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Anche in questo periodo di crisi, Maria è la nostra compagna di viaggio. Ci aiuta a ritrovare l’entusiasmo di seguire Gesù. Ci invita ad una rinnovata fiducia nel Dio della vita, che ci chiama a camminare nella fede e nell’amore e ad infondere speranza. La crisi economica e lo smarrimento di valori a cui oggi assistiamo non toccano soltanto le giovani generazioni, ma anche gli adulti. C’è chi propina ricette con soluzioni a medio o a lungo termine. Nessuno, però, può risolvere il calo di fiducia nella vita e nel futuro, che sembra all’origine di una crisi generalizzata e che investe ogni dimensione del vivere umano. Soltanto una ritrovata visione evangelica potrà ridimensionare questa crisi facendo balenare all’orizzonte indicazioni di senso. Maria di Nazaret, esperta nell’arte di accompagnare il suo Figlio Gesù nella sua crescita umana e la Chiesa nei tempi difficili, è la nostra compagna di viaggio. Maestra nel cammino della fede, addita anche a noi Gesù, si pone al nostro fianco, ci infonde fiducia e sicurezza. Anche Lei ha dovuto apprendere giorno per giorno la direzione giusta. Le è bastato rendersi disponibile a Dio, fidarsi di Lui, lasciarsi accompagnare da Lui. Maria è una giovane donna che fa spazio all’ingresso della luce. Ascolta nel silenzio del suo essere la densità della Parola che le viene rivolta dall’angelo: Rallegrati, piena di grazia: il Signore e con te...Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù(Lc 1,28.31). È una ragazza che sa amare e progettare il futuro, ma rimane aperta all’imprevisto di Dio. La sua casa è il luogo del silenzio, dell’ospitalità, dell’accoglienza del divino, che lei riceve nel cuore prima che nel grembo. Scopre che la sua autenticità sta nel sentirsi abitata da Dio, nel realizzare il passaggio dall’esistere per sè stessa all’esistere per un Altro. Maria rimanda al centro della fede: Gesù Cristo. Lei è la casa dove la Parola può dimorare, ma lei stessa è accolta dalla Parola e dimora in essa: l’essere discepola di Gesù inizia con il suo “si” ad essere madre. Maria accompagna anche noi oggi a vivere la chiamata del Signore nella ricerca continua del suo progetto, che esige la purificazione dai protagonismi personali e dall’egoismo. Ci sostiene nell’impegno di renderci disponibili ad accogliere le sorprese di Dio, come dice Papa Francesco, nel quotidiano. Ci aiuta a far fiorire la vita, a risvegliarla e potenziarla sul nostro cammino. Ci rende attenti a riconoscere i segni di speranza presenti nel nostro tempo, nella vita dei fratelli e delle sorelle che il Signore ci pone accanto, nell’esistenza dei giovani. Guardando a Lei, ci chiediamo: siamo ancora capaci di ascoltare con stupore la Parola di Maggio 2016 - Anno 18 (n° 210) Mensile della Comunità Parrocchiale di Torri del Benaco

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Anche in questo periodo di crisi, Maria è la nostra compagna di viaggio. Ci aiuta a ritrovare l’entusiasmo di seguire Gesù. Ci invita ad una rinnovata fiducia nel Dio della vita, che ci chiama a camminare nella fede e nell’amore e ad infondere speranza. La crisi economica e lo smarrimento di valori a cui oggi assistiamo non toccano soltanto le giovani generazioni, ma anche gli adulti. C’è chi propina ricette con soluzioni a medio o a lungo termine. Nessuno, però, può risolvere il calo di fiducia nella vita e nel futuro, che sembra all’origine di una crisi generalizzata e che investe ogni dimensione del vivere umano. Soltanto una ritrovata visione evangelica potrà ridimensionare questa crisi facendo balenare all’orizzonte indicazioni di senso. Maria di Nazaret, esperta nell’arte di accompagnare il suo Figlio Gesù nella sua crescita umana e la Chiesa nei tempi difficili, è la nostra compagna di viaggio. Maestra nel cammino della fede, addita anche a noi Gesù, si pone al nostro fianco, ci infonde fiducia e sicurezza. Anche Lei ha dovuto apprendere giorno per giorno la direzione giusta. Le è bastato rendersi disponibile a Dio, fidarsi di Lui, lasciarsi accompagnare da Lui. Maria è una giovane donna che fa spazio all’ingresso della luce. Ascolta nel silenzio del suo essere la densità della Parola che le viene rivolta dall’angelo: ≪Rallegrati,

piena di grazia: il Signore e con te...Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù≫ (Lc 1,28.31). È una ragazza che sa amare e progettare il futuro, ma rimane aperta all’imprevisto di Dio. La sua casa è il luogo del silenzio, dell’ospitalità, dell’accoglienza del divino, che lei riceve nel cuore prima che nel grembo. Scopre che la sua autenticità sta nel sentirsi abitata da Dio, nel realizzare il passaggio dall’esistere per sè stessa all’esistere per un Altro. Maria rimanda al centro della fede: Gesù Cristo. Lei è la casa dove la Parola può dimorare, ma lei stessa è accolta dalla Parola e dimora in essa: l’essere discepola di Gesù inizia con il suo “si” ad essere madre. Maria accompagna anche noi oggi a vivere la chiamata del Signore nella ricerca continua del suo progetto, che esige la purificazione dai protagonismi personali e dall’egoismo. Ci sostiene nell’impegno di renderci disponibili ad accogliere le sorprese di Dio, come dice Papa Francesco, nel quotidiano. Ci aiuta a far fiorire la vita, a risvegliarla e potenziarla sul nostro cammino. Ci rende attenti a riconoscere i segni di speranza presenti nel nostro tempo, nella vita dei fratelli e delle sorelle che il Signore ci pone accanto, nell’esistenza dei giovani. Guardando a Lei, ci chiediamo: siamo ancora capaci di ascoltare con stupore la Parola di

Maggio 2016 - Anno 18 (n° 210)

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Dio, di custodirla nel cuore e di aprirci all’inedito dell’amore? Un cuore che ama e sempre pronto a cercare la persona amata, ad accogliere ogni suo desiderio per poi correre a realizzarlo. Maria è con noi, nella nostra casa e nella nostra vita; ci aiuta a ritrovare l’entusiasmo di seguire Gesù, a fidarci di Lui; ci guida nel pellegrinaggio della fede che si confronta ogni volta con nuove sfide e opportunità. La nostra testimonianza di adulti fiduciosi e gioiosi può infondere nei giovani la certezza di essere custoditi da Dio, sostenuti dalla mano materna di Maria, da Lei accompagnati nella ricerca del loro progetto personale, che è sempre un progetto di vita per la gioia degli altri; una vita che si gioca a favore del bene della comunità ecclesiale e sociale. Da Lei i giovani possono imparare la relazione che fa crescere in libertà e responsabilità, nel servizio agli altri e nell’apertura a Dio. Adulti e giovani siamo chiamati a un percorso di fede in cui lasciarci amare da Dio, accettare di entrare nel suo progetto servendo il bisogno di vita, di senso, di gioia delle nostre famiglie e comunità, delle giovani generazioni. Il 2016 è un tempo di grandi eventi: stiamo vivendo il Giubileo: l’Anno Santo della Misericordia; è l’anno dell’incontro storico di Papa Francesco con il Patriarca di Mosca Alessio, l’anno della Esortazione Apostolica di papa Francesco “Amoris laetitia” sulla famiglia, l’anno della Giornata Mondiale dei Giovani a Cracovia nel prossimo luglio. Tutto invita ad una rinnovata fiducia nel Dio della vita che ci chiama a camminare nella fede e nell’amore e a infondere speranza, come ha fatto Maria. Lei ha fiducia in noi, conta su di noi perché possiamo essere segno della sua presenza materna in un mondo attraversato dalla paura, spesso povero di amore e di sogni per il futuro.

Don Giuseppe

LA PREGHIERALA PREGHIERALA PREGHIERALA PREGHIERA DEL SANTO ROSARIODEL SANTO ROSARIODEL SANTO ROSARIODEL SANTO ROSARIO NEL MESE DI MAGGIONEL MESE DI MAGGIONEL MESE DI MAGGIONEL MESE DI MAGGIO

PARROCCHIA DI TORRIPARROCCHIA DI TORRIPARROCCHIA DI TORRIPARROCCHIA DI TORRI

Chiesa Parrocchiale ore 17.30

Oratorio Parrocchiale ore 20.30

Oratorio SS. Trinità ore 21.00

Oratorio S. Antonio ore 20.30

Oratorio S. Faustino ore 20.30

Capitello Rossone Anze ore 20.30

Capitello Le Sorte ore 20.00

PARROCCHIA DI PAIPARROCCHIA DI PAIPARROCCHIA DI PAIPARROCCHIA DI PAI

Chiesa Parrocchiale ore 20.00

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MADONNA DEL FRASSINOMADONNA DEL FRASSINOMADONNA DEL FRASSINOMADONNA DEL FRASSINO

11 Maggio 11 Maggio 11 Maggio 11 Maggio

festa dell’apparizionefesta dell’apparizionefesta dell’apparizionefesta dell’apparizione

Il Santuario della Madonna del Frassino sorge vicino alla sponda del lago di Garda, vicino a Peschiera e ai colli dove si sono combattute le sanguinose battaglie del Risorgimento. Tra il verde e la quiete dei cipressi, vi è conservata una piccola statua della Madonna dalle origini prodigiose.

L’apparizione

L’11 maggio del 1510 un contadino, Bartolomeo Broglio, lavora nel proprio campicello. I tempi sono tristi: le guerre tra i Francesi e la Repubblica di Venezia hanno portato distruzione e povertà. Improvvisamente sente un fruscio e rimane atterrito alla vista di un serpente, che gli si avvicina minaccioso. Bartolomeo istintivamente rivolge un’invocazione alla Madonna e con sollievo vede che il serpente si allontana. Nello stesso istante, è attratto da una luce tra i rami di un alto frassino. Si avvicina e con meraviglia vede, nello splendore, una piccola statua della Madonna con in braccio il Bambino. Colmo di gioia, comprende che è stata la Vergine a salvarlo; bacia la statuetta e se la porta a casa, dove racconta ai familiari

quanto gli è accaduto. Preoccupato di conservare quel tesoro, depone la statuetta in un cassettone che ritiene sicuro. La notizia dell’apparizione, però, si propaga. Tutti vogliono vedere la statuetta e Bartolomeo non sa dire di no: apre il cassettone, ma con sorpresa non trova la statua. Sconvolto, corre al campo e vede nuovamente la statua della Madonna tra i rami del frassino. La notizia del fatto straordinario si diffonde in un baleno, e i fedeli accorrono per implorare grazie e benedizioni dalla Vergine. Il parroco, mons. Antonio Cornacchi, informa il Vescovo. Poi, la statuetta è portata in processione a Peschiera e collocata nella chiesa della Disciplina, custodita sotto chiave in un tabernacolo. L’afflusso del popolo continua ininterrotto, ma un giorno il custode aprendo il tabernacolo dove l’immagine è custodita, lo trova vuoto. La Madonna è tornata sul frassino, a dimostrazione che desidera essere venerata in quel luogo.

Il Santuario

La Vergine dal volto soave, raffigurata nella statuetta alta circa 14 cm, è ritta su di un piedistallo, avvolta da una veste che le scende in leggere pieghe sino ai piedi. Sul capo porta la corona regale e con la destra stringe al petto Gesù, che guarda con immensa dolcezza la Madre e tende verso di lei le braccia. Nel frattempo, la gente costruisce una cappella, affidata dapprima ai Servi di Maria e poi ai Frati Minori Francescani, i quali edificano la bella chiesa detta appunto “della Madonna del Frassino”, sin dal 1514. Da cinque secoli, il Santuario è centro di fede per gli abitanti delle zone circostanti,

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nonostante le dolorose vicende che lo coinvolsero. Le truppe di Napoleone prima, l’esercito piemontese del maggiore Alfonso Lamarmora poi, in lotta contro l’Austria per l’indipendenza dell’Italia, recarono distruzione e rovine. La Madonna, però, ha sempre vegliato sulla sua Casa e la pace di Villafranca, nel 1859, ha salvato definitivamente il Santuario. Nel 1930, la Madonna del Frassino è incoronata solennemente e nel 1933, su unanime richiesta dei parroci e dei sindaci delle terre del Lago, è proclamata Regina del Garda. Mons. Eugenio Ravignani, Vescovo di Trieste, così sintetizzava nel 1990 il messaggio che ci viene dalla Madonna del Frassino: “È una Madonna silenziosa, non ha detto una parola. Lei tace. L’umiltà del suo silenzio... Ci troviamo davanti ad una piccola statua: è l’umiltà della sua piccolezza, di Lei che sempre amò chiamarsi ’umile serva del Signore. E poi, questo strano fatto: l’immagine scompare e si trova là soltanto dove è apparsa la prima volta: l’umiltà di essere nelle mani di Dio, che la colloca là dove Egli vuole”.

Andrea

La presentazione della Esortazione apostolica di Papa Francesco “Amoris Laetitia” fatta dal Card. Christoph Schönborn in Sala Stampa in Vaticano

LLLLEEEE PAROL PAROL PAROL PAROLEEEE CHIAVE CHIAVE CHIAVE CHIAVE

DELL’ESORTAZIONE DELL’ESORTAZIONE DELL’ESORTAZIONE DELL’ESORTAZIONE

Il cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn si è soffermato sulle parole chiave del documento Amoris Laetitia.

LA PRIMA PAROLA CHIAVE È

“AMORE”

È significativo che il Papa non parli della carità, ma dell’amore. Tutta la pienezza dei sentimenti, degli atteggiamenti nella coppia e nella famiglia, infatti, tutta questa ricchezza è al centro. Io direi che questo documento è anzitutto un grande inno all’amore familiare e nel centro del testo, geograficamente nel centro, ma anche spiritualmente nel centro, si trova il IV capitolo. So che tutti leggeranno l’VIII capitolo dove si

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trattano le questioni difficili, controverse, ma il IV capitolo è veramente il cuore del testo, perché è una lunga meditazione sull’Inno di San Paolo, nel XIII capitolo della Prima Lettera ai Corinzi, sulla carità e sull’amore. E questo è il nucleo. San Giovanni dice: “Abbiamo creduto nell’amore”. Papa Francesco crede nell’amore, nella forza attraente dell’amore, e per questo può essere abbastanza sfiduciato, critico nei confronti di un atteggiamento che vuole regolare tutto con delle norme, di chi pensa che basti accordarsi alla norma. No, dice il Papa: “Questo non attira; ciò che attira è l’amore”. E questa per me, da domenicano, è la posizione classica di San Tommaso d’Aquino. Io spero che, dopo la pubblicazione del documento, si faccia uno studio per mostrare quanto questo documento sia in linea con il grande San Tommaso d’Aquino. È l’autore più citato in tutto il documento tra i teologi, i maestri, i Padri della Chiesa. E la profonda convinzione di San Tommaso è che solo il bene ci attira. L’orientamento nell’agire umano si fa attraverso l’attrazione del bene, della felicità. E questo ideale della famiglia cristiana, della coppia, non è un ideale astratto, è il profondo desiderio dell’uomo. Ma questa meta, questa finalità, si raggiunge passo passo, mano a mano.

LA SECONDA PAROLA CHIAVE È

”ACCOMPAGNAMENTO”

E per questo l’altra parola chiave del documento è ”accompagnamento”: l’accompagnamento che fanno i genitori con i loro figli, che fanno i pastori con i fedeli, che fa il Papa con la Chiesa. Accompagnamento su una strada in cui sono tutti. Ed io, che vengo da una famiglia molto ferita, da una cosiddetta “patchwork family”, ho sofferto da giovane di questa quasi separazione che si fa spesso nella Chiesa: qui sono quelli “in ordine”, che si comportano bene, e qui sono gli altri che sono irregolari; qui i buoni, quelli in regola, e qui gli altri che sono un problema. Papa Francesco, nella linea di Gesù, della Bibbia e del Nuovo Testamento, ci mostra che noi siamo tutti in cammino, tutti, senza eccezione. Anche quelli che hanno la fortuna di vivere in una situazione di pace familiare, serena, nella fede e che camminano bene, anche loro hanno bisogno di conversione, anche loro hanno bisogno di misericordia. E, dunque, accompagnare è la parola chiave per i pastori, per le comunità cristiane. È importante, perché il Papa invita le comunità a questo accompagnamento.

HANNO CELEBRATO IL

MATRIMONIO CRISTIANO

SECONDO e ERIKA

È NATA MARIA.

Congratulazioni a mamma Benedetta e a papà Marco.

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LA TERZA PAROLA CHIAVE È

“DISCERNIMENTO”

E poi, terza e ultima parola chiave, dopo amore e accompagnamento, è discernimento. “Discernimento” è molto ignaziano. Il Papa è gesuita e formato dagli Esercizi di Sant’Ignazio. Il discernimento è ciò che ognuno di noi deve fare: cosa Dio vuole da me nella vita quotidiana, nelle grandi scelte della vita, eccetera. Discernimento anche nelle situazioni difficili. E qui c’è un punto che si deve fortemente sottolineare: questo è in continuità con San Giovanni Paolo II, perché questo documento è basato in gran parte sulla “Familiaris Consortio”. Dobbiamo mostrare in dettaglio quanto sia nella linea della “Familiaris Consortio”, cosa fa il Papa, che ha già fatto il Sinodo dello scorso ottobre. Nel 1984, nella “Familiaris Consortio”, San Giovanni Paolo II diceva: i pastori, per amore della verità, sono obbligati a discernere le situazioni. E poi enumera tre diverse situazioni di rottura del matrimonio, ma sono molto diverse. E cosa vuol dire? Papa Francesco ci mostra che questo discernimento vuole anche un accompagnamento diverso: non fa una casistica dell’accompagnamento, ma piuttosto una scuola dell’attitudine del pastore e della comunità, che accompagnano con uno sguardo attento alla realtà – il Papa lo dice parecchie volte nel documento – le situazioni come sono, le famiglie come sono: un accompagnamento variegato. E in una piccola nota aggiunge che questo

aiuto della Chiesa può esserci, in certi casi, anche con i Sacramenti; non dice di più. Forse alcuni diranno: “Non basta”. Lui dice: “Fate un buon discernimento”. D. – Questo documento ha, secondo

lei, anche un nuovo linguaggio?

R. – Direi che questo documento è un “evento di lingua”, come già è stato l’”Evangelii Gaudium”. È un “evento”, una freschezza, un’immediatezza di linguaggio, che colpisce, perché a volte dobbiamo ammettere – umilmente! – che i nostri documenti ecclesiastici non sono tanto leggibili… Si sente che il Papa è un uomo che ha insegnato la letteratura, che ama i poeti, gli scrittori. Ha un linguaggio con un sapore di vita, di freschezza, di immagini. E parla delle realtà della vita con una vicinanza alla gente, che si sente: si sente che è un uomo che è stato tanto vicino alla gente. Ma non bisogna dimenticare, anche qui, la continuità: leggendo tutto il quarto e il quinto capitolo, penso alle catechesi di San Giovanni Paolo II sulla teologia del Corpo, ma è molto più ampio: la vita della coppia anzitutto. Papa Francesco è, secondo me, in forte continuità con questo approccio molto concreto, vivo, della realtà quotidiana. Forse lui include un po’ di più ciò che lui chiama la “famiglia allargata”; parla dei nonni, degli zii, dei cugini: di tutta questa ricchezza dell’ambiente familiare che forse è un po’ mancata nei documenti ecclesiastici sulla famiglia.

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CAPITOLO QUARTO

L’AMORE L’AMORE L’AMORE L’AMORE

NEL MATRIMONIONEL MATRIMONIONEL MATRIMONIONEL MATRIMONIO 89. Tutto quanto è stato detto non è sufficiente ad esprimere il vangelo del matrimonio e della famiglia se non ci soffermiamo in modo specifico a parlare dell’amore. Perché non potremo incoraggiare un cammino di fedeltà e di reciproca donazione se non stimoliamo la crescita, il consolidamento e l’approfondimento dell’amore coniugale e familiare. In effetti, la grazia del sacramento del matrimonio è destinata prima di tutto «a perfezionare l’amore dei coniugi». Anche in questo caso rimane valido che, anche «se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe» (1 Cor 13,2-3). La parola “amore”, tuttavia, che è una delle più utilizzate, molte volte appare sfigurata.

Il nostro amore quotidiano 90. Nel cosiddetto inno alla carità scritto da San Paolo, riscontriamo alcune caratteristiche del vero amore:

«La carità è paziente, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta,

non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto,

non cerca il proprio interesse, non si adira,

non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità.

Tutto scusa, tutto crede, tutto spera,

tutto sopporta» (1 Cor 13,4-7).

Questo si vive e si coltiva nella vita che condividono tutti i giorni gli sposi, tra di loro e con i loro figli. Perciò è prezioso soffermarsi a precisare il senso delle espressioni di questo testo, per tentarne un’applicazione all’esistenza concreta di ogni famiglia.

Pazienza

91. La prima espressione utilizzata è macrothymei. La traduzione non è semplicemente “che sopporta ogni cosa”, perché questa idea viene espressa alla fine del v. 7. Il senso si coglie dalla traduzione greca dell’Antico Testamento, dove si afferma che Dio è «lento all’ira» (Es 34,6; Nm 14,18). Si mostra quando la persona non si lascia guidare dagli impulsi e evita di aggredire. È una caratteristica del Dio dell’Alleanza che chiama ad

ESORTAZIONEESORTAZIONEESORTAZIONEESORTAZIONE APOSTOLICA APOSTOLICA APOSTOLICA APOSTOLICA

“AMORIS LAETITIA”“AMORIS LAETITIA”“AMORIS LAETITIA”“AMORIS LAETITIA”

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imitarlo anche all’interno della vita familiare. I testi in cui Paolo fa uso di questo termine si devono leggere sullo sfondo del libro della Sapienza (cfr 11,23; 12,2.15-18): nello stesso tempo in cui si loda la moderazione di Dio al fine di dare spazio al pentimento, si insiste sul suo potere che si manifesta quando agisce con misericordia. La pazienza di Dio è esercizio di misericordia verso il peccatore e manifesta l’autentico potere. 92. Essere pazienti non significa lasciare che ci maltrattino continuamente, o tollerare aggressioni fisiche, o permettere che ci trattino come oggetti. Il problema si pone quando pretendiamo che le relazioni siano idilliache o che le persone siano perfette, o quando ci collochiamo al centro e aspettiamo unicamente che si faccia la nostra volontà. Allora tutto ci spazientisce, tutto ci porta a reagire con aggressività. Se non coltiviamo la pazienza, avremo sempre delle scuse per rispondere con ira, e alla fine diventeremo persone che non sanno convivere, antisociali incapaci di dominare gli impulsi, e la famiglia si trasformerà in un campo di battaglia. Per questo la Parola di Dio ci esorta: «Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità» (Ef 4,31). Questa pazienza si rafforza quando riconosco che anche l’altro possiede il diritto a vivere su questa terra insieme a me, così com’è. Non importa se è un fastidio per me, se altera i miei piani, se mi molesta con il suo modo di essere o con le sue idee, se non è in tutto come mi aspettavo. L’amore comporta sempre un senso di profonda compassione, che porta ad accettare l’altro come parte di questo mondo, anche quando agisce in un modo diverso da quello che io avrei desiderato.

Atteggiamento di benevolenza

93. Segue la parola chresteuetai, che è unica in tutta la Bibbia, derivata da chrestos (persona buona, che mostra la sua bontà nelle azioni). Però, considerata la posizione in cui si trova, in stretto parallelismo con il verbo precedente, ne

diventa un complemento. In tal modo Paolo vuole mettere in chiaro che la “pazienza” nominata al primo posto non è un atteggiamento totalmente passivo, bensì è accompagnata da un’attività, da una reazione dinamica e creativa nei confronti degli altri. Indica che l’amore fa del bene agli altri e li promuove. Perciò si traduce come “benevola”. 94. Nell’insieme del testo si vede che Paolo vuole insistere sul fatto che l’amore non è solo un sentimento, ma che si deve intendere nel senso che il verbo “amare” ha in ebraico, vale a dire: “fare il bene”. Come diceva sant’Ignazio di Loyola, «l’amore si deve porre più nelle opere che nelle parole». In questo modo può mostrare tutta la sua fecondità, e ci permette di sperimentare la felicità di dare, la nobiltà e la grandezza di donarsi in modo sovrabbondante, senza misurare, senza esigere ricompense, per il solo gusto di dare e di servire.

Guarendo l’invidia

95. Quindi si rifiuta come contrario all’amore un atteggiamento espresso con il termine zelos (gelosia o invidia). Significa che nell’amore non c’è posto per il provare dispiacere a causa del bene dell’altro (cfr At 7,9; 17,5). L’invidia è una tristezza per il bene altrui che dimostra che non ci interessa la felicità degli altri, poiché siamo esclusivamente concentrati sul nostro benessere. Mentre l’amore ci fa uscire da noi stessi, l’invidia ci porta a centrarci sul nostro io. Il vero amore apprezza i successi degli altri, non li sente come una minaccia, e si libera del sapore amaro dell’invidia. Accetta il fatto che ognuno ha doni differenti e strade diverse nella vita. Dunque fa in modo di scoprire la propria strada per essere felice, lasciando che gli altri trovino la loro. 96. In definitiva si tratta di adempiere quello che richiedevano gli ultimi due comandamenti della Legge di Dio: «Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che

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appartenga al tuo prossimo» (Es 20,17). L’amore ci porta a un sincero apprezzamento di ciascun essere umano, riconoscendo il suo diritto alla felicità. Amo quella persona, la guardo con lo sguardo di Dio Padre, che ci dona tutto «perché possiamo goderne» (1 Tm 6,17), e dunque accetto dentro di me che possa godere di un buon momento. Questa stessa radice dell’amore, in ogni caso, è quella che mi porta a rifiutare l’ingiustizia per il fatto che alcuni hanno troppo e altri non hanno nulla, o quella che mi spinge a far sì che anche quanti sono scartati dalla società possano vivere un po’ di gioia. Questo però non è invidia, ma desiderio di equità.

Senza vantarsi o gonfiarsi

97. Segue l’espressione perpereuetai, che indica la vanagloria, l’ansia di mostrarsi superiori per impressionare gli altri con un atteggiamento pedante e piuttosto aggressivo. Chi ama, non solo evita di parlare troppo di sé stesso, ma inoltre, poiché è centrato negli altri, sa mettersi al suo posto, senza pretendere di stare al centro. La parola seguente – physioutai – è molto simile, perché indica che l’amore non è arrogante. Letteralmente esprime il fatto che non si “ingrandisce” di fronte agli altri, e indica qualcosa di più sottile. Non è solo un’ossessione per mostrare le proprie qualità, ma fa anche perdere il senso della realtà. Ci si considera più grandi di quello che si è perché ci si crede più “spirituali” o “saggi”. Paolo usa questo verbo altre volte, per esempio per dire che «la conoscenza riempie di orgoglio, mentre l’amore edifica» (1 Cor 8,1). Vale a dire, alcuni si credono grandi perché sanno più degli altri, e si dedicano a pretendere da loro e a controllarli, quando in realtà quello che ci rende grandi è l’amore che comprende, cura, sostiene il debole. In un altro versetto lo utilizza per criticare quelli che si “gonfiano d’orgoglio” (cfr 1 Cor 4,18), ma in realtà hanno più verbosità che vero “potere” dello Spirito (cfr 1 Cor 4,19). 98. E’ importante che i cristiani vivano questo atteggiamento nel loro modo di trattare i familiari poco formati nella fede,

fragili o meno sicuri nelle loro convinzioni. A volte accade il contrario: quelli che, nell’ambito della loro famiglia, si suppone siano cresciuti maggiormente, diventano arroganti e insopportabili. L’atteggiamento dell’umiltà appare qui come qualcosa che è parte dell’amore, perché per poter comprendere, scusare e servire gli altri di cuore, è indispensabile guarire l’orgoglio e coltivare l’umiltà. Gesù ricordava ai suoi discepoli che nel mondo del potere ciascuno cerca di dominare l’altro, e per questo dice loro: «tra voi non sarà così» (Mt 20,26). La logica dell’amore cristiano non è quella di chi si sente superiore agli altri e ha bisogno di far loro sentire il suo potere, ma quella per cui «chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore» (Mt 20,27). Nella vita familiare non può regnare la logica del dominio degli uni sugli altri, o la competizione per vedere chi è più intelligente o potente, perché tale logica fa venir meno l’amore. Vale anche per la famiglia questo consiglio: «Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili» (1 Pt 5,5).

Amabilità

99. Amare significa anche rendersi amabili, e qui trova senso l’espressione aschemonei. Vuole indicare che l’amore non opera in maniera rude, non agisce in modo scortese, non è duro nel tratto. I suoi modi, le sue parole, i suoi gesti, sono gradevoli e non aspri o rigidi. Detesta far soffrire gli altri. La cortesia «è una scuola di sensibilità e disinteresse» che esige dalla persona che «coltivi la sua mente e i suoi sensi, che impari ad ascoltare, a parlare e in certi momenti a tacere». Essere amabile non è uno stile che un cristiano possa scegliere o rifiutare: è parte delle esigenze irrinunciabili dell’amore, perciò «ogni essere umano è tenuto ad essere affabile con quelli che lo circondano». Ogni giorno, «entrare nella vita dell’altro, anche quando fa parte della nostra vita, chiede la delicatezza di un atteggiamento non invasivo, che rinnova

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la fiducia e il rispetto. E l’amore, quanto più è intimo e profondo, tanto più esige il rispetto della libertà e la capacità di attendere che l’altro apra la porta del suo cuore». 100. Per disporsi ad un vero incontro con l’altro, si richiede uno sguardo amabile posato su di lui. Questo non è possibile quando regna un pessimismo che mette in rilievo i difetti e gli errori altrui, forse per compensare i propri complessi. Uno sguardo amabile ci permette di non soffermarci molto sui limiti dell’altro, e così possiamo tollerarlo e unirci in un progetto comune, anche se siamo differenti. L’amore amabile genera vincoli, coltiva legami, crea nuove reti d’integrazione, costruisce una solida trama sociale. In tal modo protegge sé stesso, perché senza senso di appartenenza non si può sostenere una dedizione agli altri, ognuno finisce per cercare unicamente la propria convenienza e la convivenza diventa impossibile. Una persona antisociale crede che gli altri esistano per soddisfare le sue necessità, e che quando lo fanno compiono solo il loro dovere. Dunque non c’è spazio per l’amabilità dell’amore e del suo linguaggio. Chi ama è capace di dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano. Vediamo, per esempio, alcune parole che Gesù diceva alle persone: «Coraggio figlio!» (Mt 9,2). «Grande è la tua fede!» (Mt 15,28). «Alzati!» (Mc 5,41). «Va’ in pace» (Lc 7,50). «Non abbiate paura» (Mt 14,27). Non sono parole che umiliano, che

rattristano, che irritano, che disprezzano. Nella famiglia bisogna imparare questo linguaggio amabile di Gesù.

Distacco generoso

101. Abbiamo detto molte volte che per amare gli altri occorre prima amare sé stessi. Tuttavia, questo inno all’amore afferma che l’amore “non cerca il proprio interesse”, o che “non cerca quello che è suo”. Questa espressione si usa pure in un altro testo: «Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,4). Davanti ad un’affermazione così chiara delle Scritture, bisogna evitare di attribuire priorità all’amore per sé stessi come se fosse più nobile del dono di sé stessi agli altri. Una certa priorità dell’amore per sé stessi può intendersi solamente come una condizione psicologica, in quanto chi è incapace di amare sé stesso incontra difficoltà ad amare gli altri: «Chi è cattivo con sé stesso con chi sarà buono? Nessuno è peggiore di chi danneggia sé stesso» (Sir 14,5-6). 102. Però lo stesso Tommaso d’Aquino ha spiegato che «è più proprio della carità voler amare che voler essere amati» e che, in effetti, «le madri, che sono quelle che amano di più, cercano più di amare che di essere amate». Perciò l’amore può spingersi oltre la giustizia e straripare gratuitamente, «senza sperarne nulla» (Lc 6,35), fino ad arrivare all’amore più grande, che è «dare la vita» per gli altri (Gv 15,13). È ancora possibile questa

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generosità che permette di donare gratuitamente, e di donare sino alla fine? Sicuramente è possibile, perché è ciò che chiede il Vangelo: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8).

Senza violenza interiore

103. Se la prima espressione dell’inno ci invitava alla pazienza che evita di reagire bruscamente di fronte alle debolezze o agli errori degli altri, adesso appare un’altra parola – paroxynetai – che si riferisce ad una reazione interiore di indignazione provocata da qualcosa di esterno. Si tratta di una violenza interna, di una irritazione non manifesta che ci mette sulla difensiva davanti agli altri, come se fossero nemici fastidiosi che occorre evitare. Alimentare tale aggressività intima non serve a nulla. Ci fa solo ammalare e finisce per isolarci. L’indignazione è sana quando ci porta a reagire di fronte a una grave ingiustizia, ma è dannosa quando tende ad impregnare tutti i nostri atteggiamenti verso gli altri. 104. Il Vangelo invita piuttosto a guardare la trave nel proprio occhio (cfr Mt 7,5), e come cristiani non possiamo ignorare il costante invito della Parola di Dio a non alimentare l’ira: «Non lasciarti vincere dal male» (Rm 12,21). «E non stanchiamoci di fare il bene» (Gal 6,9). Una cosa è sentire la forza dell’aggressività che erompe e altra cosa è acconsentire ad essa, lasciare che diventi un atteggiamento permanente: «Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira» (Ef 4,26). Perciò, non bisogna mai finire la giornata senza fare pace in famiglia. «E come devo fare la pace? Mettermi in ginocchio? No! Soltanto un piccolo gesto, una cosina così, e l’armonia familiare torna. Basta una carezza, senza parole. Ma mai finire la giornata in famiglia senza fare la pace!». La reazione interiore di fronte a una molestia causata dagli altri dovrebbe essere anzitutto benedire nel cuore, desiderare il bene dell’altro, chiedere a Dio che lo liberi e lo guarisca: «Rispondete augurando il bene. A questo infatti siete stati chiamati da Dio per avere in eredità la

sua benedizione» (1 Pt 3,9). Se dobbiamo lottare contro un male, facciamolo, ma diciamo sempre “no” alla violenza interiore.

Perdono

105. Se permettiamo ad un sentimento cattivo di penetrare nelle nostre viscere, diamo spazio a quel rancore che si annida nel cuore. La frase logizetai to kakon significa “tiene conto del male”, “se lo porta annotato”, vale a dire, è rancoroso. Il contrario è il perdono, un perdono fondato su un atteggiamento positivo, che tenta di comprendere la debolezza altrui e prova a cercare delle scuse per l’altra persona, come Gesù che disse: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Invece la tendenza è spesso quella di cercare sempre più colpe, di immaginare sempre più cattiverie, di supporre ogni tipo di cattive intenzioni, e così il rancore va crescendo e si radica. In tal modo, qualsiasi errore o caduta del coniuge può danneggiare il vincolo d’amore e la stabilità familiare. Il problema è che a volte si attribuisce ad ogni cosa la medesima gravità, con il rischio di diventare crudeli per qualsiasi errore dell’altro. La giusta rivendicazione dei propri diritti si trasforma in una persistente e costante sete di vendetta più che in una sana difesa della propria dignità. 106. Quando siamo stati offesi o delusi, il perdono è possibile e auspicabile, ma nessuno dice che sia facile. La verità è che «la comunione familiare può essere conservata e perfezionata solo con un grande spirito di sacrificio. Esige, infatti, una pronta e generosa disponibilità di tutti e di ciascuno alla comprensione, alla tolleranza, al perdono, alla riconciliazione. Nessuna famiglia ignora come l’egoismo, il disaccordo, le tensioni, i conflitti aggrediscano violentemente e a volte colpiscano mortalmente la propria comunione: di qui le molteplici e varie forme di divisione nella vita familiare». 107. Oggi sappiamo che per poter perdonare abbiamo bisogno di passare

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attraverso l’esperienza liberante di comprendere e perdonare noi stessi. Tante volte i nostri sbagli, o lo sguardo critico delle persone che amiamo, ci hanno fatto perdere l’affetto verso noi stessi. Questo ci induce alla fine a guardarci dagli altri, a fuggire dall’affetto, a riempirci di paure nelle relazioni interpersonali. Dunque, poter incolpare gli altri si trasforma in un falso sollievo. C’è bisogno di pregare con la propria storia, di accettare sé stessi, di saper convivere con i propri limiti, e anche di perdonarsi, per poter avere questo medesimo atteggiamento verso gli altri. 108. Ma questo presuppone l’esperienza di essere perdonati da Dio, giustificati gratuitamente e non per i nostri meriti. Siamo stati raggiunti da un amore previo ad ogni nostra opera, che offre sempre una nuova opportunità, promuove e stimola. Se accettiamo che l’amore di Dio è senza condizioni, che l’affetto del Padre non si deve comprare né pagare, allora potremo amare al di là di tutto, perdonare gli altri anche quando sono stati ingiusti con noi. Diversamente, la nostra vita in famiglia cesserà di essere un luogo di comprensione, accompagnamento e stimolo, e sarà uno spazio di tensione permanente e di reciproco castigo.

Rallegrarsi con gli altri

109. L’espressione chairei epi te adikia indica qualcosa di negativo insediato nel segreto del cuore della persona. È l’atteggiamento velenoso di chi si rallegra quando vede che si commette ingiustizia verso qualcuno. La frase si completa con quella che segue, che si esprime in modo positivo: synchairei te aletheia: si compiace della verità. Vale a dire, si rallegra per il bene dell’altro, quando viene riconosciuta la sua dignità, quando si apprezzano le sue capacità e le sue buone opere. Questo è impossibile per chi deve sempre paragonarsi e competere, anche con il proprio coniuge, fino al punto di rallegrarsi segretamente per i suoi fallimenti. 110. Quando una persona che ama può fare del bene a un altro, o quando vede che

all’altro le cose vanno bene, lo vive con gioia e in quel modo dà gloria a Dio, perché «Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7), nostro Signore apprezza in modo speciale chi si rallegra della felicità dell’altro. Se non alimentiamo la nostra capacità di godere del bene dell’altro e ci concentriamo soprattutto sulle nostre necessità, ci condanniamo a vivere con poca gioia, dal momento che, come ha detto Gesù, «si è più beati nel dare che nel ricevere!» (At 20,35). La famiglia dev’essere sempre il luogo in cui chiunque faccia qualcosa di buono nella vita, sa che lì lo festeggeranno insieme a lui.

Tutto scusa

111. L’elenco si completa con quattro espressioni che parlano di una totalità: “tutto”. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. In questo modo, si sottolinea con forza il dinamismo contro-culturale dell’amore, capace di far fronte a qualsiasi cosa lo possa minacciare. 112. In primo luogo si afferma che “tutto scusa” (panta stegei). Si differenzia da “non tiene conto del male”, perché questo termine ha a che vedere con l’uso della lingua; può significare “mantenere il silenzio” circa il negativo che può esserci nell’altra persona. Implica limitare il giudizio, contenere l’inclinazione a lanciare una condanna dura e implacabile. «Non condannate e non sarete condannati» (Lc 6,37). Benché vada contro il nostro uso abituale della lingua, la Parola di Dio ci chiede: «Non sparlate gli uni degli altri, fratelli» (Gc 4,11). Soffermarsi a danneggiare l’immagine dell’altro è un modo per rafforzare la propria, per scaricare i rancori e le invidie senza fare caso al danno che causiamo. Molte volte si dimentica che la diffamazione può essere un grande peccato, una seria offesa a Dio, quando colpisce gravemente la buona fama degli altri procurando loro dei danni molto difficili da riparare. Per questo la Parola di Dio è così dura con la lingua, dicendo che è «il mondo del male» che «contagia tutto il corpo e incendia tutta la nostra

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HANNO RICEVUTO

IL BATTESIMO

RICCARDO

FRANCESCO

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vita» (Gc 3,6), «è un male ribelle, è piena di veleno mortale» (Gc 3,8). Se «con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio» (Gc 3,9), l’amore si prende cura dell’immagine degli altri, con una delicatezza che porta a preservare persino la buona fama dei nemici. Nel difendere la legge divina non bisogna mai dimenticare questa esigenza dell’amore. 113. Gli sposi che si amano e si appartengono, parlano bene l’uno dell’altro, cercano di mostrare il lato buono del coniuge al di là delle sue debolezze e dei suoi errori. In ogni caso, mantengono il silenzio per non danneggiarne l’immagine. Però non è soltanto un gesto esterno, ma deriva da un atteggiamento interiore. E non è neppure l’ingenuità di chi pretende di non vedere le difficoltà e i punti deboli dell’altro, bensì è l’ampiezza dello sguardo di chi colloca quelle debolezze e quegli sbagli nel loro contesto; ricorda che tali difetti sono solo una parte, non sono la totalità dell’essere dell’altro. Un fatto sgradevole nella relazione non è la totalità di quella relazione. Dunque si può accettare con semplicità che tutti siamo una complessa combinazione di luci e ombre. L’altro non è soltanto quello che a me dà fastidio. È molto più di questo. Per la stessa ragione, non pretendo che il suo amore sia perfetto per apprezzarlo. Mi ama come è e come può, con i suoi limiti, ma il fatto che il suo amore sia imperfetto non significa che sia falso o che non sia reale. È reale, ma limitato e terreno. Perciò, se pretendo troppo, in qualche modo me lo farà capire, dal momento che non potrà né accetterà di giocare il ruolo di un essere divino né di stare al servizio di tutte le mie necessità. L’amore convive con l’imperfezione, la scusa, e sa stare in silenzio davanti ai limiti della persona amata.

Ha fiducia

114. Panta pisteuei: “tutto crede”. Per il contesto, non si deve intendere questa “fede” in senso teologico, bensì in quello corrente di “fiducia”. Non si tratta soltanto di non sospettare che l’altro stia mentendo o ingannando. Tale fiducia fondamentale riconosce la luce accesa da Dio che si nasconde dietro l’oscurità, o la brace che arde ancora sotto le ceneri. 115. Questa stessa fiducia rende possibile una relazione di libertà. Non c’è bisogno di controllare l’altro, di seguire minuziosamente i suoi passi, per evitare che sfugga dalle nostre braccia. L’amore ha fiducia, lascia in libertà, rinuncia a controllare tutto, a possedere, a dominare. Questa libertà, che rende possibili spazi di autonomia, apertura al mondo e nuove esperienze, permette che la relazione si arricchisca e non diventi una endogamia senza orizzonti. In tal modo i coniugi, ritrovandosi, possono vivere la gioia di condividere quello che hanno ricevuto e imparato al di fuori del cerchio familiare. Nello stesso tempo rende possibili la sincerità e la trasparenza, perché quando uno sa che gli altri confidano in lui e ne apprezzano la bontà di fondo, allora si mostra com’è, senza occultamenti. Uno che sa che sospettano sempre di lui, che lo giudicano senza compassione, che non lo amano in modo incondizionato, preferirà mantenere i suoi segreti, nascondere le sue cadute e debolezze, fingersi quello che non è. Viceversa, una famiglia in cui regna una solida e affettuosa fiducia, e dove si torna sempre ad avere fiducia nonostante tutto, permette che emerga la vera identità dei suoi membri e fa sì che spontaneamente si rifiuti l’inganno, la falsità e la menzogna.

Spera

116. Panta elpizei: non dispera del futuro. In connessione con la parola precedente, indica la speranza di chi sa che l’altro può cambiare. Spera sempre che sia possibile una maturazione, un sorprendente

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sbocciare di bellezza, che le potenzialità più nascoste del suo essere germoglino un giorno. Non vuol dire che tutto cambierà in questa vita. Implica accettare che certe cose non accadano come uno le desidera, ma che forse Dio scriva diritto sulle righe storte di quella persona e tragga qualche bene dai mali che essa non riesce a superare in questa terra. 117. Qui si fa presente la speranza nel suo senso pieno, perché comprende la certezza di una vita oltre la morte. Quella persona, con tutte le sue debolezze, è chiamata alla pienezza del Cielo. Là, completamente trasformata dalla risurrezione di Cristo, non esisteranno più le sue fragilità, le sue oscurità né le sue patologie. Là l’essere autentico di quella persona brillerà con tutta la sua potenza di bene e di bellezza. Questo altresì ci permette, in mezzo ai fastidi di questa terra, di contemplare quella persona con uno sguardo soprannaturale, alla luce della speranza, e attendere quella pienezza che un giorno riceverà nel Regno celeste, benché ora non sia visibile.

Tutto sopporta

118. Panta hypomenei significa che sopporta con spirito positivo tutte le contrarietà. Significa mantenersi saldi nel mezzo di un ambiente ostile. Non consiste soltanto nel tollerare alcune cose moleste, ma in qualcosa di più ampio: una resistenza dinamica e costante, capace di superare qualsiasi sfida. È amore malgrado tutto, anche quando tutto il contesto invita a un’altra cosa. Manifesta una dose di eroismo tenace, di potenza contro qualsiasi corrente negativa, una opzione per il bene che niente può rovesciare. Questo mi ricorda le parole di Martin Luther King, quando ribadiva la scelta dell’amore fraterno anche in mezzo alle peggiori persecuzioni e umiliazioni: «La persona che ti odia di più, ha qualcosa di buono dentro di sé; e anche la nazione che più odia, ha qualcosa di buono in sé; anche la razza che più odia, ha qualcosa di buono in sé. E quando arrivi al punto di guardare il volto di ciascun essere umano e vedi molto

dentro di lui quello che la religione chiama “immagine di Dio”, cominci ad amarlo nonostante tutto. Non importa quello che fa, tu vedi lì l’immagine di Dio. C’è un elemento di bontà di cui non ti potrai mai sbarazzare. Un altro modo in cui ami il tuo nemico è questo: quando si presenta l’opportunità di sconfiggere il tuo nemico, quello è il momento nel quale devi decidere di non farlo. Quando ti elevi al livello dell’amore, della sua grande bellezza e potere, l’unica cosa che cerchi di sconfiggere sono i sistemi maligni. Le persone che sono intrappolate da quel sistema le ami, però cerchi di sconfiggere quel sistema. Odio per odio intensifica solo l’esistenza dell’odio e del male nell’universo. Se io ti colpisco e tu mi colpisci, e ti restituisco il colpo e tu mi restituisci il colpo, e così di seguito, è evidente che si continua all’infinito. Semplicemente non finisce mai. Da qualche parte, qualcuno deve avere un po’ di buon senso, e quella è la persona forte. La persona forte è la persona che è capace di spezzare la catena dell’odio, la catena del male. Qualcuno deve avere abbastanza fede e moralità per spezzarla e iniettare dentro la stessa struttura dell’universo l’elemento forte e potente dell’amore». 119. Nella vita familiare c’è bisogno di coltivare questa forza dell’amore, che permette di lottare contro il male che la minaccia. L’amore non si lascia dominare dal rancore, dal disprezzo verso le persone, dal desiderio di ferire o di far pagare qualcosa. L’ideale cristiano, e in modo particolare nella famiglia, è amore malgrado tutto. A volte ammiro, per esempio, l’atteggiamento di persone che hanno dovuto separarsi dal coniuge per proteggersi dalla violenza fisica, e tuttavia, a causa della carità coniugale che sa andare oltre i sentimenti, sono stati capaci di agire per il suo bene, benché attraverso altri, in momenti di malattia, di sofferenza o di difficoltà. Anche questo è amore malgrado tutto.

FRANCESCO

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IL 13 MAGGIO FESTA DIL 13 MAGGIO FESTA DIL 13 MAGGIO FESTA DIL 13 MAGGIO FESTA DELLA ELLA ELLA ELLA

MADONNA DI FATIMA MADONNA DI FATIMA MADONNA DI FATIMA MADONNA DI FATIMA

CELEBREREMO LA GIORNCELEBREREMO LA GIORNCELEBREREMO LA GIORNCELEBREREMO LA GIORNAAAATA TA TA TA

DELL’AMMALATODELL’AMMALATODELL’AMMALATODELL’AMMALATO

Verrà celebrata la Messa alle ore 15.00, e in quella occasione verrà amministrato il Sacramento dell’Unzione degli infermi. Per una opportuna conoscenza del Sacramento e del suo significato viene qui riportato quanto dice il Catechismo della Chiesa Cattolica al riguardo.

L'UNZIONE DEGLI INFERMI: SACRAMENTO DI

GUARIGIONE (dal Catechismo della Chiesa Cattolica)

1499 «Con la sacra Unzione degli infermi e la preghiera dei presbiteri, tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché alleggerisca le loro pene e li salvi, anzi li esorta a unirsi spontaneamente alla passione e alla morte di Cristo, per contribuire così al bene del popolo di Dio».

La malattia nella vita umana

1500 La malattia e la sofferenza sono sempre state tra i problemi più gravi che mettono alla prova la vita umana. Nella malattia l'uomo fa l'esperienza della propria impotenza, dei propri limiti e della propria finitezza. Ogni malattia può farci intravvedere la morte. 1501 La malattia può condurre all'angoscia, al ripiegamento su di sé, talvolta persino alla disperazione e alla ribellione contro Dio. Ma essa può anche rendere la persona più matura, aiutarla a discernere nella propria vita ciò che non è essenziale per volgersi verso ciò che lo è. Molto spesso la malattia provoca una ricerca di Dio, un ritorno a lui.

Il malato di fronte a Dio

1502 L'uomo dell'Antico Testamento vive la malattia di fronte a Dio. È davanti a Dio che egli versa le sue lacrime sulla propria malattia; è da lui, il Signore della vita e

della morte, che egli implora la guarigione. La malattia diventa cammino di conversione e il perdono di Dio dà inizio alla guarigione. Israele sperimenta che la malattia è legata, in un modo misterioso, al peccato e al male, e che la fedeltà a Dio, secondo la sua Legge, ridona la vita: « Perché io sono il Signore, colui che ti guarisce! » (Es 15,26). Il profeta intuisce che la sofferenza può anche avere un valore redentivo per i peccati altrui. Infine Isaia annuncia che Dio farà sorgere per Sion un tempo in cui perdonerà ogni colpa e guarirà ogni malattia.

Cristo-medico

1503 La compassione di Cristo verso i malati e le sue numerose guarigioni di infermi di ogni genere sono un chiaro segno del fatto che Dio ha visitato il suo popolo e che il regno di Dio è vicino. Gesù non ha soltanto il potere di guarire, ma anche di perdonare i peccati: è venuto a guarire l'uomo tutto intero, anima e corpo; è il medico di cui i malati hanno bisogno.

La sua compassione verso tutti coloro che soffrono si spinge così lontano che egli si identifica con loro: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25,36). Il suo amore di predilezione per gli infermi non ha cessato, lungo i secoli, di rendere i cristiani particolarmente premurosi verso tutti coloro che soffrono nel corpo e nello spirito. Esso sta all'origine degli instancabili sforzi per alleviare le loro pene. 1504 Spesso Gesù chiede ai malati di credere. Si serve di segni per guarire: saliva e imposizione delle mani, fango e abluzione. I malati cercano di toccarlo « perché da lui usciva una forza che sanava tutti » (Lc 6,19). Così, nei sacramenti, Cristo continua a « toccarci » per guarirci. 1505 Commosso da tante sofferenze, Cristo non soltanto si lascia toccare dai malati, ma fa sue le loro miserie: « Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie » (Mt 8,17). Non ha guarito però tutti i malati. Le sue guarigioni erano segni della venuta del regno di Dio. Annunciavano una guarigione più radicale: la vittoria sul peccato e sulla morte attraverso la sua

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pasqua. Sulla croce, Cristo ha preso su di sé tutto il peso del male e ha tolto il « peccato del mondo » (Gv 1,29), di cui la malattia non è che una conseguenza. Con la sua passione e la sua morte sulla croce, Cristo ha dato un senso nuovo alla sofferenza: essa può ormai configurarci a lui e unirci alla sua passione redentrice.

«Guarite gli infermi...»

1506 Cristo invita i suoi discepoli a seguirlo prendendo anch'essi la loro croce.

Seguendolo, assumono un nuovo modo di vedere la malattia e i malati. Gesù li associa alla sua vita di povertà e di servizio. Li rende partecipi del suo ministero di compassione e di guarigione: « E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano » (Mc 6,12-13). 1507 Il Signore risorto rinnova questo invio (« Nel mio nome [...] imporranno le mani ai malati e questi guariranno »: Mc 16,17-18) e lo conferma per mezzo dei segni che la Chiesa compie invocando il suo nome.

Questi segni manifestano in modo speciale che Gesù è veramente « Dio che salva ». 1508 Lo Spirito Santo dona ad alcuni un carisma speciale di guarigione per manifestare la forza della grazia del Risorto. Tuttavia, neppure le preghiere più intense ottengono la guarigione di tutte le malattie. Così san Paolo deve imparare dal Signore: « Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza » (2 Cor 12,9), e che le sofferenze da sopportare possono avere questo significato: « Io completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa » (Col 1,24). 1509 « Guarite gli infermi! » (Mt 10,8). La Chiesa ha ricevuto questo compito dal Signore e cerca di attuarlo sia attraverso le cure che presta ai malati sia mediante la preghiera di intercessione con la quale li accompagna. Essa crede nella presenza vivificante di Cristo, medico delle anime e dei corpi. Questa presenza è particolarmente operante nei sacramenti e in modo tutto speciale nell'Eucaristia, pane che dà la vita eterna e al cui legame con la salute del corpo san Paolo allude.

1510 La Chiesa apostolica conosce tuttavia un rito specifico in favore degli infermi, attestato da san Giacomo: « Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati » (Gc 5,14-15). La Tradizione ha riconosciuto in questo rito uno dei sette sacramenti della Chiesa.

Un sacramento degli infermi

1511 La Chiesa crede e professa che esiste, tra i sette sacramenti, un sacramento destinato in modo speciale a confortare coloro che sono provati dalla malattia: l'Unzione degli infermi: « Questa Unzione sacra dei malati è stata istituita come vero e proprio sacramento del Nuovo Testamento dal Signore nostro Gesù Cristo. Accennato da Marco, è stato raccomandato ai fedeli e promulgato da Giacomo, apostolo e fratello del Signore ». 1512 Nella tradizione liturgica, tanto in Oriente quanto in Occidente, si hanno fin dall'antichità testimonianze di unzioni di infermi praticate con olio benedetto. Nel corso dei secoli, l'Unzione degli infermi è stata conferita sempre più esclusivamente a coloro che erano in punto di morte. Per questo motivo aveva ricevuto il nome di « Estrema Unzione ». Malgrado questa evoluzione, la liturgia non ha mai tralasciato di pregare il Signore affinché il malato riacquisti la salute, se ciò può giovare alla sua salvezza. 1513 La Costituzione apostolica « Sacram Unctionem infirmorum » (30 novembre 1972), in linea con il Concilio Vaticano II ha stabilito che, per l'avvenire, sia osservato nel rito romano quanto segue: «Il sacramento dell'Unzione degli infermi viene conferito ai malati in grave pericolo, ungendoli sulla fronte e sulle mani con olio debitamente benedetto – olio di oliva o altro olio vegetale – dicendo una sola volta: "Per questa santa Unzione e per la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo e, liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua bontà ti sollevi"».

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SONO TORNATI AL PADRE

ACHILLE – ANDREA – DOMENICA - EMILIA

LE ROGAZIONI IN PALE ROGAZIONI IN PALE ROGAZIONI IN PALE ROGAZIONI IN PARROCCHIARROCCHIARROCCHIARROCCHIA

ITINERARI DI PREGHIERAITINERARI DI PREGHIERAITINERARI DI PREGHIERAITINERARI DI PREGHIERA

Mercoledì 4 maggio ore 21.00

BENEDIZIONE AL PAESE E ALLA SUA GENTE

Raduno all’Oratorio della SS. Trinità - 1° Itinerar io: Oratorio – Toràs – Parcheggio e ritorno

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Giovedì 5 maggio ore 6.00 :

BENEDIZIONE ALLA CAMPAGNA, AL PAESAGGIO E AI SUOI A BITANTI

Raduno alla Chiesa Parrocchiale - 2° Itinerario: Chiesa – via S. Filippo – valletta – via Mazzini – vill. Cristina – loc. Rossone – loc. Anze – loc. Rossone – loc. Coi – via loc. Loncrino – via per Albisano – via Verga – vicolo Chiesa – Chiesa Parrocchiale.

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Venerdì 6 maggio ore 6.00 :

BENEDIZIONE DEL LAGO E DELLE FONTI E A QUANTI LAVORANO SULLE ACQUE O NE BENEFICIANO

Raduno a S. Faustino - 3° Itinerario : S. Faustino – monumento a S. Pietro – Lungolago Marconi – piazza Calderini – Lungolago Barbarani – Lungolago V. Veneto – monumento Marinai.

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Queste alcune frasi del messaggio di papa Francesco per questo evento che ci hanno colpito - Crescere misericordioso significa imparare a essere coraggiosi nell'amore concreto e disinteressato, significa diventare grandi tanto nel fisico, quanto nell'intimo. - I vostri nomi sono scritti in cielo, sono scolpiti nel cuore del Padre che è il Cuore Misericordioso da cui nasce ogni riconciliazione e ogni dolcezza. - È un'occasione in cui scopriremo che vivere da fratelli è una grande festa, la più bella che possiamo sognare, la festa senza fine che Gesù ci ha insegnato a cantare attraverso il suo Spirito

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G I U B I L E O 2 0 1 6

A R O M A

Ho avuto l'occasione di accompagnare questi ragazzi al giubileo degli Adolescenti a Roma, rispondendo alla chiamata di Papa Francesco... È stata la mia prima esperienza da animatrice vera e propria e posso dire di sentirmi soddisfatta: questi tre giorni mi hanno dato tanto, sono tornata alla vita quotidiana con dei valori aggiunti, cose che i ragazzi mi hanno insegnato e cose che nel mio piccolo ho potuto trasmettere loro, con Condivisione e amicizia alla base di tutto. Sono state tante le cose dette, fatte, le testimonianze ascoltate, ma quello che più porto via da questo giubileo è una frase del pontefice: "Scommettete sui grandi ideali, sulle cose grandi. Non siamo scelti per cosine piccole, andate sempre aldilà, verso le cose grandi. GIOCATE LA VOSTRA VITA PER GRANDI IDEALI!" È questo è proprio l'invito che mi sento di girare a voi, adolescenti e ragazzi. Prendete in mano la vostra vita, fate ciò che vi rende felici e non accontentatevi mai di volare basso. Infine, ringrazio per questa possibilità che mi è stata data.. Alla prossima! SrA

Come penso tutti saprete un piccolo gruppetto della parrocchia è andata a Roma per il Giubileo degli adolescenti voluto da Papa Francesco!!!

Ci siamo trovati a Caprino per salire sul nostro pullman con altri ragazzi… eravamo in numero 6 e con noi le parrocchie di Garda, Affi, Peschiera, Caprino e Cavaion!! Da tutta la diocesi eravamo 500 veronesi! 10 pullman che in orari diversi sono partiti per giungere nella capitale.

Tutto molto intenso e bello, dall’esperienza del cammino itinerante verso le diverse mete, al dormire in più di 3000 in un settore della nuova fiera di Roma… mai visti tanti saccoapelo…

In breve alcune nostre risonanze… ah è vero eravamo in 6 come il numero del pullman: srAdriana, Sofia, Arianna, Stefano, Alessandra e Benedetta… ma ci potete vedere nella foto

In questi giorni mi sono divertita molto ma ho capito cosa vuol dire amare e voler bene a delle persone... è stata una esperienza unica anche perché abbiamo conosciuto persone nuove. Se ci fosse un’altra occasione verrei di sicuro perché mi arriverebbe qualche altra cosa che non so bene cosa significa. Io definirei questi giorni indimenticabili, fantastici ed educativi.

Tre giorni unici e indimenticabili e che ricorderemo per tutta la nostra vita. È stato un percorso non solo spirituale ma anche un momento per stare insieme e condividere i valori della vita, alcuni dei quali non sapevo esistessero. La parte che mi ha emozionato di più è stata la testimonianza di Valentina, una ragazza di “Nuovi Orizzonti”, che in una parrocchia vicino al centro di Roma ha condiviso con noi giovani la sua esperienza diretta con la fede e quanto essa abbia portato la felicità nella sua vita.

In questi pochi giorni ho conosciuto molte persone e di questo ne sono veramente fiera perché sono fantastiche e da loro potrò imparare tanto, ma ho anche approfondito conoscenze già iniziate. L'incontro con il papa è stato molto emozionante pur avendo provato questa sensazione a dicembre. Tante cose belle ho portato a casa e porterò sempre nel mio cuore. Credo che sia servito molto per me stessa dal punto di vista religioso ma anche per lo stare con gli altri.

Quest'anno suor Adriana ci ha portati a Roma nell’anno della misericordia per il giubileo dei giovani... per me è stata una esperienza bellissima spero che ce ne potranno essere altre in futuro.

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PAI 25 APRILE 2016 FESTA PATRONALE

Splendida giornata quella che abbiamo trascorso il 25 aprile a Pai, in occasione della festa di S. Marco Evangelista patrono del paese. Una festa che ha avuto ampia partecipazione con il divertimento di tutta la comunità. La giornata è iniziata alle 10 con la S. Messa animata dal coro S. Marco di Pai e la processione che ha portato la statua del santo nelle vie del paese. Finita la messa tutti si sono ritrovati in piazza dove Don Giuseppe ha dato la benedizione a tutti i veicoli ( macchine, moto e biciclette )e agli autisti per finire la mattinata con un brindisi in compagnia. Al campo sportivo intanto i ragazzi e i giovani di Pai e dei paesi limitrofi si sono dati battaglia in un torneo di calcetto che alla fine ha visto vincitrice la squadra del Malcesine. Tanti sono stati gli amici che hanno partecipato e applaudito i ragazzi in campo. Nel pomeriggio in piazza tanto divertimento per i più piccoli con i gonfiabili, il trucca bimbi e la merenda con pane e nutella. Alle 17 la tombola con bellissimi premi e risottata tutti insieme. Un ringraziamento da parte di tutta la

comunità agli organizzatori che si sono impegnati tanto per la buona riuscita della manifestazione e un arrivederci alla festa di S. Marco 2017

Claudia

CELEBRAZIONE CELEBRAZIONE CELEBRAZIONE CELEBRAZIONE DELLA DELLA DELLA DELLA LITURGIALITURGIALITURGIALITURGIA

PARROCCHIA DI TORRI ORARIO FESTIVO ORARIO FERIALE

Sabato ore 17.00 Vespero ore 7.00 Lodi ore 18.00 S. Messa ore 17.00 Vespero ore 18.00 S. Messa Domenica

ore 8.30 S. Messa ore 10.00 S. Messa ore 11.15 S. Messa ore 17.00 Vespero ore 18.00 S. Messa

PARROCCHIA DI PAI

ORARIO FESTIVO

Sabato ore 19.30 Domenica ore 10.00

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AAAAAAAA PPPPPPPP PPPPPPPP UUUUUUUU NNNNNNNN TTTTTTTT AAAAAAAA MMMMMMMM EEEEEEEE NNNNNNNN TTTTTTTT IIIIIIII MMMMMMMM AAAAAAAA GGGGGGGG GGGGGGGG IIIIIIII OOOOOOOO 22222222 00000000 11111111 66666666

OGNI DOMENICA ore 10.00: S. MESSA DELLE FAMIGLIE. ore 17.00: ADORAZIONE EUCARISTICA E CANTO DEL VESPERO.

OGNI LUNEDÌ ore 9.00-12.00: ADORAZIONE EUCARISTICA E CONFESSIONI. OGNI MARTEDÌ ore 15.00: CATECHESI SCUOLA MEDIA.

OGNI GIOVEDÌ ore 15.00: CATECHISMO SCUOLA ELEMENTARE. ore 17.00: ADORAZIONE EUCARISTICA.

OGNI VENERDÌ ore 20.00: INCONTRO GRUPPO ADOLESCENTI / GIOVANI. OGNI SABATO ore 15.00 - 18.00: TEMPO PER LE CONFESSIONI.

DOMENICA 1

INIZIO DEL MESE DI MAGGIO ore 11.15 S. Messa di Prima Comunione.

ore 21.00 S. Rosario in Parrocchia.

4 – 5 – 6 MAGGIO ROGAZIONI IN PARROCCHIA (vedi programma pag. 17)

MERCOLEDÌ 4 ore 21.00 Benedizione al paese e alla sua gente.

GIOVEDÌ 5 ore 6.00 Benedizione alla campagna, al paesaggio e ai suoi a bitanti.

VENERDÌ 6 ore 6.00 Benedizione delle fonti e del lago e a quanti lavor ano sulle acque o ne beneficiano.

DOMENICA 8 SOLENNITÀ - ASCENSIONE DEL SIGNORE

ore 12.00 Supplica alla Madonna del Rosario.

MERCOLEDì 11 ore 20.00: Incontro di preghiera in onore di S. Antonio

VENERDÌ 13 GIORNATA DELL’AMMALATO

ore 15.00 S. Messa per ammalati e anziani e unzione degli Infermi.

DOMENICA 15 SOLENNITÀ - PENTECOSTE

DOMENICA 22 SOLENNITÀ – SS. TRINITÀ

S. RITA - ore 12.00 Benedizione delle rose.

MERCOLEDÌ 25 SOLENNITÀ - “ CCOORRPPUUSS DDOOMMIINNII””

ore 19.00: S. Messa Solenne e processione per le vie del pae se.

GIOVEDÌ 26

FFEESSTTAA DDII SS.. FFIILLIIPPPPOO

ore 10.00 S. MESSA - ore 18.00 S. MESSA SOLENNE

ore 19.00 Benedizione dei motociclisti e dei loro mezzi.

DOMENICA 29 SOLENNITÀ - “SS. CORPO E SANGUE D II CCRRIISSTTOO””

MARTEDÌ 31 ore 21.00 S. Rosario a conclusione del mese di maggio in P arrocchia.

Consacrazione alla Madonna.

Bollettino di informazione Parrocchiale stampato in proprio La Redazione: Don Giuseppe Cacciatori – Daniela Pippa – Anna Menapace – Rosanna Zanolli –

William Baghini. Collaborazione fotografica: Mario Girardi Impaginato e stampato da: Daniela Pippa