Beghelli Che Cosa Dicono Travature Vivaldiane

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Marco Beghelli CHE COSA CI DICONO LE «TRAVATURE» VIVALDIANE? La filologia musicale si trova spesso a confrontarsi col problema delle cosid- dette «travature», vale a dire i tratti orizzontali che uniscono fra loro i gruppi di note di durata inferiore alla semiminima. Che nella lingua italiana non si sia radicato un termine ufficiale riconosciuto come univoco, nonostante le tante parole donate dal nostro idioma al lessico musicale internazionale, è l’effetto di un evidente disinteresse invalso per la questione, riscontrabile ancora nell’odier- na pratica editoriale: a fronte di realtà grafiche molto diversificate rinvenibili fra i manoscritti autografi dei compositori, troppe edizioni preferiscono infatti solu- zioni standardizzate, che ignorano le peculiarità e annullano le differenze. In effetti, a far perdere il significato pregnante delle travature deve aver con- tribuito non poco proprio la stampa, con le sue tendenze a normalizzare e uni- formare i segni grafici, là dove la pratica manoscritta sapeva invece essere più flessibile e attenta ad avallare esigenze specifiche. Ancora a inizio Ottocento si ha la netta percezione che l’indicazione delle travature non sia affatto un atto meccanico per il compositore, e che il segno custodisca invece importanti infor- mazioni esecutive sul fraseggio. Si veda questa pagina rossiniana, (Figura 1) dove convivono soluzioni diversificate fra violini, legni e contrabbassi, Figura 1. Rossini, Semiramide, «Introduzione», manoscritto autografo – 339 – – 1 di 14 – Marco Beghelli, Dipartimento di Musica e Spettacolo, via Barberia 4, 40123 Bologna, Italia. e-mail: [email protected]

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Beghelli, Vivaldi, musicología

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Marco Beghelli

CHE COSA CI DICONO LE «TRAVATURE» VIVALDIANE?

La filologia musicale si trova spesso a confrontarsi col problema delle cosid-dette «travature», vale a dire i tratti orizzontali che uniscono fra loro i gruppi dinote di durata inferiore alla semiminima. Che nella lingua italiana non si siaradicato un termine ufficiale riconosciuto come univoco, nonostante le tanteparole donate dal nostro idioma al lessico musicale internazionale, è l’effetto diun evidente disinteresse invalso per la questione, riscontrabile ancora nell’odier-na pratica editoriale: a fronte di realtà grafiche molto diversificate rinvenibili frai manoscritti autografi dei compositori, troppe edizioni preferiscono infatti solu-zioni standardizzate, che ignorano le peculiarità e annullano le differenze.

In effetti, a far perdere il significato pregnante delle travature deve aver con-tribuito non poco proprio la stampa, con le sue tendenze a normalizzare e uni-formare i segni grafici, là dove la pratica manoscritta sapeva invece essere piùflessibile e attenta ad avallare esigenze specifiche. Ancora a inizio Ottocento siha la netta percezione che l’indicazione delle travature non sia affatto un attomeccanico per il compositore, e che il segno custodisca invece importanti infor-mazioni esecutive sul fraseggio. Si veda questa pagina rossiniana, (Figura 1)dove convivono soluzioni diversificate fra violini, legni e contrabbassi,Figura 1. Rossini, Semiramide, «Introduzione», manoscritto autografo

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Marco Beghelli, Dipartimento di Musica e Spettacolo, via Barberia 4, 40123 Bologna, Italia.e-mail: [email protected]

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con raggruppamenti di sole due note ovvero di 1+5 note, per evidenziare ilpeculiare fraseggio «spezzato» richiesto dall’autore: un contesto musicale parti-colare giustifica dunque la grafia anomala. Si veda anche quest’altra paginadello stesso brano (Figura 2), dove invece la travatura si segnala per una lun-ghezza fuori misura, inglobando il «battere» successivo, con tanto di segno cor-rettivo di allungamento nell’oboe a cavallo di battuta. Pure in questo caso, il par-ticolare contesto musicale giustifica la grafia anomala:Figura 2. Rossini, Semiramide, «Introduzione», manoscritto autografo

Ciò appurato, viene spontaneo immaginare come siffatte modalità di scrittu-ra si fossero diffuse già precedentemente all’Ottocento, in epoche cioè in cui l’in-dicazione del fraseggio attraverso i segni di legatura doveva essere ancora pocosviluppata; ma quanto indietro ci possiamo spingere? Lo scopo di questa miarapida indagine è proprio quello di appurare se anche in Vivaldi l’indicazionedelle travature abbia o no un valore esecutivo, e se l’impiego di raggruppamen-ti «anomali» faccia parte o no del suo usus scribendi. Per la mia ricerca, preziosis-simo è stato l’aiuto che mi ha fornito Fabrizio Ammetto, che mi ha messo adisposizione la sua vasta conoscenza degli autografi vivaldiani e che qui senti-tamente ringrazio.

Concerto per due violini RV 511, I movimento (Figura 3): non credo possasussistere alcun dubbio sul fatto che, in un tempo di 4/4, il raggruppamento diotto semicrome sotto un’unica travatura sia il frutto di una decisione volontariae consapevole da parte di qualunque autore; in questo caso specifico, la motiva-zione musicale sta senza dubbio in quella scala ascendente da eseguirsi «tuttad’un fiato», senza la minima cesura dopo la quarta semicroma: e per dodici volteil segno di Vivaldi è inequivocabile.

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Figura 3. A. Vivaldi, Concerto per due violini RV 511, I movimento

Si tratta di una scrittura talmente icastica da venire fedelmente rispettata econservata anche dalle copie coeve non autografe: del Concerto per violino RV 182 non ci è pervenuto l’originale vivaldiano, ma dopo l’esempio precedentepossiamo avere una buona dose di certezza che anche Vivaldi avesse tracciato lesei scale dei violini allo stesso modo della copia che ce lo tramanda (Figura 4).Figura 4. A. Vivaldi, Concerto per violino RV 182, I movimento

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Cambiamo genere, e vediamo un’aria d’opera: «Scocca dardi l’altero tuociglio», da Griselda, RV 718 (Figura 5a): qui la scala di semicrome ai bassi èdiscendente, e di sole sette note, avendo il battere in pausa; ma concettualmen-te il discorso non cambia, in quanto la travatura che si allunga oltre le quattronote non è una grafia standard e induce anche solo inconsapevolmente l’esecu-tore a una esecuzione compatta, quasi precipitata. Il problema è semmai qui ilcomportamento scrittorio di Vivaldi, assolutamente incostante, disomogeneo,battuta dopo battuta, per cui quella medesima scala risulta notata dapprima conun tratto unico, poi per tre volte in forma divisa e ancora due volte in formaunita. A tale proposito, è interessante osservare come l’interruzione della trava-tura trovi una giustificazione nella scala che parte dal Sol per il cambio di dire-zione dei gambi delle note, dapprima diretti verso il basso, poi verso l’alto, ben-ché non sarebbe stato impossibile disporre sempre e comunque tutti i sette gam-bi direzionandoli verso il basso, al fine di salvaguardare l’unità di travatura;Figura 5a. A. Vivaldi, Griselda, RV 718, aria: «Scocca dardi l’altero tuo ciglio»

nessuna giustificazione si offre invece per la seconda scala discendente, la qualeparte dal Do come le tre scale notate in forma unita, e non richiede alcuna inver-sione di gambo. È dunque questo un tipico caso vivaldiano di notazione inco-stante, frequentissima negli autografi che ho visionato.

Vorrei approfittare di questa stessa pagina per far notare un’altra tipica figu-razione dell’epoca (Figura 5b): mentre i bassi sciorinano le loro scale discenden-ti, i violini si cimentano con una successione di scale per seconde ribattute (Do-Re, Re-Mi, Mi-Fa, Fa-Sol). La presenza del suono ribattuto induce un fraseggioobbligato, per coppie di note, e non è difficile trovare in letteratura figurazionidel tutto analoghe con travatura interrotta appunto ogni due note.