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Vivere la Salvezza – Past. Francesco Zenzale 1 I quattro movimenti della fede "I cancelli della saggezza e della conoscenza sono sempre aperti" (Giacomo 1: 5). L'orologio della vita si carica una volta, e nessun uomo ha il potere di dire in che momento le mani si fermeranno, se ad un'ora mattutina o ad un'ora della sera. Questo è il solo tempo che possiedi. Allora vivi, ama, sorridi con entusiasmo. Non pensare a quello che è stato e non riporre la tua fiducia nel domani. Perché allora le mani potrebbero essere già ferme. Guardiamo alle cose che possiamo fare per avere più "momenti d'oro" fra di noi e con chi ci circonda ora. Non possiamo tirare indietro le lancette dell'orologio, ma possiamo trarre il massimo dal tempo che ci rimane! Pertanto, chiediamoci: come godersi la vita con entusiasmo traendo il massimo nello spazio di tempo che il Signore ci ha donato? Come svincolarsi da tutte le idee assurse su Dio e sulla vita, in particolar modo quella religiosa, che inibiscono la gioia di vivere e della salvezza? Se vogliamo costruire un’esistenza superiore, di significato, e vivere al meglio il tempo che ci rimane, io credo che la soluzione la possiamo trovare nella parola di Dio. Gesù disse alla donna samaritana «chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete» (Giovanni 4:14). Questa donna peccatrice, disorientata, disgustata dal suo peccato, disillusa dalla vita e desiderosa di una vita piena e felice, rappresenta il genere umano; i suoi desideri sono i nostri desideri; il grido del suo cuore è il nostro grido; il suo disinganno è il nostro e il suo peccato è il nostro peccato! Ma il suo Salvatore può essere anche il nostro Salvatore, il suo perdono, può essere il nostro perdono e la sua gioia, la nostra gioia. La samaritana non poteva fermare l’orologio della sua vita, né tanto meno, cambiare il suo ingeneroso passato, ma poteva fare l’unica cosa che gli era concessa da Cristo per gli anni che aveva ancora da vivere: orientare la sua vita tenendo conto dei quattro movimenti della fede cristiana, che sono: La grazia, l’adorazione, la comunità e il servizio. Ed è ciò che fece! I quattro movimenti della fede LA GRAZIA Lamentazioni 3:22 Il nostro Dio è il Dio della grazia e la grazia è parte del suo carattere divino. La grazia significa che Dio volge «il suo volto splendente di felicità» verso di noi e ci benedice con dei doni non meritati. Noi possiamo pregare per il suo intervento, ma la grazia non si può ottenere con la forza: è un beneficio dato liberamente da un superiore a un inferiore, dal potente al debole, da colui che è Santo al peccatore e trae la sua origine nell’amore e nella compassione. La Grazia enfatizza ciò che Dio ha fatto per noi. Questo include la vita di Cristo e la sua morte per noi, così come il suo amore e le sue cure, il perdono e l’accettazione che riceviamo in Cristo. La grazia può essere riassunta con: «Dio mi ama» (Is 54:10; Ger 31:3). Nel testo di Efesini capitolo 2 versi da 4 a 10, non solo la parola «grazia» ricorre molte volte, ma Paolo ci dice anche che la nostra condizione umana è disperata. Senza la grazia di Dio siamo morti, spiritualmente morti. Siamo schiavizzati e sedotti inevitabilmente nella spirale del peccato. Abbiamo bisogno di essere liberati, di tornare a essere l’unica proprietà del nostro vero Signore, che è nostro Creatore e Redentore. Una nuova vita, ed è ciò di cui non possiamo fare a meno. Ma al di fuori della grazia di Dio non c’è modo di ottenerla. In questo passo l’apostolo insegna tre cose: Primo, la salvezza è interamente per grazia. Lo stesso pensiero è enfatizzato tre volte: «è per grazia che siete stati salvati» (Ef 2:5,8). La seconda volta Paolo rafforza lo stesso concetto aggiungendo «e ciò non

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Vivere la Salvezza – Past. Francesco Zenzale

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I  quattro  movimenti  della  fede    

"I  cancelli  della  saggezza  e  della  conoscenza  sono  sempre  aperti"  (Giacomo  1:  5).  

 L'orologio   della   vita   si   carica   una   volta,   e   nessun   uomo   ha   il   potere   di   dire   in   che  momento   le  mani   si  fermeranno,  se  ad  un'ora  mattutina  o  ad  un'ora  della  sera.  Questo  è  il  solo  tempo  che  possiedi.  Allora  vivi,  ama,   sorridi   con   entusiasmo.  Non   pensare   a   quello   che   è   stato   e   non   riporre   la   tua   fiducia   nel   domani.  Perché  allora   le  mani  potrebbero  essere  già   ferme.  Guardiamo  alle  cose  che  possiamo  fare  per  avere  più  "momenti  d'oro"  fra  di    noi  e  con  chi  ci  circonda  ora.  Non  possiamo  tirare  indietro  le  lancette  dell'orologio,  ma  possiamo  trarre  il  massimo  dal  tempo  che  ci  rimane!    Pertanto,  chiediamoci:  come  godersi  la  vita  con  entusiasmo  traendo  il  massimo  nello  spazio  di  tempo  che  il  Signore  ci  ha  donato?    Come  svincolarsi  da  tutte  le  idee  assurse  su  Dio  e  sulla  vita,  in  particolar  modo  quella  religiosa,  che  inibiscono  la  gioia  di  vivere  e  della  salvezza?      Se   vogliamo   costruire   un’esistenza   superiore,   di   significato,   e   vivere   al  meglio   il   tempo   che   ci   rimane,   io  credo  che  la  soluzione  la  possiamo  trovare  nella  parola  di  Dio.  Gesù  disse  alla  donna  samaritana  «chi  beve  dell'acqua  che   io  gli  darò,  non  avrà  mai  più  sete»  (Giovanni  4:14).  Questa  donna  peccatrice,  disorientata,  disgustata  dal  suo  peccato,  disillusa  dalla  vita  e  desiderosa  di  una  vita  piena  e  felice,  rappresenta  il  genere  umano;   i  suoi  desideri  sono   i  nostri  desideri;   il  grido  del  suo  cuore  è   il  nostro  grido;   il   suo  disinganno  è   il  nostro  e  il  suo  peccato  è  il  nostro  peccato!  Ma  il  suo  Salvatore  può  essere  anche  il  nostro  Salvatore,  il  suo  perdono,  può  essere  il  nostro  perdono  e  la  sua  gioia,  la  nostra  gioia.    La   samaritana   non   poteva   fermare   l’orologio   della   sua   vita,   né   tanto  meno,   cambiare   il   suo   ingeneroso  passato,  ma  poteva  fare  l’unica  cosa  che  gli    era  concessa  da  Cristo  per  gli    anni  che  aveva  ancora  da  vivere:  orientare   la   sua   vita   tenendo   conto   dei   quattro   movimenti   della   fede   cristiana,   che   sono:   La   grazia,  l’adorazione,  la  comunità  e  il  servizio.  Ed  è  ciò  che  fece!    I  quattro  movimenti  della  fede    LA  GRAZIA   -­‐   Lamentazioni   3:22   -­‐     Il   nostro  Dio   è   il   Dio   della   grazia   e   la   grazia   è   parte   del   suo   carattere  divino.  La  grazia  significa  che  Dio  volge  «il  suo  volto  splendente  di  felicità»  verso  di  noi  e  ci  benedice  con  dei  doni  non  meritati.  Noi  possiamo  pregare  per  il  suo  intervento,  ma  la  grazia  non  si  può  ottenere  con  la  forza:  è  un  beneficio  dato  liberamente  da  un  superiore  a  un  inferiore,  dal  potente  al  debole,  da  colui  che  è  Santo  al  peccatore  e  trae  la  sua  origine  nell’amore  e  nella  compassione.      La  Grazia  enfatizza  ciò  che  Dio  ha  fatto  per  noi.  Questo  include  la  vita  di  Cristo  e  la  sua  morte  per  noi,  così  come   il  suo  amore  e   le  sue  cure,   il  perdono  e   l’accettazione  che  riceviamo   in  Cristo.  La  grazia  può  essere  riassunta  con:  «Dio  mi  ama»  (Is  54:10;  Ger  31:3).      Nel  testo  di  Efesini  capitolo  2  versi  da  4  a  10,  non  solo   la  parola  «grazia»  ricorre  molte  volte,  ma  Paolo  ci  dice  anche  che  la  nostra  condizione  umana  è  disperata.  Senza  la  grazia  di  Dio  siamo  morti,  spiritualmente  morti.   Siamo   schiavizzati   e   sedotti   inevitabilmente   nella   spirale   del   peccato.   Abbiamo   bisogno   di   essere  liberati,  di   tornare  a  essere   l’unica  proprietà  del  nostro  vero  Signore,  che  è  nostro  Creatore  e  Redentore.  Una  nuova  vita,  ed  è  ciò  di  cui  non  possiamo  fare  a  meno.  Ma  al  di  fuori  della  grazia  di  Dio  non  c’è  modo  di  ottenerla.    In  questo  passo  l’apostolo  insegna  tre  cose:    -­‐  Primo,   la  salvezza  è   interamente  per  grazia.  Lo  stesso  pensiero  è  enfatizzato  tre  volte:  «è  per  grazia  che  siete   stati   salvati»   (Ef   2:5,8).   La   seconda   volta   Paolo   rafforza   lo   stesso   concetto   aggiungendo  «e   ciò   non  

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Vivere la Salvezza – Past. Francesco Zenzale

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viene  da  voi,  è  il  dono  di  Dio».  E  prosegue  per  esser  sicuro  che  abbiamo  afferrato  l’idea:  «Non  è  in  virtù  di  opere  affinché  nessuno   se  ne   vanti»   (v.   9).   La   salvezza  è   sempre   il   libero  dono  di  Dio;   se  potesse  essere  acquistata  e  se  potessimo  aggiungervi  qualcosa,  la  grazia  non  sarebbe  più  tale.    -­‐  Secondo,  Paolo  presenta  la  salvezza  come  un  fatto  compiuto.  Per  la  grazia  di  Dio  siamo  già  salvati  (vv.  5,8).  Abbiamo   già   la   redenzione   e   il   perdono   dei   peccati   (Ef   1:7).   In   Cristo   siamo   già   stati   risuscitati   e   posti   a  sedere  nei  luoghi  celesti  (Ef  2:6;  cfr.  Col  3:1-­‐2).      -­‐  Terzo,  c’è  anche  una  dimensione  futura.  Ciò  che  Dio  ha  fatto  per  i  credenti,  che  è  una  realtà  attuale,  sarà  pienamente  conosciuto  solo  nelle  età  avvenire.  Per  quanto  già  salvati,  la  salvezza  finale  ci  è  ancora  davanti,  quando  non  solo  saremo  liberati  dal  potere  del  peccato,  ma  anche  dalla  sua  presenza.  Guardiamo  proprio  a  questa  conclusione  finale  (1  Co  13.12;  2  Co  3:18).    Proseguendo   con   il   testo   di   Efesini   scopriamo   che   la   grazia   di   Dio   non   si   limita   alla   nostra   salvezza.   Nel  capitolo  3  Paolo  parla  della  grazia  di  Dio  che  gli  ha  affidato  un  compito  e  un  ministero  particolari  (vv.  2,7).  Egli  aggiunge:  «A  me,  dico,  che  sono  il  minimo  di  tutti  i  santi,  è  stata  data  questa  grazia  di  annunziare  agli  stranieri  le  insondabili  ricchezze  di  Cristo»  (v.  8).    La  grazia  di  Dio  lo  aveva  reso  quale  egli  era:  una  nuova  persona  in  Cristo  (1  Cor  15:10).  Ma  non  cadiamo  in  errore!  Non  solo  Paolo  è  stato  chiamato  a  un  ministero  specifico,  ma  ciascuno  di  noi.  «A  ciascuno  di  noi  la  grazia  è  stata  data  secondo  la  misura  del  dono  di  Cristo»  aggiunge  l’apostolo  in  Efesi  4:7,  elencando  tutta  una  serie  di  doni  spirituali.  Per  la  grazia  di  Dio  ogni  singolo  credente  ha  ricevuto  almeno  un  dono  spirituale,  senza  merito  e  senza  alcuna  possibilità  di  vanto.  Questi  doni  sono  stati  dati  per  l’edificazione  del  corpo  di  Cristo,  la  chiesa,  per  aiutarla  a  crescere  spiritualmente  e  numericamente,  e  per  favorire  la  sua  unità  (vv.  12-­‐16).    Abbiamo   bisogno   della   grazia?   Sì,   senza   alcun   dubbio.   Ne   abbiamo   bisogno   per   la   nostra   salvezza.   Ne  abbiamo  bisogno  per  la  nostra  vita  quotidiana.  La  grazia  è  il  favore  di  Dio  che  ci  garantisce  il  necessario  per  la  vita  cristiana  e  per  il  servizio.  E  noi  lo  trasmettiamo  ad  altri.    «La  grazia  sia  con  tutti  quelli  che  amano  il  nostro  Signore  Gesù  Cristo  con  amore  inalterabile»  (Ef  6:24).    L’ADORAZIONE   –   Giovanni   4:   21-­‐24   -­‐   Questo   aspetto   si   focalizza   sulla   nostra   risposta   alla   grazia   di   Dio.  L’adorazione   è   presentata   come   un   impegno   totale   verso   Dio   e   include   l’ubbidienza,   l’osservanza   dei  comandamenti  di  Dio,  la  fedeltà,  così  come  anche  il  culto  e  la  lode  personale  e  collettiva.  «Io  amo  Dio»  è  la  base  per  l’adorazione  (Sl  18:  1;  116:  1).    La  vera  adorazione  va  oltre  le  forme,  i  canti  o  la  liturgia.  È  in  un  certo  senso  un’opera,  un’espressione  della  gratitudine  umana  per  quello  che  Dio  è  e  per  le  grandi  cose  che  ha  fatto  per  noi  mediante  Cristo.  Giovanni  disse:  «Questo  è   l’amore  di  Dio,   che  osserviamo   i   suoi   comandamenti»   (1  Gv  5:3);   anche  noi   riveliamo   il  nostro   amore   per   Dio   adorandolo,   un’espressione   d’amore   diversa   rispetto   all’osservanza   dei  comandamenti,  ma  comunque  una  nostra  espressione.  Gesù  si  riferiva  certamente  a  questo  quando  disse  che  avrebbe  adorato  il  Signore  in  «spirito  e  verità».    L’adorazione,  come  ogni  altra  cosa  ripetitiva,  rischia  di  diventare  un  gesto  monotono  e  meccanico.  Quando  smettiamo   di   adorare   Dio   in   «spirito   e   verità»,   cioè   con   amore   sincero   e   di   gratitudine   per   ciò   che  rappresenta  e  che  ha  fatto,  la  nostra  adorazione  rischia  di  seguire  percorsi  devianti.      I   servizi   del   tempio   all’epoca   di   Gesù   erano   diventati   freddi,   formali,   fastosi   e   commerciali.   Oggi   può  accadere   la   stessa   cosa,   con   il   rischio   di   trasformarli   in   un’occasione   per   ricrearsi   o   una   specie   di  intrattenimento   sociale   e   il   Signore   potrebbe   rivolgersi   anche   a   noi   dicendo:   «Poiché   questo   popolo   si  

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avvicina  a  me  con  la  bocca  e  mi  onora  con  le  labbra,  mentre  il  suo  cuore  è  lontano  da  me  e  il  timore  che  ha  di  me  non  è  altro  che  un  comandamento  imparato  dagli  uomini»  (Is  29:13).    I   primi   cristiani   vissero   intensi   momenti   di   adorazione   comune   contrassegnati   dalla   gioia,   nei   (meglio:  durante  i)  quali  si  parlava  con  fierezza  della  Parola  di  Dio.  Essi  traevano  incoraggiamento  e  forza  ascoltando  le   reciproche   esperienze   di   fede,   testimonianza   e   amore   per   Dio.   Ed   è   quello   che   anche   noi   dovremmo  provare:  attingere  fede,  speranza  e  incoraggiamento  dagli  altri  e  viceversa.  L’adorazione  comunitaria  deve  avvicinarci  a  Dio  e  tra  di  noi;  deve  farci  sentire  il  desiderio  di  proclamare  la  buona  novella  di  Cristo  che  ci  ha  salvati   con   la   sua   crocifissione.     Se   non   è   questo   ciò   che   viviamo,   significa   che   non   abbiamo   adorato;  abbiamo  semplicemente  finto  di  svolgere  un  servizio  religioso.    Ed   infine   l’adorazione   comunitaria   deve   essere   preceduta   da   quella   personale,   che   per   certi   versi   è   più  importante.  Il  Signore  Gesù,  per  insegnamento  e  per  esperienza,  ci  invita  ad  adorare  Dio  in  “spirito  e  verità”  tutti   i   giorni  della  nostra  vita,   riservando,  nel   corso  della  giornata,  dei  momenti  particolari  per   la   lode,   la    gratitudine  e  i  nostri  bisogni  (Mt  6:6;  14:33;  Dn  6).      È   dunque   saggio   adorare   il   nostro   Dio   iniziando   e   concludendo   le   nostre   giornate   con   la   preghiera   di  ringraziamento  e  di  lode  e  lavorando  come  se  fossimo  in  sua  presenza.  I  suoi  angeli  sono  sempre  al  nostro  fianco  per  annotare  le  nostre  parole  e  il  modo  in  cui  lavoriamo.  Non  crediamo  mai  che  Cristo  sia  lontano:  Egli  è  sempre  vicino  e  desidera  che  camminiamo  con  lui  stabilmente  (Mt  28:20;  Eb  13:5).      LA   COMUNITÀ   –   Efesi   2:   19-­‐22   -­‐   "Per   quanto   debole   e   manchevole   possa   apparire,   la   chiesa   è   l'unico  oggetto   su   cui   Dio   posi   il   suo   sguardo   supremo   in  modo   del   tutto   particolare.   Essa   è   il   teatro   della   sua  grazia,  in  cui  Egli  si  diletta  di  rivelare  il  suo  potere  che  trasforma  i  cuori".1      Pertanto,  i  membri  della  famiglia  di  Dio  si  amano  e  si  prendono  cura  l’uno  dell’altro.  La  comunità  parte  dalla  propria   famiglia   fino   a   includere   la   più   grande   famiglia   che   è   la   chiesa.   La   dinamica   della   comunità  sottolinea  il  principio:  «Amiamoci  gli  uni  gli  altri»  (Gv  13:34;  1  Pt  1:22).    “Amiamoci   gli   uni   gli   altri”   è   un   imperativo,   una     "condicio   sine   qua   non"   senza   la   quale   resta   difficile  definirsi  comunità  per  il  regno  di  Dio  o  “fratelli  e  sorelle”.      L’apostolo   Paolo   evidenzia   che:   tutta   la   legge   è   adempiuta   in   quest'unica   parola:   «Ama   il   tuo   prossimo  come  te  stesso»  (Galati  5:    14)  e  Giovanni  afferma  che  “se  uno  dice:  «Io  amo  Dio»,  ma  odia  suo  fratello,  è  bugiardo;  perché   chi  non  ama   suo   fratello   che  ha  visto,  non  può  amare  Dio   che  non  ha  visto,    pertanto,  questo   è   il   comandamento   che   abbiamo   ricevuto   da   lui:   che   chi   ama   Dio   ami   anche   suo   fratello”.  (1Giovanni  4:  20-­‐21).    Secondo   la   Parola   di   Dio,   “i   doveri   del   cristiano   verso   i   suoi   fratelli   spirituali   si   riassumono   nell’amore  fraterno,  che  si  presenta  sotto  varie  forme:    a.  La  sottomissione  reciproca  (Efesini  5:21;  Pietro  5:5).  b.  La  «tolleranza  reciproca»  (Filippesi  3:15,16;  Romani  14:1),  tolleranza  che  ha  però  dei  limiti  (Efesini  6:24;1  Corinzi  16:22).  c.  La  «confessione  reciproca»  e  il  «perdono  delle  offese»  (Giacomo  5:16;  Efesini  4:32).  d.  Il  «servizio»  (1  Corinzi  12:7;  1  Pietro  4:10)  che  comprende  la  «sollecitudine»  (Ebrei  10:24),  la  «preghiera»  (Efesini  6:18),  l’«influsso  del  buon  esempio»  (Filippesi  3:17;  2  Tessalonicesi  3:9),  l’«esortazione»  (Ebrei  3:13;  10:25),   l’«edificazione»   (1  Tessalonicesi  5:11),   la  «consolazione»   (4:18)  e   la  «riprensione   fraterna»   (Galati  6:1).  e.  La  «generosità»  (Galati  6:10).  Questa  dev’essere  praticata  verso  tutti,  ma  specialmente:  

                                                                                                                         1  Actes  of  the  Apostles,  p.  12.  Tr.  fatta  dall'inglese.  Tr.  italiana  in  Gli  uomini  che  vinsero  un  impero,  [Falciani  -­‐  Impruneta:  Edizioni  AdV,  1989],  p.  8).      

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-­‐  verso  i  predicatori  del  Vangelo  (Galati  6:6).  -­‐  verso  i  poveri  (2  Corinzi  9:5-­‐14).  -­‐  verso  i  fratelli  di  passaggio  (Ebrei  13:1,2)”.2  

 In   una   celebre   immagine   paolina   la   chiesa   è   definita   come   “il   corpo   di   Cristo”;   questa   espressione   offre  un’idea  chiara  dello  spirito  di  unità,  di  simpatia,  di   tolleranza  e  d’amore  che  deve  regnare   fra  coloro  che,  sapendosi  salvati  dalla  grazia  divina,  si  uniscono  per  compiere  la  sua  missione.  L’esperienza  cristiana  senza  la  comunità  è  imperfetta  perché  manca  di  una  dimensione  essenziale,  quella  orizzontale.      Ma   spesso,   la   vita   ecclesiale   (e   familiare)   è   appesantita  dalle  molteplici   debolezze  umane:   la   litigiosità,   il  sospetto,   le   ristrettezze   mentali,   le   tradizioni,   la   stravaganza,   il   formalismo,   i   pensieri   e   una   lingua  indisciplinata,  ecc..      Con   ragione   l’apostolo   Paolo   scriveva:   “Nessuna   cattiva   parola   esca   dalla   vostra   bocca;   ma   se   ne   avete  qualcuna  buona,  che  edifichi  secondo  il  bisogno,  ditela  affinché  conferisca  grazia  a  chi  l'ascolta…  Via  da  voi  ogni   amarezza,   ogni   cruccio   e   ira   e   clamore   e   parola   offensiva   con   ogni   sorta   di   cattiveria!   Siate   invece  benevoli  e  misericordiosi  gli  uni  verso  gli  altri,  perdonandovi  a  vicenda  come  anche  Dio  vi  ha  perdonati   in  Cristo…  Siate  dunque  imitatori  di  Dio…”  (Efesini  4:29,31-­‐32;  5:1).    Pertanto,   «se   uno   pensa   d’essere   religioso   e   non   tiene   a   freno   la   sua   lingua  ma,   seduce   il   cuor   suo,   la  religione  di  quel   tale  è  vana»(Giacomo  1:16).  Non  vorrei  essere  negativo  o  erigermi  a  giudice,  ma  questo  verso  ci  dice  molto  chiaramente  che  una  gran  parte  del  nostro  servizio  rischia  d’essere  insignificante  anche  se   ci   diamo   da   fare   per   servire   il   Signore.     Infatti,   la   Parola   di   Dio   ci   dice:   «Se   non   tieni   la   lingua   sotto  controllo,  il  tuo  servizio  non  ha  alcun  valore».      Scriveva  M.   L.   King:   “L’uomo  ha   imparato   a   volare   oltre   le   nuvole   dagli   uccelli,   ha   imparato   a   nuotare   e  scoprire  le  bellezze  del  mare  dai  pesci,  ma  non  ha  imparato  a  vivere  insieme  come  fratelli  e  sorelle”.    Il  credente  è  chiamato  a  percorrere  il  suo  cammino  con  gli  altri  suoi  fratelli  per  crescere  insieme  seguendo  le   orme   di   Gesù   Cristo   e   quindi   abbiamo   bisogno   di   imparare   ad   amare   l’altro,   offrendogli   il   diritto   di  esistere,  di  pensare,  di  agire  diversamente  da  me  e  interagire  come  fratello  e  sorella  con  la  mia  diversità  e  nel  reciproco  rispetto.      Pertanto  è  importante  coltivare  l’abitudine  di  parlare  bene  degli  altri.  Soffermandosi  sulle  buone  qualità  di  coloro  che  ci  sono  vicini  e  cercare  di  minimizzare,  per  quanto  è  possibile  i  loro  errori  e  i  loro  difetti”3      L’amore   è   l’unica   esperienza   in   cui   abbassiamo   le   armi,   smettiamo   di   avere   paura   e   ostilità   e   possiamo    abbandonarci  fiduciosi  all’altro  come  il  bambino  nelle  braccia  della  madre.    All’interno   del   recinto  meraviglioso   dell’amore   di   Dio   assaporiamo   il   piacere   dell’innocenza   del   paradiso  terrestre   e   quello   del   regno   di   Dio,   dove   è   bandito   ogni   male.   Ed   è   solo   l’amore   che   cementa   la   vita  comunitaria   che   ne   fa   la   solida   nave   con   cui   affrontare   il   mare   in   tempesta.   Se   siamo   così   fortunati   da  costituire  una  comunità  unita,   il  nostro  viaggio  non  è  più  solitario.  Siamo  un  equipaggio  che  muove  verso  una  meta  comune:  il  regno  di  Dio.    Il  SERVIZIO  -­‐  Atti  1:8;  Apocalisse  2:  19;  14:6  -­‐    è  l’amore  ricevuto  da  Dio  e  restituito  a  lui  e  alla  comunità  e  portato   al   mondo   intero,   a   tutti   coloro,   cioè,   che   non   hanno   la   stessa   nostra   fede.   Esso   include  evangelizzazione  e  testimonianza  e  altre  attività  con  le  quali  possiamo  aiutare  gli  altri,  anche  coloro  che  non  credono  perché  «Noi  amiamo  anche  te».                                                                                                                              2  G.  Marrazzo,  Ascolta  la  Parola,  cap.  “La  chiesa”  ed,  AdV,  Impruneta  (Fi).  3  E.G.  White,  Sulle  Orme  del  Gran  Medico,  p.  212  

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Vivere la Salvezza – Past. Francesco Zenzale

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Hansey,   scrive:   “Ogni   cristiano,   uomo   e   donna,   è   un   predicatore,   sia   egli   giovane   o   vecchio,   padrone   o  servo,  padrona  o  serva,  erudito  o  illetterato.  Parlando  propriamente,  tutti  i  cristiani  fanno  parte  dell’ordine  ecclesiastico  e  non  c’è  fra  loro  alcuna  differenza,  tranne  quella  risultante  dai  loro  diversi  rami  di  attività”.4      Questo  è  vero  solo  ad  una  condizione:  che  ogni  cristiano  porti  nel  cuore  e  nella  vita   i  segni  evidenti  della  conversione:  l’amore  di  Dio  e  la  passione  per  le  anime.    Io  credo  che  “la  chiesa  deve  operare  in  favore  della  salvezza  dell’uomo.  Essa  è  stata  organizzata  per  servire;  la   sua  missione  consiste  nel  portare   il  Vangelo  al  mondo;   il   suo  scopo  è  quello  di   riflettere  nel  mondo   la  pienezza   e   la   perfezione   della   natura   divina.   I   suoi  membri,   che   Dio   ha   chiamato   dalla   tenebre   alla   sua  meravigliosa  luce,  devono  rivelarne  la  gloria  “...  “La  volontà  di  Dio  è  che  il  suo  popolo  rechi  benedizione  al  mondo.  Dio   trasformò  Giuseppe   in  una   fonte  di   vita  per   gli   antichi   egiziani  e  per   la   sua     famiglia,   i   quali  dovettero   la   loro   sopravvivenza   all’integrità   di   quell’uomo.   Attraverso  Daniele,   Dio   salvò   la   vita   di   tutti   i  saggi   di   Babilonia.   Ecco   il   senso  di   queste  benedizioni   spirituali   che   il  mondo  ha   ricevuto  da  uomini   che,  come  Giuseppe  e  Daniele,  hanno  vissuto  in  comunione  con  Dio.  Chiunque  abbia  accettato  Gesù  nel  proprio  cuore,  manifesta   l’amore  di  Dio   per   il  mondo  e   collabora   con   lui   per   il   bene  dell’umanità.   Chi   riceve  dal  Salvatore  la  grazia  da  offrire  agli  altri,  emanerà  da  tutta  la  sua  persona  un  flusso  di  spiritualità”.5          Illustrazione    C’era   una   vedova   che   soffriva   di   tutte   le   malattie   che   esistono   in   questo   mondo.   E   così   visitava  regolarmente   il  medico.  Verso  Natale,   l’inverno  era  rigido,  e   la  donna  si  sentiva  morire.  Ancora  una  volta  quell’anno   ritornò   dal   medico.   Incominciò   a   dirgli:   “Dottore,   questa   sarà   l’ultima   volta   che   verrò”.  “Perché?”  domandò  il  medico.  “Perché  non  vivrò  a  lungo”.    Il  medico   le  prescrisse   la  solita   ricetta  e  dopo  scrisse  qualcosa  su  un   foglio  di  carta,  e  consegnò   i  pezzi  di  carta  alla  donna  che  lesse  entrambi,  ma  vide  che  in  uno  c’era  scritto  semplicemente  un  indirizzo.  Il  medico  confermò,   dicendo:   “Sì,   é   un   indirizzo.   Le   chiedo   di   visitare   queste   persone.   Sono   una   famiglia   che   vive  molto  peggio  di  lei.  Sono  certo  che  la  sua  visita  farà  loro  del  bene”.    La   donna   se  ne   andò  un  po’   seccata;   quando  arrivò   a   casa,   lesse  di   nuovo   l’indirizzo   e   disse   tra   sé   e   sé:  “Siccome  non  ho  nulla  da  fare,  né  da  perdere,  vado”.  Tra  l’altro,  era  anche  abituata  a  fare  tutto  ciò  che  il  medico  le  raccomandava.    Si   avviò!  Arrivata   in  quella   casa   trovò  una   coppia   con  due  bambini.   La   salute  di   questi   era  molto   fragile.  Vivevano  anche  male.  La  casa  non  era  nient’altro  che  una  piccola  cucina.  Dopo  aver  visto  questo,  uscì  ed  andò   ad   un   supermercato   a   comprare   tutto   ciò   che   le   sembrava   necessario   per   quella   coppia   e   i   loro  bambini.  Inoltre  decise  di  trascorrere  la  notte  di  Natale  con  loro.  Preparò  un  eccellente  pranzo,  mangiarono  insieme  e  chiacchierarono.  Allora  sentì  che  la  vita  aveva  ancora  un  senso  per  lei.    Al   termine   del   mese   di   Gennaio   ritornò   dal   medico.   Questi   quasi   non   la   riconosceva.   E   chiese:   “Che   é  successo  Signora?  Ha  un  bellissimo  aspetto.  Vedo  che  il  Natale  le  ha  fatto  del  bene”!  “Sì,  ha  ragione,      Dottore.  Devo  dirvi  che  é  stato  il  Natale  migliore  della  mia  vita.  Ho  anche  un  gran  desiderio  di  vivere”.    

                                                                                                                         4  J.  A.  Hensey,  The  Layman  and  the  Itinerancy,  p.  19.  5  E.  G.  White,  Gli  uomini  che  vinsero  un  impero,  p.7,  9  

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Vivere la Salvezza – Past. Francesco Zenzale

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“Qualunque  sia   la  vocazione   terrena  di  un  uomo,   la   sua  prima  preoccupazione  dovrebbe  essere  quella  di  conquistare  delle  anime.   Il  ministero  non  consiste  esclusivamente  nella  predicazione.  Chi  assiste   i  malati,  aiuta  i  bisognosi,  consola  gli  scoraggiati  e  i  deboli  nella  fede  esercita  pure  un  ministero”  (Giacomo  1:27)  .6        In  breve,  «…Più  felice  cosa  è  il  dare  che  il  ricevere».  Io  credo  che  questo  sia  vero,  che  la  vita  ha  senso  solo  quando  ci  doniamo,  quando  amiamo  e  ci  lasciamo  amare.  Dio  ci  ha  creati  per  questo  proposito.    Se  vogliamo  godere  della  pace  interiore,  della  piena  felicità,  dobbiamo  organizzare  la  nostra  vita  orientando  la   nostra   persona   secondo   ciò   che   dice   la   Bibbia.   Questo   ci   aiuterà   non   solo   spiritualmente,   ma   anche  fisicamente  ed  emotivamente.      Non  amare  significa  morire,  ovvero  si  vive  come  se   fossimo  già  morti.   Le  persone  che  professionalmente  hanno  successo,  ma  che  non  hanno  scoperto  la  vera  dimensione  dell’amore,  vivono,  sì,  ma  come  se  fossero  morte.  “L'uomo  buono  fa  del  bene  a  se  stesso,  ma  il  crudele  tortura  la  sua  propria  carne”  (Proverbi  11:17).    Concludendo  questo  breve  excursus  su  i  quattro  movimenti  della  fede,  ritorniamo  all’episodio  della  donna  samaritana.   “Ecco   una   persona   che   cerca   disperatamente   di   nascondersi.   Ne   ha   di   ragioni:   vive   una   vita  disordinata!  Per  paura  di  incrociare  gli  sguardi  carichi  di  severità,  si  reca  al  pozzo  nell’ora  più  calda,  quando  tutti  si  concedono  un  riposino  dopo  aver  mangiato!      Gesù  desidera  trasmetterle  la  vita,  quella  autentica…  quella  che  libera  dalla  paura,  dalle  fughe,  dalla  colpa7  e  dalle   rotture.  Ha  proprio  tanto  da  offrirle  e  da  dirle!  Eppure  si  mostra  a   lei  non  come  un  donatore,  ma  come  un  mendicante:  «Dammi  da  bere»  (Gv  4:7).  Niente  è  più  gratificante  che  trovarsi  nella  posizione  di  qualcuno  che  può  dare  qualcosa  all’altro.  A  maggior  ragione  davanti  a  una  richiesta  esplicita.  Poiché  colui  che  dona  viene  riconosciuto  dall’altro  ed  è  come  se  dicesse:  «Tu  accetti  di  ricevere  qualcosa  da  me,  dunque  io  esisto»!  La  samaritana,  senza  dubbio,  disprezzata  e  umiliata,  si  trova  immediatamente  nella  situazione  di  colei  che  può  donare  qualcosa  a  Gesù!  Prima  di  colmare  la  sua  vita  con  la  grazia,  Gesù  desidera  che  questa  donna  possa  esistere”  (Past.  Thierry  Lenoir).  È  per  grazia  che  siamo  stati  salvati,  ovvero  che  abbiamo  modo  di  esistere,  di  vivere,  di  pensare  e  di  interagire.    La  samaritana,  nella  solitudine  e  immersa  nel  suo  dolore,  incontra  la  Grazia;  per  fede  beve  “l’acqua  della  vita”   e   per   fede   comprende   il   vero   senso   dell’adorazione,   accettando   la   persona   di   Gesù   e   i   suoi  insegnamenti,  liberandosi  da  tutto  ciò  che  inibiva  la  gioia  della  salvezza  e  adorando  Dio  in  “spirito  e  verità”.  Pervasa  dalla  ricchezza  della  grazia,  riscopre  il  senso  della  comunità  e  per  fede  corre  verso  coloro  che  fino  a  quel   giorno   l’avevano   emarginata;   quest’ultimi   si   rendono   conto che   non   era   più   la   stessa   persona   che  conoscevano  e  si  lasciano  coinvolgere  dalla  Grazia  reintegrandola.        Scrive   l’apostolo  Paolo:  «è  per  grazia  che  siete  stati   salvati,  mediante   la   fede;  e  ciò  non  viene  da  voi;  è   il  dono   di   Dio.   Non   è   in   virtù   d’opere   affinché   nessuno   se   ne   vanti»   (Ef   2:8-­‐9).   Mediante   la   fede   non  «otteniamo»  la  salvezza,  ma  piuttosto,  la  manifestiamo  mentre  accettiamo  la  salvezza  senza  meritarla.  Dio  viene   incontro   a   noi   senza   esigere   prima   da   noi   «un   buon   comportamento».   Prima   ci   accoglie,   poi   ci  insegna  a  vivere.  Questa  verità  basilare  si  definisce   in   teologia  «giustificazione  per   fede».  Dio  ama,  salva,  redime,   recupera,   restaura.  Egli     rende  possibile   la   salvezza,   la  pace,   l’equilibrio   interiore,   in  ciascuno  dei  suoi  figli,  grazie  alla  potenza  dello  Spirito  Santo.  «Giustificati  per  fede  abbiamo  pace  con  Dio,  per  mezzo  di  Gesù  Cristo»  (Romani  5:  1).  

                                                                                                                         6  E.  G.  White,  La  Speranza  dell’Uomo,  p.  543  7  Il  corsivo  è  mio