. Esso è esposto nell’opera “Il metodo della pedagogia scientifica applicata all’educazione infantile”, in cui mostra come i princìpi ispiratori siano quelli dell’attivismo, dell’au-toeducazione, della libertà e spontaneità di movimento, scoperta e rispondenza agli interessi. Essa volendo eliminare gli ostacoli che i bambini avrebbero potuto trovare nel loro sviluppo, crea un am-biente adatto alla loro statura, alle loro esigenze, sia per proporzioni,

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peso, colore dei mobili e degli oggetti, ariosità, spaziosità, lumino-sità, una casa che essi amano e in cui si trovano bene. Anche il ma-teriale didattico è inteso come necessario ai bambini per favorire la loro libera attività rendendo possibile la libera autocorrezione. Con questo orientamento metodologico la maestra-insegnante del passa-to diviene direttrice e lascia al piccolo la più ampia libertà pur stando vicina e se necessario aiutarlo ad valersi dell’ambiente.

Metodi e PianiNel richiamarci alla storia della pedagogia non può sfuggirci il

significativo bilancio degli ultimi tre quarti di secolo (dal 1890 ad oggi) in cui figura l’estensione dei metodi e dei piani, sostenuti dal-l’iniziativa, e dall’inventività di menti creative. Particolari metodi e piani la cui prospettiva di rinnovamento pone l’accento contro ogni concezione ristretta alla personalità individuale per più marcate istanze sociali e collaborative, contro il sovraccarico nozionistico e l’astrattismo libresco, la scuola omogena e livellatrice tesa a forme istruttive e disciplinari grigie e monotone, per dirigere lo slancio verso l’individualizzazione dell’insegnamento, la valorizzazione del capitale e della responsabilità personale. Metodi e piani convalidati dall’esperienza, cimentati con la realtà, capaci di poter continuare ad imprimere in misura della loro fecondità, diffusione e successo, e che adeguati ai nuovi problemi e nuove esigenze rispetto al passato e a una costante revisione, potranno essere sempre necessarie per nuovi problemi e nuove esigenze.

Metodo “I centri di interesse”Ovidio Decroly (1871-1932), è l’ispiratore del metodo “I centri

di interesse”, considerati capaci di mobilitare tutte le attività del-l’allievo in quanto latenti nell’individuo per le cose della natura e corrispondenti ai bisogni fondamentali del bambino, tra cui nutrirsi, difendersi dalle intemperie, dai nemici, di lavorare con gli altri, ripo-sarsi e ricrearsi. Su queste linee si deve articolare, secondo Decroly, tutto l’insegnamento che, invece di sostare su materie prestabilite, deve saper penetrare nell’esperienza dell’allievo e sviluppare i cor-rispondenti centri di interesse. Le materie e le lezioni sono chiamate

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a lasciare il postoad un apprendimento che procede attraverso espe-rienzedi osservazione, di associazione e di espressione, istruite sugli interessi vitali degli allievi: - Osservazione o educazione dei sensi. Consiste nell’entrare in con-

tatto con le cose reali, materiale vivo, come piante, animali...ma anche materiale inerte tra cui le cianfrusaglie, per comparare le cose fra loro, promuovere la comparazione e la classificazione, per somiglianza e quindi per differenza concreta degli oggetti, che por-tano naturalmente alla misura, all’idea di numeroe a far uso delle cifre che con gli anni serviranno di base al lavoro

- Associazione nel tempo e nello spazio. Essa comprende le nozioni acquisite oggi con quelle di ieri, quelle relative ad un dato ordine di fenomeni con altre affini o contrastanti, oltre che le nozioni di geografia e di storia

- Espressione, Consiste nel tradurre le nozioni apprese,sensazioni e idee , in atti, forme, toni, colori, parole, compreso il disegno, i la-vori manuali, la musica, il canto, la lettura e la scrittura.Tutti i rami insegnati nelle scuole elementari e che si ritrovano nel

programma vengono scelti da testi e da frasi in relazione con l’og-getto del centro di interesse e sono ben più adatti per creare qualche cosa di nuovo come si può leggere in un esempio sul tema del fred-doe sugli indumenti:Osservazione: Il vestito della bambola. Biancheria. Biancheria per-sonale. Lana. la pecora.il sarto. La sarta . Il cappello. Il berretto. Le scarpe. La pelliccia. Animali da pelliccia. Il vestiario e le stagioni. Indumenti fatti di altre materie. La moda. Come si conservano gli indumenti. Le tarme. Vestiario e mestiere. Il vestito degli animali e delle piante. Piante e animali che servono per il vestiario. Associazione nello spazio: Fogge tipiche di popoli stranieri. Da dove viene il cotone? E la lana? Associazione nel tempo: La moda attuale. La moda dei tempi delle mamme e delle nonne. La storia del vestiario.Calcolo: Durata e valore comparativo degli indumenti. Come si prendono le misure e come si confezionano gli abiti? Quante camice, quante sottoveste, ecc. si ricavano in tanti metri di stoffa?Espressione concreta: Disegno. Ritaglio da riviste e giornali. Compi-

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lazioni di album. Espressione astratta: Lessico e costruzioni di frasi. Composizioni spontanee. Morale: Cura del vestiario. Ragazzi poveri mal protetti.

Il Metodo è innovativo, consiste in qualcosa di radicale, Decroly rompe il cerchio della cultura oggettiva e intellettualistica e va di-ritto ai processi attraverso cui l’allievo, per le sue esigenze di vita, apprende.

Metodo dei “Progetti”William Heard Kilpatrick (1871-1965), dimostra la necessità di un totale rinnovamento della scuola, nei programmi e nei metodi, di mutare radicalmente i costumi di pensiero e di azione e sviluppare con ricchezza di particolari la tecnica didattica. Kilpatrick vuole che agli alunni venga assegnato, secondo la loro capacità un lavoro che egli chiama progetto e che per essere condotto a termine, richieda l’acquisto di particolari cognizioni che devono rientrare nell’ambito del programma scolastico.Il Kilpatrick distingue, rispetto al contenuto, quattro tipi di progetto:- Il producer’s-project, che ha lo scopo di produrre qualcosa, dalla

casetta di sabbia costruita dal bambino, un giocattolo... una pre-ghiera, non limitato perciò a cose fatte con le mani

- Il consumer’s-project, per il quale occorre, come per gli altri, un “proposito”, lo scopo non più di produrre ma di usare ciò che è sta-to prodotto da altri, come ad esempio un’escursione, un viaggio...

- Il problem-project, un problema che ci si deve prefiggere realmen-te di risolvere mandando realmente ad effetto il “proposito”, come ad es. lo studio di un monumento artistico, lo studio di certe situa-zioni periodiche di mercato, rilevamenti statistici.

- Il specific learning project o di apprendimento specifico, che ha lo scopo di acquistare e perfezionare una tecnica.Lo svolgimento di ciascun progetto si compie per tappe che com-

prendono intenzioni, preparazioni, esecuzioni, apprezzamento del lavoro compiuto, emira a suscitare o formare nell’allievo un interes-se verso le materie di apprendimento. Metodo genuinamente educa-tivo, una risposta al problema della formazione a cui reagisce con una attività profondamente sentita e intenzionale.

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Metodo “Scuola del lavoro”Georg Michael Kerschensteiner (1854-1932) è il creatore della

Scuola del lavoro con necessità e intenti di riforma dei metodi educa-tivi. Il Metodo si ispira ad una nuova visione del processo educativo, ad una diversa concezione della formazione dell’uomo che si vuole inserita in una determinata struttura di società ispirata ad una finalità etica e sociale di valore universale. La Scuola del lavoro è affermata come comunità sociale nella quale gli allievi vengono organizzati secondo un piano, o programma di lavoro scolastico intellettuale, morale e manuale. Lo scopo non è tanto l’acquisizione di una abilità pratica o formale particolare o l’apprendimento di un mestiere o pro-fessione, quanto la formazione della personalità degli allievi in tutte le sue manifestazioni. Nella comunità di lavoro, come la concepisce Kerschensteiner si esplica tutta intera l’attività degli alunni e alunne secondo la libera manifestazione di interessi, di tendenze e prefe-renze. Una scuola realmente attiva e produttiva che mira a formare concretamente la personalità morale sociale e professionale dei gio-vani, inseguendo il concetto di attività lavorativa come processo di educazione. Lo scopo della formazione ha un significato profondo, favorire lo sviluppo dell’orizzonte spirituale, prontezza e sensibilità a comprendere nuovi valori e di accrescerli, ciò che si può raggiun-gere, secondo Kerschensteiner, con un lavoro pedagogico efficace, con lo svolgere attività produttiva a servizio di un valore capace di riempire lo spirito. Maturazione e sviluppo si raggiungono attraverso il gioco spontaneo, il gioco regolato, il lavoro spontaneo e il lavo-ro pedagogico. Un carattere pregevole chiede di mettere alla prova quattro forze interiori: la forza di volontà, chiarezza di giudizio, fi-nezza di sentimento, e spirito di ricerca, qualità che vanno sviluppate in una atmosfera di libertà e di spontaneità organizzate in modo ar-monico e unitario che risponde all’interiore struttura spirituale.

L’applicazione delle idee per Kerschensteiner si concretizza in una scuola divisa in due bienni:- Nel biennio inferiore, dopo un primo periodo nel quale si parte dai

metodi montessoriani, si insegna a leggere e a scrivere secondo il metodo globale del Decroly e si avvia una applicazione del lavoro pedagogico con lavori in legno.

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- Nel biennio superiore il metodo diventa più completo, rivolgendosi intorno a sei punti fondamentali: insegnamento relativo al paese natale, disegno e lavoro manuale, calcolo; insegnamento lingui-stico; composizione; insegnamento religioso; ginnastica e canto; insegnamento del lavoro in legno. Tutti insegnamenti impartiti se-condo i principi della scuola attiva.L’insegnamento della lavorazione del legno richiede, avanti di

cominciare ogni nuovo esercizio, una spiegazione in cui vengono illustrati il materiale, la forma, lo scopo, come pure la composizione e la denominazione delle parti principali e secondarie dei modelli a mano. Prima di ogni processo di lavoro vengono spiegate le singole fasi, raccolta l’abilità nella misurazione, abilità meccanica e fami-liarità con le tecniche; alle ragazze viene richiesto di dedicarsi al ricamo maglieria ecc. Tutte tecniche lavorative che devono tradus-si in uno strumento di liberazione, di esplicazione delle iniziative dell’immaginazione giovanile. La disciplina interiore dello spirito, della volontà, un equilibrato controllo delle proprie abitudini della vita fisiologica, la coordinazione dei movimenti, la precisioni delle esecuzioni ci permettono di disporre nel modo migliore delle no-stre forze fisiche e psichiche,sono perciò il presupposto, il momento necessariamente precedente, condizione prima di qualunque attivi-tà creativa dell’uomo per la realizzazione delle nostre aspirazione e mete ideali.

Piano “Dalton”Elena Parkhurst (1887-1973) struttura il suo metodo nel tenta-

tivo di conciliare le esigenze della cultura intesa come patrimonio di sapere organizzato, tutelato dall’insegnante, con gli interessi in-dividuali, le curiosità, le tendenze e le capacità degli allievi, come pure per evitare il pericolo di arrecare danno al ragazzo per lo scarso rispetto nei suoi confronti anziché del vantaggio che la scuola si ri-promette. Il Piano Dalton, con l’impegno della Parkhurst, cerca di dare una risposta a tutte queste attenzioni facendo sì che program-ma, maestro e allievo trovino ciascuno il suo posto. Il principio che persegue è di fornire all’allievo l’occasione di imparare a studiare, e partendo dal presupposto che gli allievi per imparare a studiare si

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devono muovere a scuola con la stessa libertà con cui si muovono a casa, non si limita a proporre di individualizzare i singoli insegna-menti in modo da adattarli alla capacità dei singoli allievi, ma di per-mettere ad essi di applicarli liberamente alle singole discipline. Per questo la Parkhurst suddivide ogni materia del programma in dieci compiti mensili e istituisce il contratto, con cui l’allievo si impegna di eseguire uno di questi compiti per ciascuna materia nel tempo che ha a sua disposizione per quella materia in ciascun giorno. Poi-ché l’allievo può disporre liberamente del suo tempo, egli potrà per esempio dedicarsi un giorno intero o più giorni ad una data materia, e di curare le altre materie nei giorni seguenti. Se l’allievo non ha eseguito tutti i suoi compiti nel limite del mese, non può passare ad altri compiti, in modo che deve abituarsi ad organizzare il proprio tempo secondo la maggiore o minore difficoltà che incontra nello svolgimento delle singole materie. La scheda del contratto dell’al-lievo, distinta in quattro settimane, corrispondenti alla struttura del-le assegnazioni, mette l’allievo nelle condizioni di controllare egli stesso il suo cammino ed il lavoro che deve ancora compiere per corrispondere pienamente al suo impegno. Egli può aggiornare la sua scheda personalmente, solo però in seguito all’approvazione de-gli insegnanti. Il percorso di formazione può essere svolto lavorando individualmente o unendosi ai compagni che hanno predisposto un contratto analogo, tale attività collettiva viene privilegiata rispetto a quella individuale. Il Piano può essere seguito da allievi in età non inferiore ai 9 anni e la scuola invece di presentare un insieme di classi, presenta una serie di aule o laboratori destinati ciascuno ad un solo insegnamento, in cui l’alunno svolge il suo lavoro sotto la guida di un insegnante specializzato. Per misurare il ritmo di lavoro vengono utilizzati dei grafici di controllo. La scheda di laboratorio è dotazione dell’insegnate specializzato che ne ha una per ogni classe che frequenta il laboratorio, facilmente distinguibile per il diverso colore. Ogni volta che l’allievo ha compiuto il lavoro, l’insegnante traccia un trattino nella casella corrispondente alle unità di lavoro, in modo che può facilmente con un solo sguardo cogliere il progresso e il ritmo del singolo, e nello stesso tempo il progresso di tutta la clas-se in quella particolare disciplina. Tale lavoro viene poi graficamente

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rappresentato su una specie di tavola-diagramma, che ogni allievo tiene a sua disposizione, segnando progressivamente il lavoro com-piuto, a loro volta i maestri specializzati rappresentano su analoghi diagrammi lo sviluppo del lavoro degli allievi.

Piano di WinnetkaCarleton Wolsey Washburne (1889 - 1968) è l’ideatore del Piano

di Winnetka che a differenza di altri sistemi si fonda su basi rigoro-samente scientifiche proprie della pedagogia sperimentale. Il Pia-no tiene conto delle idee del Dewey sul carattere individualizzato e sociale dell’educazione e ne sperimenta il programma scolastico dividendolo in due parti:- Programma minimo, che comprende il così detto sapere strumen-

tale, ossia le conoscenze indispensabili, che devono essere uguali per tutti, tra cui la lettura, scrittura calcolo..., tale programma è estremamente individualizzato in modo non solo di adattarlo alle capacità dei singoli allievi, ma di risolvere l’apprendimento in una specie di autodidattismo. Washburne a tale scopo ha ideato un com-plesso sistema di auto controlli, tra cui quaderni chiave, quaderni controllo o test, questionari ecc., con controllo finale da parte del-l’insegnante, da permettere di seguire, con precisione scientifica, i progressi della preparazione e passare agli esercizi della classe successiva. In tal modo un allievo, pur restando nella sua classe può in un determinato momento e per una data materia cominciare già il lavoro della classe seguente, nella quale entrerà quando avrà superato i relativi controlli nelle altre materie. Allo scopo natural-mente la scuola, invece di presentare un insieme di classi presenta una serie di aule destinate a un solo insegnamento in cui l’alunno svolge ad ore fisse il suo lavoro sotto la vigilanza di un insegnan-te specializzato, che interviene solo quando gli venga richiesto o quando lo ritenga necessario. Il sistema offre il vantaggio di elimi-nare ogni forma di ripetenza e di rispettare la legge dello sviluppo biogenetico dell’allievo, comunque diverso da individuo a indivi-duo.

- Programma di sviluppo, che comprende le attività collettive e creative, ossia le attività e le materie che forniscono lo stimolo

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all’espansione e alla differenzzazione dei singoli allievi, musica, lavori manuali, giuochi... Tale programma vuole avere un carattere sociale e perciò viene svolto con un sistema che ricorda molto i “Progetti” di Kilpatrick.I progressi di ciascun alunno vengono registrati sul Registro dei

progressi che sostituisce la pagella tradizionale. Il Registro ogni sei settimane viene inviato alle famiglie, per informarle sulla situazione in cui si trovano i loro ragazzi nell’apprendimento di ciascuna mate-ria, registro che serve anche di guida per gli stessi insegnanti.

Il Washburne afferma che ogni allievo ha diritto alla salute fisica e mentale ed alla felicità e perciò deve vivere la sua vita spensierata e gioiosadi fanciullo, senza preoccupazioni e senza dolorose costrizio-ni. La scuola deve essere attraente, accogliente, ed aiutare i fanciulli a vivere una vita sana e piacevole. L’allievo ha bisogno di svilupparsi felicemente, di sentirsi protetto, di stare a proprio agio e di avere certezza di essere amato. Per raggiungere questi obiettivi la scuola deve collaborare, tenendo conto che nelle scuole progressiste scopo dell’insegnante è più quello di capire il bambino e rendergli la vita felice che non di riempirgli la testa di nozioni. Per questo motivo gli alunni non devono mai essere obbligati o sforzati a fare cose supe-riori alle loro possibilità.

Conoscere questi ed altri metodi pedagogici così come i principi e le azioni pedagogiche incontrate nel percorso storico, permette al pedagogisti di esporre il proprio pensiero sulle iniziative e modali-tà da seguire attualmente in tutti i contesti, e non solo quello della scuola, in cui si trova ad operare. Un personale contributo da cui trasparirà il dover tener conto del graduale sviluppo della persona, delle sue capacità, della necessaria relazione e il clima che deve sa-per promuovere e sviluppare nell’ambiente. La pedagogia è forma e organismo, con impronta di vitalità e con il potere di riuscire ad intessere percorsi in tutta la sua estensione che la vuole apprezzata come scienza dell’educazione dell’uomo.

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PEDAGOGISTA... IN AIUTO*

Il pedagogista ha sempre aiutato l’uomo a sviluppare le proprie potenzialità, superare difficoltà, acquisire conoscenze e competenze adatte per fronteggiare i problemi della vita. L’arte pedagogica nasce e si esprime contemporaneamente a quella medica, ambedue trovano le loro radici alle origini della civiltà e danno vita a professioni che maturano contestualmente alla presa di coscienza dell’importanza di “prendersi cura” dell’altro (Pesci, Pesci, 2005).

La storia della pedagogia, intesa come “guida” e “accompagna-mento”, può essere ricostruita partendo dalla scuola, dai diritti del fanciullo, dal sostegno e dall’aiuto che la persona in difficoltà poteva ricevere per mezzo di attenzioni educative. Il pedagogista in Italia si è trovato a dare risposte utili per la crescita di soggetti normali come anche dei diversi, ossia di coloro che a seconda dei periodi storici e delle relative culture la società ha definito “mostri” o “spiriti del male” (Pesci, 1977).

Nel XIV secolo alcuni pedagogisti italiani iniziarono ad impe-gnarsi a favore dei “sordomuti”, giudicati nel mondo antico individui inferiori, mentecatti e ineducabili perché incapaci di pensare e di apprendere (Cantagalli, 2000). Bartolo della Marca d’Ancona (1314-1357), in particolare, ipotizzò che i non udenti potessero essere edu-cati sia con il linguaggio articolato che con quello dei segni. In se-guito Girolamo Cardano (1501-1576) si disse convinto che si potesse insegnare ai sordi a comprendere leggendo e a parlare scrivendo.Anche in altre nazioni in questo periodo i pedagogisti intervengono

* Tratto da Pesci G., Bruni S., (2006). Il pedagogista. Innovazione e rivalutazione di un ruolo, Roma, Armando.

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in aiuto di questi soggetti, confermando così la possibilità di una loro educabilità.

Le iniziative per consentire ai sordomuti un’abilità comunicazio-nale adeguata si diffusero un po’ ovunque, prima in forma individua-le – per lo più con precettori privati – poi a più persone possibile. Gli educatori dediti al recupero dell’organizzazione e dell’espressione verbale erano molti; seguivano il metodo di Rodrigues Pereire che prevedeva l’uso della scrittura, del gesto e della dattilologia, o quello “mimico”, di Charles Michel de l’Epée detto Abbé de l’Epée, che si basava sulla comunicazione gestuale non trascurando però il valore della parola parlata. Questo metodo fu adottato anche dall’italiano Tommaso Silvestri il quale più tardi, in alternativa a l’Abbé de l’Epée, applicò e definì il principio della differenziazione didattica, esaltan-do il metodo orale, e scrisse il primo trattato italiano sull’educazione dei sordomuti, dal titolo Sulla maniera di far parlare e di istruire speditamente i sordomuti di nascita.

Intanto in Italia sorgevano nuove scuole, una a Roma, nel 1784, e un’altra a Napoli nel 1788, ambedue con il riconoscimento regio e con la sovvenzione dallo Stato. Più tardi, nel 1805, Ottavio Assarotti, un precursore che si dedicò lungamente al perfezionamento del metodo improntato sulla dattilologia sostenuta dalla mimica e dalla scrittura, fondò l’Istituto per sordomuti di Genova. Nello stesso anno venne aper-to un istituto per sordomuti a Milano, poi un altro a Modena (1821), quindi, ad opera di Tommaso Pendola, a Siena (1828). Più tardi ne fu-rono aperti altri, a Torino (1835), a Verona (1838) e a Palermo (1842).

Nel 1872 il Pendola fondò la rivista «L’ Educazione dei Sordomu-ti in Italia». L’ anno successivo, i maestri italiani dei sordomuti (Sie-na 1873), chiamati a Congresso, posero le basi della loro intesa, san-cita in seguito dal Congresso Internazionale di Milano (1880), dove venne definitivamente deciso il ripristino del metodo orale nelle scuole italiane per sordomuti, in quanto ritenuto il più efficace per rendere a questi soggetti una voce capace di comunicare.

Dal Novecento in Italia, l’impegno pedagogico a favore dei sor-domuti è ampio e la teoria e la pratica della surdopedagogia promuo-vono opportunità tali da soddisfare, assieme all’educazione lingui-stica, quella globale di queste persone.

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Nel passato era opinione comune che anche i ciechi non fossero suscettibili di educazione e di istruzione, ma i pedagogisti, specie a partire dal XVIII secolo si trovarono impegnati a definire anche per loro percorsi educativi utili al fine di garantire una vita di relazione (Pesci, Pesci, 2005, pp. 42-45). Sarà Valentino Haùy, ad aprire una scuola per ciechi a Parigi e, contemporaneamente, Rodolfo Klein ne fondò una a Vienna dotata di fondi statali. Due importanti punti di riferimento per i promotori di istituti per ciechi di tutto il mondo così come di quelli italiani.

In Italia i primi istituti per non vedenti si basarono infatti sulle metodologie di Haùy, il primo fu fondato a Napoli nel 1818, seguito da quelli di Padova (1838), di Milano (1840), Firenze (1868), Geno-va (1870) e Torino (1875). Nel 1876 a Roma venne aperto l’Ospizio Margherita con funzioni di ospedale oftalmico e scuola per gli edu-cabili.

In questo periodo molti pedagogisti italiani, tra cui l’Ansaldi, l’Armitage, l’Alessi, il Martuscelli, il Vignali, illustrarono la loro maturata esperienza in importanti opere.

Diversi periodici non mancarono di portare il loro contributo, ri-cordiamo in particolare «L’ amico dei ciechi», organo della Società Nazionale Margherita, «Il Patronato pei Ciechi» (Roma, Aracoeli), la «Rivista di Tiflologia e di igiene oculare» (Roma, Aracoeli). Con-temporaneamente furono fondate la Società degli Insegnanti Ciechi e la Società pro-cultura degli insegnanti ciechi e fu avviato a Napoli il Corso Magistrale di Tiflologia, orientato a fornire agli insegnanti una precisa conoscenza del cieco e della sua educabilità.

La tiflopedagogia divenne così un’educazione metodica capace di migliorare gli equilibri psico-emozionali e fornire abilità al cieco affinché potesse essere ben inserito nel mondo del lavoro.

Le risposte pedagogiche di aiuto alla persona hanno sempre di-mostrato la loro insostituibilità anche a favore di soggetti con diffi-coltà psichiche; una palese dimostrazione di questo si ebbe a partire dal XVII secolo, periodo in cui l’oscurantismo, la superstizione e l’atmosfera culturale consentivano di accusare di possessione demo-niaca, torturare e uccidere le persone vittime di handicap mentale, considerate “diverse”, stolte o “viziose”. Fu in queste situazioni di

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grande disagio che la filantropia dell’illuminismo trovò la sua gran-de esposizione in una pedagogia teorica e operativa intesa a prodiga-re cure e attenzioni con la convinzione e la certezza che ogni sogget-to in difficoltà fosse suscettibile di miglioramento. La carità privata grazie all’opera di abili precettori organizzò orfanotrofi, pensionati ed ospedali e diede prova della possibilità del reinserimento degli anormali e degli antisociali. L’Illuminismo suscitò ulteriori feconde iniziative di privati doviziosi e della Chiesa, nuove forme di assisten-za che diedero vita alle piaecausae per l’ospitalità degli abbandona-ti, la cura degli infermi, il ricovero di anziani e ad organismi di mu-tuo soccorso, confraternite, corporazioni, compagnie (Paisio, 1998).

Alla fine del Settecento, la fede nella scienza e nei lumi della ra-gione portò a una svolta nell’atteggiamento sociale verso gli handi-cappati, compresi quelli internati nei manicomi.

È a Philippe Pinel che, nominato direttore della Bicêtre, il più grande manicomio di Parigi, si deve un cambiamento radicale nel trattamento dei pazienti dei manicomi. Egli fu il primo a ritenere che questi ultimi erano persone normali, che dovevano essere avvicinate con compassione e comprensione e trattate con dignità, perché se-condo lui avevano perso la ragione in conseguenza di gravi problemi di ordine sociale e personale e pertanto potevano riacquistarla solo se sostenute con attenzioni adeguate. Due anni dopo essere stato nomi-nato direttore alla Bicêtre, Pinel prese servizio alla Salpêtrière dove compì con successo le stesse riforme, basate sul principio che una malattia morale esigesse un trattamento morale, consistente nel porre il paziente sotto l’influenza di un uomo che, in virtù delle sue qualità morali, fosse in grado di orientarne il corso dei pensieri e il compor-tamento. Questa persona di buona volontà, doveva poter guarire i pazzi con parole incoraggianti, con saggi consigli tratti dalle opere di antichi filosofi e con l’aiuto della musica; anche nei casi di delirio, il ragionamento avrebbe dovuto mitigare l’idea dominante. Il proposito era di scoprire la “chiave” del carattere tramite lo studio della tenden-za ad impedire che essa invadesse il campo della coscienza cercando di ristabilire così la felice armonia nella mente (De Groote, 1973).

Jean Etienne Dominique Esquirol, allievo preferito di Pinel, lo sostituì alla Salpêtriere e ne continuò l’operato con lo stesso spirito

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e zelo. Come il suo maestro, si dedicò allo studio delle passioni, in quanto causa di disordini intellettuali e morali, considerò l’impor-tanza di sottoporre i pazienti a forti emozioni per vincere le idee fisse, di interrompere le abitudini, eliminando così le cause di ecci-tamento alla base della loro condizione di alienati e di consigliare perfino dei viaggi. Una sua ulteriore convinzione era che anche un’occupazione manuale fosse importante e per questo furono create delle sartorie dove i “folli” passavano la giornata e stavano in com-pagnia.

Nei manicomi, a condividere il destino dei “folli”, c’erano anche gli idioti, più tardi definiti frenastenici. L’esperienza condotta da Jean-Marc Gaspard Itard con il ragazzo selvaggio dell’Aveyron, per-metterà di iniziare a capire le modalità idonee al loro recupero (Itard, 1970). Per Itard, Victor – questo era il nome che Itard diede all’en-fant sauvage che seguiva – era un ragazzino con manifestazioni di profondo ritardo, determinato dalla lunga permanenza isolata nei bo-schi, che poteva essere aiutato con un valido progetto educativo.

L’educazione che Itard impartì al suo allievo era di tipo sensoria-le, condotta con grande precisione e con costante inventiva, nell’in-tenzione di recuperare funzioni sensoriali attutite o deviate. Itard riuscì a sollecitare nel giovane Victor nuovi bisogni, a fargli fare pro-gressi negli apprendimenti ed a farlo divenire capace di slanci affet-tuosi.

A Edouard Séguin, pedagogista, collaboratore di Itard e suo suc-cessore, è riconosciuto comunemente l’aver sostanziato ulteriormen-te l’educazione degli “idioti” con metodi ampiamente provati dalle sue lunghe ricerche, condotte fino al 1850 a Parigi e poi negli Stati Uniti.

Gli “idioti”, afferma Séguin nel Traitement moral, hygiène et édu-cation des idiots et desautres enfants arriérés (1846) sono soggetti con «infermità del sistema nervoso che ha per effetto radicale quello di sottrarre tutti o parte degli organi e delle facoltà del bambino al-l’azione regolare della volontà e lo abbandona agli istinti sottraendo-lo al mondo morale» (trad. it. 1970). Egli studiò e sperimentò un metodo che, partendo da un’accurata diagnosi del soggetto, tendeva a riattivare, con rigorosa precisione ma anche con grande capacità di

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adattare gli interventi alle singole situazioni, i settori muscolare, neurologico, sensoriale, intellettivo e morale, senza perdere mai di vista la connessione fra di essi (Pioli, 1987).

Attraverso opportuni esercizi, una grande varietà di giochi educa-tivi da lui inventati e una collezione di oggetti chiamata “forcipi del-l’intelligenza”, Séguin provocava l’attivazione dell’apparato musco-lare e dei sensi per giungere a risvegliare l’intelligenza e ad esercita-re la volontà, un sistema di recupero che definì “educazione fisiolo-gica”, il cui obiettivo era quello di rendere l’insufficiente mentale più adeguato ad affrontare le situazioni esistenziali quotidiane.

Il metodo del Séguin seguiva il principio dell’educabilità: «Aspet-tando che la medicina guarisca gli idioti ho cominciato a farli parte-cipi del fatto di beneficiare della educazione», con un metodo che «ricerco in me stesso», mentre altri «prendono a prestito dalla scien-za bella e pronta nei libri».

L’intervento di aiuto pedagogico si sostanziava in gran parte di attività di gruppo per evitare all’allievo la ripetizione sterile dello stesso esercizio e mirava a sviluppare il potere, il sapere e, soprattut-to, il volere; un’educazione globale, dunque, per maturare tutti gli aspetti della personalità (Canevaro, 1993).

Mentre il Séguin gettava in Francia e negli Stati Uniti i semi di una pedagogia innovativa a favore dei soggetti in difficoltà, in Italia, Antonio Gonnelli-Cioni, antesignano della pedagogia ortofrenica, lottava contro i pregiudizi e l’emarginazione delle persone sfortunate e comprese l’importanza della loro educazione. Egli fondò il primo istituto italiano per frenastenici sostituendo questo termine a quello di “idioti” e dando così inizio all’opera del loro recupero e della loro integrazione nella società. Per frenastenici si intendono, diceva, «tut-ti coloro che manifestano uno stato di infermità congenita o acquisi-ta che ostacola lo sviluppo organico e funzionale» (cit. in Pesci, 1999).

Nel libro Il primo istituto italiano dei frenastenici (Gonnelli-Cio-ni, 1891), si legge che l’Istituto aveva lo scopo di “accogliere i fan-ciulli e i giovanetti che – affetti da imperfezioni intellettuali e comu-nemente chiamati idioti o imbecilli – non sono ammissibili nelle al-tre scuole od istituti; di compartir loro un’educazione ed istruzione

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adeguate alle forze intellettive, e di trarli così da uno stato miserevo-le, procurando loro un’esistenza meno disgraziata e meno gravosa per le famiglie alle quali appartengono”.

L’educazione degli allievi era basata essenzialmente sul metodo intuitivo-pratico-razionale e divisa in fisica, intellettuale e tecnica.

Il metodo di Gonnelli Cioni era individualizzato, predisposto in base alle capacità e potenzialità di ogni persona, realizzato attraverso attività rese divertenti, e quindi produttive, da sollecitazioni diverse. Queste comprendevano esercizi orientati a rendere il soggetto mag-giormente consapevole delle sue rappresentazioni motorie, a fargli conseguire capacità sensoriali nuove e a migliorare quelle di osser-vazione e di attenzione (Pesci, 1999).

L’intervento educativo personalizzato partiva dalla conoscenza di ogni allievo e si sviluppava secondo un progetto che considerava il modo di essere e di rappresentarsi di ciascuno. Per esempio per gli “inerti” e “torpidi” erano previste attività educative come saltare, correre, lanciare, battere, suonare ecc., gli “inquieti” ed “eccitabili” venivano sollecitati a camminare in maniera corretta, ad assumere una postura e mantenerla, a ordinare gli oggetti, ecc. L’educatore ad alta voce invitava ad eseguire le attività, che venivano svolte singo-larmente o in piccoli gruppi. Parlare era importante perché ogni al-lievo potesse essere incoraggiato alla conoscenza e al bisogno della parola ed indotto ad apprendere le norme.

Gonnelli-Cioni fu il precursore dei corsi sulla genitorialità, egli riteneva che la famiglia avesse un ruolo fondamentale nella preven-zione e nel recupero del disagio e sosteneva che solo partendo dal-la presa di coscienza delle preoccupazioni per le difficoltà che un soggetto frenastenico può creare all’interno del nucleo familiare è possibile individuare modalità di intervento di aiuto. Rivolgersi ai genitori, era per Gonnelli-Cioni l’unico modo per attuare un inter-vento preventivo ed educativo, necessario per evitare l’aggravarsidel problema e, al tempo stesso, per preparare le basi per un miglio-ramento.

Nel 1894 egli fondò la rivista «L’Ortofrenia» e ottenne dal Mini-stero della Pubblica Istruzione la libera docenza per aprire a Milano, la prima Scuola Ortofrenica, dando inizio al corso di ortofrenia, ri-

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volto a quegli insegnanti che intendevano intraprendere la carriera di educatori dei frenastenici. Questo corso anticipava le Scuole Magi-strali Ortofreniche, la prima delle quali fu fondata nel 1900 a Roma da Giuseppe Ferruccio Montesano e diretta da Maria Montessori.

Nella storia della pedagogia un posto importante spetta a Maria Montessori, medico e pedagogista, la quale si dedicò inizialmente alle ricerche per il recupero dei bambini frenastenici e per questo approfondì la conoscenza degli impegni operativi di Pinel, Itard, Sé-guin. Sicuramente conosceva anche le modalità di intervento del Gonnelli-Cioni e il suo orientamento a favore dell’educazione della famiglia e della specializzazione del personale insegnante.

Attraverso l’osservazione dei bambini “subnormali”, la Montes-sori era in grado di valutare come intervenire nella maniera più ido-nea e quando. Si rese conto che i livelli di sviluppo erano diversi per ogni bambino e che l’apprendimento migliore avveniva quando il bambino era pronto per apprendere. Per questo anche l’insegnante doveva a sua volta essere pronto e sempre attento ai segnali ricevuti, per presentare nuovi materiali educativi. La Montessori comprese altresì che il problema dei bambini frenastenici non era solo una que-stione medica, bensì aveva rilevanza sociale e soprattutto – specie dopo aver constatato che con il trattamento educativo si ottenevano maggiori risultati rispetto alle cure mediche tradizionali – pedagogi-ca. Ella adottò il metodo del Séguin, che prevedeva lo studio indivi-duale dell’allievo e mirava a riattivare abilità e disponibilità attraver-so l’educazione dei sensi. Poiché secondo lei i soggetti frenastenici, non potevano trarre beneficio dalla scuola comune, propose l’istitu-zione di classi aggiunte nelle scuole elementari e per i più gravi, suggerì la creazione di speciali istituti medico-pedagogici dove sa-rebbero stati seguiti da educatori con una preparazione adeguata, maturata nelle Scuole Magistrali Ortofreniche.

Dalla lettura delle lezioni di didattica tenute nella Scuola Magi-strale Ortofrenica di Roma nel 1900, si possono apprendere i princi-pi e il metodo definito dalla Montessori “medico-pedagogico” (1916, p. 639). Esso prevede attenzioni rivolte all’educazione igienica, al-l’importanza dei bagni considerati utili per sviluppare la sensibilità delle papille nervose, dare tono ai tessuti cellulari e muscolari, in

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particolar modo alla pelle, alle frizioni e al massaggio, all’alimenta-zione, alle escrezioni, all’educazione muscolare e dei sensi, alla grammatica e alle materie curriculari e all’educazione morale.

L’alimentazione è regolata da alcune norme: non dare nulla ai bambini fuori dei pasti, regolare il numero di questi ultimi, la quan-tità e la qualità dei cibi. I pasti inoltre devono essere seguiti sempre da un regolare “riposo intellettuale”. Una considerazione particolare viene rivolta alle escrezioni, le perdite involontarie di feci e di urine e viene indicato il modo per regolarizzarle.

Il massaggio è ritenuto molto importante, in quanto agisce in modo sorprendente sui muscoli degli arti, va a colpire le fibre mu-scolari nella loro intima struttura e le mette in movimento; regolariz-za la funzione muscolare facendo perdere l’eccessiva contrattilità o facendo acquistare quella mancante. I muscoli emaciati si rigenera-no; le masse muscolari si sviluppano rigogliose; mentre i tessuti grassi si riassorbono.

Ampio spazio viene dato all’educazione muscolare. La prepara-zione è mirata ad ottenere “l’immobilità tonica” del bambino, con la stazione eretta, la testa alta, gli occhi fissi in quelli del maestro. Da questa posizione, si chiede di passare agli esercizi “d’imitazione”.

A proposito del movimento vengono date indicazioni su come intervenire per favorire nel bambino la conoscenza di se stesso, mo-strandogli e facendogli toccare le varie parti del suo corpo, fino a giungere alla nozione di destra e sinistra. Si comincia dalle parti più grossolane: braccia, gambe, tronco, testa, per arrivare alle più fini: dita, falangi, organi dell’apparato orale, nominate nella educazione della mano e del linguaggio e che comprendono le esperienze di prensione. Seguono i movimenti coordinati relativi al camminare, correre, saltare, spingere con le braccia.

Tra gli altri impegni educativi la Montessori definisce come sti-molare i sensi del gusto e dell’olfatto, il senso cromatico e stereo-gnostico, la distinzione e l’associazione di colori, forme e dimensio-ni, intensità, timbro e altezze dei suoni.

Giochi specifici sono previsti per la preparazione alla lettura, al disegno, alla scrittura e all’aritmetica, senza trascurare nessun altra materia curriculare (ibidem, pp. 639-675).

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Come il Gonnelli-Cioni, anche la Montessori ci ha offerto alcuni riferimenti interessanti sulle abilità pedagogiche richieste agli edu-catori per essere capaci di attrarre l’attenzione del bambino deficien-te. A suo parere il maestro deve possedere un forte potere suggestivo, essere fisicamente bello, imponente, avere una voce limpida, modu-lata, un’articolazione della parola perfetta, uno sguardo potente, il gesto energico ed una mimica del volto espressiva. Cose che in gran parte possono essere acquisite studiando la mimica e la declamazio-ne, arti necessarie a un perfetto maestro di deficienti.

Un impegno pedagogico, quello montessoriano, il cui valore edu-cativo non ha confini, rivolto com’era ad aiutare la persona a seguire il proprio percorso evolutivo, a migliorarsi per una esistenza più equilibrata.

Un’altra straordinaria pedagogista è Jolanda Cervellati (1897-1966), sensibile ai problemi relativi all’opera di recupero delle per-sone in difficoltà.

La Cervellati era convinta della necessità di organizzare per il soggetto in condizioni di disagio psichico un ambiente rispondente alle sue necessità nel quale egli possa trovare stimoli per lo sviluppo delle sue potenzialità fisiche e mentali. L’ambiente deve favorire una attività intellettuale per mezzo dell’educazione dei sensi, dell’educa-zione motoria, di occupazioni pratiche, di esercizi spesso associati alla musica, capaci di coinvolgere varie parti del corpo. Ella conside-rava importante il rispetto della gradualità e dell’individualizzazione degli interventi, il ricorso ad attività aventi l’aspetto di giochi, la necessità di un’educazione ed un orientamento professionale da ade-guare alle capacità di ognuno. Non sfuggì alla Cervellati la necessità di un’educazione senso-motoria condotta con materiale sensoriale analitico al fine di realizzare il principio dell’autoeducazione, già sostenuto dalla Montessori. L’intervento di aiuto può, a suo parere, essere offerto da un educatore capace di accogliere la persona disa-giata affidatagli, correggerla e aiutarla, realizzando così una sorta di rigenerazione che la rende autonoma e in grado di partecipare alla vita sociale (Cervellati, 1936).

L’educatore, per la Cervellati, deve saper osservare, fornire al soggetto le stimolazioni (relative alla sensibilità e all’intelligenza)

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attraverso il contatto diretto con la realtà e l’uso di materiale adegua-to e, soprattutto, ed essere capace di umanità mostrando affetto nei confronti dei suoi bisogni.

La modalità educativa di Jolanda Cervellati è basata sulla cono-scenza del “caso”, possibile attraverso indicazioni di varia prove-nienza (rilievi somatici, valutazioni psicologiche). Il procedimento, graduale, si propone di stabilire delle basi sicure per l’apprendimen-to della lettura, scrittura, calcolo, attraverso l’educazione senso-per-cettiva, del linguaggio e della motricità, e con esercizi di “ortopedia mentale” destinati a correggere e a potenziare le funzioni più com-promesse. Particolare attenzione è attribuita a tutte le forme di edu-cazione sociale attraverso le attività pratiche e le esperienze di colla-borazione, che risultano finalizzate allo sviluppo della più ampia autonomia personale.

Si parte da uno studio del soggetto“irregolare”, ampliandolo con un’anamnesi remota (antecedenti familiari e personali) e un’indagine sull’ambiente in cui vive e sulle sue capacità. Quest’ultima si realizza attraverso l’esame morfologico relativo ai caratteri antropometrici e morfologici, l’esame fisiologico inerente le varie funzioni del corpo, l’esame dei sensi, delle varie forme del linguaggio, l’esame psicologi-co relativo ai vari sentimenti presenti nella persona, alla sua volontà e al suo carattere. A questa analisi segue l’osservazione diretta delle sue manifestazioni tipiche, tra cui: il modo di atteggiare il volto, di scara-bocchiare, di ridere, di camminare e di usare le mani, di ascoltare la musica, di giocare. Però prima di trarre qualsiasi indicazione di inter-vento, la Cervellati riteneva che fosse necessaria anche l’applicazione dei reattivi mentali attraverso i quali può essere stabilita l’età mentale. I test di cui faceva uso la pedagogista sono quelli del De Sanctis, del Binet e Simon, del Terman. Tutti i risultati venivano raccolti nella cartella biografica che costituiva la storia e il documento di persona-lità di ogni soggetto irregolare (Aliprandi, Beltrami, 1970). Solo dopo lo studio di questo si poteva pensare alla tecnica e al materiale idonei a soddisfare le esigenze di ognuno e per questo modificabili.

Il metodo della Cervellati prevede l’educazione motoria, l’educa-zione sensoriale, l’ortopedia mentale, l’avviamento alla scolarità e l’introduzione alla vita del lavoro.

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Lo stretto rapporto fra funzioni psichiche e condizione fisica gene-rale del soggetto, orientò la pedagogista a predisporre un trattamento correttivo che tenesse conto degli esercizi di equilibrio, di respirazio-ne, di ritmizzazione dell’emissione del fiato e di euritmia, importanti «per correggere anche certi tipi di balbuzie» (Cervellati, 1936).

La Cervellati era inoltre convinta che la normalizzazione della vita sensoriale fosse la base per un solido sviluppo intellettivo e quindi propose un’educazione sensoria con materiali ed esercizi ap-positamente preparati, volti a risvegliare ogni senso, utilizzati proce-dendo con lo stesso ordine «con cui il mondo esterno giunge all’io e si esprime attraverso tre elementi costitutivi: segno, suono, colore, captati dall’io per mezzo del tatto, l’udito e la vista» (ibidem).

Sempre in obbedienza al principio di un’azione pedagogica capace di suscitare interessi e stimolare la curiosità dell’individuo, la Cervellati incoraggiò l’attività di ortopedia mentale, il cui scopo è quello di miglio-rare il profilo psicologico esercitando le facoltà carenti, provocando fe-nomeni di compensazione, impegnando il soggetto con sforzi graduali; un’attività mirante dunque a incrementare la capacità ideativa e a realiz-zare associazioni di pensiero sempre più complesse, subordinate allo stato della memoria, la quale diviene oggetto di attenzione e di cura da parte del pedagogista, che per intensificarla ricorre a specifici esercizi.

Altre importanti attività furono predisposte per favorire nell’altro l’ac-quisizione dei vari rapporti di causalità, contiguità, strumentalità, somi-glianza, differenza. La ricerca di questi rapporti agevola la formazione del giudizio e l’articolarsi del ragionamento che viene ulteriormente stimola-to con materiale didattico specifico. Alla formazione dell’immagine tipi-ca, dell’astrazione e del giudizio segue l’apprendimento delle cognizioni astratte di spazio e tempo, con le quali si completa l’ortopedia mentale.

Anche le occupazioni scolastiche sono state oggetto di studio e di ricerca da parte della Cervellati, la quale ha saputo ben fronteggiare i problemi di quanti si trovavano in difficoltà nell’accedere agli ap-prendimenti. Gli interventi preventivi di avviamento alla scolarità si sono avvalsi del suggerimento di esercitazioni graduali per ciascuna materia, un periodo “preparatorio” all’apprendimento della lettura, della scrittura e dell’aritmetica, conferendo ai numeri perfino una loro fisionomia e una vitalità personificata.

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La pedagogista inquadra ogni disciplina scolastica in una visione unitaria che elimina le barriere nell’insegnamento; tutta la giornata trascorsa a scuola risulta sintesi armonica di attività strettamente col-legate fra loro, tra cui la musica e il canto, la danza, il disegno e il lavoro manuale. Strumentalità utili per affinare le sonorità espressi-ve, la pronuncia, e perciò ortofoniche, adatte per favorire l’organiz-zazione ritmo-respiratoria, una buona struttura ed espressione eurit-mica, facilitare le associazioni mentali e ravvivare la memoria.

Nel prendersi cura della persona in difficoltà, il pedagogista non ha mai trascurato i soggetti anormali nella condotta, i traviati e i de-linquenti, che in passato eranoconsiderati esseri puniti da Dio, stre-gati, indemoniati, mostri. Individui ritenuti pericolosi per sé e per gli altri e di pubblico scandalo che venivano ricoverati nei manicomi o in appositi istituti di isolamento e detenzione.

Al Majetti, giudice animato da intenti pedagogici dobbiamo l’apertura a Roma del primo Rifugio (11 novembre 1909) – ne aprì un secondo nel 1910 –, «unico nel suo genere e che di minorenni redimeva a centinaia! Strappati dall’ozio della cella», «luogo dove si va per sfuggire ai pericoli, un posto di pronto soccorso, dove vi pas-sarono tutti i piccoli malviventi della capitale» (Majetti, 1932, p. 79), con all’interno un laboratorio di giocattoli.Per il Majetti i “delin-quenti” hanno bisogno di ritrovare «le radici dell’ordine e della retta attività in un lavoro onesto, utile, sereno e soprattutto gioioso come è quello della creazione del giocattolo» (ibidem, p. 97).

Sull’esempio di quelli aperti dal Majetti, i rifugi furono sempre più numerosi e così anche i laboratori di educazione professionale, come si apprende da alcuni articoli di F. Mastrigli e I. Bastioni (1931; 1932).

Inoltre, per tentare il recupero pedagogico del delinquente al fine di “correggerlo ed emendarlo anziché punirlo” fu istituita una casa di correzione che non superava i 15 ricoverati: sistema famiglia, poi definita “Casa-Famiglia”.

Le esperienze fin qui richiamate evidenziano l’impegno costante e instancabile che il pedagogista ha sempre mostrato nei confronti delle persone in condizioni di disagio; un chiaro segno delle cono-scenze, abilità e disponibilità che debbono essere riconosciute a que-sto professionista.

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IL PEDAGOGISTA DIPENDENTEO LIBERO PROFESSIONISTA*

Il primo istituto per frenastenici (1891) aveva lo scopo di acco-gliere fanciulli e giovanetti affetti da imperfezioni intellettuali, co-munemente chiamati idioti, i quali venivano aiutati con un metodo che il Gonnelli-Cioni aveva ampiamente sperimentato e che aveva riscosso ampi consensi presso insigni medici psichiatri come il Lom-broso, il Fumaioli, il Morselli, il Buonuomo, il Verga, tutti favorevo-li a che questi soggetti, per il superamento delle loro difficoltà, fos-sero affidati all’educatore piuttosto che alle cure dell’alienista.

Lo stesso Verga nel suo studio Frenastenici ed imbecilli, sostene-va che il frenastenico non era di competenza del medico ma di chi poteva offrirgli un’educazione paziente e ben intesa. Anche il Gilfor-ti era dell’avviso che l’opera del pedagogista fosse insostituibile. Egli affermava che il medico «può dettare le regole dietetiche ed igieniche, mentre l’ufficio del pedagogista è tale che giornalmente e in ogni istante può esercitare la più salutare influenza su quei disgra-ziati, educandoli ed istruendoli può restituirli alla nobiltà della nostra specie» (Pesci, 1986a).

Il Gonnelli-Cioni dichiarava altresì apertamente di accettare e ri-cercare in certi casi la cooperazione del medico e dello specialista psichiatra, ma rifiutava che si dicesse che il buon andamento di un istituto per frenastenici fosse reso possibile solo dallo psichiatra alla direzione.

Della stessa opinione era anche il prof. Lucchini, specialista psi-chiatra presso l’istituto per frenastenici del Gonnelli-Cioni.È eviden-

* Tratto da Pesci G., Bruni S., (2006). Il pedagogista. Innovazione e rivalutazione di un ruolo, Roma, Armando.

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te che vi era una frattura fra gli stessi psichiatri anche se non fra quelli più illuminati e autorevoli che si erano già espressi unanime-mente a favore del pedagogista quale direttore di istituto per frena-stenici. Una lotta sotterranea, ma non troppo, per l’espansione del potere medico, che non si è fermata neppure di fronte alle lamentele del Vygotskij il quale affermava: «Un altro aspetto, anch’esso non meno deludente per un reale processo di integrazione, è quello di vedere gli addetti ai lavori conformarsi all’opinione comune che l’handicappato è un malato e ritenere di affrontare in termini rozza-mente organici, medici, i problemi pedagogici» (Pesci, 1986b).

Nonostante le critiche, i richiami in attenzione sull’importanza e la validità di una guida pedagogica, gli istituti che fino alla fine dell’Ot-tocento, in Europa, erano diretti da pedagogisti, vennero successiva-mente cooptati dai medici che ne assunsero la direzione e ne cambia-rono la denominazione in istituti medico-pedagogici. In essi però si sono distinti anche i pedagogisti che con il loro contributo educativo hanno dato prova dell’insostituibilità dell’operato pedagogico.

Gli istituti medico-pedagogiciNel 1899 furono fondati due istituti medico-pedagogici, uno in

San Giovanni in Persiceto, sotto il patrocinio dell’Associazione Emi-liana per la Protezione dei Fanciulli Deficienti, e l’altro a Firenze, con il nome di Istituto medico-pedagogico Umberto I, dove la vali-dità dell’impegno del pedagogista nei confronti dei frenastenici è stata ampiamente testimoniata.

L’Istituto medico-pedagogico di San Giovanni in Persiceto, tra-sferito a Bertalia nel 1902, era destinato alla cura e all’educazione dei fanciulli deficienti o tardivi nello sviluppo mentale (affetti da idiotismo, imbecillità, semplicità di spirito, epilessia ecc) e di quelli che, per condizioni congenite anormali della loro mente, non poteva-no essere educati nelle scuole e nei collegi comuni.

I limiti ordinari d’età per l’ammissione a questo istituto la perma-nenza in esso erano dai 5 ai 16 anni e di età o più se si trattava di frenastenici “suscettibili di una qualche cura ed educazione”.

L’istituto era fornito di scuole speciali, officine e laboratori d’arti e mestieri, un impianto agricolo, una palestra con apparecchi di gin-

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nastica medica ed ortopedica, una sezione idroterapica, gabinetti di massoterapia ed elettroterapia, oltre che di tutti i mezzi necessari “per l’esame antropologico, psichico e clinico”.Vi erano poi ambienti per ricreazione, teatro, sale per musica, giardini per passeggio e giochi all’aperto, refettori e dormitori in comune e a camere separate.

Ferrari riteneva inoltre che, superata la terza classe elementare, i soggetti dovessero trovare accesso nell’agricoltura, nel giardinaggio e nell’impiego industriale. Anche le bambine potevano, a suo parere, essere educate ad un lavoro utile come condurre a termine la lavora-zione della canapa, iniziata dai maschi, cioè filare, tessere, far le cal-ze, rammendare, cucire, oltre a mille piccole industrie, come quella di fare le scarpe di cimosa e con le suole di corda.

Nel 1911 l’istituto di Bertalia prese il nome di Istituto medico-pedagogico emiliano e in una pubblicazione dal titolo Programma, si ha conferma che alla direzione vi era un medico e che nell’area pedagogica agivano specialisti con abilità di osservazione, in ortofo-nia, per la correzione dei difetti del linguaggio, in lavori manuali, in educazione fisica, del canto e della musica, in lezioni collettive ed individuali. Questi operatori appositamente specializzati provvede-vano, sotto la guida della direzione, a svolgere visite e stilare relazio-ni, oltre ad intervenire con metodi e sistemi particolarmente adatti per i soggetti che venivano loro affidati, evitando di costringerli a fatiche fisiche o intellettuali.

L’Istituto medico-pedagogico Umberto I di Firenze, voluto nel 1899 da Eugenio Modigliano, pediatra fiorentino, eretto in Ente Mo-rale nel 1910 e convenzionato nel 1934 con il Ministero della Pubbli-ca Istruzione accoglieva sia anormali psichici esterni che quelli già presenti nel reparto pedagogico dell’ospedale psichiatrico. Era spe-cializzato per la cura, l’educazione, l’istruzione scolastica, l’appren-distato di fanciulli insufficienti mentali e caratteriali “recuperabili”.

L’ammissione era subordinata alla età, alla curabilità, alla scola-rizzabilità; non venivano comunque ammessi fanciulli “affetti” da deformità fisiche rilevanti, e neppure da lesioni neurologiche «che impediscano una autonoma esplicazione di normali attività e richie-dano particolare assistenza». L’età di ammissione era compresa fra i 4 e i 12 anni, salvo deroghe per esclusivi criteri medico-pedagogici.

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L’istituto disponeva di una direzione medica e di due servizi, uno psicologico e uno pedagogico.

In stretto collegamento con l’Istituto medico-pedagogico Umber-to I, dal 1925, seconda in Italia, era attiva la Scuola Magistrale Orto-frenica di Firenze che aveva il compito di preparare gli insegnanti che intendevano dedicarsi alla educazione dei fanciulli anormali psi-chici, e forniva un diploma di specializzazione ortofrenica che auto-rizzava all’insegnamento in classi differenziali e in scuole speciali.

Più tardi fu aperto l’Istituto medico-pedagogico “Stella Maris” di Calambrone (PI), inizialmente privato, poi riconosciuto mediante una convenzione-statuto dalle Cliniche delle Malattie Nervose e Mentali e Pediatrica della Università di Pisa e dall’Opera Diocesana di Assistenza di San Miniato (PI). Era un internato per il recupero degli insufficienti mentali che accoglieva circa 200 bambini e adole-scenti ed aveva una sede distaccata per l’addestramento professiona-le a Montalto di Faglia (PI). Nella sede di Calambrone operava anche un centro medico-psico-pedagogico con compiti di consulenza sco-lastica provinciale e svolgeva in esternato terapie del linguaggio e della psicomotricità per la riabilitazione dei disturbi neurofunzionali in vari settori.

L’istituto “Stella Maris” era sede di una Scuola Magistrale Orto-frenica autorizzata dal Ministero della Pubblica Istruzione. Fece pro-prio, fin dalla sua fondazione, il principio del lavoro in équipe tra vari specialisti compreso il pedagogista, affiancati strettamente, con inte-se comuni per un’opera paziente e prolungata, rivolta «a ridare la luce dello spirito a quanti si trovano in difficoltà» (Pfanneret alii, 1964). La direzione, sebbene medica, si è sempre dimostrata disponibile ad accogliere i nuovi orizzonti aperti della neurofisiologia, della psico-dinamica e delle nuove tecniche pedagogiche di recupero scientifica-mente provate. Un intento perseguito con la pubblicazione dei «Qua-derni» dell’istituto, il cui primo numero, a firma dei neuropsichiatri P. Pfanner e M. Marcheschi e del pedagogista Mario Brotini, dal titolo Il recupero dell’insufficiente mentale, fu pubblicato nel 1964, e della rivista, uscita nella primavera del 1972, «Rassegna Ortopedagogica», diretta da S. R. Catalano, in cui non mancavano importanti contributi scientifici dei pedagogisti impegnati in varie strutture.

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Gli istituti medico-psico-pedagogiciQuarant’anni dopo la fondazione degli istituti medico-pedagogici

sorsero gli istituti medico-psico-pedagogici caratterizzati anch’essi dalla presenza del pedagogista. Fra i tanti, situati in aree geografiche diverse, ma similari nella conduzione di aiuto ai soggetti ospiti, ri-cordiamo quelli di Ostuni e di Sarsina.

L’Istituto medico-psico-pedagogico “Villa Nazareth” di Ostuni era una istituzione privata fondata nel 1958, per l’osservazione, la diagnosi e il trattamento di minori caratteriali con disturbi nella strut-tura intima della personalità e comportamento anormale.

L’istituto curava i rapporti con l’Ente e con la famiglia informan-doli mediante relazioni trimestrali e globali a fine anno sull’anda-mento del trattamento pedagogico applicato al minore. Il programma veniva stabilito di volta in volta dall’équipe specialistica, durante le sedute di sintesi e le sedute periodiche psico-pedagogiche. Problemi pedagogici, didattici ed esperienze quotidiane venivano discussi tra insegnanti e pedagogista in gruppi di studio quotidiani.

I minori giornalmente si applicavano alle attività manuali ed era-no guidati gradualmente alla produzione rifinita di oggetti di rafia, mosaico, truciolato, ferro, corda, collage, traforo, das, rame, ecc. I ragazzi più grandi, secondo le esigenze, venivano avviati in botteghe artigianali della città.

L’istituto prevedeva attività ricreative ed esperienze sportive gra-zie a vari impianti.

“Villa Nazareth” si distingueva per l’organizzazione degli ospiti in gruppi-famiglia, ognuno dei quali aveva il suo appartamento ed era seguito da un’insegnante specializzata. I gruppi-famiglia garanti-vano lo sviluppo dei rapporti affettivi, offrivano opportunità proposi-tive, fino a concordare e a prendere decisioni comuni nel program-mare alcuni spazi della giornata.

Dell’Istituto medico-psico-pedagogico di Sarsina parla Antonio Cialabrini in un lavoro dal titolo Obiettivo: una problematica peda-gogica per la comunità (1974). Gli ospiti dell’istituto erano 60 ra-gazzi dai 6 ai 14 anni, orfani di padre o di madre provenienti da di-verse parti d’Italia, assistiti dall’ENAOLI (Ente Nazionale Assisten-za Orfani Lavoratori Italiani).

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Lo staff educativo era composto da sei educatori, cinque assegna-ti ai gruppi-famiglia ed un turnista, e da un coordinatore del tempo libero con compiti di preparazione delle cosiddette attività del tempo libero. In totale sette persone (quattro ragazze e tre ragazzi) coordi-nate dall’équipe formata dal direttore, con compiti prevalentemente di coordinamento generale e di amministrazione, da un ortopedago-gista, da uno psicologo e da un assistente sociale che coadiuvava il direttore nel settore delle attività interne ed in quello dei rapporti con le famiglie.

All’interno dell’istituto operavano anche cinque insegnanti ele-mentari titolari delle cinque classi “differenziali” presenti nella strut-tura stessa dell’istituto. A questo personale si aggiungeva quello ausi-liario. Il nucleo chiave anche di questo istituto era il gruppo-famiglia, composto da una decina di ragazzi, da un educatore e da una collabo-ratrice. Ogni gruppo mangiava, giocava, studiava ed era autonomo.

L’ortopedagogista in questo contesto si inserì a partire dal settem-bre 1970 e la direzione gli lasciò “carta bianca” per tutto il settore pedagogico.

L’esperienza che Cialabrini narra nel suo saggio ci è parsa estre-mamente significativa ed abbiamo ritenuto indispensabile riportarne alcuni stralci che assai bene evidenziano l’importante compito spe-cialistico del pedagogista in queste strutture rivolte ad aiutare sog-getti in difficoltà.

Importanti ai fini della ristrutturazione della vita dell’istituto fu-rono alcune condizioni operative, quali includere nelle diverse attivi-tà, da svolgere in luoghi differenti, una gamma di varianti più ampia possibile, garantire una effettiva possibilità di scelta al singolo ed ai gruppi, evitare un susseguirsi ciclico e perciò monotono delle attivi-tà, nonché giochetti pregni di infantilismo per attività realmente in-teressanti, rispettare pienamente i tempi e i modi di attuazione prati-ca senza che l’adulto dovesse mai sostituirsi al ragazzo.

All’ortopedagogista venne data anche l’opportunità di offrire un’impostazione nuova a quelle che erano definite classi “differen-ziali” all’interno dell’istituto.

Tale impostazione verteva su due punti. Il primo considerava la scuola stessa uno dei fattori del processo di “crescita”, alla pari con

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tanti altri, per cui non doveva esservi assolutamente predominanza di argomenti scolari all’interno della vita dell’istituzione, anzi, doveva-no essere le attività svolte durante la giornata a stimolare il momento scuola e a fornirgli anche gli strumenti didattici opportuni per realiz-zare dei normali programmi d’istruzione di base, ma attraverso una vera e propria didattica del concreto.

Il secondo punto riguardava il coinvolgimento della direzione di-dattica e degli insegnanti nella dinamica della vita dell’istituto.

Fra i contributi pedagogici l’atto più significativo è stato l’aboli-zione del termine “differenziale” per dare spazio a stimoli in cui tut-te le tipiche attività scolari potessero ritrovarsi, svilupparsi, ampliar-si, senza cadere nel mnemonico puro, nell’astratto e nel noioso ripe-titivo.

Uno dei temi fondamentali affrontati nelle ipotesi programmati-che dell’ortopedagogista è stato quello delle famiglie. Si riteneva infatti giusto che fossero coinvolte nel processo educativo. A questo scopo si diede inizio a uno scambio epistolare che permetteva una comunicazione continua fra ragazzi, famiglie ed educatori. Venne favorito il rientro dei ragazzi in famiglia per il fine settimana e per tutte le festività scolastiche e furono incoraggiate il più possibile le visite dei genitori in istituto; un modo, questo, per colmare le caren-ze affettive.

Cialabrini scrive che l’istituto doveva essere inteso come un “ser-vizio aperto” alla comunità (quartiere-paese-comprensorio territo-riale), servizio autentico da esplicarsi nella libertà e nel rispetto della personalità dell’individuo, del suo contesto socio-culturale e dei suoi tempi di maturazione bio-psichica.

All’educatore veniva riconosciuta una preparazione professionale e non di badante, un’etica professionale paragonabile benissimo a quella del medico con il vincolo del segreto professionale e del dover “far crescere” il fanciullo usando tutti i mezzi che la scienza in gene-rale, e le scienze dell’educazione in particolare, potevano offrire.

I fini della pedagogia, contrari ad una tendenza socio-psicologica volta alla cura di turbe d’ordine psichico, motorio, socio-affettivo o sensoriale, considerate quali singole unità, sono quelli di strutturare metodologie che, con vigore, si rivolgono alla complessità della per-

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sonalità. Una prospettiva pedagogica che scaturisce da un’analisi metodologica degli aspetti soggettivi ed oggettivi, storici e culturali della persona, superando la parzialità di particolari sistemi.

I pedagogisti negli istituti assistenzialiUn’esperienza educativa alla direzione di un istituto assistenziale

viene illustrata dal pedagogista Riccardo Massa in un lavoro dal tito-lo Pedagogia extrascolastica e istituzioni assistenziali (1974).

Il suo è stato un impegno professionale condotto a convenzione con la mansione di direttore presso l’Ospizio dei Poveri di Vercelli, un Ente autonomo, che ospitava un centinaio di soggetti di ambo i sessi dai 6 ai 24 anni, in precarie condizioni economiche e familiari. L’intento era quello di modificare dall’interno una istituzione totale con esperienze che avessero una significatività pedagogica rilevante, contro una tradizione assistenziale o addirittura predickensiana, dal momento che affondava le sue radici in pieno Settecento.

Gli utenti non erano più soltanto ed esclusivamente poveri, ma anche orfani, rifiutati, illegittimi, appartenenti a famiglie con una gravissima situazione culturale, dedite alla prostituzione, disgregate e ricostituite senza alcuna collocazione giuridica. Non erano presen-ti soggetti con gravi handicap fisici e mentali.

Nonostante i condizionamenti dovuti all’organizzazione burocra-tica e politica, la direzione pedagogica, con l’appoggio del Comitato e la disponibilità degli educatori, ha avviato un autentico rinnova-mento. Una gestione il cui orientamento pedagogico alternativo ha permesso di trasformare una istituzione totale in una comunità edu-cativa fondata su un rapporto empatico e identificatorio, su un lin-guaggio delle cose concrete esigente e prospettico, su uno stile di lavoro e di avventura, su un esercizio liberante della propria corpo-reità, su una organizzazione comunitaria e responsabilizzante, su una apertura politicizzata alla dinamica sociale, su un inserimento attivo nella cultura giovanile attuale.

L’attivazione di occasioni stimolanti e gratificanti, un atteggia-mento di animazione educativa intenzionalmente sistematica, un tipo di rapporto educativo improntato al rispetto della persona e all’accet-tazione delle esigenze ha ricreato una nuova atmosfera attivistica, in

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un clima di ampia autonomia. La riorganizzazione dell’internato, tradizionalmente passivo, si è basata su principi educativi che hanno tenuto conto di un riassetto ambientale domestico e casalingo in modo da promuovere l’identificazione interpersonale e l’intimità so-cializzante, l’identità individuale, un tono di familiarità comunitaria e di appagamento materiale, il gusto estetico e la libera iniziativa.

Le esperienze educative, positivamente verificate, sono state rite-nute assai significative poiché hanno consentito la sperimentazione di metodologie e di organizzazioni educative intese come azione po-litica capace di inverare socialmente il lavoro politico, nonché capa-ci di fondare un processo educativo qualitativamente motivazionale, in grado di contribuire a propri caratteri innovativi. Fenomeni, que-sti, molto rilevanti, che convergono nella necessità sociale di pro-muovere interventi educativi basati sulla animazione pedagogica, autonomamente politicizzata, di comunità educative aperte in reale situazione di prassi e in contatto vitale con la cultura giovanile con-temporanea.

Il crollo del sistema assistenziale tradizionale, secondo il Massa, ha posto il problema pedagogico delle soluzioni organizzative e me-todologiche con cui soddisfare i bisogni sociali, favorendo la consa-pevolezza che le soluzioni come quelle dell’affidamento e dell’ado-zione speciale non risultano soddisfacenti.

Un’altra questione pedagogica si pone a proposito dell’analisi so-ciologica delle istituzioni totali e della legittimità politica e pedago-gica di soluzioni collettivistiche non emarginanti, ma anzi autentica-mente liberanti e decondizionanti del processo educativo. L’internato stigmatizzante e l’individualismo massificato della scuola normale, dovrebbero trasformarsi in una animazione pedagogica unitaria di comunità educative aperte.

Le esigenze educative attuali suggeriscono inoltre una chiara con-vergenza del loro soddisfacimento, non solo in determinate soluzioni metodologiche e organizzative, ma anche nella figura di un educato-re che deve gestirle e in un particolare tipo di staff educativo. Da qui il problema pedagogico, e come sempre anche politico ed economi-co, di situazioni e di programmazioni educative che comportino l’ac-quisizione sociale e professionale di un simile ruolo specialistico e lo

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istituiscano nella concretezza delle sue mansioni, del suo status e delle sue aspettative.

Gli istituti medico-pedagogici provinciali Negli anni 1961-1962 vennero aperti in Italia molti istituti medi-

co-pedagogici provinciali per accogliere i bambini che si trovavano nei reparti per minori degli ospedali neuropsichiatrici, uno fra questi era l’Istituto medico-pedagogico provinciale di Firenze, diretto dalla professoressa Virginia Giliberti Tincolini, medico, affiancata in se-guito dal dottor Edo Bonistalli, un pedagogista specialista (ortopeda-gogista) chiamato a coordinare gli interventi di recupero condotti dai vari operatori pedagogici, come accadeva in vari altri istituti provin-ciali sorti in tutta Italia.

In quegli stessi anni le Amministrazioni Provinciali si rivolgevano agli specialisti, tra cui i pedagogisti, per trovare soluzioni agli inter-venti di addestramento professionale e al lavoro protetto dei minora-ti fisici e psichici.

Il lavoro interdisciplinare intrapreso negli istituti medico-pedagogi-ci provinciali in cui era presente il pedagogista, è stato molto significa-tivo e proficuo, come confermano anche i tanti contributi, frutto della collaborazione di medici e pedagogisti, pubblicati in riviste specializ-zate o negli “Atti” di importanti congressi nazionali ed internazionali.

In questi anni anche gli istituti di Pedagogia delle Università si proponevano per lavori interdisciplinari importanti, come l’Istituto di Pedagogia dell’Università e Ospedali Riuniti di Firenze (Bonistal-liet al., 1971).

I pedagogisti responsabili dei centri di recupero e di riabilitazione Dal 1972 – anno della loro istituzione – i centri di recupero e di

riabilitazione privati, sovvenzionati con il contributo delle ammini-strazioni pubbliche, sono sorti ovunque. Si tratta di istituzioni in gran parte ancora attive e operative, presso le quali il pedagogista è ampia-mente presente, sia come dipendente che a convenzione o in veste di specialista esterno chiamato a formare gli operatori delle strutture.

Tra i tanti centri ricordiamo in particolare quelli gestiti dall’AIAS, dall’ODA, dall’ANFFAS e dai Comuni. Una menzione a parte merita

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il Centro Ortopedagogico Sperimentale delle Volte Basse, programma-to dalla Commissione Provinciale sugli “Interventi a favore degli Han-dicappati”, costituitasi nel 1970, il cui onere è sostenuto dal Comune di Siena, dall’Amministrazione Provinciale e dall’ospedale regionale. Il centro, inaugurato il 7 luglio 1973, ha suscitato subito grande inte-resse nell’opinione pubblica e ha ottenuto ampi spazi sui quotidiani anche perché la direzione è stata affidata ad un pedagogista (Realizzato a Volte Basse il centro ortopedagogico, «La Nazione», Cronaca di Sie-na, 7 luglio 1973; Il centro ortopedagogico affronta il problema degli “svantaggiati”, «La Nazione», Cronaca di Siena, 10 luglio 1973).

Il pedagogista dipendente delle Amministrazioni Locali Il pedagogista con la sua professionalità ha, come si è avuto modo

di evidenziare, sempre occupato ruoli importanti all’interno di struttu-re educative, rieducative e riabilitative come gli istituti medico-peda-gogici o medico-psico-pedagogici. Ha assunto la direzione di istituti assistenziali, è stato chiamato come specialista a convenzione nei cen-tri di recupero e addestramento, incaricato a prestazione presso enti pubblici come i Comuni, enti privati e come libero professionista.

A partire dagli anni Settanta, un chiaro segno della rilevanza sem-pre più ampia di questa figura professionale ci viene offerto dalle Amministrazioni Locali, che hanno iniziato a bandire concorsi esclu-sivi per la copertura di posti di “dirigente della sezione scuola e cul-tura” per chi era in possesso della laurea in pedagogia, come si legge nella delibera del Consiglio Comunale del Comune di Castelfioren-tino (FI), del giorno 7 dicembre 1972, dal cui bando si apprende che la prova scritta si basava sulle seguenti materie: «Storia della peda-gogia, Tecniche educative, Metodologia e didattica».

Da allora i Comuni hanno continuato a prevedere il pedagogista nelle varie équipe di lavoro e come coordinatore dei servizi educativi.

I pedagogisti nelle Commissioni medico-psico-pedagogiche dei Comuni

Dalla metà degli anni Sessanta i pedagogisti presenti nelle Com-missioni medico-psico-pedagogiche dei Comuni sono sempre più numerosi e guadagnano ampi riconoscimenti. Ricordiamo in parti-

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colare la Commissione medico-psico-pedagogica per “il controllo dei ragazzi delle scuole pubbliche e degli istituti di ricovero”, com-posta da un neuropsichiatra infantile, uno psicologo, un pedagogista, un assistente sociale, istituita con delibera del Consiglio Comunale di Prato (n. 715-dicembre 1967). La Commissione iniziò la propria attività nel settembre 1968 e, in seguito al moltiplicarsi di richieste di intervento da parte del sociale, nell’aprile del 1970 si rese neces-saria un’ulteriore delibera per incrementare le ore di presenza degli specialisti, impegnati insieme in una costante lotta contro ciò che provocava l’insorgere di condizioni patologiche e disadattanti per la salute fisica e psichica dell’individuo.

Ai membri dell’èquipe, che svolgevano l’attività di selezione de-gli alunni con ipodotazione da avviare alle classi differenziali, era consentito anche di prestare un’assistenza medico-psico-pedagogica ai soggetti bisognosi di interventi speciali nell’ambito della scuola normale. La Commissione, in seguito, si è mossa su linee di attività di un servizio rivolto alla prevenzione, alla diagnosi e al trattamento dalla nascita all’adolescenza, arginando l’esclusione e la selezione.

Il pedagogista libero professionistaNella diffusione della libera professione, fin dai primi anni Set-

tanta, hanno avuto un ruolo importante i pedagogisti Edo Bonistalli, Anna Pesci e Guido Pesci, direttori del Centro Studi Antiemargina-zione (CSA), coadiuvati da un folto gruppo di collaboratori pedago-gisti, insegnanti specializzati e tecnici della riabilitazione.

Il centro aveva come scopo il recupero dei soggetti in difficoltà di ogni età, perseguito con interventi di aiuto al singolo o al gruppo, con tecniche e metodologie nuove o innovative che scaturivano da una costante ricerca e una formazione personale nelle nazioni allora più rappresentative.

Da una pubblicazione del 1978, edita a Firenze dal CSA, si ap-prende che il centro offriva le seguenti prestazioni:- per i bambini: la ricerca e la messa a punto di ipotesi di lavoro sul

piano metodologico, per interventi educativi finalizzati in senso orto-psico-pedagogico nei diversi deficit di sviluppo e nelle diffe-renti forme di devianza;

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- per gli adulti: diagnosi e conseguenti trattamenti che si caratteriz-zano in tecniche di rilassamento, musicoterapia, tecniche respira-torie, terapia natura, imagerie, relax psicofisico, ecc.;

- corsi teorico-pratici sulle tecniche adottate nel Centro;- consulenza a comunità educative, terapeutiche, scuole, enti ed isti-

tuzioni pubbliche e private, su problemi pedagogici e orto-pedago-gici;

- formazione.Testimonianza dell’ininterrotta attività di ricerca dei pedagogisti

del CSA, docenti della Scuola Magistrale Ortofrenica di Firenze sono le seguenti opere:Introduzione alla didattica speciale (1973); Prevenzione e trattamento della dislessia (1973); Esperienze nella scuola comunale d’infanzia di Certaldo (1974); I linguaggi della psicologia pedagogica (1977); Handicappati e scuola in sette paesi europei (1977); I nostri giochi, raccolta ordinata per finalità (1978); Vincere o giocare? (1978).

Negli stessi anni, la partecipazione di questi specialisti a congres-si, convegni e seminari di studio in Italia e all’estero ha visto la pub-blicazione in “Atti” di alcuni loro lavori.

L’attività di consulenza presso comunità educative, terapeutiche, scuole, enti ed istituzioni pubbliche e private su problemi pedagogici e orto-pedagogici, svolta dai direttori e dai collaboratori del CSA è stata rivolta, tra gli altri, alla Scuola Svizzera (FI), alle sedi ANF-FAS, al Centro di Recupero e di Addestramento di Cerbaiola (FI), alla Comunità Giovanile di Agazzi (AR), ai Comuni di Certaldo, di Castelfiorentino, di Empoli, all’ospedale di Siena, alle Direzioni di-dattiche e ai Provveditorati agli Studi.

In quegli anni il clima di collegialità e di scambio culturale e scientifico fra i diversi specialisti offriva ai pedagogisti ampie oppor-tunità; essi potevano iscriversi alla Società Italiana per l’Assistenza Medico-Psico-Pedagogica all’Età Evolutiva (SIAME), come anche alla Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile (SINPI), partecipa-re a pieno titolo ai congressi tenuti dalle organizzazioni degli psi-chiatri ed avere spazio per i lavori pedagogici sulle riviste: «Rasse-gna di Studi Psichiatrici», «Neuropsichiatria», «Il Lavoro Neuropsi-chiatrico», «Minerva Pediatrica», «Infanzia anormale», «Rivista di

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neurobiologia», «Rivista di biologia», «Rivista di Psichiatria» ecc. Attraverso questa breve rassegna abbiamo avuto modo di eviden-

ziare il percorso che ha portato il pedagogista ad un’ampia afferma-zione professionale ed al suo riconoscimento quale figura indispen-sabile nel realizzare interventi di aiuto a favore delle persone con disagi e difficoltà.

Questo specialistaha contribuito a rinnovare il sistema di assisten-za sociale sostenendo la necessità di indirizzi diversi a vantaggio delle componenti positive della personalità. Una scelta dal profondo significato umano e civile capace di promuovere nel sociale una nuo-va coscienza delle necessità e la consapevolezza dell’esistenza di interventi pedagogici idonei.

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PROFESSIONE PEDAGOGISTA

Il pedagogista è l’esperto dei processi educativi e della formazio-ne. L’esercizio della professione di pedagogista comprende l’uso di strumenti conoscitivi, metodologici e di intervento per la prevenzio-ne, la valutazione e l’educazione-rieducazione delle difficoltà mani-festate da persone di ogni età, coppie, gruppi e comunità. Il pedago-gista svolge altresì attività didattica, sperimentazione e ricerca nello specifico ambito professionale.

I pedagogisti nel corso degli anni hanno dato ampiamente prova di essere in grado di realizzare, in teoria e in pratica, interventi edu-cativi volti a dare ausilio alla persona, sviluppare talenti, potenzialità creative e favorire la conquista di obiettivi personali.

Le esperienze del passato, così come quelle recenti e attuali, assai bene contribuiscono, in corrispondenza al mutare della cultura e del-le necessità, a definire l’esercizio della professione di pedagogista e la capacità di quest’ultimo di soddisfare le numerose esigenze edu-cative della persona e della collettività.

Egli è un professionista (dal latino pro-fiteor, “manifestare”), che dichiara pubblicamente, in modo costante, le proprie competenze, il patrimonio dei proprio sapere, la ricchezza dei propri metodi e delle proprie tecniche. L’intento è quello di un agire, in funzione sociale con un proprio ruolo, conoscenze e capacità specifiche che, con l’af-fermarsi del concetto di “educazione permanente”, abbracciando le tante esigenze dell’individuo nell’intero arco della vita, fanno ben comprendere l’insostituibilità di questa figura professionale.

Il pedagogista, nella sua autonomia e in contesti di co-progettuali-tà e co-decisionalità, svolge un’attività con padronanza di abilità, un saper fare e un saper essere a cui si aggiunge la specificità pedagogica

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del dare nel fare. È un professionista che alle competenze procedurali legate alle modalità di svolgimento dell’attività, associa la conoscen-za teorica e la capacità di individuare traguardi, finalità, obiettivi, pa-droneggiare il fare in situazioni diverse, orientato da un valido equili-brio emotivo-affettivo e sostenuto da abilità nelle relazioni di aiuto.

Specialista dell’educazione rivolta in aiuto alla persona in conte-sti diversi, il pedagogista necessita di una personalità matura, adatta a fronteggiare situazioni difficili, strettamente legate alla cultura e alle circostanze di vita dei soggetti, consapevole che ogni esperienza può essere motivo di apprendimento e di crescita personale.

Ambiti di interventoNei disegni di legge presentati in questi ultimi anni si sostiene che

il pedagogista è lo specialista che con la sua attività può soddisfare i tanti bisogni educativi presenti nella comunità, come quelli connessi alla droga, alla tossicodipendenza, all’handicap, all’AIDS, alla vio-lenza sui minori, al disagio giovanile, all’emarginazione sociale, alla “mortalità scolastica”, all’integrazione degli extracomunitari. Inoltre può essere d’aiuto alla persona che si trova in una condizione di di-sagio psico-sociale o psico-fisico e a chi ha necessità di migliorarsi professionalmente; può altresì far fronte alle necessità delle imprese provvedendo, in quanto esperto dei processi formativi, alla riqualifi-cazione professionale e all’aggiornamento in servizio del personale.

A questa figura professionale si riconoscono anche le abilità ne-cessarie per operare nel campo della progettazione, gestione e verifi-ca di interventi di carattere educativo e formativo rivolti alla persona, alla coppia, alla famiglia, al gruppo. La sua attività comprende l’orientamento scolastico e professionale, la formazione culturale dei cittadini e la gestione del tempo libero. Gli vengono riconosciuti i compiti e le funzioni di consulenza tecnico-scientifica altamente specializzata, nonché il coordinamento delle équipe di aggiornamen-to, la direzione, il monitoraggio e la supervisione degli interventi a valenza pedagogica e formativa presso le Pubbliche Amministrazio-ni e nei servizi pubblici e privati.

Per quanto riguarda le esigenze di pianificazione degli interventi da parte dei vari enti in settori di competenza, anche in raccordo e

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collegamento con la programmazione di altre amministrazioni, il pe-dagogista svolge le funzioni di “programmatore territoriale”, e, in quanto specialista dell’educazione, rileva sistematicamente i bisogni e le risorse proprie dell’ente di appartenenza e quelle disponibili nel territorio, al fine di attuare gli interventi utili e soddisfare i bisogni educativi presenti nella popolazione. Si vuole inoltre che questo pro-fessionista assolva il compito di fornire alle famiglie “l’assistenza educativa specialistica” e la “consulenza pedagogica” sia per quanto concerne i problemi familiari e di educazione dei figli che per quan-to riguarda problemi legati a stati di svantaggio, abbandono dei figli, o adozioni o affidi.

In relazione alle attività di orientamento scolastico e professiona-le, al pedagogista si riconosce l’abilità di rilevare le attitudini degli allievi attraverso lo studio e l’osservazione delle abitudini educative e di organizzare un “osservatorio professionale” mediante il quale fornire gli aiuti nella preparazione personale e nelle scelte dell’atti-vità lavorativa (Costa, 2002). Dai vari disegni di legge si evince dun-que che il pedagogista può trovarsi ad operare nei servizi sociali e culturali, nella formazione e come libero professionista.• Servizi sociali: prevenzione e riduzione del disagio e dello svantag-

gio, disabilità, tossicodipendenze, alcolismo, soggetti con malattie mentali, istituti per anziani, carceri, comunità con persone con bi-sogni particolari, immigrazione, emarginazione, isolamento socia-le, prevenzione drop out, servizi educativi all’infanzia.

• Servizi culturali: animazione delle comunità, animazione del tem-po libero (organizzazione di attività musicali, teatrali, ecc.), biblio-teche, musei, valorizzazione e fruizione dei beni culturali, ludote-che, educazione ambientale e sanitaria, servizi per la terza età, ser-vizi sportivi, centri territoriali permanenti, alfabetizzazione degli adulti.

• Ambito della formazione: consulenza presso istituzioni ed agenzie, formazione per il personale in servizio nelle imprese, negli enti, nelle organizzazioni, (selezione dei nuovi dipendenti, loro avvia-mento al lavoro, mobilità orizzontale interna, gestione delle rela-zioni aziendali, dei rapporti interpersonali e dei conflitti, introdu-zione di nuove tecnologie, adattamento delle competenze alla tra-

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sformazione dei processi produttivi, ecc.), formazione professiona-le, programmazione di attività di educazione permanente, ricorren-te, degli adulti, formazione a distanza; orientamento scolastico e professionale, editoria “educativa”, consulenza nei centri per l’im-piego (certificazione di competenze e bilancio di competenze).

• Libera professione: consulenza di natura educativa su problemi fa-miliari, sulle modalità per superare eventuali difficoltà nella co-struzione dell’identità personale, nell’esperienza scolastica, nel-l’orientamento scolastico e professionale, consulenza ad imprese e cooperative che si occupano di servizi alla persona e alle associa-zioni di volontariato, consulenza pedagogica ai genitori e agli inse-gnanti ecc.Il pedagogista, come abbiamo avuto modo di rilevare, deve saper

rispondere ai bisogni educativi della persona e a quelli presenti nella società, così come offrire risposte utili alle imprese con la riqualifi-cazione e l’aggiornamento professionale; è inoltre necessario che sia fortemente consapevole del fatto che è chiamato ad operare nei ser-vizi sociali e culturali, nella formazione e nella libera professione, che si rivolge alle necessità di soggetti con disagio, svantaggi, handi-cap o disabilità, emarginati o alla ricerca dell’identità personale ecc., a cui già molti altri operatori con competenze proprie e specifiche offrono il loro aiuto. La correttezza, l’onestà e la deontologia profes-sionale, dunque, si impongono e non sono tali se i metodi, le tecni-che e le tecnologie e perfino il lemmario che viene utilizzato sono “presi in prestito” da altre professioni.

Il pedagogista deve contribuire a rinnovare, far conoscere e ren-dere applicata la propria scienza.

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LEGGE 14 GENNAIO 2013, N. 4(GU N. 22 DEL 26-1-2013)

La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblicahanno approvato;

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICAPromulga la seguente legge:

Art. 1 Oggetto e definizioni1. La presente legge, in attuazione dell’art. 117, terzo comma,

della Costituzione e nel rispetto dei principi dell’Unione europea in materia di concorrenza e di libertà di circolazione, disciplina le pro-fessioni non organizzate in ordini o collegi.

2. Ai fini della presente legge, per «professione non organizzata in ordini o collegi», di seguito denominata «professione», si intende l’attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di ser-vizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalente-mente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’art. 2229 del codice civile, delle professioni sanitarie e delle attività e dei mestieri artigianali, com-merciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative.

3. Chiunque svolga una delle professioni di cui al comma 2 con-traddistingue la propria attività, in ogni documento e rapporto scritto con il cliente, con l’espresso riferimento, quanto alla discplina appli-cabile, agli estremi della presente legge. L’inadempimento rientra tra le pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori, di cui al titolo III della parte II del codice del consumo, di cui al decre-to legislativo 6 settembre 2005, n. 206, ed è sanzionato ai sensi del medesimo codice.

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4. L’esercizio della professione è libero e fondato sull’autonomia, sulle competenze e sull’indipendenza di giudizio intellettuale e tec-nica, nel rispetto dei principi di buona fede, dell’affidamento del pubblico e della clientela, della correttezza, dell’ampliamento e della specializzazione dell’offerta dei servizi, della responsabilità del pro-fessionista.

5. La professione è esercitata in forma individuale, in forma asso-ciata, societaria, cooperativa o nella forma del lavoro dipendente.

Art. 2 Associazioni professionali1. Coloro che esercitano la professione di cui all’art. 1, comma 2,

possono costituire associazioni a carattere professionale di natura pri-vatistica, fondate su base volontaria, senza alcun vincolo di rappresen-tanza esclusiva, con il fine di valorizzare le competenze degli associa-ti e garantire il rispetto delle regole deontologiche, agevolando la scel-ta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza.

2. Gli statuti e le clausole associative delle associazioni professio-nali garantiscono la trasparenza delle attività e degli assetti associativi, la dialettica democratica tra gli associati, l’osservanza dei principi deontologici, nonché una struttura organizzativa e tecnico-scientifica adeguata all’effettivo raggiungimento delle finalità dell’associazione.

3. Le associazioni professionali promuovono, anche attraverso specifiche iniziative, la formazione permanente dei propri iscritti, adottano un codice di condotta ai sensi dell’art. 27-bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, vigi-lano sulla condotta professionale degli associati e stabiliscono le sanzioni disciplinari da irrogare agli associati per le violazioni del medesimo codice.

4. Le associazioni promuovono forme di garanzia a tutela del-l’utente, tra cui l’attivazione di uno sportello di riferimento per il cittadino consumatore, presso il quale i committenti delle prestazio-ni professionali possano rivolgersi in caso di contenzioso con i sin-goli professionisti, ai sensi dell’art. 27-ter del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, nonchè ottenere informazioni relative all’attività professionale in generale e agli stan-dard qualitativi da esse richiesti agli iscritti.

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5. Alle associazioni sono vietati l’adozione e l’uso di denominazio-ni professionali relative a professioni organizzate in ordini o collegi.

6. Ai professionisti di cui all’art. 1, comma 2, anche se iscritti alle associazioni di cui al presente articolo, non è consentito l’esercizio delle attività professionali riservate dalla legge a specifiche categorie di soggetti, salvo il caso in cui dimostrino il possesso dei requisiti previsti dalla legge e l’iscrizione al relativo albo professionale.

7. L’elenco delle associazioni professionali di cui al presente arti-colo e delle forme aggregative di cui all’art. 3 che dichiarano, con assunzione di responsabilità dei rispettivi rappresentanti legali, di essere in possesso dei requisiti ivi previsti e di rispettare, per quanto applicabili, le prescrizioni di cui agli articoli 5, 6 e 7 è pubblicato dal Ministero dello sviluppo economico nel proprio sito internet, unita-mente agli elementi concernenti le notizie comunicate al medesimo Ministero ai sensi dell’art. 4, comma 1, della presente legge.

Art. 3 Forme aggregative delle associazioni1. Le associazioni professionali di cui all’art. 2, mantenendo la

propria autonomia, possono riunirsi in forme aggregative da esse co-stituite come associazioni di natura privatistica.

2. Le forme aggregative rappresentano le associazioni aderenti e agiscono in piena indipendenza e imparzialità.

3. Le forme aggregative hanno funzioni di promozione e qualifi-cazione delle attività professionali che rappresentano, nonchè di di-vulgazione delle informazioni e delle conoscenze ad esse connesse e di rappresentanza delle istanze comuni nelle sedi politiche e istitu-zionali. Su mandato delle singole associazioni, esse possono control-lare l’operato delle medesime associazioni, ai fini della verifica del rispetto e della congruità degli standard professionali e qualitativi dell’esercizio dell’attività e dei codici di condotta definiti dalle stes-se associazioni.

Art. 4 Pubblicità delle associazioni professionali1. Le associazioni professionali di cui all’art. 2 e le forme aggre-

gative delle associazioni di cui all’art. 3 pubblicano nel proprio sito web gli elementi informativi che presentano utilità per il consumato-

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re, secondo criteri di trasparenza, correttezza, veridicità. Nei casi in cui autorizzano i propri associati ad utilizzare il riferimento all’iscri-zione all’associazione quale marchio o attestato di qualità e di quali-ficazione professionale dei propri servizi, anche ai sensi degli artico-li 7 e 8 della presente legge, osservano anche le prescrizioni di cui all’art. 81 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59.

2. Il rappresentante legale dell’associazione professionale o della forma aggregativa garantisce la correttezza delle informazioni forni-te nel sito web.

3. Le singole associazioni professionali possono promuovere la costituzione di comitati di indirizzo e sorveglianza sui criteri di valu-tazione e rilascio dei sistemi di qualificazione e competenza profes-sionali. Ai suddetti comitati partecipano, previo accordo tra le parti, le associazioni dei lavoratori, degli imprenditori e dei consumatori maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Tutti gli oneri per la costituzione e il funzionamento dei comitati sono posti a cari-co delle associazioni rappresentate nei comitati stessi.

Art. 5 Contenuti degli elementi informativi1. Le associazioni professionali assicurano, per le finalità e con le

modalità di cui all’art. 4, comma 1, la piena conoscibilità dei seguen-ti elementi: a) atto costitutivo e statuto; b) precisa identificazione delle attività professionali cui l’associazione si riferisce; c) composi-zione degli organismi deliberativi e titolari delle cariche sociali; d) struttura organizzativa dell’associazione; e) requisiti per la parteci-pazione all’associazione, con particolare riferimento ai titoli di stu-dio relativi alle attività professionali oggetto dell’associazione, al-l’obbligo degli appartenenti di procedere all’aggiornamento profes-sionale costante e alla predisposizione di strumenti idonei ad accer-tare l’effettivo assolvimento di tale obbligo e all’indicazione della quota da versare per il conseguimento degli scopi statutari; f) assen-za di scopo di lucro.

2. Nei casi di cui all’art. 4, comma 1, secondo periodo, l’obbligo di garantire la conoscibilitàè esteso ai seguenti elementi: a) il codice di condotta con la previsione di sanzioni graduate in relazione alle violazioni poste in essere e l’organo preposto all’adozione dei prov-

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vedimenti disciplinari dotato della necessaria autonomia; b) l’elenco degli iscritti, aggiornato annualmente; c) le sedi dell’associazione sul territorio nazionale, in almeno tre regioni; d) la presenza di una struttura tecnico-scientifica dedicata alla formazione permanente de-gli associati, in forma diretta o indiretta; e) l’eventuale possesso di un sistema certificato di qualità dell’associazione conforme alla nor-ma UNI EN ISO 9001 per il settore di competenza; f) le garanzie attivate a tutela degli utenti, tra cui la presenza, i recapiti e le moda-lità di accesso allo sportello di cui all’art. 2, comma 4.

Art. 6 Autoregolamentazione volontaria1. La presente legge promuove l’autoregolamentazione volontaria

e la qualificazione dell’attività dei soggetti che esercitano le profes-sioni di cui all’art. 1, anche indipendentemente dall’adesione degli stessi ad una delle associazioni di cui all’art. 2.

2. La qualificazione della prestazione professionale si basa sulla conformità della medesima a norme tecniche UNI ISO, UNI EN ISO, UNI EN e UNI, di seguito denominate «normativa tecnica UNI», di cui alla direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998, e sulla base delle linee guida CEN 14 del 2010.

3. I requisiti, le competenze, le modalità di esercizio dell’attività e le modalità di comunicazione verso l’utente individuate dalla nor-mativa tecnica UNI costituiscono principi e criteri generali che disci-plinano l’esercizio autoregolamentato della singola attività profes-sionale e ne assicurano la qualificazione.

4. Il Ministero dello sviluppo economico promuove l’informazio-ne nei confronti dei professionisti e degli utenti riguardo all’avvenu-ta adozione, da parte dei competenti organismi, di una norma tecnica UNI relativa alle attività professionali di cui all’art. 1.

Art. 7 Sistema di attestazione1. Al fine di tutelare i consumatori e di garantire la trasparenza del

mercato dei servizi professionali, le associazioni professionali pos-sono rilasciare ai propri iscritti, previe le necessarie verifiche, sotto la responsabilità del proprio rappresentante legale, un’attestazione relativa: a) alla regolare iscrizione del professionista all’associazio-

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ne; b) ai requisiti necessari alla partecipazione all’associazione stes-sa; c) agli standard qualitativi e di qualificazione professionale che gli iscritti sono tenuti a rispettare nell’esercizio dell’attività profes-sionale ai fini del mantenimento dell’iscrizione all’associazione; d) alle garanzie fornite dall’associazione all’utente, tra cui l’attivazione dello sportello di cui all’art. 2, comma 4; e) all’eventuale possesso della polizza assicurativa per la responsabilità professionale stipula-ta dal professionista; f) all’eventuale possesso da parte del professio-nista iscritto di una certificazione, rilasciata da un organismo accre-ditato, relativa alla conformità alla norma tecnica UNI.

2. Le attestazioni di cui al comma 1 non rappresentano requisito necessario per l’esercizio dell’attività professionale.

Art. 8 Validità dell’attestazione1. L’attestazione di cui all’art. 7, comma 1, ha validità pari al pe-

riodo per il quale il professionista risulta iscritto all’associazione professionale che la rilascia ed è rinnovata ad ogni rinnovo dell’iscri-zione stessa per un corrispondente periodo. La scadenza dell’attesta-zione è specificata nell’attestazione stessa.

2. Il professionista iscritto all’associazione professionale e che ne utilizza l’attestazione ha l’obbligo di informare l’utenza del proprio numero di iscrizione all’associazione.

Art. 9 Certificazione di conformità a norme tecniche UNI1. Le associazioni professionali di cui all’art. 2 e le forme aggre-

gative di cui all’art. 3 collaborano all’elaborazione della normativa tecnica UNI relativa alle singole attività professionali, attraverso la partecipazione ai lavori degli specifici organi tecnici o inviando al-l’ente di normazione i propri contributi nella fase dell’inchiesta pub-blica, al fine di garantire la massima consensualità, democraticità e trasparenza. Le medesime associazioni possono promuovere la co-stituzione di organismi di certificazione della conformità per i setto-ri di competenza, nel rispetto dei requisiti di indipendenza, imparzia-lità e professionalità previsti per tali organismi dalla normativa vi-gente e garantiti dall’accreditamento di cui al comma 2.

2. Gli organismi di certificazione accreditati dall’organismo uni-

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co nazionale di accreditamento ai sensi del regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008, possono rilasciare, su richiesta del singolo professionista anche non iscritto ad alcuna associazione, il certificato di conformità alla norma tecnica UNI definita per la singola professione.

Art. 10 Vigilanza e sanzioni1. Il Ministero dello sviluppo economico svolge compiti di vigilan-

za sulla corretta attuazione delle disposizioni della presente legge.2. La pubblicazione di informazioni non veritiere nel sito web

dell’associazione o il rilascio dell’attestazione di cui all’art. 7, com-ma 1, contenente informazioni non veritiere, sono sanzionabili ai sensi dell’art. 27 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.

Art. 11 Clausola di neutralità finanziaria1. Dall’attuazione degli articoli 2, comma 7, 6, comma 4, e 10 non

devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. Il Ministero dello sviluppo economico provvede agli adempi-menti ivi previsti con le risorse umane, strumentali e finanziarie di-sponibili a legislazione vigente. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta Ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osser-varla e di farla osservare come legge dello Stato.

Data a Roma, addi’ 14 gennaio 2013.NAPOLITANO

Monti, Presidente del Consiglio dei MinistriVisto, il Guardasigilli: Severino

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Società Nazionale Pedagogisti(SINPE)

Costituita il 9 dicembre 1997 Rep. n. 20772 Rac. N. 3327

S T A T U T OArt. 1 - Costituzione

È costituito con atto pubblico l’Associazione denominata “SINPE Società Nazionale Pedagogisti”. Essa è regolata dal presente Statuto e si ritiene indipendente da forze politiche, partitiche, religiose o altre.

Art. 2 - SedeLa Società ha sede in Italia, Firenze, viale Europa 155.

Art. 3 - Finalità La Società, che non ha fini di lucro, persegue le seguenti finalità:

a) Ottenere il riconoscimento giuridico del ruolo professionale del Pedagogista sia in ambito nazionale che internazionale;

b) Costituire l’Albo professionale dei Pedagogisti iscritti;c) Costituire attraverso i suoi organi e le sue iniziative il punto di

riferimento delle istanze dei pedagogisti per quanto concerne gli aspetti scientifici, metodologici e deontologici della professione;

d) Offrire formazione e periodico aggiornamento, promuovere e svolgere attività di studio e di ricerca scientifica per lo sviluppo della conoscenza e dell’esperienza professionale. Attivare con-gressi, convegni, manifestazioni scientifiche e seminari di studio, in sede nazionale ed internazionale;

e) Stipulare convenzioni con enti pubblici o privati per l’espleta-mento di eventuali tirocini, per la gestione dei corsi, di master e seminari di formazione post-laurea, di perfezionamento e specia-lizzazione rivolti al pedagogista;

f) Certificare, per mezzo di appositi albi, i pedagogisti specialisti;

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g) Promuovere iniziative editoriali, curare direttamente o indiretta-mente la redazione el’edizione di libri e testi, pubblicazioni perio-diche e notiziari;

h) Istituire a garanzia e tutela dell’utente, uno sportello di riferimento per i cittadini consumatori, presso il quale i committenti delle pre-stazioni professionali possano rivolgersi in caso di contenzioso con i singoli professionisti nonché ottenere informazioni relative all’at-tività professionale e agli standard qualitativi richiesti agli iscritti.

Art. 4 - DurataLa Società SINPE ha durata illimitata.

Art. 5 - PatrimonioLa Società trae i mezzi per conseguire i propri scopi:

a) Dalle quote annualmente versate dai soci entro il 31 gennaio, per importi che sono determinati dal Consiglio Direttivo Nazionale;

b) Dai contributi pubblici e privati;c) Da proventi di iniziative della Società;d) Da donazioni e da disposizioni testamentarie; e) Da oblazioni volontarie e da qualunque liberalità che pervenisse

alla Società per il raggiungimento dei suoi scopi sociali;f) Da materiali mobili e immobili di proprietà della Società;g) Dal fondo di riserva e dal residuo di gestione che alla fine di ogni

esercizio sarà erogato per l’esercizio successivo e destinato ai fini della Società. Detto patrimonio viene gestito dal Tesoriere secondo quanto spe-

cificato dall’art. 16 comma 12 del presente Statuto. L’esercizio fi-nanziario del SINPE coincide con l’anno solare.

È fatto divieto di distribuzione anche in modo indiretto di utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita della Società, salvo che la destinazione e la distribuzione non siano imposte dalla legge.

Art. 6 - SociPossono presentare domanda di ammissione alla Società coloro

che abbiano conseguito, presso università italiane o straniere, lauree

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specialistiche, magistrali o del vecchio ordinamento in Pedagogia, Scienze dell’educazione o della Formazione, o in altre discipline, ma con un documentato curriculum di studi ed esperienze di collabora-zione o consulenza in attività attinenti alla Pedagogia, e che abbiano superato un apposito esame di idoneità o che abbiano assunto una specifica formazione post-laurea per la professione di Pedagogista, promossa e riconosciuta dalla Società.

I Soci della Società sono distinti in due categorie: a) Soci di diritto: I soci fondatori;b) Soci ordinari: Coloro i quali, presentata la domanda e superata la prova di ammissione o terminata la specifica formazione, sono stati ritenuti idonei.

Possono essere ammessi come soci ordinari i professori universi-tari e degli istituti di formazione post-universitaria che insegnino o abbiano insegnato discipline pedagogiche in Italia o all’estero e i pedagogisti clinici la cui Associazione sia membro dell’EURO-AN-PEC, Associazione registrata presso l’Unione Europea.

Art. 7 - Profilo professionale: identificazione dell’attività profes-sionale

Il pedagogista è l’esperto dei processi educativi e della formazione. L’esercizio della professione di pedagogista comprende l’uso di strumenti conoscitivi, metodologici e di intervento per la prevenzione, la valutazione e l’educazione-rieducazione delle difficoltà manifestate da persone di ogni età, coppie, gruppi e comunità. Il pedagogista svolge altresì attività didat-tica, sperimentazione e ricerca nello specifico ambito professionale.

Art. 8 - Formazione permanenteIl SINPE garantisce la presenza di una struttura tecnico-scientifi-

ca dedicata alla formazione permanente degli associati in forma di-retta o indiretta.

Art. 9 - Albo professionale dei Pedagogisti L’idoneità di ammissione alla Società dà diritto, senza esplicita

richiesta, alla contemporanea iscrizione all’Albo Professionale dei Pedagogisti tenuto dall’Associazione.

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Art. 10 - Pedagogisti specialisti e Albi SpecialiÈ specialista il pedagogista che ha acquisito, in una delle aree del-

la pedagogia sotto indicate, una specifica e significativa competenza teorica e pratica, il cui possesso è certificato dal Consiglio Direttivo Nazionale del SINPE. Il pedagogista può conseguire il diploma di specialista in non più di due delle seguenti aree della pedagogia:• Pedagogia Clinica• Pedagogia Speciale• Pedagogia Giuridica e Forense• Pedagogia Interculturale

Al fine di tutelare le qualifiche professionali specialistiche, per ognuna delle aree di specializzazione pedagogica, viene creato l’al-bo, tenuto e aggiornato dal SINPE Società Nazionale Pedagogisti.

a) Albo dei Pedagogisti CliniciIl Pedagogista Clinico è lo specialista che, con modalità educati-

ve, si rivolge in aiuto alla persona di ogni età con differenti difficoltà e disagi al fine di rafforzarne le capacità individuali e sociali e favo-rirne il processo di crescita, con metodi e tecniche proprie. Il termine “clinico” si riferisce in questo ambito alla finalità educativa come azione umana di aiuto alla persona e al gruppo.

Possono essere iscritti all’Albo dei Pedagogisti Clinici gli iscritti all’albo dei pedagogisti SINPE che abbiano conseguito la Qualifica Professionale di Pedagogista clinico. La Qualifica professionale di Pedagogista Clinico è subordinata ad una specifica formazione da acquisirsi, dopo il conseguimento della laurea specialistica/magi-strale, secondo le modalità stabilite dall’ANPEC Associazione Na-zionale Pedagogisti Clinici, unica associazione di categoria ricono-sciuta dalla Società Nazionale Pedagogisti a garantire i requisiti di conseguimento e di mantenimento del titolo di Pedagogista Clinico.

La qualifica di Pedagogista clinico è soggetta a revoca quando l’in-teressato, sottoposto a verifica periodica del possesso dei requisiti, non sia più iscritto all’ANPEC Associazione Nazionale Pedagogisti Clini-ci, ovvero non adempia agli obblighi statutari, compreso quello di for-mazione continua in Pedagogia Clinica secondo le norme stabilite dal-la suddetta ANPEC Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici.

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b) Albo dei Pedagogisti SpecialiIl Pedagogista Speciale studia e applica la Pedagogia Speciale,

ovvero metodi educativi, di scolarizzazione e di formazione, adatti a persone di ogni età con disabilità fisiche e/o mentali, con problemi comportamentali o difficoltà di adattamento sociale. Si occupa di valutare il grado di difficoltà delle persone e l’aiuto di cui hanno bi-sogno; di sviluppare metodi pedagogici adatti alla specifica situazio-ne di persone con varie difficoltà; di elaborare mezzi pedagogici spe-ciali per facilitare l’apprendimento di conoscenze teoriche; di conce-pire e attuare esercizi che permettano l’apprendimento di gesti quo-tidiani; di aiutare la persona a incentivare la sua integrazione sociale, l’autonomia personale e le sue relazioni con gli altri.

La Pedagogia Speciale mira a stimolare lo sviluppo delle poten-zialità della persona con difficoltà e a promuovere condizioni favore-voli all’integrazione sociale, scolastica e professionale. L’obiettivo è di migliorare la qualità di vita a livello individuale e comunitario come pure il grado di autonomia.

Possono essere iscritti all’Albo dei Pedagogisti Speciali gli iscrit-ti all’Albo dei pedagogisti SINPE che abbiano conseguito la Quali-fica Professionale di Pedagogista Speciale.

La Qualifica professionale di Pedagogista Speciale è subordinata ad una specifica formazione da acquisirsi, dopo il conseguimento della laurea specialistica/magistrale, secondo le modalità stabilite dal Consiglio Direttivo Nazionale SINPE e realizzata presso uno degli enti di formazione post-laurea accreditati o riconosciuti dal SINPE: dovrà avere la durata minima di 200 ore, di cui almeno 120 specifi-che in Pedagogia Speciale, Pedagogia Curativa o in Difettologia.

Possono iscriversi all’Albo dei Pedagogisti Speciali anche coloro che sono in possesso dei titoli di Professore Ordinario, Professore Associato o Professore a contratto nei settori disciplinari “M-PED/03: didattica e pedagogia speciale” o equivalenti.

La Qualifica di Pedagogista Speciale è soggetta a revoca quando l’interessato, sottoposto a verifica periodica del possesso dei requisi-ti, non adempia agli obblighi statutari, compreso quello di formazio-ne continua in Pedagogia Speciale secondo le norme stabilite dal SINPE.

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c) Albo dei Pedagogisti Giuridici e ForensiIl Pedagogista Giuridico e Forense è lo specialista della valutazio-

ne, progettazione e gestione degli aspetti educativi in ambito giuridi-co, forense e penitenziario nonché le implicazioni educative negli interventi giurisdizionali e istituzionali. È un professionista che in-troduce ed utilizza la propria professionalità pedagogica all’interno del contesto giuridico, forense o in ambito penitenziario.

Possono essere iscritti all’Albo dei Pedagogisti Giuridici e Foren-si gli iscritti all’albo dei pedagogisti SINPE che abbiano conseguito la Qualifica Professionale di Pedagogista Giuridico, Pedagogista Fo-rense o Pedagogista Penitenziario, subordinata ad una specifica for-mazione da acquisirsi, dopo il conseguimento della laurea speciali-stica/magistrale, per una durata minima di 120 ore, di cui almeno 70 ore specifiche in Pedagogia Giuridica, Forense o Penitenziaria.

La Qualifica di Pedagogista Giuridico e Forense è soggetta a re-voca quando l’interessato, sottoposto a verifica periodica del posses-so dei requisiti, non adempia agli obblighi statutari, compreso quello di formazione continua in Pedagogia Giuridica, Forense o Peniten-ziaria, secondo le norme stabilite dal SINPE.

d) Albo dei Pedagogisti InterculturaliIl Pedagogista Interculturale è lo specialista della valutazione,

progettazione e gestione dell’educazione e della formazione nel-l’ambito della interculturalità, intesa come risposta educativa rela-zionale alla società multiculturale e multietnica, come processo edu-cativo intenzionale progettato per rispondere alle esigenze formative della società.

Il pedagogista Interculturale è un professionista che studia in modo comparato le culture, le loro strutture e la loro evoluzione di-namica e i metodi idonei a facilitare lo sviluppo della comunicazione interculturale e la comprensione delle differenze culturali, al fine di promuovere lo sviluppo della tolleranza e la comprensione reciproca in contesti linguistici e socio-culturali diversi. Nel suo più ampio si-gnificato la pedagogia interculturale esprime la sua azione educativa sia nei contesti pubblici che privati, come prevenzione e contrasto del razzismo, della xenofobia, dell’antisemitismo e dell’intolleranza.

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Possono essere iscritti all’Albo dei Pedagogisti Interculturali gli iscritti all’albo dei pedagogisti SINPE che abbiano conseguito la Qualifica Professionale di Pedagogista Interculturale.

La Qualifica professionale di Pedagogista Interculturale è subor-dinata ad una specifica formazione da acquisirsi, dopo il consegui-mento della laurea specialistica/magistrale, secondo le modalità sta-bilite dal Consiglio Direttivo Nazionale SINPE: il percorso formati-vo per il conseguimento della Qualifica professionale di pedagogista Interculturale: dovrà avere la durata minima di 120 ore, di cui alme-no 70 ore specifiche in Pedagogia Interculturale.

La Qualifica di Pedagogista Interculturale è soggetta a revoca quando l’interessato, sottoposto a verifica periodica del possesso dei requisiti, non adempia agli obblighi statutari, compreso quello di formazione con-tinua in Pedagogia Interculturale, secondo le norme stabilite dal SINPE.

Art. 11 - ObblighiOgni socio del SINPE si impegna a contribuire al perseguimento

degli scopi e finalità dell’art. 3 dello Statuto e ad attenersi alle norme previste dal Regolamento e dal Codice Deontologico.

Art. 12 - Perdita della qualità di socio e della certificazione pro-fessionale

II Socio perde tale qualità e la certificazione professionale per:a) Dimissioni;b) Per quanto e come previsto dal Regolamento e dal Codice Deon-

tologico;c) Morosità nel pagamento della quota annuale.

Art. 13 - Sezioni periferiche I Soci fondatori e ordinari possono chiedere la costituzione di

sezioni periferiche purché non in contrasto con lo Statuto e il regola-mento del SINPE. a) Sezioni provinciali

L’Assemblea degli iscritti dell’area provinciale elegge ogni tre anni a maggioranza dei presenti il Direttore di sezione la cui nomina è ratificata dal Consiglio Direttivo Nazionale.

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Il Direttore attua il collegamento tra la base provinciale e gli or-gani centrali della Società, esercita la funzione di rappresentanza dell’organizzazione nell’ambito della Provincia, convoca le assem-blee e ne esegue le deliberazioni dopo averle sottoposte al Consiglio Direttivo Nazionale per la ratifica.

Il Direttore provinciale è membro di diritto del Consiglio regionale.Ai Direttori Provinciali che non convocano le assemblee degli

iscritti almeno tre volte all’anno viene revocata la nomina da parte del Consiglio Direttivo Nazionale. A seguito di questa revoca il Consiglio Direttivo Nazionale nomina un Commissario che si premu-nirà di ve-rificare la struttura organizzativa della sezione per indire una assem-blea dei soci che preveda l’elezione di un nuovo Direttore. b) Sezioni regionali

II Consiglio regionale, composto dai Direttori Provinciali, pro-muove e coordina a livello regionale tutte le iniziative che possono essere di stimolo al potenziamento dell’organizzazione.

Il Consiglio regionale elegge, ogni tre anni, a maggioranza dei presenti, il Direttore Regionale, la cui nomina è ratificata dal Consi-glio Direttivo Nazionale.

Il Direttore Regionale è chiamato ad esercitare la rappresentanza dell’organizzazione nell’ambito della propria competenza, convoca il Consiglio Regionale e dà esecuzione ai suoi deliberati, dopo aver-li sottoposti al Consiglio Direttivo Nazionale per la ratifica.

Ai Direttori Regionali che non convocano il Consiglio regionale almeno tre volte all’anno viene revocata la nomina da parte del Con-siglio Direttivo Nazionale. A seguito di questa revoca il Consiglio Direttivo Nazionale nomina un Commissario che si premunirà di ve-rificare la struttura organizzativa della sezione per indire una assem-blea dei soci che preveda l’elezione di un nuovo Direttore.

Art. 14 - Organi della Società Organi della Società sono:

- l’Assemblea- il Consiglio Direttivo- il Presidente- il Collegio dei Probiviri.

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Art. 15 - AssembleeI Soci possono essere convocati in assemblee generali ordinarie e

straordinarie, nonché in assemblee delle sezioni periferiche.L’Assemblea ordinaria dei Soci è l’organo deliberante della So-

cietà, fatte salve le competenze specifiche del Consiglio Direttivo Nazionale.

L’Assemblea ordinaria dei soci viene convocata come minimo una volta all’anno, con almeno quindici giorni prima della data di convocazione, per l’approvazione del rendiconto economico e finan-ziario a mezzo lettera di posta ordinaria o di posta elettronica in cui sia specificato l’ordine del giorno, il luogo, la data, l’orario della prima e della seconda convocazione.

Le deliberazioni dell’Assemblea in prima convocazione sono pre-se a maggioranza di almeno la metà dei Soci iscritti alla Società. In seconda convocazione le deliberazioni sono valide qualunque sia il numero dei presenti e rappresentati.

I Soci hanno la facoltà di farsi rappresentare da altri Soci affidan-do loro una delega scritta; ogni Socio non può rappresentare più di cinque degli iscritti alla Società.

All’Assemblea ordinaria dei Soci, in regola con le quote sociali, vengono demandati:- L’approvazione della relazione del Consiglio Direttivo Nazionale

sull’attività svolta dalla Società;- L’approvazione del rendiconto economico e finanziario da effet-

tuarsi ogni anno entro il 30 maggio;- Elezione e votazione fra i Soci di diritto e ordinari, dei componen-

ti il Consiglio Direttivo Nazionale (ogni quattro anni);- Delibera sulle proposte presentate dal Consiglio Direttivo Nazio-

nale.L’Assemblea straordinaria dei Soci è convocata dal Consiglio Di-

rettivo Nazionale per deliberare sulle modifiche dello Statuto e su specifici provvedimenti urgenti, salvo quanto previsto dagli art. 20 e 21, con le stesse modalità dell’Assemblea ordinaria.

L’ordine del giorno dell’Assemblea straordinaria dovrà indicare gli argomenti su cui deve essere deliberato ed esclude la dizione «va-rie ed eventuali».

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Le Assemblee sono presiedute dal Presidente e, in sua assenza, da uno dei membri del Consiglio Direttivo Nazionale; in caso di vota-zione di fronte ad un risultato di parità, il voto del Presidente viene calcolato al doppio.

Le Assemblee delle Sezioni periferiche possono essere convocate dal rispettivo Direttore di Sezione, il quale dovrà informare per scritto il Consiglio Direttivo Nazionale almeno un mese prima, sulla data, il luogo e l’ora dell’Assemblea, nonché sull’ordine del giorno previsto.

Il Consiglio Direttivo Nazionale si riserva di presiedere detta As-semblea con un proprio membro.

Quando le Assemblee di Sezione sono convocate dal Consiglio Direttivo Nazionale, un suo membro le presiederà.

Il Presidente dell’Assemblea provvede alla redazione e trascrizione del verbale sul libro delle assemblee, da tenere presso la sede della Società a disposizione di qualunque socio faccia richiesta di consulta-zione e copia; copia fotostatica di ciascuna delibera assembleare rimar-rà affissa presso la sede della Società della sezione per 15 giorni a partire dalla settimana successiva al giorno in cui si è tenuta l’Assem-blea.

Art. 16 - Consiglio Direttivo NazionaleLa Società è retta e amministrata da un Consiglio Direttivo Nazio-

nale composto da cinque a sette membri eletti dall’Assemblea ordi-naria; tali membri durano in carica quattro anni e sono rieleggibili.

I membri del Consiglio Direttivo Nazionale sono:- il Presidente- il Vice-presidente- il Segretario- il Tesoriere- Consigliere/i.

Queste cariche, come tutte le cariche del SINPE, sono a titolo gratuito, salvo rimborsi di spesa preventivamente avallata dal Consi-glio Direttivo Nazionale.

I membri del Consiglio Direttivo Nazionale che per tre volte con-secutive non intervengono alle riunioni senza giustificato motivo, sono dichiarati dimissionari.

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Rendendosi vacante una carica sociale, il Consiglio Direttivo Na-zionale elegge al posto vacante un socio ordinario che conserva la carica fino alla scadenza del mandato.

Risultano eletti i soci che raccolgono il maggior numero dei voti; in caso di parità si ricorrerà al ballottaggio.

Il Consiglio Direttivo Nazionale nella sua prima riunione sceglie nel proprio seno il Presidente, il Vicepresidente, il Segretario, il Te-soriere e il/i Consigliere/i.

Il Consiglio Direttivo Nazionale è convocato dal Presidente o, in sua assenza, dal Vice-presidente o, per loro incarico, dal Segretario.

II Presidente rappresenta la Società, anche di fronte a terzi ed in giudizio; convoca e presiede le adunanze delle Assemblee e del Con-siglio Direttivo Nazionale, ne fa eseguire le deliberazioni, firma gli atti ufficiali; cura e mantiene i rapporti con le altre istituzioni e le sezioni periferiche del SINPE; ha cura delle iniziative editoriali.

Nell’adempimento di tali funzioni il Presidente può, di volta in volta, delegare un membro del Consiglio Direttivo Nazionale.

Il Vice-presidente cura l’attuazione dei deliberati del Consiglio Direttivo Nazionale; sostituisce il Presidente su sua delega o in caso di necessità.

Il Segretario coadiuva il Presidente e il Vicepresidente, provvede alla stesura dei verbali delle riunioni e alla loro trasmissione al Pre-sidente del SINPE; conserva l’archivio sociale.

Il Tesoriere conserva i fondi sociali, provvede agli incassi e ai paga-menti, tiene in regola i registri amministrativi e completa i bilanci da sottoporre all’Assemblea generale ordinaria dei Soci (per questo può avvalersi di un commercialista); abbina la sua firma a quella del Presi-dente del SINPE negli atti di disposizione patrimoniale ed è autorizzato ad operare con firma singola presso Istituti Bancari e/o Postali, sui Con-ti intestati alla Società o al Tesoriere stesso ed esattamente è autorizzato ad aprire conti correnti, versare e girare assegni bancari, circolari e va-glia, prelevare sull’avere liquido e su eventuali crediti accordati.

Il Consiglio Direttivo Nazionale coordina e promuove tutta l’atti-vità e l’organizzazione della Società e, in particolare:a) Stabilisce annualmente l’ammontare delle quote associative;b) Istituisce le pratiche di ammissione di nuovi soci ai sensi dell’art.

6 dello Statuto e dell’art. 1 e 2 del Regolamento;

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c) Redige annualmente un rendiconto economico e finanziario da presen-tare all’approvazione dell’assemblea ordinaria dei soci entro il 30 mag-gio di ogni anno e da restare depositato presso la sede della Società almeno 15 giorni prima della data fissata per l’approvazione a disposi-zione di tutti i soci che abbiano motivato interesse alla sua lettura;

d) Stabilisce il Regolamento della Società e può modificarlo con ef-ficacia vincolante per tutti i soci;

e) Definisce le norme del Codice Deontologico e può modificarle con efficacia vincolante per tutti i soci;

f) Ratifica le nomine dei Direttori delle sezioni periferiche; g) Promuove e coordina le manifestazioni scientifiche del SINPE, ap-

prova le manifestazioni scientifiche e le attività proposte dalle Se-zioni periferiche e, se necessario, vi collabora; promuove e coordi-na ogni qualsivoglia altra attività prevista dall’art. 3 dello Statuto;

h) Nomina una Commissione per l’esame d’idoneità composta da tre membri scelti tra i Soci ordinari che possono essere riconfermati;

i) Nomina e licenzia il personale dipendente e ne determina il trat-tamento economico;

l) Vigila sull’amministrazione ed in genere su quanto può interessa-re il buon andamento della Società.

Art. 17- Collegio dei ProbiviriLa vigilanza dell’ordine è esercitata dal Collegio dei Probiviri

composto di tre Soci, eletti dall’Assemblea ogni qualvolta elegge i membri del Consiglio Direttivo Nazionale; Presidente del Collegio risulterà il Socio la cui iscrizione alla Società è più remota. Il Collegio funziona anche come Collegio Sindacale per il controllo dei bilanci.

Il Collegio dei Probiviri inoltre ha la facoltà di adottare, di diritto o dopo apertura di procedimento disciplinare, sanzioni nei riguardi degli iscritti al SINPE come disposto dal Codice Deontologico.

Il proboviro non può essere membro del Consiglio Direttivo Na-zionale.

Nel caso in cui un proboviro si renda responsabile di mancanze che prevedano l’intervento del Collegio, il Presidente della Società nomina temporaneamente, in sostituzione del proboviro indagato, il Socio la cui iscrizione alla Società è più remota.

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Rendendosi vacante una carica sociale del Collegio dei Probiviri, il Collegio dei Probiviri elegge al posto vacante un socio ordinario che conserva la carica fino alla scadenza del mandato.

Art. 18 - RegolamentoPer l’ordinamento e il funzionamento della Società, nonché per la

specificazione di alcune norme particolari più facilmente suscettibili di modificazioni, lo Statuto del SINPE è integrato da apposito Rego-lamento interno.

Art. 19 - Codice DeontologicoL’etica professionale del Pedagogista iscritto alla Società e le nor-

me a cui attenersi, sono richiamate nel Codice Deontologico.

Art. 20 - Scioglimento della Società Lo scioglimento della Società è deliberato dall’Assemblea col voto

favorevole di almeno quattro quinti in prima convocazione e di due terzi in seconda convocazione, dei Soci aventi diritto. L’Assemblea provve-derà alla nomina di uno o più liquidatori che delibereranno in ordine alla devoluzione del patrimonio ad altra Società con finalità analoghe o a fini di pubblica utilità, salvo diversa destinazione imposta dalla legge.

Art. 21 - Modifiche di StatutoLo Statuto può essere modificato solo su approvazione da parte di

due terzi dei Soci presenti o rappresentati ad una Assemblea straor-dinaria appositamente indetta.

Art. 22 - Assicurazione RC per danni arrecati nell’esercizio del-l’attività professionale

Tutti gli associati, pena l’esclusione dall’associazione, devono contrarre una polizza RC per danni arrecati nell’esercizio dell’attivi-tà professionale.

Art. 23 - VariePer tutto quanto non previsto nel presente Statuto valgono, se e in

quanto applicabili, le disposizioni del Codice Civile e ogni altra nor-mativa in materia di Associazioni.

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R E G O L A M E N T O

Art. 1 - AmmissionePer essere ammesso alla Società il candidato dovrà presentare do-

manda al Consiglio Direttivo Nazionale SINPE. La domanda dovrà essere corredata da: a) La dichiarazione di accettazione integrale dello Statuto della So-

cietà, del Regolamento e del Codice Deontologico; b) La dichiarazione e la prova di requisiti e titoli accademici, cultura-

li, scientifici e professionali, che giustifichino la domanda stessa; c) La dichiarazione di cittadinanza e di residenza; d) La prova del versamento della quota associativa.

Sulla base dei requisiti e dei titoli il Consiglio Direttivo Nazionale può accogliere la domanda. Per le domande accettate con riserva, indi-cherà le condizioni ancora necessarie per l’ammissione del candidato.

Art. 2 - Esame di idoneità L’idoneità per l’ammissione alla Società e l’iscrizione all’Albo

dei Pedagogisti è acquisita a seguito del superamento di un esame di idoneità che verrà predisposto dal Consiglio Direttivo Nazionale.

Art. 3 - SociIn riferimento all’art. 6 dello Statuto si specifica che:

a) Soci di diritto: sono i Soci che hanno partecipato alla fondazione della Società, sottoscrivendo l’Atto notarile;

b) Soci ordinari: si rimanda all’art. 6 lettera b) dello Statuto; c) I Soci di diritto e i Soci ordinari saranno registrati nell’elenco dei

Soci e nell’Albo professionale dei Pedagogisti.

Art. 4 - Cariche socialiNessun Socio può ricoprire più di una carica sociale fatta eccezio-

ne per quella di Direttore di sezione periferica.

Art. 5 - Sezioni periferiche Le sezioni periferiche sono organismi di rappresentanza chiama-

ti a promuovere e coordinare iniziative ed attività volte allo svilup-

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po della conoscenza sul proprio territorio dell’esperienza profes-sionale del pedagogista. Per lo svolgimento di questi obbiettivi il Direttore, di concerto con gli iscritti alla sezione, fissa una quota annuale.

La gestione economica è di competenza del Direttore di sezione.

Art. 6 - MorositàIl Tesoriere in riferimento all’art. 10 lettera c) dello Statuto, rile-

vato il mancato versamento annuale di un socio, fa a questo richiesta scritta. Se il socio rimane ancora inadempiente il Tesoriere informa di ciò il Consiglio Direttivo Nazionale che delibera di richiedere al Socio, per mezzo di raccomandata R/R, il versamento da effettuare. Nel caso che persista la morosità oltre 30 giorni dal ricevimento di questo secondo avviso, firmato congiuntamente dal Presidente e dal Tesoriere, il Socio verrà automaticamente considerato moroso e quindi cancellato dal libro dei Soci e dall’Albo Professionale dei Pedagogisti. Questo stesso provvedimento nei confronti del Socio, sarà adottato anche quando risultasse moroso nei confronti dell’Ente formatore riconosciuto dal SINPE e quando tale Ente ne abbia fatta denuncia alla Società.

La regolarizzazione delle quote arretrate richieste, prevede una maggiorazione del 10% sull’importo dovuto.

Art. 7 - Tariffe professionaliII Pedagogista è tenuto a praticare, se previste dalla Legge, gli

onorari indicati dal tariffario di categoria, periodicamente rivisto e approvato dal Consiglio Direttivo Nazionale e diffuso ai Soci.

Art. 8 - CancellazioneII Socio iscritto al SINPE e all’Albo Professionale di Pedagogista

può chiedere la cancellazione solo a mezzo lettera raccomandata con R/R.

Art. 9 - ReiscrizioneAlla richiesta di reiscrizione provvede il Consiglio Direttivo Na-

zionale in conformità delle disposizioni previste per l’iscrizione.

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C O D I C E D E O N T O L O G I C O

II Codice Deontologico, previsto dall’art. 19 dello Statuto del SINPE, ha lo scopo di precisare l’etica professionale e le norme a cui il Pedagogista deve attenersi nell’esercizio della propria professio-ne.

Norme deontologiche: Principi generali1) Le regole del presente Codice Deontologico sono vincolanti per

tutti gli iscritti al SINPE.2) L’inosservanza dei precetti stabiliti nel presente Codice Deonto-

logico ed ogni azione od omissione comunque contrarie al deco-ro, alla dignità ed al corretto esercizio della professione, sono pu-niti con le sanzioni disciplinari previste dal presente Codice Deontologico.

Funzioni e competenze1) II Pedagogista è tenuto a mantenere un livello adeguato di compe-

tenza professionale. 2) II Pedagogista deve respingere ogni collaborazione che dovesse

comportare una limitazione alla sua indipendenza e autonomia tecnico-scientifica e alla sua serietà professionale.

Rapporti con gli utenti1) II Pedagogista, nel rapporto con gli utenti, non deve essere in-

fluenzato da pregiudizi relativi al sesso, alla razza, alla politica, alla classe sociale ed alla religione.

2) II Pedagogista deve avere acquisito abilità nella conduzione del-l’assessment pedagogico e nel rispondere con interessamento alle richieste che gli vengono formulate.

3) II Pedagogista deve poter dimostrare abilità e competenza profes-sionale nella progettualità e nella definizione del contratto peda-gogico.

4) II Pedagogista deve informare l’utente sull’ipotesi progettuale e sui relativi criteri di spiralizzazione dell’intervento pedagogico.

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5) II Pedagogista si impegna ad astenersi da procedimenti che ledo-no l’integrità psico-fisica e la libertà o dignità morale della perso-na umana.

6) II Pedagogista si impegna a custodire rigorosamente il segreto professionale, perciò si impegna ad avere cura del materiale che si riferisce agli utenti, salvaguardandolo da ogni indiscrezione.

7) II pedagogista può usufruire del materiale in suo possesso per una eventuale pubblicazione solo se tutela la non riconoscibilità del-l’utente.

8) II Pedagogista deve attenersi alle tariffe stabilite dal tariffario, come richiamato dall’art. 7 del Regolamento.

Rapporto con colleghi ed altri professionisti1) II Pedagogista promuove e favorisce gli scambi e la collaborazio-

ne fra i colleghi. 2) II Pedagogista può avvalersi dei contributi e della collaborazione

di altri specialisti, con i quali cercherà sempre di realizzare delle opportunità di scambio e di integrazione.

3) II Pedagogista è tenuto al rispetto della professionalità dei colle-ghi e a mantenere rapporti basati su lealtà e correttezza.

Funzioni, procedimento e sanzioni disciplinari:Funzioni disciplinari

Il SINPE vigila sulla tutela del titolo professionale ed ha facoltà di adottare, di diritto o dopo apertura di procedimento disciplinare, sanzioni nei riguardi dei propri iscritti.

II Collegio dei Probiviri sottopone a procedimento disciplinare e ad eventuali conseguenti sanzioni gli iscritti al SINPE e conseguen-temente gli iscritti all’Albo dei Pedagogisti che si rendano responsa-bili di mancanze o abusi nell’esercizio della professione o che, co-munque, si comportino in modo non conforme alla dignità e al deco-ro della professione o in presenza di esplicite disposizioni di legge.

Procedimento disciplinareQuando pervengano esposti nei confronti di un iscritto, assunti in

piena responsabilità dal denunziante e/o circostanziati nei fatti, ri-

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guardo ad atti e condotte che possono avere rilevanza deontologica e formare oggetto di provvedimento disciplinare, il Collegio dei Pro-biviri valuta la necessità di una istruttoria. L’istruttoria se attivata dovrà essere svolta entro trenta giorni.

A seguito dei dati scaturiti dall’istruttoria, il Collegio dei Probivi-ri delibera l’apertura del procedimento disciplinare del quale viene data notizia all’interessato a mezzo lettera raccomandata R/R in cui viene menzionata la sede e la data del dibattimento, l’interessato può essere assistito da un legale e chiedere la presenza di testimoni.

Il dibattimento viene tenuto in seduta giudicante dal Collegio dei Probiviri, i quali al termine dello stesso dovranno redigere il verbale con i relativi provvedimenti e motivazioni. Entro i venti giorni suc-cessivi al dibattimento, all’interessato deve pervenire un atto di noti-fica del provvedimento assunto.

Il provvedimento può essere impugnato. Il riesame verrà effettua-to dal Collegio dei Probiviri unitamente al Consiglio Direttivo Na-zionale. I provvedimenti disciplinari precedentemente assunti posso-no essere modificati, confermati o annullati sia per motivi di illegit-timità che per motivi di merito.

Sanzioni disciplinariLe sanzioni che il Collegio dei Probiviri può comminare sono:

a) Avvertimento, ovvero la contestazione della mancanza o dell’abu-so e il richiamo all’interessato ai doveri e alla dignità professiona-le per infrazioni modeste, compiute più per leggerezza che per deliberato proposito. L’Avvertimento viene comunicato con lette-ra raccomandata R/R dal Presidente del Collegio dei Probiviri.

b) Censura: consiste in una contestazione e biasimo formale per la mancanza o l’abuso commesso e deve essere notificata all’inte-ressato per mezzo di lettera raccomandata R/R a firma del Presi-dente del Collegio dei Probiviri.

c) Sospensione dell’esercizio professionale si riferisce ad ogni cir-costanza prevista dal codice penale, come l’emissione di un man-dato o di un ordine di cattura, l’interdizione dei pubblici uffici o dalla professione per effetto di una sentenza passata in giudicato con condanna penale di durata inferiore ai due anni. La sospen-

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sione è assunta in forma deliberativa e può avere la durata massi-ma di un anno; viene notificata all’interessato per mezzo di lettera raccomandata R/R a firma congiunta del Presidente della Società e del Presidente del Collegio dei Probiviri.

d) Radiazione dall’Albo, che può essere pronunciata quando l’iscrit-to abbia gravemente compromesso la propria reputazione e/o la dignità della categoria professionale. La radiazione dall’Albo vie-ne notificata all’interessato per mezzo di lettera raccomandata

R/R a firma congiunta del Presidente della Società e del Presiden-te del Collegio dei Probiviri.

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