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PERIODICO DI INFORMAZIONE E CULTURA DELLA PRO LOCO - TIGGIANO Anno X, Numero 1 - Tiggiano, Febbraio 2010 - Distribuzione Gratuita di Piera Miglietta Continua a pag. 2 di Alfredo De Giuseppe L a recente attenzione sul canile di Tri- case, con i riflettori di “Striscia la no- tizia” a documentare lo stato dei fatti, ci porta a fare alcune considerazioni. Innan- zitutto i canili stessi: chi non vede le forme proprie dei lager è un cieco. Lo sono co- munque, qualunque sia la gestione dello stesso, perché tenere fra i 400 e i 500 cani chiusi in piccole gabbie, vuol dire condan- nare alla peggiore delle sofferenze proprio gli animali. Anche se si dovesse dar da mangiare scatolette di lusso e dargli un gia- ciglio riscaldato, resta il vincolo della pri- gionia per una colpa non commessa. Qual è in definitiva la colpa di questi poveri cani? Non essere di razza pura, magari del- l’ultima moda, dettata dall’ultima foto del- l’ultimo potente della terra? Oppure più semplicemente di non avere un padrone, un umano che si prenda cura di lui? Questa è la colpa per cui è costretto a vivere recluso per il resto dei suoi giorni? Questo do- vrebbe essere il punto di partenza di un ani- malista che si intenerisce per le sorti di un animale: abolire in modo definitivo tutte le strutture che abbiano il senso della soffe- renza, specie quelle di lunga permanenza. Chi invece si mette dalla parte della società umana così come la conosciamo oggi, in- travede nel canile la soluzione al problema del randagismo, l’unica soluzione possi- Il canile che non vorremmo bile, la soluzione finale. Non si pone altri problemi, l’homo italicus del duemila, e vede nel canile il posto dove un problema viene rimosso e diviene inesistente. Ci sarebbero invece da fare altre cose, come in molti paesi civili avviene: a) sterilizzare i cani randagi è molto più economico che tenerli in cattività; creare una squadra speciale per tale operazione sarebbe relativamente semplice; nel breve giro di pochi anni non ci sarebbero più randagi; b) il canile potrebbe essere un posto dove con facilità andare a scegliersi un cane per adottarlo e invece la burocrazia ha reso complessa anche una pratica così semplice; c) punire in modo esemplare chi abban- dona un animale; d) sopprimere, come si dovrebbe fare per un semplice gesto di pietà, i cani randagi che hanno malattie degenerative o di zop- pia; è un gesto che a malincuore per secoli l’uomo ha fatto con tutti gli animali dome- stici, ad iniziare dal cavallo: l’accanimento terapeutico è già una forzatura inutile sul- l’uomo, immaginarsi su un cane. (Ora per legge i canili non possono sopprimere gli animali). Dobbiamo partire dal presupposto che uomo, cane, cavallo, lucertola o vipera debbano vivere bene: è importante non for- zare il normale processo vitale, né in senso negativo e neanche in senso “positivo”. Ma questa cultura va diffusa a tutti i livelli e invece noi siamo in un circolo vizioso per cui può succedere (succede ogni giorno) che un uomo possegga una cagna, questa faccia il suo mestiere e metta al mondo cin- L unedì 4 gennaio nella Cattedrale di Ugento, Fabrizio Gallo da Ugento, Giorgio Margiotta di Tiggiano, Antonio Riva da Tiggiano sono stati ordinati Dia- coni, ossia prossimi Sacerdoti. Ora, che due comunità in contemporanea abbiano espresso ben tre testimonianze di fede è un fatto che commuove la cerchia dei fedeli. Ma è altrettanto certo che a com- muoversi sarebbe stato chiunque, anche il più disincantato dei non credenti, se solo avesse assistito alla scena madre della ce- rimonia. Chi non c’era, immagini una navata gremi- tissima eppure calata nel silenzio totale. Al centro tre giovani in tunica bianca e oro, prostrati a terra nella direzione dell’altare. E fra i due poli Lui, il Vescovo, il Pastore Sofferente che, contro il parere dei medici, era riuscito ad essere lì, accanto ai suoi figli discepoli, giunti ad un passo dal Sacerdozio. Sotto la tiara all’ombra del Pastorale, il profilo che si intravedeva era quello di uno spirito forte, che vuole averla vinta sulla fragilità fisica per non offuscare la gioia di un premio. Il premio erano quelle tre giovinezze che, vocate alla missione, avevano trovato nei seminari di Molfetta e Ugento la guida si- cura per il cammino verso il Sacerdozio. E il loro Pastore era lì a gioire con loro. E a pregare per loro nella consapevolezza di quanto sia ardua la strada che li attende. Esaltante certo, ma in salita, perché calata in una società che pare navigare a vista in un mare di contraddizioni: vette di ric- chezze accanto a sacche di povertà estrema. Quindi edonismo a tutto gas accanto a ri- nunce paralizzanti. In mezzo, la gioventù abbagliata dalle illu- sioni tipiche dell’età, ma anche da quelle di un mercato astutissimo, che sembra offrire tutto. E subito dopo presenta il conto della mancanza di lavoro. Ad una società così combinata occorre certo e in fretta una Politica ad alto profilo, ma occorre anche una Chiesa che sappia parlare più direttamente al cuore. Una Chiesa meno dogmatica e più evangelica, che giorno dopo giorno tenga vivo ed ope- rante il primitivo e splendido messaggio cristiano. Le nuove leve Sacerdotali sono ottima ga- ranzia perhè questo si verifichi. Bianca Paris U n’emozione che si rinnova ogni anno. Un evento che promana spiritualità e amore per la vita gra- zie all’impegno ap- passionato di Franco Simone nel tenere vivo il ricordo del- l’amatissimo sacer- dote missionario Don Tito Oggioni Macagnino, morto in Africa nel 2002, dopo un’esistenza interamente de- dicata agli ultimi. Così per il sesto anno consecutivo, l’artista è tornato ad Acquarica del Capo, suo paese d’origine, e ha dato vita il 6 gennaio scorso, nella chiesa di Cristo Risorto, a un concerto di grande intensità emotiva, proponendo una nuova edizione del “Canto d’amore, le arie sacre nel mondo dal 1500 ad oggi”, ese- guito insieme a un quartetto di raffinati mu- sicisti: Maurizio Mariano al piano, Salvatore Russo alle chitarre, Gianluca Pa- nareo alle percussioni, Roberto Panareo alle tastiere. Artista colto e impegnato, Franco Simone ha offerto al pubblico un’interpretazione ricca di pathos con un’intensa riflessione sull’essenza metafisica e sul carattere uni- versale della musica. La sensibilità umana e artistica del cantau- tore salentino, conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, continua a manifestarsi in tutta la sua purezza poetica, filosofica e sti- listica, suscitando in chi ascolta emozioni autentiche. Il concerto benefico dedicato a Don Tito, il cui mirabile esempio costituisce un solido paradigma morale per laici e cattolici, ha avuto quest’anno come ospite d’eccezione il Vescovo della diocesi di Ugento Monsi- gnor Vito De Grisantis, che ha seguito lo spettacolo in collegamento. “ Ringrazio tutti i sa- cerdoti - ha detto commosso Monsi- gnor De Grisantis - tra i quali il più pre- sente è sempre lui, il nostro Don Tito. Ringrazio anche Franco Simone per la partecipazione e il profondo amore che mette nelle sue can- zoni.” Sulla scia di questo esempio etico la comunità di Acquarica ha scelto di premiare Don Vito Spinelli, viceparroco di Don Tito negli anni 60 e 70, per “la grande voglia di fare del bene e di donarsi agli altri”. Un ri- conoscimento speciale è stato poi conferito a Don Beniamino Nuzzo per i dieci anni tra- scorsi al servizio della parrocchia di Acquarica. FRANCO SIMONE canto d’amore per DON TITO LA COMUNITA’ SALUTA CON AFFETTO AMMIRAZIONE E UN PIZZICO DI ORGOGLIO I SUOI DUE DIACONI

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PERIODICO DI INFORMAZIONE E CULTURADELLAPRO LOCO - TIGGIANO Anno X, Numero 1 - Tiggiano, Febbraio 2010 - Distribuzione Gratuita

di Piera Miglietta

Continua a pag. 2

di Alfredo De Giuseppe

La recente attenzione sul canile di Tri-case, con i riflettori di “Striscia la no-

tizia” a documentare lo stato dei fatti, ciporta a fare alcune considerazioni. Innan-zitutto i canili stessi: chi non vede le formeproprie dei lager è un cieco. Lo sono co-munque, qualunque sia la gestione dellostesso, perché tenere fra i 400 e i 500 canichiusi in piccole gabbie, vuol dire condan-nare alla peggiore delle sofferenze propriogli animali. Anche se si dovesse dar damangiare scatolette di lusso e dargli un gia-ciglio riscaldato, resta il vincolo della pri-gionia per una colpa non commessa. Qualè in definitiva la colpa di questi povericani? Non essere di razza pura, magari del-l’ultima moda, dettata dall’ultima foto del-l’ultimo potente della terra? Oppure piùsemplicemente di non avere un padrone, unumano che si prenda cura di lui? Questa èla colpa per cui è costretto a vivere reclusoper il resto dei suoi giorni? Questo do-vrebbe essere il punto di partenza di un ani-malista che si intenerisce per le sorti di unanimale: abolire in modo definitivo tutte lestrutture che abbiano il senso della soffe-renza, specie quelle di lunga permanenza.Chi invece si mette dalla parte della societàumana così come la conosciamo oggi, in-travede nel canile la soluzione al problemadel randagismo, l’unica soluzione possi-

Il canile che non vorremmo

bile, la soluzione finale. Non si pone altriproblemi, l’homo italicus del duemila, evede nel canile il posto dove un problemaviene rimosso e diviene inesistente.Ci sarebbero invece da fare altre cose,come in molti paesi civili avviene:a) sterilizzare i cani randagi è molto piùeconomico che tenerli in cattività; creareuna squadra speciale per tale operazione

sarebbe relativamente semplice; nel breve girodi pochi anni non ci sarebbero più randagi;b) il canile potrebbe essere un posto dovecon facilità andare a scegliersi un cane peradottarlo e invece la burocrazia ha resocomplessa anche una pratica cosìsemplice;c) punire in modo esemplare chi abban-dona un animale;d) sopprimere, come si dovrebbe fare perun semplice gesto di pietà, i cani randagiche hanno malattie degenerative o di zop-pia; è un gesto che a malincuore per secolil’uomo ha fatto con tutti gli animali dome-stici, ad iniziare dal cavallo: l’accanimentoterapeutico è già una forzatura inutile sul-l’uomo, immaginarsi su un cane. (Ora perlegge i canili non possono sopprimere glianimali).Dobbiamo partire dal presupposto cheuomo, cane, cavallo, lucertola o viperadebbano vivere bene: è importante non for-zare il normale processo vitale, né in sensonegativo e neanche in senso “positivo”. Maquesta cultura va diffusa a tutti i livelli einvece noi siamo in un circolo vizioso percui può succedere (succede ogni giorno)che un uomo possegga una cagna, questafaccia il suo mestiere e metta al mondo cin-

Lunedì 4 gennaio nella Cattedrale diUgento, Fabrizio Gallo da Ugento,

Giorgio Margiotta di Tiggiano, AntonioRiva da Tiggiano sono stati ordinati Dia-coni, ossia prossimi Sacerdoti.Ora, che due comunità in contemporaneaabbiano espresso ben tre testimonianze difede è un fatto che commuove la cerchiadei fedeli. Ma è altrettanto certo che a com-muoversi sarebbe stato chiunque, anche ilpiù disincantato dei non credenti, se soloavesse assistito alla scena madre della ce-rimonia.Chi non c’era, immagini una navata gremi-tissima eppure calata nel silenzio totale. Alcentro tre giovani in tunica bianca e oro,prostrati a terra nella direzione dell’altare.E fra i due poli Lui, il Vescovo, il PastoreSofferente che, contro il parere dei medici,era riuscito ad essere lì, accanto ai suoi figlidiscepoli, giunti ad un passo dal Sacerdozio.Sotto la tiara all’ombra del Pastorale, ilprofilo che si intravedeva era quello di uno

spirito forte, che vuole averla vinta sullafragilità fisica per non offuscare la gioia diun premio.Il premio erano quelle tre giovinezze che,vocate alla missione, avevano trovato neiseminari di Molfetta e Ugento la guida si-cura per il cammino verso il Sacerdozio. Eil loro Pastore era lì a gioire con loro. E apregare per loro nella consapevolezza diquanto sia ardua la strada che li attende.Esaltante certo, ma in salita, perché calatain una società che pare navigare a vista inun mare di contraddizioni: vette di ric-chezze accanto a sacche di povertàestrema.Quindi edonismo a tutto gas accanto a ri-nunce paralizzanti.In mezzo, la gioventù abbagliata dalle illu-sioni tipiche dell’età, ma anche da quelle diun mercato astutissimo, che sembra offriretutto. E subito dopo presenta il conto dellamancanza di lavoro.Ad una società così combinata occorre

certo e in fretta una Politica ad alto profilo,ma occorre anche una Chiesa che sappiaparlare più direttamente al cuore. UnaChiesa meno dogmatica e più evangelica,che giorno dopo giorno tenga vivo ed ope-rante il primitivo e splendido messaggiocristiano.Le nuove leve Sacerdotali sono ottima ga-ranzia perhè questo si verifichi.

Bianca Paris

Un’emozione chesi rinnova ogni

anno. Un evento chepromana spiritualità eamore per la vita gra-zie all’impegno ap-passionato di FrancoSimone nel tenerevivo il ricordo del-l’amatissimo sacer-dote missionario DonTito Oggioni Macagnino, morto in Africanel 2002, dopo un’esistenza interamente de-dicata agli ultimi.Così per il sesto anno consecutivo, l’artistaè tornato ad Acquarica del Capo, suo paesed’origine, e ha dato vita il 6 gennaio scorso,nella chiesa di Cristo Risorto, a un concertodi grande intensità emotiva, proponendouna nuova edizione del “Canto d’amore, learie sacre nel mondo dal 1500 ad oggi”, ese-guito insieme a un quartetto di raffinati mu-sicisti: Maurizio Mariano al piano,Salvatore Russo alle chitarre, Gianluca Pa-nareo alle percussioni, Roberto Panareo alletastiere.Artista colto e impegnato, Franco Simoneha offerto al pubblico un’interpretazionericca di pathos con un’intensa riflessionesull’essenza metafisica e sul carattere uni-versale della musica.La sensibilità umana e artistica del cantau-tore salentino, conosciuto e apprezzato intutto il mondo, continua a manifestarsi intutta la sua purezza poetica, filosofica e sti-listica, suscitando in chi ascolta emozioniautentiche.Il concerto benefico dedicato a Don Tito, ilcui mirabile esempio costituisce un solidoparadigma morale per laici e cattolici, haavuto quest’anno come ospite d’eccezioneil Vescovo della diocesi di Ugento Monsi-gnor Vito De Grisantis, che ha seguito lospettacolo in collegamento.

“ Ringrazio tutti i sa-cerdoti - ha dettocommosso Monsi-gnor De Grisantis -tra i quali il più pre-sente è sempre lui, ilnostro Don Tito.Ringrazio ancheFranco Simone perla partecipazione e il

profondo amore che mette nelle sue can-zoni.” Sulla scia di questo esempio etico lacomunità diAcquarica ha scelto di premiareDon Vito Spinelli, viceparroco di Don Titonegli anni 60 e 70, per “la grande voglia difare del bene e di donarsi agli altri”. Un ri-conoscimento speciale è stato poi conferitoa Don Beniamino Nuzzo per i dieci anni tra-scorsi al servizio della parrocchia diAcquarica.

FRANCO SIMONEcanto d’amore per DON TITO

LA COMUNITA’ SALUTA CON AFFETTO AMMIRAZIONEE UN PIZZICO DI ORGOGLIO I SUOI DUE DIACONI

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39° Parallelo • Febbraio 2010 pag. 2

Continua dalla primaIL CANILE CHE NON VORREMMO

IL CAMPANILELa sua origine, da ricercarsi in un periodonon anteriore al IX sec., aveva sostanzial-mente tre forme planimetriche: quella cir-colare la più antica; quella poligonale lameno frequente e quella quadrata che si af-fermò in Lombardia e successivamente sidiffuse nel resto del paese. Mentre in Italiasi continuava a costruire campanili roma-nici con molte varianti locali, in Francia,Germania e Inghilterra si erigevano altetorri gotiche con guglie e pinnacoli. In que-ste nazioni i campanili erano due collocatiai lati della facciata, in Italia invece il cam-panile è stato sempre unico a lato isolato ointegrato nel corpo della chiesa.Durante il ‘600 in omaggio all’imperantestile barocco, la fantasia dei progettisti dettevita a campanili estrosi, a volte bizzarri.Al campanile sono legate le appartenenzedi intere comunità. Ritrovarsi “sotto il cam-panile” è stato da sempre il modo classicodi socializzare. Quello era il luogo di in-contro dove si parlava di politica, di feste,di raccolti e di amore: insomma il cuore delpaese o del rione.Tiggiano per la Chiesa Sant’Ippazio vantaun campanile in carparo dei primi anni del-l’Ottocento. Mentre la Chiesa Cristo Re-dentore, da anni priva di campanile, dal 19gennaio, festa del Patrono, è dotata di uncampanile in metallo.Come si sa per tutti gli interventi di inte-resse pubblico, piccoli o grandi, innovativio conservatori che siano, si innesca un coin-volgimento generale a volte positivo, moltospesso sconfinante in polemica fine a sestessa. Sulla costruzione del campanile in

metallo non sono mancate divergenze e po-lemiche anche molto accese: la Chiesa nonpuò stare senza campanile. Deve essere dicemento come la stessa Chiesa. L’impiantoarchitettonico della chiesa ben si accostaalla struttura in metallo. Si può costruire incarparo o in pietra leccese. Sarebbe meglionon farlo. Dopo tanti anni dalla costruzionedella chiesa non ha più senso. In una parola:un mare di opinioni. Ed una sola consape-

volezza, quella di non riuscire ad acconten-tare tutti. Perciò chi doveva decidere ha de-ciso. Si è deciso bene? Si è sbagliato? Lerisposte saranno tante e diverse, come leopinioni della vigilia. Certo, il progetto ori-ginale era comprensivo di campanile, cheprobabilmente doveva essere in cementocome il resto della Chiesa. Forse la man-canza di risorse ne impedì all’epoca la rea-lizzazione.

Ma ora non è più tempo di discussione. In-dietro non si torna. La cosa più logica, per-ché realistica, è dargli il benvenuto. Ancheperché al di là della linea architettonica, e aldi là del materiale usato, il campanile –qualsiasi campanile – rappresenta un sim-bolo forte, di immediata lettura: è una spe-cie di ponte lanciato fra la terra e il cielo. Eil rintocco delle campane che ci fa pioveredall’alto simboleggia la voce di una realtàpiù vera più bella più buona di questa terra.Quella voce, è opinione diffusa, confortatutti, credenti e non credenti. Forse perchétutti, nessuno escluso, abbiamo bisogno diun segnale di speranza.Ora Tiggiano si ritrova con due campanili.Quello della chiesa di Sant’Ippazio incom-parabile per bellezza (e che tuttavia al-l’epoca potrebbe aver suscitato qualchedissenso) e questo nuovo. Nel complessouna bella dotazione per un paese così pic-colo. Rallegriamocene.Il 20 marzo alle ore 17.30 Monsignor VitoDe Grisantis benedirà le otto campane chela notte di Pasqua faranno sentire il primoscampanio.Qui per chi fosse interessato, i costi non an-cora definitivi sostenuti:- la base in cemento 14.000,00 euro, co-struita dalla ditta Pietro Morciano di Tig-giano;- il campanile è costato 76.000,00 euro + iva,costruita a Trupuzzi nelle officine Prisco;- le otto campane costruite a Squinzano dalladitta Tintinnapoli. A queste cifre vanno ag-giunte le spese tecniche.

Ippazio Martella

que cuccioli, l’uomo ne tiene uno per sé eabbandoni gli altri quattro per strada, duecagnolini muoiono, due sopravvivono,vengono adottati da altri cani che sono statiabbandonati, poi vagano per le città incerca di cibo, a quel punto lo stesso solerteuomo-cittadino critica le au-torità che non risolvono ilproblema del randagismo,quindi si indigna perché ilcanile è un lager e paga letasse anche per mantenere ilcanile, i suoi cani, quelli chedevono ascoltare le sue la-mentazioni e infine anche gliassessori.E qui dobbiamo fare un altrotipo di riflessioni. Si è co-minciato a parlare del caniledi Tricase quando è arrivatauna tv a diffusione nazionalecome Canale 5, a dimostra-zione che oggi i problemiesistono solo ad intermittenza, quando lievidenzia la televisione. Del resto un gior-nale è letto distrattamente da pochi “intel-lettuali”, mentre Striscia la notizia è vistada tutta la famiglia seduta intorno a un ta-volo, all’ora di cena, in religioso silenzioad ascoltare le denunce di bassa lega (per-

ché per fare ragionamenti sulle grandi vi-cende nazionali, ci vorrebbero approfon-dimenti che la tv non vuole e non puòfare!). Così succede che Vanna Marchi di-venti una super-criminale-perversa peraver venduto ciondoli dell’amore a tutti ifessi che l’ascoltavano, mentre CesarePreviti diventi una vittima del sistema giu-

diziario, nonostante abbiapervicacemente corrotto igiudici in favore del suoCapo.E’ un altro discorso maquesta è l’informazioneitaliana, questa è la poli-tica italiana. L’hanno ca-pito anche i nostriassessori che pur di uscireuna volta nella vita su Ca-nale 5, all’ora di massimoascolto, non hanno avutovergogna di apparire tuttiinsieme nella stanza delsindaco, tutti schierati efelici come bambini,

mentre il primo cittadino nei cinque se-condi concessi dal programma, diceva,noi, tutto a posto, abbiamo pagato i contidel canile. In quella trasmissione, mi scu-seranno i cani, l’immagine più inquietanteè stato il quadretto al completo dellaGiunta Comunale di Tricase.

Sono seduta vicino al camino. Di frontec’è mia madre che mi parla. Mi rac-

conta la sua giornata. Senza volerlo i mieipensieri vanno oltre e non la ascolto. I mieiocchi fissano il suo viso dolce, ma stanco.Mi chiedo: sarà stanco per il lavoro dellagiornata? O per tutto quello che ha affron-tato nella sua vita? Scuoto la testa, perché larisposta la so da tempo. No, il suo viso èstanco di sofferenza per il dolore che haportato e ancora porta dentro di sé. La suaferita non riesce a chiudersi.Ci sono donne di ottant’anni che vivono laloro vita tra dubbi, paure e grandi sacrifici.E pagano gli errori dei propri figli. E se peri figli sono scelte di vita, a volte combattutealtre volte meno, intorno hanno sempre per-sone che queste scelte le subiscono senzavolerle o desiderarle. E i genitori sono traqueste.Ma un genitore, non è mai disposto ad ab-bandonare un figlio, anche quando sbagliae tanto, perché gli occhi del cuore lo ve-dono come un figlio meno fortunato deglialtri figli. La gente può detestarlo, gli amicimaltrattarlo e allontanarlo, ma il genitorecontinuerà ad amarlo, a proteggerlo, viveresolo per lui.Questo va considerato un miracolo. È il mi-

racolo dell’amore. La gente a volte inbuona fede dà consigli su come una madredovrebbe comportarsi con un figlio che haimboccato la strada sbagliata. Ma sono con-sigli inutili. Perché nessuno può eguagliarela sensibilità di una madre. Se lei ha unapaura è quella di non aver fatto abbastanzaper aiutare il figlio. Esistono genitori checonsumano la vita per aiutare un figlio indifficoltà e lo fanno con pazienza e dignità.In quei momenti capiamo quanto sonograndi e percepiamo l’orgoglio di essernefigli.A tutte le mamme che ogni giorno affron-tano la dura realtà della vita, va tutta la miaammirazione e l’incoraggiamento a non ar-rendersi mai.

Marina

Riflessioni di una figlia

Campanile Chiesa “Cristo Redentore”

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39° Parallelo • Febbraio 2010 pag. 5

Toma AntonioOrologeriaOreficeria

P.zza Don Tonino Bello, 28 Alessano (Le)

di Concettina Chiarello

Non frequento più, a motivo degli im-pegni familiari, i tanti eventi culturali

che nel periodo natalizio, o estivo, si acca-vallano al punto da mandare in tilt i palin-sesti delle associazioni culturali locali, manon ho potuto declinare l’invito provenienteda un gruppo di ex alunni.Si sa che il modo migliore per dare credibi-lità alle azioni educative, anche a quelle nonproprio recenti, è la partecipazione deglieducatori. Da essa può scaturire la criticacostruttiva finalizzata, non certo alla rile-vazione di obiezioni inopportune, quantoalla ricerca di azioni convergenti verso l’ef-ficacia.La sera del 30 dicembre u.s., in un contestoveramente singolare anche per le sugge-stioni “architettoniche”: eravamo nella salaattigua al museo della civiltà contadina, misono lasciata coinvolgere da un evento cul-turale un po’ fuori dall’ordinario.Sinceramente mi sarei aspettata una lettura,semmai a più voci, di testi poetici che, sibadi bene non sono da considerare i fratellipoveri di altre tipologie testuali, ma non èstato così.Certamente poesia pura se con il termine siintende quel genere letterario denso di si-gnificati e di atmosfere anche se non ne-cessariamente caratterizzato da rime,similitudini, metafore ed altre figure retori-che.

Lo scenario, le luci soffuse, il repertoriomusicale attentamente selezionato, il bisbi-gliare dei ragazzi nella fase di preparazione,tutto poteva far pensare al mondo etereodella poesia.Su di un leggio improvvisato erano posatifogli il cui contenuto era stato stralciato daautori di un certo calibro, “poeti speciali.”Mi sembrava di ascoltare la voce di DonTonino Bello, di Ghandi, di Martin Luterking, di Giovanni Paolo II e di altri checome loro si sono battuti per la pace.Come il gioco del passaparola i lettori si al-ternavano e tutti per pronunciare “parole dipace su uno scenario di guerra”. Guerra in-tesa nell’accezione più ampia del termine:uso delle armi, plagio delle coscienze, man-

Antinomie...cato rispetto dei diritti umani, razzismo, in-tolleranza religiosa, dipendenza dalle dro-ghe e dai mezzi di comunicazione di massae tutto ciò che aliena l’individuo.Non ho potuto assistere alla parte conclu-siva dell’evento: il tempo a mia disposi-zione era terminato, ma non mi sonomancati gli spunti per la riflessione.Poco prima di varcare la soglia della bellis-sima sala avevo ascoltato il racconto dellestatuine del presepe, allestito all’interno delParco Comunale, decapitate da chissà quale“commando”, per chissà quale strano ed in-comprensibile motivo e così come ho gioitoper quel gruppo esiguo, purtroppo, “dialunni modello” mi sono vergognata per glialtri meno talentuosi.Ho pensato che al pari dei primi anche i se-condi, quasi sicuramente, sono passati dallascuola senza portare via con sé nulla dibuono e di significativo. Ho cercato di con-solarmi pensando che, forse, gli autori po-tevano essere venuti da fuori, ma neancheciò mi ha resa più serena. Mi sono dettache, indipendentemente dalla provenienza,il gesto è sintomo di un disagio che non è

assimilabile alla classica “ ragazzata”.E se così fosse ci sarebbe da chiedersi chetipi sono i ragazzi e che ambienti frequen-tano e quali esempi negativi hanno volutoemulare. E se, per ipotesi, fossero stati in-dotti a compiere tele incivile gesto qualevolere hanno cercato di soddisfare, qualestrana molla è scattata nella loro mente enelle loro mani tanto da non risparmiarenessuno dei personaggi! Per completezza diinformazione va detto che dalla decapita-zione si è salvato solo il Bambin Gesù chegià era scampato miracolosamente all’ira diErode.Mi sono più volte domandata se, per caso,gli esecutori materiali non abbiano temutoqualche ritorsione, poi mi hanno riferito che

il capo del bimbo non sporgeva sul collo,come quello delle altre statuine, ed alloraho compreso il motivo per il quale è statorisparmiato. Troppo complicata e lungal’operazione!I due eventi sono da considerare antinomieche, a motivo del loro carattere contraddit-torio, non possono non chiamare in causa ilruolo degli educatori. E’ strano dover toc-care con mano che, mentre per alcuni ra-gazzi o giovani che siano, il seme delsapere ha fruttificato in modo esponenziale,in altri non solo è stato soffocato dalle ster-paglie, ma ha addirittura cambiato rotta.Piuttosto che arricchire le strutture cogni-tive diventando “competenza” ha interrottola continuità delle stesse generando unafrattura insanabile. Quando ciò si verificasono vani gli sforzi tesi alla loro ricompo-sizione perchè mai si verificheranno gli ap-prendimenti. E’ stato inevitabile per meconfrontare i due eventi, uno di segno alta-mente positivo e l’altro, non solo negativo,ma anche distruttivo, e domandarmi se ilcammino della conoscenza sia una sem-plice somma di saperi o un “processo” cheinveste tutta la persona.Alla luce dei fatti sono obbligata a conclu-dere che la modifica del comportamento,conseguente all’apprendimento, viene ge-nerata quando tutte le sfere delle personalitàvengono, seppure in modo diverso, coin-volte e sviluppate.Se una sola di esse viene sfiorata, ma nonpenetrata, tutto rimane allo stato di pura tra-smissione senza produrre alcuna modificanelle strutture di pensiero. Spesso si dà perscontato che la sfera morale venga, quasiautomaticamente, stimolata e si opta per losviluppo di abilità cognitive, pure necessa-rie ed insostituibili, reputandole più rispon-denti alle richieste della società tecnologica.Trascurando, non certamente per legge-rezza, la sfera morale, quelle regole chetutti ci sforziamo di far rispettare ai nostrialunni rimangono vaghe, aleatorie, validesemmai per gli altri. Già, perchè sono sem-pre gli altri a comportarsi male, ad incitarealla violenza, a spingere l’acceleratore, adalzare il gomito, a coinvolgere in azioni ri-provevoli. Capita, perchè noi uomini siamofatti allo stesso modo, di pensare che siamosempre nel giusto, che le responsabilità ri-cadano sempre sugli amici, sui membri delgruppo, sulla società, sulla famiglia, sullascuola e, perfino, sullo Stato. Nessuno, osolo pochi, soprattutto di fronte alla ripara-zione di un danno, o ad un provvedimentodisciplinare, ha l’onestà morale di ammet-tere il proprio errore. E quando, soprattuttoin ambiti religiosi sempre meno frequentati,veniamo invitati a riconoscersi peccatori, il“mea culpa” lo pronunciamo distrattamenteo supportato da mille, e più, “ma” e “se”...alibi al nostro buonismo. E così ci convin-ciamo di non essere “noi” le persone biso-gnose di correzione e continuiamo a fare i

nostri comodi. Tanto poi alla fine che vuoiche sia? Statua più, statua meno, il presepeil prossimo anno, si allestirà ugualmente. Ese qualche personaggio ha, o non ha, la“testa sulle spalle” non cambia proprionulla: il presepe è solo una messa in scenaed il Natale è una favola o un incentivo aconsumare di più.Questo, probabilmente, avranno pensato gliautori dello scempio, forti della convin-zione che nessuno potrà mai riconoscerli.Non hanno tenuto conto che il loro auto-grafo è inconfondibile!

I ripetuti atti di vandalismo contro le strut-ture, il patrimonio artistico, la suppellettilescolastica ed, in generale, contro ciò chenon ci appartiene individualmente, ma è ditutti, sono da annoverare fra quelle azionidi guerra che lo sparuto gruppo dei virtuosiha voluto condannare.A conclusione di queste mie riflessioni,sulle situazioni in contrasto che continuanoa coesistere in una stessa società, antinomieappunto, sento di poter suggerire, fraterna-mente, alcuni accorgimenti particolari. Al-l’esiguo gruppo dei volenterosi, per unafruizione migliore del messaggio, una sele-zione accurata delle immagini a tema, unamaggiore puntualità nell’orario di inizio econclusione, l’ottimizzazione della risorsa“ tempo” per facilitare l’ascolto e la rifles-sione.Al gruppo “numeroso”, ne sono sicura, deivandali invece, pur rossa di vergogna e pro-fondamente turbata come educatrice, sentodi poter dire: “Peccato che la grotta dellaNatività non sia stata dotata di telecameranascosta... avremmo avuto modo di cono-scere di persona gli autori e, magari, con-gratularci con loro!”

Sp@zio ai lettori

Informiamo i nostri lettori che il giornaleoffre uno spazio dedicato a “liberi pen-sieri”.Gli indirizzi a cui far pervenire suggeri-menti, proposte, contributi e quant’altrosono:• Pro Loco - Piazza Roma,n° 1 73030 Tiggiano (Le)• e-m@il:[email protected]• Tel./Fax. 0833.531651• Per il sostegno del periodico:c/c n. 37428828 intestato aPro Loco Tiggiano, p.zza Roma

sito della Pro Loco Tiggiano:www.prolocotiggiano.it

Staff artistico. Compagnia Artigiani

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di Luigi Maria Guicciardi

39° Parallelo • Febbraio 2010 pag. 7

PERIODICO DELLA PRO LOCO - TIGGIANO

Sede: Piazza Roma, 1 - 73030 Tiggiano (Le)Reg. Tribunale di Lecce n. 775/2001 reg. stampa

Direttore editoriale:Bianca Paris

Coordinatore redazionale:Ippazio Martella

Redazione:Massimo Alessio, Concettina Chiarello,Maria Antonietta Martella, Stefano Marzo,

Enzo Ferramosca, Daniela Ricchiuto, Antonazzo Mario,Ricchiuto Antonella, Coluccia Francesca

Direttore responsabile:Antonio Silvestri

Collaboratori:Luigi Maria Guicciardi, Alfredo De Giuseppe,

Emanuele Martella, Giorgio Serafino,Simona Biasco, Piera Miglietta, Marina

Foto Archivio Pro Loco (salvo diverse indicazioni)La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita

Gli articoli ricevuti e pubblicati possono non seguirela linea editoriale del giornale

Per informazioni: tel. 0833.531651

Grafica e Stampa:Imago Pubblicità Lucugnano 0833.784262

Chiuso in tipografia il 4 febbraio 2010

Non è difficile capire perché critici egiornalisti di valore si trovino a disa-

gio nel recensire un bel film come La PrimaLinea, che avrebbe avuto il torto di affron-tare un episodio degli anni di piombo –dopo circa quarantanni – evitando però didemonizzare i protagonisti più a fondo. Nel-l’arco di circa quindici anni, tra la fine deiSessanta e gli inizi degli Ottanta del Nove-cento in Italia vi fu (benché oggi rimossa)una guerra civile fra lo Stato e alcuni movi-menti giovanili, le cui radici venivano dapiù lontano, dai seguaci fondamentalistidelle teorie del filosofo Marcuse (L’uomo auna dimensione, 1964) contrario - abba-stanza giustamente - all’alienazione dellasocietà industriale avanzata, però fautori diuna società senza freni né regole civili. Diqui le pretese elargizioni delle lauree con ilsessantasei politico, aventi per tema magarila guerra del Vietnam, in architettura. E nonparliamo dei docenti costretti a tenere le-zioni davanti a tazebao con la loro carica-tura, o addirittura sequestrati in aula per orecome il Prof. Trimarchi a Milano. La gaz-zarra studentesca totale, compresi bambiniin corteo il Primo Maggio muniti di librettodi Mao, maestre alla testa, poteva avere unsenso di rivolta alle baronie, alle clientele,ma venne presto cavalcata da pseudo intel-lettuali tranfughi verso la sinistra estrema,dallo stesso P.C.I. Costoro non fecero altroche predicare la violenza, l’eversione delleistituzioni, usando le parole difficili (quindirovesciabili) che, come diceva Petrolini,fanno affezionare il pubblico e il popolo. Neuscì una specie di moloch eversivo com-prendente Lotta Continua, Potere Operaio,Metropoli e il magma polivalente di Auto-nomia. Faccio riferimento a un mio articolopubblicato da 39° Parallelo nel Novembre2003 in cui citavo l’inequivocabile lin-

guaggio di odio e violenza praticato da quelmoloch, ma pure l’atteggiamento irrespon-sabile di una parte anche autorevole dellaborghesia che forse in vista di una possibilerivoluzione autentica, aveva deciso di ca-

LA PRIMA LINEA, FILM INQUIETANTEMAUTILE PERCHÈ NONACCADAMAI PIÚ

valcare la tigre. Ne scese appena in tempo,l’intellighenzia dei predicatori d’odio ripa-rava oltre confine (Battisti, Scalzone, Pi-perno) con Toni Negri, che tuttavia il nostroPannella riuscì a far eleggere – salvo errore– in Parlamento. Restarono sul campo, equesta volta a sparare davvero, i loro allievi,alcuni nemmeno diciottenni, ragazzi e ra-gazze. Insomma: i terroristi delle BrigateRosse e, appunto di Prima Linea. I primimiravano al cosidetto assalto al vertice, tipoPalazzo d’Inverno (1917, Russia), i secondimiravano a far montare la rivoluzione dallabase, cassintegrati, disoccupati, senza casa,esclusi, ecc. sia di ceto operaio che di cul-tura. I misfatti che ne seguirono, quasi in lu-gubre gara, furono consumati non solodall’estrema sinistra (Brigate Rosse, PrimaLinea e altri) ma anche dall’estrema destra(N.A.R, Ordine Nuovo, Ordine Nero, ealtri). A parte alcune eccezioni, non hannoancora avuto paternità certa le spaventosestragi di quegli anni, il che è abbastanzascandaloso, come ha rilevato recentementeil Presidente della Repubblica. Leggasianche l’allucinante elenco di delitti pubbli-cato in Rapporto sul Terrorismo (Rizzoli,1981). È comprensibile che in un momentocome questo di minacciose turbolenze reci-proche, di cui potrebbero approfittare nuoviincoscienti votati alla violenza, la criticaresti perplessa nel recensire. La PrimaLinea, pregevole film per coerenza e forzanel ritmo d’azione, fascino della fotografia,

impegno della coppia di protagonisti. Forseè per questo che Maurizio Porro, dopo averdato un giudizio positivo in questo senso, loha corretto – probabile tributo al doloredelle vittime – qualificando Prima Lineacon l’epiteto di colonna infame, aggettivousato dalla mafia e improprio anche comereminiscenza manzoniana, dando il titolo dibelli e dannati ai protagonisti, sia come per-sonaggi sia come interpreti (Scamarcio eMezzogiorno nelle parti di Sergio Segio eSusanna Ronconi). Il terrorismo politico,per quanto crudele, non può essere acco-stato né alla mafia né alla camorra. PrimaLinea, unica fra i vari “gruppi di fuoco”, siè totalmente dissociata dall’uso delle armi;ha chiuso, e questo non corrisponde al pen-titismo opportunista camorrista e mafioso,la cui sincerità è discutibile. Il senso diquella dissociazione, anche ideologica, ri-spetto ai concetti permanenti, della rivolu-zione maoista e dai deliri populisticambogiani, lo troviamo in un mio libro, IlTempo del Furore (Rusconi, 1988) in cuisono contenuti i verbali di interrogatoriodegli imputati nel processo d’appello. Pec-cato che dal 2003, di questo libro non vi siapiù traccia tranne nelle principali bibliote-che. Nel frattempo Segio ha scontato venti-due anni di carcere e con sua moglieSusanna è impegnato da sempre nel volon-tariato. Dalla lettura di quegli interrogatori,ma anche nel film esce una specie di avver-timento affinchè non abbia mai più a realiz-

zarsi quell’ellissi di furore (appunto) chetrascinò una gioventù intelligente, ribelle al-l’ingiustizie sociali e al fallimento delloStato (insensibile – o meglio – in “tutt’altrefaccende affaccendate”) verso un gorgo disublime (!) distruzione. E. A. Poe: Una di-scesa nel Maelstroem. Discesa funesta, atappe progressive, dal “cretino con la chiaveinglese” (frase di Roberto Rosso) al mici-diale attacco per liberare la Ronconi altrecompagne dal carcere di Rovigo, davverouna azione di guerra descritta dal regista instile americano. Una gioventù intelligente eviva che va con la testa nel sacco alla dis-soluzione con un carico di lutti, sprecata,stritolata dalle ideologie, abbandonata dallagente che avrebbe preteso di aiutare, am-mazzando – come è accaduto – anche alcunidi loro, come i nove magistrati uccisi inquegli anni. La rimozione di un passato checomunque fa parte della nostra storia, pa-gine dolorose ma ammonitrici, è troppo co-moda ma anche inutile. Eppure la nostracultura continua ad attuarla. Questo filmverrà rimosso per rispetto alle vittime. È unerrore. In esso, chiunque abbia testa e cuorerespira una torva atmosfera: notturni conci-liaboli, alla macchia in una fosca Milano;passaggi febbrili in una Venezia livida; latristissima cena in casa paterna; lo sguardo(in cui si legge già nel primo sopralluogo lamorte) del giudice Alessandrini, unosguardo indifeso, preoccupato; le uccisionisempre più rapide, anche per non rifletteresulla crudeltà; l’apparizione stupefatta delpensionato e del suo cagnolino, vittime oc-casionali a Rovigo; il vagare quasi simbo-lico del furgone dopo l’assalto, nelladesolata piana del Polesine. Scene su cuioccorre riflettere, visto che chi non pensanemmeno esiste.

Vincenzo Michele Trimarchi

Sergio Segio Susanna Ronconi Riccardo Scamarcio Susanna Mezzogiorno

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39° Parallelo • Febbraio 2010 pag. 10

Giulia Agrippina Augusta, conosciutaanche comeAgrippina Minore per di-

stinguerla dalla madre Agrippina Mag-giore, apparteneva alla nobile stirperomana giulio-claudia. Figlia di Germa-nico, nipote dell’imperatore Claudio e di-scendente per parte di madre da Augusto,fu protagonista delle lotte e degli intrighidi corte che avrebbero infine portato suofiglio Nerone al potere, lei alla morte.Nata nel 15 d.C., subì, giovanissima, lapersecuzione di Tiberio contro la sua fa-miglia. Scampata alla furia dell’impera-tore, da lui stesso costretta a sposare ilconsole Gneo Domizio Enobarbo, diedealla luce nel 37 il suo unico figlio, LucioNerone.Nello stesso anno, alla morte di Tiberio,Gaio Cesare, detto Caligola, fratello diAgrippina, salì sul trono. Nel 40, accusatadi aver ordito un complotto ai danni delfratello assieme alla sorella Giulia Livilla,Agrippina fu condannata al confino aPonza.Meno di un anno più tardi, Caligola ve-niva assassinato, Claudio prendeva il po-tere e Agrippina poteva ritornare a Roma.In seguito all’uccisione di Messalina, mo-glie dell’imperatore, già responsabile del-

l’esilio e dell’as-sassinio di GiuliaLivilla, Agrippinasposò Claudio.Raggiunta la posizione di maggior poterecui una donna potesse aspirare, cominciòad ordire la trama che avrebbe spianato lastrada a Nerone.Convinse l’imperatore ad acconsentire allenozze tra Nerone e Claudia Ottavia, figliadello stesso Claudio e di Messalina e a de-signare come suo erede Nerone stesso, an-ziché Britannico, erede naturale.Fu così che, nel 54, Nerone divenne im-peratore.I rapporti tra madre e figlio, però, degene-rarono presto. Nerone, sempre più restio alasciarsi manovrare da Agrippina, si cir-condò di nuovi consiglieri, tra i qualiLucioAnneo Seneca, suo vecchio maestroe tutore; quindi, si legò sempre più a Pop-pea Sabina, donna assai ambiziosa e privadi scrupoli. A questo punto, Agrippinapuntò tutto sul figliastro Britannico, maNerone, anticipandone le mosse, si liberòdel rivale facendolo uccidere.Nel 59 d.C., a Baia, presso Napoli, Agrip-pina fu raggiunta dai sicari di Nerone.

Protagoniste della storia

A cura di Emanuele Martella

AGRIPPINA

Dentro di me non c’è che Lisbona.Fuori di me non c’è che il nulla.

Eppure sono a Lisbona.Ma io qui sono una presenza immateriale.

Ah, rivivere! Meglio che vivere!Rivivere, rivivere, rivivere ancora!

Inseguire il passatoè come voler raggiungere l’orizzonte o le stelle

La memoria è delirio, è psicosie i ricordi si consumano, si consumano come candelee i moccoli che rimangono si confondono coi sogni

ridatemi le sensazioni!Voglio stare male! Voglio stare male pur di ricordare!

Dov’è il primo mese del 2000?Dove sono le mie sensazioni di quel mese?

Che interesse ha la realtàse non quello di ricordare?

Ricordare! Ricordare per fuggire!Ricordare per vivere ! Ricordare per morire !

Com’ era bella la mia anima quando vidi Lisbona!Cos’è la realtà? Un ostacolo!

Vaso, albero, finestratoglietevi dai miei occhi!

Voglio vedere con gli occhi dell’anima!

Questi versi mi sono giunti nudi: niente titolo, niente nome dell’autore. Ma la luce chehanno dentro li riveste di cristallo. E io, tu, l’altro, e l’altro ancora, tutti possiamo leggervidentro il grande valore della Memoria. La pepita d’oro che dà vita e significato al Tempo,per sua natura impegnato in fuga continua.

All’alba del 2010 di cui abbiamo appena ce-lebrato l’inizio, il Salento può contare su

una nuova organizzazione senza scopo di lucroche si pone l’obiettivo di fornire un concretosupporto alle famiglie attraverso la messa apunto di servizi socio – assistenziali: “IL SOL-LIEVO”.Lo scorso 29 novembre si è tenuto, presso il Sa-lone Parrocchiale di Tiggiano, il convegno dipresentazione dell’Associazione, natadalla volontà di tre giovani del pic-colo Comune, Giovanni Ciardo,Donato Ciardo, Giovanni Cala-brese, che pongono alla basedel loro operato quattro prin-cipi cardine: UMANITÀ, EN-T U S I A S M O ,PROFESSIONALITÀ e QUA-LITÀ.Nel corso dell’incontro sono in-tervenuti, oltre al Coordinatore Ge-nerale e al Responsabile Tecnico de “ILSOLLIEVO”, anche il dottor Giuseppe Negro,Direttore diASCLA, il sindaco di Tiggiano, Ing.IppazioAntonio Morciano, e don Lucio Ciardo,parroco della cittadina. Il tema centrale ha ri-guardato l’importanza della domiciliarità nel-l’assistenza degli anziani, che, continuando avivere nella propria casa, possono mantenere in-tatto il loro senso di sicurezza e protezione econservare le proprie abitudini, amicizie, con-tatti sociali. In questo modo, inoltre, le cure e leattenzioni dedicategli dal personale qualificatoche si occupa dell’assistenza sono individuali eindirizzate esclusivamente alle necessità che viavia si manifestano.Il “SOLLIEVO” si adopera per fornire inter-venti rivolti alla “persona”, dalla prima infanziaalla terza età, sia presso il domicilio dell’utente

sia presso le eventuali strutture ospedaliere ecase di cura che eventualmente lo ospitano.L’esigenze del paziente vengono portate avantiattraverso lo studio di un progetto personaliz-zato, che faccia attenzione ai bisogni e alle ri-sorse delle famiglie, con soluzioni che vannodall’assistenza domiciliare con personale quali-ficato fino a servizi di consulenza giuridica e fi-scale volta a fornire informazioni sui diritti,

benefici ed opportunità riservate allepersone con disabilità e ai lorocari.Per venire incontro ai cittadini,il direttivo de “IL SOL-LIEVO” ha pensato di isti-tuire un numero verde(800.911.735) grazie al quale,chiamando gratuitamente datelefono fisso, si potranno rice-vere informazioni sui servizi o

fissare un appuntamento presso lasede legale dell’Associazione.

Nell’ottica di rendere maggiormente autonomi inostri anziani, grazie ad un accordo con alcuninegozianti di Tiggiano, a partire dal 1° febbraio2010 sarà attivo un servizio di spesa a domiciliogratuito: chiamando lo stesso 800.911.735 gliultrasessantacinquenni potranno comunicare al-l’operatore la lista della spesa, che sarà recapi-tata il giorno stesso presso il loro domicilio.Grande soddisfazione è stata espressa dai gio-vani fondatori de “IL SOLLIEVO” per la rispo-sta positiva che la società sta dando alle proprieiniziative.I prossimi convegni di presentazione si terrannopresso il Salone Parrocchiale di Corsano il 6 feb-braio, ore 19.00; a Miggiano il 28 febbraio, sem-pre alla stessa ora, e il 21 marzo presso ilPalazzo Gallone di Tricase.

MMIIGGLLIIOORRAARREE LLAA QQUUAALLIITTAA’’ DDEELLLLAA VVIITTAA DDEEII NNOOSSTTRRII AANNZZIIAANNII:: II NNUUOOVVII SSEERRVVIIZZII NNEELL SSAALLEENNTTOO

Lunedì, 7 Gennaio 2010, presso la Prolocodi Tiggiano ha preso il via il Servizio Ci-

vile dei nuovi volontari alla presenza del presidenteMassimo Alessio e dell’OLP (operatore locale diprogetto) e formatore Maria Antonietta Martella. Il titolo del progetto è “LA PIETRA E LA STO-RIA: MENHIR, DOLMEN, SPECCHIE ETORRI D’AVVISTAMENTO”. Progettoarduo, ma interessante, visto che nel nostro terri-torio comunale non vi sono tracce di menhir edolmen ma solo specchie e torri d’avvistamento.Un rompi capo sì, ma il nostro obiettivo èquello di portare in luce un lato poco cono-sciuto del nostro bellissimo territorio. Un la-voro che potremmo portare a termine conl’aiuto del nostro OLP e formatore, che non èsolo la nostra maestra a livello professionale,ma anche il nostro punto di riferimento perqualsiasi dubbio o problema non strettamenteattinente al progetto. Ma non bisogna dimenti-care colui che “tutto muove”, anche se preso damille impegni, il nostro presidente MassimoAlessio, che fin dal primo giorno ha saputo of-frirci la sua massima disponibilità. Sicuramentequeste sono le fondamenta per la buona riuscitadel nostro lavoro.Il primo passo del nostro contatto con la ProLoco è stato la presentazione ai soci del diret-tivo, avvenuta l’11 Gennaio 2010; per noi al-l’inizio momento imbarazzante ma in seguitograzie alla simpatia dei soci ci siamo sentiti anostro agio, come se fossimo a casa nostra.Il passo successivo, che ci ha fatto entrare nel

vivo del “far parte” della Pro Loco è stata la“Sagra della pestanaca” di Sant’Ippazio svol-tasi il 18 Gennaio. Esperienza diversa sicuramente dall’ordinariodal momento che abbiamo avuto un contatto di-retto non solo con i tiggianesi ma anche conchi, mosso dalla curiosità di questo ortaggiooriginale, si è dimostrato interessato ad infor-marsi sull’origine, le caratteristiche, l’uso e latradizione della Pestanaca. Attraverso la degu-stazione del liquore e della frittata alla pesta-naca, abbiamo proposto l’acquisto di prodotti;lavoro non reso facile dal vento freddo che sof-fiava quella sera. Ci siamo sentiti un po’ pro-moter del nostro territorio e della suatradizione.Fuori dall’ordinario è stato anche il corso diformazione tenutosi a Galatone nei giorni 30 e31 Gennaio. Non è stato solo un momento fi-nalizzato alla stretta realizzazione del progetto,ma anche momento di aggregazione con altrivolontari, che come noi affrontano questanuova esperienza. Concludiamo questo mese con la speranza chei prossimi ci arricchiscano di momenti di cre-scita sia culturale che personale e che noi pos-siamo mettere a disposizione il nostro piccolobagaglio culturale e la nostra voglia di fare.Grazie a tutti nella speranza di risentirci al piùpresto!

I Volontari del S.C.Mario Antonazzo, Francesca Coluccia,

Antonella Ricchiuto

I nuovi volontari del servizio civile della Pro Loco

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39° Parallelo • Febbraio 2010 pag. 8

A proposito di restaurodi Concettina Chiarello

Se potessimo ritornare indietro nel tempo,probabilmente, avremmo modo di valutare itanti errori nel rapporto con le persone, conle cose e con l’ambiente e cercare, magari, difar tesoro per non incorrere in altri.A proposito di ambiente, forse, è proprioquest’ultimo che accusa i colpi di tutta unalunga serie di errori ai quali, da più parti sicerca di porre rimedio. Anche il Papa, que-st’anno nella lettera indirizzata “a tutti gliuomini e la donne di buona volontà delmondo intero” in occasione della XLIII gior-nata della pace ha raccomandato: “Se vuoicoltivare la pace, custodisci il Creato”.Sono noti a tutti, infatti, gli effetti devastantidello sfruttamento errato delle risorse, del-l’abusivismo edilizio, dell’inquinamento edi ogni altra forma di violenza che la societàdei consumi ha posto, e pone, in essere.Pur prendendo atto dei danni provocati al-l’ambiente, alcuni dei quali purtroppo irre-versibili, non è facile individuare la stradaper riqualificarlo riportandolo alla sua anticasalubrità.Ma non è questo lo scopo delle mie rifles-sioni, non sarei in grado di argomentare intema di salvaguardia ambientale, quantoquello di riflettere su alcuni comportamenticomuni che risalgono al nostro passato.Negli anni del boom economico, quando ilbenessere ha cominciato ad entrare nelle no-stre case (per fortuna!) tutti abbiamo provatoil bisogno impellente di liberarci di ciò cheil tempo aveva reso “vecchio”. E così abbiamo barattato il buon legnod’ulivo con la formica, meno nodosa e piùlucida, più pratica da pulire e più “mo-derna”. Abbiamo sostituito gli irmici delle nostretettoie con l’eternit, salvo poi a scoprire lasua pericolosità per la salute, ma all’epocaera il non plus ultra.Abbiamo demolito le nostre belle volte astella nella certezza che quelle piane fosseroil massimo dell’eleganza e della praticità e,come per le coperture d’eternit, solo dopoabbiamo scoperto la loro scarsa resistenzaalle intemperie o agli sbalzi di temperatura.Abbiamo verniciato i bellissimi tavoli dellenostre mamme le mattrabbanche delle lorocucine, le piattaie adornate d’alloro e con-tenenti i piatti di terracotta. Di essi solo al-cuni si sono salvati perchè relegati a fare dasottovaso o da miseri contenitori di cianfru-saglie. Se scavo nella terra rossa del giardinodi casa mia, quella paterna, ci trovo ancora icocci di quei grandi piatti dove si potevascodellare un’intera pignata di fagioli o unaminestra di massa e ceci e dai disegni suiframmenti indovino la loro bellezza origi-nale.Per non parlare delle belle casse da corredosostituite dai guardaroba.Quando da bambina sentivo pronunciare taleparola immaginavo due carabinieri posti aguardia delle robe e cercavo di immaginarei motivi di tale spiegamento di forze.Abbiamo chiuso gli stipi a muro, scambiatole credenze con i mobili di truciolato e gliantichi comò, odorosi di canfora, con lespecchiere delle stanze moderne. Abbiamo optato per i finissimi drappeggi difibra sintetica a scapito delle belle lenzuoladi canapa per tessere le quali le nostre nonnehanno ordito chilometri di filo. L’elenco di

ciò che ci siamo tolti davanti potrebbe di-ventare molto lungo, ma il criterio è statouno solo: abbiamo cercato di ricorrere, a tuttii costi, ad un restauro, selvaggio, teso a can-cellare i retaggi ed i segni del passato.Non sono stati risparmiati neanche i nostribellissimi ed antichi centri storici che da soliavrebbero fornito testimonianze attendibilidella civiltà contadina nella quale ci ricono-sciamo.

A questa opera di “rinnovamento” non sonostatti sottratti neanche i luoghi di culto contutta la suppellettile in essi presente.Non sono certamente l’unica a rilevare taliinopportuni interventi sul nostro patrimonioarchitettonico ed artistico: è opinione diffusae condivisa quella secondo la quale an-drebbe adottata una politica tesa a riqualifi-carlo riportando in auge le vestigia delpassato. E molto si sta facendo in tale dire-zione.Qualcuno potrebbe obiettare che è fuoriluogo affrontare il tema del restauro sic etsimpliciterma lo spunto per la riflessione miè stato fornito dalla recente festività delSanto di Gangra, Ippazio. Recatami pressola Chiesa per la visita al Taumaturgo hopreso atto della chiusura al culto per motivilegati al suo restauro e a quello della statuatanto cara ai tiggianesi e agli abitanti deipaesi vicini. Per la verità all’estensore dell’avviso al pub-blico andrebbe consigliato di sfogliare il vo-cabolario della lingua italiana, a meno chenon abbia voluto utilizzare il modo di co-municare degli SMS, ma non è il caso di at-teggiarsi a “maestri”.Mi sono chiesta il perchè di tali interventi ela risposta me la sono data ricordando chequalche anno prima avevo riflettuto sui co-lori troppo accesi dei paramenti indossati dalSanto e sulla sua folta e nera barba che la-sciava pensare ad un giovane prelatoquando, invece, i documenti parlano di un“vegliardo” come si può constatare, anche,nella pala dell’altare a lui dedicato.Anche lo “zoccolo” delle pareti laterali dellachiesa, con il grigio cemento, si intonava

poco con tutto l’insieme ed il pavimento, co-munissimo, era poco adatto ad un ambientedi culto. Mi sono detta che, probabilmente,i precedenti interventi di restauro dovevanorispondere alla necessità di far quadrare iconti o erano stati messi a punto senza te-nere conto di suggerimenti da parte diesperti.Certo che attualmente si è fatta strada unamaggiore consapevolezza nei confronti dei

beni architettonici di cui, per fortuna, nonmancano gli esempi, alcuni dei quali benconservati, nelle grandi città, come anchenei piccoli paesi. La cultura del recupero sta diffondendosisempre di più al punto che sono stati istituitidei corsi di laurea e non mancano opportu-nità di formazione per la qualificazione dipersonale addetto alla conservazione ed alrestauro di ciò che le generazioni precedentici hanno consegnato. Sulla scia delle competenze maturate le no-stre belle chiese, i lastricati, le piazze, lecase, le pajare, le ajere, i porticati sono statioggetto di sapienti interventi di restauro ditipo architettonico–conservativo. Non chesolamente questo sia sufficiente a renderepiù bello ed, esteticamente, accettabile l’am-biente cittadino o quello rurale abbruttitodalla mole di rifiuti ingombranti e nociviquali le lastre d’eternit, ma è già un granderisultato se paragonato agli interventi “sel-vaggi” di cui si diceva all’inizio. Dovremmocertamente maturare nella consapevolezzache ogni sforzo teso alla conservazione oalla riqualificazione dell’ambiente èun’azione da sostenere ed incentivare, anchein sintonia con quanto afferma il Papa, perrecuperare “quell’alleanza tra essere umanoe ambiente”. Può sembrare la classica goccia nell’oceano,ma potremmo cominciare a disciplinare, inqualche modo, anche la scelta dei colori perle pitturazioni murali: in pieno centro storicosono pugni negli occhi il rosso acceso, ilverde smeraldo, per non parlare dell’arancioche starebbe, forse meglio, su strutture de-stinate ad usi diversi da quelli di civili abi-

tazioni.É bello notare come stia tornando il gustoper le bellissime costruzioni in perfetto stilemediterraneo con il bianco della calce o il ri-vestimento consono al nostro Salento, comenon si può sottovalutare l’impiego della pie-tra locale per il rifacimento dei muri peri-metrali o il risanamento dei muretti a seccosulle strade extraurbane.Ed allora, sono andata a sfogliare i testi percomprendere cosa debba intendersi con iltermine “restauro”.Ogni intervento conservativo e/o migliora-tivo di un’opera d’arte o di un complesso ar-chitettonico è da ritenere un “restauro”. Ciòpuò rendersi necessario per una serie di mo-tivi che devono essere ispirati ad un codicedeontologico ben preciso: “ la Carta del re-stauro”. Compilata nel 1931 dal Consiglio superioreper le Antichità e le belle arti italiano, a con-clusione di un congresso internazionalesvoltosi ad Atene, essa rappresenta la fontenormativa delle direttive ufficiali delle So-vrintendenze in materia. Il documento san-cisce i criteri di base quali la limitazionedelle integrazioni e delle sostituzioni, la ri-nuncia ad ogni pretesa di imitazione stili-stica, la conservazione dei precedentiinterventi se gli stessi dovessero presentareelementi di interesse. Nel corso degli anni la“Carta” è stata, per così dire, baipassata soloper motivi gravi e di estrema urgenza e ne-cessità. Si pensi, ad esempio, alla ricostru-zione dopo gli eventi bellici o conseguenti acatastrofi naturali. Nei casi ordinari, invece,è da tenere in considerazione quanto essacontiene e detta.Ammirando la statua di Sant’Ippazio, ritor-nata agli antichi splendori, mi sono detta cheil maestro restauratore è stato fedele al do-cumento e, soprattutto, si è lasciato guidaredall’agiografia.Il Santo, anche nell’aspetto fisico, è ora quelvescovo, avanti negli anni, che i testi sacrici hanno consegnato, perfino l’incarnato,come le vene che si intravedono in traspa-renza sulle mani e sui polsi, lasciano pensarealla pelle delicata delle persone non più gio-vani. Non si può che essere soddisfatti ditale risultato ed augurarsi che, in futuro,qualsiasi altra operazione di restauro sia“soft” come questa.Se tale criterio vale per i Santi, che sonopresso Dio, non vedo perchè non debba va-lere per noi comuni mortali.Perdonate la conclusione che potrebbe sem-brare irriverente: prendiamo ad esempio ilrecente intervento di restauro ed accettiamoi segni inconfondibili del tempo che passa,anche sul nostro fisico. Non possiamo volerapparire quelli che non siamo. Saremmo ri-dicoli nei panni di giovani ed avvenenti ven-tenni se i nostri anni sono il doppio, se nonil triplo.I restauri azzardati lasciamoli pure a coloroche devono salvare, a tutti i costi, l’imma-gine... noi accontentiamoci di star bene insalute che è già un ottimo risultato.Quanto al recupero di ciò che è appartenutoai nostri avi il campo è libero! Ciò, oltre adessere utile per mantenere viva la memoria,contribuisce a rinsaldare i vincoli di appar-tenenza ai luoghi ed… alla storia.

Fauna da restauro

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39° Parallelo • Febbraio 2010 pag. 3

Vero è che dal’45ad oggi ne è

passata di acquasotto i ponti e unmare di cose non èpiù come prima. Mail terremoto che hacambiato i connotatiai mezzi di comuni-cazione ha scarse

possibilità di replica.Ora, drogati al punto giusto da tanta facilità,figurarsi se ci mettiamo a filosofare sullamessaggeria istantanea. Infatti non lo fac-ciamo. Ce ne serviamo e basta.Poi succede che un amico ti passa un libro;e quella è l’occasione per farci un pensierino.Già il titolo “Ebrei a Tricase Porto” incurio-sisce.Qualcuno chiede: ma perché ci sono Ebrei alporto di Tricase? Ci sono stati? E quando eper quale ragione?Volgi la domanda a chi per anagrafe e collo-cazione non può non ricordare. E la va-ghezza delle risposte sconcerta. Ah sì, forsedurante la guerra o dopo si diceva, adessoche ci penso, che alle “marine” avevano al-loggiato “forestieri”. Ebrei, slavi, di precisonon so.E tu capisci che causa di tanta nebbia non èla debolezza della memoria. La causa vera èil deficit dell’informazione che, zoppa estentata, all’epoca non superava il passapa-rola del vicinato, quello stretto, porta a portaattorno al posto dell’evento. Con il risultatoche, appena fuori dalla cerchia, di quel fattonella memoria collettiva non sopravvivonotracce; e va’ a vedere, in calce alla pagina delmanuale nemmeno l’ombra di una notarella.Una ragione in più allora per apprezzare ilfrutto di questo lavoro in cui Ercole Mor-ciano, non nuovo a simili iniziative, ha pro-fuso il meglio dell’amore per la sua Tricasecon il fiuto del ricercatore di razza.Un lavoro impastato dalla voglia matta didare visibilità ad una vicenda forse margi-nale per gli storici di professione, di sicuroimportante per chi la visse.Certo, a fronte della bolgia che dal ‘39 al ‘45aveva divorato il cuore dell’Europa, il bien-nio ’45 -’47 è male minore; come è l’ultimotratto del tunnel che - pur sempre buio - faintravedere la fine dell’incubo.

“EBREI A TRICASE PORTO” di Ercole Morciano(1945 - 1947)Commento di Bianca Paris

Ma questo non ne cancella il fondo negativo.Vero è che al Salento, per una svista di quelgiocherellone che è il caso, erano state ri-sparmiate le atrocità inflitte al Centro Nord.Qui da noi, niente rappresaglie per fortuna.Ma penuria di tutto sì, e tanta.Sicchè, quello che gli sbarchi dei Liberatoritrovarono fu un quadro fitto di contraddi-zioni: un lembo di terra bellissimo per donodi natura. Non offeso dalla violenza, ma cor-roso da un’ indigenza che veniva da lontanoe che la guerra aveva solo aggravato. E, va-ganti su quella terra tanto prodiga di bellezzaquanto avara di frutti, i suoi abitanti acco-munati dalla rassegnazione tipica di chi, inlunga dimestichezza con il dover acconten-tarsi del poco, vive pacificato con sé stesso econ gli altri.Il direttivo dei Liberatori ci mise poco ad in-dividuare in questo cantuccio l’Oasi idealeper accogliere e smistare quanti, sbandati dalmaledetto “sonno della ragione” di qual-cuno, avevano bisogno di riprendere fiatoprima di tornare al “focolare” natio.E trovò nelle dimore estive al mare la solu-zione del problema.L’ospitalità durò dall ’45 al ’47: il tempo suf-ficiente per creare fra residenti e nuovi arri-vati la rete intessuta da tutti i fili di unaconvivenza imposta: dalla solidarietà allatolleranza alla insofferenza.Una rete variegata dunque. Ma quanto?Ce lo racconta l’autore. Il quale per farlo sce-glie il modo più diretto.E così, ben si guarda dal riassumere i ricordidi chi quei fatti visse da bambino.Ne raccoglie invece le testimonianze, le tra-scrive integralmente, e in quella freschezzatrascina il lettore. Gli fa respirare l’aria, gli fasentire i palpiti i dolori e le speranze, gli fatoccare con mano cos’era all’epoca la diffi-coltà di vivere e sopravvivere, in una convi-venza non richiesta ma tutto sommatoaccettata.

Felicissima la scelta di aver raccolto i ricordidalla viva voce dei testimoni, anche per lacentralità della collocazione: da un lato lapremessa del prof. Hervè A. Cavallera, effi-cace per analisi storica e ricordi autobiogra-fici, seguita dalla nota storica dell’autore;dall’altro la riproduzione di documenti e fotod’epoca. Al centro loro, le 60 testimonianze,a rappresentare il cuore pulsante di tutto illavoro.Tanto pulsante da dare una bella scossa al

lettore e spingerlo a porsi per la prima o perl’ennesima volta, la più classica delle do-mande:Ma che senso ha la Storia? Tutto questo tra-vaglio di genti cha vanno vengono e ancoravanno e mettono radici, e ne sono sradicaterespinte; e che senso ha quell’altro travaglio(che sempre travaglio è) di chi invece prefe-risce rimanerne nel cantuccio, e poi passa lavita a rimpiangere di non essere volato via.Tutto questo e altro ancora ha un senso?Bella la domanda e belle anche le risposte,quelle date e quelle che si daranno.Ma fra di loro ce ne fosse almeno una capacedi chiudere il cerchio. Niente da fare. E al-

lora dal ventaglio scelgo la seguente, nonperché sia la più convincente, ma perchéviene dall’arte. E l’arte - si sa - coglie, sottola cenere delle ovvietà, la scintilla di vita. Epoi ce la porge con la leggerezza e l’ironiadi chi sa di non possedere il Verbo. E forseproprio per questo la imbrocca più dei So-loni di turno.L’autore interpellato è Robert Musil, scrit-tore austriaco del primo Novecento.Il quale, a proposito del senso della Storia,dice pressapoco (cito a memoria) così: Allaguida della Storia non c’è una necessità néun fine visibile.Per questo la Storia NON progredisce (conbuona pace degli storicisti). Chi la contem-pla, scopre in essa solo un “desiderio assurdodi irrealtà”. È impossibile quindi trovare unaragione sufficiente per cui tutto sia andatocome è andato. Il cammino della Storia è im-

prevedibile. Non è quello di una palla di bi-liardo che una volta partita, segue sicura lasua traiettoria. Il cammino della Storia so-miglia piuttosto a quello di una nuvola chevaga di qua e di là, in un continuo sbanda-mento…Caro Robert, se le cose stanno così, lo sce-nario è grigio. Ma sarebbe nero se non cifosse la Memoria storica perché è lei che, ac-cendendo il lumicino sul travaglio del vi-vere, gli dà senso e dignità.Onore dunque alla Memoria storica. E com-plimenti ad Ercolino Morciano e a quanticome lui si adoperano per trasmetterla a chiverrà.

Nel terzo trimestre 2009 l’ISTAT hacondotto un’inchiesta inerente l’at-

tuale struttura del mercato del lavoro. Eccole percentuali: l’offerta di lavoro registra,rispetto allo stesso periodo 2008, una ridu-zione dello 0,9% (-222.000 unità). Il nu-mero di occupati risulta pari a 23.010.000unità. In forte calo su base annua (-2,2%pari a -508.000 unità). In termini destagio-nalizzati (ovvero depurati dalla stagiona-lità), l’occupazione totale registra unaflessione rispetto al secondo trimestre 2009pari allo 0,5%.Sono i numeri che urlano a gran voce: èCRISI!!! Si è tanto parlato, discusso, dibat-tuto sul problema della disoccupazione per-ché essa da nord a sud dello stivale,colpisce in modo indiscriminato tutte lefasce di età, senza distinzione di sesso estratificazione sociale. Viene da pensareche la crisi sia l’unica cosa che ci eguagliao quasi!!! Dopo fiumi di parole, quali solu-zioni sono state fattivamente realizzatedalle poltrone del potere? I numeri sono al-larmanti e ci suggeriscono di agire in fretta,non si può più attendere!!!I neolaureati o neodiplomati, che dopo avertrascorso un anno sabbatico alla ricerca diun lavoro che non c’è e di risposte che maiarriveranno, che fine fanno? E tutti coloroche messi in cassa integrazione, sono stati

IL MONDO DEL LAVORO E’ IN CRISICOME USCIRNE?

di Daniela Ricchiuto

definitivamente licenziati? E non dimenti-chiamo la nota vicenda ADELCHI, che hacolpito centinaia di persone coinvolgendo al-trettante famiglie. Quei lavoratori dopo averprestato servizio per diversi anni nel sud-detto calzaturificio, si ritrovano senza un la-voro, uno stipendio... e allora quale sorte liattende? Molti trovano “ospitalità” occupa-zionale all’estero. Gli italiani sono un’in-gente risorsa intellettuale e di manovalanza.Fa rabbia pensare che siano gli Stati esteriad usufruirne.La ricchezza siamo NOI! La crisi potrebbeessere debellata, se solo il governo si accor-gesse di questa inestimabile risorsa, invecedi favorire la fuga dei cervelli all’estero.La cosa migliore è quella di rimboccarsi lemaniche, iniziando dalle piccole realtà,senza attendere decisioni che prese dall’altospesso in modo approssimativo, così giustoper accontentare i propri elettori, non rie-scono a concretizzarsi.Quindi basta parlare, è giunto il momento diprendere coscienza della drammaticità della

situazione e agire. La crisi economica e gio-coforza quella del lavoro, è stata generata daun mutamento globale della società, che haimposto impellenze che ci hanno trovati im-preparati. Quando la società evolve è neces-sario che tale innovazione sia supportata dadiversi fattori tra cui quello fondamentale dellavoro. È necessario attuare un processo di“svecchiamento” del mercato del lavoro,l’involucro che lo avvolge da tempo intrap-pola il sistema lo paralizza. Bisogna rom-perlo e sostituirlo con nuovo pellame.Oggi ciò che la società ci chiede è di ade-guare la professionalità dei lavoratori allenuove esigenze della collettività. Serve inmodo urgente che la creatività di ciascunosia sollecitata, favorita. Tutto questo puòsembrare azzardato e di difficile attuazionema, cosi non è!!! Le Amministrazioni cen-trali e periferiche di concerto con le Aziendelocali dovrebbero realizzare corsi di perfe-zionamento e aggiornamento per le più sva-riate categorie professionali, in modo dapromuovere l’aggiornamento delle cono-scenze di chi cerca lavoro. Per le aziende,

ancor più dei macchinari, allo scopo diuscire dal tunnel della crisi, è vitale inve-stire fondi per creare manodopera alta-mente specializzata. Occorrono nuovefigure professionali dotate di elevata com-petenza. La posta in gioco è alta se non sispecializza in modo intelligente, si rischiadi uscire dal mercato.Concludo questa mia breve riflessione conuna celebre citazione del grande F. Petrarca,che racchiude in poche ma significative pa-role il valore del lavoro per l’uomo: “Il la-voro e l’applicazione continui sono il cibodel mio spirito. Quando comincerò a cer-care il riposo, allora smetterò di vivere.”

Giovani Ebrei del D.P.C. sul lungomare durante una manifestazione

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39° Parallelo • Febbraio 2010 pag. 4

di Maria Antonietta Martella

La redazione ricorda ai lettori che rice-vono copia di 39° Parallelo a domicilioche ad aprile è scaduto l’abbonamento.Sicché l’invio è assicurato, e lo diciamocon rammarico, solo a coloro che effet-tuano il versamento. La Redazione rin-grazia comunque tutti i lettori perl’interesse con cui seguono la vita delgiornale.

c/c n. 37428828 intestato a Pro LocoTiggiano, p.zza Roma, 1

L’atmosfera del Natale è magica,anche in questi tempi di crisi.

L’aria di attesa che si respira a Natale nonsi avverte nel resto dell’anno, tradizioniche si tramandano, magari rinnovate e re-inventate ogni volta, riti e abitudini chenonostante tutto non scompaiono. E poi c’è la poesia del presepe, la fatica eil tempo nell’allestirlo, come pure l’in-ventiva nel tentativo di migliorarlo annodopo anno. Quanti bambini hanno fatto efanno ancora sognare quei personaggi sta-tici e immobili, oppure semoventi, comu-nicativi in ogni caso di gesti che non sicompiono più, protesi nella loro umiltàverso la povera mangiatoia. E quanti poetihanno ispirato. Già, poesia è ciò che i piùcolgono davanti al presepe. Eppure c’è chi questa poesia non la senteproprio, anzi pensa sia meglio capitoz-zarle quelle statuette così immobili e sta-tiche, prive di senso se non di quelloantico, superato dai tempi. Questo è suc-cesso al presepe allestito nel nicchione infondo al viale del bosco comunale. E nonè un caso isolato, dato che il gesto, a di-stanza di ore, è stato reiterato. La stessasorte, infatti, è toccata ad alcune statue delpresepe della parrocchia!Poi, a caldo, la domanda sul perché delgesto e la solita risposta: “Ragazzate!”. Omeglio, opera di ragazzi. I nostri ragazzi,che forse vogliono dirci che qualcosa nonva. Non un dispetto, ma un gesto preme-ditato si coglie dietro l’uso delle pietre perdecapitare le statuette del presepe, che infondo rappresentano delle persone. Della

QQUUAALLEE PPOOEESSIIAA NNEELL PPRREESSEEPPEE?? MMEEGGLLIIOO DDEECCAAPPIITTAARRLLOO……

serie “vi taglio la testa, così non pensate,non vi esprimete, nulla mi comunicate...”.D’altronde, come pretendiamo che sia di-versamente se in presenza dei nostri ragazzinon riusciamo a trattenerci dal denigrare inostri avversari politici, i nostri vicini unpo’ ‘rompi’, i parenti che ci odiano, gli in-segnanti incompetenti, i nostri concorrenticommerciali? Come pensiamo di educarlialla legalità, alla condivisione, al rispettodelle idee e dei diritti altrui se noi adulti perprimi non riusciamo a considerare gli altrisenza inforcare gli occhiali del pregiudizio?

L’emergenza educativa è tema di grande at-tualità, è vero! Ma il ruolo dei genitori dovelo mettiamo? Molti genitori, permettetemi,spesso fanno “l’avvocato” dei figli. E delleconseguenze di questo ci preoccupiamosolo quando la barca è ormai alla deriva.Mai dire a un genitore che il proprio figlioè responsabile di qualcosa. Meglio dire chela colpa è del figlio di qualcun altro, altri-menti rischi la querela dopo un laconico“Come ti permetti?”, perché i nostri ragazzisono tutti dei piccoli geni in prima, dei lau-reati in quinta e dei professori alle medie,

tanto che quando vanno alle superiori i do-centi “non capiscono niente”, “non sannoinsegnare” - e a volte questo è vero, ma aimiei tempi nessuno si azzardava a dirlo - epoi “quelli, professori sono?”! Di conse-guenza la scuola non vale, non ti prepara,non ti forma e tutto quello che volete,basta che prima ci mettete ‘non’. Ma si ac-corgono che i ‘loro’ figli saranno bravi afare i pusher, griffati dalla testa ai piedi,con l’ultima trovata tecnologica fra lemani, ma non riescono a formulare unafrase di senso compiuto?Poi ci sono i genitori-amici. Fa sorrideresentire un genitore dire di voler essereamico di suo figlio. Amico? E il genitorechi lo fa? Il professore, il preside, il par-roco, l’allenatore di calcetto, o forse il‘Grande Fratello’? Non meravigliamoci,allora, quando la cronaca nel riportare epi-sodi di bullismo nelle scuole anche asfondo sessuale, di rapine a supermercati edistributori di benzina, di atti vandalicicompiuti nottetempo all’interno di istitutiscolastici, conclude che gli ideatori di taligesti sono bravi ragazzi, figli di buona fa-miglia, ragazzi normali, tranquilli, chevanno a scuola e prendono pure buonivoti. Esattamente come i ragazzi normaliche nella nostra comunità disturbano laquiete notturna con schiamazzi, sgommatee stereo a tutto volume fino all’alba, bi-vacchi e festini sotto i portoni altrui.Ai genitori che si illudono di essere amicidei loro figli: attenti quando giocate allaplay station con loro, rischiate di ritrovarviin ospedale. Per mano di vostro figlio!

Puntuale come ogni anno, a Tiggiano si èsvolta la “Sagra della Pestanaca” che

funge da ouverture alla tradizionale festapatronale del 19 gennaio.Questo ortaggio, protagonista della rino-mata fiera, è associata al culto di Sant’Ip-pazio che si ricorda essere il protettoredell’apparato urogenitale maschile. La cre-denza popolare, forse per associazione diimmagine attribuisce alla Pestanaca pro-prietà propiziatorie di fertilità e virilità.La Pestanaca si caratterizza per la sua cro-

matura giallo-viola screziato, molto diversadall’arancione uniforme della tradizionalee più nota carota. Essa presenta un gustofresco, dolce, aromatico e succoso. Propriograzie alle sue eccellenti peculiarità, dalgiugno scorso è stata inserita, con DecretoMinisteriale delle Politiche Agricole, nel-l’elenco nazionale dei prodotti agro-ali-mentari.La Pro-loco di Tiggiano, da sempre impe-gnata a sostenere e valorizzare la cultura lo-cale, organizza il 18 gennaio di ogni anno,

FESTA DELLA PESTANACAcon il Comune di Tiggiano e in collabora-zione con il Comitato festa di Sant’Ippazio,una sagra al solo fine di promuovere e otti-mizzare l’immagine di questo particolareortaggio.La Sagra quest’anno si è svolta in PiazzaAldo Moro, dirimpetto alla Chiesa “CristoRedentore” dove provvisoriamente è statariposta la statua di Sant’Ippazio, in attesadell’ultimazione dei lavori di Restauro del-l’antica Chiesa di “Sant’Ippazio” ubicata alcentro del Paese.Quella sera il freddo era pungente; ma que-sto non ha impedito che una ricca folla divisitatori, allegra ed entusiasta, facesseonore alle offerte culinarie, tutte a base dipestanaca e tutte succulente: pittule, ravioli,sformato di riso. Infine un dolce squisito,anch’esso alla pestanaca. Accanto allostand culinario, ve ne era uno che esponevadelle meravigliose composizioni di pesta-nache; la Pro Loco da un po’ di anni bandi-sce una gara per la pestanaca che presentala forma più stravagante, e premia il colti-vatore che l’ha prodotta. E’ un modo comeun altro per stimolare i tiggianesi e nonsolo, a non abbandonare la nostra cultura,le nostre radici e tradizioni folckoristichemantenendole in vita per poterle traman-dare orgogliosi ai posteri.Questa sagra è stata istituita per il preciso

scopo di diffondere e pubblicizzare questosingolare ortaggio, ma è diventata un occa-sione goliardica per molti tiggianesi , unmodo per incontrarsi socializzare e diver-tirsi.

Daniela Ricchiuto

Resti di un presepe

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39° Parallelo • Febbraio 2010 pag. 6

di Giorgio Serafino

La nazionale italiana di calcio compiecento anni. La prima partita della rap-

presentativa del nostro paese ebbe infattiluogo nel 1910 all’Arena Civica di Milanocontro la Francia, dando così inizio adun’epopea che tra trionfi clamorosi, scon-fitte brucianti, polemiche roventi e ardentipassioni collettive ha reso questa squadrasportiva uno degli elementi più significa-tivi nella storia del nostro costume e nel-l’evoluzione della nostra vita sociale. Atutt’oggi si può affermare senza tema dismentita che la Nazionale di Calcio è unarealtà ancora capace di suscitare l’interessedella maggior parte degli Italiani, e nonsolo in occasione delle competizioni piùimportanti, contribuendo alla riafferma-zione e alla conservazione della nostra spe-cifica identità comune, nonostante i notieventi di cronaca degli ultimi anni abbianominato nel profondo la credibilità delmondo del pallone, a dispetto deltradizionale affettuoso attacca-mento degli appassionati.Il prestigio di cui gode laNazionale è attestato inprimo luogo dall’im-portanza assunta findall’inizio dal coloredella sua divisa.Dopo l’esordio del1910, in cui i nostrigiocatori indossaronouna maglia bianca, dallaseconda partita fu adot-tata la maglia azzurra (inonore del colore di casa Sa-voia), che rimase poi per sempre ilcolore ufficiale della Nazionale, la cui ca-rica simbolica si estese fino a rappresentaretutti gli atleti italiani in ogni disciplinasportiva.Ovviamente il ragguardevole palmarés del-l’Italia calcistica ha contribuito a rendere ilnostro paese una grande potenza nel mondodel pallone internazionale. I quattro titolimondiali (1934, 1938, 1982, 2006) costi-tuiscono un record superato solo dal Bra-sile (che ne ha conquistati 5), a cui devonoaggiungersi due finali perse (1970 e 1994)e un terzo posto (1990), oltre a un titolo eu-ropeo (1968, sia pure tra grandi polemichee tanta fortuna) e un titolo olimpico (1936).A queste pagine gloriose fanno da contrap-punto gli altrettanto numerosi momenti bui

CENTO ANNI DI NAZIONALE

della nostra storia calcistica nazionale, chespesso sono stati vissuti con tragica parte-cipazione da gran parte della pubblica opi-nione, fino a sfiorare anche la polemicapolitica. La tragedia di Superga (4 maggio1949) con la scomparsa del grande Torino,che costituiva l’ossatura quasi completadella Nazionale, inflisse al nostro calciouna ferita mai veramente rimarginata, man-tenendolo per molti anni in posizione su-balterna in ambito internazionale. Leclamorose eliminazioni dai Mondiali del1962 in Cile (con una rissa con la squadradi casa) e del 1966 in Inghilterra (ad operadella sconosciuta Corea del Nord) umilia-rono il nostro calcio pieno di ambizioni e

suscitarono polemiche sull’impo-stazione generale della menta-lità tecnico-gestionale dellenostre squadre di club,infarcite di giocatoristranieri, ricche sulpiano economico maincapaci di stimolarela crescita di un vivaiodi validi calciatori no-strani.Nelle epoche più re-centi, la Nazionale ha ri-sentito solo in parte degli

eventi negativi che hanno in-vestito il mondo del calcio (le in-

chieste sulle scommesse illecite neiprimi anni ’80 e nel 2005-2006, i numerosisospetti casi di doping, la crisi finanziaria allimite del tracollo di alcune grandi squadredi club, la nuova apertura indiscriminata aigiocatori stranieri, le violenze negli stadi)e gli allenatori che si sono avvicendati sullasua panchina, pur tra immancabili polemi-che spesso gratuite e di parte, hanno sempresostanzialmente saputo selezionare i mi-gliori giocatori al momento disponibili. Ciòè stato anche dovuto all’accorta politica se-guita da quasi tutti i commissari tecnici (so-prattutto dei campioni del mondo VittorioPozzo, Enzo Bearzot e Marcello Lippi) ditrasferire nella Nazionale, con i dovuti ag-giornamenti evolutivi, il modulo di gioco

da sempre più diffuso nel nostro campio-nato e più confacente alla nostra tradizionee alle nostre caratteristiche peculiari, ossiail difensivismo associato al rapido contro-piede, non a caso chiamato “gioco all’ita-liana”, che proprio grazie alle prestazionidelle rappresentative azzurre ha potuto af-fermarsi come modello apprezzato ed imi-tato in molte parti del mondo.Ma nella storia della Nazionale, oltre allaprimaria funzione del gioco collettivo pla-smato dal c.t. di turno, rifulgono anche leindividualità degli innumerevoli campioniche hanno indossato con onore e dedizionela maglia azzurra, contribuendo con le loroprestazioni a scriverne le pagine più belle.Tra quelli del passato non si possono nonricordare Meazza, Ferrari, Piola, ValentinoMazzola, Boniperti, Facchetti, SandroMazzola, Rivera, Riva, Albertosi, Zoff, Sci-rea, Rossi, Tardelli, Conti, oltre agli oriundiOrsi, Monti, Sivori e Altafini, tutti grandiatleti e seri professionisti, che hanno sem-pre considerato la Nazionale il momentopiù importante della loro carriera, da af-frontare con il massimo dell’impegno e del-l’ardore agonistico. Tali connotati nonsempre si rinvengono negli attuali giocatoriazzurri, che ormai considerano la convoca-zione in nazionale come un normale impe-gno professionale, al pari del lavoroquotidiano nella squadra di club. Ciò haspesso inevitabilmente condizionato nega-tivamente le prestazioni della compagineitaliana, riproponendo con urgenza il nonnuovo problema di promuovere un rap-porto equilibrato tra le esigenze della Na-zionale e gli impegni richiesti dalle societàdi appartenenza dei calciatori. La squadra azzurra, comunque, è ancora lastruttura portante del nostro calcio, un pre-zioso elemento unificante portatore dieterni valori sportivi, dal quale deve potertrarre linfa vitale l’intero mondo del pal-lone, per far sì che questa disciplina conti-nui ad essere il più bello spettacolo delmondo e possa regalare all’Italia altri me-morabili momenti di gioia collettiva e di or-goglio nazionale.

Campioni del mondo del 1934 (V. Pozzo)Combi; Monzeglio, Allemandi, Ferraris IV, Monti,Bertolini, Guaita, Meazza, Schiavio, Ferrari, Orsi

CAMPIONI DEL MONDO ‘82

CAMPIONI DEL MONDO ‘38

CAMPIONI DEL MONDO ‘06

CAMPIONI D’EUROPA ‘68

di Simona Biasco

PENSIERI LIBERIRassegnatevi! No, non è lo slogan diuna nota religione, (quello, semmai,

dice: “Svegliatevi!’’) ma un mio persona-lissimo consiglio. Lo faccio solo per il vo-stro bene; v’invito a non aspettarvi troppoda questo testo perché, la signora o signo-rina, come volete etichettarmi (non ha im-portanza), non può non ascoltare quellavocina interiore, che le ricorda che Febbraioè un mese un po’ particolare… sincera-mente me lo ha ricordato anche la redazionee, al solito, sono sempre un disastro con lescadenze, povera me!Il tema m’invita a nozze: San Valentino! Loso, lo so, è la solita baggianata di sempre,trita e ritrita, che sfodero ogni anno. Cosavolevate? Che vi parlassi della fine delmondo nel dicembre 2012? Neanche persogno! Tutte quelle storie sui Maya e le loropredizioni, proprio allo scoccare della mez-zanotte del 31, mentre ero intenta a stapparelo spumante, mi hanno fatto passare la vo-glia di festeggiare come si deve il nuovoanno! Per carità, il popolo Maya si è estintoprima ancora di nascere, ma, non potevanotenersela per sé questa grande rivelazione?Certamente non voglio morire giovane, io!Ho ancora tante cose da fare! Non si può

stroncare sul nascere i sogni di una giovanedonna come me! I disastri, che siano natu-rali o commessi dall’uomo, stanno già av-venendo, conseguenza della spavalderiaumana che tutto vuole controllare e soggio-gare ma, la Natura, sa come rispondere al-l’insolenza e insubordinazione.Dicevo: la festa degli innamorati mi fa sem-pre tenerezza, tutti quei cuoricini sparsi quie là, le rose rosse, i pensierini da mandareper sms…puah! Troppa glicemia in unavolta sola! Poi, guardo la tv e attrae la miaattenzione uno schieramento di uomini e didonne in un palcoscenico come quello diMaria de Filippi, che cercano di trovarel’anima gemella o solo una buona compa-gnia. Non si tratta delle solite ragazzette chesfilano un po’ a disagio per corteggiare un“tronista” di bella presenza, che, non si sacome mai, non riesce a trovarsi una mezzafidanzata; né di ragazzi appena usciti chissàda quale rivista di moda maschile, che, nul-lafacenti, si siedono sulle poltroncine a la-

sciarsi “massacrare” da “troniste” che cer-cano un principe azzurro per tutta la vita ofinchè durano gli ingaggi.No, qui si parla di uomini e di donne chehanno passato la cinquantina e, che hannovoglia di rimettersi in gioco ancora unavolta, senza vergognarsi di dichiarare lapropria età. Ho una possibilità, mi dico, senon l’ho trovato ancora questo benedetto fi-danzato, ho tutta la vita davanti! Sempreche non avvenga la fine del mondo! Magarinon ci sarà la Maria a condurre la trasmis-sione ma un suo clone, e io avrò coronatofinalmente il sogno di mia madre e quellodel ministro Brunetta che vuole cacciarcivia dalle sottane di mammina e darci un as-segnino al mese per trovarci un apparta-mentino per conto nostro. Ma, mi chiedo,non è che il signor ministro, ha problemicon i suoi di figli, se ne ha, per caso?Mi metto a seguire la trasmissione, incurio-sita dallo scenario diverso dal solito e sco-pro con mia grande sorpresa, di essere un

po’ invidiosa davanti a queste nonne e aquesti nonni, così pieni di vitalità, carichidi aspettative che noi abbiamo perduto perstrada, consci del fatto che la loro vita ha intasca un orologio e per questo, più motivatia viverla giorno dopo giorno, facendo lecose che non si ha mai avuto il coraggio difare, come quello di guardare una teleca-mera e dire: “Mi chiamo Pinco Pallino, hosettant’anni e ho voglia di conoscere qual-cuno, scopo amicizia o relazione.” Sorrido,quando un professore universitario, invita aballare una signora e chiede una musica dadiscoteca.Quanti anni sono passati dall’ultima voltache ho messo piede in discoteca, io? Chevergogna! Che schiaffo morale mi hannodato questi signori! Mi verrebbe la vogliadi corteggiarne uno, se non fosse per la dif-ferenza d’età! Perché la galanteria è di casa,il vecchio modo di approcciarsi alle personenon è ancora morto, solo, è in disuso, comela moda e, spero che, come la moda, vengarivalutato anche dai giovani.Mi commuovo un po’, quando parlo di que-ste cose. Cosa volete farci? Anch’io sonouna tenerona in fondo! Ma, molto in fondo!Saluti e Buon San Valentino a tutti!

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39° Parallelo • Febbraio 2010 pag. 9

Finalmente dopo secoli di chador, la sta-tua del patrono Sant’Ippazio si ripre-

senta nelle sue vesti originali, in tutto il suosplendore!!!Infatti, in passato questo gigantesco manu-fatto fu più volte oggetto di grottesche “re-staurazioni”, che invece di esaltare la suanaturale bellezza, la celavano con pitturegrossolane di mani inesperte.La riscoperta si è avuta grazie ai meticolosistudi compiuti dal giovane, ma espertissimorestauratore Andrea Erroi, il quale ci svelauna infinità di verità nascoste.Innanzitutto, questa meravigliosa Statua ri-sale a fine ‘600, inizi ‘700, dunque in

piena età Barocca, l’incontestabile colloca-zione temporale discende sia dal materialeadoperato, che dallo stile in cui essa è statarealizzata; inoltre dal materiale impiegatosi evince che essa è stata creata in Campa-nia, dove era molto diffuso l’utilizzo dellegno di tiglio.La necessità di procedere ad un’attività direstauro della stessa, era scaturita da unaserie di imperfezioni e dalla sua cromatura, che non rispecchiava affatto lo stile ba-rocco, inoltre presentava il degrado causatoda attacchi biologici da parte di insetti xi-lofagi. Il restauratore ha così redatto un “Progettodi Restauro”, sottoposto al vaglio della So-vraintendenza per i beni culturali che lo haapprovato concedendogli il nulla osta, per ilripristino del manufatto nella sua cromaturaoriginale. Partiva così, lo scorso novembre,il laborioso compito di ristrutturazione, ul-timato l’antivigilia della festa patronale diTiggiano.La statua, è normalmente collocata in unanicchia del transetto sinistro, raffigura San-t’Ippazio che calpesta il maligno incarnatodal drago, ai suoi piedi, inoltre, vi è un an-gelo che gli regge la mitra. Il Santo ve-scovo, nella destra regge il pastorale e conla sinistra ammonisce; il moto della figuraè accentuato dalle plastiche pieghe del pi-viale che svolazza in avanti. La statua recain testa una mitra di stoffa, sicuramente nonoriginale, poiché S. Ippazio solitamenteviene raffigurato sprovvisto di tale orna-mento sacerdotale, che gli viene porto dagli

angeli. L’attività di restauro, ci spiega An-drea Erroi, si è evoluta attraverso diversefasi. Preliminarmente, è stato necessariosvolgere un’attività di Indagine CriticaStratigrafica, al fine di individuare i tratta-menti cromatici, materici originali e do-cumentare gli strati manutentivisoprammessi; dopo di che, ha avuto iniziol’attività di rifacimento vera e propria, cheha previsto una spolveratura superficiale amezzo di morbidi pannelli, e attraverso deibisturi chirurgici, con l’ausilio di solventi emiscele fluidificanti sono stati rimossi glistrati di colore sovrammessi, ereditati dalleprecedenti tinteggiature effettuate sullascultura. Si è proceduto poi, ad un trattamento bio-cida in atmosfera modificata e impregna-zioni antitarlo; sempre allo scopo dirafforzare ulteriormente il supporto ligneo,che si presentava spossato, sfibrato e al-veolizzato, da secoli di esposizione del ma-nufatto all’azione di insetti omicrorganismi, sono state opportunamenteeseguite delle iniezioni di resina acrilicamicrocristallina. Dopo questo trattamentoricostitutivo della statua, è stato compiutoun riconsolidamento della policromia edegli strati preparatori, mediante un fortifi-cante, in quanto si presentavano decoesi esvigoriti dalla loro naturale nitidezza. In-fine, con stucco “specializzato” (gesso diBologna + colletta), sono stati ricostruitipiccoli dettagli, che col tempo erano staticancellati e ridipinti accuratamente con co-lori a vernice Maimeri a stesura differen-

ziata. Ci sono voluti ben quattro mesi diestenuante impegno, per riportare Sant’Ip-pazio nella sua versione inedita, che prov-visoriamente è ubicata, presso la ChiesaCristo Redentore di Tiggiano.

IL NUOVO “VECCHIO” LOOK DI SANT’IPPAZIO

di Bianca Paris

L’abitudine a far questo quello e quel-l’altro ancora in tempi sempre più

brevi crea automatismi che ti semplifi-cano la vita, ma alla lunga possono ri-durre i tuoi momenti autentici.Poi vieni a conoscenza di una vicendache si svolge al di là dei tuoi soliti sce-nari; e lo scossone ti fa aprire gli occhi suuna cosa che sai benissimo da sempre,ma che se ne sta come sequestrata dallaroutine. Quella verità, elementare, è che fuori daituoi problemi e traffici quotidiani, c’è unbrulichio di vicende, tensioni, ansie esperanze alle quali non fa assolutamentemale ripensare, almeno di tanto in tanto.Anzi fa bene allo spirito, perché ne affinala sensibilità. La vicenda di cui voglio parlarvi è quelladi una persona, Rita Martella, che nata aTiggiano nel ‘43, appena ventenne, entròa far parte della Congregazione delleSuore Vocazioniste; e subito dopo laprima formazione religiosa, venne inviatamissionaria in Brasile. Detta così, la faccenda può apparire sem-plice e forse banale. Ma provate a calarla nel contesto paesanodi quegli anni, quando anche un viaggioa Roma era una mezza avventura, e la

Un saluto ad una SuoraRITA MARTELLA

cosa vi apparirà sotto altra luce. Personalmente mi intenerisce immaginarela scena: una suora giovane e alle primearmi che di colpo dal borgo natio si ritrovain un Paese grande quanto un continente.

Roba da “far tremare le vene ai polsi” ver-rebbe da dire. Ma non a quelle di SuorRita, che ha dalla sua carattere d’acciaio egrande determinatezza per la sua Missione,Con queste armi giunge in Brasile, e suquella Terra bellissima ma straziata da se-colari diseguaglianze socio-economicheavvia subito le sue battaglie quotidiane ac-canto agli emarginati. Per trentacinqueanni, senza risparmio di tempo e di ener-gie, fa il possibile e l’impossibile per alle-viare il dolore, l’umiliazione dei rifiutati,per sottrarre alla strada i piccoli abbando-nati. Coinvolge nell’opera di recupero chipuò in concreto darle una mano di aiuto.Per lo sviluppo di quelle comunità dà ilmeglio di sè, impegnandosi nei vari ruoli:maestra dell’infanzia, responsabile di Co-munità, maestra delle Postulanti e delleNovizie, delegata della Madre Generale.In una parola, suor Rita per 35 anni, interra brasiliana profonde ciò che aveva af-ferrato fin da giovanissima: il Valore ine-guagliabile del messaggio cristiano.

Ammalatasi, cerca in Italia quelle cureche in Brasile non riesce a trovare. Ma ilcuore lo ha lasciato lì, nei bisogni diquella gente. È lì che vuole tornare: nel-l’abbraccio di quella Società carente ditanto ma ricchissima di calore umano. Hanostalgia di quella comunità, nella qualesi era tanto ben integrata da considerarlasua da sempre. Vuole tornare per riassa-porarne l’aria, per essere ricoperta daquella terra. Un desiderio umanissimo,che ha in sé tutta la nobiltà delle cosesemplici. Così come semplici, spontaneisenza fronzoli erano il suo essere personae il suo slancio missionario. Purtropponon è stato possibile accogliere tale invo-cazione.Ora Suor Rita riposa in pace nel cimiterodi Pianura con altre consorelle della Con-gregazione.Terra benedetta; come benedetta è laTerra alla quale aveva donato il megliodella propria esistenza; come benedetta èquella del Cimitero Giardino di Tiggiano,che l’avrebbe accolta in un abbraccio ma-terno; infine come bella è l’aria, in cui oraaleggia la sua anima che, libera dallenorme, chiede alla nostra sensibilità dinon dimenticarla. E tutti, onorati di averlaavuta tra noi, la ricorderemo.

2.10.1943 - 22.12.2009

Campanile chiesa Sant’Ippazio