Beck, i rischi della libertà

26
Adriano Motta recensione di: Ulrich Beck I rischi della libertà – l’individuo nell’epoca della globalizzazione Società editrice il Mulino, Bologna, 2000 In questo volume, suddiviso in sei saggi, il sociologo tedesco affronta il tema dell’individuo nella cosiddetta seconda modernità. L’autore analizza gli effetti ed i rischi sulla società e sulla vita quotidiana delle persone dei mutamenti intervenuti nell’ultimo decennio segnato dalla fine del conflitto Est-Ovest e dal fenomeno della globalizzazione. La seconda modernità è una società del rischio generalizzato dove nulla, dal lavoro alla famiglia, è più garantito. Essa è caratterizzata da un processo definito di individualizzazione che dissolve le forme di vita tramandate ed i concetti tradizionali di appartenenza ad una classe sociale, nazione, ecc. All’interno di quest’analisi Beck colloca quindi la proposta di una teoria politica che possa trovare nuovi elementi di condivisione e comunanza in una società che sembrerebbe invece diretta verso la disgregazione e l’atomizzazione. L’individualizzazione nelle società moderne Nel primo saggio Beck descrive le radicali trasformazioni in corso nella società occidentale. Il rapido sviluppo della società moderna nell’ultimo decennio ha visto venir meno le certezze su cui essa si era basata dal dopo guerra in poi. La libertà intesa come assenza di vincoli ha reso tutto incerto e rischioso, trasformando quindi tutte le cose in libertà rischiose: Dio, natura, verità, matrimonio, scienza, morale, ecc. Secondo l’autore stiamo assistendo ad un processo di individualizzazione della società costituito da un complesso di sviluppi caratterizzati soprattutto da due aspetti: - dissoluzione delle forme di vita sociale tradizionali (classe, ceto, famiglia, ecc.) - incombenza sui singoli di nuove pretese istituzionali, controlli e costrizioni: l’accesso ad ogni diritto è sempre più condizionato dalla dimostrazione del possesso di determinati requisiti. La novità storica del processo di individualizzazione della seconda modernità sta nella sua democratizzazione: avere una vita propria non è più di pochi ma ora viene richiesto a molti se non a tutti. Sono le condizioni di base della società, dal mercato del lavoro alle esigenze di mobilità e di formazione, dal diritto alla previdenza sociale che favoriscono e quasi estorcono individualizzazione.

Transcript of Beck, i rischi della libertà

Page 1: Beck, i rischi della libertà

Adriano Motta recensione di:Ulrich BeckI rischi della libertà – l’individuo nell’epoca della globalizzazione Società editrice il Mulino, Bologna, 2000

In questo volume, suddiviso in sei saggi, il sociologo tedesco affronta il tema dell’individuo nella cosiddetta seconda modernità.

L’autore analizza gli effetti ed i rischi sulla società e sulla vita quotidiana delle persone dei mutamenti intervenuti nell’ultimo decennio segnato dalla fine del conflitto Est-Ovest e dal fenomeno della globalizzazione.

La seconda modernità è una società del rischio generalizzato dove nulla, dal lavoro alla famiglia, è più garantito. Essa è caratterizzata da un processo definito di individualizzazione che dissolve le forme di vita tramandate ed i concetti tradizionali di appartenenza ad una classe sociale, nazione, ecc.

All’interno di quest’analisi Beck colloca quindi la proposta di una teoria politica che possa trovare nuovi elementi di condivisione e comunanza in una società che sembrerebbe invece diretta verso la disgregazione e l’atomizzazione.

L’individualizzazione nelle società moderne

Nel primo saggio Beck descrive le radicali trasformazioni in corso nella società occidentale. Il rapido sviluppo della società moderna nell’ultimo decennio ha visto venir meno le certezze su cui essa si era basata dal dopo guerra in poi.

La libertà intesa come assenza di vincoli ha reso tutto incerto e rischioso, trasformando quindi tutte le cose in libertà rischiose: Dio, natura, verità, matrimonio, scienza, morale, ecc.

Secondo l’autore stiamo assistendo ad un processo di individualizzazione della società costituito da un complesso di sviluppi caratterizzati soprattutto da due aspetti:

- dissoluzione delle forme di vita sociale tradizionali (classe, ceto, famiglia, ecc.)

- incombenza sui singoli di nuove pretese istituzionali, controlli e costrizioni: l’accesso ad ogni diritto è sempre più condizionato dalla dimostrazione del possesso di determinati requisiti.

La novità storica del processo di individualizzazione della seconda modernità sta nella sua democratizzazione: avere una vita propria non è più di pochi ma ora viene richiesto a molti se non a tutti. Sono le condizioni di base della società, dal mercato del lavoro alle esigenze di mobilità e di formazione, dal diritto alla previdenza sociale che favoriscono e quasi estorcono individualizzazione. L’individuo è chiamato sempre più a costruire una propria biografia attraverso l’azione, non si è più inseriti uno schema definito, per esempio, dal ceto o dalla religione ma bisogna impegnarsi ogni giorno con la propria azione.

Non si tratta in ogni caso di un agire senza limiti ma vincolato da una consistente serie di regolamenti per i quali la società moderna è ben nota (dichiarazione dei redditi, revisione dell’auto, ecc.).

Un'altra caratteristica della modernità è di essere sempre più tagliata sull’individuo. Tutte le esigenze (lavoro, diritti, partecipazione al reddito, stato sociale) non sono imposte ma allo

Page 2: Beck, i rischi della libertà

stesso tempo esortano l’individuo a programmare, a capire, a progettare, ad agire, assumendosi le responsabilità anche dei fallimenti. L’individuo è praticamente costretto a mettersi alla prova. La vita perde la naturale ovvietà e tutto deve essere deciso, anche ciò che fino a poco tempo fa era prerogativa di Dio o determinato dalla natura diventa oggetto di questioni e decisioni della vita quotidiana (ad esempio: fecondazione artificiale, genetica umana).

La biografia di ogni individuo da normale si trasforma così in riflessiva: non ci sono più limiti e condizioni date ma tutto deve essere scelto e deciso, e non una volta per tutte, ma in continuo. In questo modo ogni biografia può degenerare facilmente da biografia del successo a biografia del fallimento.

In altri termini le routine del vivere quotidiano che nella prima modernità erano certe vengono spezzate, non sono più sicure. Questa "condanna" a decidere, a ricominciare sempre da capo, ed il rischio sempre presente del fallimento generano paure nell’individuo che possono anche degenerare in forme di resistenza aggressiva.

In questo contesto, quali sono le prospettive della sociologia?

Tutta la sociologia può essere ricondotta a due punti di vista contrapposti: una che parte dall’individuo, l’altra dal "tutto". Le due modalità sono entrambe imperfette e quindi complementari, ma storicamente tendono invece a contrapporsi criticandosi a vicenda.

La sociologia dominante si rifà al punto di vista del tutto e considera che gli individui possono essere tali solo all’interno della società; pertanto le istituzioni (scuole, tribunali, matrimonio, organizzazioni) devono indottrinare ed "intimidire" l’individuo.

Viceversa la sociologia che parte dal punto di vista dell’individuo non assume la forma attuale delle istituzioni come un dato immutabile ma lo pone in discussione. E quando gli individui negano il consenso alle istituzioni è storicamente provato che le istituzioni tremano (es. DDR).

Per Beck, con la modernità, l’armonia tra le due prospettive teoriche si spezza. Le istituzioni si basano su una concezione antiquata dell’individuo, delle sue situazioni e condizioni sociali con la conseguenza di generare un distacco tra individui e istituzioni stesse.

In questo contesto la teoria dell’individualizzazione crea un quadro di riferimento che consente di analizzare i conflitti tra individui e le istituzionalizzazioni di immagini antiquate della società dalla parte degli individui stessi. Inoltre essa mostra come, nell’ulteriore sviluppo della società moderna, sia problematico ipotizzare la tenuta sociale secondo concetti e schemi tradizionali tramandati. Infatti una sociologia dell’individuo si scontra con i fondamenti di quella dominante poiché afferma che i legami tradizionali si dissolvono, si trasformano e che, in ogni caso, sono deducibili, discutibili e vanno comunque giustificati.

In definitiva la pluralizzazione delle forme di vita degli individui mette in crisi il bisogno di standardizzazione delle scienze sociali e induce a riflettere su come esse creano i propri concetti. Gli individui diventano così un fattore di disturbo che manda a monte ogni calcolo (quote di accesso alla formazione, calcolo delle pensioni, ecc.), rendendo la società e di conseguenza le forme di integrazione possibili sempre più difficili da comprendere ed analizzare.

La domanda è pertanto se e quale forma di integrazione è possibile nelle società individualizzate?

L’autore parla di libertà rischiose per le conseguenze ed i problemi che emergono nella società e che allarmano l’opinione pubblica come il risorgere della violenza e del nazionalismo.

Due fenomeni che per Beck sono legati alla tentazione di reagire alle sfide della seconda modernità con strumenti di tipo classico di autodelimitazione ai danni degli "stranieri". Si cerca, in definitiva, di sostituire una società individualizzata con un società differenziata all’interno e delimitata come una fortezza verso l’esterno.

Page 3: Beck, i rischi della libertà

In questo contesto per una società fortemente individualizzata l’autore non ritiene credibili le tre forme di integrazione più spesso proposte nel dibattito sull’argomento:

- l’integrazione basata sui valori, contrasta alla base con il moltiplicarsi delle percezioni culturali e dei legami autoriproducentesi.

- l’integrazione fondata sulla comunanza di interessi materiali, messa in discussione dai crescenti problemi di partecipazione al benessere.

- l’integrazione basata sulla coscienza nazionale, non confermata nelle tendenze di dissoluzione delle grandi società attuali in poteri locali particolaristici, con la mobilitazione delle identità etniche che disintegra proprio l’identità nazionale.

La proposta dell’autore punta invece verso un’altra possibile forma di integrazione, infatti egli sostiene che "dare coesione a società altamente individualizzate è possibile da una parte soltanto attraverso una comprensione di questa stessa situazione; dall’altra parte, se ci si riesce, mobilitando e motivando le persone rispetto alle sfide che si trovano al centro della loro condotta di vita – disoccupazione, distruzione ecologica, ecc."

Occorre reinventare la società, non opponendosi alla sollevazione degli individui, ma, muovendo dalle pressanti questioni relative al futuro, cercando di realizzare nuovi legami ed alleanze politiche aperte, cercando quindi di realizzare quella che l’autore chiama un’integrazione proiettiva.

Riprendendo le teorie di René KØ nig, egli propone di conquistare un’integrazione sul terreno del pensiero e quindi di una filosofia che ruoti attorno "alle chance dell’uomo nel contesto delle condizioni esistenziali date". La sociologia dovrebbe quindi sviluppare un senso della realtà possibile.

Figli della libertà contro il lamento sulla caduta dei valori

Nel proseguire la sua analisi sulla società attuale, i suoi rischi e le possibili forme di integrazione, Beck affronta il tema della supposta caduta dei valori che spesso viene nominata nei dibattiti sulla società odierna.

Per l’autore non stiamo vivendo una crisi culturale o una caduta di valori, ma in realtà l’interiorizzazione della democrazia e della libertà porta gli individui a non riconoscersi più in molti concetti e valori tradizionali. Questo identifica quelli che vengono chiamati i "figli della libertà".

L’opinione è che la cosiddetta società dell’ego vada combattuta aumentando le libertà politiche e non limitandole. Infatti modernità è anche libertà politica, cittadinanza e società dei cittadini, dove senso, morale, giustizia non sono grandezze date: "modernità significa dunque un modo di sicurezze individuali tramonta, e al suo posto - quando va bene – subentra la cultura democratica di un individualismo universale giuridicamente sancito".

Il rifiuto dei giovani della politica non deriva quindi da egotismo o caduta di valori ma ha un significato molto politico. Il punto è che essi hanno questioni, problemi diversi da quelli posti dalla politica e dalle istituzioni tradizionali: i giovani odiano la monotonia dei doveri tradizionali, i formalismi delle organizzazioni politiche e il loro modello costruito sul sacrificio dell’individualità e a questi contrappongono, sotto varie forme, il divertimento.

La questione del potere viene così sollevata efficacemente restando fuori dalla politica.

Dall’altra parte i giovani danno vita ad un volontariato autogestito al di fuori delle grandi organizzazioni ufficiali. I dati mostrano che autoaffermazione, appagamento personale e premura verso gli altri non si escludono ma si completano e rafforzano reciprocamente (ad esempio: il 45% degli americani adulti dedica cinque ore alla settimana al volontariato).

Page 4: Beck, i rischi della libertà

Si tratta quindi di un confronto tra due concezioni diverse dove il problema non sono i figli della libertà ma l’incapacità delle varie istituzioni (partiti, sindacati, chiesa ecc.) di comprendere la nuova realtà multidimensionale in cui gli enigmi si moltiplicano e le risposte spesso aprono nuove questioni.

Sulla base di queste considerazioni l’autore ritiene che all’interno di questo fenomeno e della sua comprensione vi siano i presupposti per creare la società del futuro.

Autoaffermazione e democrazia viaggiano insieme e quindi solo aumentando la libertà politica in futuro si potrà continuare ad avere una società funzionante. Inoltre il mutato atteggiamento nei confronti dei valori non sembra portare verso un aumento delle pretese materiali, ma anzi verso un aumento del valore immateriale della qualità della vita.

Per Beck, oggi si prospettano orientamenti e priorità che potrebbero consentire di rispondere alla sfide della seconda modernità e portare ad una nuova società condivisa. E’ quindi attraverso l’aumento della libertà politica e di questi valori connessi che si può ipotizzare di giungere ad una società che si distacchi dagli ideali di abbondanza, profitto, carriera non più sostenibili sotto l’aspetto economico ed ecologico.

L’autore non trascura però di rilevare le difficoltà e le incognite della società attuale. Infatti i figli della libertà si trovano di fronte ad un mondo in cui si assiste al ritorno del rischio dopo una fase (anni ‘80) dove si considerava il benessere come uno status ormai acquisito e non più in discussione. In questo senso l’autore chiama l’attuale fase della società "la società mondiale del rischio".

La libertà presuppone sicurezza e la mancanza di sicurezza porta sempre più persone a sentirsi minacciate sia nel corpo sia nell’esistenza. Questo senso di insicurezza, questa condanna della libertà, tocca trasversalmente tutte le categorie e molte persone cercano di sfuggirgli. Nasce così una specie di movimento per la sicurezza e l’ordine che si mobilita in continuazione contro criminali, teppisti, tossicodipendenti, ecc., e che, in definitiva si può dire, si mobilita contro le proprie stesse paure sul futuro.

Emerge così il lato oscuro della libertà: il cittadino brutto e cattivo in cui le virtù borghesi si trasformano in aggressività pura quando in piena libertà politica viene meno la sicurezza sociale.

Su questo l’autore avanza la sua proposta politica contrapposta a quelle del neoliberismo, del comunitarismo e del protezionismo che ritiene non adeguate.

La proposta, che svilupperà più dettagliatamente nei saggi successivi, è un repubblicanesimo cosmopolitico basato su cinque principi: nuovo significato dell’individuo; centralità di attori sociali, identità ed istituzioni cosmopolitici; rinnovata importanza della dimensione locale; preminenza della libertà politica per il mantenimento della coesione sociale e della responsabilità democratica; profonde riforme istituzionali a coronamento del tutto.

In sintesi due fenomeni epocali - individualizzazione e globalizzazione –stanno trasformando radicalmente i fondamenti della vita comune in tutti gli ambiti sociali. Essi sono una minaccia solo apparente ma impongono e, al tempo stesso, consentono alla società di prepararsi alla seconda modernità.

E’ il pensiero politico che deve cambiare di fronte ai figli della libertà per i quali le formule tradizionali della società (partiti, matrimonio, famiglia, classe, ceto, nazione, ecc.) hanno perso molto in significato e praticabilità.

Due sono anche i concetti chiave della società dopo la caduta del muro di Berlino: ambivalenza e vuoto.

L’ambivalenza è intesa nel senso di presenza simultanea di sentimenti contrapposti quali distensione e terrore, attivismo e paura. La perdita di chiarezza paralizza e sempre più spesso ci si trova di fronte a scelte egualmente intollerabili (ad esempio scelta tra vergognosa indifferenza ed uso della forza militare in difesa dei diritti umani).

Page 5: Beck, i rischi della libertà

Il vuoto significa che le istituzioni "vincenti" (NATO, stato sociale, identità nazionale, mercato) hanno perso i loro fondamenti ed evidenze storiche.

Ambivalenza e vuoto significano che la situazione non è soltanto "disperata" ma anche intellettualmente e politicamente aperta e quindi, in definitiva, aperta a nuovi scenari e sviluppi.

La democratizzazione della famiglia

Nel terzo saggio l’autore affronta il tema della famiglia. In particolare ci si domanda se dagli indicatori di trasformazione della famiglia (alto numero di divorzi, diminuzione delle nascite, dimensioni extraconiugali, ecc.) non si possa desumere che anche nella famiglia siano entrati i meccanismi dinamici della libertà politica, nucleo fondamentale della modernità, e quindi non si possa parlare di democratizzazione della famiglia.

Beck precisa prima alcuni concetti sulla sociologia della libertà politica e quindi li applica alla famiglia, soffermandosi in particolare sulla componente figli.

Il concetto fondamentale è che la libertà non può essere concessa ne’ garantita (…) ma deve essere conquistata dai cittadini. Non è lo stato a concedere ma semmai è la decisione del cittadino che legittima democraticamente le istituzioni.

Si sottolinea qui la diversità tra libero arbitrio e libertà politica, tra libertà come idea e libertà come realtà sociale evidenziando, in sostanza, la contraddizione tra libertà potenziale e libertà effettiva.

Questa distinzione viene poi completata sottolineando come non si debbano confondere la dimensione di libertà giuridica con quella di libertà sociale. In particolare il riconoscimento dei diritti di libertà in campo giuridico aiuta ma non garantisce la libertà, mentre una resistenza, anche in presenza di negazione della libertà giuridica, è sempre possibile ovunque.

Per il sociologo tedesco lo spirito della democrazia entra nella realtà sociale divenendo forma di vita, oltre che di governo, solo con la socializzazione e l’azione.

La socializzazione attraverso scuola, educazione famigliare, televisione, ecc. porta nei giovani all’allentamento o alla dissoluzione delle condotte di vita tradizionali ed a crearsi oggettivandole delle proprie norme. L’interiorizzazione non è però sufficiente, la libertà si concretizza nella realtà sociale soltanto con l’azione, ovvero con la pratica e la verifica concreta delle libertà politiche.

Beck introduce quindi la distinzione tra diritti di libertà nelle culture della differenza e diritti di libertà nelle culture dell’uguaglianza.

Le prime risolvevano la questione del chi e del perché ha accesso a quali libertà in termini ontologici, ossia in termini di differenze sostanzialistiche di essenza o di specie. Alla base di questa concezione ci sono tre elementi: concezione delle realtà come insieme di mondi separati, autorità della natura e quindi categorie date a priori, strutturazione a "matrioska" che si adatta al concetto di identità nazionale.

Con la seconda modernità l’approccio ontologico si logora e le strutture dell’identità tipiche della società industriale e dello stato nazionale perdono la loro evidenza naturale (basta pensare ai cambiamenti nei rapporti tra i due sessi o alle conseguenze della mobilità sui concetti di identità etnica o appartenenza razziale).

In sintesi nel passaggio alla seconda modernità (…) si creano dappertutto posizioni multiformi e contraddittorie, forme miste e nuove identità che distruggono dall’interno il modello di appartenenza univoco e trasparente che aveva trovato la propria sintesi nello stato nazionale.

Page 6: Beck, i rischi della libertà

Le distinzioni sul concetto di libertà vengono quindi portate da Beck all’interno della famiglia. Ricordando come questo sia già stato fatto nei confronti della condizione delle donne, si fa un passo ulteriore ponendo al centro dell’analisi il diritto dei figli alla propria vita.

Dopo aver citato alcuni casi in cui lo Stato (ad esempio: Svezia) ha iniziato a garantire forme d’autodeterminazione del minore, Beck rileva come nell’esistenza giovanile la rivendicazione della propria individualità si sia in ogni caso affermata negli ultimi due decenni.

Il periodo giovanile diviene sempre meno fase di transizione e sempre più vera e propria biografia giovanile, i cui obiettivi sono individualizzati e dove non è più possibile da parte dei genitori inculcare obiettivi e certezze a priori.

I giovani creano una propria forma individuale di morale, conquistano e costruiscono in autonomia la propria vita difendendola dagli attacchi degli adulti. Allo stesso tempo, essi sono consci che la propria vita ha bisogno di legami sociali e per questo amico e gruppo sono concetti che diventano centrali nella loro esistenza.

Sotto questo aspetto l’autore conclude che la socializzazione è possibile solo come autosocializzazione.

D’altra parte la vita dei giovani è immersa in mondi, concezioni ed esperienze contraddittorie e spesso inconciliabili tra loro come scuola, televisione, genitori, simboli dei gruppi locali, ecc. Questo li porta adiventare artefici del proprio sé trasformando la propria vita in un bricolage, una ricerca non definitiva ma interminabile della propria vita.

Altro aspetto sottolineato è il fenomeno della standardizzazione: all’interno di tutto lo scompiglio della società, i giovani non hanno timore di essere normali. Si tratta di un’autonormalizzazione costruita all’interno del loro gruppo dove i giovani stabiliscono, mettendo insieme vari frammenti, cosa è normale, giusto, "in".

Tutto questo ha delle conseguenze notevoli all’interno della famiglia nei rapporti tra le generazioni: il futuro sfugge agli adulti mentre i giovani, mentalmente più aperti, acquistano potere. Si genera così un contraddittorio in cui gli strumenti sono l’accordo e la trattativa e dove tutto va giustificato e discusso.

La difficoltà di questa situazione fa sì che nei rapporti si faccia strada un’ignoranza riflessiva, o al massimo di indifferenza tollerante, in cui principi e ragioni delle decisioni di ognuna delle parti non sono discusse ma accettate in un misto di fiducia e sfiducia. L’impressione è che il conflitto sia evitato lasciando fare agli altri ciò che vogliono.

L’autore conclude affermando che, per il momento, non si può ancora parlare di una vera democratizzazione della famiglia giacché il venire meno delle strutture tradizionali ha posto sì in primo piano la trattativa, la giustificazione, ma non ha veramente introdotto i principi del dialogo, dell’ascolto e dell’assunzione di responsabilità reciproca.

Padri della libertà

Tema del quarto saggio è la libertà politica, concetto fondamentale per la proposta sociale di Beck. Per definire la propria visione l’autore utilizza i contributi, ritenuti fondamentali di Alexis de Tocqueville, Immanuel Kant, Friedrich Nietzche e Gottfried Benn.

L’epoca dell’uguaglianza: Alexis de Tocqueville

L’unione di motivi religiosi del cristianesimo e della religione ebraica in connessione con temi della filosofia greca danno origine nell’età moderna ad un movimento politico inarrestabile: l’avvento della democrazia nel mondo, una rivoluzione ormai sottratta al potere ed alla volontà dell’uomo stesso.

Per l’autore l’analisi di Tocqueville crea una lingua attraverso cui l’età della democrazia può osservare, giudicare e criticare se stessa.

Page 7: Beck, i rischi della libertà

Alla base dello strapotere dell’epoca democratica c’è la nascita dell’uguaglianza delle condizioni: le condizioni di vita delle varie nazioni, classi, individui sono sempre più simili, superano l’economia universale delle differenze ontologiche in cui ognuno era intrappolato all’interno delle proprie categorie di appartenenza.

Si inizia così una nuova forma di identificazione basata sulla reciprocità, dove la superiorità dell’altro non è più di sostanza ma deve essere conquistata ed esercitata e può sempre essere invertita. Tutto passa attraverso la discussione, la scelta e la giustificazione e perde le sue ovvietà tradizionali.

Questo processo di accertamento di sé attraverso il confronto con l’altro provoca enormi mutamenti nella vita quotidiana e nell’agire sociale, diventando una delle ragioni degli sconvolgimenti e delle paure dell’epoca moderna.

Per Tocqueville lo spirito della modernità occidentale sta nella rivendicazione dell’eguaglianza che esprime e compendia l’eredità religiosa, filosofica, metafisica, umanistica, romantica e razionalistica della cultura europea. Allo stesso tempo il passaggio avviene con una frattura tra tradizione cristiana e modernità politica attraverso il fenomeno della giustificazione terrena del potere che inizia con la rivoluzione francese ed americana.

L’autore pone poi l’accento su un altro punto centrale del pensiero di Tocqueville secondo cui la medicina contro le anomalie della libertà è più libertà politica.

La libertà è qui intesa come facoltà del dare inizio (Hannah Arendt), che presuppone quindi una qualche società ma che non giustifica l’assolutizzazione di quella esistente in quanto tale. L’accento è posto sulla capacità innovativa dell’agire umano che rompe la normalità e al tempo stesso per questo genera anche paure.

D’altro canto uguaglianza non significa ne’ abolizione di gerarchie, ne’ uguaglianza materiale o abolizione delle differenze tra persone: uguaglianza delle condizioni è un sistema organizzato di differenze sostanziali che sta all’origine di una moltiplicazione delle molteplicità, in cui l’unica caratteristica irrinunciabile è l’uguaglianza di fronte alla legge.

A questo punto il problema si sposta su come sia possibile la coesione nel mondo dell’eguaglianza delle condizioni.

Idee per una modernità repubblicana dal punto di vista cosmopolitico: Immanuel Kant

Beck si riferisce qui al progetto della "pace perpetua" e di una repubblica cosmopolitica in esso contenuta.

Per evitare il rischio che la pace perpetua si raggiunga solo con l’annientamento del genere umano, Kant propone una rifondazione radicale del diritto internazionale basata non più sulla regolazione della guerra ma su un diritto della pace.

L’inizio della civiltà passa per la proclamazione dei diritti fondamentali politici e sociali dei cittadini, diritti che non devono essere concessi dall’alto ma conquistati attraverso l’arte della libera associazione e la prassi quotidiana della società civile.

Per Kant la predominanza dei diritti fondamentali è in grado di strutturare la società moderna: il quadro giuridico rende possibile la pace aprendo spazi per l’agire di persone di uguali condizioni. Questi spazi a loro volta consento lo sviluppo e l’esercizio della libera associazione.

E’ nel quadro giuridico che si fondano i presupposti che consentono al più debole di parlare al più forte su una base di uguaglianza. In questo caso le posizioni assunte dall’uno o dall’altro sono, in linea di principio, intercambiabili e comunque hanno lo stesso valore e potere.

Fondamentale per Kant è poi l’universalismo del rapporto giuridico. Si tratta di garantire un diritto cosmopolitico a tutti all’esterno ed di graduarlo a livello di contenuto all’interno. In

Page 8: Beck, i rischi della libertà

definitiva un rapporto giuridico costituzionale valido sia in senso orizzontale sia in senso verticale.

Il problema della pace perpetua viene risolto con l’affermazione dei diritti fondamentali del cittadino che apre un contesto di azione politica garantita che esclude o rende improbabili due cose: una dittatura dello stato all’interno e uno stato di discordia, di guerra all’esterno.

L’individuo non è quindi in contrasto con le forme dell’agire pubblico politico orientato alla comunità, al contrario, "come" creare il senso di comunità tra liberi individui è un problema chiave per Kant.

La modernità repubblicana si fonda sulla salvaguardia dei diritti fondamentali che deve essere pensata e garantita dal basso verso l’alto attraverso l’uso dei diritti stessi. Non si tratta pertanto di un sistema istituzionalizzato ma di una libera associazione di individui che fa da garante alla costituzione repubblicana. Costituzione basata su tre principi: libertà dei membri in quanto uomini, dipendenza di tutti da un'unica legislazione comune in quanto sudditi, e infine legge dell’uguaglianza in quanto cittadini.

In questo contesto l’idea di libertà si esprime anche nella possibilità di negare il proprio consenso alle leggi (e alle istituzioni) e quindi libertà diviene anche diritto al dissenso.

Su questo Kant basa la distinzione tra sistema democratico e sistema repubblicano di governo, derivato dal modo con cui il potere viene esercitato: il repubblicanesimo passa per la separazione tra potere esecutivo e legislativo, mentre il dispotismo lega i due poteri in modo che la volontà pubblica sia usata dal governo come sua volontà.

Per Kant tutte le democrazie sono dispotiche in quanto minano i diritti fondamentali invocando la volontà della maggioranza contro la pluralità dei singoli individui. Viceversa il repubblicanesimo si fonda sullasovranità dei molti dove il dissenso e le sue forme di risoluzione sono alla fine l’unica forma di consenso.

Su questa base Beck afferma che il parametro di riferimento della modernità non è la volontà generale ma la possibilità che i molti siano sovrani.

Muovendo da questi concetti e dall’affermazione di Kant sul contrasto ineliminabile tra libertà e felicità, l’autore avanza la sua proposta di una repubblica ecologica.

Il concetto base di Beck è che la libertà unisce mentre la felicità separa. Infatti la pratica della libertà consente di sperimentare un crescita della libertà stessa. Il passaggio attraverso i conflitti e il loro superamento può consentire di sperimentare un individualismo "solidale".

La ricerca della felicità presuppone invece una lotta per la spartizione di un qualcosa (ricchezza, successo, ecc.) e, pertanto, diviene un gioco a somma zero.

Esiste allora una logica di crescita della libertà che potrebbe portare all’attenuazione, se non al superamento del pericolo ecologico insito nel mito della crescita economica.

La proposta è di sostituire la felicità materiale con la questione delle modalità con cui la libertà è possibile, esperibile e crea comunità, in breve la libertà come felicità.

L’autore ci propone di immaginare un mondo formato da repubbliche fondate sui tre principi di Kant. Questo secondo Beck creerebbe da un lato un quadro di riferimento entro cui discutere i vari conflitti e contrasti e dall’altro consentirebbe di comporli mediante il dialogo e la trattativa e non con il potere e la forza. In questo modo il sogno kantiano di una pace perpetua cesserebbe di essere utopia.

Ma vale la pena fare questo sogno?

Individualismo creativo. Conoscenza come creazione: Friedrich Nietzche

Page 9: Beck, i rischi della libertà

L’autore pone Nietzsche tra i padri della libertà per il suo concetto di ragione creativa, intesa come forma più alta di critica che sola può mantenere la promessa dell’autonomia di pensiero. Infatti questa al tempo stesso critica l’esistente e lo pone sotto pressione con l’alternativa provocatoria.

Per Beck il Superuomo di Nietzsche significa due cose: intima relazione tra libertà e capacità innovativa ed enorme fatica necessaria a superare il peso della mediocrità.

Zarathustra spezza le catene del passato (…) mediante il progetto di un’alternativa che è più di un alternativa in quanto mette in discussione l’esistente pensando il futuro in modo nuovo.

In altri termini, per Beck, una riforma della modernità richiede la capacità di pensare e porre gli obiettivi in modo nuovo.

Altro elemento del pensiero di Nietzsche che viene evidenziato è la potenza del linguaggio: Nietzsche è un virtuoso della lingua che non ha più solo una funzione rappresentativa ma trova giustificazione alle proprie affermazioni nella forma stessa del linguaggio.

Il richiamo è al costruttivismo creativo di Nietzsche ed il suo concetto di filosofi del futuro visti come uomini sperimentatori. Il filosofo nuovo è un inventore, uno sperimentatore che non si lascia intimidire da qualsiasi tipo di autorità (istituzioni, religione o qualsiasi verità preconfezionata); ed è proprio questa rivolta dell’individuo insita nel filosofo nuovo che, secondo l’autore, fa parte dello spirito di un Europa repubblicana degli individui.

Potere della parola, ovvero ruolo degli intellettuali nella seconda modernità: Gottfried Benn

Per Benn il linguaggio non è un mezzo espressivo, ma un modo per trovare il mondo, per inventare il mondo.

La creazione di una comunità nell’epoca della dissoluzione attraverso l’arte della libera associazione ha per Benn un significato letterale. Il linguaggio non solo spiega, analizza, rappresenta, ma crea anche comunanze sociali con la forza del convincimento e delle immagini che esso genera, infatti è attraverso la parola che noi veicoliamo informazioni e scambiamo idee.

Secondo Beck, il linguaggio deve però essere di molti altrimenti la definizione di democrazia come sovranità di molti perde senso, essa deve includere per forza anche la sovranità del linguaggio. Infatti non ci può essere uguaglianza se il linguaggio resta in mano agli "specialisti" (giornalisti, manager, filosofi, ecc.).

Dato che le istituzioni e le strutture sociali sono create dall’uomo, è comprensibile che anche l’arte di creare legami sociali sia un’arte linguistica. Essa non è soltanto creatrice ma anche potere che apre lo spazio politico e, in questo modo, fa diventare l’uomo veramente umano rendendolo appunto politico.

Per Benn quindi il linguaggio crea e plasma la realtà, le parole e le frasi divengono la materia con cui si costruiscono le ovvietà che poi, a loro volta, istituiscono e orientano sia il sapere che l’agire sociale.

In questa accezione l’autore sostiene che il fatalismo odierno sia fondamentalmente una malattia del linguaggio, derivante dal continuare a girare intorno a concetti del passato in mancanza di un linguaggio con cui dare un senso ed una struttura al nuovo che ci sta investendo.

La questione dello stile diviene così fondamentale nella seconda modernità, infatti qualsiasi riforma della democrazia passa per una riforma del linguaggio della democrazia. D’altro canto ogni epoca storica ha avuto i suoi concetti chiave diversi in cui si sono rispecchiati i vari mutamenti politici.

Page 10: Beck, i rischi della libertà

Alla base della crisi della comunità c’è quindi una crisi di linguaggio e di pensiero: non disponiamo di una linguaggio adeguato alle sfide che ci minacciano ed alle possibilità che si aprono.

In questo senso il ruolo degli intellettuali sta nell’utilizzo del potere del linguaggio, così come espresso da Nietzsche e Benn, per forgiare i nuovi concetti necessari alla seconda modernità.

Il problema è creare un nuovo linguaggio che superi i limiti dello stato nazionale e del fatalismo del progresso della prima modernità e che consenta di discutere le questioni della seconda modernità globalizzata in un dialogo tra culture diverse.

In sintesi una riforma cosmopolitica della modernità e lo sviluppo ulteriore della democrazia sulla base dell’eguaglianza delle condizioni richiede necessariamente una riforma dei linguaggi delle democrazie deglistati nazionali ed un’apertura degli uni verso gli altri.

Origine come utopia: la libertà politica come fonte di senso della modernità

Nel quinto saggio l’attenzione è rivolta a cosa tiene insieme la modernità, a qual’è il collante sociale dell’età moderna.

Tratto centrale della seconda modernità sembra essere la sempre maggiore interiorizzazione dei diritti politici di libertà ed il loro graduale passaggio dall’ambito politico a tutti gli ambiti dell’agire sociale.

La società viene tenuta insieme da ovvietà condivise che, nell’epoca della modernità, da una parte sembrano escluse dal suo mettersi sempre in discussione e dall’altra esercitano una grande attrazione sugli individui.

In particolare, per Beck, nel mondo post-tradizionale, i tre modi tradizionali di dar vita a relazioni sociali perdono molta della loro consistenza ed efficacia:

- religione. La base della sua forza, ovvero l’accettazione delle miserie terrene in cambio di un benessere ultraterreno, non sembra attrarre più come un tempo, almeno per quanto riguarda la parte terrena;

- sacrificio di sangue. Storicamente uno dei collanti delle comunità politiche è stata la disponibilità alla violenza che ha scritto con il sangue i confini e le identità nazionali. E’ ovvio che il futuro non può più basarsi su un collante di questo genere.

- lavoro. Elemento forte di aggregazione nelle società post-belliche è stato il consumo di massa ed il dovere del lavoro ad esso connesso; come presupposto c’erano concetti quali lavoro per tutti, crescita economica, progresso tecnico, concetti che ormai vengono sempre più messi in dubbio.

Per l’autore proprio il venir meno del benessere garantito ed i tentativi di difesa di questo portano alla minaccia dei diritti politici di libertà. Questa riduzione dei diritti di libertà costituirebbe però una rottura con la tradizione della libertà europea ed occidentale e bloccherebbe l’unica fonte da cui potrebbero sgorgare energie creative in grado di affrontare le sfide della seconda modernità.

Il nucleo della proposta di Beck passa quindi per il concetto di organizzazione autonoma degli individui intesa come capacità di afferrare e mettere in pratica i diritti di libertà.

Il problema dell’integrazione senza religione e sacrifici di sangue e con un erosione ormai certa del benessere diviene pertanto una questione di capacità democratica. Occorre conoscere ed accettare il fenomeno della individualizzazione, considerare che l’essenza della democrazie sta nel contrasto e nella messa in scena del dissenso.

Page 11: Beck, i rischi della libertà

Punto centrale è la modernità che significa diritti di libertà, pensati come una serie graduata di diritti fondamentali di tipo politico, sociale ed economico. La presenza o meno di questi fa da distinzione tra l’individualizzazione e l’atomizzazione.

Infatti la presenza dei diritti fondamentali crea le condizioni sistemiche che consentono agli individui di orientarsi ed organizzare la propria vita, le relazioni sociali e politiche ed, in questo caso, si parla diindividualizzazione. Quando questi diritti mancano si ha invece l’atomizzazione. Per Beck la paura della libertà presente nella nostra società nasce proprio dalle esperienze di atomizzazione che si iniziano ad intravedere unite ad una democratizzazione della povertà, che porta anche individui inseriti in un contesto di sicurezza e ricchezza a temere il rischio di una loro caduta nell’atomizzazione.

Sulla base di queste considerazioni sul tema dei diritti fondamentali l’autore avanza anche la sua critica alla crescente idolatria del mercato e del neoliberismo che, a sua avviso, porterebbe verso l’atomizzazione della società.

In contrapposizione Beck ritiene che, a fronte dei processi di individualizzazione, occorra recuperare la solidarietà attraverso l’elaborazione di libertà politiche ovvero con l’arte della libera associazione.

Si tratta di autorganizzazione e autogoverno individuale derivante dalla trasformazione delle questioni pubbliche in questioni private. Una politica dal basso che, con iniziative autonome, prende in manoresponsabilità e bene comune in concorrenza e/o contrasto con le istituzioni "ufficiali". Infatti il sentirsi responsabile per quanto accade "intorno" porta ad azioni ben precise. La libertà va dunque presa e praticata nella spazio sociale e politico associandosi con gli altri contro gli altri in modo puntuale su singoli temi ed in modo sempre diverso una volta dall’altra, senza seguire schieramenti dati a priori come accade nelle esperienze tradizionali.

Secondo Beck la paura della libertà non consente di vedere le potenzialità latenti che la libera associazione può avere nel creare legami e responsabilità nella cosiddetta democrazia post-tradizionale senza nemici. Esiste infatti una logica della crescita delle libertà che potrebbe porre in secondo piano o addirittura superare quella della crescita economica, così deleteria per l’ambiente.

La libertà politica diviene l’elemento distintivo della dinamica della seconda modernità in grado di trasformare continuamente le basi dell’agire umano, entrando in tutti gli ambiti e disgregando le strutture tradizionali.

La paura della libertà, che al tempo stesso nasce, deriva invece dal fatto che siamo tutti  veri e propri analfabeti nella lingua e nell’arte di creare e tessere liberamente connessioni e legami sociali. Altra conseguenza di questa maggiore libertà è il cosiddetto cittadino brutto e cattivo, anch’esso creatore a sua volta di legami sociali.

Su quest’ultimo aspetto per Beck il solo rimedio è ancora più libertà per combattere questi eccessi di libertà attraverso esperienze in grado di risvegliare e rinnovare il senso di responsabilità degli individui.

In definitiva, con la modernità che pone al centro la libertà politica, Beck vuole indicare una prospettiva che possa legare il passato ed il futuro della modernità occidentale e consentire di affrontare i nuovi problemi posti dall’era della globalizzazione.

Come i vicini divengono ebrei: la costruzione politica dello straniero

L’ultimo saggio Beck riprende la descrizione della seconda modernità soffermandosi in particolare su alcuni aspetti negativi derivanti dalla reazione "difensiva" alle nuove realtà che la società individualizzata crea.

Partendo dalla tragedia degli ebrei nel periodo nazista, l’autore analizza il processo con cui il nostro prossimo può essere tramutato in straniero e quindi in nemico. Egli afferma che quelle persone non erano di razza ebraica, ma semplicemente vicini trasformati in stranieri ed in questo modo espulsi dal popolo tedesco.

Page 12: Beck, i rischi della libertà

Questo concetto può essere generalizzato e quando si parla di turchi, zingari, asylanten, ecc. ci si riferisce a gruppi che non hanno solo una certa cittadinanza politica ma anche un’identità culturale diversa. Identità culturale che viene considerata come un qualcosa di sostanziale, dimenticando che in realtà essa è un costrutto politico e sociale.

Per prima cosa Beck definisce il significato sociologico del termine straniero.

La categoria straniero forza i concetti e gli stereotipi del mondo degli autoctoni ed è caratterizzata dalla contraddizione. Essa significa distanziamento dei vicini da parte dei vicini senza alcun accordo reciproco e presuppone una certa tranquillità e chiusura nelle forme di vita degli autoctoni.

Sotto questo aspetto l’irritante dello straniero consiste nel non riuscire a ricondurlo a nessuna delle "nostre" categorie, essi sono in sostanza autoctoni che non obbediscono agli stereotipi degli autoctoni stessi.

Dato che la tipicità non è naturale ma un costrutto sociale, gli stranieri sono una smentita dei confini netti e delle basi naturali su cui gli stati hanno fondato la loro identità e appartenenza.

Ad esempio si può citare la contraddizione palese, rispetto allo stereotipo del tedesco, dell’esistenza di afro-tedeschi che hanno cittadinanza tedesca, parlano il tedesco perfettamente ma hanno la pelle nera.

Altro aspetto della categoria straniero è la relatività, occorre cioè la presenza di un quadro di riferimento ritenuto oggettivo. Basta infatti varcare un confine per passare dalla condizione di autoctono a quella di straniero.

La razza è quindi una costruzione sociale dove lo straniero si contrappone o attraversa tutti i concetti dell’ordine sociale, mettendo in discussione la validità delle distinzioni e dei confini comunemente accettati. L’estraneità dello straniero presuppone un atteggiamento generalizzante con caratteristiche stereotipate e deindividualizzate, mentre, al contrario, il nostro comportamento e quello dei nostri simili viene spiegato in termini individualizzati.

La categoria straniero significa trasversalità, ambivalenza come modo di esistere.

Con il passaggio dalla modernità semplice a quella riflessiva il concetto di straniero si complica, infatti da una parte il concetto di autoctono perde chiarezza, dall’altra gli intrecci ed i contesti internazionali e sopranazionali sono sempre più complessi e numerosi.

Quando Beck parla di modernizzazione riflessiva intende lo stadio in cui la modernizzazione si trasforma mediante una rielaborazione del quadro di riferimento e delle categorie dell’ordine sociale della stessa società industriale moderna. La modernità riflessiva si basa su tre principi:

- insicurezza costruita. L’esistenza non è divenuta più rischiosa, ma i rischi nascono ed hanno una portata diversa dal passato. Le conseguenze dello sviluppo tecnico e industriale mettono in discussione la razionalità che fino ad ora ha consentito di fronteggiarle, viene quindi meno il patto della sicurezza che ha garantito nella società industriale il consenso nei confronti del progresso;

- globalizzazione. I pericoli per la civiltà non si possono più superare a livello nazionale o locale. Non si tratta di un problema soltanto economico, ma riguarda le conseguenze generate dalla possibilità di azioni a distanza consentita dall’evoluzione dei mezzi di comunicazione, delle reti informatiche e dei mezzi di trasporto.

La globalizzazione è un processo complesso che produce conflitti e nuove forme di definizione. In tal senso per Beck anche il riemergere di nazionalismi a livello locale e l’accentuazione di identità etniche locali sono prodotti della globalizzazione, anche se sembrano essere il contrario;

Page 13: Beck, i rischi della libertà

- dissoluzione della tradizione e individualizzazione. Le fonti di senso collettivo come identità etniche, classe, ecc. si esauriscono ed all’individuo spettano tutte le definizioni. Ad essi sta ormai il compito di affrontare sia i problemi della sfera globale sia quelli della sfera personale.

Per Beck però individualizzazione non significa solo dissoluzione della tradizione, ma anche possibilità di reinventare tradizioni. Quindi la definizione riflessiva si riferisce al carattere di riflessività della modernità, nel senso che dal logoramento e trasformazione dei presupposti e delle condizioni della prima modernità nascono nuove incertezze, trasformazioni e superamenti della sfera del sé.

In questo contesto diventa difficile stabilire chi siamo, infatti l’esistenza individualizzata è una vita mobile in tutte le sue sezioni sia orizzontali che verticali. In un certo senso la modernità riflessiva generalizza la categoria di straniero rendendola un’estraneità universale. Questo però non significa che il rapporto con gli stranieri sia divenuto meno problematico ma anzi è il contrario: l’identità si fa confusa, la globalizzazione fa crollare le barriere della lontananza e l’insicurezza costruita significa problemi dappertutto e nessuno che fa niente per risolverli.

Ci sono quindi sempre più persone che considerano il proprio mondo minacciato e per questo si mobilitano. Barricarsi, rinchiudersi in casa sono reazioni diffuse contro la paura di ciò che viene da fuori. Si assiste in definitiva ad una politicizzazione generalizzata del problema sicurezza.

Ne consegue che anche la costruzione sociale dello straniero nella seconda modernità muta, essendo mutati i contesti, gli attori, le istanze e le risorse.

Per l’autore l’indeterminatezza del concetto culturale fa sì che in Europa sia in atto un processo di sostituzione di questo con il concetto di straniero burocratico, quindi più semplice e chiaro da definire, molto meno indeterminato. Ed è proprio sul terreno del diritto degli stranieri e dei rifugiati che la minaccia dello stato forte ha trovato un’anticipazione.

Ma come avviene la trasformazione da straniero a nemico?

Per quanto detto in precedenza, la distinzione tra "noi" e lo "straniero" non deriva da nulla di naturale, da presupposti sociobiologici ma da un determinato ambito sociale in una determinata epoca. Essa va considerata e compresa nell’ambito di un determinato stato, nazione partendo dal monopolio della legittimazione della violenza da parte dello stato. In questa logica c’è una territorialità dell’identità concepita come un qualcosa di evidente che esclude la presenza di identità multiformi ed ambivalenti.

Per Beck quindi l’etnicità non è una variabile originaria della differenziazione sociale, ma piuttosto un’impalcatura politico-burocratica. Essa insieme all’immagine del nemico ha costituito una fonte di legittimazione dello stato moderno.

Con la modernità riflessiva la costruzione del nemico è politicizzata attraverso la politicizzazione della questione sicurezza e l’introduzione dello straniero burocratico in luogo di quello culturale.

Su questa base ci si poggia per ricostruire uno stato sicuritario con funzioni di protezione.

L’accento e la tensione devono quindi andare ai processi dell’opinione pubblica, della politica e dell’apparato amministrativo che creano lo straniero e su come evitare che ciò accada.

La frase "come i vicini vengono trasformati in ebrei" ha il significato di un processo attivo di costruzione, di una minaccia sempre incombente. Al tempo stesso essa è un’esortazione alla difesa ed allo sviluppo ulteriore di una società aperta e di uno stato di diritto liberale.

La proposta cui infine accenna l’autore è quindi un Europa degli individui: l’individualizzazione non è disgregante ma al contrario la lotta per conquistare una vita propria accomuna tutti gli europei e non dall’alto manel nucleo dell’autocoscienza di ciascuno di loro.

Page 14: Beck, i rischi della libertà

Rispetto alla configurazione del pericolo (gefahr) come possibilità di conseguenze negative di un evento esterno all’individuo, ad es. le calamità naturali, tipica delle società premoderne, nelle società avanzate il rischio (risiko) ha assunto la sua attuale importanza perché riferibile ad eventuali danni futuri imputabili alla decisione umana. Il passo successivo dell’individuazione pratica della decisione proprio alla luce del numero crescente delle scelte indotte dalle scoperte tecnologiche e dalla globalizzazione, ha fatto concludere al sociologo tedesco che oggi il rischio prevale sul pericolo, anche quando, rispetto alle obiezioni dei suoi critici, sembra incombente una catastrofe ecologica, seppur non causata direttamente da decisioni umane, ma effetto di lungo termine di comportamenti individuali e sociali deliberatamente assunti (Luhmann, 1990). Luhmann, anzi, ritiene sempre più numerosi i latent side effects, (effetti collaterali latenti) indotti dal progresso delle scienze che “quanto più calcolano razionalmente, tanto più rendono complessa la costruzione del calcolo e incerto il futuro” (ibid., p. 39). Una realistica teorizzazione, ma che non tiene conto - al pari dei saggi cinesi - quanto dagli stessi elementi ne deduce l’altro sociologo teorico della risk society, Ulrich Beck (1992) quando sottolinea come il rischio è un modo sistematico di far fronte ai pericoli e alle insicurezze indotte dalla modernizzazione ed è una razionalizzazione della paura che l’uomo contemporaneo sceglie deliberatamente di assumere nella posta in gioco per il progresso, rispetto al rischio premoderno dell’ineluttabile fato. Beck ed altri studiosi ricorrono a strumenti affatto analitici, quanto quelli di Luhmann, per proporre una lettura funzionale del rischio nei processi sociali contemporanei in cui, nota anche Giddens (2000) ci si trova a fronteggiare situazioni di rischio che nessuno nella storia precedente ha dovuto maiaffrontare. Ancora di più Beck, e sulla sua scia Giddens, è arrivato a concludere che nelle attuali dimensioni globalizzate del rischio, esso è meno identificabile, più importante nei suoi effetti e meno gestibile, un fenomeno tipico della tarda modernità globalizzata e non, come la scuola opposta di sociologi afferma, solo un retaggio della cultura moderna, “inventatasi” una nuova dimensione di incertezza per eliminare la genuina indeterminazione delle cose umane. Lo spazio comune condiviso nella globalità ha perso così il significato di “sistema uomo-ambiente” a favore di uno più prettamente politico, quando sono divenute più percepibili le conseguenze sulla vita individuale e collettiva delle trasformazioni umane dell’ambiente. Il mito moderno del controllo dell’uomo sulla natura attraverso il progresso scientifico e tecnologico, pur realizzandosi, ha indotto processi irreversibili che hanno persino resa incerta la stessa sopravvivenza della specie umana e del pianeta e hanno svegliato nella sensibilità pubblica un nuovo bisogno-valore, quello di invertire il processo per preservare quell’elemento indispensabile che è il patrimonio naturale del sistema in cui tutti gli individui vivono. Innalzamento della temperatura di almeno 2-3 gradi dovuto all’inquinamento atmosferico, calo della disponibilità idrica, deforestazione, aumento delle precipitazioni, innalzamento del livello del mare e probabili inondazioni, impoverimento della biodiversità: questo il quadro che per i prossimi decenni è stato prospettato dai rapporti di scienziati e organizzazioni internazionali (UNEP, World Watch Institute, FAO) nel tracciare la condizione dello sviluppo umano all’inizio del Terzo Millennio, accanto a problematiche come la diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza - il 20% della popolazione del pianeta dispone dell’80% del reddito mondiale - o la disoccupazione dei Paesi sviluppati e la sottoccupazione in quelli in via di sviluppo. Una situazione complessiva che mostra tutti i limiti dell’incidenza antropica sui processi naturali e sociali e che rende quello dell’incertezza un elemento ancor più intrinseco nella conoscenza dell’uomo contemporaneo. Il rischio si associa così alla globalizzazione leggendo nel ridimensionamento delle potenzialità tecniche e scientifiche, “fatti incerti, valori in discussione, poste in gioco alte e decisioni urgenti” (De Marchi, 1996) da assumere. Si potrebbe concordare con Wieviorka (1989), secondo il quale, superate molte barriere e incertezze ataviche, l’individuo è oggi alla ricerca di nuovi scenari di rischio che costruisce anche laddove non sono tali, invocando un utopico “rischio zero”. Ma non si può negare e condividere l’osservazione di Giddens

Page 15: Beck, i rischi della libertà

(1990) sulla condizione di incertezza globale che oggi pervade ambiente e società poiché causata dallo squilibrio fra un rischio che può essere accettabile e la fiducia riposta nei centri decisionali e nei sistemi esperti per mantenerlo sotto controllo, di difficile individuazione in dimensioni che guardano ormai su scala mondiale. Una salomonica ricomposizione fra opposte teorie potrebbe risiede nel riconoscere l’importanza contemporanea assunta dal rischio per l’attuale fase di crisi - nel senso etimologico di transizione verso il nuovo - che è da sempre connaturata all’individuo, indipendentemente dalle risultanze della modernità. Ciò che rende il nesso fra rischio e globalizzazione così inedito e caratterizzante i nostri tempi è che di norma l’ansia associata alle innovazioni segue inevitabilmente l’affermarsi di queste ultime e non, come osserva acutamente Paul Virilio (1995) costituisce come oggi una condizione normale, come accaduto per l’inquinamento e il degrado ambientale rispetto all’attività umana che ha rivoluzionato tempi, spazi, equilibri fisici naturali nella costituzione di un mondo globale.

2. Rischio e globalizzazione: una composizione semantica?

“Il rischio del terrorismo deve e può soltanto essere sconfitto da un mondo che agisca unitariamente” suole affermare molto spesso il Segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, quando è sollecitato in interviste a trovare una soluzione ad uno dei rischi del processo di globalizzazione indotta facendo leva sugli effetti positivi della globalizzazione del rischio, ossia una rafforzata unità nella società globale. Nelle riflessioni di pensatori come Touraine, Giddens e Beck, al contrario, la globalizzazione appare come una fase sequenziale di quel processo della modernità ancora in fieri verso la sua piena realizzazione, con tutte le conseguenze della sua indefinita condizione. Una modernità limitata secondo il sociologo francese, il cui compimento può portare ad una nuova forma di società o, come la definisce Giddens, una modernità radicale che ne decreta la fase di completamento con l’esperire tutte quelle imprevedibili possibilità trascurate dalla prima modernità illuminista, illusa dei suoi “non limiti” e dalla seconda modernità del “politeismo disincantato” di Weber. Secondo il sociologo inglese molti sono i segnali della permanenza della modernità e in primis proprio quello addotto da chi la ritiene ormai superata, ossia la diffusa, intrinseca “comune” consapevolezza che nulla possa essere conosciuto con certezza. Giddens, infatti, ritiene il senso dell’indeterminatezza una condizione specifica della conoscenza che già la prima modernità aveva sottolineato riconsiderando sé stessa e i suoi limiti pian piano che cadevano le spoglie della tradizione, vivendo una sorta di ciclicità vichiana fra fasi di dis-embedding (disaggregazione) e re-embedding (riaggregazione). I momenti disgregativi, come quelli che dominano nella modernità radicale, vedono la complessità sociale indurre all’astrazione processi e relazioni rispetto ai loro specifici contesti, in dimensioni spazio-temporali e con simboli e sistemi esperti che contribuiscono ad una forte insicurezza e alla frammentazione dell’esperienza; salvo poi riequilibrarsi con le fasi di re-embedding, presenti in questa appendice di modernità, in cui tende a ricostruirsi un’unità di azione e identità collettive, quella auspicata come panacea proprio da Kofi Annan. Anche per Ulrich Beck il percorso di analisi evoluzionista, seguito ad esempio da Balandier che parla di surmodernité, non può perfettamente riprodurre la nuova condizione della modernità riflessiva, così come egli la definisce, caratterizzata da un processo critico al quale la società sottopone sé stessa per individuare tutti quegli scenari di rischio e incertezza, sociali, politici o ecologici, indotti dall’innovazione, che progressivamente eludono il controllo delle istituzioni (1996). Questa seconda fase della modernizzazione assume sempre più i caratteri della risk society (risikogesellschaft, la società del rischio per il sociologo tedesco) in cui i limiti della modernità, prima non distintamente percepiti e temuti dall’opinione pubblica e nel dibattito politico (fase del rischio residuale), condizionano i processi sociali e le stesse istituzioni

Page 16: Beck, i rischi della libertà

che, nate dalla modernità industriale, sono oggi incapaci di fronteggiare le nuove dinamiche dell’incertezza (ibid.). Beck, come Giddens e Touraine, quindi, connota “positivamente” le sorti della modernità, realizzando un rovesciamento di prospettiva rispetto a quegli studiosi che, nell’acuirsi dei rischi sociali, hanno letto “la fine delle grandi metanarrazioni del passato, dispensatrici delle certezze caratteristiche dell’epoca moderna” (Pellizzoni et al., 2001). Di certo quello attuale è uno scenario sociale complesso, una multiforme reticolarità sociale che, pur ereditando le principali dimensioni spazio-temporali moderne, presenta nuovi fermenti relazionali fondati sulla solidarietà, la sussidiarietà e la responsabilità: la “risk society” di Beck viene a costituirsi come momento di passaggio obbligato per uscire dal welfare state moderno, facendo convergere la sorte degli insiders e degli outsiders del modello capitalistico-assistenziale moderno nella nuova dimensione dopomoderna (ibidem). Se, come sentenziava il Goya “il sonno della ragione crea mostri”, non si può oggi parlare di una crisi della razionalità moderna che sta lasciando il ruolo al suo opposto, generando solo angosciosi fantasmi del rischio, ma, più correttamente del graduale delinearsi di un sistema valoriale alternativo a quello dominante rilevante soprattutto per il recupero di alcune componenti culturali subordinate dalla centralità della scienza. Questo può essere il caso della weltanschauung ecologista, fondata sul ripristino dell’equilibrio fra uomo e natura che già fra gli anni Sessanta e Settanta ha assunto prevalentemente le caratteristiche di un sentimento ambientalista, distinguendolo dall’ecologismo per la mancanza in questa fase preliminare di una vera e propria progettualità, tesa al cambiamento dei valori del vivere sociale. Gli effetti di catastrofi di dimensioni ed effetti planetari come Bhopal (1984) o Chernobyl (1986), hanno consolidato la transizione valoriale in atto, accentuandone, però, la pars destruens del rischio nel processo dell’innovazione globale. L’affermarsi di questa world risk society cominciava a mettere in discussione la tesi di chi, come l’economista Milton Friedman, riteneva il rischio come oggetto della ricerca dell’individuo per quell’effetto di compensazione che si era prodotto nella società razionale, assistenzialistica e dalle imponenti misure di sicurezza, costituito proprio dalle potenziali perdite di ricompense che si potevano ottenere in seguito ad un comportamento troppo sicuro. In realtà, più volte è emerso come le istituzioni della modernità, da quelle statuali ai sistemi esperti, si siano rivelati quanto meno deficitari nella gestione dei rischi sociali e ciò perché:

• gli stati nazionali, organizzati secondo il modello del welfare, non possono perseguire politiche economiche ed ambientali indipendenti da quelle degli altri Stati, essendo richieste spesso decisioni globali per affrontare scenari di rischio di tale dimensione;

• le nuove esperienze del rischio, comportando un minor grado di fiducia verso le capacità risolutorie dei decisori politici ed esperti, indeboliscono il legame del consenso con i rappresentanti.

Il declino del modello statuale del welfare moderno, o peggio dello “Stato provvidenza”, è il segno più evidente della profonda trasformazione culturale delle dimensioni spazio-temporali in atto nei processi sociali che, anche per le caratteristiche del rischio, è ormai “un solo luogo” (Robertson, 1992): la globalizzazione segna la crescente interdipendenza fra luoghi che tradizionalmente regolavano in modo autonomo i fattori caratterizzanti delle proprie strutture economiche, sociali e culturali, fondandosi su un senso di comune dipendenza da un sistema globale, prima ancora che in una rete di relazioni politiche ed affaristiche effettivamente avvolgente il pianeta (ibidem).

Ancor più a fondo si può osservare che l’interdipendenza economica, che costituisce l’anima della globalizzazione - e giustificherebbe la connessione semantica con il concetto di rischio, di origine propriamente economica - ha posto le basi di quella politica, sociale, ambientale. Così, l’elevazione della economia ad ideologia, la riduzione di rapporti interpersonali alla dimensione quantitativa e atemporale, l’anomia etica delle relazioni internazionali, come dimostrano i nascenti weltmarkets

Page 17: Beck, i rischi della libertà

(mercati mondiali) delle biotecnologie e delle reti telematiche, hanno fatto parlare i critici di “dittatura del capitalismo” (Luttwak, 1999) e hanno fatto chiedere a Ferrarotti «come è possibile che un potere economico planetario che è privato ed è privatamente gestito possa avere effetti politici e sociali pubblici (…) senza avere interessi e valori comuni come quello per l’ambiente?» (2000). La risposta di Manuel Castells (1989) con la sua raffigurazione di una net society in cui vi è una maggiore circolazione delle idee e delle informazioni e la più facile realizzazione di pianificazioni globali rispetto a minacce all’ecosistema planetario parrebbe smentire l’incompatibilità fra rischio e globalizzazione. Vertici mondiali e conferenze promosse da attori governativi e non, su scala globale, e la memoria non ha bisogno di ricorrere fino al Vertice sulla terra di Rio del 1992, vista la sua verifica a dieci anni di distanza con il Summit di Johannesburg, hanno dato vita in questi ultimi anni a programmi politici per l’abbattimento dei gas ad effetto serra in un medio lungo termine o per il controllo della biodiversità biologica del Pianeta con le uniche misure possibili per affrontare i pericoli di questa world risk society. Se la globalizzazione del rischio, oggi, all’indomani di Johannesburg, è vista come un pericolo è perché:

1) i residui della modernità condizionano ancora i processi decisionali, risultando inadeguati per i rischi che si profilano nell’immediato e più lontano futuro;

2) posizioni come quelle dei potenti Stati Uniti d’America di dissociarsi dal rispetto degli accordi per lo spirito isolazionista del “voi fate pure, noi andiamo avanti per la nostra strada”.

Al contrario, il riconoscimento di una pluralità di comunità nazionali che condivide un unico destino ecologico non può che rafforzare quella “fine delle univocità” che Bauman e Robertson attribuiscono ancora alla dimensione locale e al suo rafforzamento dell’identità dell’umanità: «oggi tutti sono sotto minaccia e tutti sono oggettivamente inclini a unire le proprie forze per difendersi» (Bauman, 1993). Ne consegue la formazione di un nuovo pubblico mondiale, per Beck una “cittadinanza tecnologica globale” che collegandosi ad Internet, ad esempio, può realizzare un inedito meccanismo di democrazia riflessiva: la società “riflette” e mette in discussione le stesse basi della democrazia, chiama alla partecipazione tutti i cittadini anche non esperti e mobilita la discussione pubblica, in una sorta di “illuminismo ecologico” (1994). Gran parte dei fenomeni sociali hanno oggi dimensioni globali, in realtà, ma vengono vissuti dagli individui nella loro vita “locale”, nella quale secondo una considerazione di Giddens opinabile «lo stato-nazione è ancora l’attore principale rispetto all’ordine politico globale perché possiede il controllo sulla superficie terrestre e la gestione delle risorse ambientali» (1998). Ne risulta paradossalmente un giudizio piuttosto aspro del sociologo inglese sulla modernità e le condizioni gestite dalle istituzioni se le trasformazioni intrinseche nei concetti di fiducia e rischio inducono a scenari allarmanti dal punto di vista politico (crescita del potere totalitario), militare (conflitto nucleare mondiale), economico (collasso della crescita), ambientale (degrado e disastro ecologico) che all’uscita dalla modernità, Giddens ne è sicuro, si risolveranno rispettivamente in una democrazia pluralista, nella demilitarizzazione, in un sistema economico di post-scarsità e nella umanizzazione della tecnologia. Si instaura una vera e propria cultura del rischio (Lash, 1990), di giudizi sociali soggettivi, di valori emergenti, orizzontali, destrutturati e comunemente condivisi che formano la riflessione e messa in discussione della società in sé stessa, in un’accezione lontana da quella di Giddens e ben più permeata dalle teorie sulla costruzione culturale del rischio elaborata da Mary Douglas (1990). La trasformazione culturale in oggetto, che dovrebbe consacrare la priorità della globalizzazione del rischio, più che del suo opposto, avviene, secondo Ronald Inglehart (1977) come una silenziosa affermazione rivoluzionaria di un paradigma postmaterialista. I valori della modernità, le bussole che secondo Durkheim diceva orientavano l’azione dell’individuo, le rappresentazioni sociali che Moscovici definisce un sistema di nozioni atte ad organizzare la realtà e stabilire un ordine sono analizzate da Inglehart nella loro crisi. Erosione dell’autorità tradizionale, crescita della soggettività, declino della fiducia verso le istituzioni, maggior benessere sociale, ma

Page 18: Beck, i rischi della libertà

anche disagio e rifiuto dell’eterodirezione disegnano un nuovo scenario complesso in cui gli individui si trovano innanzi una più ampia possibilità di scelta (overchoising), ma anche all’opportunità di una costruttiva, maggiore partecipazione politica. Per Inglehart si può parlare di una new political culture (nuova cultura politica) orientata alla ricerca individuale dell’autorealizzazione, al godimento estetico della felicità e dell’ambiente che sempre più spesso si traduce in mobilitazioni di tipo one issue molto poco burocratizzate. A questa forma di “impegno del cittadino”, lasciato da solo a scegliere e “giocare” con la propria esistenza, corrispondono istituzioni tradizionali, la cui dissoluzione ha permesso alle biotecnoscienze di cancellare alcuni pericoli, ma i nuovi assetti socio-politici hanno procurato nuovi rischi - per ora solo intuiti e inesplorati - che la nostra ignoranza circa la loro natura rende ancor più spaventosi.

3. Rischio e globalizzazione fra legature e opzioni

In una sua opera del 1977, ossia di ben venticinque anni fa, il sociologo contemporaneo Ralf Dahrendorf sembra aver trovato con molta preveggenza l’indissolubile legame che fra rischio e globalizzazione di lì a poco avrebbe caratterizzato quella che lui definisce la “fine della modernità”, i nostri giorni, interpretando proprio in questo binomio la chiave di lettura del mutamento in atto. A lui, infatti, si deve il completamento della teoria lasciata insoluta da Weber per le quali le azioni degli individui si articolano nella ricerca di chances di vita, a loro volta funzioni di legature e opzioni. Cioè di condizionamenti e di scelte strutturali che esprimono la situazione di ogni individuo nella società. Le legature, così, sono i legami, le appartenenze e i campi dell’agire umano che si relazionano con le opzioni, ossia le possibilità strutturali di scelta. Solo l’equilibrio fra gli uni e le altre consente di avere chances di vita e gli ideogrammi cinesi ci consentono di confermare come al rischio siano connessi pericoli e opportunità, quanto rinvenibile all’interno del processo della globalizzazione.

Nelle molteplici interpretazioni - fin qui brevemente accennate - dei processi per la costruzione di senso del rischio per la sua assunzione a valore, per la sua percezione e gestione, rilevandone il carattere di volta in volta culturale, economico, sociale o politico intrinseco all’appendice della modernità o alla sua fase successiva, è, invece, apparsa ancora implicita l’ipotesi di leggere il rischio nella diversa accezione di uno status connaturato alle vicende individuali e collettive, che, in un periodo di crisi ideologica come l’attuale, può misurare le attitudini al definitivo superamento dell’empasse moderna.

Perché il mutamento abbia luogo è necessario testare le propensioni di tutti gli attori sociali e solo opinabili criteri di sintesi individuano nella politica, la scienza, l’economia, i media e la società - intesa nel suo significato non proprio sociologico di tutto ciò che non è considerato negli altri quattro sistemi, se fosse possibile una simile separazione - veri e propri sistemi funzionali del rischio. Il recupero della caratteristica “funzionale” di parsonsiana memoria coglie da questa accezione e dalla più recente interpretazione di Luhmann lo spunto per considerare le varie espressioni sociali nella loro complessità, influenza e reciproca interferenza e per consentire un’analisi integrata del rischio che si affianchi a quelle specialistiche espresse sistema per sistema. Più che uno sforzo razionale di determinismo biologico, è questo un tentativo di analizzare la nuova world risk society mettendo un po’ di ordine a quelle ibridazioni scientifiche, tecnologiche, politiche o mediali recentemente indicate da Beck come distorsive nella interpretazione del rischio (Beck, 2000). L’ottica scelta dal sociologo tedesco è quella di un confronto fra attori sociali del rischio, ognuno dotato di una propria prospettiva, che lottano per imporre su quella dell’altro, cercando di gestire il rischio secondo propri paradigmi e per un proprio maggiore senso di certezza.

Il rischio, in realtà, quale insieme di domande in crescita esponenziale, altera la normalità con un’intensità che è tanto più alta quanto più carenti sono le risposte del sistema, misurandone la

Page 19: Beck, i rischi della libertà

vulnerabilità complessiva fra le “onde” costituite da inputs e outputs dell’emergenza. Come in un diagramma (fig. 9) in cui due onde rappresentano l’andamento indotto da un’emergenza nei processi sociali, le quali, seppur si ricombinano coincidendo nello stato di normalità, non possono però ricondursi al punto di partenza, testimoniando delle profonde trasformazioni sistemiche che uno stato di rischio comporta, così la globalizzazione di questa terza fase simultaneamente allontana e ravvicina i bisogni e i valori degli attori sociali: democrazia, fiducia, solidarietà, tolleranza, dialogo fra i popolo, responsabilità sembrano fra toccare queste due onde delimitando il rischio della globalizzazione, mentre interessi economici, competitività, progresso razionale, ordine mondiale, scontro fra civiltà per una presunta supremazia globale le allontanano amplificando la globalizzazione del rischio.

Come condivisibilmente nota Rifkin (2000), tutte le grandi trasformazioni che alterano in modo radicale i processi sociali si manifestano in modo impercettibile e, solo quando si sono affermate, tutto ciò che fino ad allora era normale diventa obsoleto davanti al nuovo paradigma culturale: ciò è quanto sta accadendo con l’attuale emergenza ambientale e le sue implicazioni culturali osservate da una prospettiva sociologica.

Queste brevi riflessioni sono state scritte nel primo anniversario dell’attacco terroristico alle Twin Towers di New York, un evento epocale che ha tradotto il rapporto fra rischio e globalizzazione nel più nefasto dei suoi risultati: la strage del “nine eleven”, come la chiamano gli Americani, può però sviluppare anche quelle opzioni su cui si regge il flebile ottimismo con cui guardiamo tutti al nostro futuro.