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Diana Wynne Jones
Il castello errante di Howl (Howl's moving castle,1986)
Questo libro è per Stephen
Prefazione
L'idea da cui è nato questo libro mi è stata suggerita da uno
studente che incontrai in una mia visita presso una scuola, e che
mi chiese di scrivere un romanzo intitolato The moving castle.
Mi ero presa un appunto con il nome di quel ragazzo, poi l'ho
messo in un posto sicuro, per non perderlo. Ma il posto era
troppo sicuro, tanto che non sono più riuscita a ritrovare
quell'appunto.
Mi piacerebbe tanto poterlo ringraziare di cuore.
CAPITOLO UNO
In cui Sophie parla ai cappelli
Nella terra di Ingary, dove realmente esistono cose come
stivali delle sette leghe e mantelli che rendono invisibili, essere
il primogenito di tre fratelli è considerata una sfortuna piuttosto
grossa. Colui che nasce per primo, infatti, è anche quello
destinato a sbagliare per primo; e sarà ancora peggio se sarà
l'ultimo ad andarsene di casa in cerca di fortuna...
Sophie Hatter era la primogenita di tre sorelle, e non era
nemmeno figlia di un povero taglialegna, cosa questa che le
avrebbe dato una qualche possibilità di successo; i suoi genitori,
anzi, erano benestanti e gestivano un negozio di cappelli per
signora nella prospera cittadina di Market Chipping. È vero che
la mamma di Sophie era morta quando la bambina aveva solo
due anni e la sua sorellina Lettie ne aveva uno, ed è anche vero
che il loro babbo si era presto risposato, prendendo in moglie la
commessa più giovane del loro negozio, una biondina molto
graziosa di nome Fanny. Ed è pur vero che Fanny aveva dato
ben presto alla luce un'altra bimba, Martha. Ma tutto ciò non
servì a Sophie per bilanciare lo scomodo peso della
primogenitura. Inoltre la nascita di Martha avrebbe dovuto
trasformare Sophie e Lettie nelle due brutte sorellastre, invece
tutte e tre le bimbe, crescendo, divennero molto carine (anche se
Lettie era considerata da tutti la più bella) e venivano trattate da
Fanny senza alcun favoritismo, con la stessa identica dolcezza.
Il signor Hatter era tanto orgoglioso di queste sue tre figliole
da far frequentare loro la miglior scuola della città. Sophie era la
più studiosa delle tre e passava buona parte del suo tempo a
leggere. Così presto si rese conto che avrebbe avuto poche
opportunità di vivere un interessante futuro. Questa
consapevolezza le lasciava un po' di amaro in bocca, tuttavia
riusciva a sentirsi ancora abbastanza felice nell'occuparsi delle
sorelle minori e nel prendersi cura in particolare di Martha,
proprio mentre si avvicinava il momento in cui la più piccola
sarebbe uscita di casa per affrontare il proprio destino. Poiché
Fanny era sempre occupata in negozio, era Sophie a seguire
l'educazione delle sorelline che spesso litigavano furiosamente,
prendendosi per i capelli, perché Lettie non si rassegnava a
essere la secondogenita, e quindi quella che, dopo Sophie,
avrebbe avuto un futuro meno brillante. — Non è giusto! —
gridava Lettie. Per quale motivo Martha deve avere la parte
migliore solo perché è nata per ultima? Io sposerò un principe,
vedrete! —. Al che Martha inevitabilmente rispondeva che
sarebbe stata lei a diventare ricca in maniera ributtante senza
dover sposare proprio nessuno. A questo punto Sophie era
costretta a separarle a viva forza e quindi a rammendare i loro
abiti. Diventò così, poco a poco, anche piuttosto abile nel cucito
e cominciò a confezionare per le sorelle dei vestiti molto carini;
per esempio, in occasione di quel Calendimaggio che segna
l'inizio vero e proprio di questa storia, Sophie cucì un abito per
Lettie di un bel rosa intenso, talmente principesco da far dire a
Fanny che sembrava uscito dal più pretenzioso negozio di
Kingsbury. Già un bel po' prima di quella festa erano cominciate
a circolare di nuovo delle chiacchiere sulla Strega delle Terre
Desolate. Dicevano che la Strega avesse minacciato la vita della
figlia del Re, e che il sovrano avesse dato l'ordine al suo
negromante personale, il Mago Suliman, di andare nelle Terre
Desolate per trattare. Sembrava, però, che la missione fosse
fallita e la Strega avesse ucciso Suliman.
Così quando un alto castello nero, con quattro snelle torri
che sputavano nuvole di fumo scuro, apparve all'improvviso
sulle colline di Market Chipping, tutti pensarono che la Strega
fosse di nuovo uscita dal suo territorio per spaventare l'intero
paese, come aveva fatto cinquant'anni prima. La gente cominciò
a essere terrorizzata e nessuno usciva più da solo, soprattutto di
notte. Quello che faceva maggiormente paura era il fatto che il
castello non stesse fermo in uno stesso posto: a volte la sua
sagoma indistinta incombeva nera e tetra sulla brughiera a nord-
ovest, altre si innalzava sulle rocce a est; qualche volta, invece,
scendeva dalle colline e si andava a posare sull'erica appena
oltre l'ultima fattoria a nord della cittadina. Spesso si riusciva a
scorgerne il movimento, mentre le sue torri sputavano getti di
fumo grigio e sporco. Tutta la popolazione avrebbe giurato che
il castello sarebbe sceso a valle di lì a non molto, e per questo il
Sindaco cominciò a pensare di chiedere aiuto al Re.
Il castello però non scese lungo la valle, rimase a vagare fra
le colline mentre si spargeva la notizia che non apparteneva
affatto alla Strega, bensì a Howl, il Mago. Il che non migliorava,
però, la situazione; si diceva infatti che il Mago non muovesse il
castello dalla zona perché si divertiva a collezionare ragazze dai
dintorni. Alle giovani succhiava l'anima o, sostenevano alcuni,
mangiava il cuore. Era un essere freddo e crudele, e nessuna
ragazza si sarebbe salvata se mai fosse caduta nelle sue mani.
Sophie, Lettie e Martha, come tutte le giovani di Market
Chipping, erano state avvisate del pericolo e non potevano
uscire da sole, cosa che finiva per essere una grande seccatura;
mentre anche loro, come tutti, si chiedevano che cosa mai se ne
facesse il Mago di tutte quelle anime che andava collezionando.
Tuttavia le tre ragazze dovettero presto affrontare un'altra
preoccupazione ben più grave e vicina: il signor Hatter morì
all'improvviso, più o meno quando Sophie stava per concludere
gli studi. La famiglia si rese subito conto che il cappellaio era
stato fin troppo orgoglioso delle sue figliole: una volta pagate le
alte rette scolastiche, la contabilità del negozio rivelava più
debiti che crediti!
Dopo il funerale, Fanny spiegò la situazione alle figlie; le
riunì nel salotto della loro casa attigua alla cappelleria, si sedette
e disse: — Temo che dovrete abbandonare quella scuola. Ho
rifatto i conti cento volte, ma da qualunque parte si guardino,
proprio non tornano... L'unico modo per mandare avanti il
negozio e prendermi cura di voi è sistemarvi come apprendiste
in qualche posto che possa assicurarvi un buon avvenire. Non è
possibile tenervi tutte e tre in negozio, non posso permettermelo.
Così, ecco la mia decisione: prima Lettie...
Lettie alzò lo sguardo. Era il ritratto stesso della salute e
della bellezza, che né il dolore, né l'abito a lutto potevano
nascondere. — Ma io voglio continuare a imparare!
— E lo farai, tesoro! — ribatté Fanny. — Ti ho sistemato da
Cesari, la pasticceria sulla Piazza del Mercato. Hanno fama di
trattare i loro apprendisti come re e regine. Sono sicura che lì
sarai felice e imparerai un commercio che ti potrà essere molto
utile. La signora Cesari è una mia buona cliente e una cara
amica. Ha accettato di prenderti per farmi un favore personale,
anche se al momento non ha veramente bisogno di una nuova
apprendista.
Dalla risata di Lettie tutte capirono che non era per nulla
soddisfatta.
— Bene, grazie... Non è una fortuna che mi piaccia cucinare?
Fanny non badò al tono un po' caustico con il quale furono
pronunciate queste parole, anzi, sembrò sollevata: Lettie a volte
riusciva a essere testarda in modo decisamente fastidioso e
inopportuno.
— E ora Martha — continuò Fanny, — so che sei troppo
giovane per andare a lavorare, così mi sono preoccupata di
trovarti qualcosa che ti potesse garantire un lungo e tranquillo
tirocinio e potesse esserti utile qualsiasi cosa tu decida di fare in
futuro. Conosci, vero, la mia vecchia compagna di scuola
Annabel Fairfax?
La bionda Martha sgranò i disarmanti occhioni grigi su
Fanny. Tutto in lei sembrava fragile, ma in realtà sapeva essere
cocciuta tanto quanto Lettie. — Intendi quella donna che parla
in continuazione? Ma non è una fattucchiera? — chiese alla
madre, la quale si affrettò a risponderle con l'ansia nella voce —
Sì, Martha. Ma ha una bella casa piena di clienti che vengono da
tutta la Vallata del Folding. Poi è una donna dal cuore d'oro e
trasferirà su di te tutto il suo sapere. Senz'altro ti presenterà la
bella gente che lei conosce a Kingsbury. Una volta completata la
tua educazione, ti ritroverai sistemata per tutta la vita.
— È una donna simpatica — concesse Martha. — Va bene,
andrò da lei. Mentre Sophie ascoltava si rendeva conto che
Fanny aveva sistemato tutto per il meglio. Lettie, in quanto
secondogenita, probabilmente non avrebbe mai avuto grandi
opportunità, così Fanny l'aveva sistemata dove avrebbe potuto
incontrare un giovane apprendista, sposarsi e vivere felice e
contenta. Martha, che era quella destinata al pieno successo,
avrebbe avuto arti magiche e amici ricchi ad aiutarla. Per quanto
riguardava lei personalmente, Sophie non aveva dubbi su quanto
l'aspettasse, per cui non fu per nulla sorpresa dalle parole di
Fanny — Ora, Sophie cara, l'unica cosa giusta è che tu erediti la
cappelleria quando io mi ritirerò, poiché sei tu la primogenita.
Così ho deciso di tenerti come apprendista, per darti
l'opportunità di imparare il mestiere e i trucchi di questa attività.
Cosa ne pensi?
Sophie avrebbe voluto dire che era semplicemente rassegnata
a vendere cappelli, ma ringraziò, cercando di apparire grata per
quella decisione.
— Bene — concluse Fanny, — allora è tutto a posto!
Il giorno dopo Sophie aiutò Martha a sistemare i suoi abiti in
uno scatolone e la mattina successiva tutte rimasero sulla porta a
salutare la più giovane che se ne stava diritta e immobile sul
carretto del barocciaio. Sembrava ancora più piccola e sul suo
viso si leggeva un evidente nervosismo. Martha era
comprensibilmente spaventata poiché la strada che portava alla
casa della signora Fairfax, sull'alta Valle del Folding, si
inerpicava proprio sulle colline oltre il castello errante di Howl.
— Se la caverà benissimo — disse Lettie. Al contrario della
sorella aveva rifiutato ogni aiuto per fare i bagagli, e quando il
carretto fu fuori dalla vista radunò in fretta tutto quello che
possedeva, lo infilò in una federa e diede sei centesimi al
garzone del vicino perché portasse con la carriola il suo fagotto
da Cesari. Lettie marciò dietro al ragazzo con un'espressione
molto più festosa di quanto Sophie si aspettasse. Anzi, aveva
proprio l'aria di una che volesse scrollarsi al più presto dalle
scarpe ogni granello di polvere della cappelleria. Il garzone
riportò poi un messaggio, scribacchiato in fretta da Lettie, con il
quale informava la famiglia di aver sistemato le proprie cose nel
dormitorio delle ragazze e di aver già avuto l'impressione che da
Cesari ci si potesse divertire un sacco. Una settimana più tardi il
barocciaio portò una lettera di Martha che comunicava come
fosse arrivata sana e salva; della signora Fairfax diceva che era
una donna deliziosa con la passione per l'apicoltura e che, per
questo, metteva il miele su qualsiasi cosa!
Per molto tempo quelle furono le uniche notizie che Sophie
ebbe delle sorelle, anche perché lei stessa cominciò il suo
tirocinio il giorno in cui Lettie e Martha se ne andarono dalla
casa paterna. Naturalmente Sophie conosceva già piuttosto bene
tutto quello che c'era da sapere sui cappelli. Fin da piccolina
infatti era stata abituata ad attraversare il cortile e correre dentro
e fuori dal vasto laboratorio dove venivano inumiditi i cappelli
per poi essere modellati sulle apposite forme e dove venivano
fatti, con cera o seta, i fiori, la frutta e gli ornamenti vari che
servivano da guarnizione. Sophie conosceva tutte le persone che
vi lavoravano, la maggior parte delle quali era già lì quando il
babbo era ancora un ragazzo. Conosceva bene anche Bessie,
l'unica commessa rimasta, e tutte le clienti della cappelleria.
Conosceva tutti i fornitori e il barocciaio che, dalle campagne
circostanti, portava sul suo carretto i cappelli di paglia grezza
pronti per essere modellati. Sapeva come si facevano i feltri per
i cappelli invernali... Insomma, non c'era molto che Fanny
potesse insegnarle, tranne forse il modo migliore per indurre le
clienti a un acquisto. Fanny le aveva detto: — Mia cara, sei tu
che devi condurre la cliente al cappello adatto a lei. Per prima
cosa falle vedere dei modelli che non le stiano bene, così appena
indosserà quello che le sta meglio, sarà lei stessa a scoprire che
è quello giusto. Sarà tutta soddisfatta e si convincerà da sola a
comperarlo.
In pratica, però, Sophie non rimase a servire in negozio.
Dopo aver trascorso un paio di giorni a osservare le attività nel
laboratorio e dopo aver speso un'altra giornata in giro con Fanny
dal tessitore e dal mercante di seta, Sophie fu destinata dalla
matrigna a guarnire i cappelli. Se ne stava seduta nell'angusto
retrobottega, cucendo rose e velette; foderava di seta cuffie e
cappelli e li adornava con frutta di cera e nastri secondo la
tendenza del momento. Sophie si rivelò molto abile e questo
lavoro le piaceva, ma non poteva fare a meno di sentirsi isolata e
un po' depressa. Gli operai della cappelleria erano troppo vecchi
per essere divertenti, e inoltre la trattavano come la futura
padrona, non una di loro. Anche Bessie si comportava nei suoi
confronti allo stesso modo e comunque l'unico argomento di
conversazione della commessa era il giovane fattore che
l'avrebbe sposata la settimana dopo il Calendimaggio. Ma
Sophie invidiava soprattutto la vivace attività di Fanny che era
libera di andare e venire a suo piacimento e rimanere a
contrattare con il mercante di seta tutte le volte che ne aveva
voglia.
L'unico aspetto interessante delle sue giornate era costituito
dalle chiacchiere delle clienti, che Sophie riusciva a cogliere dal
suo bugigattolo. Nessuno riusciva a comperare un cappello
senza fare dei pettegolezzi e lei, seduta a cucire nel retrobottega,
ascoltava le chiacchiere che si facevano in negozio. Veniva così
a sapere che il Sindaco non voleva mai mangiare verdure verdi,
oppure che il castello di Howl, il Mago, era di nuovo in
movimento sulle scogliere e che il suo terribile proprietario...
Ma a questo punto la voce si riduceva a un bisbiglio, come
sempre quando si parlava del Mago. Tuttavia una volta Sophie
riuscì a sentire chiaramente che il mese prima Howl aveva
catturato una ragazza della valle.
— Barbablù — sussurrarono piano le voci in negozio, per
alzare subito dopo il volume, mentre affermavano che la nuova
acconciatura di Jane Farrier era proprio orrenda. Quella era una
ragazza che non avrebbe attratto neppure il Mago, figuriamoci
un uomo rispettabile! Fra tutti i bisbigli ce ne fu anche uno,
fugace e impaurito, sulla Strega delle Terre Desolate, tanto che
Sophie comincio a pensare che il Mago e Strega avrebbero
proprio dovuto incontrarsi. — Sembrano fatti l'uno per l'altra —
fece notare al cappello che aveva in mano, — qualcuno
dovrebbe proprio organizzare una bella gara fra quei due!
Improvvisamente, ai primi di aprile, i pettegolezzi si
incentrarono tutti su Lettie. Si diceva che la pasticceria fosse
incredibilmente affollata, di giorno e di sera, da gentiluomini
che volevano essere serviti dalla nuova commessa e che
compravano quantità enormi di dolciumi pur di parlarle. Lettie
aveva avuto ben dieci proposte di matrimonio, dal figlio del
Sindaco allo spazzino, ma lei le aveva rifiutate tutte, dicendo
che era ancora troppo giovane per prendere una qualsiasi
decisione.
— Mi sembra che Lettie si sia comportata finora in modo
molto sensato — disse Sophie a una cuffia che stava foderando
di seta plissettata. E Fanny commentò compiaciuta: — Sapevo
che se la sarebbe cavata benissimo!
Sembrava che fosse sinceramente felice della notizia, ma a
Sophie venne da pensare che forse Fanny era doppiamente
contenta perché Lettie non era più nei paraggi.
— Lettie non sarebbe andata per niente bene con le clienti —
disse alla cuffia, mentre pieghettava la seta dal colore di un
fungo verdastro, — avrebbe fatto sembrare affascinante anche
un vecchiume triste come te. Le altre donne guardano Lettie e
perdono ogni speranza...
Man mano che il tempo passava, Sophie parlava sempre di
più con i cappelli, visto che non c'era nessun altro con cui
scambiare quattro chiacchiere. Fanny se ne stava fuori quasi
tutto il giorno a mercanteggiare o a cercare di invogliare le
signore a nuovi acquisti, mentre Bessie era impegnata a servire e
a comunicare a tutti i suoi progetti matrimoniali. Sophie prese
così l'abitudine, man mano che finiva un cappello e lo metteva
sull'apposita forma, di fare una breve pausa dal lavoro; si
soffermava a valutare il copricapo, che in quella posizione
sembrava una testa senza corpo, quindi gli spiegava chi avrebbe
dovuto essere la sua proprietaria, gli descriveva l'immaginario
fisico sottostante, lo blandiva e lo adulava, proprio come
avrebbe fatto con una cliente. — Lei, mia cara, ha veramente un
fascino misterioso — disse a una veletta che lasciava
intravvedere dei piccoli Strass. A un cappello color crema con
delle rose che spuntavano al di sotto dell'ampia tesa predisse
invece un ricco matrimonio, mentre a una paglietta verde come
un piccolo vermiciattolo, adorna di una lunga penna arricciata
dello stesso colore, non poté fare a meno di dire: — Sei proprio
giovane e fresca come una fogliolina primaverile!
Alle cuffie rosa sussurrava che avevano il fascino delle
fossette di una bimba, mentre ai cappelli eleganti rifiniti in
velluto diceva che erano intelligenti e arguti. Alla cuffietta con
la seta plissettata color fungo disse: — Hai un cuore d'oro, e una
persona di alto rango lo vedrà e si innamorerà di te —. Questo
solo perché provava pietà per quella cuffia che sembrava così
disadorna, austera, un po' triste.
Il giorno successivo a quella frase, Jane Farrier entrò in
negozio e comprò la cuffietta triste. Sophie fece capolino dal
retrobottega e pensò che effettivamente la pettinatura di Jane era
un po' strana, come se la ragazza avesse attorcigliato ai capelli
un mazzo di bastoncini. Era un vero peccato che Jane avesse
scelto proprio quella cuffia.
In quel periodo sembrava che tutti volessero acquistare
cappelli e cuffie; forse era il frutto della propaganda fatta da
Fanny o forse era semplicemente l'avvicinarsi della primavera,
stava di fatto che gli affari della cappelleria avevano proprio
preso il volo, tanto che Fanny cominciò a dire in tono un po'
colpevole che non avrebbe dovuto essere così precipitosa nel
piazzare Martha e Lettie fuori casa, perché a quel punto
avrebbero potuto benissimo cavarsela tutte quante con i proventi
del negozio.
Mentre i giorni di aprile correvano veloci verso il
Calendimaggio, c'era talmente tanto da fare nella cappelleria,
che Sophie aveva dovuto indossare un contegnoso abito grigio e
servire in negozio. Ma tale era la richiesta che non riusciva a
guarnire i cappelli fra una cliente e l'altra, per cui ogni sera la
ragazza doveva portarsi il lavoro a casa, dove lavorava alla luce
della lampada fino a notte fonda per poter avere dei cappelli da
vendere il giorno successivo. I copricapo più richiesti erano le
pagliette verdi vermicello come quella della moglie del Sindaco,
seguite dalle cuffiette rosa. Poi, la settimana prima del
Calendimaggio, entrò in negozio una cliente che voleva la stessa
cuffietta color fungo che indossava Jane Farrier il giorno che si
era imbattuta nel Conte di Catterack.
Quella notte, mentre cuciva, Sophie ammise a se stessa che
la sua vita era veramente triste e monotona. Invece di parlare ai
cappelli, man mano che li finiva cominciò a provarli e a
guardarsi nello specchio. Ma fu un errore. Il serio vestito grigio
che indossava non le donava per nulla, soprattutto ora che aveva
gli occhi cerchiati di rosso dal troppo cucire e non le stavano
bene né le pagliette verdi, né le cuffiette rosa, visto che i suoi
capelli erano del colore rossiccio dorato della paglia; la cuffia
color fungo, poi, la faceva sembrare ancora più depressa.
— Sembro proprio una vecchia domestica — disse
all'immagine riflessa nello specchio. Non che volesse imbattersi
in un conte come era successo a Jane Farrier e non sognava
neppure mezza città ai suoi piedi come era capitato a Lettie, ma
voleva fare qualcosa (non sapeva nemmeno lei cosa!) che fosse
un po' più interessante del guarnire cappelli. Se ne andò a letto
riproponendosi di trovare il tempo, il giorno dopo, di andare a
trovare sua sorella da Cesari.
Ma non andò. Vuoi che non riuscì a trovare il tempo, vuoi
che non riuscì a trovare l'energia per farlo, vuoi che il percorso
le sembrasse troppo lungo, vuoi che le tornasse in mente il
pericolo che poteva correre di incontrare il Mago Howl, Sophie
non si mosse né quel giorno né i successivi, anzi, ogni giorno
Sophie incontrava una nuova difficoltà che le impediva di
andare a trovare Lettie. Era molto strano perché Sophie aveva
sempre pensato di essere volitiva quasi quanto la sorella; ora
invece scopriva che c'erano delle cose che poteva fare solo
quando non le fosse rimasta più neppure una scusa. — È
assurdo, la Piazza del Mercato è solo due strade più in là. Se
corro... — e giurò a se stessa che sarebbe andata da Cesari il
giorno del Calendimaggio, quando anche la cappelleria avrebbe
chiuso.
Intanto arrivò anche in negozio un pettegolezzo nuovo: il Re
aveva litigato con suo fratello, il Principe Justin, che, quindi, era
andato in esilio. Nessuno veramente sapeva il motivo del litigio,
ma i soliti ben informati assicuravano che il Principe, un paio di
mesi prima, avesse attraversato la Piazza del Mercato sotto
mentite spoglie senza essere riconosciuto da nessuno, e se ne
fosse andato. Il Conte di Catterack era stato mandato dal Re in
cerca del fratello, quando si era invece imbattuto in Jane Farrier.
Sophie, nell'udire tutte quelle chiacchiere, si sentì ancora più
triste. Sembrava che le cose interessanti capitassero sempre e
solo agli altri. Di nuovo pensò che sarebbe stato carino rivedere
Lettie.
Finalmente giunse il Calendimaggio. La gente festante
cominciò a riempire le strade fin dall'alba. Anche Fanny uscì di
buon mattino, ma Sophie doveva finire un paio di cappelli prima
di poter lasciare il negozio. Comunque si ritrovò a canticchiare
mentre cuciva, dopotutto anche Lettie stava lavorando: da
Cesari tenevano aperto fino a mezzanotte nei giorni di festa. —
Comprerò uno dei loro dolci alla crema — decise Sophie, —
sono secoli che non ne mangio uno...
Intanto sbirciava dalla vetrina la folla che riempiva la strada
in un caleidoscopio di colori; guardava i venditori di souvenir, le
persone che camminavano sui trampoli e si sentì veramente
eccitata, felice. Ma quando alla fine si mise uno scialle grigio
sul suo grigio vestito da lavoro e uscì in strada, non si sentì più
tanto eccitata. Anzi, si ritrovò del tutto priva di forze. C'era
troppa gente che quasi la travolgeva, ridendo e urlando, c'era
troppo rumore e troppa calca. Sophie sentì come se i mesi
trascorsi seduta a cucire l'avessero trasformata in una vecchia o
in una donna semi-invalida. Si strinse nello scialle e strisciò
lungo i muri delle case, cercando di non essere calpestata da
tutte quelle scarpe della festa o infilzata da tutti quei gomiti
ricoperti da lunghe, ampie maniche di seta. Quando arrivò
improvvisa, da qualche parte sopra la sua testa, una scarica di
detonazioni, Sophie si sentì sul punto di svenire. Alzò lo
sguardo e vide il castello del Mago scendere dalle colline e
scivolare veloce verso la città. Si avvicinò al punto che
sembrava volesse alzarsi in volo per poi posarsi sui camini delle
case; da tutte e quattro le torri uscivano delle fiamme bluastre
che si portavano dietro delle spaventose palle di fuoco blu che
esplodevano alte nel cielo. Sembrava che il Mago fosse offeso
dal Calendimaggio o, al contrario, forse si stava unendo, a modo
suo, ai festeggiamenti. Sophie era troppo terrorizzata per
preoccuparsi di quale delle due ipotesi rispondesse a verità e
sarebbe tornata volentieri indietro, ma ormai aveva già percorso
più di metà della strada, così si mise a correre verso la
pasticceria di Cesari. E mentre correva pensava perché mai
avesse sognato di voler vivere una vita interessante. — Non
potrei sopportarla, sono troppo paurosa. Succede, se sei la più
vecchia di tre sorelle!
Quando raggiunse la Piazza del Mercato la situazione
diventò, se possibile, ancora peggiore. Nella piazza si trovava la
maggior parte delle taverne della città e compagnie di giovani,
già ebbri di birra, entravano e uscivano dai locali. I ragazzi si
pavoneggiavano nei loro mantelli, facevano roteare le lunghe
maniche degli abiti a festa e battere i tacchi degli stivali adorni
di fibbie luccicanti, che non si sarebbero mai sognati di
indossare in un giorno di lavoro. Si chiamavano e facevano ad
alta voce ogni tipo di apprezzamento, cercando di avvicinare le
ragazze, che da parte loro erano pronte a lasciarsi avvicinare,
mentre anch'esse si pavoneggiavano negli abiti della festa e
camminavano a coppie o a piccoli gruppi. Era normale nel
giorno del Calendimaggio, ma Sophie era terrorizzata anche da
quella consuetudine, tanto che quando un uomo giovane e
vestito in un fantastico costume blu e argento la notò e decise di
accostarla, Sophie si rifugiò nel vano della porta di un negozio e
cercò di nascondersi. Il giovane la guardò sorpreso. — Va tutto
bene, piccolo topino grigio — le disse ridendo, ma dalla sua
risata traspariva una certa pietà. — Ti voglio solo offrire da
bere. Non avere paura.
Lo sguardo compassionevole che le rivolse fece venire a
Sophie la voglia di scavarsi una buca per la vergogna. Per di più
era un esemplare di maschio veramente affascinante (forse solo
un po' troppo vecchio, senz'altro sulla ventina) con un viso
ossuto, sofisticato e i capelli biondi acconciati in maniera
piuttosto elaborata. Le sue maniche pendevano più lunghe di
qualsiasi altra manica vi fosse nella piazza ed erano tutte
smerlate e ricamate con inserti d'argento.
- Oh, no, vi ringrazio, signore... per favore, io... - balbettò
Sophie,
- .. .io sto andando a trovare mia sorella.
- Be', allora fallo —. Il giovane scoppiò a ridere
fragorosamente. — Chi sono io per impedire a questa graziosa
dama di raggiungere la propria sorella? Ti piacerebbe se ti
accompagnassi? Sembri così spaventata. Probabilmente voleva
solo essere gentile e questo fece vergognare ancora di più
Sophie, che disse tutto d'un fiato: — No. No, la ringrazio,
signore! —. Poi, fuggì via più in fretta che poté Il giovane aveva
un intenso profumo di giacinti che seguì Sophie mentre se la
dava a gambe. Che persona raffinata!
Senza ulteriori incontri Sophie arrivò da Cesari, dove tutti i
tavoli, sia quelli esterni che quelli interni al locale, erano
occupati da avventori pigiati gli uni contro gli altri che facevano
un baccano quasi maggiore di quello che si sentiva in piazza.
Sophie individuò Lettie nella fila delle ragazze dietro il bancone
dal grappolo di contadinotti che gridavano al suo indirizzo
cercando di appoggiare i gomiti al banco e di attirare la sua
attenzione. Lettie, più carina che mai e forse un po' più magra,
stava mettendo dolci nei sacchetti più velocemente che poteva,
poi dava un abile e secco giro a ciascun sacchetto mentre
sorrideva agli avventori, guardandoli da sotto il gomito alzato
nel rapido movimento. C'erano un gran vociare e delle gran
risate tutt'attorno e Sophie faticò ad aprirsi un varco verso il
bancone. Poi Lettie la vide; per un attimo rimase interdetta,
quindi i suoi occhi e le sue labbra si allargarono in un sorriso,
mentre urlava il nome della sorella maggiore. — Posso parlare
con te da qualche parte? — urlò di rimando Sophie, che si sentì
del tutto disarmata di fronte a un grande gomito ben vestito che
la spingeva indietro.
— Solo un momento! — gridò Lettie per superare il
frastuono, poi si volse verso la ragazza che le stava accanto e le
bisbigliò qualcosa all'orecchio. La ragazza fece di sì con il capo
e scoppiò in una sciocca risata prendendo il posto di Lettie e
apostrofando la folla di giovani con uno stentoreo — adesso
avrete me... Chi è il prossimo?
— Ma io voglio parlare con te, Lettie — gridò il figlio di un
agricoltore della zona.
— Invece parlerai con Carrie, perché io voglio parlare con
mia sorella. Nessuno parve prendersela e fecero girare Sophie su
se stessa sospingendola alla fine del bancone dove Lettie sollevò
un'anta per lasciarla passare dietro il banco, ma le
raccomandarono di non tenere impegnata tutto il giorno la loro
beniamina. Lettie afferrò sua sorella per un polso e la trascinò
nel retro del negozio, in una stanza che aveva tutte le pareti
occupate da rastrelliere e scaffalature di legno piene di file di
dolci. Lettie prese due sgabelli e invitò la sorella a sedersi, poi
con un'occhiata distratta individuò un dolce alla crema sullo
scaffale più vicino, lo prese e lo porse a Sophie dicendo: —
Tieni, potresti averne bisogno.
Sophie si lasciò andare sullo sgabello, aspirò a fondo il ricco
profumo dei dolci e si commosse fino alle lacrime — Oh, Lettie.
Come sono felice di vederti!
— Sì, anch'io e... sono felice che tu sia seduta perché, vedi,
io non sono Lettie. Io sono Martha.
CAPITOLO DUE
In cui Sophie è costretta ad andare incontro al suo destino
— Cos'hai detto? — Sophie fissò incredula la ragazza che
sedeva sullo sgabello di fronte a lei. Sembrava proprio Lettie.
Indossava uno degli abiti migliori di Lettie, quello di una
favolosa sfumatura blu che le stava perfettamente e metteva in
risalto i suoi occhi azzurri e i capelli neri. Occhi e capelli erano
quelli di Lettie.
— Io sono Martha... Chi hai sorpreso mentre tagliuzzava i
mutandoni di seta di Lettie? Io non l'ho mai confessato a Lettie.
E tu? Tu glielo hai mai detto?
— No, — le rispose Sophie sempre più stupita. Ora le
sembrava di cominciare a ravvisare le sembianze di Martha.
Riconosceva il suo modo di inclinare il capo e l'abitudine di
abbracciarsi le ginocchia con le mani intrecciate, mentre si
girava i pollici.
— Ma perché?
— Temevo che tu mi venissi a trovare, Sophie, e allora avrei
dovuto dirtelo. Ora che l'ho fatto, mi sento sollevata. Promettimi
che non lo dirai a nessuno. Se lo prometterai, starai zitta, lo so
bene. Tu sei una persona d'onore.
— Te lo prometto... Ma perché? Com'è successo?
— Lettie e io ci siamo messe d'accordo — cominciò a
spiegare Martha girandosi i pollici. — Lei voleva imparare le
arti magiche, mentre io non lo desideravo affatto. Lettie ha
cervello e vuole un futuro in cui poterlo usare, va' a spiegarlo a
nostra madre! La mamma è troppo gelosa di Lettie per poter
ammettere che quella ragazza abbia del sale in zucca!
Sophie non riusciva a credere che Fanny fosse così, ma non
insistette.
— Dimmi di te, piuttosto.
— Mangia la tua pasta, Sophie. È buona... Anch'io sono
intelligente, sai. Mi ci sono volute solo due settimane a casa
della signora Fairfax per trovare la magia giusta da utilizzare. Di
notte mi alzavo e leggevo di nascosto i suoi libri. È stato facile.
Finalmente le ho chiesto il permesso di tornare a far visita alla
mia famiglia e lei ha acconsentito. È una donna molto cara,
pensava che io provassi una gran nostalgia di casa. Così ho
preso la pozione magica e sono venuta qui, mentre Lettie è
tornata dalla signora Fairfax al mio posto. La prima settimana
qui è stata la più difficile poiché non sapevo nulla di quello che
si supponeva io avessi già imparato. È stato terribile, ma poi ho
scoperto di piacere alla gente... puoi piacere, sai, se anche loro ti
piacciono... e così è andato tutto bene. Visto che la signora
Fairfax non ha sbattuto fuori Lettie, immagino che anche lei se
la stia cavando benissimo.
Sophie continuava a sbocconcellare la sua pasta senza
neanche sentirne il sapore. — Ma cosa ti ha spinto a fare tutto
questo? —. Martha si appollaiò meglio sul suo sgabello. Un
largo sorriso le illuminò il volto, che era ancora quello di Lettie,
e mentre roteava i pollici in un allegro e tenero mulinello rosa
confessò — Voglio sposarmi e avere dieci figli.
— Ma non hai ancora l'età...
— Sì, non sono abbastanza grande — convenne Martha, —
ma tu capisci che se voglio mettere al mondo dieci bambini
devo cominciare a darmi da fare. La soluzione che ho trovato mi
permette di avere tutto il tempo che mi serve per vedere se alla
persona che ho scelto piaccio per quello che sono. L'effetto della
pozione magica sta svanendo poco a poco, così io tornerò a
essere gradualmente me stessa, capisci?
Sophie era così stupita che finì la sua pasta senza aver capito
cosa avesse mangiato e riuscì solo a chiedere: - Ma perché
proprio dieci figli?
— Perché quello è il numero di figli che voglio.
— Non lo sapevo!
— Be', non era molto saggio sbandierare una cosa del genere
mentre eri così impegnata a sostenere il desiderio di nostra
madre che io me ne andassi in cerca del mio destino. Tu pensavi
che le sue intenzioni fossero solo quelle. Lo pensavo anch'io,
almeno fino alla morte del babbo; allora ho capito che stava
cercando di sbarazzarsi noi, mettendo Lettie in un posto dove
avesse l'opportunità di incontrare un sacco di uomini e di
sposarsi, e mandando me il più lontano possibile. Ero furiosa,
così mi sono detta: "Perché no? Si può fare", e ne ho parlato a
Lettie, che era arrabbiata quanto me e ci siamo messe d'accordo
per benino. Ora noi siamo soddisfatte, ma entrambe siamo
preoccupate per te. Sei troppo intelligente e carina per rimanere
piantata in quel negozio tutta la vita. Ne abbiamo parlato, ma
non siamo riuscite a trovare una soluzione.
— Ma io sto bene — protestò Sophie, — sono solo un po'
annoiata.
— Bene?! Puoi andarlo a dire a qualcun altro. Non ti sei fatta
viva per mesi, poi compari qui con quell'orrendo vestito grigio e
quello scialle... hai un aspetto che fa paura persino a me! Cosa ti
sta facendo la mamma?
— Niente — rispose Sophie imbarazzata. — Siamo state
piuttosto impegnate. Ma tu non dovresti parlare di Fanny in
questo modo, Martha. Lei è tua madre.
— E io le assomiglio abbastanza per comprenderla — ribatté
Martha.
— Questo è proprio il motivo per cui mi ha mandato così
lontano... o meglio ha cercato di farlo. Nostra madre sa che non
si deve essere scortesi con qualcuno se lo si vuole sfruttare.
Conosce bene il tuo forte senso del dovere e il tuo pallino sul
fallimento del primogenito. Ti ha manipolato perfettamente e
ora ti sta schiavizzando. Scommetto che non ti paga.
— Ma sono ancora un'apprendista — protestò Sophie.
— Lo sono anch'io, ma percepisco un salario. I Cesari sanno
bene che me lo merito. Quel negozio di cappelli è diventato una
miniera d'oro grazie a te. Sei stata tu a creare quel cappellino
verde che ha trasformato la moglie del Sindaco in una stupenda
adolescente... o no?
— Verde come un piccolo bruco... Sì, l'ho fatto io.
— Per non parlare della cuffietta che indossava Jane Farrier
quando ha incontrato quel nobiluomo — continuò Martha
implacabile. — Sei un genio con cappelli e vestiti, e la mamma
lo sa! Hai segnato irrevocabilmente il tuo destino quando hai
cucito a Lettie quell'abito per il Calendimaggio. Ora sei tu a far
guadagnare il negozio, mentre lei se ne va in giro a
bighellonare...
— Va dai fornitori a fare acquisti...
— Acquisti! — strillò Martha, facendo roteare
vorticosamente i pollici. — I fornitori le portano via metà
mattinata. L'ho vista io, Sophie, e ho anche sentito le
chiacchiere. Va in giro su un calesse a noleggio e con abiti nuovi
grazie ai soldi che tu le fai guadagnare. E visita tutte le tenute
giù per la valle! Si dice che stia trattando l'acquisto e la
ristrutturazione di quella grande casa giù a Vale End... e tu, tu
dove stai?
— Be', Fanny si merita di godersela un po' dopo aver
lavorato tanto per mantenerci... Poi, suppongo che io erediterò il
negozio.
— Che bella prospettiva! — esclamò Martha. — Ascolta,
Sophie...
Ma proprio in quel momento due rastrelliere vuote vennero
ritirate attraverso un'apertura in fondo alla stanza e un
apprendista si affacciò. — Mi sembrava di aver sentito la tua
voce, Lettie ... — disse il ragazzo con un sorriso legato alle
orecchie e con tutta l'aria di voler flirtare. — La nuova sfornata
è pronta. Dillo a quelli di là.
La testa ricciuta e incipriata di farina scomparve, mentre
Sophie pensava che fosse proprio un ragazzo simpatico e si
domandava se fosse lui il prescelto di Martha. Sua sorella, però,
non le diede la minima opportunità di scoprirlo visto che era già
balzata in piedi continuando a parlare. — Devo passare i dolci
alle ragazze di là. Aiutami, prendi quell'estremità...
Così dicendo, sollevò la rastrelliera più vicina e Sophie
l'aiutò a farla passare per la porta che immetteva nella
pasticceria affollata e rumorosa.
— Devi fare qualcosa per te stessa, Sophie.
Martha ansimava un po' per lo sforzo, mentre ritornavano nel
negozio. — Lettie ha sempre sostenuto di non poter immaginare
quello che ti sarebbe successo una volta che noi due ce ne
fossimo andate e non fossimo state più lì a darti un po' di
rispetto per te stessa. Aveva ragione di preoccuparsi...
Nella pasticceria la signora Cesari intanto sollevava la
rastrelliera piena di dolci con le sue possenti braccia e gridava
un paio di ordini a una fila di ragazzi che si precipitarono sul
retro per prendere il resto della sfornata. Sophie fu costretta a
urlare un saluto prima di scivolare via, fra tutto quel trambusto.
Non le sembrava giusto rubare altro tempo a Martha e poi
voleva starsene da sola per pensare. Si avviò di corsa verso casa.
In quel momento i fuochi d'artificio si alzavano dal campo
vicino al fiume dove era stata allestita la Fiera, e sembravano
competere con gli scoppi e le fiammate blu che uscivano dal
castello di Howl. Sophie si sentì più che mai come un'invalida.
Passò la maggior parte della settimana successiva a pensare e
rimuginare sulle parole di Martha, con l'unico risultato di
sentirsi sempre più confusa e scontenta. Niente sembrava più
essere come aveva immaginato che fosse. Era sbalordita dalle
sue sorelle, per anni le aveva fraintese. In ogni modo non poteva
credere che Fanny fosse il genere di donna descritto da Martha.
Ora aveva un sacco di tempo per riflettere, perché Bessie era
in luna di miele e lei se ne stava da sola in negozio per la
maggior parte del tempo, visto che il lavoro era rallentato dopo
il Calendimaggio. Le sembrava inoltre che Fanny fosse sempre
più spesso in giro a bighellonare. Dopo tre giorni dalla sua visita
in pasticceria, Sophie trovò il coraggio di chiederle — Non
dovrei essere pagata?
— Certo, tesoro, con tutto quello che fai... — le rispose
Fanny con calore, aggiustandosi in testa un cappellino guarnito
di rose. — Ne parleremo stasera non appena avrò fatto i conti —
. Poi uscì e tornò solo quando Sophie aveva già chiuso il
negozio e si era portata a casa i cappelli che dovevano essere
finiti. Dapprima Sophie si sentì meschina per aver dato ascolto
alle insinuazioni di Martha, ma quando Fanny non fece più
alcun accenno al suo salario né quella sera, né le sere
successive, allora cominciò a pensare che sua sorella avesse
ragione.
— Forse mi sta davvero sfruttando — disse a un cappello
che stava guarnendo con seta rossa e un pugno di ciliegie di
cera. — Ma qualcuno deve pur fare questo lavoro, altrimenti
non ci sarà più nessun cappello da vendere.
Terminò il copricapo e cominciò a lavorare su un cappello
bianco e nero, molto elegante nella sua semplicità.
All'improvviso le balenò un pensiero per lei del tutto nuovo: —
Ha qualche importanza se ci sono dei cappelli da vendere? —
chiese a quello sul quale stava lavorando. Girò lo sguardo sui
cappelli già pronti e sul mucchio ancora da guarnire. — A cosa
servite mai? ...Certamente a me servite pochissimo —.
E si trovò a un pelo dall'abbandonare la sua casa e andarsene
in cerca di fortuna, poi si ricordò che era la primogenita e che
quella scelta non l'avrebbe portata a niente. Così riprese il suo
lavoro, sospirando. La mattina successiva era ancora scontenta e
sola in negozio quando una giovane cliente, piuttosto
insignificante, entrò come una furia tenendo una cuffietta color
fungo tutta plissettata per i nastri e facendola roteare.
— Guarda! — strillò la ragazza. — Mi avevi detto che era lo
stesso modello indossato da Jane Farrier quando ha incontrato il
Conte. Invece mi hai mentito. A me non è successo proprio
niente!
— Non ne sono sorpresa —. Sophie non riuscì proprio a
trattenersi.
— Una che è stata tanto sciocca da indossare quella cuffia su
un viso del genere, non avrebbe avuto certo l'acume di
riconoscere lo stesso Re se fosse venuto a chiederle l'elemosina.
Sempre che non fosse già stato trasformato in pietra...
guardandoti!
La cliente la fulminò con un'occhiata piena d'ira, poi lanciò
la cuffia contro Sophie e si precipitò fuori dal negozio. Sophie
spinse con cura la cuffia dentro al cestino dei rifiuti e si trovò a
respirare con affanno. La regola era 'perse le staffe, perso il
cliente', e lei aveva appena dimostrato la validità di quel
principio. In ogni caso, anche se faceva fatica ad ammetterlo,
trovò che la scena fosse stata piuttosto divertente.
Sophie non fece in tempo a riprendersi che sentì un rumore
di ruote e uno scalpitare di cavalli, mentre una carrozza
oscurava la luce della vetrina. Il campanello della porta suonò e
la cliente più incredibile che avesse mai visto veleggiò dentro al
negozio in una trina di sabbia che le pendeva dai gomiti e uno
scintillio di diamanti che ricoprivano il pesante vestito nero. Gli
occhi di Sophie andarono immediatamente all'ampio cappello
adorno da vere piume di struzzo, tinte per riflettere i bagliori
rosa, verdi e blu che mandavano le pietre dell'abito, piume che
tuttavia restavano di un nero profondo. Quello era un signor
cappello! La nuova venuta aveva un viso bello e curato,
incorniciato da capelli castani che la facevano apparire giovane,
anche se... Ma lo sguardo di Sophie fu subito catturato
dall'uomo che la seguiva: chiaramente più giovane della signora
che accompagnava, capelli rossi, abito elegante, un viso
assolutamente anonimo, ma pallido e con un'espressione di
profondo disagio. Quando incrociò i suoi occhi, la ragazza,
sconcertata, vi lesse una sorta di orrore implorante.
— Signorina Hatter?
La dama si rivolgeva a Sophie con voce melodiosa, ma
autoritaria.
— Sì, — ribatté semplicemente la ragazza, mentre il
giovane, forse il figlio, sembrava sempre più a disagio.
— Mi hanno detto che qui vendete dei cappelli veramente
divini — continuò la signora. — Fammeli vedere.
Sophie, che non si fidava di se stessa nello stato d'animo in
cui si trovava, si limitò a tirar fuori i cappelli senza dare alcuna
risposta. Per di più sentiva lo sguardo del giovane
accompagnare ogni sua mossa, e questo aumentava il suo
imbarazzo. Nessun copricapo che aveva in negozio era
all'altezza della classe di quella donna, ma prima avesse
scoperto che i suoi cappelli non erano adatti a lei, prima quella
strana coppia se ne sarebbe andata. Sophie seguì il consiglio di
Fanny e per prima cosa prese fuori i peggiori.
La signora cominciò a scartare i cappelli uno dopo l'altro. —
Fossette sulle guance — dichiarò riferita alla cuffietta rosa. —
Gioventù — disse rivolta a quello verde come un bruco, mentre
il cappello con le paillette e i veli venne definito 'fascino
misterioso'. — Come sono ovvi... Non hai nient'altro da
mostrarmi?
Sophie allora le porse l'elegante cappello bianco e nero,
l'unico che forse potesse vagamente interessare a quella signora.
Ma lei lo guardò con disprezzo. — Questo non serve a niente e a
nessuno. Mi stai facendo perder tempo, signorina Hatter.
— Solo perché voi siete entrata qui e mi avete chiesto di
vedere i cappelli... Questo è soltanto un piccolo negozio in una
piccola città, signora. Perché... —. Intanto, dietro alla donna, il
giovane inghiottiva a vuoto e sembrava voler mandare a Sophie
un segnale d'avvertimento. —...Perché vi siete presa il disturbo
di entrare? — Sophie terminò la frase domandandosi cosa
sarebbe successo a quel punto.
— Io mi prendo sempre il disturbo quando qualcuno cerca di
mettersi contro la Strega delle Terre Desolate... Ho sentito
parlare di te, signorina. Non m'interessa competere con te, non
m'importa niente di te... Sono solo venuta a fermarti!
Una mano uscì dalla lunga manica nera e, con un rapido
gesto fluttuante, fu puntata verso il viso di Sophie.
— Voi... voi siete la Strega delle Terre Desolate? — La voce
era uscita dalla gola di Sophie roca e tremante. Anzi, sembrava
che la paura e lo stupore fossero gli unici padroni di quella voce.
— Sì, sono io, e... questo ti insegnerà a intrometterti in cose
che mi appartengono.
— Penso proprio di non averlo fatto. Ci dev'essere un errore
— gracchiò a fatica Sophie, mentre il giovane, in preda
all'orrore, continuava a fissarla e lei seguitava a non capirne il
motivo.
— Nessun errore, signorina Hatter... Vieni, Gaston.
Così dicendo, la Strega si girò e raggiunse rapidamente
l'ingresso del negozio. Mentre l'uomo le teneva umilmente
aperta la porta, la Strega si volse di nuovo verso Sophie. —
Ricorda che non sarai in grado di dire a nessuno di essere preda
di un sortilegio.
La campanella della porta rintoccò come una campana
funebre, poi la Strega scomparve.
Sophie allora si portò le mani alla faccia, domandandosi che
cosa quell'uomo continuasse a fissare con tanta intensità. Sentì
così una fitta rete di rughe. Si guardò le mani e vide che
anch'esse erano grinzose, tutte pelle e ossa, con grosse vene che
coprivano il dorso e con nocche deformi. Si rialzò la gonna
grigia e vide due caviglie ossute e decrepite e due piedi che
avevano sformato le scarpe tanto erano bitorzoluti. Le sue
gambe erano diventate quelle di una novantenne e il dramma era
che sembravano proprio vere! Sophie si avvicinò allo specchio e
scoprì di doversi piegare in avanti se voleva vedere la sua
immagine riflessa. Il volto nello specchio aveva un'espressione
piuttosto tranquilla, perché era ciò che già si aspettava di vedere,
il viso macilento di una vecchia, pallido sotto il colorito bruno e
contornato di ciuffi di capelli bianchi. Quelli che la fissavano
erano proprio i suoi occhi, anche se più gialli e acquosi e con
un'espressione piuttosto tragica.
— Non ti preoccupare, vecchia mia — disse Sophie alla sua
faccia.
— Sembri in buona salute. Inoltre il tuo aspetto attuale
rispecchia meglio il tuo stato d'animo...
Si mise quindi a riflettere sulla sua situazione e, nonostante
tutto, riuscì a farlo con distacco. Sembrava che tutto fosse
successo nella più assoluta calma, come se lei ne fosse solo una
spettatrice. Non si sentiva neanche particolarmente in collera
con la Strega delle Terre Desolate.
— Be', naturalmente dovrò fargliela pagare, non appena ne
avrò l'opportunità. .. ma, nel frattempo, se Martha e Lettie
possono sopportare di vivere l'una nella pelle dell'altra, sarò
senz'altro in grado di sopportare il mio aspetto attuale. Non
posso però rimanere qui, Fanny si farebbe prendere dalle
convulsioni. Vediamo. Questo vestito grigio è proprio adatto, ma
avrò anche bisogno dello scialle e di un po' di cibo. Arrancò
verso la porta del negozio e appese con cura il cartello con su
scritto CHIUSO. Le sue articolazioni scricchiolavano non
appena si muoveva, doveva camminare curva e lentamente, ma
scoprì di essere una vecchia sana e piuttosto robusta. Non si
sentiva debole o malata, semplicemente rigida nei movimenti. Si
chinò a fatica per raccogliere lo scialle, che si mise sulla testa e
sulle spalle come facevano le vecchie, poi si aggirò per la casa,
prese il borsellino, che conteneva poche monete, e fece un
fagottino con pane e formaggio. Quindi uscì, badando di
nascondere accuratamente la chiave nel solito posto, e
s'incamminò un po' zoppicante giù per la strada, ancora sorpresa
dalla calma che pervadeva il suo spirito.
Si domandò se avrebbe dovuto passare a salutare Martha, ma
poi non le piacque l'idea di non essere riconosciuta da sua
sorella. Era molto meglio andarsene e basta. Sophie decise che
avrebbe scritto a entrambe le sue sorelle quando avesse
raggiunto una meta qualsiasi, là dove ora era diretta, così
continuò a camminare attraverso il campo dove si era tenuta la
Fiera, oltre il ponte e ancora oltre, sui sentieri della campagna
circostante Market Chipping.
Era una tiepida giornata primaverile e Sophie scoprì che
essere decrepita non le impediva di godersi i profumi e la vista
della fioritura del biancospino che bordava la via, anche se i
suoi occhi erano un po' appannati. Poi cominciò a farle male la
schiena. Arrancava sul sentiero, e a questo punto aveva bisogno
di un bastone. Guardò attentamente ai bordi della strada per
trovare un bastone qualsiasi. I suoi occhi, però, non erano
evidentemente così buoni come avrebbero dovuto essere. Pensò
infatti di aver visto un bastone circa un miglio più avanti, ma
quando ci arrivò vicino si rese conto che era la parte finale di
uno spaventapasseri, che qualcuno aveva gettato sulla siepe.
Sophie lo sollevò: la testa dello spaventapasseri era costituita da
una rapa che stava avvizzendo e lei provò un senso di solidarietà
per quella cosa; così, invece di farlo a pezzi e prendere il
bastone, ficcò la parte superiore dello spaventapasseri fra due
rami della siepe di biancospino, in modo che sembrasse
voluttuosamente adagiato sulla siepe con le lunghe maniche
sbrindellate che fluttuavano sulle sue braccia stecchite.
— Ecco fatto —. La sua voce era quanto mai gracchiante e la
risata suonava sgangherata. — Né tu né io siamo molto in sesto,
vero amico mio? Forse tornerai al tuo campo, se ti lascio qui
dove qualcuno ti potrà vedere —. Così dicendo riprese il
sentiero, ma un pensiero le attraversò la mente e tornò su i
propri passi.
— Ora, se io non fossi destinata al fallimento a causa della
posizione nella mia famiglia, tu potresti tornare a vivere e
potresti aiutarmi a fare fortuna. In ogni caso ti auguro ogni
bene!
Sghignazzò di nuovo, mentre si rimetteva in cammino. Forse
era un po' matta, ma spesso le persone anziane lo erano.
Trovò un bastone circa un'ora dopo, quando si sedette per
riposare e mangiare il suo pane e formaggio. Aveva sentito dei
rumori provenire dalla siepe dietro di lei: degli squittii
strangolati, seguiti da uno sbuffare che faceva muovere i petali
del biancospino, così si era piegata sulle ginocchia ossute per
scrutare fra le foglie, i fiori e le spine dentro la siepe. Aveva
quindi scoperto un cane grigio e magro. Era intrappolato da una
corda attorcigliata a un robusto bastone. Il bastone era
intrappolato fra due rami della siepe e il cane riusciva a
muoversi a stento. Al comparire di Sophie, aveva cominciato a
strabuzzare gli occhi in maniera selvaggia. Da ragazza Sophie
aveva paura di tutti i cani. Anche ora, da 'vecchia', era piuttosto
allarmata dalla due file di denti bianchi e aguzzi che spuntavano
dalla bocca di quella creatura.
— Nella mia condizione attuale non vale la pena di
preoccuparsi troppo — rifletté ad alta voce, e si mise a cercare le
forbici da lavoro che teneva sempre in tasca. Raggiunse il cane
facendosi strada fra i rami e cominciò a lavorare sulla corda per
tagliarla.
Il cane, un esemplare alquanto selvatico, cercò di sfuggirle e
ringhiò, ma Sophie continuò a tagliare la corda, mentre cercava
di rabbonirlo.
— Morirai di fame o ti strangolerai, vecchio mio, a meno che
tu non mi permetta di liberarti. Sai cosa penso? Qualcuno ha già
cercato di strangolarti, forse proprio a causa della tua indole
selvaggia.
La corda e il bastone erano attorcigliati strettamente e a
Sophie ci volle un bel po' prima di riuscire a tagliare quello
stretto, terribile vincolo, ma alla fine il cane riuscì a divincolarsi
e passare sotto al bastone.
— Vuoi un po' di pane e formaggio? — gli chiese Sophie, ma
la bestia ringhiò, si fece strada a fatica fra i rami e sparì dalla
parte opposta.
— Che bella gratitudine! — sospirò Sophie sfregandosi le
braccia scorticate. — In ogni caso, che tu lo volessi o no, mi hai
lasciato un regalo. Raccolse il bastone che aveva tenuto
intrappolato il cane e scoprì che era un bastone da passeggio
vero e proprio, lavorato e con un puntale di ferro. Sophie finì il
suo pane e formaggio, poi riprese il cammino. Il sentiero
diventava sempre più ripido e il bastone si rivelò di grande
aiuto. Ora aveva anche qualcosa alla quale rivolgersi, e così
cominciò a parlare con il bastone, come faceva con i cappelli.
— Ho fatto due incontri e non ho avuto neanche un cenno di
magica gratitudine. Tuttavia tu sei un buon bastone e non mi
lamento. Ma dovrò fare un terzo incontro, magico o no. Mi
domando come sarà.
Il terzo incontro avvenne verso la fine del pomeriggio,
quando Sophie aveva già percorso un bel pezzo di strada verso
la cima della collina. Un contadino scendeva la strada, venendo
verso di lei. Un pastore, pensò Sophie, che se ne stava tornando
dopo aver pascolato le sue pecore. Era un uomo ben piantato,
sulla quarantina. — Bel tipo! — borbottò Sophie, — questa
mattina l'avrei considerato vecchio. Come cambiano i punti di
vista!
Quando il pastore vide Sophie che mormorava fra sé e sé, si
spostò cautamente sull'altro lato del sentiero e le si rivolse con
grande gentilezza: — Buonasera a voi, madre! Dove state
andando?
— Madre? Non sono tua madre, giovanotto!
— È un modo di dire — le rispose il pastore avvicinandosi
sempre più all'orlo del sentiero, — stavo solo facendovi una
domanda gentile, visto che state camminando su per la collina
ed è quasi sera. Non vorreste scendere ad Upper Folding prima
che cada la notte?
Sophie non aveva preso in considerazione questo fatto,
perciò si fermò in mezzo al sentiero riflettendo. — Non ha
importanza, tutto sommato — disse più a se stessa che al suo
interlocutore, — non puoi fare troppo il difficile quando te ne
vai in cerca del tuo destino.
— Davvero, madre? — chiese allora il pastore, che aveva
superato Sophie e si trovava ormai sotto di lei, verso valle, e
sembrava essere sollevato per la posizione raggiunta. — Allora
vi auguro buona fortuna, madre. Possa il vostro destino non aver
nulla a che fare con il bestiame delle persone buone — , e prese
a scendere a lunghi passi, quasi di corsa.
Sophie lo fissò indignata. — Pensava che fossi una strega!
— disse rivolta al bastone. Le venne una mezza idea di urlare
delle cattiverie alla volta del pastore per impaurirlo, ma poi le
sembrò veramente poco gentile e continuò ad arrampicarsi su
per la collina, mugugnando.
Presto le siepi lasciarono il posto a bordi di prato e il terreno
cominciò a essere coperto di erica, di massi e di erba giallastra.
Sophie continuò testarda, anche se cominciavano a farle male i
piedi, la schiena e le vecchie ginocchia. Era troppo stanca
persino per brontolare, semplicemente arrancò su per la collina
ansando fino a che il sole fu quasi del tutto tramontato. A un
tratto capì che non avrebbe potuto muovere un altro passo.
Stramazzò su un sasso, domandandosi cosa avrebbe potuto fare
a quel punto. — L'unica cosa fortunata alla quale posso pensare
è una comoda sedia!
Da quella posizione si guardò attorno: laggiù nella valle
poteva vedere nella fioca luce della sera Market Chipping, la
piazza del mercato, le strade che ben conosceva e la pasticceria
di Cesari.
— Come sono ancora vicino! — Sophie si sentiva
stanchissima e piuttosto sconsolata. — Tutta quella strada e
sono ancora qui... tutto quel camminare e sono ancora sopra al
mio tetto!
La pietra sulla quale era seduta diventava sempre più fredda
man mano che il sole calava, e ora si era anche alzato un vento
gelido che le faceva sempre più desiderare di essere
comodamente seduta davanti a un fuoco. Incominciò a
preoccuparsi anche degli animali selvaggi e del buio che stava
scendendo attorno a lei. Si chiese se non fosse meglio tornare
indietro, ma poi pensò che a quel punto sarebbe arrivata in città
nel cuore della notte. Sospirò e si alzò di nuovo a fatica, tutta
dolorante. Meglio proseguire.
— Non avrei mai pensato che i vecchi dovessero affrontare
cose del genere... Comunque sono pelle e ossa e non sono certo
una buona preda per i lupi. Almeno questo!
La notte stava scendendo velocemente e il terreno coperto di
erica si stava tingendo di grigio e di blu, mentre il vento si
faceva sempre più tagliente. Le sue ossa scricchiolavano...
quando il rumore delle sue giunture fu superato da un altro
rumore sinistro: il castello di Howl, il Mago, stava venendo
verso di lei attraverso la brughiera. Un fumo nero formava delle
nuvole sopra le quattro torri. Appariva alto, enorme, terribile.
Sophie si appoggiò al bastone, osservandolo. Non era
particolarmente spaventata, anzi, si chiese come facesse a
muoversi e soprattutto cominciò a farsi strada nella sua mente
l'idea che tutto quel fumo volesse dire che all'interno, da qualche
parte, doveva pur esserci un grande camino, un fuoco.
— Be', perché no? — disse sempre rivolta al bastone. — Il
Mago non vorrà certamente la mia anima per la sua collezione,
visto che prende solo donne giovani.
Allora sollevò il bastone, lo agitò alla volta del castello e gli
ordinò con un urlo imperioso: — Fermati!
Il castello, ubbidiente, si fermò sbuffando sulla collina, circa
a cinquanta piedi da Sophie, che si sentì pervadere da un senso
di gratitudine mentre si avviava zoppicando alla volta delle nere
mura.
CAPITOLO TRE
In cui Sophie entra in un castello e accetta un patto
C'era una larga porta scura nel muro nero di fronte a Sophie e
lei vi si diresse zoppicando spedita.
Da vicino il castello era più spaventoso che mai e sembrava
troppo alto per la sua forma irregolare. Per quanto Sophie
poteva vedere nell'oscurità crescente, era costruito con grandi
blocchi neri come il carbone e, come il carbone, i blocchi erano
tutti di forme e misure differenti. Quando si avvicinò, dai
blocchi cominciò a soffiare un vento gelido che comunque non
riuscì a spaventare Sophie. Continuava a pensare a sedie e
caminetti, così allungò una mano rabbiosa verso la porta. Ma la
sua mano non riuscì ad avvicinarsi. Una sorta di muro invisibile
la fermò a un piede dalla porta. Sophie lo saggiò nervosamente
con le dita e, visto che non succedeva nulla, provò con il
bastone. Il muro invisibile sembrava coprire tutta la porta, in
alto fino a dove riusciva ad allungare il bastone, in basso fino a
dove l'erica spuntava dai gradini della soglia.
— Apriti! — gracchiò Sophie rivolta al muro.
Ma non accadde nulla. — Bene, troverò la porta di servizio.
Sophie si diresse zoppicando verso l'angolo sinistro del castello,
che era quello più vicino a lei e quello più a valle, ma non riuscì
a girare l'angolo poiché il muro invisibile la fermò di nuovo. A
questo punto Sophie pronunciò una parola che aveva imparato
da Martha e che né le vecchie signore né le ragazze avrebbero
dovuto conoscere. Poi arrancò su per la collina verso l'angolo
destro del castello muovendosi in senso antiorario rispetto a
esso. Lì non incontrò barriere. Voltò l'angolo e si diresse, ormai
molto seccata, verso la seconda grande porta nera che era nel
mezzo di quel lato del castello. C'era una barriera anche su
quella porta. Sophie la guardò accigliata.
— Ma io dico, che razza di benvenuto è questo?!
In quel momento giù dai bastioni soffiò un fumo nero che
fece tossire Sophie. Ora era veramente arrabbiata. Era vecchia,
fragile, infreddolita e ogni parte del corpo le doleva. La notte
stava avanzando e il castello era lì a soffiare su di lei un fumo
denso e nero.
— Ne parlerò a Howl! — disse mentre girava l'angolo con
rabbia. Lì non c'era nessuna barriera (evidentemente si doveva
girare intorno al castello in senso antiorario), anzi, un po' più in
là c'era una terza porta, molto più piccola e male in arnese.
— Finalmente la porta di servizio! —. Non appena Sophie si
avvicinò a quell'uscio, il castello cominciò a muoversi, il terreno
tremò, il muro fu scosso da una vibrazione e scricchiolò, e la
porta cominciò a scappare lungo la parete. — Oh, non farlo! —
urlò Sophie, e le corse dietro colpendola ripetutamente col
bastone. — Apriti!
La porta si aprì verso l'interno continuando a muoversi.
Sophie riuscì a salire sul primo gradino della soglia con
difficoltà. Poi, mentre i grandi blocchi intorno alla porta
sobbalzavano e scricchiolavano, come se il castello stesse
guadagnando velocità, riuscì a salire i gradini rimanendo in
equilibrio prima su un piede poi sull'altro. Sophie si chiese come
mai il castello, tutto sbilenco, non cadesse di colpo sulla collina
accidentata. — Che modo stupido di trattare un edificio! — e
trattenne il respiro mentre si lanciava all'interno. Così facendo
dovette lasciare il bastone e attaccarsi alla porta aperta per non
essere scaraventata fuori. Quando ricominciò a respirare
regolarmente si accorse della persona che le stava di fronte e che
teneva anch'essa la porta. Anche se superava Sophie di tutta la
testa, era ancora un ragazzino, solo un po' più vecchio di
Martha. Sembrava stesse cercando di chiuderle la porta in faccia
respingendola di nuovo nella notte, lontano da quella stanza
calda e fiocamente illuminata che si scorgeva dietro di lui.
— Non avere l'impudenza di chiudermi la porta in faccia,
ragazzo mio!
— Non lo stavo facendo — protestò il ragazzo. — Siete voi
a tenere aperta la porta! Cosa volete?
Sophie si sporse cercando di guardare oltre le spalle del
ragazzo. Vide una grande quantità di cose che pendevano dalle
travi e che probabilmente servivano a fare incantesimi: trecce di
cipolle, mazzi di erbe e strane radici. Poi scorse anche grossi
libri rilegati in cuoio, bottiglie dai colli storti e un vecchio
teschio umano scuro e sogghignante. Sul lato non coperto dalla
mole del ragazzo si vedeva un caminetto con un piccolo fuoco
che bruciava dietro la grata. Era un fuoco molto più piccolo di
quanto si potesse intuire dal fumo che usciva all'esterno, ma
questa era soltanto una stanza sul retro del castello. La cosa più
importante per Sophie fu constatare che il fuoco aveva raggiunto
quello stadio in cui piccole fiammelle blu e rosa danzano sui
ceppi emanando un invitante tepore e che, accanto al camino,
proprio nel punto più caldo, c'era una sedia bassa con un
cuscino.
Sophie spostò il ragazzo con il braccio e si tuffò sulla sedia.
— Ah, che fortuna! — e si accomodò per benino sulla seggiola.
Era una vera beatitudine. Il fuoco le scaldava le articolazioni
doloranti e lo schienale le sosteneva la schiena. Per toglierla da
lì avrebbero dovuto usare le maniere forti o una potente magia.
Il ragazzo chiuse la porta, raccolse il bastone e lo appoggiò
con delicatezza alla sedia a portata di mano di Sophie. Si rese
conto che dall'interno non si avvertiva il moto del castello, né il
minimo rumore o la più lieve vibrazione. Che strana cosa!
— Ragazzo, dovresti dire al Mago che questo castello finirà
per crollare su se stesso, se viaggerà ancora per molto.
— Il castello è tenuto insieme da un incantesimo — le
rispose il ragazzo, — e comunque credo che Howl non sia qui al
momento. Questa era una buona notizia per Sophie che chiese,
un po' nervosa:
— E quando tornerà?
— A questo punto probabilmente non prima di domani.
Posso, invece, esservi utile io? Mi chiamo Michael e sono il suo
apprendista. Questa era una notizia ancora migliore e Sophie
aggiunse in fretta e con fermezza: — Temo che solo il Mago
possa aiutarmi —. E forse era proprio così. — Aspetterò, se non
ti dispiace.
Era invece evidente che a Michael dispiacesse e cominciò a
ronzarle attorno con l'aria di chi non sa come comportarsi. Per
fargli capire che non aveva nessuna intenzione di farsi mettere
alla porta da un semplice apprendista, Sophie chiuse gli occhi
fingendo di addormentarsi. Ma prima mormorò: — Di' al Mago
che il mio nome è Sophie — e per essere sicura aggiunse: — la
vecchia Sophie.
— Questo vorrà dire aspettare per tutta la notte — ribatté
Michael. Poiché era proprio quello che Sophie desiderava, fece
finta di non averlo sentito e dopo poco si addormentò. Era così
stanca da tutto quel camminare. Dopo un po' anche Michael
riuscì a ignorarla e tornò a quello che stava facendo sul banco di
lavoro, dove era posizionata la lampada.
Sophie nel dormiveglia pensò che avrebbe avuto un'intera
notte tranquilla e al sicuro anche se per ottenerla aveva dovuto
dire una piccola bugia. Visto che Howl era una persona in
gamba e importante non si sarebbe lasciato abbindolare, ma
Sophie aveva intenzione di essere ben lontana da lì prima del
suo arrivo e prima che potesse sollevare qualche obiezione in
merito alla sua presenza nel castello. Senz'altro il suo
apprendista pensava che lei fosse profondamente addormentata
e che fosse una vecchietta innocua. Lei, invece, si sorprese a
considerare che Michael fosse un ragazzo carino e gentile: dopo
tutto era entrata con la forza e in modo piuttosto maleducato, ma
lui non le aveva fatto alcun appunto. Forse Howl lo trattava
come un servo, anche se Michael non aveva un'aria sottomessa.
Era un ragazzo alto, moro, con un viso aperto e piacevole,
vestito in modo rispettabile. Ora era intento a versare, da una
fiaschetta dal collo ricurvo, un liquido verde in un recipiente di
vetro contenente una polvere nera, che teneva inclinato, attento
a non versarne fuori neanche una goccia. Se Sophie non lo
avesse visto intento in quell'operazione, avrebbe potuto
scambiarlo per il figlio di un ricco proprietario terriero. Che
strano! In ogni caso le cose dovevano essere strane, pensò
Sophie, dove si esercita la magia. Questa cucina, o laboratorio
che fosse, era comunque molto intima e accogliente. E questo fu
l'ultimo pensiero prima di addormentarsi profondamente e
cominciare a russare.
Non si svegliò quando dal banco di lavoro si sprigionò un
lampo e uno schiocco sordo, seguito da un'imprecazione di
Michael. Non si svegliò quando il ragazzo, succhiandosi le dita
bruciacchiate, accantonò per quella notte la magia che stava
preparando e tirò fuori dal ripostiglio pane e formaggio. Non si
svegliò nemmeno quando Michael inciampò nel suo bastone,
facendolo cadere, nel tentativo di raggiungere il fuoco e
ravvivarlo con altra legna. Infine, non si svegliò quando il
ragazzo, guardando la bocca aperta di Sophie, disse, rivolto al
caminetto: — Ha ancora tutti i denti. Non è la Strega delle Terre
Desolate, vero?
— Pensi che altrimenti l'avrei lasciata entrare?! — ribatté il
fuoco scoppiettante nel focolare. Michael raccolse delicatamente
il bastone da terra, mise un grosso ceppo sulle fiamme con
altrettanta grazia e se ne andò a dormire da qualche parte al
piano di sopra.
Nel cuore della notte Sophie fu svegliata da qualcuno che
russava. Sussultò per poi scoprire, piuttosto irritata, che era lei
quella che stava russando. Le parve di essersi addormentata solo
per qualche istante e Michael era sparito con il lume, senza
dubbio aveva imparato quel trucco fin dalla prima settimana di
apprendistato. Aveva lasciato il fuoco molto basso, che sibilava
e scoppiettava in maniera irritante, e c'era uno spiffero gelido
che le torturava la schiena. Sophie ricordò di essere nel castello
del Mago e le venne in mente anche il teschio ghignante
appoggiato sul tavolo, da qualche parte alle sue spalle.
Rabbrividì e ruotò il collo irrigidito, ma dietro di lei vide solo
buio.
— Facciamo un po' di luce —. La sua voce gracchiante
suonò lieve, molto somigliante al crepitare del fuoco. Ne rimase
sorpresa poiché si aspettava l'eco di rimando delle alte volte del
castello.Vide di fianco a sé un cesto di legna, allungò il braccio
addormentato e faticosamente depose un ceppo sul fuoco.
Immediatamente scintille verdi e blu si sprigionarono dal
focolare, per essere subito aspirate dalla canna del camino. Mise
un secondo ciocco di legna nel fuoco e tornò a sedere, non senza
aver nervosamente guardato in direzione del teschio, che in quel
momento rifletteva un bagliore blu-violetto proveniente dal
fuoco.
La stanza era piuttosto piccola e non c'era nessun altro tranne
quel teschio e Sophie, che si consolò pensando: — Lui ha tutti e
due i piedi nella tomba, io ancora uno soltanto —. Tornò a
voltarsi verso il fuoco che ora mandava fiamme blu e verdi. —
Ci dev'essere del sale su quella legna —. Si sistemò più
comodamente, allungando i piedi dalle ossa deformi sul
parafuoco e appoggiando la testa nell'angolo della sedia. Fissava
le fiamme colorate e cominciò a pensare a quello che avrebbe
fatto la mattina successiva, ma fu distratta perché le sembrò di
riconoscere un viso fra le fiamme.
— Sarebbe un viso lungo e magro, di colore blu e con un
naso affilato. Quelle fiamme verdi potrebbero essere i capelli
ricciuti...
Supponiamo che non me ne vada e attenda l'arrivo di Howl.
Che cosa potrebbe succedere? Immagino che i Maghi possano
sciogliere gli incantesimi...
Quelle fiamme violette lì in fondo formano la bocca... hai
delle zanne affilate, amico mio, e hai due cespugli verdi di fuoco
come sopracciglia. In modo curioso le uniche fiamme arancione
erano sotto quelle verdi, che sembravano sopracciglia, proprio
come fossero occhi, e ognuno aveva una piccola fiammella
violetta nel mezzo, tanto che Sophie le interpretò come pupille
che la stessero guardando.
Si rivolse quindi alle fiamme arancione, fissandole. —
D'altra parte, se fossi liberata dall'incantesimo mi ritroverei con
il cuore mangiato prima di potermi voltare per andarmene.
— E tu non accetti l'idea che il tuo cuore sia mangiato,
ovviamente! — disse il fuoco.
Era veramente il fuoco a parlare! Sophie vide le labbra viola
muoversi mentre udiva le parole. La voce del fuoco era
gracchiante quasi come la sua, piena dei crepitii della legna che
bruciava.
— Certo che non lo voglio... Ma tu chi sei?
— Sono un demone del fuoco — le rispose la bocca
vermiglia.
Poi aggiunse, quasi piagnucolando: — Sono legato a questa
terra da un contratto. Non posso muovermi da questo punto.
Quindi la sua voce diventò dura e gracchiante, quando le chiese:
— E tu chi sei? Sicuramente sei preda di un incantesimo. Queste
parole scossero Sophie dal suo torpore. — Te ne sei accorto!
Puoi togliermi questo maleficio?
Ci fu un silenzio interrotto solo dagli scoppiettii del fuoco.
Gli occhi arancione del demone studiarono Sophie da capo a
piedi. — È un sortilegio molto potente. Mi sembra opera della
Strega delle Terre Desolate.
— Ha indovinato, è proprio così!
— Mi sembra che ci sia qualcosa di più — gracchiò il
demone, — distinguo due livelli di sortilegio. E inoltre tu non
puoi parlare con nessuno della tua situazione, tranne che con
persone che la conoscano già —. Fissò Sophie ancora per un
momento. — Dovrò studiarlo approfonditamente.
— E quanto ti ci vorrà?
— Mi potrebbe occorrere un po' di tempo —. Poi aggiunse
con un tono dolce e persuasivo: — Cosa ne dici di fare un
contratto con me? Io spezzerò il tuo incantesimo se tu mi
aiuterai a rompere il contratto che mi lega indissolubilmente a
questo posto.
Sophie guardò la scarna faccia blu del demone con
circospezione. Aveva un'espressione astuta, mentre le faceva la
proposta. Tutto ciò che aveva letto in proposito le ricordava
quanto fosse estremamente pericoloso fare un patto con un
demone, e non c'erano dubbi sul fatto che questo sembrasse
particolarmente cattivo, con quei lunghi denti viola. — Sei
sicuro di essere del tutto onesto con me?
— Non completamente — ammise il demone. — Ma vuoi
rimanere così come sei ora fino alla tua morte?
Quell'incantesimo ti ha abbreviato la vita di circa sessantanni, se
sono un buon giudice di certe cose.
Questo era un pensiero sgradevole, un aspetto a cui Sophie
aveva cercato di non pensare fino a quel momento. E faceva la
sua bella differenza. — Questo contratto che ti lega è con il
Mago Howl, immagino.
— Certo — rispose il demone con una voce di nuovo
piagnucolosa.
— Sono legato a questo focolare e non posso muovermi
nemmeno di un piede. Sono obbligato a fare la maggior parte
delle magie qui dentro. Devo tenere insieme il castello,
muoverlo e produrre tutti gli effetti speciali che terrorizzano la
gente, oltre a dover fare qualsiasi altra cosa che venga in mente
al Mago. Howl è proprio senza cuore!
Sophie non aveva bisogno di sentirsi ripetere che il Mago
Howl fosse senza cuore, d'altra parte anche il demone era
sicuramente piuttosto maligno. — Ma tu non ricavi nulla da
questo contratto?
— Non l'avrei stipulato, se fosse così — le rispose il demone
facendo tremolare tristemente la sua fiamma. — Ma non avrei
accettato, se avessi immaginato di essere sfruttato in questo
modo.
Nonostante non si volesse far coinvolgere, Sophie provò una
certa dose di compassione per il demone. Pensò a se stessa
intenta a decorare i cappelli per Fanny, mentre la matrigna se ne
andava in giro a fare niente. — Bene, quali sono i termini del
tuo contratto? Come dovrei fare a romperlo?
Una fiammata viola attraversò il volto del demone. —
Accetti dunque il mio patto?
— Se tu accetti di spezzare l'incantesimo che grava su di me
— disse Sophie col tono di chi pronuncia con coraggio parole
fatali, — accetto!
La faccia del demone si allungò in una lingua di fuoco su per
il camino. — Spezzerò il tuo incantesimo nel preciso istante in
cui mi libererai del mio contratto!
— Bene, ora spiegami come dovrò procedere.
Gli occhi arancione luccicarono, ma si volsero a guardare
altrove.
— Non posso! Il contratto prevede che né io né il Mago
possiamo rivelare ad alcuno come fare per scioglierlo.
Sophie si rese conto di essere stata truffata. Aprì la bocca per
dire al demone che allora poteva starsene nel camino fino al
giorno del giudizio, ma il fuoco, che l'aveva già intuito, crepitò:
— Non essere frettolosa! Potrai scoprire di che cosa si tratta, se
osserverai e ascolterai con attenzione. Ti prego di provarci. Il
contratto con Howl non porterà vantaggi per nessuno, alla lunga,
e io sto mantenendo la mia parola. Il fatto che stia qui nel
camino lo dimostra!
Stava parlando seriamente agitandosi sui ceppi di legno e
Sophie provò di nuovo compassione per lui. — Ma se devo
osservare e ascoltare, questo significa che dovrò rimanere nel
castello — obiettò Sophie.
— Un mese dovrebbe essere sufficiente, anch'io devo
studiare il tuo incantesimo —. Il tono del demone era
convincente.
— Ma quale scusa plausibile posso addurre per poter
restare?!
— Penseremo a qualcosa. Howl, nella maggior parte dei casi
si rivela inutile — disse il demone sibilando velenosamente, —
è troppo preso da se stesso per accorgersi di cosa succede oltre il
suo naso. Lo possiamo ingannare per tutto il tempo che tu vorrai
rimanere al castello.
— Molto bene, resterò! Ora pensiamo a una scusa.
Sophie cercò una posizione comoda sulla sedia, mentre il
demone rifletteva a voce alta, producendo un borbottio che le
ricordò il suono della propria voce quando parlava al bastone,
sulla via del castello. Le fiamme si alzarono in un ruggito felice
e potente e lei ricominciò a sonnecchiare. Sentì alcuni
suggerimenti del demone, fra i quali la possibilità di presentarsi
a Howl come una vecchia zia di cui non si avevano da tempo
notizie e un paio di altre scuse che non comprese chiaramente.
Poi il demone cominciò a cantare una canzoncina con voce
suadente. Sophie non riconobbe alcuna lingua a lei nota (per lo
meno pensò così, finché non comprese distintamente la parola
casseruola) e alla fine si accorse che si trattava soltanto di una
ninna-nanna. Cadde in un sonno profondo, col vago sospetto di
essere stata ammaliata, ma non le importava: presto sarebbe
tornata libera dal maleficio...
CAPITOLO QUATTRO
In cui Sophie scopre diverse cose strane
Quando Sophie si svegliò la luce del giorno la inondava.
Dato che non ricordava finestre nel castello, la prima
impressione fu quella di essersi addormentata mentre adornava i
cappelli e di aver sognato di lasciare casa sua. Davanti a lei il
fuoco si era trasformato in un letto di braci rosate e di cenere
bianca, il che la convinse di essersi sognata il demone del fuoco.
I suoi primi movimenti, però, la convinsero che non aveva
sognato, perché in effetti tutto il suo corpo risuonava di
scricchiolii sinistri.
— Ahi! Sento dolori dappertutto! — esclamò con voce
gracchiante.
Si coprì il viso con le mani nodose e sentì al tatto la fitta rete
di rughe. Si rese conto di aver trascorso il giorno precedente in
stato di shock. Ora era veramente in collera con la Strega delle
Terre Desolate per ciò che aveva subito. Era profondamente,
enormemente arrabbiata: — Entrare come il vento dentro un
negozio e trasformare una ragazza in una vecchia! Oh, cosa non
le farei!
Saltò su dalla sedia per la rabbia producendo un concerto di
crick crack, e si diresse verso una finestra, comparsa
all'improvviso sul muro al di sopra del tavolo di lavoro. Con suo
grande stupore la vista che si godeva era il panorama di una
cittadina di pescatori. Poteva vedere una strada bianca e tortuosa
fiancheggiata da casupole, all'apparenza povere, e alberi di navi
oltre i tetti. Al di là degli alberi colse lo scintillio del mare, che
non aveva mai visto in vita sua.
— Dove sono mai? — chiese al teschio poggiato sul
bancone. — Non mi aspetto comunque che tu mi risponda,
amico mio — aggiunse in fretta, ricordandosi di essere nel
castello di un mago. Infine si voltò e cominciò a ispezionare la
stanza. Alla luce del giorno appariva piccola e incredibilmente
sporca, con grandi travi nere che reggevano il soffitto. Le pietre
del pavimento erano macchiate di grasso e c'era una montagna
di cenere vicino al parafuoco. Le ragnatele pendevano dai travi
come festoni polverosi e anche il teschio era ricoperto da uno
strato di polvere. Sophie la spazzò via distrattamente mentre si
chinava sull'acquaio posto di fianco al tavolo di lavoro.
Rabbrividì di fronte al fluido vischioso rosa e grigio che
occupava il fondo del lavello e quello bianco che pendeva dalla
pompa sopra di esso. Howl ovviamente non si curava dello
squallore in cui viveva la sua servitù.
Il resto del castello doveva essere oltre una delle quattro
basse porte che si affacciavano sulla stanza. Sophie aprì l'uscio
più vicino, situato sulla parete di fondo, oltre il tavolo di lavoro.
Trovò, così, una vasta stanza da bagno che ti saresti immaginato
di vedere solo in un grande palazzo. Piena di lussuose comodità
come una toilette nascosta, un vano doccia e un'immensa vasca
da bagno, con i piedi a forma di zampa artigliata, e specchi su
tutte le pareti. Questa stanza era, se possibile, ancora più sporca
e in disordine della precedente. Sophie si ritrasse dal gabinetto,
indietreggiò di fronte al colore della vasca e distolse lo sguardo
disgustata dalla muffa verde che cresceva nella doccia. Riuscì
facilmente a non vedere la propria immagine riflessa sugli
specchi, perché questi ultimi erano ricoperti da una serie di
macchie e schizzi di sostanze sconosciute e improbabili. Quelle
stesse sostanze quasi certamente affollavano un largo scaffale
sopra la vasca, contenute in vasi di vetro, scatole e tubetti, in
pacchetti e sacchetti di carta scuri e mezzo sbrindellati. Il vaso
più grande aveva un nome, POTERE ASCIUGAMARI scritto a
lettere così contorte che Sophie non era del tutto sicura che non
si trattasse invece di POLVERE ASCIUGAMANI. Raccolse un
pacchetto a caso ma subito lo posò, non appena lesse lo
scarabocchio che lo identificava come PELLE. Su un altro vaso
era scarabocchiata la parola OCCHI, mentre su un tubetto c'era
la scritta PER DENTI. Guardando dentro il lavandino con un
brivido, Sophie pensò che comunque il rubinetto sembrava
funzionare. Infatti, quando ruotò il pomello verde bluastro, che
avrebbe dovuto essere di ottone, l'acqua cominciò a scorrere nel
lavandino portandosi via un po' di sporcizia. Sophie si sciacquò
le mani e la faccia stando attenta a non toccare nient'altro. Non
ebbe il coraggio di usare il Potere Asciugante, usò, invece, la
sua gonna.
Uscita dal bagno, si accinse ad aprire la successiva porta
nera. Questa dava su una scala di legno tutta sgangherata, ma
non appena udì qualcuno muoversi al piano di sopra,
precipitosamente la richiuse. In ogni caso sembrava conducesse
a una specie di grande solaio. Sophie zoppicò verso la porta
successiva. Si muoveva comunque ancora in maniera
abbastanza agile e questo le confermò quanto aveva già scoperto
il giorno prima, cioè che era sì vecchia, ma ancora in buona
salute.
La terza porta si apriva su un cortiletto disordinato e
circondato da alte mura di mattoni. Conteneva una grande
catasta di legna, un cumulo di rifiuti di metallo, ruote, secchi,
lastre e fili di ferro, e il tutto costituiva un ammasso talmente
alto che quasi raggiungeva la cima del muro. Sophie chiuse
anche quella porta, piuttosto sconcertata perché quello che
aveva visto non si adattava al resto del castello. Tra l'altro le
mura sembravano arrivare tanto in alto da nascondere le altre
parti del castello. Sophie pensò che il cortile interno
corrispondesse esternamente a quella parte di castello di fronte
alla quale era stata fermata dal muro invisibile la sera
precedente.
Aprì la quarta porta. Era semplicemente il ripostiglio delle
scope e, appoggiati su di esse, stavano due bellissimi mantelli di
velluto ignobilmente impolverati. Sophie richiuse lentamente la
porta. Rimaneva soltanto quella dalla quale era entrata nel
castello, che aprì con molta cautela. Per un momento rimase a
guardare le colline che scorrevano lentamente sotto di lei, con
l'erica che scivolava sotto la porta. Sentì il vento fra i capelli e
ascoltò il rombo emesso dalla pietre del castello mentre questo
si muoveva. Chiuse la porta e si diresse verso la finestra, e da lì
vide di nuovo la cittadina di mare che aveva visto in precedenza.
Non era un quadro. Una donna aveva aperto la porta della casa
di fronte e stava spazzando fuori la polvere. Oltre la casa una
vela grigiastra veniva issata sull'albero maestro, disturbando uno
stormo di gabbiani che stava volando lì attorno. Il mare
luccicava sullo sfondo.
— Non capisco — disse Sophie rivolta al teschio. Poi, visto
che il fuoco stava per estinguersi del tutto, mise due grossi pezzi
di legna nel camino e tolse la cenere. Allora delle fiamme verdi
si insinuarono, come dei piccoli riccioli, fra i due pezzi di legno,
poi improvvisamente il lungo viso blu comparve e le fiamme
verdi divennero i suoi capelli.
— Buongiorno — le disse il demone del fuoco. — Non
dimenticare il patto che abbiamo stretto.
Niente di tutto quello che le stava attorno era un sogno.
Sophie non si mise a urlare solo perché non faceva parte del suo
carattere, ma si sedette sulla sedia e fissò a lungo il viso
sfuggente del demone, così non prestò attenzione ai rumori che
faceva Michael mentre si alzava, e si ricordò di lui solamente
quando se lo ritrovò a fianco imbarazzato.
— Siete ancora qui allora? — Più che una domanda era una
constatazione esasperata. — Qual è il problema?
Sophie tirò su col naso e cominciò — Sono vecchia...
— Be', succede a tutti prima o poi. Non vorreste fare
colazione? Sophie sentì di nuovo di essere una vecchia in buona
salute, infatti avvertiva i morsi della fame visto che non aveva
più mangiato niente dal giorno precedente. Accettò quindi la
proposta di Michael con entusiasmo, e quando il ragazzo si
avvicinò alla dispensa, Sophie fu presto alle sue spalle per
cercare di vedere che cosa ci fosse di buono.
— Temo che ci sia solo pane e formaggio.
— Ma se c'è un intero cesto di uova — ribatté Sophie, — e
quella non è forse pancetta? Cosa ne dici se ci prepariamo
qualcosa di caldo da bere? Dov'è il bollitore?
— Non c'è — le spiegò Michael, — Howl è il solo in tutto il
castello che possa cucinare.
— Io so farlo benissimo. Stacca dal chiodo quella padella e
te lo farò vedere —. Così dicendo Sophie cercò di afferrare la
grande padella nera dalla dispensa, nonostante Michael tentasse
di impedirglielo.
— Voi non capite, il problema è Calcifer, il demone del
fuoco. Non piegherà la testa per permettere ad alcuno, tranne
che a Howl ovviamente, di usare le sue fiamme per cucinare.
Sophie si voltò a guardare il demone del fuoco, e questi
ricambiò l'occhiata malignamente. — Rifiuto di essere sfruttato.
— Michael, vuoi forse dire che non puoi bere niente di caldo
a meno che Howl non sia a casa?
Il ragazzo, piuttosto imbarazzato, annuì col capo.
— Allora sei tu quello che viene sfruttato! — gli disse
Sophie. — Dammi qua! — e gli strappò dalle mani la padella, vi
mise dentro la pancetta, poi raccolse alcune uova con un grosso
mestolo di legno e marciò verso il camino. — Ora, Calcifer,
vediamo di non dire altre sciocchezze. Piega quella testa.
— Non puoi farmi questo! — gracchiò il demone del fuoco.
— Certo che posso! — ribatté Sophie con quel tono
autoritario che spesso era riuscito a fermare le sorelle quando si
picchiavano. — Se non lo farai, ti verserò dell'acqua in testa,
oppure prenderò le molle e toglierò tutta la legna.
Nel frattempo si era inginocchiata sulle pietre del focolare,
non senza scricchiolare, e aggiunse sussurrando: — Oppure
potrei ritirarmi dal nostro patto o, ancor meglio, raccontare tutto
a Howl. Cosa ne dici?
— Maledizione! — imprecò Calcifer. — Michael, perché
l'hai lasciata entrare? —. Poi chinò la faccia imbronciata in
avanti finché non si vide solo l'aureola di fiamme verdi danzare
sui ceppi.
— Ti ringrazio — disse Sophie e si affrettò ad appoggiare la
pesante padella sul cerchio di fuoco per essere sicura che
Calcifer non cambiasse idea.
— Spero che la tua pancetta si bruci! — sbuffò Calcifer da
sotto la padella. Sophie sistemò le fette di pancetta che
cominciarono a sfrigolare e avvolse un lembo della gonna
attorno al manico del padella per poter cucinare senza bruciarsi
la mano.
La porta si aprì, ma lei non ci fece caso perché era intenta a
sussurrare al fuoco: — Non fare lo sciocco, Calcifer, e
mantieniti così perché adesso aggiungerò le uova.
— Salve Howl —. Michael rivolse al suo capo un saluto
rassegnato. Allora Sophie si girò di scatto e fissò il mago che
sfoggiava un abito sgargiante blu e argento, e si era chinato
nell'atto di appoggiare la chitarra in un angolo. Howl scostò il
ciuffo biondo che gli copriva la fronte rivelando due occhi verdi,
di un verde che ricordava il vetro di una bottiglia. La guardò
incuriosito e sul volto, lungo e squadrato, si poteva leggere
un'espressione perplessa.
— Chi accidenti sei? Dove ti ho già visto?
— Sono assolutamente un'estranea — mentì Sophie con
decisione, ma dopo tutto quella era una mezza verità. Howl,
infatti, l'aveva incontrata in quel Calendimaggio che ora le
sembrava tanto lontano, e l'aveva chiamata piccolo topino
grigio. Avrebbe dovuto ritenersi fortunata per essergli sfuggita
quella volta, ma in effetti l'unica cosa che Sophie ora riusciva a
pensare era che il Mago Howl, con tutta la sua crudeltà, era solo
un giovanotto sui vent'anni, un ragazzino di fronte alla sua
vecchiaia! Faceva una bella differenza essere vecchia, pensò
mentre girava la pancetta, e sarebbe morta piuttosto di far sapere
a qual ragazzo così pomposamente vestito che lei era la giovane
della quale lui aveva avuto compassione quel giorno di maggio.
Cuore e anima non c'entravano in questo momento. Howl non lo
avrebbe saputo.
— Mi ha detto che si chiama Sophie — stava intanto
spiegando Michael.
— È arrivata la notte scorsa.
— E come ha fatto a piegare Calcifer?
— Mi ha tiranneggiato! — spiegò Calcifer con voce
lamentosa e soffocata da sotto la padella.
— Non sono molte le persone che riescono a farlo — disse
Howl pensieroso avvicinandosi al camino.
Il profumo dei giacinti si mescolò all'aroma della pancetta
mentre scostava Sophie con fermezza.
— Calcifer non ama che qualcuno che non sia io cucini sulle
sue fiamme — disse chinandosi sul fuoco e afferrando la
padella, proteggendosi la mano con la manica del vestito. —
Passami altre due fette di pancetta e sei uova, per piacere, e
raccontami perché sei capitata qui.
Sophie fissò il gioiello blu che pendeva dall'orecchio di
Howl e cominciò a passargli un uovo dopo l'altro. — Perché
sono venuta qui, giovanotto? —. Dopo quello che aveva visto
nel castello, la scusa sembrava lampante — Ovviamente sono
venuta per essere la tua nuova domestica.
— Davvero? — Howl, intanto, rompeva con una mano le
uova e buttava i gusci fra i ceppi dove Calcifer sembrava
mangiarli di gusto, facendo un sacco di smorfie. — E chi dice
che sei la mia nuova domestica?
— Io — rispose Sophie con aria risoluta e si affrettò ad
aggiungere: — Io posso pulire lo sporco di questo posto, anche
se non posso spazzare via la malvagità dal tuo cuore,
giovanotto.
— Howl non è cattivo — intervenne Michael.
— Sì che lo sono — lo contraddisse Howl. — Ti dimentichi
come sia crudele in questo momento, Michael —. Poi, alzando il
mento verso Sophie: — Se sei così ansiosa di renderti utile,
buona donna, trova coltelli e forchette e pulisci il banco da
lavoro.
Sotto il bancone c'erano degli alti sgabelli e Michael
cominciò a tirarli fuori e ammonticchiare da una parte del tavolo
tutte le cose di cui era ingombro, per far posto alle posate che
tirò fuori da un cassetto posto su di un lato del banco. Sophie si
mise ad aiutarlo. Non si era certo aspettata che Howl le desse il
benvenuto, ma non si era neppure sbilanciato a darle il permesso
di restare, una volta finita la colazione. Poiché Michael
sembrava cavarsela benissimo da solo, Sophie andò a prendere
il suo bastone e con calma, ma ostentatamente, lo mise nel
ripostiglio delle scope. Dato che questo gesto sembrava non
aver attirato l'attenzione di Howl, gli disse: — Puoi tenermi per
un mese di prova, se ti fa piacere —. Ma Howl si limitò a
ordinare a Michael: — I piatti, per favore — e si drizzò con la
padella fumante nelle mani, mentre Calcifer balzò su con un
ruggito di sollievo, spingendo le sue fiamme in alto nel camino.
Sophie fece un altro tentativo per punzecchiare il Mago: —
Se dovrò fare le pulizie qui per il mese prossimo, mi piacerebbe
conoscere il resto del castello, io sono riuscita a trovare solo
questa stanza e il bagno. Con sua grande sorpresa sia Michael
che il Mago scoppiarono in una sonora risata. Solo quando
finirono di fare colazione Sophie scoprì il motivo della risata.
Non solo risultava difficile punzecchiare Howl, ma sembrava
anche che non gli facesse piacere rispondere a nessun tipo di
domanda. Una volta compresa questa sua tattica, Sophie la
smise di porre domande al Mago e si rivolse a Michael.
— Spiegale tutto, così la smetterà di essere noiosa — disse
Howl rivolto all'apprendista.
— C'è solo la parte del castello che avete visto, Sophie, oltre
a due camere da letto al piano di sopra.
— Cosa?
Howl e Michael risero di nuovo e l'apprendista continuò a
spiegare:
— Howl e Calcifer hanno inventato il castello. È il demone a
mantenerlo in movimento. Il suo interno è costituito dalla
vecchia casa di Howl a Porthaven ed è l'unica parte reale.
— Ma Porthaven è molte miglia lontano da qua, giù verso il
mare! — disse Sophie. — Questa è pura malvagità! E perché
fare andare avanti e indietro, su e giù per le colline questo
enorme, terribile castello e spaventare a morte tutti gli abitanti di
Market Chipping?!
Howl si strinse nelle spalle. — Che vecchia chiacchierona
sei! Ho raggiunto uno stadio della mia carriera in cui ho bisogno
di impressionare tutti con il mio potere e la mia malvagità,
altrimenti anche il Re non avrebbe una buona opinione di me.
Inoltre l'anno scorso ho offeso qualcuno molto potente e ora ho
bisogno di starmene alla larga. Quello sembrava un modo
abbastanza strano per evitare qualcuno, pensò Sophie, ma
immaginò che i maghi avessero abitudini diverse dalle persone
comuni.
In breve scoprì che il castello aveva altre peculiarità.
Avevano appena finito di mangiare e Michael stava impilando i
piatti nel lavello ancora sporco, quando si udì bussare forte e
prepotentemente alla porta. Calcifer divampò: — Porta di
Kingsbury!
Howl, che si stava dirigendo verso il bagno, andò invece alla
porta. Sopra di essa c'era un pomello di legno quadrato fissato
nell'architrave con una pennellata di vernice su ciascuno dei
quattro lati. La parte tinta di verde era rivolta verso il basso, ma
Howl, prima di aprire la porta, ruotò il pomello in modo che
verso il basso ci fosse la parte dipinta in rosso. Fuori c'era un
personaggio con una parrucca bianca rigida e un cappello a
larghe tese. Indossava un abito viola, scarlatto e dorato e
reggeva un piccolo staffile decorato con nastri che sembrava un
sonaglio per bimbi. Si inchinò. Un profumo dolce di chiodi di
garofano e fiori d'arancio pervase la stanza.
— Sua Maestà il Re presenta i suoi omaggi e mi manda a
consegnarvi il pagamento anticipato a fronte dell'ordine di
duemila paia di stivali delle sette leghe — disse questa persona.
Dietro di lui Sophie aveva scorto una carrozza ferma in
attesa, in una strada piena di case sontuose decorate con
incisioni dipinte e torri, guglie e cattedrali di uno splendore
inimmaginabile.
Con suo grande dispiacere, al messaggero occorse poco
tempo per porgere al Mago un borsellino di seta sonante di
monete, e altrettanto poco tempo occorse a Howl per prenderlo,
inchinarsi a sua volta e richiudere la porta. Howl ruotò il
pomello quadrato con la parte verde verso il basso e mise in
tasca il borsellino. Sophie vide gli occhi di Michael seguire il
percorso del borsellino con aria ansiosa e preoccupata. Howl si
diresse quindi verso il bagno ordinando al fuoco: — Calcifer, ho
bisogno di acqua calda! — e scomparve per un bel po' di tempo.
Sophie non riuscì a frenare la curiosità — Chi era, Michael,
quella persona alla porta, e soprattutto, dove si trovava?
— La porta dà su Kingsbury, dove vive il Re. Penso che
quell'uomo fosse il segretario del Cancelliere —. E, rivolto a
Calcifer, aggiunse: — Vorrei che non gli avesse dato tutto quel
denaro.
— Pensi che Howl mi lascerà restare?
— Se lo farà, voi non dovrete forzarlo in nessun modo - le
rispose Michael. — Odia essere vincolato a qualsiasi cosa.
CAPITOLO CINQUE
Che è veramente troppo pieno di lavaggi
Sophie decise che l'unica cosa da fare era dimostrare a Howl
di essere una domestica sopraffina, un vero tesoro. Si legò un
vecchio straccio attorno ai capelli, ispidi e bianchi; si arrotolò le
maniche sulle braccia ossute e usò una vecchia tovaglia trovata
nel ripostiglio delle scope come grembiule. Pensò con sollievo
che doveva pulire solo quattro stanze e non un intero castello,
così prese un secchio e una granata e si mise al lavoro.
— Ma questa cosa fa? — gridarono Michael e Calcifer in
coro, inorriditi.
— Pulisco — replicò Sophie decisa. — Questo posto è una
schifezza.
— Non ce n'è alcun bisogno — disse Calcifer, e Michael di
rincalzo mormorò: — Howl la sbatterà fuori a calci!
Sophie ignorò entrambi e continuò a sollevare nugoli di
polvere. Alcuni colpi alla porta vennero a interrompere questa
scena. Calcifer levò le sue fiamme dicendo: — Porta di
Porthaven! — e fece volare mille scintille rosse e viola fra le
nuvole di polvere, mentre Michael lasciava il banco di lavoro e
andava ad aprire.
Sophie vide Michael ruotare il pomello quadrato in modo
che la parte colorata di blu fosse rivolta in basso, quindi aprì la
porta e le comparve davanti la strada che aveva visto dalla
finestra. Fuori dalla porta c'era una ragazzina che si rivolse a
Michael: — Buongiorno, signor Fisher. Sono venuta a ritirare
l'incantesimo per la mia mamma.
— Se non sbaglio era l'incantesimo per la sicurezza della
barca di tuo babbo... mi ci vorrà solo un attimo —. Tornò al
banco di lavoro, prese una polvere da un vaso posto su uno
scaffale e la mise in un pezzo di carta quadrato. Mentre Michael
preparava la pozione, la ragazzina spiò con curiosità Sophie che
ricambiò lo sguardo indagatore.
Finalmente Michael tornò con il pacchettino contenente la
polvere.
— Dille di spargerla per bene lungo tutta la barca. Durerà per
molto tempo, anche se ci sarà tempesta.
La ragazzina prese il pacchetto e diede a Michael una
moneta, chiedendogli curiosa: — Ma... lo Stregone ha una
nuova Strega che lavora per lui?
— No — si affrettò a rispondere Michael.
Sophie, però, si intromise: — Parli di me? Sì, bambina mia,
sono la Strega migliore e più pulita delle Terre di Ingary.
Michael chiuse la porta esasperato. — Adesso lo saprà tutta
Porthaven e a Howl potrebbe non piacere affatto —. Così
dicendo ruotò di nuovo il pomello con la parte verde in basso.
Sophie per un po' parlò fra sé e sé, per niente pentita di
quello che aveva fatto. Quand'era una ragazza le sarebbe venuta
la pelle d'oca per l'imbarazzo al solo pensiero di come si stava
comportando, da vecchia non le importava niente di quello che
dicesse e facesse. Tutto sommato era un gran sollievo. Chissà
come le era venuto in mente di dire che era una Strega, forse
gliel'aveva suggerito la scopa, ma questo avrebbe potuto
persuadere Howl a permetterle di restare, visto che ormai tutti a
Porthaven sapevano che lei si trovava lì. Così, quando Michael
sollevò una pietra del caminetto e nascose la moneta della
ragazzina, Sophie continuò imperterrita con le sue domande: —
Cosa stai facendo?
— Calcifer e io stiamo cercando di accantonare un po' di
denaro — rispose Michael con tono colpevole. — Altrimenti
Howl spenderebbe ogni penny che guadagniamo.
— Spendaccione dalle mani bucate! — gracchiò Calcifer. —
Spenderà il denaro del Re più velocemente di quanto io non
bruci un ceppo nel camino. Sciocco imprevidente!
Sophie spruzzò dell'acqua sul pavimento per non sollevare
troppa polvere e Calcifer si ritrasse sul fondo del focolare.
Sophie ricominciò a spazzare dirigendosi verso la porta per
meglio osservare il pomello quadrato. Il quarto lato del pomello,
che non era ancora stato usato, era dipinto di nero.
Domandandosi dove mai si aprisse la porta quando il pomello
era sul nero, Sophie cominciò a togliere le ragnatele che
pendevano dalle travi del soffitto con foga tale che Michael si
lamentò e Calcifer starnutì.
Proprio in quel momento Howl uscì dal bagno circondato da
un alone di profumo, meravigliosamente azzimato. Persino le
filigrane d'argento e i ricami sul suo vestito sembravano essere
diventati più luminosi. Si guardò intorno e si ritrasse verso il
bagno, proteggendosi la testa con la lunga manica del vestito. —
Fermati, donna! Lascia stare quei poveri ragni!
— Queste ragnatele sono una vera disgrazia! — disse Sophie,
continuando il suo lavoro.
— Lascia stare le ragnatele e lascia in pace i ragni!
Sophie pensò che Howl avesse una malvagia affinità con
quei ragni, ma continuò imperturbabile. — Produrranno soltanto
nuove ragnatele.
— E uccideranno le mosche, cosa molto utile — ribatté
Howl. — Tieni ferma quella scopa mentre attraverso la stanza,
per favore.
Sophie si appoggiò alla scopa e guardò Howl che andava a
prendere la chitarra. Quando il Mago aveva ormai la mano sul
chiavistello della porta, Sophie gli chiese: — Se il rosso porta a
Kingsbury e il blu a Porthaven, dove porta il nero?
— Che vecchia ficcanaso! Il nero porta al mio privatissimo
rifugio e non sei tenuta a sapere dove esso sia —. Così dicendo
Howl aprì la porta sull'ampia brughiera e sulle colline che
scivolavano sotto al castello.
— Quando tornerai? — chiese Michael in tono scoraggiato,
ma Howl fece finta di non aver sentito e si rivolse, invece, a
Sophie: — Non devi uccidere un singolo ragno, mentre sono via
—. Poi la porta sbatté dietro di lui. Michael diede un'occhiata
significativa a Calcifer e sospirò. Il demone, di rimando,
scoppiettò in una maliziosa e gracchiante risata. Dato che
nessuno le aveva comunicato dove Howl se ne fosse andato,
dedusse che fosse di nuovo in caccia di ragazze e si rimise a
lavorare con rinnovato vigore, anche se non osò far del male a
nessun altro ragno dopo quanto le aveva intimato il Mago.
Cominciò così a battere le travi con la scopa, urlando: — Via,
ragni! Fuori dai piedi!
I ragni, temendo per la loro vita, cominciarono a scappare
rifugiandosi in ogni fessura, mentre le ragnatele cadevano come
vecchi festoni. A quel punto dovette spazzare di nuovo il
pavimento, dopo di che si inginocchiò per passare la brusca.
— Vorrei che la smetteste! — le disse Michael seduto sulle
scale, fuori dalla sua portata, mentre Calcifer, nascosto dietro il
parafuoco, mormorava: — Oh come vorrei non aver fatto alcun
patto con te!
Sophie continuò a lavare vigorosamente il pavimento: —
Sarete entrambi molto più contenti quando qui sarà tutto più
ordinato e pulito.
— Ma intanto io mi sento soltanto depresso! — protestò
Michael. Howl rientrò a notte fonda e, a quel punto, Sophie era
ridotta in uno stato in cui riusciva a malapena a muoversi per la
fatica fatta, e se ne stava seduta eretta sulla sedia sentendo
dolore in ogni parte del corpo. Appena il Mago fu entrato,
Michael lo prese per una manica e lo attirò dentro il bagno, da
dove Sophie sentì provenire un torrente di lamentele accorate.
Distinse chiaramente frasi come "terribile vecchia impicciona" e
"non ascolta una sola parola", e persino Calcifer si mise a
ruggire: — Howl, fermala! Ci ucciderà tutti quanti!
Quando Michael lo lasciò finalmente andare, Howl rivolse a
Sophie un'unica domanda: — Hai ucciso qualche ragno?
— Naturalmente no! — rispose lei seccamente, dato che i
dolori la rendevano irritabile. — I ragni mi guardano e scappano
via temendo per la loro vita. Ma che cosa sono? Ragazze alle
quali tu hai mangiato il cuore? Howl rise. — No, sono soltanto
ragni — e salì pensieroso al piano di sopra. Michael sospirò, poi
entrò nel ripostiglio e continuò a rovistare finché non tirò fuori
un vecchio letto pieghevole, un materasso di paglia e delle
coperte che mise nella nicchia sotto la scala.
— Fareste meglio a dormire qui questa notte — suggerì a
Sophie.
— Significa che Howl mi permette di restare?
— Non lo so! — le rispose Michael irritato. — Howl si
interessa solo a se stesso. Sono trascorsi almeno sei mesi prima
che desse segno di accorgersi che vivevo qui ed ero diventato il
suo apprendista. Ho solo pensato che un letto sia più comodo di
una sedia —. Sophie allora lo ringraziò di cuore. Il letto si
dimostrò veramente più comodo della sedia, e quando Calcifer
si lamentò di aver fame e di aver bisogno di legna per la notte fu
facile per Sophie allungarsi e mettere un altro ceppo nel camino.
Nei giorni che seguirono, Sophie continuò a pulire il castello
senza sentirsi più in colpa, anzi, trovò la cosa divertente.
Dicendo a se stessa che stava cercando degli indizi lavò la
finestra, pulì il lavandino melmoso e fece sgomberare a Michael
sia il tavolo da lavoro che tutte le scansie in modo da poterle
spolverare a dovere. Tolse ogni cosa dagli armadietti, staccò
tutto quello che pendeva dalle travi e pulì ogni angolo della
stanza. A forza di spostare il teschio da un posto all'altro, le
sembrò che avesse assunto la stessa aria sofferente che anche
Michael aveva dipinta sul volto. Riuscì a scomodare perfino
Calcifer: infatti, per pulire la cappa del camino lo costrinse a
piegare il più possibile la testa in avanti, cosa che il demone
detestava più di ogni altra. Calcifer si prese la rivincita quando
Sophie scoprì che la fuliggine si era posata dappertutto,
nonostante avesse appeso un telo di fronte al focolare. Il guaio
di Sophie era di non avere metodo. Ora avrebbe dovuto
ricominciare a pulire da capo.
Questo suo darsi da fare per pulire il castello nascondeva,
comunque, l'intento di cercare il nascondiglio del tesoro di
Howl. Prima o poi si sarebbe di certo imbattuta nelle anime
delle ragazze o nei loro cuori masticati, oppure avrebbe trovato
qualcosa che avrebbe spiegato il contratto fra Howl e Calcifer.
Sophie aveva pensato che la cappa del camino, a cui Calcifer
faceva da sentinella, avrebbe potuto essere un ottimo
nascondiglio, ma trovò solamente un mare di fuliggine con la
quale riempì alcuni sacchi che poi lasciò in cortile. Luogo,
questo, che figurava in cima alla lista dei possibili posti in cui
cercare con cura. Ogni volta che Howl rientrava, Michael e
Calcifer si lamentavano a gran voce di Sophie. Il Mago
sembrava non accorgersene, così come non sembrava notare i
risultati della pulizia e nemmeno che la dispensa fosse sempre
più piena di provviste, quali dolci, marmellata e ogni tanto
insalata verde.
Come Michael aveva profetizzato, la voce era corsa veloce
per tutta Porthaven, così la gente cominciò a presentarsi alla
porta per vedere Sophie che veniva chiamata Signora
Fattucchiera; a Kingsbury, invece, era stata nominata Signora
dei Sortilegi, infatti la notizia si era sparsa anche nella capitale.
Sebbene la gente che bussava alla porta di Kingsbury fosse
vestita assai meglio della gente di Porthaven, il loro
comportamento era simile: nessuno in entrambi i posti si
azzardava a scomodare una persona potente senza una scusa,
così Sophie spesso si trovava a dover interrompere il lavoro per
accettare un regalo, fare un sorriso o pregare Michael di operare
un incantesimo per qualcuno. Alcuni regali erano veramente
carini: dipinti, collane di conchiglie e utili grembiuli. Sophie
usava quotidianamente i grembiuli e appese le collane e i dipinti
nella sua 'cuccia' sotto la scala che cominciò a prendere un
aspetto sempre più umano e confortevole. Sapeva che tutto
questo le sarebbe mancato quando Howl l'avrebbe cacciata e
cominciò a paventare sempre più il momento in cui l'avrebbe
fatto. Non poteva andare avanti ignorando l'eventualità.
Terminata la stanza principale, pulì il bagno. Questo le
occupò diverse giornate perché Howl vi trascorreva molto
tempo, ogni giorno prima di uscire. Appena lui se ne andava,
lasciando dietro di sé una scia di profumo e il bagno pieno di
vapore, Sophie vi entrava.
— Cerchiamo qualcosa che riguardi il contratto — mormorò
la prima volta alla vasca, ma il suo vero obiettivo era la scansia
dei pacchetti, vasi e tubetti. Col pretesto di pulire accuratamente
lo scaffale li spostò uno a uno e li esaminò accuratamente per
vedere se dietro le etichette che dichiaravano PELLE, OCCHI e
CAPELLI ci fossero in effetti ragazze fatte a pezzettini minuscoli.
Mentre procedeva con il lavoro si convinse che in effetti erano
soltanto creme, ciprie e tinture. Se mai si fosse trattato di
ragazze che non ce l'avevano fatta contro Howl, doveva aver
usato su di esse il misterioso contenuto del tubetto PERDENTI.
Una volta decomposte, Howl avrebbe potuto sbarazzarsi
facilmente dei resti nel lavandino, ma in cuor suo Sophie sperò
che in tutti quei contenitori ci fossero solo dei cosmetici.
Dopo aver pulito, rimise ogni cosa al suo posto. Quella notte,
mentre sedeva dolorante sulla sedia, Calcifer brontolò di aver
dovuto prosciugare un'intera sorgente di acqua calda per tutte
quelle pulizie.
— Dove sono le sorgenti di acqua calda? — domandò
Sophie, curiosa di tutto ciò che riguardava il Mago e il suo
castello.
— La maggior parte si trova sotto le Paludi di Porthaven —
le rispose Calcifer, — ma se vai avanti a questo ritmo, dovrò
andare a prendere l'acqua calda dalle Terre Desolate. Quando la
finirai di pulire e troverai come rompere il mio contratto?
— A tempo debito... come posso scoprire i termini del
contratto se Howl non è mai in casa? Ma... se ne sta sempre via
così tanto?
— Solo quando sta dietro a una signora — le spiegò il
demone.
Una volta che il bagno fu pulito e brillante, Sophie attaccò le
scale e il pianerottolo. Quindi si spostò nella cameretta di
Michael. Questi, che sembrava aver accettato la presenza di
Sophie come un ineluttabile disastro naturale, nel momento in
cui fu invasa la sua camera cacciò un urlo di costernazione e si
precipitò su per le scale per salvare le sue cose più care che
erano racchiuse in una vecchia scatola posta sotto al letto di
legno mangiato da tarli. Una volta raggiunta la scatola, la strinse
fra le braccia proteggendola dalle grinfie di Sophie e lei vide un
nastro blu con sopra una rosa di zucchero e quelle che
sembravano essere delle lettere.
— Così Michael ha un'innamorata! — disse a se stessa
mentre apriva la finestra, che dava anch'essa su una strada di
Porthaven, e metteva le coperte a prendere aria. Considerando
quanto ultimamente fosse diventata curiosa, Sophie si sorprese
di se stessa per non avergli chiesto chi fosse mai quella ragazza
e come avesse fatto a tenerla al sicuro da Howl. Spazzò una tale
quantità di polvere e di pattume dalla stanza di Michael che
quasi soffocò Calcifer nel tentativo di bruciarlo.
— Mi condurrai alla morte! Sei senza cuore come Howl! —
riuscì a dire il demone che mostrava solo la sua capigliatura
verde e un pezzettino del lungo viso blu.
Michael mise la sua preziosa scatola nel cassetto del tavolo
da lavoro e poi lo chiuse a chiave. — Vorrei che Howl ci
ascoltasse!' Perché quella ragazza gli porta via così tanto tempo?
Il giorno successivo Sophie pensò di cominciare a ripulire il
cortile, ma quel giorno a Porthaven si mise a piovere. L'acqua
picchiava contro la finestra e si infilava nel camino, facendo
fischiare Calcifer in modo assai fastidioso. Anche il cortile
faceva parte della casa di Porthaven, così, quando Sophie aprì la
porta fu investita da uno scroscio di pioggia. Si protesse la testa
col grembiule, cominciò a rovistare fra gli oggetti che si
trovavano lì ammassati e, prima di essersi bagnata come un
pulcino, trovò un grande pennello e un secchio di pittura bianca
che portò in casa e con i quali cominciò a ridipingere le pareti.
Grazie a una scala di legno trovata nel ripostiglio, riuscì a
dipingere anche il soffitto fra i travi. La pioggia si protrasse per
due giorni, ma quando Howl apriva la porta con il lato del
pomello verde girato in basso e usciva sulla collina, c'era il sole
e grandi nuvole bianche si rincorrevano sopra l'erica, più veloci
del castello. Sophie pitturò di bianco anche le pareti del suo
cantuccio, delle scale, del pianerottolo e della camera di
Michael. Quando Howl rientrò, il terzo giorno non poté fare a
meno di esclamare: — Cos'è successo qui? Sembra tutto più
luminoso.
Michael, con voce da funerale, pronunciò solo: — Sophie!
— Avrei dovuto indovinarlo — disse il Mago scomparendo nel
bagno.
— L'ha notato! — bisbigliò Michael a Calcifer. —
Evidentemente la ragazza alla fine sta cedendo!
Il giorno successivo cadeva ancora una fine pioggerellina su
Porthaven. Sophie si mise il fazzoletto in testa per coprirsi i
capelli, si arrotolò le maniche e si legò il grembiule in vita, poi,
armata di secchio, granata e sapone, si accinse a pulire la stanza
di Howl col cipiglio di un angelo vendicatore non appena il
Mago uscì dal castello. Aveva lasciato per ultima quella stanza
per paura di quello che avrebbe potuto trovarvi, addirittura non
aveva osato, fino a quel momento, darvi nemmeno una
sbirciatina. Era stato un atteggiamento abbastanza sciocco,
pensò mentre si inerpicava su per le scale. A questo punto le era
chiaro che fosse Calcifer a fare la maggior parte delle magie nel
castello. Michael svolgeva tutto il lavoro di routine, mentre
Howl se ne andava a zonzo in caccia di ragazze, e sfruttava gli
altri due, proprio come Fanny aveva sfruttato lei. Sophie non
aveva mai trovato Howl particolarmente spaventoso, e ora nei
suoi confronti provava solo del disprezzo. Arrivò al pianerottolo
e trovò Howl fermo sulla soglia della sua stanza. Stava
appoggiato allo stipite con aria indolente, bloccando
completamente l'accesso. — No, non lo fare — le disse in tono
gentile,
— voglio che la mia camera resti sporca. Grazie. Sophie,
imperturbabile, lo guardò fisso negli occhi.
— Da dove sei entrato? Ti avevo visto uscire.
— Ho immaginato quello che avevi intenzione di fare. Hai
fatto del tuo peggio con Michael e Calcifer, quindi, una volta
terminato con loro, era logico che avresti rivolto su di me le tue
attenzioni. Qualsiasi cosa ti abbia detto Calcifer, non
dimenticare che io sono un Mago. O forse pensavi che non fossi
nemmeno in grado di una magia così piccola? Questo sconvolse
tutte le supposizioni fatte poco prima da Sophie, ma sarebbe
morta piuttosto di ammetterlo. — Tutti sanno che sei un Mago,
giovanotto, ma questo non cambia il fatto che il tuo castello sia
il posto più sporco in cui io sia entrata.
Così dicendo cercò di sbirciare la camera di Howl,
guardando sotto la manica del suo vestito. Il tappeto sul
pavimento era ingombro di sporcizia come il nido di un uccello.
Dalle pareti della stanza pendevano brandelli di intonaco e c'era
uno scaffale pieno di libri dall'aspetto bizzarro e sospetto. Non
c'era comunque traccia di cuori di ragazza masticati, ma
potevano essere dietro, o sotto, l'enorme letto a baldacchino. Le
tende del baldacchino erano grigie e bianche, tutte impolverate,
e le impedivano di scorgere il paesaggio oltre la finestra. Howl
le sventolò la manica in faccia. — Uh! Uh! Non essere curiosa.
— Non sono curiosa! — protestò Sophie. — È che quella
stanza...
— Sì, tu sei una vecchia ficcanaso! Terribilmente curiosa,
orribilmente autoritaria. Una vecchia che tiene alla pulizia in
maniera maniacale. Controllati! Stiamo diventando tutti tue
vittime.
— Ma questo è un porcile e io non posso essere diversa da
quello che sono!
— Sì che lo puoi. In ogni caso a me piace la mia stanza così
com'è. Devi riconoscere che ho il diritto di vivere in un porcile,
se voglio. Ora scendi al piano di sotto e pensa a qualcos'altro da
fare. Per favore. Odio litigare con la gente.
Sophie non poté fare altro che scendere le scale col suo passo
zoppicante e con il secchio che le sbatteva contro il fianco. Era
un po' scossa e soprattutto molto sorpresa che Howl non l'avesse
cacciata dal castello su due piedi. Dato che non l'aveva fatto, le
venne subito in mente la mossa successiva: aprì la porta a fianco
alla scale e scoprì che aveva smesso di piovere quasi del tutto,
così andò decisa in cortile e cominciò a impilare con furia tutti i
ferrivecchi che vi si trovavano. Nel muovere tutta quella
ferraglia, Sophie faceva un fracasso infernale, così Howl
ricomparve sulla porta, incespicando nella lastra di ferro
arrugginito che stava spostando.
— Nemmeno qui puoi pulire! Sei un vero terremoto! Lascia
stare il cortile. Io so esattamente dove si trova ogni oggetto, e se
tu fai ordine non riuscirò più a trovare quello che mi serve per
gli incantesimi di trasporto. Sophie pensò che probabilmente era
proprio quello il posto dove il Mago teneva nascosto un cesto di
anime o una scatola di cuori masticati. Si sentì talmente frustrata
da urlare: — Fare le pulizie è il mio compito qui!
— Allora devi inventarti una nuova ragione di vita — le
rispose Howl che, per un attimo, sembrò sul punto di perdere le
staffe. I suoi strani occhi chiari guardarono dappertutto senza
soffermarsi su Sophie, infine riuscì a controllarsi. — Ora fila in
casa, vecchia trottola sempre in movimento, e trovati
qualcos'altro con cui giocare prima che io mi arrabbi sul serio.
Detesto arrabbiarmi.
Sophie incrociò le braccia ossute, non le piaceva essere
fissata da quegli occhi freddi come il ghiaccio. — Certo, tu odi
arrabbiarti! Non ti piace fare niente che ti risulti sgradevole,
vero? Sei un opportunista... dovrebbero chiamarti il Mago
Svicolone. Ecco quello che sei! Scappi via da qualsiasi cosa che
non ti piaccia!
Howl la guardò con un sorriso tirato sulle labbra. — Bene,
ora conosciamo i difetti l'uno dell'altra. Torna in casa. Sbrigati.
Si mosse verso Sophie indicandole la direzione, ma, così
facendo, la lunga manica del suo braccio alzato si impigliò nel
metallo arrugginito e si strappò. — Dannazione! — esclamò
Howl tenendosi i lembi strappati — Guarda che cosa mi hai
fatto fare!
— Te la posso rammendare.
Le diede un'altra occhiata glaciale. — Ecco, ci stai
ricadendo. Devi proprio amare il servilismo! —. Howl prese
delicatamente i lembi strappati della manica fra le dita della
mano destra e li unì. Non appena la sua mano lasciò la stoffa,
Sophie vide che lo strappo era scomparso.
- Ecco fatto! Hai capito adesso?
Sophie rientrò nel castello piuttosto abbattuta. Ovviamente i
Maghi non hanno nessun bisogno di lavorare come la gente
comune e Howl le aveva dimostrato di essere veramente un
mago.
— Perché non si sbarazza di me? — disse Sophie un po'
rivolta a se stessa e un po' a Michael, che le rispose: — Non lo
so! E la cosa mi colpisce. Penso che Calcifer abbia comunque a
che fare con la vostra permanenza in questo posto. Infatti, tutti
quelli che entrano nel castello o non lo notano nemmeno oppure
ne sono spaventati a morte. Voi, invece...
CAPITOLO SEI
In cui Howl esprime i suoi sentimenti con melma verde
Howl quel giorno non uscì, né lo fece per alcuni giorni
successivi. Sophie sedette tranquilla vicino al camino tenendosi
fuori dai piedi e pensando. Dovette ammettere con se stessa che
aveva riversato tutti i suoi sentimenti di rabbia e frustrazione sul
castello, ma, a pensarci bene, ce l'aveva solo con la Strega delle
Terre Desolate. Inoltre era anche turbata dal fatto di trovarsi lì
sotto mentite spoglie e che il Mago potesse pensare che lei
piacesse a Calcifer, quando invece sapeva bene che il demone
aveva solo colto l'occasione per stipulare un patto con lei.
Sophie rimuginò anche sulla sua capacità di far piegare la testa
al demone.
Tutte queste elucubrazioni comunque non durarono a lungo,
perché scoprì una pila di abiti di Michael che avevano bisogno
di essere rammendati. Frugò nella sua tasca da lavoro e tirò
fuori ago, filo, forbici e ditale. Quando giunse la sera, il suo
animo si era rasserenato al punto di unirsi alla voce di Calcifer
che cantava una sciocca canzoncina che parlava di casseruole.
— Felice del tuo lavoro? — le chiese Howl con tono
sarcastico.
— Ho bisogno di qualcos'altro da fare ancora — gli rispose
tranquillamente Sophie.
— Bene, se hai bisogno di sentirti impegnata, il mio vecchio
abito ha bisogno di qualche rammendo.
Questo probabilmente voleva dire che il Mago non era più
seccato con lei. Sophie, che aveva passato tutta la giornata tesa
come una corda di violino, si sentì sollevata.
Era inoltre chiaro che Howl non aveva ancora catturato la
ragazza cui dava la caccia. Sophie sentì che Michael poneva al
Mago delle domande piuttosto ovvie riguardo l'argomento e che
Howl le eludeva con grande abilità. — È veramente un grande
'svicolone' — mormorò Sophie a un paio di calzini di Michael
che stava rammendando. — Non riesce ad affrontare la sua
malvagità.
Guardò Howl che faceva finta di essere indaffarato per
nascondere il suo malcontento. Questo almeno era un
atteggiamento che riusciva a comprendere piuttosto bene. Al
banco di lavoro si dava da fare con molto maggiore impegno e
molto più velocemente di Michael, mettendo assieme gli
incantesimi in modo esperto, ma frenetico. Dall'espressione
dipinta sul volto dell'apprendista, Sophie comprese che quelle
magie erano inusuali e difficili da sviluppare, ma non fece in
tempo a fare questa considerazione che Howl lasciò un
incantesimo a metà e si precipitò in camera sua per cercare
qualcosa, sicuramente qualche oggetto sinistro, poi scese di
corsa in cortile per fare anche lì un'altra magia.
Sophie aprì uno spiraglio della porta e si stupì nel vedere
l'elegante Mago inginocchiato nel fango, con le lunghe maniche
del vestito legate dietro al collo per essere libero nei movimenti,
mentre componeva una strana forma fatta di metallo tutto
ingrassato e ingarbugliato dentro una strana cornice. Quella
magia era per il Re. Un altro messaggero, elegantemente vestito
e profumato, arrivò con una lettera e si dilungò in un complicato
discorso in cui si chiedeva se Howl avrebbe potuto dedicare il
suo tempo libero, che altrimenti avrebbe senz'altro impiegato in
modo più interessante, a concentrare la sua potente e ingegnosa
mente su un piccolo problema che assillava Sua Maestà Reale, a
escogitare cioè come un esercito potesse trasportare pesanti carri
attraverso la palude e sul terreno sconnesso. Howl diede una
risposta meravigliosamente educata e altrettanto contorta. In
sostanza disse di no. Il messaggero, però, continuò a parlare per
un'altra buona mezz'ora, e alla fine, dopo essersi più volte
inchinati l'uno verso l'altro, Howl acconsentì a risolvere il
problema.
— Tutto questo è un po' infausto — disse Howl rivolto a
Michael, una volta che il messaggero se ne fu andato. —
Sembra proprio che Suliman si sia perso nelle Terre Desolate...
Lui, che è il Mago di Corte. E il Re pensa che invece io ce la
possa fare.
— A ogni buon conto Suliman non era creativo come te —
replicò Michael.
— Sono troppo paziente e troppo educato - continuò Howl
con tono funereo. — Gli avrei dovuto chiedere una ricompensa
ben maggiore.
Il Mago si comportava in modo ugualmente paziente ed
educato con i clienti di Porthaven, ma, come Michael gli fece
notare per l'ennesima volta e con una certa ansia nella voce, il
guaio era che Howl chiedeva pochissimo agli abitanti di quella
cittadina. Questa discussione avvenne dopo che Howl aveva
ascoltato per un'ora le motivazioni della moglie di un pescatore
che non poteva pagargli neanche un penny e dopo aver
promesso al capitano di una nave una magia, praticamente
gratuita, per ottenere un buon vento. Howl, come al solito, riuscì
a eludere tutti i commenti di Michael e gli diede, invece, una
lezione di magia. Sophie attaccava i bottoni della camicia di
Michael e ascoltava Howl che faceva un incantesimo assieme al
suo aiutante.
— So di fare le cose in modo affrettato — stava dicendo il
Mago, — ma non c'è nessun bisogno che tu mi prenda ad
esempio. Per prima cosa il libro degli incantesimi va letto
attentamente, con grande cura e precisione. La formula con la
quale è espresso un incantesimo ti dirà molte cose, per esempio
se ci si trova di fronte a un incantesimo che si sviluppa da solo
oppure a uno che si scioglie da solo, oppure a un incantamento
semplice o infine a un incantesimo composto da gesti e formule.
Quando hai capito di che tipo si tratta, rileggi di nuovo la
formula e decidi quali sono le parti che hanno il significato
letterale e quelle che sono composte come un indovinello o un
puzzle. Ora stai venendo a conoscenza di incantesimi sempre
più potenti, e scoprirai che ogni sortilegio che fornisce potere
racchiude in sé almeno un errore inserito deliberatamente o un
enigma, al fine di prevenire incidenti. Tu devi individuare queste
parti. Ora prendi in considerazione questa magia...
Ascoltando le esitanti risposte di Michael alle domande poste
da Howl e vedendo il Mago prendere appunti su un foglio di
carta con una strana penna d'oca che non aveva bisogno di
essere intinta nell'inchiostro, Sophie si rese conto che avrebbe
potuto imparare anch'essa un sacco di cose. Le venne in mente
che Martha aveva potuto scoprire l'incantesimo per scambiarsi
con Lettie a casa della signora Fairfax e quindi che anche lei
sarebbe stata capace di fare lo stesso. Con un po' di fortuna non
avrebbe più avuto bisogno di appoggiarsi a Calcifer. Quando
Howl si ritenne soddisfatto e fu convinto che Michael avesse
dimenticato tutta la questione relativa ai piccoli o grandi importi
che avrebbero dovuto pagare le persone di Porthaven, condusse
il suo aiutante in cortile per farsi aiutare a eseguire l'incantesimo
per il Re. Sophie allora si alzò in punta di piedi e raggiunse
zoppicando il banco di lavoro. L'incantesimo era abbastanza
chiaro, ma gli appunti scarabocchiati da Howl la sconfissero.
— Non ho mai visto una simile scrittura! — borbottò rivolta
verso il teschio. — Ma adopera una penna o un attizzatoio?!
Scorse avidamente ogni pezzetto di carta che era sul tavolo
ed esaminò le polveri e i liquidi che si trovavano nei vasi dai
colli ricurvi.
— Lo ammetto — disse al teschio, — sto spiando e mi
merito di trovare tutte queste cose inutili al mio caso: adesso so
come curare la peste dei polli, far terminare un attacco di
pertosse, far sollevare un vento e rimuovere i peli dalla faccia.
Se Martha avesse fatto questo genere di scoperte sarebbe ancora
dalla signora Fairfax!
Quando Howl tornò, Sophie pensò per un momento che
sarebbe andato a esaminare tutte le cose che lei aveva mosso. In
effetti, semplicemente, non aveva pace e non sapeva cosa fare di
se stesso. Sophie lo sentì camminare avanti e indietro per tutta la
notte e la mattina successiva rimase in bagno solo per un'ora.
Sembrava che non riuscisse a controllarsi, mentre Michael
indossava il suo miglior abito di velluto color prugna, pronto per
recarsi a Palazzo a Kingsbury, e insieme avvolgevano in una
carta dorata il voluminoso macchinario magico che avevano
preparato. L'oggetto doveva essere sorprendentemente leggero
malgrado il suo volume, perché Michael riusciva a trasportarlo
facilmente reggendolo con entrambe le braccia. Howl girò il
pomello della porta con la pennellata rossa rivolta in basso e
fece uscire l'aiutante sulla strada dalle case affrescate.
— Lo stanno aspettando. Dovrai solo rimanere in attesa per
la maggior parte della mattinata. Di' loro che anche un bambino
potrebbe farlo funzionare e mostra loro come si adopera. Avrò
pronto al tuo ritorno un nuovo incantesimo di potere su cui
lavorare. Arrivederci!
Howl chiuse la porta e cominciò a misurare la stanza a grandi
passi. Quindi prese una decisione improvvisa. — Mi prudono
troppo i piedi. Andrò a fare una passeggiata sulla collina. Di' a
Michael che l'incantesimo che gli ho promesso è sul tavolo da
lavoro ed ecco qualcosa per te, per tenerti occupata.
Dal nulla cadde in grembo a Sophie un abito grigio e
scarlatto, non meno sfarzoso di quello blu e argento. Nel
frattempo Howl aveva raccolto la chitarra, aveva ruotato il
pomello della porta con il verde in basso e con un salto era
uscito sull'erica che scorreva veloce sotto il castello, sulle
colline attorno a Market Chipping.
— A lui prudono i piedi! Poverino! — brontolò Calcifer con
tono caustico. Su Porthaven era calata una fitta nebbia e Calcifer
se ne stava basso fra i ceppi, muovendosi a disagio, cercando di
evitare le goccioline che cadevano nel camino.
— E come dovrei sentirmi io, piantato qui in questa umida
grata?
— Se vuoi che riesca a rompere il tuo contratto, dovrai darmi
almeno un indizio — gli disse Sophie mentre scrollava il vestito
grigio e scarlatto. — Buon Dio! Sei veramente un bel vestito,
anche se un po' malconcio! Sei stato cucito per attirare gli
sguardi delle ragazze.
— Io ti ho dato un indizio! — sibilò Calcifer.
— Be', allora dovrai darmelo di nuovo, perché io non l'ho
affatto capito — gli disse Sophie di rimando mentre appoggiava
l'abito e si dirigeva verso la porta.
— Se ti do un indizio e ti dico che si tratta di un indizio,
diventa un'informazione e io non sono tenuto a dartela... E
adesso dove stai andando?
— A fare qualcosa che non ho osato fare finché erano
entrambi qui. Così dicendo girò il pomello finché la parte nera
non fu rivolta verso il basso, poi aprì la porta. Fuori non c'era
niente. Non era nero né grigio né bianco. Non era denso né
trasparente. Non si muoveva, non faceva odore e non emanava
alcuna sensazione. Quando Sophie mise fuori un dito, con
cautela sentì che non era né caldo né freddo. Non sapeva di
nulla, sembrava assolutamente il nulla.
— Che cos'è questo? — chiese a Calcifer.
Il demone era interessato quanto Sophie. La sua faccia blu
era piegata il più possibile fuori dalla grata per sbirciare fuori
dalla porta. Del tutto dimentico della nebbia sospirò: — Non lo
so, lo mantengo soltanto stabile. Tutto quello che ti posso dire è
che si trova sul lato del castello che nessuno può avvicinare.
Sento che è un posto molto lontano.
— Sembra al di là della luna! — mormorò Sophie,
chiudendo la porta e ruotando il pomello col verde rivolto in
basso. Si fermò un attimo, esitante, poi cominciò a salire la
scala.
— Guarda che l'ha chiusa a chiave — le disse Calcifer. —
Mi ha detto di dirtelo nel caso che tu avessi provato a curiosare
di nuovo.
— Cosa terrà mai, lassù?
— Non ne ho la più pallida idea. Io non so niente del piano
di sopra. Se solo tu potessi immaginare quanto sia frustrante! In
effetti non riesco neanche ad avere una visione completa
dell'esterno del castello. Vedo soltanto quello che mi serve per
prendere la giusta direzione. Sophie, sentendosi ugualmente
frustrata, tornò a sedere e cominciò a rammendare l'abito grigio
e scarlatto. Poco dopo rientrò Michael.
— Il Re mi ha ricevuto subito, e...
Il suo sguardo era caduto sull'angolo, ora vuoto, dove di
solito Howl riponeva la chitarra. — Oh, no! Non di nuovo
quella signora! Pensavo che si fosse innamorata di lui già da
parecchi giorni. Che cosa la trattiene?! Calcifer sibilò con
cattiveria. — Hai interpretato male gli indizi. Howl il Senza
Cuore si è trovato davanti una signora piuttosto difficile e ha
deciso di lasciarla sola per alcuni giorni, per vedere se ciò
avrebbe giovato al suo scopo. E questo è tutto.
— Sciocchezze! Vedo solo guai in vista... E io che speravo
che Howl fosse tornato in sé!
Sophie sbatté il vestito sulle ginocchia. — Bella roba! Come
potete parlare in tono così leggero di una tale crudeltà!
Immagino di non poter biasimare Calcifer che è un demone
malvagio, ma tu, Michael...!
— Non penso proprio di essere crudele — protestò Calcifer.
— E io non sono affatto freddo e indifferente, se è questo che
pensate! — le disse Michael. — Se solo sapeste i guai che
abbiamo avuto perché Howl continua a far innamorare le
ragazze in questo modo! Abbiamo dovuto fronteggiare
procedimenti legali, fidanzati armati di spada, mamme armate di
ferri da calza e padri e zii armati di randelli. E zie. Le zie sono
terribili, ti inseguono con gli spilloni da cappelli. Ma la cosa
peggiore è quando la ragazza stessa scopre dove vive Howl e
continua a bussare alla porta, piangendo e urlando. In queste
situazioni il nostro bel Mago se ne va dalla porta di dietro,
mentre io e Calcifer dobbiamo cercare di cavarcela da soli.
— Io odio le persone infelici — aggiunse Calcifer. — Mi
gocciolano addosso le loro lacrime. Le preferisco arrabbiate.
— Chiariamo una cosa — disse Sophie stringendo fra le
mani con rabbia la seta rossa del vestito. — Ma che cosa fa
Howl a queste povere donne?! Mi è stato detto che mangia i loro
cuori e ruba loro l'anima. Michael rise a disagio: — Allora voi
venite da Market Chipping, All'inizio, quando attivammo il
castello, Howl mi mandò a Market Chipping per mettere in giro
voci che gli dessero una cattiva fama. Sono stato io... Io ho detto
tutte quelle cose. È quello che di solito dicono le zie. E poi, in
senso metaforico, corrisponde a verità.
— Howl è molto volubile — aggiunse Calcifer. — Prova
interesse per una ragazza fino a quando lei non si innamora di
lui, dopo di che non sopporta più di averci nulla a che fare.
— Ma non riesce a fermarsi finché non l'ha fatta innamorare.
Michael sembrava realmente esasperato. — Finché non c'è
riuscito, non puoi avere da lui niente di sensato. In questi casi
non vedo l'ora che arrivi il momento in cui la ragazza si
innamora di lui. Dopo le cose vanno meglio.
— Almeno fino a quando la ragazza non riesce a rintracciarlo
— sogghignò Calcifer.
— Potrebbe avere il buon senso di usare un nome falso — fu
il commento sdegnoso di Sophie. Lo sdegno serviva a
nascondere il fatto che, a quel punto, lei si sentisse veramente
una sciocca.
— Oh, lo fa sempre — disse Michael e aggiunse: — Howl
ama dare nomi falsi e stravaganti. Lo fa anche quando non sta
corteggiando una ragazza. Non avete notato che a Porthaven è
Jenkins lo Stregone, mentre a Kingsbury è il Mago Pendragon,
così come nel castello è l'Orribile Howl?
Sophie non l'aveva notato, il che la fece sentire ancora più
sciocca facendola ulteriormente arrabbiare. — Continuo a
pensare che sia malvagio, visto che va in giro a rendere infelici
delle povere ragazze. È un comportamento crudele e senza
senso.
— Ma è fatto così — fu la laconica constatazione di Calcifer.
Michael avvicinò al camino uno sgabello a tre piedi, vi si
sedette, e mentre Sophie continuava a cucire, le raccontò le
conquiste di Howl e alcuni dei guai che erano seguiti. Lei si
sentiva ancora piuttosto sciocca, e mentre cuciva brontolava con
il vestito, come sua abitudine. — Così ti nutrì di cuori, vero, mio
bel vestito? Perché le zie raccontano le cose in modo colorito,
quando parlano delle loro nipoti? Probabilmente anche loro
sono affascinate da te. Come ti sentiresti se fossi inseguito da
una zia inviperita?
Mentre Michael le raccontava di una zia in particolare, a cui
lui evidentemente stava pensando, a Sophie parve di
riconoscere, nelle sue parole, le chiacchiere che si erano fatte
attorno a Howl a Market Chipping, nei giorni prima che lei
partisse. Poi, pensando all'ultima tentata conquista del Mago, a
Sophie venne in mente quella cocciuta di sua sorella Lettie che
avrebbe potuto cadere nella trappola di Howl ed essere così
molto infelice.
Michael aveva appena suggerito di pranzare, sostenuto
dall'usuale ruggito di Calcifer se si parlava di cibo, quando
Howl aprì la porta ed entrò come un fulmine, più scontento che
mai.
— Qualcosa da mangiare? — gli propose Sophie.
— No! Piuttosto acqua calda nel bagno, Calcifer — ordinò il
Mago. Ma prima di entrare nel bagno, si soffermò per un attimo
sulla porta con aria piuttosto imbronciata. — Sophie, per caso
hai messo a posto lo scaffale degli incantesimi, qua dentro?
Sophie si sentì più sciocca che mai. Niente l'avrebbe costretta
ad ammettere che aveva rovistato fra tutti quei pacchetti e quei
barattoli alla ricerca di pezzettini di ragazza. Così assunse l'aria
più virtuosa che riuscì a dipingere sul suo volto. - Non ho
toccato proprio niente - e andò a prendere la padella.
— Spero proprio che non l'abbiate fatto — le disse Michael a
disagio, mentre la porta del bagno sbatteva.
Mentre Sophie preparava il pranzo si udiva l'acqua scrosciare
in bagno.
— Sta usando un sacco d'acqua calda — commentò Calcifer
da sotto la padella. — Penso che si stia tingendo i capelli e spero
proprio che tu abbia lasciato stare le tinture magiche. Malgrado i
suoi capelli color fango, è terribilmente vanesio.
— Oh, chiudi quella boccaccia! — sbottò Sophie. — Ho
rimesso a posto ogni cosa proprio come l'avevo trovata! — Ma
era così di cattivo umore che rovesciò uova e pancetta su
Calcifer. Naturalmente, il demone divorò tutto con mostruose
entusiastiche fiammate. Sophie fu costretta a ricominciare da
capo e finalmente anche lei e Michael poterono mangiare.
Stavano finendo di sgomberare, e Calcifer si stava ancora
leccando le labbra purpuree con la sua linguaccia blu, quando la
porta del bagno si spalancò di schianto e Howl schizzò fuori
lamentandosi disperato.
- Guarda qui! - urlò. - Guarda! Che cos'ha combinato quella
donna, signora del Caos, alle mie tinture magiche?
Sophie e Michael si voltarono per guardare Howl. I suoi
capelli erano bagnati, ma, a parte quello, nessuno dei due riuscì
a vedere alcuna differenza rispetto a prima.
— Se intendi me... — cominciò Sophie
— Certo che intendo te! Guarda! — strillò Howl.
Si lasciò andare sullo sgabello e cominciò a tamburellare con
le dita nervose sui capelli bagnati. — Guarda! Controlla!
Ispeziona! I miei capelli sono rovinati! Sembro una padella di
uova e pancetta! Michael e Sophie si piegarono nervosamente
sopra la testa di Howl. Le radici dei capelli erano del solito
colore biondo, l'unica differenza era una lieve, lievissima traccia
di rosso.
Sophie la trovò gradevole, forse perché le ricordava il colore
che avrebbero dovuto avere ancora i suoi capelli.
— Penso che sia una sfumatura molto carina.
— Carina! — gridò Howl, — sembrerà a te! L'hai fatto di
proposito. Insomma, non sei stata capace di fermarti fino a che
non mi hai scocciato del tutto. Guarda! È terribilmente rosso!
Dovrò nascondermi fino a quando non saranno cresciuti di
nuovo! — allargò le braccia scoraggiato. — Oh, disperazione!
Angoscia! Orrore!
La stanza divenne buia. Dai quattro angoli si levarono delle
enormi nuvole dall'aspetto umano che avanzarono verso Sophie
e Michael ululando. Gli ululati cominciarono come gemiti
orrendi, poi divennero ragli disperati, infine salirono di tono
esprimendo pena e terrore. Sophie si tappò le orecchie con le
mani, ma i gemiti diventarono sempre più acuti e più orribili,
attimo dopo attimo, fino a trapanarle il cervello. Calcifer
rabbrividì, si nascose sotto la grata e le sue fiamme si vedevano
appena sotto l'ultimo ceppo. Michael prese Sophie per un
gomito e la trascinò verso la porta, ruotò il pomello con la parte
blu rivolta in basso, aprì la porta con un calcio e insieme
fuggirono come il vento nella strada di Porthaven.
Il rumore continuava a essere orribile anche da fuori, tanto
che lungo la strada si aprivano le porte e la gente correva fuori
tappandosi le orecchie.
— Ma dobbiamo proprio lasciarlo solo in quello stato? —
chiese Sophie con voce tremante.
— Sì — le rispose Michael. — Se poi lui pensa che sia stata
colpa vostra è senz'altro meglio lasciarlo solo.
Si precipitarono attraverso la città perseguitati da urla così
terribili da far vibrare l'aria. Una piccola folla li seguiva. Anche
se la nebbia si era trasformata in una bruma mischiata a gocce di
acqua salata, la gente si diresse o verso il porto o sulla spiaggia
dove il rumore sembrava essere più sopportabile. L'umidità che
saliva dal mare li bagnava fino alle ossa, se ne stavano a
gruppetti a guardare l'orizzonte bianco e brumoso e le cime
tesate dei velieri all'ormeggio, mentre il rumore divenne un
gigantesco singhiozzo così disperato da spezzare il cuore.
Sophie rifletté che era la prima volta in vita sua che vedeva il
mare così da vicino ed era un peccato che non potesse godere di
quella vista. I singhiozzi si dileguarono poco a poco,
trasformandosi in tristi e profondi sospiri. Poi fu il silenzio. La
gente cominciò a ritornare in punta di piedi in città. Alcuni si
avvicinarono timidamente a Sophie per chiederle: — C'è
qualcosa che non va? Cos'è successo al povero Stregone,
Signora Fattucchiera?
Al posto suo rispose Michael: — Oggi è solo un po' infelice.
Via, penso che possiamo arrischiarci a tornare indietro.
Mentre percorrevano il lungo molo di pietra diversi marinai
li chiamarono dalle barche ormeggiate, ponendo loro domande
ansiose su quel rumore, se fosse portatore di tempeste o di
cattiva sorte.
— No, affatto — si affrettò a rispondere Sophie. — È tutto
finito.
Ma non era finita. Tornarono alla casa del Mago che
dall'esterno appariva come un piccolo edificio ordinario e per
giunta storto. Sophie pensò che non l'avrebbe certo riconosciuto
se fosse stata da sola. Michael aprì la porticina male in arnese,
con estrema cautela. Howl sedeva immobile sullo sgabello,
completamente coperto da una densa sostanza verde, vischiosa.
Sul suo viso era dipinta un'espressione di profonda disperazione.
C'erano orrende, drammatiche quantità di quella sostanza
dappertutto. La testa e le spalle del mago erano ricoperte come
da drappeggi verdi induriti e senza forma, mentre sulle mani e
sulle ginocchia c'erano veri e propri mucchietti di gelatina verde
che colava lungo le gambe e che si rapprendeva attorno ai piedi
dello sgabello, per finire in pozzanghere che si allargavano
sempre più sul pavimento. Lunghe propaggini si protendevano
come dita verso il camino ed emanavano una puzza terribile.
— Salvatemi! — urlò Calcifer con voce strozzata. Era ridotto
a due piccole fiammelle disperate. — Questa schifezza mi sta
soffocando! Sophie sollevò la gonna e marciò decisa verso
Howl cercando di avvicinarsi il più possibile senza rimanere
invischiata. — Smettila! Smettila immediatamente! Ti stai
comportando come un poppante!
Howl non si mosse e non rispose da sotto l'ammasso verde.
Sgranò solo gli occhi, chiari e tragici, fissandola.
— Cosa facciamo?! È morto? — chiese Michael dalla porta.
Sophie pensò che l'apprendista fosse un ragazzo molto
simpatico, ma un po' inutile in un momento così cruciale.
— Non è morto, naturalmente. Ma se non fosse per Calcifer
potrebbe restare tutto il giorno così, come un'anguilla in
gelatìna, per quel che me ne importa! Apri la porta del bagno.
Mentre Michael si faceva strada verso il bagno fra le
pozzanghere di melma verde, Sophie gettò il suo grembiule sul
camino per impedire che un'ulteriore quantità di quella robaccia
verde si avvicinasse a Calcifer, poi afferrò la paletta, raccolse
dei mucchietti di cenere e con essa coprì le pozze più grandi. La
poltiglia sfrigolò e la stanza si riempì di vapore e di un odore
pestilenziale. Sophie si arrotolò le maniche e si piegò per
riuscire a fare più forza sulle ginocchia scivolose del Mago,
quindi lo spinse nel bagno sgabello compreso. I piedi
incespicarono e scivolarono sulla melma verde, ma per contro
quella schifezza facilitò il movimento dello sgabello. Michael
venne in suo aiuto tirando Howl per le maniche. Finalmente
riuscirono a portarlo nel bagno, e poiché Howl continuava a non
volersi muovere, lo ficcarono a viva forza nella doccia.
— Acqua calda, Calcifer! — ordinò Sophie. — Bollente!
Ci volle un'ora per liberare Howl da tutta quella melma e ci
volle un'altra ora a Michael per convincere il Mago ad alzarsi
dallo sgabello e a infilarsi degli abiti asciutti. Fortunatamente il
vestito grigio e scarlatto che Sophie aveva appena aggiustato era
stato piegato sullo schienale della sedia, quindi fuori dalla
portata della melma. Il vestito blu e argento era rovinato e
Sophie suggerì a Michael di buttarlo nella vasca. Nel frattempo,
brontolando e bofonchiando prese altra acqua calda, ruotò il
pomello della porta col verde in basso e spazzò fuori tutta la
melma nella palude. Il castello lasciò una scia bavosa come
quella di una lumaca sulla pietra, ma era il modo più facile per
liberarsi di tutta quella schifezza. C'erano senza dubbio dei
vantaggi a vivere in un castello mobile, pensò Sophie mentre
lavava il pavimento. Si chiese poi se le urla di Howl fossero
state udite anche a Market Chipping, e in quel caso ebbe pietà
degli abitanti. A quel punto, stanca e di cattivo umore, si rese
conto che la melma verde era la vendetta di Howl su di lei e non
era affatto pronta a provare per lui la benché minima
compassione. Finalmente Michael condusse il Mago fuori dalla
stanza da bagno, rivestito con l'abito grigio e scarlatto, e lo fece
sedere sulla sedia, vicino al camino, con tenera sollecitudine.
— È stata una cosa veramente stupida! — sputacchiò
Calcifer. — Stavi forse cercando di liberarti della parte migliore
delle tua magia o cos'altro? Howl non reagì a quelle parole,
rimaneva semplicemente seduto con un'aria tragica, scossa dai
brividi.
— Non riesco a farlo parlare! — sospirò Michael con voce
triste.
— È solo questione di nervi — sentenziò Sophie.
Martha e Lettie erano altrettanto brave a lasciarsi prendere
dalle crisi di nervi e lei sapeva bene come trattarle. D'altra parte
sarebbe stato rischioso sculacciare un Mago in preda a una crisi
isterica per i suoi capelli. In ogni modo l'esperienza di Sophie le
diceva che la vera ragione di una crisi nervosa raramente
coincide con il motivo scatenante. Attizzò Calcifer in modo da
poter mettere un pentolino di latte sui ceppi, poi, quando il latte
fu caldo, lo versò in una tazza e la pose fra le mani di Howl. —
Bevi il latte, da bravo... Perché hai combinato tutto questo? È
forse per quella signorina che ti ostini a voler vedere? Howl
sorseggiò il latte con aria malinconica. — Sì. L'ho lasciata da
sola per vedere se questo l'avrebbe fatta pensare a me con
passione, ma non è successo. Non era ancora sicura dei suoi
sentimenti, quando l'ho vista l'ultima volta. Ora mi dice che c'è
un'altra persona. Sembrava così triste che Sophie provò
dispiacere per lui. Ora che i suoi capelli erano asciutti, notò che
erano quasi rosa e si sentì in colpa per quello che aveva fatto.
Il tono di Howl diventava sempre più funereo. — È la più
bella ragazza che si sia mai vista da queste parti. L'amo
profondamente, ma lei disdegna la mia profonda devozione ed è
tutta presa da un altro giovane. Come può desiderare un altro
ragazzo dopo tutte le attenzioni che io le ho dedicato? Di solito
le ragazze si liberano degli altri pretendenti quando compaio
all'orizzonte.
La compassione di Sophie si dissolse rapidamente, poiché le
venne fatto di pensare che se poteva ricoprirsi così facilmente di
tutta quella melma verde, altrettanto facilmente avrebbe potuto
far tornare i capelli del colore giusto. Poi gli chiese: — Perché
non dai alla ragazza un filtro d'amore e la fai finita lì?
— Oh, no! In questo modo sarebbe non stare al gioco e
rovinerebbe tutto il divertimento.
La compassione di Sophie calò ulteriormente. Era forse solo
un gioco per lui? — Ma non pensi mai al dolore che procuri?
Howl finì di bere il latte e, fissando il fondo della tazza, assunse
un'aria terribilmente sentimentale. — Penso a lei in
continuazione... Dolce, dolcissima Lettie Hatter.
La compassione di Sophie svanì di colpo e una buona dose di
ansia prese il suo posto. — Oh, Martha! — pensò, — non hai
certo perso tempo! A sentir te non c'era nessuno di cui parlare,
quando ti ho incontrata da Cesari!
CAPITOLO SETTE
In cui uno spaventapasseri impedisce a Sophie di lasciare il
castello
Solo un attacco particolarmente cattivo di acciacchi e dolori
impedì a Sophie di mettersi in marcia per Market Chipping
quella sera stessa. La pioggia sottile di Porthaven sembrava
esserle entrata nelle ossa, e fu costretta a stare sdraiata nel suo
angolo, tutta dolorante e preoccupata per Martha. Dopo una
serie di riflessioni giunse comunque alla conclusione che tutta la
faccenda si poteva risolvere facilmente. Sarebbe bastato, infatti,
avvertire la sorella che il suo corteggiatore era in realtà il Mago
Howl. Questo l'avrebbe spaventata moltissimo e l'avrebbe
indotta a non pensare più a lui. Poi Sophie le avrebbe suggerito
il modo più sicuro per liberarsi del pericoloso cascamorto:
avrebbe dovuto semplicemente annunciargli che lei si era
innamorata di lui. Infine, se ci fossero stati ulteriori problemi,
avrebbe potuto anche minacciarlo di sferrargli contro uno stuolo
di zie. Quando la mattina successiva si alzò, Sophie sentì che le
sue ossa scricchiolavano ancora a ogni movimento.
— Maledetta Strega delle Terre Desolate! — brontolò rivolta
al bastone, mentre lo raccoglieva, pronta a partire.
Sentiva Howl che cantava nel bagno, come se non avesse
avuto nessun attacco isterico. In punta di piedi si diresse
zoppicando verso la porta, ma Howl uscì dal bagno prima che
lei potesse raggiungere l'uscio. Sophie lo guardò storto. Era tutto
azzimato e aveva un tenue profumo di fiori di melo. La luce che
entrava dalle finestre faceva luccicare l'abito grigio e scarlatto e
produceva un tenue alone rosa attorno ai suoi capelli.
— Penso che i miei capelli stiano piuttosto bene di questo
colore.
— Davvero? —. Il tono di Sophie suonava piuttosto
polemico.
— Sì... S'intona perfettamente con questo vestito. Hai una
mano veramente felice con ago e filo; sei riuscita a dare a
quest'abito un nuovo tocco di eleganza.
Sophie pensò che non fosse il caso di fare alcun commento.
Howl fermò la mano sul pomello al di sopra della porta. Poi si
rivolse di nuovo a Sophie: — Dolori e acciacchi ti fanno
ammattire o c'è qualcos'altro che ti rende così irritabile?
— Che mi rende irritabile? Perché dovrei essere irritata?
Qualcuno ha semplicemente riempito il castello di gelatina
verde andata a male, assordato tutti gli abitanti di Porthaven,
spaventato Calcifer rischiando di trasformarlo in cenere e ha
infranto circa un centinaio di cuori. Perché tutto questo
dovrebbe irritarmi?
Howl rise e ruotò il pomello con la parte rossa in basso. — Ti
chiedo scusa, Sophie, ma il Re vuole vedermi. Probabilmente
metterò radici a Palazzo e non riuscirò a liberarmi fino a sera,
ma quando tornerò, farò qualcosa per i tuoi reumatismi. Non
dimenticare di dire a Michael che ho lasciato l'incantesimo per
lui sul tavolo —. Rivolse un sorriso smagliante a Sophie e uscì
fra le mille guglie di Kingsbury.
— E tu pensi di poter sistemare tutto così?! — mugugnò
Sophie mentre la porta si chiudeva.
Ma quel sorriso l'aveva intenerita. — Se quel sorriso
funziona su di me, allora non fa meraviglia che la povera
Martha si senta confusa! Finalmente si accinse a guadagnare
l'uscita, ma questa volta fu Calcifer a fermarla, ricordandole che
aveva bisogno di un altro ceppo prima che lei uscisse. Così
Sophie si attardò per porre sulla grata un grosso pezzo di legno.
Fu quindi la volta di Michael, che scese le scale di corsa,
agguantò una pagnotta dal tavolo e si precipitò verso la porta.
— Non vi dispiace, vero? — le disse tutto concitato. —
Porterò una pagnotta fresca quando tornerò indietro. Ho
qualcosa di molto urgente oggi, ma entro sera sarò di ritorno. Se
il capitano viene a chiedere il suo incantesimo per un buon
vento, troverete la polvere magica all'estremità del banco. Sopra
al pacchetto c'è un'etichetta. Non potete sbagliare!
Girò il solito pomello con la parte verde in basso e saltò giù,
sul fianco della collina spazzata dal vento, con la pagnotta
stretta fra le mani.
— Arrivederci! — urlò, mentre il castello ruzzolava via e la
porta sbatteva.
— Che seccatura! — esclamò Sophie. — Calcifer, come si fa
ad aprire la porta quando non c'è nessuno dentro al castello?
— Io l'aprirò per te o per Michael. Howl lo fa da solo — la
informò il demone.
Così nessuno sarebbe rimasto chiuso fuori una volta che lei
fosse uscita. Non era sicura di tornare, ma non aveva nessuna
intenzione di dirlo a Calcifer. Diede tempo a Michael di fare un
buon tratto di strada verso il luogo dov'era diretto, ovunque
fosse, e si accinse di nuovo a uscire. Questa volta fu il demone a
fermarla.
— Se hai intenzione di stare via a lungo, dovresti mettere
alcuni ceppi dove io li possa raggiungere.
— Riesci a raccogliere i pezzi di legna da solo?
Sophie era affascinata da questa possibilità piuttosto curiosa,
nonostante la sua fretta di uscire.
Per tutta risposta Calcifer allungò una fiamma blu dalla
forma di un braccio, fiamma che terminava in piccole fiammelle
verdi, simili a dita. Non era molto lunga e non sembrava molto
forte, ma il demone ne era piuttosto orgoglioso. — Visto?
Riesco a raggiungere la soglia del caminetto.
Sophie impilò diversi pezzi di legna di fronte alla grata del
camino, in modo che Calcifer potesse almeno raggiungere
quello che stava in cima, poi gli suggerì di non bruciare
comunque altra legna finché ne aveva fra gli alari.
Ora, finalmente, poteva andarsene, ma prima che potesse
mettere una mano sulla maniglia, si sentì bussare. Era,
evidentemente, uno di quei giorni in cui andava tutto storto.
Siccome Sophie pensava fosse il capitano, allungò la mano per
girare il pomello con la faccia blu in basso. Fu Calcifer a
fermarla — No, non aprire! E la porta del castello! Non sono
sicuro...
Sophie non gli lasciò finire la frase, visto che allora poteva
essere Michael tornato indietro per una qualche ragione. Così
aprì la porta. Una faccia di rapa la guardò di traverso mentre si
sentì nell'aria odore di muffa. Sullo sfondo del cielo blu,
comparve un braccio coperto di stracci che terminava nel
moncherino di un bastone. Con un ampio gesto il braccio cercò
di colpirla. Era uno spaventapasseri, fatto solo di stracci e
bastoni, ma era vivo e stava cercando di entrare.
— Calcifer! — urlò Sophie. — Fa' muovere il castello più
velocemente! Le pietre che incorniciavano la porta
scricchiolarono e stridettero rumorosamente. Il terreno scuro
della brughiera accelerò all'improvviso. Il braccio stecchito batté
sulla porta e continuò a graffiare le pietre del castello mentre
questo acquistava velocità. Lo spaventapasseri ruotò l'altro
braccio e parve aggrapparsi alle pietre. Se avesse potuto,
sarebbe sicuramente entrato nel castello. Sophie chiuse la porta
di colpo. — Questo — pensò, — mi dimostra quanto sia stato
stupido, per una primogenita, andare in cerca di fortuna.
Lo spaventapasseri era quello che lei aveva lasciato sulla
siepe mentre arrivava al castello. Aveva scherzato con lui. Era
come se le sue parole l'avessero diabolicamente animato e questi
l'avesse seguita per tutta la strada e avesse cercato di colpirla in
faccia.
Corse alla finestra per vedere se quella cosa stava ancora
cercando di entrare nel castello. Naturalmente tutto quello che
riuscì a vedere fu che il sole splendeva su Porthaven, che una
dozzina di vele venivano issate al di là dei tetti e che uno stuolo
di gabbiani volava in cerchio nel cielo.
— Ecco qua! è il problema di essere in posti diversi nello
stesso tempo! —disse Sophie al teschio sul bancone.
Poi, all'improvviso, scoprì il vero handicap di essere vecchia.
Il suo cuore balzò nel petto, si fermò per un attimo e quindi
sembrò di nuovo volerle uscire dal torace. Le doleva. Le gambe
le tremarono e tutto il corpo ebbe un sussulto. Pensò di stare per
morire. Tutto quello che poteva fare era raggiungere la sedia
vicino al focolare. Si sedette tenendosi il petto e respirando a
fatica. —C'è qualche problema? — le chiese Calcifer.
— Sì, il mio cuore —. Sophie continuò a fatica. — C'era uno
spaventapasseri alla porta!
— Che cos'ha a che fare uno spaventapasseri col tuo cuore?
— Stava cercando di entrare nel castello e questo mi ha
spaventato terribilmente. Il mio cuore... Ma tu non capiresti...
sei un demone giovane e sciocco! Tu non hai un cuore.
— Sì che ce l'ho — disse Calcifer dimostrando altrettanto
orgoglio di quando le aveva fatto vedere il suo braccio. — Giù,
nella parte più incandescente, sopra i ceppi. E non chiamarmi
giovane, visto che sono più vecchio di te di un buon milione di
anni! Posso ridurre la velocità del castello, adesso?
— Solo se lo spaventapasseri se n'è andato... L'ha già fatto?
— Non saprei dirlo, perché non è una persona in carne e ossa
e, come ti ho già detto, non riesco ad avere una visione completa
di quello che c'è là fuori.
Sophie si alzò e si trascinò di nuovo verso la porta,
sentendosi davvero poco bene. Aprì l'uscio lentamente, con
grande cautela. Sotto il castello scorrevano rocce verdi e dirupi
purpurei, facendole provare un senso di vertigine, ma si
aggrappò alla cornice della porta e si sporse per guardare lungo
il muro, verso la brughiera che stavano lasciando. Lo
spaventapasseri era rimasto indietro di circa cinquanta iarde.
Seguiva il castello, balzando sull'unico piede da un boschetto di
alberelli a un cespuglio di erica, bilanciandosi con le braccia
stecchite per mantenersi in equilibrio sul fianco ripido della
collina, e procedeva a lunghi balzi, ostentando un coraggio
sinistro.
Mentre Sophie lo osservava, il Castello aumentava la
distanza. Quella cosa mostruosa procedeva lentamente, ma li
stava ancora seguendo. Chiuse la porta.
— È ancora lì, ci sta seguendo saltando a 'zoppo galletto'. Va'
più veloce, Calcifer.
— Questo però scombina tutti i miei piani — le spiegò il
demone. — Avevo in animo di fare un giro in cerchio sulle
colline e quindi tornare dove Michael ci ha lasciato, per
raccoglierlo questa sera.
— Bene, allora raddoppia la tua velocità e fa' il giro sulle
colline per due volte, fino a che non ci siamo lasciati indietro
quell'orrore.
— Che agitazione! — brontolò il demone, aumentando
comunque la velocità. Per la prima volta Sophie riuscì
effettivamente a sentire il rombo del castello che si muoveva,
mentre stava rannicchiata sulla sedia, chiedendosi se stesse
morendo. Non voleva morire prima di aver parlato con Martha.
Mentre scorrevano le ore, ogni cosa nella stanza cominciò a
tintinnare per la velocità: le bottiglie si crepavano, il teschio
batteva i denti, alcuni oggetti sullo scaffale del bagno caddero
nella vasca, dove il vestito blu e argento era in ammollo. Sophie
cominciò a sentirsi un po' meglio. Si trascinò di nuovo alla porta
e guardò fuori con i capelli al vento. Il terreno scorreva veloce
sotto di loro e le colline giravano più lentamente, in uno stridio
terrificante di ingranaggi e sbuffi di fumo. Lo spaventapasseri,
però, rimaneva un puntino nero all'orizzonte. La volta
successiva che Sophie si affacciò vide che, finalmente, era
sparito del tutto.
— Bene, allora mi fermerò per la notte — disse Calcifer. —
E stato un grosso sforzo per me.
Il rombo si spense, gli oggetti smisero di tintinnare. Il
demone si addormentò nel modo in cui si mettono a dormire i
fuochi, ritraendosi fra i ceppi finché non rimasero che piccoli
cilindretti rosa fra la cenere bianca da cui, ogni tanto, si alzava
una piccola fiammella blu e verde. A quel punto Sophie si sentì
di nuovo arzilla. Andò in bagno e ripescò sei pacchetti e una
bottiglia dall'acqua melmosa. I pacchetti erano intrisi d'acqua e
lei non osò lasciarli in quel modo dopo quanto era successo il
giorno precedente. Li pose sul pavimento e con grande cautela li
cosparse con la sostanza contenuta nel pacchetto con la scritta
POLVERE ASCIUGANTE. Si asciugarono all'istante. Questo
era incoraggiante. Sophie svuotò la vasca e provò la polvere
sull'abito di Howl. Anche quello si asciugò subito. Malgrado
fosse rimasto macchiato di verde e si fosse ristretto, Sophie si
rallegrò perché dimostrò a se stessa che, ogni tanto, riusciva a
fare anche qualche cosa giusta. Si sentiva abbastanza allegra da
poter preparare la cena. Impilò tutte le cose che erano sul tavolo
all'estremità vicina al teschio e cominciò a tagliare le cipolle. —
Almeno i tuoi occhi non piangono, amico mio — disse al
teschio. — Renditi conto di che fortuna hai!
La porta si aprì di colpo e Sophie rischiò di tagliarsi un dito
dalla paura, pensando fosse di nuovo lo spaventapasseri. Era
invece Michael che si precipitava nella stanza tutto contento.
Appoggiò sul tavolo e sulle cipolle una pagnotta, un pasticcio e
una scatola a righe bianche e rosa. Poi abbracciò la vita sottile di
Sophie e la fece piroettare in una danza frenetica tutto intorno
alla stanza.
— Va tutto magnificamente! — esclamò, sprizzando gioia da
tutti i pori. Sophie zoppicò e incespicò per tenersi lontana dagli
stivali di Michael.
— Fermo! Fermo! — Cercava di riprendere fiato e di tenere
il coltello in modo che nessuno dei due si tagliasse. — Cosa va
magnificamente bene?
— Lettie mi ama! — gridò Michael, mentre continuava a
farla danzare dal bagno al focolare. — Non ha mai nemmeno
visto Howl, è stato tutto un errore! — Continuò a piroettare con
Sophie al centro della stanza.
— Vorresti mollarmi prima che questo coltello ci tagli?! E,
forse, darmi una piccola spiegazione! — disse con la voce che le
usciva soffocata.
— Yuhuu! — gridò Michael, mentre con un'ultima piroetta
depositava Sophie sulla sedia, dove rimase senza fiato. — La
scorsa notte avrei voluto che gli aveste dipinto i capelli di blu!
Ora non me ne importa più niente. Quando Howl ha pronunciato
le parole "Lettie Hatter" ho pensato di dipingerlo io stesso di
blu. Avete sentito il modo in cui si esprime? Sapevo che avrebbe
abbandonato questa ragazza, così come ha fatto con tutte le
altre, non appena l'avesse fatta innamorare. Quando ho avuto il
sospetto che si trattasse della mia Lettie, io... comunque, come
voi ben sapete, Sophie, Howl ha detto che c'era un altro uomo e
ho pensato che quella persona fossi io! Così oggi mi sono
precipitato a Market Chipping e ho scoperto che invece andava
tutto bene! Evidentemente Howl corteggia una ragazza che
porta lo stesso nome, poiché Lettie non l'ha mai nemmeno visto.
— Vediamo di chiarire bene questa cosa — disse Sophie, che
si sentiva prendere dalle vertigini, — stiamo parlando della
Lettie Hatter che lavora da Cesari, la pasticceria?
— Certo! — rispose Michael, felice come una pasqua. — Mi
sono innamorato di lei da quando ha cominciato a lavorare lì, e
quasi non potevo credere alle mie orecchie quando lei ha detto
di amarmi. Ha centinaia di ammiratori. Non mi sarei certo
sorpreso se Howl fosse stato uno di essi. Adesso sono così
sollevato! Vi ho portato una torta per festeggiare, dove l'ho
messa... ah, eccola!
Spinse la scatola bianca e rosa verso Sophie facendole cadere
tutte le cipolle in grembo.
— Quanti anni hai, ragazzo mio?
— Quindici, compiuti lo scorso Calendimaggio. Calcifer ha
sparato i fuochi artificiali per festeggiarlo, non è vero? Oh, si è
addormentato. Penserete che sono troppo giovane per
fidanzarmi, devo fare ancora tre anni di apprendistato e Lettie
ancora di più, ma noi ci siamo promessi l'un l'altra e non ci
importa di aspettare.
Michael, quindi, aveva l'età giusta per Martha, pensò Sophie.
Ora lei sapeva anche che era un ragazzo simpatico, equilibrato,
con una carriera di mago davanti. Benedetto il cuore di Martha!
Quando Sophie ripensò a quello sconcertante Calendimaggio, si
rese conto che Michael doveva essere in quel gruppo di ragazzi
urlanti che si chinavano sul bancone di fronte a Martha. D'altra
parte anche Howl era in Market Square, quel giorno, così
s'informò con ansia crescente. — Sei sicuro che Lettie ti abbia
detto la verità riguardo a Howl?
— Sicuro. So quando mente: la smette di girarsi i pollici.
— Già, è vero... fa proprio così —. Sophie non poté fare a
meno di sorridere teneramente.
— E voi come fate a saperlo? — le chiese Michael sorpreso.
— Perché è mia sorella... volevo dire la nipote di mia sorella,
e da bambina era terribilmente bugiarda. È ancora molto
giovane e... immagino che cambierà crescendo... potrebbe non
essere più la stessa fra un anno o giù di lì.
— Nemmeno io sarò più lo stesso. La gente alla nostra età
cambia velocemente, ma questo non ci preoccupa. Sarà sempre
la mia Lettie.
— Per modo di dire — pensò Sophie, poi continuò con
l'ansia nella voce: — Supponiamo che dicesse la verità, ma che
semplicemente conoscesse Howl sotto falso nome...
— A questo avevo già pensato! Le ho descritto Howl,
bisogna ammettere che è piuttosto ben identificabile, e
veramente lei non l'aveva mai visto e non ha mai visto
nemmeno la sua maledetta chitarra, quindi non ho neanche
dovuto dirle che lui non sa come si suona quell'affare. Non ha
mai posato gli occhi su di lui e ha continuato a girarsi i pollici
per tutto il tempo del colloquio.
— Questo è un gran sollievo! — disse Sophie appoggiandosi
con un sospiro alla spalliera della sedia.
Era certamente un sollievo per quanto riguardava Martha, ma
non lo era del tutto perché sapeva bene che l'unica vera Lettie
Hatter in circolazione era un'altra. Se ci fosse stata un'omonima,
qualcuno senz'altro sarebbe andato a far delle chiacchiere nella
cappelleria e lei l'avrebbe saputo.
Sembrava tipico della testarda Lettie non dare soddisfazione
a Howl. Quello che preoccupava Sophie era che Lettie avesse
detto al Mago il suo vero nome. Probabilmente si fidava di lui
abbastanza da rivelargli un segreto così importante, ma dubitava
dei suoi sentimenti.
— Non siate così ansiosa! — rise Michael piegandosi sulla
sedia. — Date piuttosto un'occhiata alla torta che vi ho portato.
Mentre Sophie apriva la scatola le venne in mente che Michael
era evidentemente passato dal considerarla un vero disastro
della natura, a provare per lei sentimenti di affetto. Ne era così
compiaciuta e grata che decise di dire al ragazzo tutta verità su
Lettie, Martha e se stessa. Sarebbe stata una cosa gentile fargli
sapere con che tipo di famiglia aveva intenzione di imparentarsi.
Finalmente la scatola fu aperta. Era il dolce più ricco fra
quelli che sfornava Cesari, tutto coperto di crema e di ciliegie e
piccoli riccioli di cioccolato.
— Oh! — esclamò Sophie, mentre il pomello della porta
ruotava con la parte rossa verso il basso e Howl compariva sulla
soglia, esclamando a sua volta: — Che torta meravigliosa! La
mia preferita! Dove l'hai presa?
— Io... io... l'ho presa da Cesari — rispose Michael in tono
sottomesso e impacciato.
Sophie alzò lo sguardo verso Howl. Tutte le volte che
decideva di comunicare a qualcuno di essere vittima di un
incantesimo, sopraggiungeva qualcosa o qualcuno a
interromperla.
— Sembra proprio che questa torta valga la camminata —
disse Howl guardandola attentamente. — Ho sentito dire che
Cesari è un pasticciere anche migliore di quelli di Kingsbury.
Stupido da parte mia non esserci mai andato. È un pasticcio
quello che vedo sul bancone?
Si avvicinò per guardare meglio. — In un letto di cipolle
crude il teschio sembra trarne vantaggio.
Raccolse il teschio e gli infilò una rondella di cipolla nella
cavità dell'occhio. — Vedo che Sophie si è data da fare di
nuovo. Non potevi tenerla a bada, amico mio?
Il teschio digrignò i denti, Howl stesso sembrò perplesso,
come se non si aspettasse una reazione del genere, e lo posò
frettolosamente.
— C'è qualche problema? — chiese Michael che sembrava
riconoscere i segni di una prossima arrabbiatura.
— Sì, penso di dover trovare qualcuno disposto a screditare
il mio nome presso il Re.
— Qualcosa non andava nell'incantesimo del carro? —
chiese Michael.
— No, il guaio è che funziona perfettamente — spiegò Howl
mentre faceva roteare con un dito un anello di cipolla. — Il Re
sta cercando di inchiodarmi con un altro compito. Calcifer, se
non staremo molto attenti, finirà per nominarmi Mago di Corte.
Calcifer non reagì, cosicché Howl si precipitò al caminetto e
si accorse che il demone era addormentato. — Sveglialo,
Michael. Ho bisogno di consultarlo.
L'apprendista pose due ceppi di legno su Calcifer e lo
chiamò. Si levò soltanto una sottile spira di fumo.
— Calcifer! — urlò Howl, ma anche questo non sortì alcun
effetto.
Il Mago lanciò a Michael un'occhiata d'intesa, raccolse
l'attizzatoio, cosa che Sophie non gli aveva mai visto fare, e
smosse le braci con furia. — Mi dispiace, Calcifer. Svegliati!
Una densa nuvola di fumo nero si levò, e rimase sospesa a
mezz'aria, mentre Calcifer mugugnava: — Vattene, sono stanco.
A questo punto Howl parve veramente allarmato. —
Cos'ha?... Non l'ho mai visto in condizioni del genere!
— Penso che sia stato lo spaventapasseri — cercò di spiegare
Sophie. Howl, inginocchiato accanto al fuoco, si girò trovandosi
alla stessa altezza di Sophie e la trafisse con uno sguardo freddo
come il marmo.
— Cos'hai combinato questa volta?
Continuò a fissarla mentre Sophie raccontava l'accaduto. Alla
fine Howl sembrò piuttosto incredulo. — Uno spaventapasseri?
Calcifer è stato d'accordo ad aumentare la velocità del castello a
causa di uno spaventapasseri? Sophie cara, ti dispiacerebbe
spiegarmi come hai fatto a costringere un demone del fuoco a
obbedirti? Sarei veramente curioso di saperlo!
— Non l'ho costretto. Mi ha semplicemente dato una mano
perché era dispiaciuto per me.
— Le ha dato una mano perché Calcifer era dispiaciuto per
lei — la canzonò Howl. — Mia cara Sophie, Calcifer non si
dispiace mai per nessuno. Comunque spero che tu ti goda le
cipolle crude e il pasticcio freddo per cena, visto che l'hai
praticamente messo fuori gioco.
— C'è la torta — intervenne Michael, cercando di
riappacificare gli animi. Il cibo sembrò migliorare l'umore di
Howl anche se, per tutto il tempo della cena, continuò a lanciare
occhiate ansiose ai ceppi che non prendevano fuoco.
Il pasticcio risultò molto buono anche freddo e le cipolle,
dopo che Sophie le ebbe lasciate a mollo nell'aceto, gustose e
saporite. La torta era superba. Mentre la gustavano, Michael si
arrischiò a domandare a Howl quali fossero state le richieste del
Re.
— Ancora niente di definito — rispose il Mago in tono cupo.
— Mi è sembrato di capire, comunque, che si tratta di qualcosa
di abbastanza sinistro e che riguarda suo fratello.
Evidentemente, prima che il principe Justin scomparisse,
avevano in corso una vecchia disputa e la gente continua a
chiacchierarne. Il Re, ovviamente, voleva che mi offrissi
volontario per andare alla ricerca del fratello. Io sono andato a
dirgli, come uno stolto, che penso che il Mago Suliman non sia
affatto morto e questo ha peggiorato le cose.
— Perché vuoi evitare di cercare il Principe? — gli chiese
Sophie. — Pensi di non riuscire a trovarlo?
— Offensiva quanto tiranna... —. Howl evidentemente non
le aveva ancora perdonato quanto aveva fatto a Calcifer. —
Voglio tenermi fuori da tutta questa faccenda perché sono certo
di poterlo trovare, se proprio lo vuoi sapere. Justin era grande
amico di Suliman e la lite fra lui e il Re è avvenuta perché gli ha
detto che sarebbe andato a cercare il negromante. Tanto per
cominciare pensava che suo fratello, il sovrano, non avrebbe
dovuto mandare Suliman nelle Terre Desolate. Ora persino tu
dovresti sapere che in quelle terre vive una certa signora che è
solo portatrice di disgrazie. Ha promesso di friggermi vivo,
l'anno scorso, e mi ha lanciato dietro una maledizione che sono
riuscito a evitare solo perché ho avuto il buon senso di darle un
nome falso. Sophie lo guardò con timore misto ad ammirazione.
— Vuoi dire che fra le tue conquiste c'era anche lei e... l'hai
piantata? — Howl si tagliò un'altra bella fetta di torta, con aria
triste e virtuosa.
— Be', non la metterei proprio così... Un tempo ho creduto di
provare per lei una certa passione. Per alcuni aspetti è una
signora molto triste e assolutamente non amata. Ogni uomo in
Ingary si pietrifica dallo spavento quando la vede. Tu dovresti
ben sapere cosa si prova in certe situazioni, Sophie cara.
La bocca di Sophie si aprì in una smorfia, pronta a esprimere
una profonda indignazione. Fortunatamente Michael riuscì a
intervenire: — Pensi che dovremmo spostare il castello? È per
questo motivo che l'hai costruito, non è vero?
— Dipende da Calcifer —. Howl guardò nuovamente, al di
sopra delle sue spalle, i ceppi che a malapena fumavano nel
camino. — Se penso che Re e Strega mi sono alle calcagna,
devo dire che mi viene una gran voglia di andare a piantare il
castello su una bella roccia scoscesa a mille miglia da qui.
A queste parole Michael desiderò, ovviamente, di non aver
parlato e Sophie gli lesse sul viso che per lui mille miglia erano
una distanza da Martha terribile. — Ma cosa accadrà alla tua
Lettie Hatter — chiese Sophie al Mago, — se tu te ne andrai e
sposterai il castello? — Per quel tempo mi aspetto che tutto sia
finito — le rispose Howl con aria assente. — Ma se potessi
escogitare qualcosa per togliermi intanto il Re dal groppone...
Ho trovato!
Sollevò la forchetta con infilzato un gran pezzo di torta
grondante di crema e la puntò verso Sophie. — Tu potresti
oscurare la mia fama presso il Re. Potresti fingere di essere la
mia vecchia madre e perorare la causa del tuo giovane figlio dai
begli occhi blu.
Così dicendo lanciò a Sophie un sorriso tale che le fece
capire in che modo il Mago avesse potuto affascinare la Strega
delle Terre Desolate e, probabilmente, anche Lettie. Un sorriso
che, nonostante le fosse giunto fra la forchetta e la crema, le
arrivò diritto negli occhi, mandandola in confusione. — Se hai
potuto tiranneggiare Calcifer, non dovresti avere il benché
minimo problema con il Re.
Nonostante tutto, Sophie ricambiò il suo sguardo e rimase in
silenzio. Questo, intanto pensava, era ciò a cui lei doveva
sfuggire. Se ne sarebbe andata, il patto con Calcifer aveva, a
questo punto, un prezzo troppo alto. Ne aveva avuto abbastanza
di Howl: prima tutta quella schifezza verde, poi il sarcasmo e la
riprovazione per qualcosa che il demone del fuoco aveva fatto
liberamente, senza costrizione, e adesso anche questo!
L'indomani se ne sarebbe sgusciata via e sarebbe andata ad
Upper Folding per raccontare tutto a Lettie.
CAPITOLO OTTO
In cui Sophie lascia il castello in direzioni diverse tutte in una
volta
Con gran sollievo di Sophie, la mattina successiva Calcifer
fiammeggiava tutto allegro e brillante. Se non ne avesse avuto
abbastanza di Howl, sarebbe stata senz'altro toccata dalla felicità
che il Mago manifestò nel vedere il demone del fuoco così
arzillo. Inginocchiato sulle pietre del focolare, con le maniche
che strisciavano nella cenere, Howl sussurrò al fuoco: —
Pensavo che ti avesse distrutto, vecchia palla di gas!
— Ero solo stanco — gli spiegò Calcifer. — C'era come una
specie di impedimento sul castello e io non l'avevo mai lanciato
così in fretta!
— Be', non permetterle più di farlo.
Poi Howl si alzò in piedi e, con un gesto aggraziato, scrollò
via la cenere dal suo abito grigio e scarlatto. — Michael,
comincia quell'incantesimo e se qualcuno viene da parte del Re,
digli che starò via fino a domani per affari privati e urgenti. Ho
intenzione di vedere Lettie, ma non c'è alcun bisogno che tu lo
vada a spifferare in giro.
Raccolse la chitarra, aprì la porta ruotando il pomello sul
verde e nel varco aperto apparvero le colline sormontate dalle
nuvole.
Lo spaventapasseri era lì di nuovo. Quando Howl aprì del
tutto la porta, questi gli tagliò la strada e la sua faccia di rapa
finì contro il petto del mago. La chitarra emise un terribile
sblang. Dalla gola di Sophie uscì un flebile suono rauco di
terrore mentre si aggrappava alla sedia. Una delle braccia
stecchite dello spaventapasseri stava graffiando l'aria come per
raggiungere un appiglio qualsiasi sulla porta. Quando i piedi di
Howl furono nuovamente in equilibrio stabile, fu chiaro che
avrebbe dovuto faticare per scacciare quella cosa, poiché non
c'era alcun dubbio che quella creatura fosse più che mai
determinata a entrare nel castello. Il viso blu di Calcifer si
sporse dalla grata e anche Michael guardò fuori dalla porta, poi
entrambi esclamarono: — Ma... c'è veramente uno
spaventapasseri!
— Ah, davvero?! Non ditemelo!
Howl aveva il fiato corto. Puntò un piede contro la cornice
della porta e tirò l'uscio. Lo spaventapasseri volò all'indietro in
modo piuttosto goffo e atterrò con un fruscio sull'erica, alcune
iarde più in là. Ma si rialzò all'istante e tornò immediatamente
verso il castello con la sua andatura a lunghi balzi. Howl
appoggiò velocemente la chitarra sulla soglia e saltò giù dal
castello. — No, non lo farai, amico mio — gli disse
protendendo una mano. — Tornatene da dove sei venuto.
Così dicendo, cominciò a camminare lentamente, tenendo
sempre la mano protesa. Lo spaventapasseri si ritrasse un po',
saltellando lentamente. Quando Howl si fermò, si arrestò anche
lo spaventapasseri, con la sua unica gamba piantata fra l'erica e
con le braccia coperte di stracci che roteavano, come qualcuno
che cerca di aprirsi un varco. Gli stracci fluttuavano sulle sue
braccia stecchite e sembravano una folle imitazione della
maniche di Howl.
— Allora non te ne vuoi proprio andare? —. A queste parole
di Howl la testa di rapa si mosse da una parte e dall'altra per far
segno di no.
— Temo invece che lo farai — gli disse a quel punto Howl.
— Tu spaventi Sophie e nessuno sa cosa può combinare quella
donna quando è spaventata... poi fai paura anche a me!
Le braccia di Howl si mossero a fatica verso l'alto, fino a che
non furono completamente distese. Era come se stesse
sollevando una massa enorme al di sopra della propria testa. Poi
urlò una strana parola che fu in parte soffocata dallo schianto
improvviso di un tuono. Solo allora lo spaventapasseri volò via
in un lampo. Fu sollevato e spinto indietro, con gli stracci che
fluttuavano e le braccia che roteavano in un gesto di protesta. Fu
sollevato e sollevato ancora e ancora, finché non diventò una
macchiolina nel cielo, un punto che svaniva fra le nuvole. E
finalmente non si vide più.
Howl abbassò le braccia e tornò sulla soglia di casa, facendo
delle smorfie e nascondendosi il volto con il dorso delle mani.
— Ritiro tutto quello che ho detto, Sophie — le disse con il
fiato corto.
— Quella cosa era veramente spaventosa e probabilmente
era lo spaventapasseri che, ieri, tirava indietro il castello. Aveva
in sé una magia fra le più forti che io abbia mai incontrato.
Qualunque cosa fosse...
Ma non potrebbe essere un dono dell'ultima persona presso
la quale sei stata a servizio?
Sophie scoppiò in una risata debole e chioccia, poiché il suo
cuore stava di nuovo facendo il matto. Howl si rese conto che
c'era qualcosa che non andava. Scavalcò in un balzo la chitarra e
fu dentro casa in un batter d'occhio. Tenne Sophie per il gomito
e la fece sedere.
— Prenditela comoda, ora!
A quel punto avvenne qualcosa fra Howl e Calcifer. Sophie
se ne rese conto benissimo, mentre era tenuta stretta dal mago e
il demone si sporgeva completamente dalla grata. Qualsiasi cosa
avessero fatto, il suo cuore quasi immediatamente riprese il
battito normale. Howl guardò verso Calcifer, scosse la testa e si
girò per dare a Michael istruzioni dettagliate su come tenere
Sophie tranquilla per tutto il resto della giornata. Raccolse la
chitarra e finalmente se ne andò.
Sophie rimase a sedere e fece finta di sentirsi ancora male,
più di quanto in realtà non stesse. Doveva lasciare che Howl
scomparisse dalla vista. Era una seccatura il fatto che si stesse
dirigendo verso Upper Folding, anche perché avrebbe
camminato così lentamente che sarebbe forse arrivata là nel
momento in cui lui sarebbe stato già pronto a venir via.
Comunque la cosa importante era di non incontrarlo per strada.
Di sottecchi sbirciò Michael che stava cercando di
raccapezzarsi sull'incantesimo e si grattava la testa pensieroso.
Aspettò fino a che l'apprendista non ebbe tirato giù dagli scaffali
dei pesanti libri rilegati in cuoio e cominciato a prendere appunti
in modo frenetico e sconsolato al tempo stesso. Quando le
sembrò che fosse completamente assorbito dal lavoro, Sophie
borbottò diverse volte: — Mi manca l'aria...
Michael non diede segno di averla sentita.
— È terribilmente caldo qua dentro! — riprese Sophie,
alzandosi dalla sedia e trascinandosi verso la porta. — Aria
fresca! Ho bisogno d'aria! Aprì la porta e si sporse fuori.
Calcifer fermò completamente il moto del castello, così
Sophie poté comodamente atterrare nell'erica e dare un'occhiata
attorno per orientarsi. La strada che dalle colline portava ad
Upper Folding era una linea polverosa fra i bassi cespugli
d'erica. Partiva praticamente dal castello, com'era naturale, del
resto, poiché Calcifer non avrebbe fatto niente che potesse
risultare scomodo a Howl. Quindi Sophie si apprestò a scendere
per il sentiero, sentendosi un po' triste. Sapeva, infatti, che le
sarebbero mancati sia Michael che Calcifer. Era già per strada
quando udì un grido alle sue spalle. Anche Michael era uscito e
la seguiva, mentre la nera sagoma del castello gli veniva dietro,
ballonzolando e diffondendo sbuffi di fumo dalle quattro torri.
— Cosa state facendo? — le chiese Michael quando l'ebbe
raggiunta. Dal modo in cui la guardò, Sophie capì che pensava
che lo spaventapasseri l'avesse impaurita al punto da farle
perdere il senno.
— Sto perfettamente bene — gli rispose Sophie indignata. —
Sto semplicemente andando a trovare la nipote dell'altra mia
sorella. Anche lei si chiama Lettie Hatter. Adesso capisci?
— Dove vive? — chiese Michael, come se pensasse che
Sophie potesse non saperlo.
— Ad Upper Folding.
— Ma... è lontano circa dieci miglia! Ho promesso a Howl
che vi avrei fatto riposare. Non posso permettervi di andare. Ho
dato la mia parola che non vi avrei perso di vista.
Sul volto di Sophie si dipinse un'espressione adirata. Howl
pensava che ora lei avrebbe potuto essergli utile a risolvere il
suo problema con il Re e, naturalmente, non voleva lasciarla
andare via...
— Inoltre — continuò Michael, cominciando a capire, —
anche Howl dev'essere andato ad Upper Folding.
— Certo che è andato là.
— Allora voi siete in ansia per vostra pronipote — soggiunse
Michael, arrivando finalmente al nocciolo della questione. —
Capisco, ma io non posso lasciarvi andare.
— Io me ne sto già andando...
— Ma se Howl vi vedrà là, andrà su tutte le furie —. Michael
stava afferrando il problema. — Visto che gli ho fatto una
promessa, farà fuoco e fiamme con tutti e due. Voi dovreste
riposare...
Poi, quando Sophie, ormai esasperata del tutto, stava per
mollargli uno scapaccione, esclamò: — Aspettate... c'è un paio
di stivali delle sette leghe nel ripostiglio!
Agguantò il polso di Sophie e la trascinò su per la collina, al
castello che li stava spettando immobile. Costretta a saltellare
per non inciampare nell'erica, riuscì a gridargli: — Ma sette
leghe corrispondono a ventuno miglia! In due balzi sarei a metà
strada per Porthaven!
— No, un passo sono dieci miglia e mezzo — le spiegò
Michael, — cioè quasi l'esatta distanza da qui a Upper Folding.
Se prenderemo uno stivale a testa e andremo insieme, non vi
perderò di vista e per voi non sarà molto faticoso. Per di più
torneremo prima di Howl e lui non saprà mai dove saremo stati.
Mi sembra che questa sia una magnifica soluzione!
Michael era così compiaciuto della propria idea che Sophie
non ebbe il coraggio di protestare. Si limitò a stringersi nelle
spalle e a pensare che Michael avrebbe fatto meglio a cercare di
saperne di più delle due Lettie... prima che le sorelle
cambiassero aspetto! Ma quando il ragazzo tirò fuori gli stivali
dal ripostiglio Sophie cominciò ad avere qualche dubbio. Fino a
quel momento aveva pensato che quei due cosi fossero dei
secchi di cuoio che avessero perso, per un qualche motivo, il
manico e fossero poi stati un po' schiacciati, ammaccati dalla
permanenza nel ripostiglio.
— Dovreste infilarci un piede, scarpa compresa — si affrettò
a spiegarle Michael, mentre trascinava a fatica quei due pesanti
oggetti verso la porta. — Questi sono i prototipi che Howl ha
creato per l'esercito del Re. Siamo riusciti a perfezionarli e
l'ultimo modello ha più l'aspetto dello stivale ed è più leggero.
Sophie e il ragazzo si sedettero sulla soglia e infilarono un
piede ciascuno in uno stivale. — Puntate su Upper Folding,
prima di appoggiare la suola sul terreno — l'avvertì Michael.
Poi entrambi girarono il viso verso il luogo dov'erano diretti
e si alzarono appoggiando ciascuno uno stivale, mentre
l'apprendista gridava: — Via, ora!
Zip! Il paesaggio scivolò sotto di loro a una velocità tale da
essere ridotto a una semplice linea grigio-verde, mentre il cielo
era diventato un nastro azzurrognolo. Il vento teneva indietro i
capelli di Sophie e le spianava persino le rughe del volto, tanto
da farle temere che sarebbe arrivata a destinazione con metà
della faccia dietro alle orecchie!
All'improvviso la folle andatura si fermò di colpo, così come
di colpo era iniziata. Tutto intorno era calmo e il sole brillava
alto nel cielo. Si erano piantati nei ranuncoli che punteggiavano
i prati del villaggio di Upper Folding. Una mucca sgranò su di
loro i suoi occhi bovini, mentre alcuni cottage, dai tipici tetti di
paglia, sonnecchiavano sotto gli alberi, un po' più in là.
Sfortunatamente lo stivale che calzava era talmente pesante che,
nell'atterraggio, fece vacillare Sophie.
— Non mettete giù quel piede! — le urlò Michael. Ma ormai
era troppo tardi. Ci furono un altro zip e un'altra folata di vento.
Quando tutto cessò, Sophie si ritrovò giù per la Valle del
Folding, sull'orlo delle Paludi. — Oh, povera me! —. Cercò di
reggersi su una gamba sola e tentò di nuovo.
Zip! Il paesaggio sfilò ancora una volta sotto di lei e si
ritrovò di nuovo sui pascoli di Upper Folding. Mentre vacillava
in avanti per il peso dello stivale, ebbe la subitanea visione di
Michael che tentava di afferrarla... Zip! Partenza... Questa volta
si ritrovò sulle colline, dove la sagoma nera del castello
fluttuava bassa nell'aria. Calcifer si divertiva emettendo anelli di
fumo nero da una delle torri. Sophie vide tutto questo molto
prima che la scarpa venisse trattenuta dall'erica e la facesse
partire di nuovo.
Zip! Zip! Questa volta Sophie visitò in rapida successione la
piazza di Market Chipping, alla quale gridò "Vola via!" e un
prato davanti a un'immensa tenuta che le fece scappare di bocca
un "Maledizione!". Poi via di nuovo.
Zip! E si ritrovò in un campo sconosciuto, da qualche parte
alla fine della valle. Un enorme toro rossiccio sollevò il muso
dal pascolo, puntò il naso inanellato verso di lei e abbassò le
corna.
— Me ne vado... me ne vado subito! — gli gridò Sophie,
affrettandosi disperatamente a riprendere la strada.
Zip! Di nuovo la grande tenuta. Zip! Ecco Market Chipping.
Zip! Ancora il castello... Stava per appoggiarvisi quando... Zip!
Ed ecco Upper Folding... Ma come fare per fermarsi? Zip!
— Al diavolo! — gridò Sophie, quando si ritrovò accanto alle
Paludi. Questa volta fece la manovra con grande attenzione e
decisione e... Zip! Atterrò, fortunatamente, su un mucchietto di
sterco di vacca che fece presa sullo stivale e le permise di
sedersi di botto.
Prima che Sophie si potesse muovere, Michael le balzò a
fianco e le tolse lo stivale. — Oh! Grazie mille — gli gridò
Sophie ormai senza respiro. — Sembrava che non dovessi
fermarmi mai più!
Il cuore le batteva forte nel petto, mentre attraversarono il
pascolo di Upper Folding, diretti verso la casa della signora
Fairfax. Non era comunque nulla di preoccupante, solo un
battito accelerato di chi ha appena fatto uno sforzo. E Sophie
provò una gratitudine profonda per qualsiasi cosa avessero fatto
al suo cuore Howl e Calcifer.
— Un bel posticino — notò Michael, mentre nascondeva gli
stivali nella siepe di casa Fairfax.
Anche Sophie ne convenne. La casa era la più grande del
paese, con il tetto coperto di paglia intrecciata e i muri bianchi
che spiccavano fra le travi nere. Come si ricordava dalle visite
fatte quand'era una bambina, si accedeva al portico antistante la
casa attraverso un giardino pieno di fiori e animato da una
miriade di api che ne suggevano il nettare. Sul portico si
arrampicavano un caprifoglio e una pianta di rose bianche, che
sembravano competere fra loro nel dare lavoro alle api. Era una
perfetta e calda mattina d'estate, lì ad Upper Folding. La signora
Fairfax venne di persona ad aprire la porta. Era una di quelle
donne grasse e morbide, dai capelli striati a ciocche di un bianco
burro, che ti faceva sentire in pace con il mondo al solo
guardarla. Sophie provò una punta d'invidia nei confronti di
Lettie, mentre lo sguardo della signora Fairfax passava da lei a
Michael e viceversa. Aveva incontrato Sophie circa l’anno
precedente, quando lei aveva diciassette anni, quindi non era
senz'altro possibile che la riconoscesse nei panni di una vecchia
novantenne.
Finalmente si decise a rivolgere loro un gentilissimo —
Buongiorno a voi! —. Al che Sophie sospirò profondamente,
mentre Michael spiegava: — Questa è la prozia di Lettie Hatter.
L'ho accompagnata qui per far visita alla nipote.
— Oh, mi sembrava che il suo volto avesse un che di
familiare! — esclamò la signora Fairfax. — C'è senz'altro una
somiglianza fra loro. Prego, entrate. In questo momento Lettie
ha da fare, ma accomodatevi e vi farò assaggiare le mie
focaccine al miele, nell'attesa.
Spalancò la porta e immediatamente un collie enorme
sgusciò dalla casa, s'intrufolò fra Sophie e Michael per poi
correre all'aiuola più vicina e fare strage di fiori.
— Oh, fermatelo! — disse la signora Fairfax con voce
strozzata mentre si lanciava all'inseguimento. — Non lo voglio
qui fuori proprio ora! Seguì una breve caccia affannosa, in cui il
cane correva da una parte all'altra, uggiolando in modo penoso,
inseguito dalla signora e da Sophie che passavano da un'aiuola
all'altra, spesso intralciandosi a vicenda, mentre Michael urlava:
— Fermatevi! Sophie, starete male di nuovo!
Poi il cane sparì dietro un angolo della casa. A quel punto
Michael si rese conto che l'unico modo di fermare Sophie era
quello di fermare il cane, così attraversò in un lampo le aiuole,
sfrecciò dietro l'angolo e piombò sulla povera bestia, afferrando
con entrambe le mani il lungo pelo, proprio nel momento in cui
il cane raggiungeva il frutteto dietro la casa. Anche Sophie stava
per girare l'angolo in cerca di Michael, quando lo vide che
trascinava con sé il cane, mentre faceva al suo indirizzo delle
smorfie tali da far pensare che si sentisse male. Il ragazzo
continuò ad ammiccare verso il frutteto, e allora lei capì che
stava solo cercando di dirle qualcosa. Si affacciò prudentemente
all'angolo della casa, pensando di vedere un intero sciame di api.
La fila di alveari era sul fondo del giardino, mentre in un
boschetto di meli in fiore, su un tappeto di muschio Sophie
scorse Howl e Lettie. La ragazza sedeva su un sedile bianco e il
Mago era inginocchiato ai suoi piedi, tenendole una mano.
In quel momento il suo aspetto appariva ardente e nobile,
mentre Lettie gli sorrideva teneramente. La cosa peggiore, dal
punto di vista di Sophie, era che sua sorella non assomigliava
per nulla a Martha. Era semplicemente se stessa, la bellissima
Lettie, con indosso un abito bianco e rosa, della stessa sfumatura
di tutti quei fiori che le facevano da cornice. I capelli neri le
poggiavano sulle spalle in grossi riccioli serici e gli occhi
brillavano di devozione per Howl.
Sophie si ritrasse velocemente e lanciò un'occhiata costernata
a Michael, che continuava a tenere l'uggiolante collie.
— Deve essersi portato dietro un incantesimo velocizzante
— bisbigliò l'apprendista in modo ugualmente costernato. In
quel momento vennero raggiunti dalla signora Fairfax che
ansimava e cercava di risistemare una ciocca dei capelli color
burro. — Cane cattivo! — sussurrò con autorità al collie. —
Finirò per farti un incantesimo, se lo farai di nuovo! L'animale
sbatté le palpebre e si accucciò. La signora Fairfax puntò un dito
contro di lui: — Fila in casa! E... restaci!
Il cane si scrollò il pelo, finalmente libero dalla presa di
Michael, e si avviò oltre l'angolo.
— Ti ringrazio moltissimo... Avrebbe continuato a cercare di
mordere l'ospite di Lettie — spiegò la fattucchiera a Michael,
mentre tutti e tre seguivano l'animale. — Dentro! — aggiunse a
voce alta, libera ormai di gridare visto che erano tornati nel
giardino sul davanti; il cane si era fermato come se pensasse di
ritornare nel frutteto aggirando l'ostacolo e l'angolo opposto, poi
girò la testa e lanciò un'occhiata triste alla sua padrona.
Finalmente rientrò, attraversando il portico con aria sconsolata e
sconfitta.
— Quel cane potrebbe avere l'idea giusta — sbottò Sophie.
— Signora Fairfax, sa chi sia precisamente l'ospite di Lettie?
La fattucchiera sorrise sorniona. — È il Mago Pendragon, o
Howl, o in qualunque modo si faccia chiamare. Lettie e io non
gli abbiamo, comunque, detto di essere a conoscenza delle sue
differenti identità. Quando si è presentato la prima volta dicendo
di chiamarsi Sylvester Oak è stato molto divertente, perché
evidentemente lui si era scordato di me, mentre io non avevo
dimenticato chi fosse, anche se a quell'epoca lui era ancora uno
studente e portava i capelli neri.
La signora Fairfax se ne stava dritta impalata nel mezzo del
suo giardino, con le mani intrecciate sulla pancia, pronta a
chiacchierare tutto il giorno, come Sophie l'aveva vista fare
tante volte in passato.
— È stato l'ultimo scolaro della mia vecchia maestra, prima
che lei si ritirasse. Quando il signor Fairfax era ancora vivo,
aveva piacere che ogni tanto io teletrasportassi entrambi a
Kingsbury per assistere a una rappresentazione. In quelle
occasioni ero solita fermarmi dalla signora Pentstemmon, che
ama che i suoi vecchi allievi si tengano in contatto con lei. Una
volta, quindi, che mio marito e io eravamo passati a farle visita,
ci presentò il giovane Howl. Oh, era così orgogliosa di lui.
Sapete, ha dato lezioni anche al Mago Suliman, ma diceva che
Howl era molto più abile...
— Ma non conoscete la reputazione di Howl? — la
interruppe Michael. Inserirsi in un discorso della signora Fairfax
era un po' come saltar dentro al gioco della corda. Si deve
scegliere il momento esatto, poi una volta che sei dentro, ti tocca
saltare.
La signora Fairfax rivolse un'occhiata superficiale al ragazzo,
quindi continuò imperterrita: — Secondo me, sono tutte
chiacchiere.
Michael aprì la bocca per dire che non era vero, ma si ritrovò
preso nella trappola di quel gioco e la corda continuava a girare
inesorabile. — E io ho detto a Lettie: "Ecco la tua grande
occasione, tesoro mio", poiché sapevo che Howl avrebbe potuto
essere un maestro venti volte migliore di me... Fra l'altro non mi
secca certo affermare che il cervello di Lettie va ben oltre il mio
e che potrebbe finire per essere annoverata nello stesso gruppo
della Strega delle Terre Desolate, solo che lei opererebbe per il
bene. Lettie è una brava ragazza e io le voglio molto bene. Se la
signora Pentstemmon insegnasse ancora, le manderei Lettie
domani stesso. Ma purtroppo ha lasciato la professione. Così le
ho detto: "Lettie, ecco il Mago Howl che ti fa la corte e potresti
fare qualcosa di peggio che innamorarti di lui e permettergli di
essere il tuo insegnante. Insieme, voi due, andrete lontano!".
Penso che Lettie, inizialmente, non fosse troppo dell'idea, ma
poi si è ammorbidita e oggi mi sembra che tutto proceda al
meglio.
A questo punto la signora Fairfax fece una pausa per
sorridere con benevolenza a Michael, e Sophie si lanciò fra i giri
della corda per saltare a sua volta, così riuscì a dire: — Ma
qualcuno mi ha detto che Lettie era innamorata di un altro.
— Volete dire che siete dispiaciuta per lui, immagino —. Poi
la signora Fairfax continuò abbassando la voce: — Si tratta di
una terribile menomazione... — quindi soggiunse con un sospiro
suggestivo: — È chiedere troppo a qualsiasi ragazza, l'ho detto
anche a lui. Oh, io stessa sono profondamente dispiaciuta...
Sophie riuscì solamente a emettere un disorientato — Oh?
—...Ma si tratta di un maleficio terribilmente potente. Tutto
ciò è molto triste — continuò implacabile la signora Fairfax. —
Gli ho dovuto confessare che non c'è niente che possa fare una
persona della mia abilità per spezzare un incantesimo messo in
piedi dalla Strega delle Terre Desolate. Howl forse sarebbe in
grado di farlo, ma naturalmente lui non può chiederlo a Howl,
ne converrete...
A questo punto Michael, che continuava a guardare
nervosamente verso l'angolo della casa, riuscì a inserirsi di
nuovo nel gioco della corda e a farlo smettere dicendo: — Penso
che sarebbe meglio andare.
— Siete sicuri di non voler entrare per assaggiare il mio
miele? — chiese la signora Fairfax. — Lo uso per quasi tutti i
miei incantesimi, sapete... — ed era già ripartita: si trattava, in
questo caso, di magnificare le virtù magiche del miele.
Michael e Sophie si incamminarono con passo deciso verso
il cancello, mentre la fattucchiera teneva loro dietro,
continuando il vortice delle chiacchiere anche mentre si chinava
per raddrizzare, con gesti pietosi, le piante che il cane aveva
piegato. Nel frattempo Sophie si stava spremendo le meningi
per trovare il sistema di chiedere a quella donna come facesse a
sapere che Lettie era Lettie, senza per altro insospettire Michael.
Quando la signora Fairfax si fermò per prendere fiato e per
raddrizzare una grande pianta di lupino, Sophie colse la palla al
balzo. — Signora Fairfax, le volevo chiedere... non avrebbe
dovuto essere mia nipote Martha a studiare presso di voi?
— Che ragazzacce! — le rispose la fattucchiera con un largo
sorriso, mentre scuoteva la testa emergendo dal lupino. — Come
se io non avrei riconosciuto un mio stesso incantesimo a base di
miele! Ma come le ho detto a quel tempo: "Non sono una che
tiene qualcuno contro la sua volontà, piuttosto ho sempre
insegnato volentieri a chi volesse apprendere le mie arti. Solo",
le ho detto, "non avrò alcuna pretesa e tu starai qui come se fossi
a casa tua o non ci starai affatto". E tutto si è sistemato
felicemente, come potete ben vedere. Non volete rimanere e
chiedere a Lettie personalmente?
— Penso che sarebbe meglio che ce ne andassimo — le
rispose Sophie.
— Dobbiamo tornare a casa — aggiunse Michael, lanciando
un'altra occhiata apprensiva verso il frutteto. Raccolse gli stivali
delle sette leghe dal nascondiglio nella siepe e ne preparò uno
per Sophie appena fuori dal cancello, dicendole: — Ho
intenzione di tenervi per tutto il tempo dello spostamento.
La signora Fairfax si sporse dal cancello proprio nel
momento in cui Sophie infilava un piede nella magica calzatura
e non poté fare a meno di esclamare: — Oh, dei viaggiatori delle
sette leghe! Ci credereste, non vedevo questi affari da anni.
Molto utili soprattutto per persone della vostra età, signora...
Non mi dispiacerebbe procurarmene un paio, uno di questi
giorni. Così è da voi che Lettie ha ereditato le sue doti magiche,
non è vero? Non che queste corrano sempre lungo l'asse
ereditario, comunque...
Michael tenne forte il braccio di Sophie e la tirò. Entrambi
gli stivali toccarono terra contemporaneamente e il resto del
discorso della signora Fairfax svanì in uno Zip! E l'aria prese il
suo posto. Un attimo dopo Michael dovette tenere i piedi in
equilibrio perfetto per evitare di sbattere contro il castello. La
porta era aperta. Dall'interno Calcifer stava ruggendo: — Porta
di Porthaven! C'è qualcuno che sta bussando a quella porta da
quando ve ne siete andati.
CAPITOLO NOVE
In cui Michael ha dei guai con un incantesimo
Alla porta c'era il capitano della nave che era venuto a
ritirare il suo 'incantesimo per un buon vento' e non era per
niente contento di aver aspettato tanto.
— Se perderò la mia marea, ragazzo — disse a Michael —
dirò qualche parolina su di te allo Stregone. Non mi piacciono i
ragazzi pigri.
Michael, secondo il parere di Sophie, fu anche troppo
educato con quell'uomo, ma si sentiva troppo abbattuta per
interferire. Quando il capitano finalmente se ne fu andato,
Michael si diresse al banco di lavoro per affrontare nuovamente
l'incantesimo che Howl gli aveva assegnato e Sophie si sedette
in silenzio rammendando le proprie calze. Aveva solo quel paio
e i suoi piedi, ora pieni di bitorzoli, le avevano bucate
miseramente. Anche il suo vestito grigio a quel punto era sporco
e logoro. Si domandò se avesse il coraggio di tagliare le parti
macchiate dell'abito blu e argento di Howl e di utilizzare la
stoffa restante per farsi una gonna. Ma si rispose che quel
coraggio non l'aveva.
— Sophie, quante nipoti avete? — le chiese a quel punto
Michael alzando gli occhi dal dodicesimo foglio di appunti.
Sophie aveva temuto che il ragazzo cominciasse a farle delle
domande del genere, per cui era preparata. — Quando si
raggiunge la mia età, se ne perde il conto, poi si assomigliano
tutte. Nella mia testa, per esempio, quelle due Lettie potrebbero
essere gemelle.
Con sua grande sorpresa sentì Michael che le rispondeva: —
No, non è così. Quella vostra nipote di Upper Folding non è
carina come la mia Lettie. Intanto appallottolava l'undicesimo
foglio, per iniziarne un dodicesimo. — Sono felice che Howl
non abbia incontrato la mia Lettie.
— Così dicendo accartocciò anche quel foglio per
cominciarne un altro e appallottolare, infine, anche quello. —
Stavo per scoppiare in una gran risata quando quella signora
Fairfax ha detto di sapere chi fosse Howl. Non veniva da ridere
anche a voi?
— No — fu la secca risposta di Sophie. Chiunque fosse
Howl non cambiava affatto i sentimenti che evidentemente
Lettie provava per lui, era chiaro dallo sguardo luminoso e
adorante della ragazza, là sotto i meli in fiore.
Così Sophie pose una domanda di cui già temeva di
conoscere la risposta. — Immagino non ci sia nessuna
possibilità che Howl si innamori sul serio, almeno questa volta,
vero Michael? Calcifer, sentendo queste parole, sbuffò un
ammasso di scintille verdi su per il camino.
— Temevo che poteste farvi venire in mente idee del genere.
Ma vi sbagliate di grosso, proprio come la signora Fairfax — le
rispose l'apprendista.
— E tu come lo sai?
Calcifer e Michael si scambiarono un'occhiata d'intesa, poi il
ragazzo le domandò: — Il Mago ha forse dimenticato di
trascorrere almeno un'ora in bagno stamattina?
— È stato là dentro per tre ore, lo sciocco vanesio — rispose
il demone al posto di Sophie — mettendosi in faccia ogni tipo di
pozione!
— Visto? Avevo ragione. Comincerò a credere che Howl si
stia innamorando per davvero solo quando si dimenticherà degli
incantesimi di bellezza prima di un incontro amoroso . Prima...
no.
A Sophie tornò in mente l'immagine di Howl inginocchiato
nel frutteto, atteggiato in modo da apparire più affascinante
possibile. Allora seppe che quei due avevano ragione. Pensò,
quindi, di andare in bagno e di buttare tutti i filtri di bellezza giù
per il gabinetto. Poi non ebbe il coraggio di farlo. Invece andò a
prendere il vestito blu e argento e trascorse il resto della giornata
tagliando dei triangoli di stoffa blu per farsi una specie di gonna
patchwork.
Passandole vicino per buttare nel fuoco le diciassette pagine
di appunti, Michael le batté affettuosamente su una spalla,
dicendole: — Alla fine si riesce a superare ogni cosa, sapete.
Era chiaro che stesse parlando anche a se stesso, visto che
evidentemente aveva qualche problema con il compito di magia
affidatogli da Howl. L'apprendista lasciò perdere gli appunti e si
mise grattare via un po' di fuliggine dal camino. Calcifer allungò
e storse il collo per guardarlo meglio, con un'espressione
interrogativa. Michael prese una radice essiccata da una delle
borse che pendevano dal trave e la mise fra la fuliggine. Poi,
dopo aver riflettuto a lungo, girò il pomello sul blu e svanì nelle
vie di Porthaven.
Fece ritorno circa venti minuti dopo, portando con sé una
grande conchiglia a forma di fuso, che mise con la radice e la
fuliggine. Dopodiché strappò pagine e pagine di carta e le mise
nel mucchietto davanti al teschio, quindi cominciò a soffiarvi
sopra cosicché la fuliggine e i pezzetti di carta volarono,
spargendosi su tutto il bancone.
— Cosa pensi che stia facendo? — sussurrò Calcifer a
Sophie.
Michael smise di soffiare, pose tutta quella roba in un
mortaio e cominciò a batterla con un pestello, mentre, di tanto in
tanto, lanciava al teschio delle occhiate cariche di aspettativa.
Non accadde nulla, così provò diversi ingredienti presi dalle
varie borse e dai barattoli.
— Non mi piace per niente spiare i movimenti di Howl —
annunciò il ragazzo, mentre pestava con foga la terza serie di
ingredienti in una ciotola. — Può essere volubile con le donne,
ma è stato maledettamente buono con me. Mi ha raccolto sulla
porta di casa sua a Porthaven quand'ero un orfano che nessuno
voleva.
— Com'è successo? Racconta — lo invitò Sophie, mentre
tagliuzzava un altro triangolo blu.
— Mia madre era già morta, quando mio padre affogò in una
tempesta. Nessuno ti vuole, quando succede una cosa del
genere. Dovetti lasciare la nostra casa perché non potevo pagare
l'affitto e cercai di vivere per strada, ma gli abitanti di Porthaven
continuavano a cacciarmi dalla loro porta o dalle loro barche.
Alla fine mi venne in mente l'unico posto dove tutti avevano
paura di venire a intromettersi. A quel tempo Howl aveva
appena cominciato a esercitare un po' di magia sotto il nome di
Jenkins lo Stregone, ma tutti assicuravano che c'erano i diavoli
in casa sua, così dormii un paio di notti, indisturbato, sulla sua
soglia; finché una mattina Howl aprì la porta per andare a
comperare il pane e io gli caddi dentro casa. Lui mi invitò
semplicemente a entrare e ad aspettarlo mentre andava a
prendere qualcosa da mangiare. Così mi accomodai, conobbi
Calcifer e mi misi a parlare con lui perché non avevo mai
incontrato un demone prima d'allora.
— E di cosa mai parlaste, voi due? — s'informò Sophie,
poiché era curiosa di sapere se fosse stato proposto anche a
Michael il patto che il fuoco aveva proposto a lei.
— Mi ha raccontato i suoi guai e ha sgocciolato su di me le
sue lacrime, non è vero? — si affrettò a rispondere Calcifer. —
Non pensava proprio che anch'io potessi avere dei problemi.
— Continuo a pensare che tu non li abbia, caro il mio
Calcifer. Ti lamenti solo un bel po', comunque tu fosti molto
gentile con me, quel mattino, e penso che Howl sia stato
profondamente colpito dal tuo atteggiamento. Ma tu lo conosci
bene, non mi ha detto che potevo restare, semplicemente non mi
ha detto di andarmene. Così ho cominciato a rendermi utile là
dove potevo, facendo cose come curarmi del suo denaro, in
modo che non spendesse tutto subito, e via discorrendo.
In quel momento l'incantesimo a cui l'apprendista stava
lavorando emise una specie di puffe si dissolse in una blanda
esplosione. Michael ripulì il teschio dalla fuliggine sospirando e
ricominciò con nuovi ingredienti, mentre Sophie, sul pavimento,
componeva un patchwork di triangoli blu.
— Ho commesso un sacco di stupidi errori all'inizio —
continuò a raccontare Michael. — Howl era terribilmente
paziente. Pensavo di aver superato quello stadio. Penso,
comunque, di essergli veramente utile per quanto riguarda il
denaro. Howl compera dei vestiti talmente costosi... Dice che
nessuno si sognerebbe di rivolgersi a un Mago che ha l'aspetto
di uno che non guadagna abbastanza con la sua attività.
— È solo perché gli piacciono i vestiti — intervenne
Calcifer, dando un'occhiata abbastanza significativa al lavoro di
Sophie, che ribatté: — In ogni caso quest'abito è stato senz'altro
sfruttato appieno.
— Non spende solo per i vestiti — continuò Michael. — Ti
ricordi, Calcifer, lo scorso inverno, quando ormai avevamo solo
un ceppo di legna da darti e lui tornò a casa con il teschio e
quella stupida chitarra? Mi sono proprio arrabbiato e lui, per
tutta risposta, ha detto che sembravano due oggetti positivi.
— E come avete fatto con la legna? — s'incuriosì Sophie.
— Con la magia ne ha sottratta una certa quantità a una
persona che gli doveva del denaro, almeno lui ce l'aveva
raccontata così, e io spero solo che abbia detto la verità. Poi
abbiamo mangiato alghe... Howl dice che fanno bene… eh,
Calcifer?
— Robaccia — brontolò il demone. — Secca e crepitante.
— Odio questo incantesimo — disse Michael, guardando
distrattamente la ciotola. — Non so... dovrebbero esserci sette
ingredienti, a meno che non si tratti di sette procedimenti... in
ogni caso proviamolo in un pentacolo.
Mise la ciotola sul pavimento e le disegnò attorno, con un
gesso, una sorta di stella a cinque punte. La polvere esplose con
forza tale da far volare i triangoli di Sophie nel focolare.
Michael imprecò e si affrettò a cancellare i segni fatti per terra.
Poi, scoraggiato, chiese addirittura aiuto a Sophie: — Mi sono
piantato in questo incantesimo e non riesco a procedere... Mi
dareste una mano, per favore?
— È proprio come un bambino che porta il compito alla
nonna per farsi aiutare — pensò Sophie raccogliendo i triangoli
di stoffa e disponendoli di nuovo sul pavimento con pazienza.
— Fammi dare un'occhiata — gli disse prudentemente. —
Non me ne intendo affatto di magia.
Michael le mise in mano, con foga, uno strano, sottilissimo
foglio di carta liscia e lucida. Aveva un aspetto insolito persino
per un incantesimo. Le lettere erano in grassetto, ma apparivano
di un grigio tenue e come sfocate, e lungo i margini c'erano delle
macchie grigie come nuvoloni che si ritraessero dal foglio.
— Ditemi cosa ne pensate — la incoraggiò Michael. Sophie
lesse:
"Prendi una stella cadente, con tatto,
Alla mandragola dona un bambino.
Gli anni passati, che fine hanno fatto?
Chi taglia al Diavolo il piede caprino?
Delle sirene come odo il canto?
E dell'invidia com'evito il pianto?
Ancora, ancora:
Qual è il mulinello
Che spinge l'onesto oltre ogni tranello?
Di cosa si tratti decidilo tu,
E aggiungi, a questa, una strofa in più. "
Lo scritto rese Sophie estremamente perplessa. Non aveva
nulla a che fare con gli incantesimi che aveva spiato in
precedenza nei libri del Mago. Lo rilesse con attenzione, parola
per parola, due volte, senza che Michael fosse di alcun aiuto,
visto che cercava di dare concitate spiegazioni mentre lei
leggeva.
— Sai che Howl mi ha detto che gli incantesimi avanzati
contengono sempre un indovinello? Be', per prima cosa ho
deciso che ogni verso doveva essere interpretato come tale. Ho
usato fuliggine e scintille al posto della stella cadente, e una
conchiglia per il canto delle sirene. Poi ho pensato che io avrei
potuto rappresentare il bambino, così ho preso quella radice, poi
ho compilato le liste degli anni passati dagli almanacchi, ma non
ero sicuro di questo punto, anzi, forse è proprio dove ho
commesso l'errore. E la cosa che fa evitare il pianto... visto che
l'invidia brucia, potrebbe essere una foglia di acetosa? Non ci
avevo ancora pensato... Comunque sia, niente di tutto questo
funziona!
— Non ne sono affatto sorpresa. A me sembra un insieme di
cose impossibili da fare.
Michael, però, non si dava per vinto e le fece notare che, a
rigor di logica, se tutte quelle cose erano impossibili, allora
nessuno sarebbe stato in grado di fare quell'incantesimo.
— Anzi — aggiunse il ragazzo — mi vergogno talmente di
spiare le mosse di Howl che voglio assolutamente venirne a
capo senza chiedere il suo aiuto e fare quest'incantesimo proprio
per benino!
— Molto bene, Michael. Cominciamo allora dalla frase
"decidi di cosa si tratta". Questo dovrebbe metterci sulla buona
strada, se pensiamo che faccia comunque parte dell'incantesimo.
— No, è un tipo di incantesimo che spiega se stesso mentre
lo si compie. Questo è il significato dell'ultima strofa. Quando
scriverai la seconda parte, dicendo quello che significa
l'incantesimo, allora lo farai funzionare. Si tratta di un tipo di
magia molto avanzata. Prima di tutto dobbiamo capire almeno
qualcosa della prima parte. Sophie fece di nuovo un mucchietto
dei triangoli di stoffa e propose di chiedere aiuto al demone del
fuoco.
— Calcifer, chi...
Michael, però, non le permise di continuare. — No, non
fatelo. Penso che Calcifer sia parte dell'incantesimo. Guardate a
quante cose chiede con insistenza. All'inizio credevo che si
riferisse al teschio, ma non ha funzionato, quindi deve trattarsi
di Calcifer.
— Puoi continuare da solo, se devi contestare tutto ciò che
dico! — l'apostrofò Sophie. — Calcifer dovrà pur sapere chi gli
ha 'tagliato il piede'!
Calcifer si animò per un istante, mandando alcuni bagliori.
— Non ho piedi, io. Sono un demone, non un diavolo —.
Pronunciando queste parole si ritrasse sotto ai ceppi, da dove
continuarono a uscire rimbrotti e borbottii, tipo "solo un
mucchio di stupidaggini!", per tutto il tempo che Sophie e
Michael proseguirono la loro discussione.
Poco a poco l'indovinello aveva fatto presa su Sophie che,
messi definitivamente da parte i triangoli blu, aveva afferrato
carta e penna e aveva cominciato a prendere appunti nella stessa
quantità e alla stessa maniera di Michael. Entrambi passarono il
resto della giornata seduti, mordicchiando le rispettive penne
d'oca, lanciandosi occhiate e suggerimenti. In una pagina 'tipo'
di Sophie si poteva leggere:
L'invidia può essere tenuta lontana dall'aglio? Si potrebbe
ritagliare una stella di carta e lasciarla cadere. Possiamo dirlo
a Howl? Howl preferirebbe le sirene a Calcifer? Probabilmente
Howl non è l'onesto che si spinge oltre ogni tranello. Che sia
Calcifer? E, comunque, dove sono gli anni passati? Significa
forse che una di quelle radici secche deve dare un frutto?
Piantarla? Vicino a dell'acetosa? Nella conchiglia? Molti
animali hanno uno zoccolo caprino, ma non i cavalli. Solo se lo
taglio, diventa così. Taglio? Ferrare un cavallo con uno
spicchio d'aglio? Mulinello? Cattivo odore? Un mulinello
provocato dagli stivali delle sette leghe? Il diavolo è Howl?
Dita caprine negli stivali delle sette leghe? Sirene con gli
stivali?
Mentre Sophie scriveva cose di questo genere, Michael
chiedeva con tono altrettanto disperato: — Il 'mulinello'
potrebbe essere interpretato come una sorta di puleggia... a cui è
stato appeso un uomo onesto?
Ma questa sarebbe magia nera!
— Ceniamo — propose a quel punto Sophie.
Mangiarono pane e formaggio continuando a guardarsi con
una certa ostilità. Alla fine Sophie sbottò: — Michael, per amor
del cielo, piantiamola di tentare di indovinare e cerchiamo di
fare semplicemente quello che c'è scritto. Dov'è il posto
migliore per acchiappare una stella cadente? Sulle colline,
forse?
— Meglio le Paludi di Porthaven, sono più piatte. Ma... ci
riusciremo? Le stelle cadenti sono terribilmente veloci.
Al che Sophie gli rammentò gli stivali delle sette leghe, con i
quali avrebbero potuto senz'altro farcela. Questo suggerimento
fece balzare in piedi l'apprendista che, carico di entusiasmo,
esclamò: — Ci siete arrivata! —. Poi si affrettò a prendere gli
stivali. — Su, andiamo... proviamoci!
Questa volta Sophie fu più prudente e prese con sé il bastone
e lo scialle, visto che era quasi buio.
Michael stava girando il pomello della porta sul blu, quando
accaddero due cose strane. Sul banco i denti del teschio
cominciarono a sbattere violentemente, mentre Calcifer,
mandando una fiammata su per il camino, lanciò un grido
disperato — Non voglio che andiate!
— Torneremo presto — gli disse Michael per rabbonirlo.
Uscirono sulla via di Porthaven. Era una notte luminosa e
profumata. Tuttavia, appena giunsero alla fine della strada,
Michael si ricordò che Sophie quella mattina si era sentita male,
e cominciò a preoccuparsi per gli effetti che l'aria notturna
avrebbero potuto avere sulla sua salute, ma, per tutta risposta,
Sophie gli disse di non fare lo sciocco e continuò ad arrancare
arditamente appoggiandosi al bastone. Infine si lasciarono alle
spalle le finestre illuminate del villaggio. La notte divenne, così,
immensa, umida e fredda. Dalle paludi saliva odore di sale,
misto a terra; il mare baluginava e mormorava dolcemente da
qualche parte alle loro spalle. Sophie poté intuire, più che
vedere, la piana immensa che si stendeva davanti a loro.
Riusciva, invece, a scorgere lembi di nebbiolina azzurrognola e
il tenue riflesso degli stagni mentre si inoltravano sempre di più
nelle paludi, finché non giunsero alla pallida linea dove iniziava
il cielo. Ora il cielo era ovunque, ancora più profondo, e la Via
Lattea sembrava un nastro di nebbia alzatosi dalle paludi,
mentre le stelle brillavano intensamente.
Michael e Sophie si fermarono con ciascuno uno stivale
pronto sul terreno davanti a loro e si misero ad aspettare che una
stella si muovesse. Dopo circa un'ora Sophie cercava di
nascondere i brividi per timore che Michael si preoccupasse.
Mezz'ora dopo a Michael sorse un dubbio: — Potrebbe non
essere il periodo giusto dell'anno. Agosto o novembre sono
senz'altro meglio. Dopo un'altra mezz'ora aggiunse, in tono
preoccupato. — E poi come la mettiamo con la radice di
mandragola?
— Oh, senti... risolviamo questa parte, intanto. Poi ci
preoccuperemo anche di quella — gli rispose Sophie, stringendo
i denti mentre parlava per paura che si mettessero a battere
all'impazzata.
Dopo un altro po' di tempo Michael le si rivolse di nuovo: —
Andate a casa, Sophie. Dopo tutto è il mio incantesimo —.
Sophie aveva già la bocca aperta per rispondergli che era una
buon'idea, quando una stella si staccò dal firmamento e sfrecciò
giù dal cielo lasciando una scia bianca dietro di sé, così invece
urlò: — Eccone una!
Michael infilò immediatamente un piede nello stivale e
scomparve di colpo. Sophie si bilanciò con il bastone e... via
anche lei. Zip!... Squash! Giù per le paludi, sempre più lontano,
fra la nebbia, il vuoto e gli stagni che baluginavano attorno a lei.
Sophie puntò il bastone al suolo e riuscì a fermarsi mantenendo
l'equilibrio. Lo stivale di Michael era una macchia scura proprio
di fianco a lei, mentre del ragazzo udiva solo il rumore dei passi
affrettati che diguazzavano nella melma e nell'acqua da qualche
parte, più avanti.
È là, ecco la stella cadente, come una fiammella bianca che
scendeva poche iarde oltre quella scura figura in movimento. La
forma luminosa stava venendo giù lentamente e sembrava che
Michael potesse arrivare ad afferrarla.
Dopo aver ripescato la scarpa dallo stivale, Sophie gridò,
felice come una bimba: — Su, bastone! Portami là!
Poi partì di gran carriera... per quel tanto che le permetteva la
sua andatura zoppicante, balzando fra i ciuffi d'erba e
barcollando fra le pozze d'acqua, con gli occhi sempre puntanti
su quella piccola luce bianca. Quando arrivò vicino al luogo
dove si trovava Michael, individuò la sagoma del ragazzo che si
stagliava contro la luce della stella. La stava inseguendo con
passi rapidi e furtivi, tenendo entrambe le braccia aperte, pronto
ad afferrarla. Ora l'astro fluttuava all'altezza delle mani di
Michael, ormai vicinissimo. La stella, in quel momento, si volse
a guardarlo con grande apprensione.
— Che strano! — pensò Sophie. Era fatta di luce, tanto da
illuminare un ampio cerchio dove si scorgevano erba, canne e
stagni tutto attorno a Michael, e nonostante questo aveva
un'espressione ansiosa nei grandi occhi che spiavano
l'inseguitore, e un visino puntuto. L'arrivo di Sophie la spaventò.
Cadde in una picchiata irregolare, gridando con vocina
tremante: — Che cos'è? Cosa volete?
Sophie cercò di dire a Michael "Fermati... è terrorizzata!",
ma non aveva più fiato per emettere una sola parola. Il ragazzo,
intanto, cercava di spiegare alla stella: — Ti voglio solo
prendere, non ti farò del male. — No! No! È sbagliato! Sono
destinata a morire!
— Ma io ti potrei salvare, se solo mi permettessi di afferrarti
— le disse allora Michael con tono gentile.
— No! — gridò di nuovo la stella. — Preferisco morire!
Così dicendo, fece un tuffo sgusciando fra le dita del
ragazzo, che si lanciò dietro di lei. Ma la stella era troppo
veloce; piombò nello stagno più vicino e l'acqua nera sussultò in
un bianco sfavillio, per un istante. Poi solo uno sfrigolio
morente... Quando Sophie lo raggiunse zoppicando, Michael se
ne stava lì immobile, guardando spegnersi gli ultimi bagliori
nell'acqua tornata ormai di nuovo nera.
— È molto triste — gli disse Sophie.
— Sì, in un certo senso il mio cuore se n'è andato con lei —
le rispose il ragazzo in un sospiro. — Andiamo a casa. Ne ho
abbastanza di questo incantesimo.
Ci vollero venti minuti prima che riuscissero a ritrovare gli
stivali e Sophie pensò che fosse un vero miracolo ripescarli in
quell'oscurità.
— Sapete — le disse Michael, mentre completamente
abbattuti percorrevano faticosamente le vie buie di Porthaven,
— senz'altro non sarò mai capace di compiere
quest'incantesimo. È di un grado troppo elevato per le mie
capacità. Dovrò chiedere a Howl. Odio arrendermi, ma almeno
questa volta riuscirò a cavare qualcosa di sensato dal nostro
Mago, visto che questa Lettie Hatter gli si è arresa.
Questo, però, non rendeva Sophie felice per niente.
CAPITOLO DIECI
In cui Calcifer promette a Sophie un indizio
Howl doveva essere rientrato quando Sophie e Michael erano
ancora fuori. Il Mago, infatti, uscì dal bagno proprio mentre
Sophie stava friggendo su Calcifer le uova per la colazione.
Tutto bello azzimato, avvolto in una nuvola di profumo al
caprifoglio, si sedette sulla sedia in una posa aggraziata, con
un'espressione radiosa dipinta in volto.
— Sophie cara, sempre indaffarata... Hai lavorato duramente
anche ieri, vero, nonostante il mio consiglio? Ma perché ridurre
il mio abito migliore come un puzzle? Te lo chiedo così, in
amicizia, tanto per sapere —. Il suo tono era ironico e sornione.
— L'hai coperto tu di gelatina, non ricordi? Lo sto
trasformando.
— Posso farlo benissimo da solo. Credevo di avertelo già
dimostrato. Posso anche prepararti un paio di stivali delle sette
leghe tutti per te, se mi dai la misura giusta. Qualcosa di pratico
in vitello marrone, per esempio. È davvero sorprendente il modo
in cui uno possa fare un passo lungo dieci miglia e mezzo e
atterrare in una montagna di sterco di vacca...
— Potrebbe essersi trattato anche di sterco di toro — ribatté
Sophie con lo stesso tono. — Mi viene da pensare che tu abbia
trovato sugli stivali anche del fango proveniente dalle paludi.
Una persona della mia età ha bisogno di molto esercizio.
— Allora sei stata anche più impegnata di quanto pensassi,
visto che ieri, quando ho distolto per un istante gli occhi
dall'amato volto di Lettie, avrei giurato di aver visto il tuo lungo
naso curiosare oltre l'angolo della casa. O mi sbaglio?
— La signora Fairfax è un'amica di famiglia. Come potevo
sapere che anche tu saresti andato a farle visita?
— Hai un vero istinto per queste cose, Sophie. Ecco tutto.
Niente si salva da te. Se mi mettessi a corteggiare una ragazza
che vivesse su un iceberg sperduto in mezzo all'oceano, prima o
poi (probabilmente prima) alzando il viso ti vedrei curiosare a
cavalcioni di una scopa. Ti dirò di più, d'ora in poi sarò molto
deluso, se non ti vedrò...
— Partirai per quell'iceberg... oggi? — ribatté Sophie. —
Dall'espressione che aveva ieri Lettie, direi che niente ti trattiene
più là!
— Mi stai offendendo — le disse Howl con tono oltraggiato.
Sophie lo guardò di traverso, sospettosa. Malgrado il frivolo
gioiello rosso che pendeva dall'orecchio, il profilo di Howl le
appariva triste e nobile, mentre le diceva: — Passeranno ancora
lunghi anni prima che io lasci perdere Lettie. In effetti sto per
tornare dal Re proprio oggi. Soddisfatta, signora Ficcanaso?
Sophie non era sicura di poter prendere per vera nessuna
delle sue parole, anche se, visto che il pomello della porta era
sul rosso, era certamente Kingsbury il luogo dove Howl era
diretto. Dopo colazione, infatti, aveva spostato con un cenno
della mano Michael, che stava cercando di consultarlo sul
difficile incantesimo, ed era uscito di fretta. Non avendo
null'altro da fare, anche l'apprendista se n'era andato, dicendo
che a quel punto poteva tranquillamente andare da Cesari.
Sophie, lasciata sola, continuò a riflettere se poter effettivamente
credere alle parole di Howl o meno. Si era già sbagliata sul suo
conto e, tutto sommato, aveva tenuto in considerazione solo i
discorsi fatti da Michael e di Calcifer sul suo comportamento.
Raccolse tutti i triangolini di stoffa blu e, sentendosi un po' in
colpa, cominciò a ricucirli assieme sulla rete d'argento che
copriva in origine il vestito e che era tutto ciò che ne rimaneva.
Quando qualcuno bussò alla porta, trasalì violentemente,
pensando che potesse trattarsi di nuovo dello spaventapasseri.
— Porta di Porthaven — annunciò Calcifer, ammiccando
verso do lei con una fiammata purpurea.
Allora non doveva esserci alcun pericolo, pensò Sophie,
zoppicando verso la porta e aprendola con la faccia blu del
pomello rivolta in basso. Fuori c'era un cavallo da tiro. L'uomo
che lo conduceva, e che sembrò a Sophie un tipo aitante sulla
cinquantina, era venuto a chiedere se la signora Strega avesse
qualcosa per impedire al cavallo di perdere continuamente i ferri
degli zoccoli.
— Vedrò... — gli rispose Sophie, poi, avvicinatasi alla grata
del focolare, bisbigliò a Calcifer: — Cosa debbo fare?
— Polvere gialla, nel quarto vaso sul secondo scaffale —
sussurrò il demone di rimando. — La maggior parte di quegli
incantesimi è attendibile. Mostrati sicura di te, quando glielo
porgi.
Così Sophie versò la polvere gialla in un quadratino di carta
come aveva visto fare a Michael, lo accartocciò con cura, quindi
tornò alla porta.
— Ecco, tieni, ragazzo mio. Questo terrà attaccati i ferri più
di un centinaio di chiodi. Mi hai sentito, cavallo? Non avrai più
bisogno del maniscalco per tutto l'anno prossimo. Fa un penny
in tutto, grazie.
Fu una giornata piuttosto movimentata. Sophie dovette
posare l'ago più volte e vendere, con l'aiuto di Calcifer, un
incantesimo per liberare un tubo di scarico, un altro per radunare
le capre e qualcosa per fare una buona birra.
L'unico che le diede qualche problema fu il cliente che bussò
alla porta di Kingsbury. Sophie aveva aperto l'uscio con il
pomello sul rosso, e si era trovata davanti un ragazzino poco più
vecchio di Michael vestito in modo sfarzoso. Il giovane, però,
aveva la faccia bianca come un lenzuolo, sudava e si torceva le
mani.
— Signora dei Sortilegi, dovrò cimentarmi in un duello,
domani all'alba. Abbiate pietà! Datemi qualcosa che mi faccia
essere sicuro di vincere. Sono disposto a pagare qualsiasi cifra!
Sophie, da sopra una spalla, lanciò un'occhiata a Calcifer, e il
demone fece un sacco di smorfie di rimando per farle capire che
non c'erano magie del genere pronte.
— Qualsiasi cifra?... Non sarebbe per niente corretto —
rispose Sophie al ragazzo con aria severa, poi aggiunse: —
Inoltre i duelli sono una cosa sbagliata.
— Allora mi prepari semplicemente qualcosa che mi dia
almeno una buona opportunità! — la pregò il ragazzo con la
disperazione nella voce. Sophie lo guardò: era piuttosto basso
per la sua età e aveva il viso contratto dalla paura. Il suo sguardo
senza speranza era quello che ha negli occhi solo chi non ha mai
vinto.
— Vedrò cosa posso fare — gli disse Sophie dirigendosi
verso gli scaffali e cominciando a esaminare attentamente i
barattoli. Quello rosso, contrassegnato dall'etichetta CAYENNA,
sembrava il più adatto. Sophie ne mise una quantità generosa nel
consueto pezzetto di carta, poi spostò il teschio di fianco al
pacchetto mormorando: — Tu ne devi sapere senz'altro più di
me.
Il giovane intanto sporgeva la testa oltre la porta per
guardarsi attorno con quella sua aria ansiosa. Sophie, allora,
afferrò un coltello e con esso fece sul mucchietto di pepe quelli
che sperava sembrassero gestì magici. Poi pronunciò le seguenti
parole sempre rivolta al teschio, come in un rito: — Devi fargli
fare un leale combattimento. Un duello leale. Capito, vero? Poi
chiuse con cura il pacchetto, andò alla porta e lo porse al
ragazzo.
— Quando inizia il duello, getta questo in aria. Ti darà la
medesima opportunità che avrà l'altro contendente. Dopo di che,
la vittoria dipenderà da te.
Le fu così grato che cercò di darle una moneta d'oro, ma
Sophie rifiutò di prenderla, così il giovane la pagò con un pezzo
da due centesimi e se ne andò tutto felice, fischiettando.
— Mi sento un'imbrogliona — disse a voce alta Sophie
mentre riponeva il denaro sotto la pietra del focolare. —
Comunque vorrei essere presente a quel duello!
— Piacerebbe anche a me! — gracchiò Calcifer. — Quando
hai intenzione di liberarmi, cosicché io me ne possa andare a
vedere azioni di questo tipo?
— Quando avrò ottenuto almeno un indizio su questo
contratto.
— Ne potrai avere uno nel corso di questa giornata —
replicò il demone. Verso la fine del pomeriggio. Michael rientrò,
leggero come una brezza marina, guardandosi attorno con aria
ansiosa per controllare che Howl non fosse rincasato prima di
lui. Andò al tavolo da lavoro e, in fretta e furia, tirò fuori diversi
oggetti per dare l'impressione di essere stato molto impegnato.
Intanto cantava allegramente.
— Ti invidio, perché tu sei ancora in grado di camminare
tutto il giorno e poi startene lì fresco come una rosa — lo
apostrofò Sophie, mentre cuciva un triangolo blu alla rete
d'argento. — Come sta Ma... mia nipote?
Michael lasciò con aria felice il suo lavoro per andarsi a
sedere sullo sgabello accanto al focolare e raccontarle la sua
giornata. Quindi si informò su quello che aveva fatto Sophie. Il
risultato fu che quando Howl aprì la porta con una spallata, visto
che aveva le braccia cariche di pacchi, Michael non si era
ancora messo al lavoro, ma si stava dondolando sullo sgabello,
ridendo come un matto al racconto dell'incantesimo per la buona
riuscita del duello. Howl si volse per chiudere la porta e rimase
là, con la schiena appoggiata all'uscio in una posa tragica. —
Guardateli! Io ho lavorato come uno schiavo tutto il giorno per
loro, la rovina è dipinta sul mio viso, e nessuno, nemmeno tu,
Calcifer, che trovi un secondo per lanciarmi un salve!
Michael si alzò di colpo dallo sgabello con aria colpevole,
mentre Calcifer diceva: — Io non dico mai salve.
— Qualcosa è andato storto? — si informò Sophie.
— Così va meglio. Finalmente qualcuno fa finta di notarmi.
Gentile da parte tua, Sophie. Sì, qualcosa di storto c'è. Il Re mi
ha chiesto ufficialmente di trovargli suo fratello, con il marcato
sottinteso che la distruzione della Strega delle Terre Desolate
sarebbe molto utile, e voi due ve ne state lì a ridere!
A quel punto era evidente che Howl si trovava in quel
particolare stato d'animo che avrebbe potuto portarlo a produrre
il ben noto viscidume verde di lì a qualche secondo. Pertanto
Sophie si affrettò a spostare il suo lavoro di cucito e a suggerire:
— Preparerò un po' di pane tostato con il burro.
— È tutto quello che sai fare per fronteggiare una tragedia?
— le chiese Howl. — Preparare pane e burro?! No, non alzarti.
Ho camminato faticosamente fin qui carico come un somaro per
te, ora l'unica cosa che farai è dimostrare un educato interesse.
Tieni.
Così dicendo le riversò in grembo una pioggia di pacchi e ne
porse un altro a Michael.
Sconcertata, Sophie aprì i suoi pacchetti: diverse paia di
calze di seta; due confezioni di sottovesti del più fine percalle,
con balze, trine e inserti di raso; un paio di stivali in pelle
scamosciata, grigio tortora; uno scialle di merletto; un vestito
grigio di seta marezzata guarnito di un merletto che si intonava
perfettamente con quello dello scialle. Sophie soppesò tutti quei
capi di vestiario con occhio professionale e rimase senza fiato. Il
solo merletto valeva una fortuna. Poi accarezzò l'abito di seta
con soggezione reverenziale.
Michael intanto aveva tirato fuori dal suo pacco uno
splendido vestito nuovo di velluto. — Devi aver speso tutte le
monete che avevi in quella borsa di seta! — esclamò con poco
tatto. — Non ho bisogno di questo abito, sei tu quello che ha
bisogno di un vestito nuovo. Howl agganciò con uno stivale
quello che restava del suo abito blu e argento e lo sollevò con
aria triste. Anche se Sophie aveva lavorato instancabilmente,
l'indumento era ancora più buchi che altro.
— Come sono altruista... Non posso comunque mandare te e
Sophie a screditare il mio nome presso il Re, vestiti come due
straccioni. Il sovrano penserebbe che non mi prendo cura di mia
madre. Allora, Sophie? Gli stivali sono della misura giusta?
Sophie sollevò lo sguardo dall'abito, che stava ancora
accarezzando.
— Fai così perché sei gentile oppure codardo? Grazie mille,
ma... no, non ci andrò.
— Che ingratitudine! — esclamò Howl allargando le braccia.
— Allora sarà di nuovo melma verde! Dopodiché sarò costretto
a spostare il castello mille miglia lontano da qui e a non vedere
mai più la mia amata Lettie!
Michael guardò Sophie con aria implorante. Sophie, di
rimando, lo guardò con cipiglio. Capiva bene che la felicità di
entrambe le sue sorelle dipendeva dal fatto che lei acconsentisse
a vedere il Re, e per di più c'era anche tutta quella schifezza
verde!
— Non mi hai ancora chiesto di fare niente di preciso. Hai
semplicemente detto che dovevo andare.
Howl sorrise. — E tu ci andrai, non è vero?
— Va bene... Quando?
— Domani pomeriggio. Michael può accompagnarti come
lacchè. Il Re ti aspetta.
Howl sedette sullo sgabello e cominciò a spiegare, in
maniera seria e minuziosa, che cosa Sophie dovesse dire. Ora
che tutto procedeva come voleva Howl, Sophie notò che non
c'era più traccia alcuna dello stato d'animo foriero della verde
poltiglia. Lo avrebbe preso a schiaffi molto volentieri! Intanto il
Mago spiegava: — Voglio che tu compia un'abile missione, in
modo che il Re continui ad affidarmi compiti come
l'incantesimo per il trasporto dell'esercito, ma che non si fidi di
me per incarichi quali la ricerca del fratello. Devi spiegargli
come io abbia fatto infuriare la Strega delle Terre Desolate e
raccontargli che figlio devoto io sia per te. Voglio, comunque,
che tu sia talmente convincente che lui capisca bene che non
posso essergli di aiuto alcuno in quella ricerca.
Howl si dilungò nei dettagli, mentre Sophie si teneva i
pacchi stretti al petto e cercava di memorizzare le parole del
Mago. Non poté comunque fare a meno di pensare che se lei
fosse stata nei panni del Re non avrebbe capito dove quella
vecchia che aveva davanti volesse andare a parare! Michael,
intanto, continuava a toccare il gomito di Howl per cercare di
trasferire la sua attenzione sul famoso incantesimo che non
riusciva a mettere in atto. Ma al Mago continuavano a venire in
mente nuovi particolari per favorire la buona riuscita della
missione.
— Non adesso, Michael. Vediamo... Ho pensato, Sophie, che
potresti avere bisogno di un po' di pratica per non essere
intimorita dalla maestosità del Palazzo, dalla formalità del
cerimoniale. Non vogliamo che tu sia sopraffatta da qualche
dubbio nel bel mezzo della tua conversazione con il Re, vero?...
Michael, aspetta... Così ho preso accordi perché tu possa far
visita alla signora Pentstemmon, la mia vecchia insegnante. È
una dei 'grandi vecchi' e, in un certo qual modo, è ancora più
importante del Re. Così almeno farai un po' di pratica con quel
tipo di personaggi prima di presentarti a Corte!
A quel punto Sophie desiderava di non aver mai acconsentito
e, in cuor suo, si sentì decisamente sollevata quando finalmente
Howl volse la sua attenzione all'apprendista.
— Bene, Michael. Adesso è il tuo turno. Cosa c'è?
L'apprendista, sventolandogli sotto al naso il lucido foglio
grigio, riversò sul Mago una fiumana di parole per spiegargli
con tristezza quanto la realizzazione di quell'incantesimo fosse
impossibile. Nell'udire una cosa del genere, Howl sembrò un po'
meravigliato. Prese comunque in mano il foglio, dicendo: —
Vediamo... dov'era il tuo problema? —. Mentre pronunciava
queste parole, spiegò il foglio e lo fissò attonito, inarcando un
sopracciglio.
— Ho cercato di affrontarlo come se fosse un indovinello,
poi facendo semplicemente quello c'era scritto — spiegava
intanto Michael, — ma Sophie e io non siamo riusciti a prendere
la stella cadente...
— Grandi dei! — si lasciò scappare di bocca Howl. Poi
scoppiò in una gran risata e dovette mordersi un labbro per
smettere di ridere. — Questo non è l'incantesimo che avevo
lasciato sul bancone per te. Dove l'hai trovato, Michael?
— Veramente io l'ho trovato proprio sul bancone. Era nel
mucchio di cose che Sophie ha impilato attorno al teschio ed era
l'unico incantesimo che ci fosse, così ho pensato...
Howl balzò in piedi, si mise a fare una cernita delle cose che
erano sul banco da lavoro, poi sbottò: — Sophie colpisce
ancora!
Mentre continuava nella sua ricerca, fogli e oggetti volavano
a destra e a sinistra.
— Avrei dovuto immaginarlo! No, l'incantesimo giusto non è
qui — e mentre rifletteva, si mise a tamburellare sulla calotta
cranica, marrone e lucente, del teschio. — È opera tua, amico?
Ho idea che tu provenga da là, da dove sicuramente viene la
chitarra... Sophie cara...
— Sì?!...
— Vecchia Sophie... pazza ingovernabile, sempre
indaffarata... Ho ragione se penso che hai girato il pomello della
porta sul nero e hai messo fuori il tuo lungo naso impiccione?
— Solo un dito. Ho messo fuori un dito e niente più — gli
rispose Sophie cercando di mantenere un'aria dignitosa.
— Ma hai aperto la porta e quello che Michael pensa sia un
incantesimo dev'essere entrato da quel varco. Non è venuto in
mente a nessuno dei due che il testo di quell'incantesimo non
assomiglia affatto ai soliti testi?
— Gli incantesimi spesso hanno un aspetto molto particolare
— intervenne Michael. — Ma... cos'è in realtà?
Howl scoppiò in una sonora risata. — "Decidi di cosa si
tratta. Scrivi tu stesso una seconda strofa!" Oh, Signore! —. Poi
corse su per le scale e, mentre i suoi piedi sparivano al piano di
sopra, urlò: — Ve lo mostrerò!
— Penso che abbiamo sprecato il nostro tempo a correre qua
e là per le paludi — stava intanto dicendo Sophie a Michael che
assentiva con aria cupa. Poi, capendo che in quel momento il
ragazzo si sentiva uno sciocco, aggiunse: — È stata colpa mia,
sono stata io ad aprire la porta.
— Ma mi tolga una curiosità, cos'avete visto, là fuori? — le
chiese Michael subito molto interessato.
Proprio in quel mentre, però, Howl scese le scale, dicendo:
— Non ho quel libro, come invece pensavo.
Ora, comunque, aveva un'espressione turbata. — Michael, ho
sentito bene... ha cercato di catturare una stella cadente?
— Sì, ma si è spaventata, è caduta in uno stagno ed è
affogata.
— Ringraziamo il cielo! — esclamò Howl.
— Era molto triste — intervenne Sophie.
— Triste... davvero? — chiese il Mago, che appariva più
turbato che mai. — È stata una tua idea, eh? Tipico da parte tua!
Mi pare di vederti mentre te ne vai con il tuo passo incerto fra le
paludi, incoraggiando Michael! Lasciami dire che quella è stata
proprio la cosa più stupida che abbia mai fatto. Lui sarebbe stato
molto più che triste, se mai fosse riuscito ad afferrare quella
cosa! E tu...
Calcifer sembrò risvegliarsi ed emise qualche fiammella,
domandando: — Cos'è tutta questa confusione? Se non mi
sbaglio, ne hai catturata una tu stesso, o no?
— Sì! E io... — cominciò Howl, lanciando una gelida
occhiata al demone, ma riuscì a controllarsi e a rivolgersi,
invece, all'apprendista. — Michael, promettimi che non tenterai
più di catturare una stella cadente, mai più!
— Lo prometto — rispose il ragazzo prontamente e di buon
grado. — Cos'è quello scritto, se non si tratta di un incantesimo?
Howl guardò il foglio grigio che aveva in mano. — Si
chiama Song... ed è quello che sembra, immagino. Ma questa
poesia non è completa e io non mi ricordo come continua.
Se ne rimase immobile, come colpito da una nuova idea, un
pensiero che, comunque, lo preoccupava.
— Penso che la strofa successiva fosse importante. Sarebbe
meglio cercarla e controllare... —. Andò alla porta, girò il
pomello sul nero, poi si fermò. Si voltò a guardare Sophie e
Michael, che fissavano il pomello stupiti, com'era abbastanza
logico fosse, e disse loro: — Va bene! Sono sicuro che se la
lasciassi qui, Sophie sarebbe capace di fare delle contorsioni pur
di seguirmi. E, d'altra parte, non sarebbe carino nei confronti di
Michael prendere con me lei e non lui. Quindi verrete entrambi,
così potrò controllarvi a vista.
Aprì la porta sul nulla e mosse fuori un passo. Michael
inciampò nello sgabello e cadde nella furia di seguirlo, mentre
Sophie sparse i pacchi a destra e sinistra sulle pietre del
focolare, e schizzò in piedi per quanto le permettevano le sue
povere ossa, ma fece anche in tempo a raccomandare a Calcifer:
— Non far cadere nessuna scintilla su quei pacchetti!
— Se tu mi prometti di dirmi che cosa c'è là fuori... In ogni
modo tu hai già avuto il tuo indizio...
— Dici davvero? — ma andava troppo di fretta per aspettare
una spiegazione a quelle parole.
CAPITOLO UNDICI
In cui Howl va in uno strano paese in cerca di un incantesimo
Dopo tutto il nulla aveva lo spessore di un pollice soltanto. E
oltre il nulla c'era un sentiero lastricato che portava al cancello
di un giardino, dove Howl e Michael la stavano aspettando nella
sera grigia e piovigginosa. Al di là del cancello si intravvedeva
una strada piatta, affiancata da case.
Sophie si volse indietro, rabbrividendo sotto la pioggerella, e
vide che il castello si era trasformato in un edificio giallo di
mattoni, con grandi finestre. Al pari di tutte le altre case era
nuova e a pianta quadrata, con una porta d'ingresso di spesso
vetro zigrinato. Sembrava che non vi fosse nessuno in giro.
Questo fatto poteva forse essere dovuto alla pioggia, fina e
insistente, ma Sophie provò la sensazione che il vero motivo
fosse un altro: certamente quel quartiere si trovava da qualche
parte ai margini di una città.
— Quando poi avrai finito di curiosare... — commentò Howl
che, evidentemente, la stava aspettando, lì fermo sotto la pioggia
che già gli aveva tutto bagnato lo sfarzoso abito grigio e
scarlatto. Nell'attesa, stava facendo dondolare un mazzo di
strane chiavi, la maggior parte delle quali erano piatte e gialle, e
sembravano intonarsi perfettamente alle case. Mentre Sophie
scendeva per il sentiero, Howl disse che dovevano vestirsi in
maniera adeguata a quel luogo e, improvvisamente, il suo abito
raffinato tremolò e fu offuscato alla vista come se la pioggia
attorno a lui si fosse, di colpo, trasformata in nebbia. Quando
l'immagine del Mago fu di nuovo a fuoco, era ancora vestito di
grigio e scarlatto, ma gli abiti avevano una foggia
completamente diversa. Le lunghe maniche penzolanti erano
sparite e l'insieme appariva più abbondante, frusto e un po'
logoro. La giacca di Michael si era accorciata, ora arrivava solo
in vita, ed era diventata una strana cosa imbottita. Il ragazzo
alzò un piede, calzato ora con scarpe di tela, poi guardò con
stupore quei cosi blu attillati che gli rivestivano le gambe. —
Riesco a malapena a piegare il ginocchio!
— Ti ci abituerai —. Poi Howl esortò Sophie ad avvicinarsi.
Con sua grande sorpresa, il Mago imboccò il sentiero che
portava al giardino e tornò verso la casa, allora Sophie poté
anche vedere che sulla schiena della strana giacchetta di Howl,
un po' rigonfia in vita, c'erano due parole misteriose: GALLES
RUGBY. Michael seguiva il Mago, camminando a piccoli passi
rigidi a causa di quei cosi che gli fasciavano le gambe. Sophie,
finalmente, abbassò lo sguardo per vedere quanto fosse
cambiato il suo abbigliamento, ma a parte la gonna, che si era
un po' accorciata mettendo in mostra le gambe rinsecchite e i
piedi bitorzoluti, il resto era rimasto sostanzialmente uguale.
Howl, con una chiave del mazzo che teneva in mano, aprì la
porta d'ingresso, accanto alla quale era appesa, tramite una
catenella, un'insegna di legno con un'unica parola, GRAN
BURRONE, come poté leggere Sophie mentre il Mago la
sospingeva in un ingresso tutto pulito, ordinato e luminoso.
Sembrava che in casa ci fosse qualcuno, poiché si sentivano,
oltre la porta più vicina, delle persone che parlavano a voce alta.
Ma quando Howl aprì l'uscio, Sophie si rese conto che le voci
erano emesse da immagini magiche e colorate, che si
muovevano sulla faccia anteriore di una scatola quadrata.
— Howell! — esclamò una donna che se ne stava seduta
intenta a lavorare a maglia.
Depose il lavoro un po' seccata, ma ancor prima che potesse
alzarsi, una ragazzina, che era intenta a guardare la scatola
magica con il mento appoggiato sulle mani, si alzò di scatto e si
lanciò verso Howl, strillando: — Zio Howell!
In men che non si dica gli era già balzata in braccio,
tenendosi avvinghiata a lui stretta stretta.
— Mari! — gridò Howl per tutta risposta. — Come stai,
piccolina? Hai fatto la brava?
Poi lui e la bambina si misero a parlare fitto fitto, a voce alta,
in una lingua straniera all'orecchio di Sophie, che captò,
comunque, l'affetto del tutto speciale che c'era fra quei due. Si
chiese in che lingua mai stessero parlando: suonava come la
sciocca canzoncina di Calcifer sulle casseruole, ma era difficile
esserne sicuri. Fra uno scroscio e l'altro di chiacchiere, Howl,
come se fosse un ventriloquo, riuscì a fare anche le
presentazioni: — Questa è mia nipote, Mari, e questa mia
sorella, Megan Parry. Megan, lui è Michael Fisher e la signora si
chiama Sophie... ehm...
— Hatter — completò la frase Sophie.
Megan strinse le mani a entrambi in modo misurato,
rivelando una certa disapprovazione. Era più anziana di Howl,
ma gli assomigliava molto, soprattutto nella forma del viso che,
come quello del Mago, era scarno e allungato. Aveva, però,
grandi occhi blu carichi d'ansia e capelli piuttosto scuri. —
Mettiti tranquilla adesso, Mari! — ordinò con un tono di voce
che metteva a tacere tutte quelle strane chiacchiere, poi, rivolta
al fratello, chiese: — Howell, hai intenzione di fermarti a lungo?
— Mi trattengo solo pochi minuti — le rispose Howl
rimettendo Mari sul pavimento.
— Gareth non è ancora tornato — aggiunse Megan, con tono
carico di sottintesi.
— Che peccato! Ma non possiamo rimanere.
Howl le lanciò un largo sorriso ipocrita. — Pensavo
semplicemente di presentarti questi miei amici... poi volevo
chiederti una cosa che forse potrà sembrarti sciocca. Neil ha
perso per caso una parte del suo compito d'inglese ultimamente?
— Buffo che sia proprio tu a chiederlo! — esclamò Megan.
— Giovedì scorso Neil ha continuato a cercare invano quel
compito per tutto il giorno, ovunque! Sai, ha una nuova
insegnante d'inglese molto... severa. Non solo fa delle vere
tragedie per stupidi errori d'ortografia, ma si appella addirittura
al timore di Dio perché i suoi alunni consegnino i compiti
assegnati per casa nel tempo stabilito. Non che questo allarmi
particolarmente Neil... quel diavoletto è talmente pigro!
Comunque ha passato tutto giovedì in caccia... al piano di
sopra... al piano di sotto... e tutto quello che è riuscito a trovare è
stato uno strano, vecchio brano...
— Ah! — la interruppe Howl. — E cosa ne ha fatto di quello
scritto?
— Gli ho detto di consegnarlo comunque alla sua insegnante,
tale signorina Angorian. Per dimostrarle che, per una volta,
almeno ci aveva provato.
— E Neil gliel'ha consegnato?
— Come faccio a saperlo... io? È meglio che tu lo chieda a
Neil. È su, nella stanza sul davanti... con una di quelle sue
macchine, naturalmente. Ma non gli caverai di bocca niente di
sensato!
— Andiamo! — Howl spronò Michael e Sophie che erano
rimasti a osservare con curiosità quella stanza luminosa, tutta
arredata nelle tonalità dell'arancione e del marrone.
Il Mago prese per mano la nipotina e guidò la piccola
processione su per una rampa di scale coperte da un tappeto
verde e rosa. Salirono, così, nel più assoluto silenzio e non si
udirono i loro passi nemmeno quando entrarono in una stanza al
piano superiore, poiché anche quel pavimento era ricoperto da
un tappeto blu e giallo. In ogni caso, pensò Sophie, i due
ragazzi, che erano seduti a un tavolo presso la finestra, non
avrebbero alzato gli occhi dalle loro scatole magiche nemmeno
all'arrivo di un esercito accompagnato da una banda di ottoni.
La scatola magica più grande aveva la parte anteriore di vetro,
come quella che era al piano di sotto, solo che questa sembrava
mostrare scritte e diagrammi, più che figure. Tutte quelle scatole
magiche crescevano su lunghi steli bianchi flessibili e
sembravano avere le radici nella parete.
— Neil! — chiamò Howl a voce alta.
— Non interromperlo, altrimenti muore — rispose uno dei
due ragazzi. Visto che si trattava di una questione di vita o di
morte, Sophie e Michael arretrarono verso la porta. Howl
invece, mantenendosi imperturbabile anche di fronte
all'uccisione del proprio nipote, andò diritto alla parete e con un
gesto secco strappò le radici alle scatole. L'immagine svanì di
colpo e l'azione, rapida e decisa, fece scaturire dai ragazzi una
cascata di parole che probabilmente nemmeno Martha
conosceva. Poi, il secondo ragazzo si girò furioso come una
tigre, urlando: — Mari! Te la farò pagare...
— Non sono stata io, questa volta... ecco!
Al che Neil si girò completamente su se stesso, vide Howl e
gli lanciò uno sguardo astioso e accusatorio. Il Mago, invece, gli
si rivolse con tono divertito. — Come va, Neil?
— Ma chi è? — chiese a Neil l'amico che gli stava accanto.
— Il mio zio cattivo — rispose il ragazzo, continuando a
guardare Howl con fiero cipiglio. Era un giovane moro, con
delle folte sopracciglia e lo sguardo intenso, che finalmente si
rivolse a Howl con tono perentorio: — Cosa vuoi? Rimetti a
posto quella spina.
— Oh, finalmente il signorino ci degna di una parola!
Comunque la riattaccherò solo quando avrai risposto a una
domanda che voglio farti. Neil sospirò. — Zio Howell, ero
proprio nel bel mezzo di un gioco!
— Un gioco nuovo? — s'informò il mago.
Sul viso di entrambi i ragazzi si dipinse, allora,
un'espressione di profonda insoddisfazione.
— No, è ancora quello che mi hanno regalato per Natale —
lo informò Neil. — Dovresti sapere come la pensano i miei sul
tempo e i soldi che loro giudicano sprecati inutilmente. Non mi
compreranno un altro videogioco fino al mio compleanno.
— Allora possiamo arrivare molto facilmente a un accordo
— gli disse lo zio. — Non ti importerà poi troppo smettere
questo gioco, se l'hai già fatto e... io posso corromperti con un
nuovo videogioco...
— Davvero? — esclamarono i ragazzi all'unisono, poi Neil
aggiunse: — Potresti regalarmi un altro di quei giochi che i miei
compagni non hanno?
— Va bene, ma prima da' un'occhiata a questo e dimmi cos'è
—. Così dicendo Howl gli mise sotto al naso il foglio grigio e
lucido. Entrambi i ragazzi gli diedero una rapida occhiata, ma fu
Neil a rispondere prontamente: — È una poesia — e lo disse
con il tono con cui la maggior parte della gente avrebbe detto "È
un topo morto".
— È il compito che la signorina Angorian ci ha assegnato la
settimana scorsa — spiegò l'amico di Neil — ricordo parole
come àncora e mulinello. Ha a che fare coi sottomarini.
Mentre Sophie e Michael si scambiavano un'occhiata
interrogativa, domandandosi entrambi come avessero fatto a non
cogliere questo nuovo significato, Neil esclamò: — Ehi! Questo
è il compito che avevo perso... l'ho cercato dappertutto, dove
l'hai trovato? E... quello scritto buffo che ho trovato al posto di
questo era tuo? Per mia fortuna la signorina Angorian l'ha
trovato interessante e se l'è portato a casa.
— Grazie mille, Neil — gli disse Howl — si può sapere dove
vive la tua insegnante?
— In quell'appartamento sopra la sala da tè della signora
Phillips in Cardiff Road — gli spiegò il ragazzo, poi aggiunse:
— Quando mi darai il mio nuovo videogioco?
— Quando ti ricorderai come continua quella poesia.
— Non è per niente carino da parte tua! Non riesco neanche
a ricordarmi il pezzetto che è su quel foglio. Questo si chiama
prendersi gioco dei sentimenti altrui!
Ma la smise immediatamente quando vide che Howl
scoppiava a ridere, tastava una delle sue tasche rigonfie e gli
porgeva un pacchetto piatto.
— Grazie1. —. La voce e l'espressione di Neil rivelavano una
profonda gratitudine. Senza aggiungere una parola tornò a
girarsi verso le sue scatole magiche, mentre lo zio piantava di
nuovo tutto il fascio delle radici nel muro ridendosela sotto i
baffi, e faceva un cenno a Michael e Sophie perché uscissero
dalla stanza. Subito, entrambi i ragazzi cominciarono una
misteriosa e frenetica attività, in cui riuscì a intrufolarsi anche
Mari, che però stava a osservarli tutta intenta, succhiandosi un
pollice. Howl si affrettò giù per le scale, ma Sophie e Michael
indugiarono sulla porta domandandosi quale fosse il significato
di tutto ciò che stavano vedendo e della scena alla quale
avevano appena assistito. Neil, intanto, leggeva ad alta voce: —
Ti trovi all'interno di un castello incantato. Ci sono quattro
porte. Ciascuna di esse si apre su una dimensione differente.
Nella Dimensione Uno il castello si muove costantemente e può
arrivare, in qualsiasi momento, in una situazione pericolosa...
Sophie si meravigliò di quanto tutto ciò le suonasse
familiare, poi, sovrappensiero, cominciò a scendere le scale.
Michael era fermo a metà strada e sembrava piuttosto
imbarazzato, poiché ai piedi della scala Howl stava discutendo
con sua sorella.
— Come sarebbe che hai venduto tutti i miei libri? Ne avevo
bisogno di uno in particolare. Non erano tuoi e non avevi nessun
diritto di venderli, Megan!
— Oh, non continuare a interrompermi! —. La voce della
donna era bassa, ma l'intonazione feroce. — Ora ascoltami
bene\ Ti ho già detto altre volte che questa casa non è un
magazzino per le tue cianfrusaglie. Sei una vera disgrazia per
me e per Gareth. Te ne vai in giro conciato in quel modo, invece
di comperarti un vestito come si deve e presentarti, una volta
tanto, come una persona rispettabile. Per di più ti unisci a ogni
genere di plebaglia e li porti in questa casa! Stai cercando forse
di trascinarmi in basso, al tuo livello? Sei tanto istruito, eppure
non sei neanche capace di trovarti un lavoro decoroso. Te ne vai
in giro a bighellonare, sprecando tutto il tuo tempo al college,
sprecando tutti i sacrifici che altri hanno fatto per te e...
sprecando il tuo denaro...
Megan sarebbe stata una bella antagonista per la signora
Fairfax, pensò Sophie mentre la donna continuava a parlare,
parlare... Ora capiva come Howl avesse acquisito l'abitudine di
svicolare dalle situazioni sgradevoli. Megan era il genere di
persona che ti faceva desiderare di guadagnare la porta più
vicina, di sgattaiolare fuori in silenzio. Sfortunatamente per
Howl, questa volta, la sorella l'aveva inchiodato ai piedi delle
scale, senza alcuna via d'uscita, con Michael e Sophie
imbottigliati dietro di lui.
—...Senza fare mai un onesto giorno di lavoro, senza trovarti
un'occupazione della quale io possa andare fiera, anzi, tu getti il
discredito su me e su Gareth. E vieni qui a viziare Mari in
maniera disgustosa. Megan continuava a lanciare le sue stoccate
senza ombra di rimorso. Allora Sophie spinse Michael da una
parte, scese le scale con la sua goffa andatura e, cercando di
sembrare più decisa possibile, si rivolse a Howl con voce ferma:
— Vieni, ora dobbiamo proprio andarcene. Mentre ce ne stiamo
qui il nostro denaro rotola via e la servitù è capace di vendersi il
servizio d'oro. Quindi... piacere di averla conosciuta, signora.
Così dicendo raggiunse l'ingresso. — Ma adesso dobbiamo
scappar via. Howl ha un tale numero di impegni...
Megan inghiottì a vuoto e fissò Sophie, che le fece un
dignitoso cenno con il capo, poi spinse Howl verso la vetrata
d'ingresso. Sophie scorse il viso di Michael che si copriva di
rossore, mentre Howl tornava un attimo sui suoi passi per
chiedere alla sorella: — La mia vecchia macchina è ancora nella
rimessa o hai venduto anche quella?
— Hai tu l'unico mazzo di chiavi — fu la cupa risposta di
Megan che suonò anche come l'unico suo saluto.
La porta d'ingresso sbatté dietro di loro, poi Howl li
condusse a un edificio bianco, quadrato, alla fine della strada
nera. Non pronunciò una sola parola su Megan, invece, mentre
apriva con la chiave l'ampia porta del basso edificio, rifletté ad
alta voce sul fatto che la severa insegnante d'inglese di Neil
doveva senz'altro avere una copia del libro che fino a pochi
minuti prima pensava di possedere ancora.
Sophie sperò di riuscire a dimenticare in fretta i momenti che
seguirono. Erano saliti su una carrozza senza cavalli che si
muoveva a una velocità terrificante, faceva un odore strano e un
rumore più strano ancora. Inoltre era scossa in continuazione,
mentre si precipitava giù per le strade più ripide che Sophie
avesse mai visto, talmente ripide che si chiese come mai le case
che le fiancheggiavano non scivolassero giù, finendo in un
unico mucchio là in basso. Chiuse gli occhi, si aggrappò ad
alcuni pezzi di quella strana vettura che separavano i sedili e si
limitò a sperare che tutto finisse presto.
E così fu, fortunatamente. Giunsero, infatti, in una strada più
pianeggiante, fiancheggiata da due file di case attaccate l'una
all'altra. Oltre una grande finestra, fra le tende che ne
occupavano l'intera superficie, un cartello avvertiva che la sala
da tè era chiusa. Nonostante questo avvertimento, quando Howl
premette un pulsante situato su una porticina a fianco della
finestra, la signorina Angorian aprì l'uscio e tutti e tre non
poterono fare a meno di spalancare tanto d'occhi. Per essere
un'arcigna insegnante d'inglese era giovane in modo
sorprendente, snella e affascinante. Ciocche di capelli corvini le
incorniciavano un viso a forma di cuore, dalla carnagione
olivastra, e facevano risaltare un paio di enormi occhi scuri.
L'unico indizio della sua severità era dato dal modo, diretto e
intelligente, con cui quei grandi occhi li guardavano e
sembravano soppesarli.
— Sarei pronta a fare una scommessa: lei è Howell Jenkins,
vero?
La sua voce, bassa e melodiosa, rivelava una sfumatura di
divertimento e una grande sicurezza di sé.
Howl, per un attimo, rimase sconcertato. Poi sul suo volto
comparve un ampio sorriso che, pensò Sophie, segnava l'addio
ai piacevoli sogni di Lettie e della signora Fairfax. La signorina
Angorian era esattamente il tipo di donna che poteva incantare
uno come Howl all'istante. E non solo uno come Howl... Anche
Michael infatti la stava fissando imbambolato, ammirato.
Sebbene le case attorno sembrassero deserte, Sophie non aveva
alcun dubbio che fossero piene di gente che conosceva sia Howl
che la signorina Angorian e che li stava osservando con
interesse per vedere cosa sarebbe successo. Poteva persino
sentire quegli sguardi invisibili... A Market Chipping, del resto,
sarebbe accaduto lo stesso.
— E lei deve essere la signorina Angorian. Mi dispiace
seccarla, ma la scorsa settimana ho fatto uno stupido errore, ho
preso il compito d'inglese di mio nipote al posto di un foglio
piuttosto importante che mi ero portato dietro. Immagino che
Neil gliel'abbia dato come prova che non stava mentendo a
proposito del suo compito.
— Sì, effettivamente Neil me l'ha consegnato. È meglio che
entriate... Venga a prendere il suo foglio lei stesso.
Sophie era sicura che gli occhi invisibili dietro tutte le case lì
attorno venissero strabuzzati all'unisono e che tutti i colli si
allungassero, mentre Howl, Michael e lei entravano in fila
indiana in casa della signorina Angorian e salivano la rampa di
scale che portava al suo lindo, severo soggiorno.
L'insegnante, con aria molto rispettosa, le offrì di sedersi e
Sophie, ancora scossa da quell'incredibile viaggio, fu molto
felice di accettare e si accomodò sulla sedia che le veniva
gentilmente indicata. Non era per nulla comoda, ma quella
stanza non era stata fatta per la comodità, bensì per lo studio. La
maggior parte degli oggetti che vi erano contenuti erano del
tutto estranei per Sophie, che non avrebbe saputo dire cosa
fossero o a cosa servissero. Notò comunque che le pareti erano
ricoperte di libri e il tavolo di pile di carta, mentre sul pavimento
si trovavano diverse cartelle. Mentre Sophie studiava la stanza,
vide che Michael seguiva con uno sguardo da cagnone fedele
ogni movimento della signorina Angorian e Howl sfoderava
tutto il suo fascino per carpirle ogni possibile informazione.
— Come ha fatto a sapere chi sono?
— Mi sembra che lei abbia già provocato un sacco di
pettegolezzi in questa città — gli rispose l'insegnante, mentre
scartabellava le carte sul tavolo.
— E cosa le avranno mai detto tutti quei pettegoli? —.
Intanto si chinava con mossa languida sul tavolo, cercando di
carpire lo sguardo della signorina Angorian.
— Per esempio che lei scompare e ricompare senza alcun
preavviso, tanto per incominciare.
— E poi, cos'altro le è stato riferito? —. Howl seguiva i
movimenti della donna con uno sguardo tale da far pensare a
Sophie che l'unica chance che rimaneva a Lettie era che la
signorina Angorian s'innamorasse all'istante del Mago.
Ma evidentemente non era quel tipo di donna.
— Mi hanno riferito molte altre cose, poche a suo favore,
comunque.
Uno sguardo a Michael, che arrossì violentemente, e
un'occhiata a Sophie sembrarono suggerire che quei pettegolezzi
non erano per nulla adatti alle loro orecchie. Poi porse a Howl
un foglio ondulato e ingiallito. — Eccolo, tenga... ma sa di cosa
si tratta?
I suoi occhi erano più severi che mai. — Certo che lo so.
— Allora me lo dica, per favore...
Howl prese il foglio e provocò una piccola baruffa, poiché
cercò di afferrare anche la mano che glielo porgeva. La
signorina Angorian, però, uscì vincitrice dal breve scontro e
nascose le mani dietro la schiena. Howl sfoderò un sorriso che
avrebbe sciolto un iceberg, passò il foglio a Michael e gli ordinò
di dare la spiegazione richiesta. Il viso del ragazzo, già rosso
d'imbarazzo, divenne, se possibile, ancora più acceso quando
scorse quello che vi era scritto.
— È l'incantesimo! Oh, ma questo lo so fare... è
un'espansione, vero?
— Proprio come pensavo — intervenne la signorina
Angorian con tono accusatorio. — Sarei proprio curiosa di
sapere cosa stavate combinando con uno scritto del genere.
— Signorina Angorian, se lei è stata ad ascoltare tutti quei
pettegolezzi sul mio conto dovrebbe anche sapere che ho scritto
la mia tesi per il dottorato sugli incantesimi e i sortilegi. Non mi
guardi come se mi sospettasse di magia nera! Le assicuro che
non ho mai messo in atto un sortilegio in tutta la mia vita —.
Sophie non riuscì a trattenersi ed emise un lieve sibilo a questa
evidente bugia.
— Mi metto una mano sul cuore — aggiunse Howl, mentre
rivolgeva a Sophie un'occhiata irritata di avvertimento, —
questo incantesimo è solo a scopo di studio, ma è uno scritto
molto antico e raro, ed è per questo che lo voglio indietro.
— Bene, ora lo ha! —. Il tono della signorina Angorian era
secco, brusco. — Ma prima di andarvene, le dispiacerebbe
rendermi il foglio con il compito che avevo assegnato? Le
fotocopie costano, sa?
Howl tirò fuori il foglio grigiastro e glielo porse di buon
grado, ma lo tenne per un attimo fuori portata. — Questa poesia
mi ha creato qualche fastidio... strano davvero, ma non riesco a
ricordare come continua. E di Walter Raleigh, non è vero?
— Assolutamente no, è di John Donne —. L'insegnante lo
incenerì con uno sguardo, — ed è per giunta molto conosciuta.
Ho il libro dal quale è stata tratta a portata di mano, se vuole
rinfrescarsi la memoria.
— La ringrazio — disse semplicemente Howl, e dal modo in
cui la guardava mentre andava verso la parete ricoperta da tutti
quei volumi, Sophie si rese conto che questo era il vero motivo
per cui Howl era venuto in quella strana terra dove viveva la sua
famiglia. Ma il Mago era anche il tipo da non perdere mai
alcuna occasione e da prendere due piccioni con una fava, per
cui, mentre l'insegnante si allungava per prendere il libro e lui la
osservava da capo a piedi, gli sentì dire: — Signorina Angorian,
non vorrebbe prendere in considerazione una cenetta in mia
compagnia, questa sera?
L'insegnante si girò con un'espressione più severa che mai
dipinta sul volto e con in mano un libro voluminoso. — No, non
prenderò in considerazione nessuna cenetta. Non so quello che
lei abbia sentito sul mio conto, signor Jenkins, ma dovrebbe
esserle giunto all'orecchio che io mi considero ancora impegnata
con Ben Sullivan...
— Non l'ho mai sentito nominare.
— Il mio fidanzato... È scomparso alcuni anni fa. Ora, se le
fa piacere, leggerò per lei questa poesia.
— La legga, la prego... —. Poi Howl aggiunse con aria
impertinente: — La sua voce è veramente deliziosa.
— Inizierò con la seconda strofa, visto che la prima è su quel
foglio. La signorina Angorian lesse molto bene, non solo con
voce melodiosa, ma in modo tale che la seconda strofa si
adattasse perfettamente al ritmo della prima, un ritmo col quale
Sophie non si trovò per nulla d'accordo.
"Se tu sei nato in stravaganza,
È l'invisibile il tuo occhio non manca,
Per diecimila dì e notti avanza
Finché la neve degli anni t'imbianca.
Al tuo ritorno mi racconterai
Le meraviglie del tuo viavai,
E giura: nemmeno
su di una stella
Esiste donna fedele e bella.
Se tu. . . "
Il viso di Howl era sbiancato terribilmente e Sophie poté
vedere il sudore che gli imperlava il volto.
— Grazie, basta così. Non la seccherò ulteriormente. Persino
la donna buona dell'ultimo verso non è fedele, vero? Ora me la
ricordo, che stupido... è John Donne, naturalmente —. La
signorina Angorian abbassò il libro e lo fissò.
Howl si costrinse a sorriderle. — Ora dobbiamo andare. È
sicura di non cambiare parere su quella cena?
— Non lo cambierò... Ma vi sentite bene, signor Jenkins?
— Benissimo, grazie —. Così dicendo sospinse Sophie e
Michael giù per le scale e dentro quell'orrenda carrozza senza
cavalli. Gli invisibili osservatori dalle case circostanti dovevano
pensare che la signorina Angorian li stesse cacciando armata di
sciabola a giudicare dalla velocità con la quale Howl li ficcò in
carrozza e partì.
— Qualche problema? — gli chiese Michael, mentre la
carrozza ruggiva e caracollava di nuovo su per le salite e Sophie
si aggrappava al sedile, temendo seriamente per la sua vita. Ma
Howl fece finta di non sentire, così il ragazzo attese che il Mago
chiudesse di nuovo la vettura nel suo riparo per fargli di nuovo
la stessa domanda.
— Oh, niente, nessun problema — gli rispose Howl con tono
vacuo, riconducendoli verso la casa gialla chiamata Gran
Burrone. — La Strega delle Terre Desolate mi ha raggiunto con
la sua maledizione e questo è quanto. Doveva accadere prima o
poi.
Intanto sembrava che stesse facendo dei conti, sommando
delle cifre, mentre spingeva il cancello del giardino. —
Diecimila — Sophie lo sentì mormorare. — Questo conduce
circa al 24 giugno, al giorno di San Giovanni.
— Cosa porta al giorno di San Giovanni? — gli chiese
Sophie.
— A quell'epoca avrò diecimila giorni. E quello, signora
Ficcanaso, è il giorno in cui dovrò tornare dalla Strega delle
Terre Desolate.
Sophie e Michael gli tennero dietro sul sentiero che portava a
Gran Burrone, con gli occhi fissi sulla schiena di Howl così
stranamente contrassegnata da quella misteriosa scritta
GALLES RUGBY.
— Se io mi libero delle sirene — sentirono che borbottava
— e non tocco la radice di mandragola...
Michael lo richiamò al presente: — Dobbiamo entrare di
nuovo in quella casa? — mentre Sophie aveva in testa un'altra
preoccupazione:
— Cosa farà la Strega?
— Mi vengono i brividi solo a pensarci... No, Michael, non
devi tornare là dentro.
Aprì la porta di vetro smerigliato e si ritrovarono nella
familiare stanza del castello. Le fiamme sopite di Calcifer
tingevano appena le pareti di blu e di verde, ma non riuscivano a
rischiarare l'oscurità. Howl si rimboccò le lunghe maniche per
dare al demone un ciocco di legna.
— Mi ha raggiunto, sai... vecchia faccia blu.
— Lo so... ho sentito la maledizione mentre ti arrivava
addosso.
CAPITOLO DODICI
In cui Sophie diventa la vecchia madre di Howl
Sophie non vedeva l'utilità di sminuire la fama di cui Howl
godeva a corte, visto che ormai la Strega l'aveva raggiunto. Ma
Howl fu molto fermo su questo punto: adesso era più importante
che mai che lei si recasse a Palazzo.
— Avrò bisogno di ogni potere che posseggo per sfuggire
alla Strega, quindi non posso avere anche il Re alle costole.
Così il pomeriggio successivo Sophie indossò gli abiti nuovi
e si sedette, sentendosi molto elegante anche se un po' rigida, ad
aspettare che Michael si preparasse e che Howl uscisse dal
bagno. Nell'attesa, per non pensare al suo incontro con il Re,
Sophie raccontò a Calcifer dello strano paese dove viveva la
famiglia del mago.
Calcifer si mostrò molto interessato. — Sapevo che veniva
da un paese straniero, ma da quello che mi dici sembra che si
tratti più di un altro mondo. Intelligente la Strega a fargli
arrivare la maledizione attraverso quel paese. C'è una notevole
intelligenza in tutto ciò. Questa è la magia che io ammiro di più:
usare qualcosa che esiste comunque e trasformarla in una
maledizione. Mi era venuto qualche dubbio l'altro giorno,
quando tu e Michael stavate leggendo quel foglio. Quel pazzo di
Howl le ha detto troppo di se stesso, le ha dato troppe
informazioni.
Sophie osservò il viso blu e affilato di Calcifer. Non la
stupiva che questi provasse ammirazione per quella
maledizione, così come non la meravigliava il fatto che il
demone desse del pazzo a Howl, visto che lo insultava in ogni
occasione. Ma dato che Calcifer appariva sempre e comunque
demoniaco, c'era una cosa che Sophie continuava a non capire,
ed era se odiasse veramente il Mago o il suo atteggiamento fosse
solo una posa. Calcifer mosse gli occhi arancione per guardare
diritto in quelli di Sophie. — Anch'io ho paura. Soffrirò con
Howl se la Strega lo cattura. Se tu non romperai il mio contratto
prima che lei riesca nel suo intento, io non potrò più aiutarti.
Prima che Sophie potesse rivolgergli qualche altra domanda,
Howl uscì improvvisamente dal bagno nella sua tenuta migliore,
spandendo profumo di rose e chiamando a gran voce Michael. Il
ragazzo scese immediatamente, tutto agghindato nel suo nuovo
abito di velluto blu. Sophie allora si alzò in piedi e raccolse il
fido bastone. Era tempo di andare.
— Sembrate meravigliosamente ricca e nobile! — Michael
non poté fare a meno di notare.
— È vero, mi fa onore... a parte quell'orrendo vecchio
bastone — intervenne il Mago.
— Certe persone di mia conoscenza sono egocentriche in
modo spaventoso... Questo bastone viene con me. Ne ho
bisogno, come... sostegno morale.
A queste parole di Sophie, Howl alzò gli occhi al cielo, ma
non riuscì a ribattere.
Si misero in cammino con aria aristocratica e dignitosa, ma
Sophie, prima di allontanarsi dal castello, si girò per vedere
come apparisse agli occhi degli abitanti di Kingsbury. Così vide
un grande voltone con una piccola porta nera. Il resto del
castello sembrava uno spazio vuoto con i muri imbiancati a
calce fra due case di pietra a vista.
— Prima che tu me lo chieda è solo una stalla in disuso — le
spiegò Howl. — Da questa parte, ora.
Presero a camminare per le strade di Kingsbury
confondendosi fra i passanti, altrettanto eleganti e ben vestiti.
Non c'era comunque molta gente in giro. La capitale era situata
piuttosto a sud e quel giorno faceva un caldo terribile, tanto che
in lontananza il selciato sembrava tremolare davanti a loro.
Sophie scoprì, così, un altro svantaggio che comportava la
vecchiaia: si sentiva debole e aveva le vertigini per la
temperatura canicolare. Gli edifici elaborati della città le
ondeggiavano davanti agli occhi, e questo fatto la infastidiva
particolarmente perché avrebbe voluto guardarsi attorno con
tutta calma, invece quella che ebbe fu solo un'indistinta visione
di cupole dorate e alte abitazioni.
— Sophie, ricordati che la signora Pentstemmon ti chiamerà
signora Pendragon, che è il cognome con il quale mi conoscono
in questo posto.
— Ma a quale scopo?
— È un travestimento, poi Pendragon è un bel cognome,
molto migliore di Jenkins.
— Io mi sento comunque benissimo con un cognome più
semplice e comune — sbottò Sophie mentre giravano in una
viuzza stretta e misericordiosamente fresca.
— Ma non possiamo chiamarci tutti quanti i 'Matti Hatter',
non credi? — la canzonò Howl.
La casa della signora Pentstemmon era un edificio alto e
grazioso, quasi alla fine della stradina, con due grandi vasi
contenenti ciascuno una pianta di arance ai lati di una bella porta
d'ingresso. Furono introdotti da un anziano servitore in livrea di
velluto nero, che li condusse in un atrio dal pavimento di marmo
a grandi scacchi bianchi e neri. La stanza era deliziosamente
fresca e Michael approfittò per detergersi di nascosto il sudore
dal viso, mentre Howl, ancora fresco e impeccabile,
chiacchierava e scherzava amabilmente con il servitore, come se
questi fosse un vecchio amico.
L'uomo li affidò, poi, a un paggio in livrea di velluto rosso. A
quel punto, mentre il giovane li conduceva con tutte le
cerimonie su per uno scalone di marmo scintillante, Sophie
comprese il motivo per cui Howl aveva organizzato questa
visita: effettivamente le sembrava di essere già a Palazzo e
senz'altro questo incontro le sarebbe servito per adattarsi al
cerimoniale di corte. Quando il paggio li fece entrare in un
salotto in penombra, Sophie fu sicura che nemmeno un palazzo
reale potesse avere stanze più eleganti di quella. L'arredamento
e tutti gli oggetti si componevano una sinfonia di blu, oro e
bianco; tutto era proporzionato all'ambiente e incantevole.
E la signora Pentstemmon era l'immagine della massima
raffinatezza. Alta e slanciata, se ne stava seduta diritta come un
fuso su una sedia blu e oro, finemente ricamata. L'aiutava a
sostenersi, in quella posa rigida ed eretta, un bastone da
passeggio dal pomo dorato, che lei teneva con la mano coperta
da un mezzo guanto, anch'esso in maglia d'oro. Indossava un
abito di seta dal colore dell'oro antico e dal taglio rigido e
antiquato. Completava l'abbigliamento un copricapo dello stesso
colore del vestito, molto simile a una corona regale, che era
tenuto fermo da un ampio nastro annodato sotto il mento. Il
volto era quello di una vecchia aquila. Era, comunque, la
signora più affascinante e più spaventosa che Sophie avesse mai
incontrato.
— Ah, mio caro Howell —. Salutando il Mago, gli porse la
mano inguantata, che Howl immediatamente baciò, facendo un
inchino. Compì quel gesto in modo del tutto naturale e
aggraziato, il che non gli impedì di gesticolare freneticamente
con la mano libera dietro la schiena per fare capire a Michael
che avrebbe dovuto starsene in piedi di fianco al paggio, fermo
immobile sulla porta, invece di avanzare nella stanza.
Finalmente l'apprendista colse il significato di quei gesti
affannosi e si precipitò al posto indicato, ben felice di trovarsi
più lontano possibile da quella donna che gli incuteva un
incredibile timore.
— Signora Pentstemmon, concedetemi di presentarvi la mia
vecchia madre — le disse Howl, indicando Sophie con un ampio
gesto della mano. Ma poiché Sophie stava provando gli stessi
sentimenti di Michael, il Mago dovette ricominciare a
gesticolare furiosamente dietro la schiena per farle capire di
avvicinarsi.
— Incantata. Quale grande piacere poter fare la vostra
conoscenza — disse la signora rivolta a Sophie, mentre le
porgeva la mano inguantata. Sophie non era sicura di dover
baciare a sua volta la rete dorata, in ogni caso sentì che non
avrebbe mai potuto farlo. Così si limitò ad appoggiare una mano
sul mezzo guanto e le parve di toccare un vecchio, freddo
artiglio. Come poteva essere ancora vivo un essere simile?
— Perdonatemi se non mi alzo, signora Pendragon, ma la
mia salute è piuttosto cagionevole e mi ha costretto a ritirarmi
dall'insegnamento già tre anni fa. Ma vi prego, sedetevi
entrambi.
Cercando di controllare i nervi e il tremore che la scuoteva,
Sophie si sedette con un atteggiamento maestoso su una sedia
finemente ricamata proprio di fronte alla signora Pentstemmon,
sostenendosi con il suo vecchio bastone, in una posa che sperò
fosse altrettanto elegante di quella assunta dalla donna che le
stava davanti. Howl intanto si era lasciato scivolare con grazia
sulla sedia accanto. Sembrava completamente a proprio agio e
Sophie lo invidiò di tutto cuore.
— Io ho ottantasei anni, e voi, mia cara signora Pendragon?
— Novanta — fu il primo numero che le venne in mente.
— Siete così anziana? — La signora Penstemmon sembrò
provare una punta d'invidia. — Come siete fortunata a muovervi
ancora con quella sicurezza.
— Oh, sì, è ancora meravigliosamente agile — convenne
Howl, — tanto che a volte è molto difficile fermarla.
La signora Pentstemmon gli lanciò un'occhiata che rivelava
quanto fosse stata un'insegnante severa, almeno quanto la
signorina Angorian. — Sto parlando con tua madre, Howell.
Oserei dire che è orgogliosa di te quanto lo sono io. Siamo
entrambe due vecchie signore che hanno provveduto alla tua
formazione. Tu sei, si potrebbe dire, una nostra creazione
congiunta.
— Non pensate che anch'io possa aver avuto qualche merito
nel formare me stesso? Ci abbia messo un po' del mio? Giusto
qualche tocco qua e là...
— Non dico di no e, comunque, non tutti i tuoi tocchi sono
stati di mio gradimento — replicò la signora Pentstemmon. —
In ogni caso non credo che tu abbia voglia di startene seduto qui
ad ascoltarci mentre parliamo di te. Te ne andrai giù e ti siederai
sulla terrazza, portandoti dietro il tuo paggio. Hunch vi porterà
qualcosa di fresco da bere. Va', dunque.
Se Sophie non fosse stata così nervosa, avrebbe riso
volentieri all'espressione che si era dipinta sul viso di Howl.
Ovviamente non si era aspettato niente di tutto quello che stava
accadendo. Comunque si alzò in piedi, scosso solo da un breve
brivido, lanciò a Sophie un'occhiata fugace di avvertimento e si
fece precedere da Michael mentre lasciavano entrambi la stanza.
La signora Pentstemmon girò appena il corpo rigido per
osservarli, poi fece un cenno con il capo al proprio paggio che si
affrettò a uscire. Dopodiché si volse nuovamente verso Sophie,
che si sentì più nervosa che mai.
— Lo preferisco con i capelli neri — dichiarò l'anziana
insegnante. — Quel ragazzo sta prendendo una brutta china.
— Chi? Michael? — Sophie si sentiva più che mai confusa.
— Non sto parlando del servitore, penso che non sia
abbastanza intelligente perché io me ne debba occupare. Sto
parlando di Howell, naturalmente, signora Pendragon.
Dalla bocca di Sophie uscì soltanto una breve esclamazione,
ma avrebbe voluto chiedere alla signora Pentstemmon perché
mai avesse detto sta prendendo, visto che Howl su quella brutta
china aveva già fatto un lungo tratto di strada.
— Prendiamo il suo aspetto, nell'insieme. Guardate i suoi
vestiti... — È sempre molto attento al suo aspetto esteriore —
convenne Sophie e si domandò perché quella donna si
esprimesse sull'argomento in modo così misurato.
— Sì, lo è sempre stato. Anch'io, del resto, sono sempre
molto attenta al mio aspetto e non vedo nulla di male in questo.
Ma che bisogno ha di andarsene in giro con addosso un abito
incantato? Si tratta, per giunta, di un incantesimo di 'attrazione'
molto efficace, rivolto ovviamente alle signore. Ammetto che
sia stato ben fatto, visto che, imbastito fra le cuciture dell'abito,
è a malapena visibile anche ai miei occhi allenati. Immagino che
lo renderà praticamente irresistibile. Secondo me, però,
rappresenta un pericoloso scivolone verso la magia nera, e
questo sicuramente sta suscitando in voi qualche
preoccupazione materna, signora Pendragon.
Sophie pensò al vestito grigio e scarlatto e si sentì sempre
più a disagio. L'aveva rammendato seguendo le cuciture e non
aveva notato nulla di insolito, ma la signora Pentstemmon era
un'esperta in fatto di arti magiche, mentre lei era solo brava a
cucire.
L'anziana insegnante mise entrambe le mani sul bastone e
inclinò il corpo irrigidito dalla malattia. I suoi occhi allenati e
perforanti si fissarono in quelli di Sophie, che si sentì sempre
più a disagio, sempre più nervosa. — La mia vita è quasi giunta
al termine. Da un po' di tempo sento la morte che si avvicina in
punta di piedi.
— Oh, sono sicura che non sia così —. Sophie tentò di farsi
uscire dalla gola una voce rassicurante, ma era davvero difficile
modularla in qualsiasi modo al cospetto di una persona che ti
guardava in quella maniera.
— Vi assicuro che è come vi ho appena detto, ed è questo il
motivo per cui ero così ansiosa di incontrarvi, signora
Pendragon. Vedete, Howell è stato il mio ultimo allievo e,
senz'altro, è stato il migliore. Stavo per ritirarmi dalla
professione, quando lui è arrivato da un paese straniero. Io
pensavo che il mio lavoro fosse già finito con Benjamin
Sullivan, che voi probabilmente conoscete meglio come Mago
Suliman, pace all'anima sua! Gli avevo già procurato il posto di
Mago del Re. Poi, fatto abbastanza strano, dallo stesso paese di
Benjamin arrivò Howell. Mi accorsi alla prima occhiata che
aveva il doppio della creatività e delle abilità di Ben. Nonostante
qualche difetto caratteriale, lo ammetto, Howell aveva una forza
naturalmente rivolta verso il bene. Il Bene, signora Pendragon.
Ma ora mi chiedo che cosa sia diventato...
— Già, che cosa?
— Gli è successo qualcosa — proseguì la signora
Pentstemmon, continuando a fissare Sophie con quello sguardo
che la passava da parte a parte. — Ma sono assolutamente
decisa a rimetterlo sulla buona strada prima di morire.
— Cosa pensate che gli sia accaduto? —. La voce di Sophie
era densa di sconforto.
— Veramente conto che me lo sappiate dire voi. Purtroppo
sento che ha preso la stessa strada che ha preso la Strega delle
Terre Desolate. Pare che un tempo non fosse malvagia, anche se
nel fare quest'affermazione mi posso basare solo su una diceria,
visto che è più vecchia di noi due e si mantiene giovane solo con
le sue arti. Howell ha avuto in dono poteri simili ai suoi. Sembra
che coloro che hanno grandi capacità non resistano alla
tentazione di qualche pericoloso colpo di genio con
conseguenze fatali. Questo li porta lentamente a scivolare verso
il male. Ma voi non avete proprio nessun indizio su cosa possa
essere accaduto a Howell?
In un lampo tornò alla mente di Sophie la voce di Calcifer
che diceva: "Alla lunga questo contratto non porterà niente di
positivo né per me né per Howl" e sentì il freddo scenderle
lungo la schiena, nonostante dalla finestra aperta soffiassero
folate di vento caldo.
— So che ha stipulato una sorta di contratto con il suo
demone del fuoco — confessò in fine alla signora Pentstemmon.
Questa ebbe un tremito che fece oscillare leggermente il
bastone al quale continuava ad appoggiarsi. — Questo può
essere un buon motivo. Dovete rompere quel contratto, signora
Pendragon.
— Lo farei, se solo sapessi come.
— Senz'altro i vostri sentimenti materni, unitamente al dono
della forte magia che possedete, vi indicheranno il modo. È da
un po' che vi osservo, signora Pendragon, forse non ve ne siete
accorta...
— No, no... l'ho notato, signora Pentstemmon.
—...E il vostro dono mi piace molto. Voi date vita alla cose,
come a quel bastone che avete in mano, a cui evidentemente
avete parlato, e che avete trasformato in quella che la gente
comune chiamerebbe una bacchetta magica. Penso che per voi
non sarà troppo difficile rompere quel contratto.
— Sì, ma io ho bisogno di sapere quali sono i termini esatti
di quell'accordo. Howl vi ha forse detto che sono una
fattucchiera? Perché se l'ha fatto...
— No, non mi ha detto niente del genere. Ma non c'è alcun
bisogno di far la ritrosa con me. Fidatevi anzi della mia
esperienza in questo campo. A questo punto la signora
Pentstemmon chiuse gli occhi con gran sollievo di Sophie. E fu
come se si fosse spenta una luce potente.
— Io non so nulla, e non desidero neppure sapere niente, su
simili contratti — aggiunse, mentre il bastone ondeggiò di
nuovo, come se la signora Pentstemmon fosse stata scossa da un
brivido. Le sue labbra divennero una linea sottile, e dalla
smorfia che fece sembrò che avesse accidentalmente morso un
granello di pepe. — Ora comunque capisco cos'è accaduto alla
Strega. Ha stipulato un contratto con un demone del fuoco e,
con il passar degli anni, quel demone ha preso il sopravvento. I
demoni non hanno in sé il concetto di bene e di male, ma
possono venire indotti da un umano a sottostare a un contratto, a
patto che costui offra loro qualcosa di valore, qualcosa che solo
gli uomini posseggono. Questo prolunga la vita sia all'essere
umano che al demone, e l'uomo prende su di sé il potere magico
del demone e l'aggiunge ai propri.
Poi la signora Pentstemmon riaprì gli occhi: Questo è tutto
quello che riesco a sopportare di riferirvi sull'argomento, di più
non posso dire. Posso, comunque, aggiungere che vi consiglio di
scoprire quello che ha ottenuto il demone da Howl. Ora vi devo
congedare, ho assolutamente bisogno di riposarmi un po'.
Come per magia, e forse era proprio una magia, la porta si
aprì ed entrò il paggio per sospingere Sophie fuori dalla stanza,
cosa che la rese estremamente felice. Ormai non si sentiva più
imbarazzata, un profondo malessere aveva preso il posto
dell'imbarazzo e provava una forte preoccupazione, come se
fosse effettivamente lei la madre di Howl.
— Tanto di cappello al caro Mago per averla sopportata più
di un giorno come insegnante! — borbottò fra sé e sé.
— Cosa dice, signora? — le chiese il paggio, pensando che
Sophie si stesse rivolgendo a lui.
— Dico che devi scendere le scale più lentamente altrimenti
non riesco a reggermi in piedi —. Sentiva, infatti, che le sue
ginocchia non riuscivano a reggerla saldamente. — Voi giovani
non sapete far altro che correre.
Il paggio rallentò il passo e l'aiutò a scendere lentamente la
scalinata di marmo. Quando ormai era circa a metà, Sophie si
era sufficientemente ripresa dell'effetto che aveva avuto su di lei
la forte personalità della signora Pentstemmon, tanto che poté
ripensare ad alcune delle cose che quella donna le aveva detto.
Praticamente le aveva aperto gli occhi sui suoi poteri magici e,
fatto strano, la mente di Sophie accettò tranquillamente questa
verità. Ciò spiegava, per esempio, la popolarità che avevano
avuto certi suoi cappelli, come quello di Jane Farrier e del suo
Conte Pincopallino. Probabilmente spiegava anche la gelosia
della Strega delle Terre Desolate. Era come se Sophie avesse
sempre saputo di essere una Maga, ma al tempo stesso avesse
pensato che non fosse giusto avere il dono della magia, visto che
era la primogenita fra tre sorelle. Lettie era sempre stata più
sensitiva di lei, così almeno aveva ritenuto finora.
Poi le venne in mente l'abito di Howl, grigio e scarlatto, e a
questo pensiero quasi cadde dalle scale per lo sgomento. Era
stata lei a mettere l'incantesimo nel vestito. Poteva udire la sua
voce che sussurrava all'abito: "Cucito per catturare le ragazze!".
Ovviamente, l'indumento aveva eseguito il suo ordine alla
lettera e aveva affascinato Lettie, là nel frutteto. E il giorno
precedente, nonostante Howl l'avesse trasformato in un
inconsueto travestimento, aveva ottenuto il suo segreto effetto
anche sulla signorina Angorian.
— Povera me! — pensò Sophie — ho raddoppiato il numero
dei cuori che spezzerà! In qualche modo dovrò fargli levare quel
vestito!
Intanto Howl, con addosso quello stesso abito, la stava
aspettando nel fresco salone d'ingresso assieme a Michael.
L'apprendista, appena vide Sophie scendere lentamente le scale
dietro il paggio, diede una gomitata al Mago. Howl apparve
rattristato nel vederla così.
— Sembri a pezzi — le disse e aggiunse premurosamente: —
Penso che faremo meglio a evitare d'incontrare il Re. Andrò io,
porgerò le mie scuse per la tua mancata visita e cercherò di
offuscare da solo la mia reputazione. Dirò che la mia malvagità
ti ha fatto ammalare. Il che non sembra molto lontano dalla
verità, guardandoti.
Certo Sophie non aveva alcun desiderio d'incontrare il Re,
ma ripensò a quello che le aveva detto Calcifer: se il Re avesse
ordinato a Howl di andare nelle Terre Desolate e la Strega
l'avesse catturato, allora lei non avrebbe potuto avere più
nessuna opportunità di tornare a essere giovane.
Così scosse il capo, dicendo: — Dopo la signora
Pentstemmon, lo stesso Re di Ingary mi sembrerà solo una
persona ordinaria.
CAPITOLO TREDICI
In cui Sophie diffama il nome di Howl
Sophie stava decisamente provando di nuovo un senso di
vertigine quando tutti e tre raggiunsero il Palazzo. Le sue
innumerevoli cupole la stordirono. L'ingresso era situato alla
fine di una scalinata immensa e lunghissima, e ogni sei gradini
vi era un soldato di guardia in uniforme scarlatta. Quei poveri
ragazzi dovevano essere sul punto di svenire dal caldo, pensò
Sophie mentre li superava uno a uno, ansimando in preda alle
vertigini. Alla fine della scalinata c'erano arcate, atri, corridoi,
sale per il pubblico, in una successione che le parve infinita,
tanto che passando ne perse il conto. A ogni arcata che segnava
il passaggio da un ambiente all'altro, stava immobile una
persona vestita splendidamente, che indossava guanti bianchi,
immacolati a dispetto della canicola. Questi personaggi, di volta
in volta, si informavano sul motivo della loro visita e li
conducevano dal valletto fermo sul passaggio successivo.
— La signora Pendragon chiede di vedere il Re! —. La voce
di ciascuno di essi veniva rimandata dall'eco che correva giù per
le alte arcate. Circa a metà strada, Howl venne separato dagli
altri e gli venne detto di aspettare, mentre Michael e Sophie
continuarono a passare da persona a persona. Furono quindi
condotti al piano superiore, dove il personale di guardia era
vestito di rosso e dove dovettero fare la stessa trafila finché
giunsero a un'anticamera tutta rivestita di pannelli di legno
multicolori. Lì Michael venne fermato e lasciato in attesa.
Sophie, che a quel punto non era più sicura di essere sveglia o di
trovarsi nel bel mezzo di uno strano sogno, fu condotta
attraverso un'immensa porta doppia e finalmente sentì la voce
riecheggiante che annunciava: — Vostra Maestà, la signora
Pendragon chiede di essere ricevuta.
Ed eccolo il Re, non su un trono, ma seduto su una sedia
quadrata sormontata da un'unica, piccola foglia. La sedia era
posta circa nel mezzo di una sala enorme e il Re era vestito
molto più modestamente della gente che attendeva di parlargli.
Era solo, come una persona qualsiasi. L'unico particolare che
poteva far pensare alla sua regalità era la posa in cui stava
seduto, con un piede appoggiato davanti all'altro. Era bello,
anche se la sua figura si poteva definire grassoccia, con un'aria
un po' svagata. A Sophie sembrò molto giovane e forse un
pochino troppo orgoglioso di essere il Re: con quel viso paffuto
avrebbe dovuto avere un'espressione un po' meno sicura di sé.
— Per quale motivo la madre del Mago Howl vuole
vedermi?
All'improvviso Sophie si sentì schiacciata dal fatto di essere
alla presenza del sovrano di Ingary e di parlare con lui. In preda
alle vertigini, le venne fatto di pensare che il giovane che le
stava seduto davanti e il concetto, enormemente importante, di
regalità fossero separati e che per caso ora occupavano la stessa
sedia. Si era dimenticata ogni parola del discorso attento e
accurato che Howl le aveva detto di fare. In ogni caso doveva
dire qualcosa.
— Vostra Maestà, Howl vi manda a dire che non ha
intenzione di andare in cerca di vostro fratello.
Guardò fissa il Re e il sovrano la fissò di rimando. Era un
vero e proprio disastro.
— Siete sicura di quello che dite? Mi sembrava che il Mago
avesse accettato di buon grado la mia proposta, l'ultima volta
che gli ho parlato.
L'unica cosa che era rimasta in mente a Sophie era che la sua
missione consisteva nel diffamare il nome di Howl. — Ha
mentito. Non voleva deludervi. Mio figlio, purtroppo, è una
persona che elude le proprie responsabilità, Vostra Maestà.
— E spera di sfuggire alla responsabilità che gli ho affidato
di trovare mio fratello Justin... Capisco. Ma non vorreste
sedervi, visto che non mi sembrate più molto giovane, e dirmi le
ragioni che lo portano a questo rifiuto?
C'era un altro sedile, piuttosto lontano da quello del Re.
Sophie vi si lasciò cadere fra mille scricchiolii e rimase seduta
con le mani appoggiate al bastone, nella stessa posa che aveva
visto assumere dalla signora Pentstemmon. Sperò che questo la
facesse sentire un po' meglio, ma nella sua mente vuota
continuava a ruggire solo il silenzio. — Solo un codardo
avrebbe mandato la sua vecchia madre a intercedere per lui.
Vostra Maestà può vedere di che pasta è fatto mio figlio già da
questo particolare.
— Tutto ciò è piuttosto insolito. Eppure gli avevo assicurato
una ricompensa di tutto rispetto, veramente lauta.
— Oh! Non gliene importa niente dei soldi. È terrorizzato
dalla Strega delle Terre Desolate: gli ha mandato una terribile
maledizione che l'ha appena raggiunto.
— Allora ha tutte le ragioni di avere paura —, Il Re
rabbrividì al solo pensiero di quella maledizione. — Ma ditemi
qualcosa di più sul Mago, ve ne prego.
Qualcosa di più su Howl? Sophie si mise a pensare
disperatamente.
— Devo infangare il suo nome! —. La sua mente era
assolutamente vuota. Per un secondo le sembrò che, in realtà,
Howl non avesse nemmeno un difetto. Che stupidaggine! —
Bene, è volubile, trascurato, egoista e isterico. La maggior parte
delle volte penso che non gliene importi niente di quello che
succede agli altri purché lui stia bene, per poi scoprire come
sappia essere terribilmente gentile con qualche persona. Subito
dopo mi viene fatto di pensare che sia gentile solo quando
conviene anche a lui, ma vengo smentita dallo scoprire che non
si fa quasi pagare dalla povera gente per i suoi incantesimi.
Insomma, non lo so, Vostra Maestà. Howl è un vero pasticcio!
— L'impressione che mi sono fatto — le disse il Re — è che
Howl sia un furfante con pochi scrupoli e senza principi, con
una lingua pronta e la mente sveglia. Non siete d'accordo?
— Un bel quadretto di mio figlio! — gli rispose Sophie di
tutto cuore. — Ma vi siete dimenticato quanto sia vanesio e... —
. Si interruppe per guardare con sospetto il Re, attraverso le
iarde di tappeto che li dividevano. Sembrava troppo pronto ad
aiutarla a offuscare la fama di Howl.
Il Re le stava sorridendo e il suo sorriso un po' incerto si
adattava perfettamente alla persona che era, più che al sovrano
che avrebbe dovuto essere. — Vi ringrazio, signora Pendragon.
Le vostre chiacchiere, così informali, mi hanno tolto un peso dal
cuore. Il Mago aveva acconsentito ad andare alla ricerca di mio
fratello con una prontezza tale che mi ero domandato se, dopo
tutto, non avessi scelto la persona sbagliata. Temevo che fosse
uno incapace di resistere a mettersi in mostra oppure che facesse
qualsiasi cosa per sete di denaro. Ora voi, invece, mi avete
dimostrato che è proprio l'uomo di cui ho bisogno.
— Oh! Al diavolo! — scappò detto a Sophie. — Mi ha
mandato per dirvi che non è l'uomo che fa per voi.
— E voi avete fatto quello che lui vi ha ordinato. — Il
Sovrano avvicinò la propria sedia a quella di Sophie. —
Permettetemi, ora, di parlare altrettanto liberamente, signora
Pendragon. Io ho maledettamente bisogno di avere indietro mio
fratello. Non è perché sia legato a lui in modo particolare o che
mi senta in colpa per il litigio che abbiamo avuto. Non è
neanche per quello che certa gente mormora, cioè che il mio
spirito se ne sia andato con lui, cosa questa che sembrerebbe, del
resto, piuttosto insensata a chiunque ci conosca bene. No,
signora Pendragon. Il fatto è che mio fratello Justin è un
generale molto brillante e capace, e con le Terre del Nord e la
Strangia che stanno per dichiararci guerra, non posso fare a
meno di lui. Sapete, la Strega ha terrorizzato anche me. Ora,
tutti i rapporti che ho ricevuto sono concordi su un fatto: Justin è
andato veramente nelle Terre Desolate. Sono certo che la Strega
abbia voluto privarmi di lui proprio nel momento in cui io ho
più bisogno di mio fratello. Penso, anzi, che lei abbia usato il
Mago Suliman come uno specchietto per le allodole per avere
Justin. Da tutto questo si deduce che io ho l'assoluta necessità di
trovare un mago molto in gamba e con pochi scrupoli per
riavere indietro mio fratello.
— Howl se ne scapperà via —. Sophie cercò di mettere in
guardia il Sovrano.
— No, signora Pendragon. Non penso che lo farà. Me lo
conferma il fatto che vi abbia mandato da me. L'ha fatto per
dimostrarmi che sarebbe stato un codardo se gli fosse importato
qualcosa della mia opinione su di lui, non è vero signora
Pendragon?
Sophie annuì. Desiderò di essersi ricordata di tutte le parole e
i suggerimenti che Howl le aveva dato. Il Re li avrebbe
compresi anche se per lei erano rimasti del tutto oscuri.
— Questa non è l'azione di un vanesio, ma quella di un uomo
a cui non resta che quest'ultima risorsa. E questo mi dimostra
che il Mago Howl farà quello che voglio io, una volta che avrà
capito che la sua ultima risorsa è miseramente fallita.
— Vostra Maestà, penso che... ecco, potrebbero esserci dei
particolari che io non sono riuscita a chiarire e...
— No, penso proprio di no —. Il Re sorrise, la sua
espressione ora era quella di un uomo sicuro del fatto suo.
Aveva ragione, era sicuro di essere nel giusto. — Signora
Pendragon, direte al Mago Howl che il suo sovrano lo nomina
Mago del Re da questo momento, e gli trasmetterete il nostro
Ordine Ufficiale di trovare il Principe Justin vivo o morto, prima
che sia finito l'anno. Ora avete il nostro permesso di lasciare
questa sala.
Porse la mano a Sophie, proprio con lo stesso gesto della
signora Pentstemmon, ma forse un po' meno regalmente. Sophie
si alzò, domandandosi se il Re volesse che lei gli baciasse la
mano. Poiché, invece, sentiva una voglia prepotente di alzare il
suo bastone e di darglielo in testa, gli diede semplicemente la
mano, accennando a una rigida riverenza. Sì, questa era l'unica
cosa giusta da fare! Sul volto del Re si dipinse un sorriso di
grande comprensione, mentre Sophie lasciava la sala con il suo
passo zoppicante.
— Maledizione... maledizione! — mormorava intanto fra sé
e sé. Non solo non aveva ottenuto quello che Howl voleva, ma
ora il Mago avrebbe spostato il castello miglia e miglia lontano
da quel posto. Lettie, Martha e Michael sarebbero stati infelici e,
per di più, il castello sarebbe stato inondato da fiumi di quella
schifezza verde.
— Succede, se sei la primogenita — borbottò mentre
spingeva le pesanti porte della sala. — Semplicemente non puoi
mai vincere!
Ed ecco subito un'altra cosa che andava storta. In preda
all'arrabbiatura e allo sconforto, Sophie era uscita, non sapeva
neppure lei come, dalla porta doppia sbagliata. L'anticamera in
cui ora si trovava era interamente ricoperta di specchi, nei quali
poteva vedere riflessa la sua immagine di vecchia un po'
incurvata in un elegante abito grigio, e quella di molte persone
in vestiti di corte blu, mentre altri indossavano abiti lussuosi
come quello di Howl. Fra tutta quella gente, però, non vedeva
Michael. L'apprendista, naturalmente, la stava aspettando da
qualche parte del Palazzo, in una stanza completamente
ricoperta di pannelli di legno.
— Oh, accidentaccio... — esclamò Sophie, sempre più preda
dello sconforto.
Uno dei cortigiani le si avvicinò e le fece un inchino. —
Signora dei Sortilegi! Posso esservi d'aiuto?
Quello che le stava parlando era un giovane piuttosto basso,
con gli occhi arrossati. Sophie lo fissò con attenzione.
— Oh, buon Dio! Allora l'incantesimo ha funzionato!
— Sì, davvero — le rispose il piccolo cortigiano con un'aria
un po' triste.
— Ho disarmato il mio avversario mentre stava starnutendo e
ora lui mi ha citato in tribunale. Ma la cosa importante... — e
qui il suo viso s'illuminò in un sorriso felice. —...È che la mia
cara Jane è tornata con me! Ora, cosa posso fare per voi? Mi
sento responsabile della vostra felicità.
— Non sono sicura di essere uscita dalla porta giusta...
Comunque, siete, per caso, il Conte di Catterack?
— Per servirvi — le disse il piccolo cortigiano, facendole un
inchino. Jane Farrier doveva essere più alta di lui di almeno un
buon piede, pensò Sophie, e tutto questo, in fondo, è colpa mia!
— Sì, potete aiutarmi — gli rispose Sophie, comunque, e gli
spiegò che Michael la stava aspettando in un'altra sala.
Il Conte di Catterack le assicurò che Michael sarebbe stato
avvisato e accompagnato a quell'uscita per incontrarla. Non ci
sarebbe stato alcun problema. La consegnò a un valletto, le
diede la mano e si inchinò più volte, facendole ampi sorrisi.
Sophie passò di valletto in valletto come quando era arrivata,
poi si trovò davanti lo scalone guardato dai soldati del Re.
Michael non c'era, e non c'era nemmeno Howl, ma questo fu
per Sophie un piccolo, momentaneo sollievo. Pensò che avrebbe
dovuto immaginarselo! Il Conte di Catterack era, ovviamente,
una persona che non ne combinava mai una giusta, e anche lei,
del resto, si sentiva far parte della stessa schiera! Già era una
fortuna che avesse trovato la strada per uscire dal Palazzo. A
quel punto si sentiva talmente stanca, accaldata e depressa che
decise di non aspettare Michael. Voleva solo starsene seduta
accanto al focolare e raccontare a Calcifer quale enorme
pasticcio avesse appena combinato.
Scese zoppicando l'immensa scalinata e poi via, lungo un
gran viale. Continuò per un'altra larga strada dominata da
guglie, torri e tetti dorati. Poi si rese conto che era ancor peggio
di quanto avesse immaginato: si era proprio persa. Non aveva
assolutamente la benché minima idea di come fare a ritrovare la
finta stalla dove si trovava l'entrata del castello di Howl. Girò un
altro angolo a caso, ma non riconobbe neanche quel posto. A
quel punto non sapeva neppure come fare a tornare a Palazzo.
Provò a chiedere alle persone che incontrava, la maggior parte
delle quali le sembravano stanche e accaldate come si sentiva lei
stessa. — Il Mago Pendragon? Chi è? — fu l'invariabile
risposta.
Sophie continuò a zoppicare ormai senza speranza. Stava
per darsi per vinta e sedersi sulla soglia della prima casa che
aveva dinnanzi, e passarvi addirittura la notte, quando riconobbe
l'imboccatura della stretta strada dove si trovava la casa della
signora Pentstemmon.
— Ah, bene! — pensò Sophie, — posso andare a chiedere al
vecchio servitore, lui e Howl sembravano in rapporti di grande
amicizia, senz'altro mi saprà indicare dov'è la casa del Mago.
Così imboccò la stradina.
La Strega delle Terre Desolate stava venendo verso di lei,
dalla parte opposta del vicolo.
Come avesse fatto Sophie a riconoscerla, sarebbe stato
difficile dirlo. Il viso era diverso. I capelli, invece di esser
castani e acconciati in riccioli ordinati, erano una massa di ricci
rossi che le arrivavano quasi alla vita. Il suo abito era fatto di
veli sciolti dal colore del rame e del giallo pallido, che
fluttuavano a ogni suo passo. Aveva un aspetto molto grazioso,
ma un'espressione fredda, determinata. Sophie la riconobbe
immediatamente. Rallentò e quasi si fermò.
— Non c'è alcuna ragione per cui si debba ricordare di me —
pensò Sophie, — visto che sarò senz'altro solo una fra le tante
persone alle quali ha fatto un incantesimo.
Così riprese con coraggio la sua strada, battendo il bastone
sull'acciottolato e ricordando a se stessa quello che le aveva
detto la signora Pentstemmon che, in caso di guai, proprio quel
bastone poteva diventare un oggetto molto potente.
Fu un altro errore di quell'orribile giornata. La Strega
avanzava per la stradina con il suo abito fluttuante, facendo
roteare il parasole tutta sorridente, mentre due paggetti, vestiti in
livrea di velluto arancione, la seguivano imbronciati. Quando
arrivò all'altezza di Sophie si fermò e il suo forte profumo le
riempì le narici.
— Guarda, guarda, è proprio la signorina Hatter! — esclamò
la Strega, ridendo. — Non dimentico mai una faccia, soprattutto
se l'ho creata io! Cosa stai facendo da queste parti, tutta bella
agghindata? Se pensi di far visita a quella tale signora
Pentstemmon, puoi evitarti il fastidio. La vecchia gallina è
morta. — Morta? — Sophie ebbe lo stupido impulso di
aggiungere: — Ma se era ancora viva solo un'ora fa! —. Si
trattenne in tempo, perché la morte è così: la gente è viva finché
non muore.
— Sì, morta, — ribadì la Strega. — Si è rifiutata di dirmi
dove avrei potuto trovare una persona che sto cercando. Anzi, le
sue parole sono state: "Passerai sul mio cadavere, piuttosto!",
così l'ho presa in parola.
Stava cercando Howl! Sophie si chiese cos'avrebbe potuto
fare, a quel punto. Se non fosse stata così stanca e accaldata,
senz'altro sarebbe stata terrorizzata al punto da non poter più
pensare a niente. Per una Strega che aveva potuto uccidere la
signora Pentstemmon, non ci sarebbe stato nessun problema con
una come Sophie, con o senza bastone. E se avesse solo avuto il
benché minimo sospetto che Sophie sapesse dove trovare Howl,
sarebbe stata la sua fine. Forse, ora, era un bene che lei non
ricordasse dove si trovava l'ingresso del castello.
— Non so chi sia la persona che avete ucciso, in ogni caso
questo fa di voi una crudele assassina.
La Strega sembrava, comunque, nutrire ancora dei sospetti.
— Mi sembrava che tu avessi detto che stavi andando a far
visita alla signora Pentstemmon.
— No, siete stata voi a dirlo e non c'è alcun bisogno che la
conoscessi per definirvi crudele e assassina.
— Be', allora dove te ne stavi andando?
Sophie fu tentata di dirle di farsi i fatti propri, ma questo
voleva senz'altro dire cercarsi dei guai, così disse la prima cosa
che le venne in mente: — Sto andando a incontrare il Re. La
Strega rise in maniera smodata. — Ma il Re incontrerà te?
— Naturalmente —. Sophie tremava di paura e di rabbia al
tempo stesso. — Ho ottenuto un appuntamento. Sto... sto
andando a sottoporgli una petizione per migliorare le condizioni
dei cappellai. Continuo la mia professione, vedete, nonostante
tutto quello che mi avete fatto.
— Allora stai andando nella direzione sbagliata — l'avvertì
la Strega. — Il Palazzo si trova dietro di te, dalla parte opposta.
— Oh, davvero? —. Sophie non fece molta fatica ad apparire
sorpresa.
— Devo aver continuato a girare in tondo. Sono un po' persa
da quando voi mi avete ridotto così.
La Strega rise di cuore e, ovviamente, non prestò fede a una
sola parola. — Allora vieni con me e ti mostrerò la strada che
porta a Palazzo.
Sembrava che non ci fosse nient'altro da fare, se non girarsi e
mettersi di fianco alla Strega, con i due paggi che arrancavano
imbronciati dietro di loro. Rabbia e sfiducia s'impossessarono di
Sophie. Guardò la Strega che si muoveva in un grazioso
fluttuare di stoffe e le venne in mente che la signora
Pentstemmon le aveva detto che in realtà la Strega era una
donna piuttosto vecchia.
— Tutto ciò non è per nulla simpatico — pensò Sophie, in
ogni caso non c'era nulla che lei potesse fare.
— Perché mai mi avete ridotta in questo stato? —. Sophie
non riuscì a trattenersi dal domandare alla Strega, mentre
risalivano un'ampia strada trafficata che terminava con una
fontana.
— Mi stavi impedendo di ottenere alcune informazioni di cui
avevo bisogno. Naturalmente le ho ottenute, alla fine —. Sophie
rimase piuttosto spiazzata da una tale affermazione. Si stava
domandando se mai avesse avuto una qualche importanza dire
alla Strega che doveva essersi sbagliata, quando questa
aggiunse: — Anche se oserei dire che tu non avessi idea di
quanto stava accadendo —.
Così dicendo si mise a ridere, come se quella fosse la parte
più divertente di tutta la faccenda.
— Hai mai sentito parlare di un paese chiamato Galles?
— No. Si chiama così perché galleggia sul mare?
La Strega trovò questa domanda ancora più buffa di tutto il
resto. — Non è in mezzo al mare, almeno per il momento. È il
paese da dove proviene il Mago Howl. Conosci il Mago Howl,
vero?
— Solo per sentito dire — mentì Sophie. — Mangia le
ragazze ed è crudele quanto voi —. E sentì un brivido freddo
correrle lungo la schiena. Non era certo dovuto all'acqua che
zampillava dalla fontana che stavano superando in quel
momento. Oltre la fontana, al di là di una piazza pavimentata in
marmo rosa, c'era lo scalone di pietra che conduceva al Palazzo.
— Eccoti arrivata. Lì c'è il Palazzo — le disse la Strega, —
ma sei sicura di riuscire a salire tutti quei gradini?
— Quale occasione migliore... per dimostrare il vostro
potere. Ridatemi la mia giovinezza e io correrò su per quelle
scale di volata, nonostante questo caldo opprimente.
— Non sarebbe così divertente come invece lo è vederti
salire nei panni di una vecchia — ribatté prontamente la Strega.
— Su, va'. E se riesci a persuadere il Re a riceverti, ricordagli
che è stato suo nonno a mandarmi nelle Terre Desolate e che io
gli porto rancore per questo.
Sophie guardò la lunga scalinata senza speranza. Almeno non
c'era nessuno tranne le guardie, con la fortuna che aveva
contraddistinto tutta quella giornata, non sarebbe stata, infatti,
sorpresa nel vedere Michael e Howl che scendevano assieme le
scale. Poiché la Strega se ne stava, ovviamente, lì impalata a
guardarla, Sophie non ebbe nessun'altra scelta se non quella di
risalire la scalinata. Arrancò su per i gradini, superò tutte le
guardie, che a quell'ora grondavano sudore, si diresse di nuovo
verso l'entrata del Palazzo, odiando la Strega un po' di più passo
dopo passo. In cima alla gradinata si girò ansante. La Strega era
ancora là, immobile, una figura color ruggine che fluttuava ai
piedi della scala, con due figure arancione più piccole dietro di
lei. Aspettava di vedere che la cacciassero fuori dal Palazzo.
— Maledetta! — non poté fare a meno d'imprecare Sophie,
mentre si dirigeva zoppicando verso le guardie ferme sotto la
prima arcata. La sfortuna continuava a perseguitarla. Non c'era
traccia né di Michael, né di Howl nei paraggi. Così fu costretta a
raccontare alle guardie che si era dimenticata di dire una cosa al
Sovrano.
I soldati si ricordarono di lei e le permisero di entrare per
essere ricevuta da un personaggio in guanti bianchi. Prima
ancora che Sophie avesse tempo di riordinare i propri pensieri,
la macchina di Palazzo si era di nuovo messa in moto: fu
accompagnata da valletto a valletto, proprio come la volta
precedente, finché non arrivò alla porta doppia e lo stesso
servitore in livrea blu non annunciò: — Vostra Maestà, la
signora Pendragon chiede di essere ricevuta.
Era tutto come un incubo, pensò Sophie non appena fu
introdotta nell'enorme sala reale. Le sembrò di non avere
nessuna scelta se non quella di diffamare il nome di Howl. Il
guaio era che, con tutto quello che aveva dovuto sopportare, la
sua mente ora era più vuota che mai. Questa volta trovò il Re in
piedi dietro una scrivania d'angolo, che muoveva ansiosamente
delle bandierine su una carta geografica. Alzò lo sguardo e le
disse gentilmente: — Mi hanno riferito che c'è qualcosa che vi
siete dimenticata di dirmi.
— Sì, Howl dice che andrà in cerca del Principe Justin solo
se gli promettete la mano di vostra figlia.
Come le fosse venuta in mente un'idea del genere, Sophie
non sapeva proprio spiegarselo. Il Re li avrebbe condannati
entrambi a morte!
Il sovrano la guardò con sguardo preoccupato. — Signora
Pendragon, dovreste sapere che questo è assolutamente fuori
discussione. Capisco che voi siate molto preoccupata per vostro
figlio tanto da suggerire una cosa del genere, ma non lo potrete
tenere legato al vostro grembiule per sempre e io ho preso una
decisione, ormai. Ma prego, venite a sedervi su questa sedia. Mi
sembrate piuttosto stanca. Sophie trotterellò verso la bassa sedie
che il Re le stava indicando e vi si lasciò cadere, domandandosi
quando le guardie sarebbero venute ad arrestarla.
Il Re si guardò attorno per un attimo, con aria svagata. —
Mia figlia era qui giusto un momento fa —. E con grande
sorpresa di Sophie si piegò e guardò sotto alla scrivania. —
Valeria... Vallie, vieni fuori di lì. A modo suo è una brava
bambina.
Si sentì un fruscio provenire da sotto la scrivania, poi, dopo
qualche secondo, la Principessa Valeria schizzò fuori gattoni,
mandando dei gridolini felici. Aveva già quattro denti, ma non
ancora dei veri e propri capelli. Infatti spuntavano da dietro le
orecchie solo dei ciuffi di peluria così bionda da sembrare
bianca. Quando vide Sophie, le sorrise e allungò la manina, che
prima aveva in bocca, per afferrarle il vestito. Poi si sedette ai
suoi piedi sopra le pieghe del vestito grigio, sul quale subito si
allargò una macchia umida... Guardandola negli occhi, Valeria le
indirizzò un discorsino amichevole e tenero in un linguaggio
tutto suo, comprensibile solo a lei.
— Oh... — Sophie non riuscì a pronunciare altro, sentendosi
terribilmente stupida.
— Vedete, signora Pendragon. Posso benissimo capire come
si senta un genitore.
CAPITOLO QUATTORDICI
In cui un Mago del Re prende il raffreddore
Sophie fu ricondotta all'ingresso del castello di Howl in
Kingsbury da una carrozza del Re trainata da quattro cavalli. Su
di essa avevano preso posto, oltre al conducente, anche un
palafreniere e un valletto, ed era stata scortata da un sergente e
da sei uomini delle Truppe Reali. A procurarle
quell'accompagnamento era stata la Principessa Valeria che le si
era arrampicata in grembo, là nello studio del padre.
Mentre la carrozza percorreva la breve distanza fra il Palazzo
e il castello del Mago, il vestito di Sophie restava bagnato dai
segni tangibili del consenso reale di Valeria nei suoi confronti.
Nonostante tutto, a quel pensiero a Sophie venne da sorridere e
si ritrovò a comprendere il desiderio di Martha di avere dei
bambini, anche se dieci 'Valerie' le continuavano a sembrare
veramente un po' troppe! Come l'infante reale era ruzzolata ai
suoi piedi, a Sophie erano tornate alla memoria le chiacchiere
udite in negozio sul fatto che la Strega avesse, in qualche modo,
minacciato Valeria. Così aveva sentito la sua stessa voce dire
alla bambina: — La Strega non ti farà del male. Non glielo
permetterò!
Il Re non aveva detto nulla a quella sua uscita, si era
semplicemente limitato a ordinare carrozza e scorta per
accompagnarla al castello.
L'equipaggio reale fece una brusca, rumorosa frenata davanti
alla finta stalla e Michael si precipitò fuori dalla porta,
scostando il valletto che stava aiutando Sophie a scendere e
prendendo il suo posto.
— Dov'eravate finita? Sono stato così in pensiero! E Howl è
terribilmente scombussolato...
— Non ho alcun dubbio in proposito... — gli disse Sophie
già in grande apprensione.
— È perché la signora Pentstemmon è morta — spiegò il
ragazzo. Anche Howl si affacciò all'uscio. Era pallido, depresso.
Teneva in mano una pergamena e faceva dondolare i sigilli reali
rossi e blu che la identificarono immediatamente agli occhi
colpevoli di Sophie. Howl diede una moneta d'oro al sergente e
non disse una parola finché la carrozza e le Truppe Reali non si
furono allontanate lasciandosi dietro solo l'eco dello scalpiccio
dei cavalli.
— Ci sono voluti un tiro a quattro e dieci uomini per liberarsi
di una vecchia signora. Che cos'hai fatto al Re?
Sophie seguì Howl e Michael all'interno del castello,
aspettandosi di trovare la stanza piena di melma verde. Invece
non ve n'era traccia e Calcifer mandava fiamme rosse su per il
camino, sogghignando. Sophie si lasciò cadere sulla sua sedia
accanto al focolare.
— Penso che il Re non ne possa più di vedermi e di sentirmi
diffamare il tuo nome. Ci sono andata ben due volte. E tutto è
andato storto. Per di più ho incontrato la Strega che usciva dalla
casa della signora Pentstemmon dopo averla uccisa. Che
giornata orribile!
Mentre Sophie raccontava parte di quello che le era successo,
Howl se ne stava piegato sul focolare facendo dondolare la
pergamena come se stesse pensando di darla in pasto a Calcifer.
— Hai davanti a te il Mago del Re. Ah, sì... il mio nome è stato
proprio diffamato per bene! Poi Howl cominciò a ridere con
grande sorpresa sia di Sophie che di Michael. — E cos'ha mai
fatto questa donna al Conte di Catterack? — e giù un'altra risata.
— Non avrei mai dovuto lasciare che si avvicinasse al Re!
— Io ho infangato il tuo nome! — protestò Sophie a gran
voce.
— Lo so. Avevo fatto male i miei calcoli. Ora come farò ad
andare al funerale della povera signora Pentstemmon senza che
la Strega lo venga a sapere? Hai qualche idea, Calcifer?
Era chiaro che Howl fosse molto più sconvolto dalla morte
della signora Pentstemmon che da qualsiasi altra cosa. Michael,
invece, era quello che si preoccupava di più della Strega. La
mattina successiva confessò che aveva avuto gli incubi per tutta
la notte. L'aveva sognata mentre riusciva ad aprirsi un varco per
tutte le entrate del castello contemporaneamente. — Dov'è
Howl? — chiese infine in preda all'ansia.
Il Mago era uscito molto presto quella mattina, lasciando il
bagno pieno del solito fumo profumato. Non aveva preso la
chitarra e il pomello sopra la porta aveva la parte verde rivolta
in basso. Persino Calcifer non ne sapeva niente di più e si
raccomandò di non aprire la porta a nessuno. — La Strega
conosce tutte le entrate del castello tranne quella che dà su
Porthaven.
Questa notizia allarmò Michael al punto che andò a prendere
alcune assi dal cortile e le incuneò nella porta a croce. Alla fine
si mise a lavorare sull'incantesimo che gli aveva restituito la
signorina Angorian.
Dopo circa mezz'ora il pomello si girò di colpo sul nero. La
porta cominciò a sobbalzare. Michael si strinse a Sophie, per
dirle, tutto tremante: — Non abbiate paura. Vi proteggerò io.
La porta continuò a essere scossa per un po', poi più nulla.
Michael aveva appena lasciato andare Sophie, respirando di
sollievo, quando avvenne un'esplosione violenta. Le assi si
schiantarono al suolo, Calcifer si rintanò nel più profondo del
focolare e Michael si andò a nascondere nello stanzino delle
scope, lasciando Sophie in piedi davanti alla porta che si
spalancò di colpo.
Howl entrò come un fulmine. — Questo mi sembra un po'
troppo, Sophie! Io vivo qua, ricordi?
Era bagnato fradicio tanto che il suo abito grigio e scarlatto
appariva nero e marrone, mentre le lunghe maniche e le punte
dei capelli gocciolavano sul pavimento. Sophie guardò il
pomello sopra la porta, con la parte nera ancora girata in basso.
Doveva trattarsi della signorina Angorian, questa volta, che
Howl era andato a trovare indossando quel vestito fatato. —
Dove sei stato?
Howl starnutì. — Sono rimasto sotto la pioggia. Niente che ti
riguardi — le disse con voce roca. — A cosa dovevano servire
quelle assi?
— Le ho messe io — confessò Michael sbucando dal
ripostiglio — La Strega...
— Tu probabilmente pensi che io non conosca il mio
mestiere —. La voce di Howl lasciava chiaramente capire
quanto egli fosse irritabile e irritato. — Fuori ci sono talmente
tanti incantesimi per non far trovare le entrate, che la maggior
parte della gente non ci scoprirebbe mai. Anzi, scommetto che
anche la Strega stessa non ci metterebbe meno di tre giorni.
Calcifer, ho bisogno di bere qualcosa di caldo.
Calcifer si stava arrampicando fra i ceppi, ma non appena
Howl si avvicinò al camino, si nascose di nuovo sotto la legna.
— Non venirmi vicino in quello stato! Sei tutto bagnato! —
sibilò il demone. Allora Howl rivolse a Sophie la stessa
preghiera, ma lei incrociò le braccia senza pietà. — Cosa mi dici
di Lettie?
— Sono bagnato fradicio, non vedi? Sophie, avrei bisogno di
bere qualcosa di caldo.
— E io ti ho chiesto: cosa mi dici di Lettie Hatter?
— Oh, insomma... maledizione! —. Howl si scosse e l'acqua
cadde sul pavimento facendo un cerchio ai suoi piedi. Il Mago
uscì dal cerchio completamente asciutto, erano asciutti i suoi
capelli lucidi, così come lo era il vestito, che non mostrava
nemmeno alcuna traccia di umidità. Mentre andava a prendersi
un tegame, disse rivolto a Michael: — Il mondo è pieno di
donne dal cuore di pietra, potrei farti almeno tre nomi senza
pensarci su neanche un attimo.
— Una di queste è forse la signorina Angorian? — s'informò
Sophie.
Howl non le rispose, la ignorò completamente per il resto
della mattinata mentre discuteva con Michael e Calcifer su come
spostare il castello. Sophie pensò che Howl stesse veramente per
darsela a gambe, come lei stessa aveva preannunciato al Re.
Intanto si affrettava a cucire assieme i triangoli blu e argento,
poiché ora sapeva di dover fare cambiare a Howl l'abito grigio e
scarlatto che stava indossando il prima possibile.
— Penso che non abbiamo bisogno di spostare l'ingresso di
Porthaven —. Così dicendo Howl fece materializzare in aria un
fazzoletto e si soffiò il naso con un fragore tale da far tremolare
le fiamme di Calcifer. — In ogni caso voglio che questo castello
mobile sia lontano da qualsiasi luogo in cui è stato in
precedenza e che l'ingresso da Kingsbury sia ben chiuso.
A quel punto qualcuno bussò alla porta e Sophie vide Howl
sobbalzare e guardarsi attorno nervoso quanto Michael. Nessuno
dei due uomini rispose.
— Codardi! — pensò Sophie sdegnata. Si domandò perché
mai avesse sopportato per Howl tutte le sofferenze del giorno
precedente. — Dovevo essere ammattita del tutto! — borbottò
rivolta al vestito blu e argento.
— È l'ingresso al quale si accede con il pomello sul nero? —
chiese Michael quando la persona che era stata alla porta
sembrò essersene andata via.
— Quella resta — gli rispose il Mago mentre faceva
materializzare dal nulla un altro fazzoletto con una specie di
schiocco delle dita.
Quell'ingresso sarebbe rimasto! — Con la signorina
Angorian a portata di mano — pensò Sophie. Ah, povera Lettie!
Circa a metà mattinata Howl cominciò a materializzare
fazzoletti a due o tre alla volta e Sophie si accorse che, in realtà,
erano dei pezzi di carta quadrati, flosci e morbidi. Howl
continuava a starnutire e la sua voce diventava sempre più
rauca. Presto cominciò a far comparire sei fazzoletti per volta e
tutto attorno a Calcifer erano sparsi mucchietti di cenere
proveniente da quei moccichini...
— Vorrei sapere perché in qualsiasi momento io vada in
Galles, torno indietro con il raffreddore! — gracchiò Howl
facendo materializzare dal nulla un intero pacco di quei
fazzoletti di carta.
Sophie sbuffò.
— Hai detto qualcosa? — le chiese Howl sempre più rauco.
— No, ma stavo pensando che la gente che scappa via da
ogni cosa si merita tutti i raffreddori che prende. E la gente che
ha avuto dal proprio Re l'incarico di fare qualcosa e invece se ne
va in giro sotto la pioggia a corteggiare le ragazze, deve solo
biasimare se stessa.
— Tu non conosci tutte le cose che faccio, Signora Moralista
— le rispose Howl. — Debbo farti la lista la prossima volta che
uscirò? Io ho cercato il Principe Justin. Corteggiare le ragazze
non è l'unica cosa di cui mi occupo, quando esco.
— Quando l'hai cercato?
— Oh, come fremono le tue orecchie e come fibrilla il tuo
lungo naso! — fu il rauco e caustico commento di Howl. —
Naturalmente l'ho cercato appena è scomparso. Ero curioso di
sapere cosa stesse combinando il Principe Justin, quando tutti
sapevano che Suliman era andato nelle Terre Desolate. Penso
che qualcuno deve avergli venduto un incantesimo di
ritrovamento fasullo, perché se ne andò diritto nella Valle del
Folding e acquistò un altro incantesimo dalla signora Fairfax.
Quello lo portò indietro da questa parte, dove si fermò al
castello e Michael gli vendette un altro incantesimo di
ritrovamento, assieme a un incantesimo di mascheramento...
Michael si coprì la bocca con una mano. — Vuoi dire che
quell'uomo in uniforme verde era il Principe Justin?
— Sì, ma non ho rivelato niente finora, perché il Re avrebbe
potuto pensare che tu avresti dovuto avere il buon senso di
vendergli un altro incantesimo fasullo. Dopotutto ho una
coscienza. Coscienza. Capisci questa parola, Signora Ficcanaso?
Io ho una coscienza.
Mentre parlava Howl fece comparire un altro pacco di
fazzoletti e guardò Sophie al di sopra di quel pacco con occhi
che ora erano cerchiati di rosso e lacrimosi. Quindi si alzò in
piedi. — Non sto bene. Me ne vado a letto, dove potrei anche
morire —. Avanzò barcollando verso la scala. — Seppellitemi di
fianco alla signora Pentstemmon — furono le ultime parole
rauche, prima di salire nella sua camera da letto.
Sophie si applicò quasi con frenesia a cucire i triangoli di
stoffa blu e argento, visto che forse avrebbe avuto l'occasione
buona per far togliere a Howl l'abito grigio e scarlatto prima che
procurasse danni ancora maggiori al cuore della signorina
Angorian, a meno che, ovviamente, Howl non si coricasse con
quel vestito. Così il Mago doveva essere andato in cerca del
Principe Justin quando si era recato ad Upper Folding e aveva
incontrato Lettie.
— Povera Lettie! — pensò Sophie mentre metteva uno
vicino all'altro i triangoli di stoffa e considerava che ne
mancavano ancora una quarantina o giù di lì.
Intanto si sentiva la voce di Howl che urlava rauca dal piano
di sopra.
— Qualcuno mi aiuti! Sto morendo negletto e trascurato
quassù!
Sophie sbuffò, ma Michael lasciò il lavoro che stava facendo
e cominciò a dover correre su e giù per le scale. Nel tempo che
Sophie impiegò a cucire una decina di triangoli, Michael corse
al piano superiore con limone e miele, con un volume
particolare, con una pozione per la tosse, con un cucchiaio per la
pozione, poi con le gocce per il naso, le pastiglie per la gola, il
necessario per i gargarismi, penna, carta, altri tre volumi e un
infuso di corteccia di salice. Intanto c'era gente che continuava a
bussare alla porta, facendo sobbalzare Sophie e mettendo a
disagio Calcifer a cui tremolavano tutte le fiamme. Visto che
nessuno apriva la porta, c'era anche qualcuno che continuava a
martellarla per qualche minuto, pensando, a ragion veduta, che
gli occupanti del castello lo stessero semplicemente ignorando.
A un certo punto la preoccupazione di Sophie si concentrò
sul vestito blu e argento, poiché diventava sempre più piccolo,
tanto che era sempre più difficile cucire insieme quei pezzettini
minuscoli.
— Michael! — lo apostrofò Sophie mentre l'apprendista
scendeva per l'ennesima volta, dato che Howl desiderava un
sandwich alla pancetta per pranzo. — Michael, c'è un sistema
per allargare un abito diventato piccolo?
— Certo, anzi, riguarda proprio il nuovo incantesimo al
quale sto lavorando, cioè se avrò l'opportunità di lavorarci un
po' su. Vuole sei fette di pancetta sul pane. Potreste chiedere a
Calcifer?
Sophie e Calcifer si scambiarono occhiate eloquenti. —
Penso proprio che non morirà — fu il laconico commento del
demone.
— Ti darò tutta la pelle da mangiare, se piegherai la testa —
gli disse Sophie, appoggiando il suo lavoro di cucito. Aveva,
infatti, ormai imparato che si otteneva più facilmente qualcosa
da Calcifer con la corruzione che con le minacce.
Per pranzo mangiarono tutti pane e pancetta abbrustolita, ma
Michael dovette precipitarsi al piano di sopra nel bel mezzo del
suo pasto. Tornò giù con la notizia che Howl voleva che lui
andasse subito a Market Chipping per prendere alcune cose che
gli servivano per lo spostamento del castello.
— Ma la Strega... È sicuro andare là? — gli chiese Sophie
preoccupata. Michael si leccò il grasso che gli era colato sulle
dita e si tuffò nel ripostiglio delle scope, per venirne subito fuori
con uno dei mantelli di velluto, tutto impolverato, gettato sulle
spalle.
La persona che uscì dal ripostiglio, però, era un uomo
piuttosto robusto con una folta barba rossa. Si leccava le dita e
parlava con la voce di Michael. — Howl pensa che io sarò
abbastanza al sicuro conciato così. Questo mantello, oltre a
procurare un travestimento, produce anche un incantesimo per
far perdere le proprie tracce. Mi chiedo se Lettie mi riconoscerà
lo stesso.
L'omone aprì la porta con il pomello sul verde e saltò fuori,
sulle colline che sembravano muoversi lentamente al di sotto del
castello.
Sul castello finalmente scese la pace. Calcifer si era
accomodato nel suo angolino e si era messo a crepitare piano.
Howl, evidentemente, si era reso conto che Sophie non sarebbe
corsa su e giù per le scale come Michael per soddisfare tutti i
suoi capricci, così se ne stava buono buono nel suo letto. Sophie
aveva dunque l'opportunità di andare a trovare Lettie, che
doveva essere terribilmente triste, visto che senz'altro non aveva
più avuto la possibilità di vedere Howl dal giorno del loro
incontro nel frutteto. Se lei avesse avuto il modo di avvertire la
sorella che i suoi sentimenti erano stati dettati solo da un abito
incantato, questo le avrebbe sollevato il morale.
Sophie si alzò e si diresse con grande cautela al ripostiglio
delle scope, ma gli stivali delle sette leghe non erano più lì.
All'inizio pensò di essersi sbagliata e tirò fuori tutte le
cianfrusaglie che erano radunate nello stanzino, ma niente da
fare, gli stivali non c'erano.
— Che gli venga un accidente! — imprecò alla volta di Howl
che, evidentemente, aveva preso tutte le precauzioni perché lei
non potesse seguirlo quando usciva.
Stava rimettendo a posto scope, secchi, stracci e il mantello
di velluto rimasto, quando qualcuno cominciò a bussare alla
porta. Sophie, come al solito, sobbalzò e sperò vivamente che
chiunque fosse la smettesse di bussare e se ne andasse presto per
la propria strada. Ma questa volta la persona fuori dalla porta
sembrava più determinata di tutti coloro che l'avevano
preceduta. Continuò a bussare, anzi, sembrava addirittura che si
scagliasse con tutto il peso del corpo contro l'uscio visto il
rumore sordo che si sentiva da dentro il castello. Passarono
almeno cinque minuti e quel rumore continuava a intervalli
regolari. Sophie, allora, si volse alle verdi fiammelle che
tremolavano basse sulla legna. — È la Strega?
— No — bofonchiò Calcifer da sotto i suoi ceppi. — È la
porta del castello, qualcuno ci sta correndo a fianco, anche se
andiamo piuttosto veloci.
— Lo spaventapasseri?! —. A Sophie tremava già il petto
alla sola idea.
— No, è qualcuno in carne e ossa — le rispose il demone,
mentre la sua faccia blu si allungava perplessa su per il camino.
— Non riesco a capire precisamente chi o cosa sia, so solo che
vuole entrare a tutti i costi; ma non penso che rappresenti un
pericolo.
Poiché il rumore continuava, dandole ai nervi e ispirandole
una fastidiosa sensazione d'urgenza, Sophie decise di aprire la
porta e di fermare in qualunque modo quel suono sordo e
fastidioso. Inoltre era troppo curiosa di vedere chi lo stava
procurando. Aveva ancora in mano il secondo mantello di
velluto, così se lo drappeggiò sulle spalle e andò alla porta.
Calcifer la fissò, poi fece volontariamente un gesto che Sophie
non gli aveva mai visto fare in precedenza: piegò la testa
spontaneamente... per scoppiare poi in una sonora, crepitante
risata! Domandandosi quale aspetto le avesse fatto assumere il
mantello per provocare tanta ilarità, Sophie aprì l'uscio.
Un enorme levriero, che stava correndo sulle colline a fianco
a loro, fu come risucchiato dal varco apertosi fra i blocchi neri
del castello e atterrò come una trottola nel bel mezzo della
stanza. Sophie lasciò cadere il mantello e si ritrasse di colpo. I
cani l'avevano sempre resa piuttosto nervosa e i levrieri, poi,
non hanno un'aria particolarmente rassicurante. L'animale si
mise fra lei e la porta e la fissò. Sophie diede una lunga occhiata
al paesaggio che intravvedeva dall'uscio aperto: le rocce e l'erica
vorticavano sotto il castello e, per un attimo, si chiese se valesse
la pena di urlare e chiamare Howl.
Il cane inarcò ancor di più il dorso già curvo, poi in qualche
modo si sollevò, tenendosi in equilibrio sulle scarne zampe
posteriori diventando alto quasi come Sophie. Per rimanere
eretto in quella posizione innaturale, muoveva le zampe
anteriori, come se nuotasse nell'aria. Poi, mentre Sophie aveva
già la bocca aperta per chiamare Howl in aiuto, quella creatura,
con uno sforzo enorme, fece uscire dalla pelle di cane le
sembianze di un uomo, con un vestito marrone tutto
spiegazzato, i capelli rossicci e un viso pallido, infelice.
— Arrivato da Upper Folding — ansimò l'uomo-cane. —
Cara Lettie... Lettie mi mandò... Lettie piange, molto infelice...
mandato me da te... detto io restare... — Ancor prima di aver
finito di parlare, rabbrividì, tentò di sdoppiarsi del tutto,
separandosi dall'animale, poi emise un terribile ululato di rabbia
e disperazione. — Non dire al Mago! — guaì e si ripiegò su se
stesso, assumendo nuovamente le sembianze di un cane. Un
cane diverso, però. Questa volta, infatti, si era trasformato in un
setter dal pelo fulvo con una bella coda sfrangiata e due
occhioni teneri e tristi che fissavano Sophie per comunicarle
tutta la sua buona fede.
— Poverino — gli disse Sophie mentre andava a chiudere la
porta, — hai veramente dei guai seri, amico mio. Tu eri nei
panni di quel collie nel giardino della signora Fairfax, vero? Ora
capisco tutto quel discorso che mi fece quando parlava della
terribile menomazione del corteggiatore di Lettie... Tu sei la
conferma che quando la Strega vuol fare del male a qualcuno, ci
riesce benissimo! Ma perché Lettie ti ha mandato qui se non
vuoi che io ne parli al Mago Howl?...
Appena Sophie pronunciò il nome del Mago, il cane emise
un brontolio sordo e rabbioso, ma continuò a scodinzolare e a
guardarla con occhi imploranti.
— Va bene, non glielo dirò — promise Sophie, e il cane
sembrò calmarsi, rassicurato. Trotterellò verso il focolare, diede
un'occhiata vacua a Calcifer, poi si raggomitolò al caldo in un
ammasso di peli rossicci.
— Cosa ne pensi, Calcifer? — chiese Sophie al demone.
— Questo cane è un uomo in preda a un maleficio.
— Come sei ovvio! Questo lo sapevo da sola... ma tu non
potresti liberarlo? —. A Sophie, intanto, venne in mente che
Lettie potesse aver sentito dire che Howl aveva ora una Strega
che lavorava per lui, forse era per questo che le aveva mandato
il cane. Ora sembrava piuttosto importante riuscire a farlo
diventare un uomo di nuovo e rimandarlo ad Upper Folding
prima che Howl si alzasse e lo trovasse nel castello.
— Non posso farlo, avrei bisogno di essere unito al Mago
per compiere un'impresa del genere — le rispose Calcifer.
— Allora ci proverò da sola.
Povera Lettie! Con il cuore infranto da Howl e con l'altro suo
innamorato che era un cane per la maggior parte del tempo!
Sophie appoggiò la mano delicatamente sulla testa del cane
rivolta ora verso di lei.
— Trasformati nell'uomo che dovresti essere! —. Ripetè più
volte la stessa frase, ma l'unico effetto che sembrò sortire era
quello di far addormentare sempre più profondamente la povera
bestia, che alla fine cominciò a russare appoggiata alle gambe di
Sophie.
Nel frattempo dal piano di sopra provenivano gemiti e
lamenti, ma Sophie continuò a ignorarli e a mormorare le sue
frasi al cane. Poi si sentì un colpo di tosse fortissimo, seguito da
lamenti sempre più forti. Ma Sophie non si prese nemmeno la
briga di alzarsi. La tosse fu seguita da starnuti talmente tonanti
da far scuotere le finestre e le porte. Sophie trovò difficile
ignorare quei rumori, ma ci riuscì e rimase ancore accanto al
cane. Pooot poooot... questa volta il Mago si soffiava il naso
producendo un suono simile a quello di un controfagotto
suonato in una galleria. Poi ricominciò la tosse, seguita dai
lamenti. Starnuti, lamenti, colpi di tosse, il naso che veniva
soffiato, deboli gemiti proseguirono in un crescendo sinfonico di
cui Howl era direttore ed esecutore al tempo stesso, finché le
porte cominciarono a sbattere, le travi del soffitto a tremare e
persino un ceppo di legna cadde fuori dal focolare.
— Va bene, va bene, ho ricevuto il messaggio! —. Così
dicendo Sophie si alzò e rimise la legna sul fuoco. — La
prossima manifestazione sarà melma verde! Calcifer, mi
raccomando, fa' in modo che il cane non si muova di qua — e
prese a salire le scale, brontolando ad alta voce.
— Ah, questi Maghi! Sembrerebbe che nessuno abbia mai
preso un raffreddore prima d'ora! Allora, cosa ti succede? —
chiese a Howl entrando nella camera da letto e attraversando il
lurido tappeto che ne copriva il pavimento.
— Sto morendo di noia —. La voce del Mago suonava
patetica. O forse sto morendo e basta.
Era disteso nel suo letto, sostenuto da cuscini ingrigiti, tanto
erano sporchi. Dall'aspetto sembrava piuttosto provato, e lo
squallore dell'insieme era accentuato dal copriletto che un tempo
doveva essere del tipo patchwork, ma ora di un colore unico:
quello della polvere che lo ricopriva. I ragni, che sembrava
amare così tanto, avevano un daffare frenetico nelle pieghe del
baldacchino che copriva il letto. Sophie gli appoggiò una mano
sulla fronte. — Devi avere un po' di febbre — ammise.
— Sono in preda al delirio... Vedo delle macchioline che mi
ruotano davanti agli occhi.
— Quelli sono i ragni, altroché macchie! Perché non ti curi
con un incantesimo?
— Perché non esiste cura per il raffreddore... Le idee
formano dei vortici nella mia testa, o forse è la mia testa che
ruota freneticamente attorno alle idee... Sto continuando a
pensare ai termini in cui è stata scritta la poesia di cui si è
servita la Strega per la maledizione. Non mi ero reso conto che
quella donna potesse lasciarmi così inerme. È brutto sentirsi
così, anche se le cose che sono successe realmente finora sono
tutte opera mia. Sto aspettando che accada il resto.
Sophie ripensò a quei versi per lei piuttosto oscuri. — Di
quali cose parli? Ti riferisci a "Dimmi ove son tutti gli anni
passati"?
— Oh, quello lo so. So dove sono i miei o quelli di qualsiasi
altra persona. Sono tutti là, dove sono sempre stati. Potrei
andare a interpretare il ruolo della fata cattiva al mio battesimo,
se volessi... e forse l'ho fatto... Quello è il mio problema. No, ci
sono solo tre cose che sto aspettando: le sirene, la radice di
mandragola e il mulinello che spinge l'onesto oltre ogni
tranello. Se mai riuscirò a vivere tanto da avere i capelli bianchi,
suppongo che non toglierò quella maledizione per vederle. Sono
rimaste solo tre settimane perché quelle tre cose si realizzino, e
in quel momento la Strega mi avrà. Ma la Riunione del Club del
Rugby è alla vigilia della Festa di San Giovanni, così almeno lì
riuscirò ad andare. Tutto il resto era accaduto tanto tempo fa.
— Ti riferisci alla stella cadente e al non essere capace di
trovare una donna fedele e bella? Non ne sono sorpresa, visto il
tuo modo di comportarti. La signora Pentstemmon mi ha detto
che avevi imboccato una brutta china. Aveva ragione, non è
vero?
— Devo andare al suo funerale, anche se questo dovesse
uccidermi —. Poi la voce di Howl divenne ancora più triste. —
La signora Pentstemmon ha sempre avuto un'opinione anche
troppo alta di me. L'ho accecata con il mio fascino incantato.
A quel punto cominciò a sgorgare dell'acqua dai suoi occhi e
Sophie non riusciva a capire se Howl stesse veramente
piangendo o se fosse semplicemente colpa del raffreddore, ma di
una cosa era sicura: per l'ennesima volta stava sottraendosi a un
discorso. — Stavo parlando del tuo modo di lasciare le ragazze
non appena sei riuscito a farle innamorare di te. Perché lo fai?
Howl puntò una mano tremante verso il baldacchino. —
Quello è il motivo per cui amo i ragni. "Se non riesci la prima
volta, tenta, tenta, tenta ancora". Io continuo a tentare —. La
voce di Howl ora suonava terribilmente triste. — Questa
maledizione, però, me la sono tirata addosso da solo, qualche
anno fa, concludendo un patto, e so che non sarò mai capace di
amare veramente qualcuno, adesso. Dagli occhi di Howl
scorrevano sul serio lacrime. Sophie ne fu commossa e
coinvolta. — Su, ora non devi piangere...
In quel momento si sentì battere fuori dalla porta, Sophie
andò e vide l'uomo-cane che s'infilava nella stanza. Con un
rapido gesto, prese una manciata di pelo fra le mani per
trattenerlo, pensando che sarebbe senz'altro andato diritto al
letto di Howl per morderlo. Il cane, invece, si limitò ad
appoggiarsi di peso alle sue gambe, tanto da farla arretrare verso
la parete dalla quale si staccavano pezzi di carta da parati.
— E questo cos'è? — le chiese Howl
— Il mio nuovo cane — rispose Sophie aggrappandosi al
pelo ricciuto. Ora che era costretta contro la parete, poteva veder
fuori dalla finestra della stanza da letto. Secondo i suoi calcoli
avrebbe dovuto affacciarsi sul cortile interno del castello, invece
mostrava un giardino quadrato tenuto perfettamente, con
un'altalena di metallo nel mezzo. Il sole del tramonto
infiammava le gocce di pioggia impigliate nell'altalena e le
faceva brillare dei colori dell'arcobaleno. Mentre Sophie
rimaneva a guardare dalla finestra, Mari, la nipotina di Howl,
attraversò di corsa il prato bagnato, seguita da sua madre,
Megan.
Evidentemente questa le stava gridando di non sedersi
sull'altalena bagnata, ma dalla stanza non si sentiva alcun
rumore.
— È quello il posto chiamato Galles? — chiese Sophie.
Howl cominciò a ridere e, contemporaneamente, a battere sul
copriletto dal quale si levò un fumo di polvere.
— Bada quel cane! — ordinò con voce roca il Mago. —
Avevo scommesso con me stesso che sarei riuscito a impedirti
di ficcanasare fuori della finestra per tutto il tempo che tu saresti
rimasta qua dentro! Sophie lasciò andare il cane nella speranza
che avrebbe morso Howl, ma il cane continuò ad appoggiarsi a
lei, sospingendola verso la porta.
— Così tutti quei versi, quella manfrina... erano solo un
gioco, vero? Avrei dovuto immaginarlo!
Howl tornò ad appoggiarsi al suo cuscino grigio, con
l'espressione di uno che ha sbagliato, ma che è stato anche
ferito. — Alle volte parli proprio come Megan — le disse con
aria di rimprovero.
— Alle volte — rispose Sophie sospingendo il cane davanti a
sé fuori dalla stanza — capisco come Megan abbia fatto a
diventare quella che è.
Poi sbatté la porta sui ragni, la polvere e il giardino.
CAPITOLO QUINDICI
In cui Howl va a un funerale con uno strano travestimento
L'uomo-cane si acciambellò pesantemente sui piedi di
Sophie quando lei riprese a cucire. Forse sperava che sarebbe
riuscita a levargli quell'incantesimo di dosso se le fosse stato
sempre vicino.
Quando un omone dalla barba rossa piombò nella stanza
portando una scatola piena di cose, e si tolse il mantello di
velluto per tornare a essere Michael, l'uomo-cane si alzò e
cominciò a scodinzolare. Poi rimase a farsi accarezzare sulla
testa dall'apprendista e a farsi grattare le orecchie.
— Spero che rimanga con noi. Ho sempre desiderato avere
un cane —. Howl aveva sentito la voce di Michael e si mise a
scendere al piano di sotto avvolto nel suo copriletto. Sophie
smise di cucire e per prudenza afferrò il cane. Ma la bestia fu
gentile anche con Howl e non si scansò quando il Mago tirò
fuori una mano dal suo bozzolo e cominciò ad accarezzarlo.
— Allora Michael? —. La sua voce era ancora roca e
dispensava nuvole di polvere quando faceva materializzare con
un gesto nuovi fazzoletti di carta.
— Ho preso tutto. E abbiamo avuto anche un vero colpo di
fortuna, Howl. A Market Chipping c'è un negozio in vendita,
vuoto. Era una cappelleria. Pensi che potremo spostare lì il
castello?
Howl sedette su un alto sgabello, sembrava un senatore
romano in toga. — Dipende da quanto costa — rifletté a voce
alta. — Sono tentato di muovere lì l'ingresso di Porthaven... ma
non sarà facile, perché vorrebbe dire spostare Calcifer, visto che
il nostro demone si trova effettivamente a Porthaven. Cosa ne
dici, Calcifer?
— Muovermi sarà un'operazione molto delicata — rispose il
fuoco. Era impallidito al solo pensiero. — Forse dovresti
lasciarmi dove sono.
Così Fanny sta vendendo il negozio, pensava intanto Sophie
mentre gli altri tre continuavano a discutere sullo spostamento
del castello, alla faccia della coscienza che Howl diceva di
avere! Ma il pensiero che la tormentava maggiormente era lo
sconcertante comportamento del cane. Nonostante gli avesse già
detto varie volte che lei non poteva togliergli di dosso quella
maledizione, non sembrava volersene andare. Non voleva
neanche mordere Howl, però, ed era andato volentieri con
Michael a correre vicino alle Paludi di Porthaven sia quella sera
che la mattina successiva. Sembrava che il suo unico scopo
fosse quello di far parte del castello.
— Se io fossi in te, me ne andrei comunque ad Upper
Folding per essere sicuro di catturare il cuore di Lettie una volta
tornato uomo — provò infine a suggerirgli Sophie.
Per tutto il giorno successivo Howl continuò a fare la spola
fra il letto e la stanza del focolare e Michael dovette stargli
dietro. Quando il Mago era alzato, l'apprendista doveva corrergli
appresso e misurare con lui il castello, fissando delle graffe
metalliche in ogni angolo. Fra una graffa e l'altra, Howl faceva
la sua comparsa davanti a Sophie, sempre avvolto nel copriletto
e nelle nuvole di polvere, per fare commenti e domande.
— Sophie, visto che hai coperto di pittura bianca tutti i segni
che avevamo fatto sui muri quando è stato inventato questo
castello, potresti dirmi, per caso, quali erano i punti segnati in
camera di Michael?
— No, non mi ricordo — gli rispose Sophie, mentre cuciva il
settantesimo triangolino blu.
Howl starnutì e si ritirò di nuovo, con aria triste, per tornare
di lì a poco. — Sophie, se dovessimo prendere quella
cappelleria, che articoli potremmo vendere?
Sophie pensò che ne aveva avuto abbastanza dei cappelli e
non ne voleva più sapere. — In ogni caso non dei cappelli. Puoi
comperare il negozio, ma non l'attività...
— Applica la tua mente diabolica a risolvere questo
problema, o comunque pensa, se sai come si fa! — e se ne tornò
al piano di sopra. Cinque minuti dopo, era di nuovo giù. —
Sophie, hai qualche preferenza riguardo alle altre entrate? Dove
ti piacerebbe che vivessimo?
A Sophie venne in mente, all'istante, la casa della signora
Fairfax.
— Mi piacerebbe una casa graziosa, con tanti fiori attorno.
— Capisco — gracchiò Howl con la sua voce roca e se ne
andò di nuovo al piano superiore.
Quando tornò, era vestito di tutto punto. Era la terza volta in
quel giorno e Sophie non ci fece caso, finché Howl non si mise
sulle spalle il mantello di velluto che aveva usato anche Michael
e si trasformò in un uomo pallido, dalla barba rossa, che tossiva
e teneva il naso in un fazzolettone rosso. Solo allora si rese
conto che stava per uscire. — Peggiorerai il tuo raffreddore.
— Morirò e allora voi tutti ne sarete dispiaciuti — disse
l'uomo dalla barba rossa e si diresse alla porta che aveva il
pomello sul verde.
Nell'ora successiva Michael ebbe, così, il tempo di lavorare
al suo incantesimo e Sophie di attaccare fino
all'ottantaquattresimo triangolo di stoffa blu. A quel punto
l'uomo dalla barba rossa fu di ritorno. Toltosi il mantello di
velluto, si trasformò di nuovo in un Mago che tossiva ancora più
di prima e aveva un'espressione ancor più corrucciata.
— Ho preso quel negozio — disse a Michael. — Ha un
magazzino molto utile sul retro e una casa a fianco. Ho
comperato tutto, anche se non so ancora di preciso come lo
pagherò.
— E se tu usassi la ricompensa che il Re ti darà per trovare
suo fratello il Principe Justin?
— Ti stai dimenticando che l'intero scopo di questa
operazione è proprio quello di non andare a cercare il Principe.
Stiamo per scomparire, Michael —. Tossendo, salì le scale e si
mise a letto, dove ricominciò a starnutire per attirare
l'attenzione.
Michael dovette lasciar perdere l'incantesimo e precipitarsi al
piano superiore. L'avrebbe potuto fare Sophie, se solamente
l'uomo-cane non si fosse messo in mezzo tutte le volte che lei
aveva provato ad alzarsi. Questa era un'altra stranezza del suo
comportamento. Non gli piaceva che Sophie facesse qualcosa
per Howl. E lei, tutto sommato, trovò che non fosse un
comportamento poi così sbagliato! Quindi riprese in mano il
lavoro e si mise a cucire l'ottantacinquesimo triangolo.
Michael se ne tornò giù tutto allegro e riprese il suo compito.
Era così felice da unirsi alla voce di Calcifer per cantare la solita
canzoncina della casseruola. Poi si mise a chiacchierare con il
teschio, come aveva fatto Sophie mentre lavorava. — Andremo
a vivere a Market Chipping e potrò andare a trovare la mia
Lettie ogni giorno.
— È questo il motivo per cui hai parlato a Howl del negozio,
vero?
Sophie, intanto, cuciva l'ottantanovesimo triangolo.
— Lettìe me ne ha parlato, perché ci stavamo chiedendo
come avremmo fatto a vederci. Io le ho detto...
Fu interrotto da Howl che scendeva di nuovo avvolto nella
sua coperta. — Questa è davvero la mia ultima apparizione —
comunicò loro il Mago con la voce sempre più roca. — Ho
dimenticato di dirvi che la signora Pentstemmon verrà sepolta
domani nella sua tenuta vicino a Porthaven, e ho bisogno che
questo vestito sia in ordine.
Così dicendo, tirò fuori dal bozzolo l'abito grigio e scarlatto e
lo lasciò cadere in grembo a Sophie. — Ti stai occupando del
vestito sbagliato. Questo è quello che voglio indossare, ma non
ho l'energia sufficiente per pulirmelo da solo.
— Non avresti bisogno di andare a quel funerale... —
intervenne la voce ansiosa di Michael.
— Non mi sogno nemmeno di starmene a casa. La signora
Pentstemmon ha fatto di me il Mago che sono ora. Le sono
obbligato e voglio porgerle il mio ultimo saluto.
— Ma il tuo raffreddore peggiorerà — provò a insistere
l'apprendista.
— L'ha già fatto peggiorare andandosene in giro, in caccia...
— furono le caustiche parole di Sophie.
Howl mise su la sua espressione più nobile. — Starò
benissimo, basterà che riesca a tenermi al coperto dal vento che
soffia dal mare. Peccato che la tenuta della signora
Pentstemmon sorga in un luogo piuttosto aspro, gli alberi sono
tutti piegati e non c'è alcun riparo per miglia. Sophie sapeva che
quelle parole erano state pronunciate solo per avere la loro
comprensione, così si mise a sbuffare.
— È la Strega? —. Michael non poté fare a meno di
domandare.
Howl diede un pietoso colpo di tosse. — Mi travestirò.
Probabilmente parteciperò al funerale nei panni di... un altro
cadavere —. Raccolse i lembi della coperta e si avviò verso la
scala.
— Avresti bisogno di un paravento, non di questo vestito —.
La voce di Sophie lo raggiunse sul primo gradino, ma Howl non
rispose e continuò a salire ben avvolto nel copriletto.
Sophie pensò che non fosse il caso di insistere, ora aveva in
mano il vestito incantato e quella era un'ottima occasione, che
non doveva lasciarsi scappare. Quando il Mago scomparve di
vista, prese le forbici e fece nell'abito sette pezzi irregolari:
questo avrebbe dovuto scoraggiare Howl e impedirgli di
indossarlo. Poi tornò al suo lavoro. Doveva ancora attaccare gli
ultimi triangoli per dare una forma allo scollo dell'abito blu e
argento, che ora però era veramente piccolo. Sembrava essere
addirittura troppo piccino anche per il paggio della signora
Pentstemmon. — Michael, sbrigati con quell'incantesimo. È
terribilmente urgente!
— Non ci vorrà ancora molto — le rispose l'apprendista.
Mezz'ora dopo controllò se avesse usato tutti gli ingredienti
della sua lista e ritenne che l'incantesimo fosse pronto. Così si
avvicinò a Sophie, portando una piccola boccia con un po' di
polvere verde sul fondo. — Dove vuoi che la metta?
— Qui — gli rispose Sophie, tagliando il filo che aveva
cucito l'ultimo triangolo. Spostò l'uomo-cane che dormiva ai
suoi piedi e spiegò sul pavimento l'abito blu e argento che ora
aveva le dimensioni di un vestitino da bambino. Michael, con
grande attenzione, prese la sostanza magica a pizzichi e la
spolverizzò su ogni parte dell'indumento.
Poi, tutti e due cominciarono ad aspettare, sentendo i loro
cuori che battevano con ansia.
Passò un attimo e, quindi, Michael poté tirare un sospiro di
sollievo. Il vestito, lentamente, s'ingrandiva. Continuarono a
fissare l'abito che si allargava sempre più sul pavimento, finché
una parte prese contro all'uomo-cane che Sophie si affrettò a
spostare per far spazio alla stoffa che doveva ancora lievitare.
Dopo circa cinque minuti Sophie e Michael si trovarono
d'accordo sul fatto che l'abito avesse finalmente raggiunto la
taglia di Howl, così l'apprendista lo raccolse e lo scosse con cura
perché la polvere in eccesso finisse oltre la grata del focolare.
Calcifer emise delle fiammate che si aggrovigliarono su per il
camino, mentre l'uomo-cane si svegliò di soprassalto.
— Attenzione! È sbagliato... — li avvertì il demone, ma
Sophie portò il vestito al piano superiore, facendo i gradini in
punta di piedi per non svegliare il Mago. Questi dormiva sul suo
cuscino grigiastro, in compagnia di tutta una serie di ragni
indaffarati a tessere le loro ragnatele sul baldacchino. Nel sonno
appariva nobile e triste. Sophie, sempre in punta di piedi, andò a
posare il vestito sul vecchio cassettone vicino alla finestra,
cercando di convincersi che l'indumento non fosse ulteriormente
cresciuto nel tragitto.
— In ogni caso, se questo t'impedirà di andare al funerale,
non sarà poi un gran danno — mormorò mentre sbirciava fuori
dalla finestra.
Il giardino era ancora illuminato dal sole, ormai basso
all'orizzonte. Un uomo robusto, dai capelli scuri, stava
lanciando, con grande entusiasmo, una palla rossa a Neil, il
nipote di Howl, che se ne stava lì con un'aria di paziente
sopportazione e con una mazza nelle mani. Dalla somiglianza
fra i due, Sophie capì che l'uomo era il padre di Neil.
— Di nuovo a curiosare! —. La voce di Howl si levò,
improvvisa, alle spalle di Sophie, che si girò con aria colpevole
per accorgersi che il Mago, in effetti, era solo mezzo sveglio.
Forse addirittura credeva che fosse ancora il giorno precedente,
poiché continuò con la citazione di un altro verso. — "E
dell'invidia com'evito il pianto?"... anche questo fa ormai parte
degli anni passati. Amo il Galles, ma il Galles non ama me.
Megan è piena d'invidia perché lei è così rispettabile, mentre io
non lo sono —. Poi si svegliò quasi del tutto. — Cosa stai
facendo, Sophie?
— Sto semplicemente riponendo il tuo vestito — fu la sua
rapida risposta, mentre già si allontanava verso la porta.
Howl doveva essersi riaddormentato subito, perché non
comparve più al piano di sotto per quella notte. Neanche la
mattina successiva si fece vedere, quando Sophie e Michael si
alzarono facendo attenzione a non disturbarlo. Né l'uno, né
l'altra pensava che andare al funerale della signora Pentstemmon
fosse una buona idea. Michael andò a fare una corsa su per le
colline con l'uomo-cane, mentre Sophie preparava la prima
colazione in punta di piedi, sperando che Howl continuasse a
dormire ancora a lungo. Quando Michael fu di ritorno, Howl
non si era ancora affacciato alla porta. L'animale era
evidentemente molto affamato, così si misero a cercare nella
dispensa qualcosa di adatto da fargli mangiare.
Ed ecco Howl che chiamava con tono accusatorio: —
Sophie! Teneva ferma la porta che dava sulla scala con un
braccio completamente nascosto da un'immensa manica blu e
argento, mentre le falde di una giacca gigantesca erano
ammonticchiate ai suoi piedi. L'altro braccio di Howl non
s'intravvedeva neanche sotto l'immensa manica, poi Sophie ne
scoprì i contorni: il Mago stava facendo degli strani gesti con
quel braccio attorno a una vasta frappa che fungeva da collarino.
Dietro a Howl la scala era ricoperta di stoffa blu e argento che si
perdeva oltre la porta della sua camera da letto.
— Oh, povero me! — esclamò Michael. — È tutta colpa
mia, Howl. Io...
— Colpa tua? Stupidaggini! Ci vedo la mano di Sophie
lontano un miglio. E ci sono parecchie miglia di questo vestito
qui con me... Sophie cara, dov'è l'altro abito?
Sophie, senza dire una parola, si affrettò a prendere i
brandelli dell'abito grigio e scarlatto che aveva nascosto nel
ripostiglio. Howl li guardò attentamente. — È già qualcosa...
Pensavo che fosse diventato troppo minuscolo perché si potesse
persino vedere. Dammi qua tutti i sette pezzi di quel vestito.
Sophie gli porse il mucchietto di stracci, sempre in silenzio.
Howl con un po' di sforzo riuscì a trovare la mano dentro le
molteplici pieghe dell'abito e a farla uscire fra due punti di
cucitura, tremendamente lunghi. Afferrò il mucchietto che gli
veniva porto.
— Vado a prepararmi per il funerale. Prego entrambi di
astenervi dal fare qualsiasi cosa. Direi che Sophie è proprio in
piena forma e io, uscendo dal bagno, gradirei ritrovare questa
stanza alle sue attuali dimensioni. Dopo questo discorsino andò
a prepararsi, cercando di mantenere un'aria dignitosa nonostante
nuotasse in un mare di velluto blu e argento. Il resto dell'abito lo
seguiva, scivolando gradino dopo gradino e spazzando il
pavimento della stanza mentre lo attraversava. Quando Howl fu
nel bagno, la maggior parte della giacchetta aveva finito di
scendere le scale, mentre lassù in cima erano finalmente
comparsi i pantaloni. Howl stava tenendo la porta socchiusa e
sembrava che non la dovesse finire più di ammassare stoffa su
stoffa, mentre Sophie, Michael e l'uomo-cane continuavano a
veder sfilare davanti ai loro occhi esterrefatti iarde e iarde di
velluto blu e argento, decorato, ogni tanto, da un bottone delle
dimensioni di una macina da mulino e cucito con un filo che
sembrava una gomena, a enormi punti regolari.
— Penso di non aver fatto l'incantesimo nel modo giusto —
disse l'apprendista, quando anche l'enorme orlo fu finalmente
scomparso dietro la porta del bagno. A quel punto era passato
quasi un miglio di stoffa...
— Come se non te l'avesse fatto notare! — gli disse Calcifer,
poi gli ordinò di aggiungere altra legna. Michael gli diede un
grosso ceppo, mentre Sophie dava da mangiare all'uomo-cane.
Né l'uno, né l'altra osò, però, fare qualsiasi altra cosa, se non
starsene in piedi a sbocconcellare pane e miele, aspettando che
Howl uscisse dalla stanza da bagno.
Il Mago ne uscì due ore dopo, lasciando una scia
d'incantesimi alla verbena. Era tutto in nero. Il suo vestito era
nero, così come lo erano gli stivali. Persino i capelli erano neri,
dello stesso tono corvino dai riflessi blu che avevano i capelli
della signorina Angorian. All'orecchio portava un lungo
pendente di giaietto. Sophie si chiese se il colore dei capelli
fosse un tributo alla signora Pentstemmon e convenne con il
giudizio che aveva dato la vecchia insegnante: il nero era il
colore che gli donava di più, anche perché i suoi occhi verde
bottiglia risaltavano maggiormente. Ma si domandò anche quale
dei due abiti avesse usato, in realtà, per ottenere la nuova tenuta.
Howl fece materializzare un fazzoletto nero e vi si soffiò il
naso. La finestra, come consueto, vibrò, ma lui non sembrò
accorgersene, prese una fetta di pane col miele e, con un cenno,
chiamò a sé l'uomo-cane, che gli rispose con uno sguardo
dubbioso, interrogativo.
— Voglio soltanto studiarti per bene — spiegò Howl
all'animale, con la solita voce roca. Il suo raffreddore non era
per nulla migliorato.
— Vieni qui, cagnone.
Come la bestia si spostò riluttante al centro della stanza,
Howl aggiunse:
— Non troverai l'altro vestito nella stanza da bagno, Signora
Ficcanaso, e non metterai mai più le mani su nessuno dei miei
abiti.
Sophie, che stava dirigendosi in punta di piedi verso il
bagno, si fermò di colpo e si mise a guardare Howl che girava
attorno al cane, alternando un morso alla fetta di pane con una
soffiata di naso. — Cosa ne pensate di questo travestimento? —.
Così dicendo fece volare il fazzoletto nero sul fuoco e si mise
carponi.
Quasi nello stesso istante in cui cominciò a piegarsi verso il
pavimento, le sembianze di Howl scomparvero e, una volta
arrivato a terra, si era già trasformato in un setter dal pelo riccio
e fulvo come quello del-l'uomo-cane, che fu colto del tutto alla
sprovvista dalla trasformazione. Il suo istinto animale prese il
sopravvento: arruffò i peli del collo, abbassò le orecchie e
ringhiò. Howl fece lo stesso. Ora i due cani identici si
fronteggiavano, girando intorno, ringhiando e rizzando il pelo,
pronti ad attaccarsi.
Sophie afferrò quella che pensava fosse la coda dell'uomo-
cane, mentre Michael agguantò l'animale che riteneva fosse
Howl. A quel punto Howl tornò improvvisamente se stesso e
Sophie si ritrovò davanti una figura alta e nera a cui lei stava
tenendo il dorso della giacca, che si affrettò a lasciare. L'uomo-
cane era accucciato ai piedi di Michael con aria tragica.
— Bene, se posso imbrogliare un altro cane, posso farlo con
chiunque. Nessuno al funerale farà caso a un bel setter che
solleva la zampa contro qualche pietra tombale —. Andò alla
porta e girò il pomello sul blu.
— Aspetta un attimo — lo fermò Sophie. — Se andrai a quel
funerale con le sembianze di un setter, perché ti sei preso il
disturbo di metterti tutto in nero?
Howl alzò un sopracciglio e assunse un'aria nobile: — Per
rispetto alla signora Pentstemmon. Lei amava che si pensasse a
ogni minimo dettaglio. Poi aprì la porta e uscì per le strade di
Porthaven.
CAPITOLO SEDICI
In cui avvengono un bel po' di stregonerie
Parecchie ore trascorsero. L'uomo-cane era di nuovo
affamato e anche Michael e Sophie avevano fame, così decisero
di pranzare e Sophie si avvicinò a Calcifer con la padella in
mano.
— Ma perché non vi mangiate pane e formaggio, per una
volta! -brontolò il fuoco, piegando comunque la testa.
Sophie stava appoggiando la padella sui riccioli verdi del
demone, quando, all'improvviso, la voce di Howl risuonò dal
nulla: — Aumenta la tua potenza, Calcifer! Mi ha trovato!
Calcifer, di colpo, sprigionò un gran fuoco, tanto che la
padella cadde fra le ginocchia di Sophie.
— Dovrai aspettare! — ruggì il demone, levando fiamme
sempre più alte. Quasi contemporaneamente si suddivise in una
dozzina di facce blu fiammeggianti, come se fosse stato
percosso con violenza, e bruciò emettendo un alto, terribile
rombo.
— Significa che stanno combattendo — bisbigliò Michael.
Sophie intanto si succhiava le dita bruciacchiate e, con l'altra
mano, raccoglieva le fette di bacon sparse sulla gonna, fissando
ammaliata Calcifer. Sembrava che si spostasse da un lato
all'altro del focolare sotto delle sferzate e le sue facce
fiammeggiavano dal blu intenso all'azzurro, per poi diventare
quasi bianche. Per un momento aveva una molteplicità di occhi
arancione, l'attimo dopo argentei come le stelle. Sophie non
aveva mai nemmeno immaginato niente di simile. Qualcosa
passò al di sopra delle loro teste con uno scoppio che scosse la
stanza, seguito da un qualcos'altro che emise un lungo ruggito la
cui eco sibilò in lontananza. Le fiamme di Calcifer pulsarono e
divennero così blu da sembrare nere e la pelle di Sophie frizzò
per la magia che c'era nell'aria.
Michael si precipitò alla finestra. — Sono piuttosto vicini!
Anche Sophie andò alla finestra con la sua andatura
zoppicante. La tempesta magica sembrava aver influenzato metà
delle cose che erano nella stanza. Il teschio stava battendo le
mandibole talmente forte che si muoveva in circolo. I pacchetti
saltavano. La polvere nei vasi era diventata effervescente. Un
libro cadde con un gran tonfo dallo scaffale e rimase aperto sul
pavimento con le pagine che si sfogliavano da sole avanti e
indietro. A un'estremità della stanza un vapore profumato
filtrava attraverso la porta del bagno, mentre all'estremità
opposta la chitarra di Howl emetteva un lamento stonato. E
Calcifer sferzava le sue fiamme più forte che mai.
Michael mise il teschio nell'acquaio perché non cadesse sul
pavimento, poi andò ad aprire la finestra e si sporse fuori.
Qualsiasi cosa stesse accadendo, avveniva maledettamente
lontano, fuori dalla loro vista. La gente che abitava nelle case di
fronte era tutta sulle porte o alla finestra e indicava qualcosa più
o meno sulle loro teste. Sophie e Michael corsero al ripostiglio e
si gettarono sulle spalle un mantello per uno. A Sophie capitò
quello che trasformava nell'uomo dalla barba rossa, mentre
Michael fu tramutato in un cavallo. Sophie ebbe così l'occasione
di sapere perché Calcifer fosse scoppiato a ridere quando lei
l'aveva indossato. Ora, però, non c'era tempo di ridere. Spalancò
la porta e si precipitò in strada, seguita dall'uomo-cane che si
manteneva piuttosto calmo nonostante tutto quel trambusto.
Michael le trottò dietro, lasciando nel castello Calcifer che
continuava a produrre fiamme dal blu al bianco.
La strada era affollata di gente col naso in aria. Nessuno ebbe
il tempo di meravigliarsi di un cavallo che usciva dalla porta di
un'abitazione. Anche Sophie e Michael alzarono il capo e
scoprirono un'enorme nuvola che ribolliva proprio sopra la cima
dei comignoli. Era nera e roteava violentemente su se stessa, ed
era attraversata da lampi bianchi che erano qualcosa di diverso
dai normali fulmini. Dopo poco quel gigantesco grumo di magia
prese la forma di un fascio di serpenti che si combattevano in
una specie di nebbia. Poi si separarono in due mucchi con
l'assordante verso di un enorme gatto impegnato in un
combattimento furioso. Un gruppo di serpi si precipitò sui tetti
e, ululando, si fece strada verso il mare, un altro si mise
all'inseguimento del primo urlando terribilmente.
A quel punto alcune persone si rifugiarono in casa, ma
Sophie e Michael seguirono i più coraggiosi che si precipitavano
per le stradine che scendevano al molo. Una volta arrivati,
sembrò che la maggior parte delle persone pensasse che la vista
migliore si sarebbe avuta lungo la curva che faceva il muro di
cinta del porto. Anche Sophie si avviò per quella strada, ma non
ci fu alcun bisogno di oltrepassare il riparo dato dalla baracca
del capitano di porto, perché due nuvoloni stavano sospesi in
aria, sul mare, gli unici due nuvoloni in un tranquillo cielo blu.
Erano quindi facilmente visibili, così come era ben visibile un
grumo nero di tempesta che stava agitando il mare fra le due
nubi e che sollevava enormi onde dalla schiuma bianca. C'era
una barca sfortunata preda di quella tempesta. I suoi alberi
venivano sbatacchiati avanti e indietro, mentre enormi cavalloni
si abbattevano su entrambe le fiancate. L'equipaggio stava
cercando disperatamente di ammainare le vele, ma una di esse
era già ridotta a brandelli grigiastri.
— Potrebbero almeno avere un po' di rispetto per quella
povera imbarcazione — disse una voce indignata.
Poi il vento e le onde provocate dalla tempesta si abbatterono
sul muro del porto. La spuma bianca lo superò e gli spettatori
coraggiosi, che erano rimasti fuori dal suo riparo, si
precipitarono spintonandosi al di qua del muro, dove le barche
alla fonda facevano, comunque, gemere gli ormeggi. A un certo
punto si aggiunsero delle voci acute che urlavano e cantavano.
Sophie si arrischiò a sporgere la faccia oltre il riparo della
baracca, nella direzione da cui proveniva quello strano suono.
Scoprì così che quel turbine di magia aveva sconvolto qualcosa
di più delle onde del mare e della barca che stava rischiando il
naufragio. Un folto gruppo di signore tutte bagnate e dall'aspetto
viscido si dirigeva verso il muro del porto con i capelli verdastri
al vento. Agitavano le lunghe braccia bagnate e urlavano perché
dalle onde comparissero altre loro simili. Al posto delle gambe,
ognuna di loro aveva una lunga coda di pesce.
— Accidenti! — imprecò Sophie. — Le sirene della
maledizione! Quello significava che solo altre due cose
impossibili avrebbero ora dovuto avverarsi.
Alzò lo sguardo verso le due nuvole. Howl stava
inginocchiato su quella alla sua sinistra, che ora appariva più
grande e più vicina di quanto lei si sarebbe aspettata. Era ancora
tutto vestito di nero e, cosa abbastanza caratteristica da parte
sua, stava osservando, da sopra una spalla, le frenetiche sirene.
Ma non le stava guardando come se gli fosse venuto in mente
che facessero parte della maledizione.
— Mantieni la tua mente fissa sulla Strega! — urlò il cavallo
che era di fianco a Sophie.
Di colpo la Strega si materializzò sulla nube di destra, in un
vortice di veli color fiamma e di lunghi capelli rossi, con le
braccia alzate nell'atto di invocare ulteriore potere magico.
Come Howl si girò a guardarla, le sue braccia si abbassarono.
La nuvola di Howl eruttò una fontana di fiamme rosate. Il calore
sprigionato spazzò il porto e le pietre del muro fumarono.
— Va tutto bene! — disse il cavallo con voce strozzata.
Howl si tuffò, affondando quasi l'imbarcazione sottostante.
Ora era diventato una figurina nera, appoggiata all'inclinato
albero maestro. Con un cenno ironico della mano, Howl fece
capire alla Strega che lo aveva mancato. La Strega lo vide
nell'attimo stesso in cui alzava la mano. Nuvola, Strega, e tutto
il resto si trasformarono all'istante in un selvaggio rapace dalle
piume rosse che si tuffò verso l'imbarcazione. La barca era già
scomparsa. Le sirene intonarono un canto, che era un urlo
dolente. Dove poco prima c'era il battello ora non c'era più
niente, se non le acque del mare che ribollivano. Ma l'uccello
andava troppo veloce per frenare il suo tuffo e piombò fra le
onde, sollevando montagne d'acqua.
Gli spettatori applaudirono. — Sapevo che non era una vera
barca! — disse qualcuno dietro Sophie. — Sì, dev'essere stata
un'illusione. Era troppo piccola per essere reale — intervenne
saggiamente il cavallo.
A riprova del fatto che la barca fosse molto più vicina di
quanto fosse sembrato durante il combattimento, le onde
arrivarono sul muro prima che Michael avesse finito di parlare.
Una muraglia d'acqua verde alta venti piedi si abbatté sul riparo
del molo, spazzando le sirene urlanti nel porto e facendo rollare
le imbarcazioni alla fonda in modo talmente violento da
capovolgerle. Poi si infranse sulla baracca in mille vortici. Un
braccio uscì dalla pancia del cavallo, afferrò Sophie e la trascinò
verso la banchina. Sophie, col fiato corto, sguazzò nell'acqua
grigia che le arrivava al ginocchio. L'uomo-cane, bagnato fino
alle orecchie, si affiancò ai compagni.
Avevano appena raggiunto la banchina e le imbarcazioni nel
porto erano tornate a dondolare dalla parte giusta, quando una
seconda altissima ondata scavalcò il muro del bacino. Dalla
muraglia d'acqua uscì un mostro. Era una cosa lunga e nera
dotata di artigli, mezzo gatto e mezzo leone marino, e si stava
precipitando verso la banchina. Ed ecco un altro mostro uscire
dall'onda e abbattersi in porto: anch'esso era lungo e basso, ma
con il dorso coperto di squame, e rincorreva il mostro
precedente.
Tutti si resero conto che il combattimento non era ancora
terminato e si precipitarono a trovare un riparo o a entrare nelle
case lungo la banchina. Sophie prima s'inciampò in una corda,
poi cadde sul gradino di una porta. Di nuovo uscì il braccio dalla
pancia del cavallo e la rimise in piedi, mentre i due mostri li
superavano coprendoli di spruzzi d'acqua salmastra. Un'altra
onda si alzò oltre il muro del porto e ne uscirono altri due
mostri, identici ai primi due, tranne che il mostro inseguitore
questa volta era più vicino al mostro metà gatto, metà leone
marino. Poi un'altra ondata portò con sé un'altra coppia di
creature mostruose identiche alle precedenti, ma la distanza fra
loro, questa volta, era ancora minore.
— Cosa sta succedendo? — squittì Sophie al terzo passaggio
dei mostri che scuotevano nella loro corsa le pietre del molo.
— Illusioni — rispose la voce di Michael dall'interno del
cavallo. — Alcune sono semplicemente illusioni ottiche.
Entrambi, ora, stanno cercando di ingannarsi l'un l'altra,
sperando che l'avversario dia la caccia al mostro illusorio.
— Chi è chi? — gli chiese Sophie.
— Non ne ho la minima idea.
Alcuni spettatori trovarono che i mostri erano davvero troppo
terrificanti e se ne andarono a casa. Altri saltarono nelle barche
legate alla banchina per godersi lo spettacolo fuori dal passaggio
dei mostri. Sophie e Michael, invece, si unirono al gruppo dei
coraggiosi che seguiva i mostri per le stradine di Porthaven.
Prima seguirono il rigagnolo d'acqua salmastra che era colata
dalle mostruose creature, poi le enormi impronte bagnate, infine
i graffi biancastri che gli artigli dei mostri avevano prodotto
sulle pietre della strada. Tutte queste impronte li condussero
fuori dalla cittadina verso le paludi, dove Sophie e Michael
erano andati a caccia della stella cadente. A quel punto tutte e sei
le creature mostruose erano diventate dei puntini neri in
lontananza, che presto svanirono all'orizzonte. La folla si
dispose istintivamente in una lunga linea che fiancheggiava i
primi stagni. Tutti guardavano all'orizzonte, sperando di riuscire
a scorgere qualcosa e, al tempo stesso, avevano paura dello
spettacolo al quale avrebbero potuto assistere. Dopo un po'
ognuno di loro aveva davanti agli occhi solo le pozze d'acqua
delle paludi. Non accadeva più nulla. Diverse persone stavano
già per andarsene, quando qualcuno gridò: — Guardate!
In lontananza una palla di fuoco dalle sfumature tenui si
stava alzando pigramente, ruotando su se stessa. Doveva essere
enorme, poiché enorme era la distanza, infatti lo scoppio che
l'accompagnò raggiunse gli spettatori solo quando la sfera di
fuoco si era già trasformata in un'alta colonna di fumo. La folla
ebbe un sussulto a quello scoppio più forte di un tuono e
rimasero a osservare il fumo che si dileguava, finché non si
confuse del tutto con la nebbiolina delle paludi. Gli spettatori
continuarono a rimanere dov'erano con il naso in aria, ma ormai
tutto era pace e silenzio. Il vento passava fischiando fra le alte
erbacce delle paludi e gli uccelli osarono riprendere il loro
canto.
— Penso che si siano distrutti l'un l'altra — era la voce che
correva fra la folla, che gradualmente tornò a essere un insieme
di singole figure che si affrettavano a tornare alle loro faccende
piantate a metà.
Sophie e Michael aspettarono fino alla fine, quando fu
evidente che tutto era finito, quindi se ne tornarono a Porthaven,
in silenzio. Né l'uno, né l'altra aveva voglia di parlare, e solo
l'uomo-cane sembrava felice, zampettava di fianco a loro vivace
come un cucciolo. Sicuramente pensava che Howl fosse stato
annientato nel combattimento. Quando girarono nella loro
strada, un gatto randagio attraversò la via. L'uomo-cane
cominciò ad abbaiare tutto contento e partì a razzo
all'inseguimento. Raggiunse il gatto con un balzo e si fermò, con
la bestiola in bocca, sulla soglia del castello, dove si girò a
guardare Sophie e Michael tutto orgoglioso.
— Mollami — miagolò il gatto. — Mi mancava solo questo!
L'uomo-cane mollò il gatto e arretrò con un'espressione piena di
vergogna dipinta sul muso. Nel frattempo Michael era arrivato
al galoppo, nitrendo di gioia: — Howl!
Il gatto rabbrividì e diventò un micio dall'aria afflitta. — E
voi due siete ben ridicoli!... Apri quella porta, sono esausto.
Sophie aprì la porta e il gatto zampettò dentro, dirigendosi
immediatamente al focolare, dove Calcifer era ridotto a piccole
fiammelle blu. Poi, con un certo sforzo, mise la zampine
anteriori sul sedile della sedia accanto al camino. Poco a poco
tornò a essere Howl, anche se era rimasto praticamente piegato
in due.
— Hai ucciso la Strega? — gli chiese subito Michael, mentre
si toglieva il mantello e tornava se stesso.
— No —. Si girò e si lasciò andare sulla sedia. Sembrava
veramente prostrato. — E tutto all'acme di un terribile
raffreddore! Sophie, ti prego, togliti quell'orrenda barba rossa e
va' a cercare la bottiglia di brandy in dispensa, sempre che tu
non te la sia scolata o l'abbia trasformata in trementina...
Sophie si tolse il mantello, trovò la bottiglia di brandy e un
bicchiere che porse al Mago. Howl se ne versò un bicchiere
pieno che scolò come fosse acqua. Poi lo riempì nuovamente e,
invece di berlo, lo verso piano piano, con grande cura, su
Calcifer che fiammeggiò, mandò qualche scintilla e sembrò un
po' rinfrancato dalla bevanda. Poi Howl riempì per la terza volta
il bicchiere e si accomodò sulla sedia per sorseggiarlo. — Non
fissatemi in quel modo. Non so chi abbia vinto. La Strega è un
avversario terribilmente potente. Fa soprattutto affidamento sul
suo demone del fuoco e se ne sta dietro di lui, fuori dai guai.
Penso, comunque, che le abbiamo dato qualcosa su cui riflettere,
eh, Calcifer?
— È un vecchio demone — rispose Calcifer con un debole
guizzo da sotto i ceppi. — Io sono più forte di lui, ma lui
conosce cose alle quali io non ho mai pensato. Stanno insieme
da cent'anni e mi ha mezzo ammazzato!
Il fuoco sembrò friggere un po' sotto la legna, poi alzò la
testa per brontolare: — Avresti potuto avvertirmi!
— L'ho fatto, vecchio imbroglione! — La voce di Howl
suonava più che mai stanca. — Tu sai tutto quello che so io.
Howl continuò a sorseggiare il suo brandy, mentre Michael
tirava fuori pane e salame. Il cibo rinfrancò tutti quanti, tranne
forse l'uomo-cane che, ora che il Mago era tornato, aveva un'aria
piuttosto sottomessa. Anche Calcifer, poco a poco, riacquistò il
suo bel colore blu.
— Così non può andare! — Howl si alzò in piedi e si rivolse
a Michael.
— Ascoltami bene. La Strega sa che siamo a Porthaven. Non
solo dobbiamo spostare il castello e l'entrata di Kingsbury,
dovrò anche trasferire Calcifer nella casa attigua alla
cappelleria.
—Spostare me?— gracchiò incredulo Calcifer, che era
diventato azzurro dall'angoscia.
— Sì, certo. Hai solo due possibilità: o Market Chipping o la
Strega. Non fare il difficile!
— Ah, le maledizioni! — e si nascose nel più profondo del
focolare.
CAPITOLO DICIASSETTE
In cui il castello magico cambia casa
Howl si mise al lavoro così alacremente che sembrava fosse
reduce da una settimana di vacanza e non da un terribile scontro
con la Strega. Se Sophie non l'avesse visto combattere un'ora
prima, non ci avrebbe mai creduto. Il Mago e Michael si
muovevano come schegge impazzite per casa, urlandosi a
vicenda delle misure e facendo col gesso degli strani segni sulle
pareti dove prima avevano messo le graffe metalliche. Sembrava
che dovessero segnare ogni angolo, compreso il cortile. La
'cuccia' di Sophie nel sottoscala e un posto nel bagno col soffitto
dalla forma strana diedero loro un sacco di grane. Sophie e
l'uomo-cane furono spinti prima in un angolo, poi in un altro,
infine fu loro ordinato di starsene fuori dai piedi, così Michael
poté disegnare col gesso una stella a cinque punte inscritta in un
cerchio per terra.
Michael aveva appena finito quel lavoro e stava spazzando
via la polvere e le tracce di gesso dalle ginocchia, quando Howl
piombò nella stanza, con l'abito nero chiazzato di calce. Sophie
e l'uomo-cane furono nuovamente spostati, perché Howl doveva
tracciare strani caratteri sia dentro la stella e il cerchio, che
tutt'attorno. Sophie e l'uomo-cane, che era scosso da tremiti
continui, trovarono rifugio sulle scale; anche l'animale,
evidentemente, non amava affatto la magia.
Howl e Michael si precipitarono in cortile, poi Howl rientrò
come una furia. — Sophie! Presto, dimmi cosa venderemo in
quel negozio.
— Fiori — gli rispose Sophie, a cui era di nuovo tornata alla
mente la signora Fairfax.
— Perfetto — acconsentì Howl e si precipitò alla porta con
un barattolo di vernice e un piccolo pennello. Intinse il pennello
e ricoprì con cura la parte blu del pomello sulla porta, facendola
diventare gialla. Poi immerse di nuovo il pennello che uscì dal
barattolo intinto di porpora e con quel colore dipinse la faccia
del pomello che prima era verde. Poi ripetè l'operazione e,
questa volta, il pennello uscì intinto di vernice arancione, che
andò a coprire la parte rossa. Howl non toccò il lato nero e si
girò di scatto per fare qualcos'altro, ma il bordo di una manica
gli finì nel barattolo assieme al pennello.
— All'inferno! — imprecò, tirando fuori la manica, che era
diventata di tutti i colori dell'arcobaleno. La scosse
energicamente e tornò nera.
— Quale vestito indossi, in realtà? — gli chiese Sophie, che
non sapeva darsi pace a quel proposito.
— L'ho dimenticato. Non interrompermi. Il difficile deve
ancora arrivare — e si precipitò a riporre il barattolo sul banco
da lavoro, dove prese un piccolo recipiente pieno di polvere. —
Michael! Dov'è la pala d'argento?
Michael rientrò come un fulmine dal cortile, reggendo un
grande badile luccicante. Il manico era di legno, ma la pala
sembrava proprio d'argento massiccio. — Tutto pronto, qui
fuori!
Howl si appoggiò il badile sulle ginocchia per poter fare un
segno col gesso sia sul manico che sulla parte metallica e vi
spolverò sopra la polvere contenuta nel recipiente. Poi, con cura
estrema, mise una presa degli stessi granelli su ciascuna punta
della stella e versò il resto sulla sua parte centrale. — Sta' ben
attento, Michael. Ognuno stia attento. Sei pronto, Calcifer?
Calcifer emerse dai suoi ceppi di legna sotto forma di una
lunga e sottile fiamma blu. — Pronto come sempre... Sai, vero,
che questo potrebbe uccidermi?
— Guardala dal lato positivo... potrei essere io a restare
ucciso! Tieniti ben fermo. Uno... Due... Tre! . Con grande abilità
infilò la pala nella grata del focolare, lentamente, tenendola ben
salda e piatta. Per un secondo la mosse delicatamente, con la
destrezza di un giocoliere, perché s'infilasse sotto Calcifer. Poi,
ancor più gentilmente e con maggiore fermezza, la sollevò.
Michael, ovviamente, non faceva altro se non trattenere il
respiro.
— Fatto! — annunciò Howl, mentre i ceppi rotolavano ai lati
della pala, senza essersi bruciati. Howl si alzò in piedi e si girò,
portando Calcifer sul badile d'argento.
La stanza si riempì di fumo. L'uomo-cane guaì e rabbrividì.
Howl tossì ed ebbe il suo daffare a tener diritta la pala. Gli occhi
di Sophie lacrimavano e faceva fatica a vedere, comunque riuscì
a rendersi conto che il demone le aveva detto la verità: non
aveva né piedi, né gambe. Era una lunga faccia blu appuntita,
piantata in una massa nera che brillava debolmente.
La massa nera aveva una protuberanza che, a prima vista,
sembrava essere formata da due piccole ginocchia, come se
Calcifer fosse seduto su delle gambe corte, ripiegate sotto di sé.
Ma quando il demone si dondolò un po' per assestare la sua
posizione, Sophie vide che la massa che formava il corpo di
Calcifer era tonda. Naturalmente lui non si sentiva per nulla
sicuro. I suoi occhi arancione erano sgranati dalla paura e
continuava a protendere due piccole fiamme a forma di braccia
verso i bordi della pala, nel tentativo di reggersi.
— Faremo presto, non temere! — gli disse Howl con tono
rassicurante. Ma dovette chiudere la bocca immediatamente e
fermarsi un attimo nello sforzo di non tossire. La pala ondeggiò
e Calcifer ne fu terrorizzato. Il mago si riprese e, con un lungo
passo accorto, entrò nel cerchio disegnato a terra, poi con un
altro passo fu nel centro della stella. Lì, tenendo la pala ben
piatta, fece un lento giro su se stesso, e Calcifer girò con lui. La
sua faccia era una fiamma azzurrognola e gli occhi puro panico!
Sembrò che l'intera stanza girasse con loro. L'uomo-cane si
strinse a Sophie. Michael barcollò e Sophie provò la sensazione
che quel pezzo di mondo su cui si trovavano si staccasse dal
resto e fosse preso in un vortice che le dava il mal di mare.
Capiva perfettamente Calcifer e il suo terrore. Ogni cosa stava
ancora roteando, quando Howl mosse gli stessi due passi lenti e
misurati per uscire dal cerchio. S'inginocchiò davanti al focolare
e, con enorme cura, fece scivolare Calcifer di nuovo nella grata
del camino, poi tornò a mettergli tutt'attorno i ceppi di legna. Il
demone levò fiamme sfumate di verde, mentre Howl tossiva,
appoggiato al badile.
La stanza dondolò, poi si fermò. Per alcuni istanti, mentre il
fumo ristagnava nell'aria, Sophie, con grande stupore, vide i
contorni del salotto della casa dov'era nata. Lo riconobbe anche
se il pavimento era di nude assi di legno e non c'erano quadri
alle pareti. La stanza del castello sembrò entrare e adattarsi alla
forma del salotto, restringendosi da un lato, allargandosi da un
altro, abbassando il soffitto perché i travi combaciassero con i
propri... finché le due stanze non furono perfettamente
mescolate assieme, allora tornò a essere di nuovo la consueta
stanza del castello, tranne che, adesso, era forse un pochino più
alta e quadrata di prima.
— Ce l'hai fatta, Calcifer? — gli chiese Howl, tossendo.
— Penso di sì — rispose il demone, alzando le fiamme su
per il camino. Ora aveva un aspetto molto migliore di quando se
ne stava sul badile.
— È meglio, comunque, che tu dia una controllata.
Howl si alzò in piedi appoggiandosi alla pala, poi aprì la
porta col pomello sul giallo. Fuori dall'uscio comparve la strada
di Market Chipping che Sophie conosceva da quando era nata.
Persone a lei note stavano facendo la passeggiata serale, prima
di cena, com'era abitudine d'estate. Howl fece cenno di sì con il
capo alla volta di Calcifer, chiuse la porta, girò il cubo con la
faccia arancione verso il basso e aprì di nuovo l'uscio.
Un ampio viale, coperto d'erbacce, partiva dalla soglia e si
snodava fra macchie di alberi che allungavano la loro ombra alla
luce del sole morente. In distanza si vedeva un cancello con gli
stipiti di pietra, sormontati da statue. — Dov'è questo posto? —
chiese Howl.
— È un'ampia tenuta situata alla fine della valle — gli
rispose Calcifer, piuttosto sulla difensiva. — È la bella casa che
tu mi hai detto di trovare. È veramente magnifica.
— Ne convengo, ma... spero che i proprietari non abbiano
nulla da obiettare —. Howl chiuse l'uscio e girò il pomello sul
porpora. — E ora la dimensione in cui il castello si sposta — e
riaprì la porta.
Fuori era l'imbrunire, un vento caldo portava dentro al
castello aromi differenti. Sophie riuscì a scorgere una bordura di
foglie scure, che scivolavano sotto di loro, carica di fiori
purpurei. Il castello si mosse lentamente e la siepe fu sostituita
da un tratto di terreno coperto da gigli bianchi, che apparivano
diafani nell'oscurità. Oltre quella bianca distesa, il sole morente
faceva brillare una pozza d'acqua. Il profumo era talmente
paradisiaco che Sophie si ritrovò in mezzo alla stanza senza
neanche accorgersene.
— No, mia cara, non ci ficcherai il tuo lungo naso almeno
fino a domani — le disse Howl, chiudendo la porta con un colpo
secco. — Questa zona è proprio si margini delle Terre Desolate.
Ben fatto, Calcifer. Perfetto. Una bella casa e un sacco di fiori,
tutto come ordinato! Appoggiò il badile e se ne andò a letto.
Doveva essere veramente spossato, poiché non si udì alcun
suono provenire dalla sua camera, se non, ogni tanto, qualche
lieve colpo di tosse.
Anche Sophie e Michael erano stanchissimi. L'apprendista si
lasciò andare sulla sedia e si mise ad accarezzare l'uomo-cane,
con lo sguardo fisso, inebetito. Sophie si arrampicò sullo
sgabello, sentendosi più che mai strana. Avevano traslocato, ma
il posto sembrava lo stesso, eppure era diverso e tutto sembrava
confuso. Perché poi trasferire il castello ai confini delle Terre
Desolate proprio ora? Forse era la maledizione a spingere Howl
verso la Strega? O forse il Mago era fuggito così velocemente
dalle proprie responsabilità da ritrovarsi di colpo dietro a se
stesso, e si era trasformato in un uomo che la gente avrebbe
comunemente definito 'onesto'?
Sophie si volse verso Michael per vedere cose ne pensasse,
ma Michael e l'uomo-cane dormivano profondamente. Sophie
allora spostò lo sguardo su Calcifer, che riposava emettendo
piccole fiammelle rosate, con gli occhi arancione quasi chiusi.
Le tornò in mente l'immagine del demone che pulsava, con le
fiamme praticamente bianche, poi ancora Calcifer che sgranava
gli occhi pieni d'ansia, mentre dondolava sulla pala. Allora la
forma del suo corpo e l'insieme di tutti questi particolari le
fecero ricordare qualcosa. — Calcifer, sei mai stato una stella
cadente?
Il demone aprì un occhio arancione e lo puntò su di lei. —
Certo, te lo posso raccontare, se vuoi. Il contratto mi permette di
farlo.
— Ed è stato Howl a catturarti?
— Cinque anni fa, nelle Paludi di Porthaven. Fu dopo poco
che si era sistemato in quella cittadina col nome di Jenkins lo
Stregone. Mi rincorse con gli stivali delle sette leghe e mi
catturò. Io ero terrorizzato sia da lui sia dal fatto che sapevo di
dover comunque morire. Avrei compiuto qualsiasi gesto pur di
sopravvivere. Quando Howl mi offrì di mantenermi in vita, così
come vivono gli umani, gli suggerii di stipulare un contratto, lì
all'istante. Né io, né lui sapevamo a cosa andavamo incontro: io
lo feci per gratitudine e lui perché era dispiaciuto per me.
— Proprio come Michael — intervenne Sophie.
— Sì? Che c'è? —. L'apprendista si era svegliato. — Oh,
Sophie. Come vorrei che avessimo sbagliato posto. Non sapevo
proprio che ci saremmo ritrovati sull'orlo delle Terre Desolate.
Non mi sento affatto al sicuro.
— Nessuno è al sicuro in casa di un Mago — intervenne
Calcifer. La sua voce proveniva dal più profondo del suo essere.
La mattina successiva la porta aveva il pomello sul nero e, a
dispetto di Sophie, non si apriva, in qualsiasi direzione girasse la
manopola. Voleva vedere quei fiori, Strega o non Strega! Decise
di sopire la sua ansia prendendo un secchio d'acqua e sfregando
via i segni di gesso che erano rimasti sul pavimento.
Dopo un attimo, il Mago fu di ritorno. — Lavoro, lavoro,
lavoro! — le disse mentre la scavalcava. Aveva un aspetto un
po' strano. Il suo vestito era ancora di un nero intenso, ma i
capelli erano tornati chiari, anzi, per contrasto con l'abito,
sembravano bianchi. Sophie gli lanciò una lunga occhiata e
pensò alla maledizione della Strega... forse ci aveva pensato
anche lui. Nel frattempo Howl aveva tolto dall'acquaio il teschio
e, tenendolo con una mano, recitava in tono funereo: — Ahimè,
mio povero Yorick! Ella ha udito le sirene, ne consegue che c'è
qualcosa di marcio in Danimarca. Ho preso un raffreddore senza
fine, ma, per fortuna, sono terribilmente disonesto. Mi resta solo
questo a cui aggrapparmi —. Poi tossì in modo patetico, ma il
suo raffreddore stava in effetti migliorando, e i colpi di tosse
suonarono poco convincenti.
Sophie scambiò un'occhiata significativa con l'uomo-cane,
che se ne stava seduto, guardandola con lo stesso sguardo
dolente che aveva Howl. — Dovresti tornartene da Lettie —
mormorò rivolta alla bestia, poi chiese al Mago: — Qual è il tuo
problema, adesso? Non va bene con la signorina Angorian?
— Per niente... Lily Angorian ha il cuore più duro del marmo
—. Rimise il teschio nell'acquaio e chiamò Michael a gran voce.
— Cibo! Lavoro! Su, su...
Dopo colazione tirarono fuori dal ripostiglio ogni cosa. Poi
Michael e Howl fecero un buco nella parete dello stanzino. Volò
fuori un sacco di polvere e si sentirono dei tonfi strani. Alla fine
chiamarono Sophie, che si portò dietro la scopa per far capire
immediatamente le sue intenzioni. Dove prima si trovava un
muro, ora c'era un'arcata. Portava ai gradini che avevano unito
da sempre la sua casa al negozio. Howl la sospinse nella bottega
e la invitò a guardare. Era vuota e si sentiva l'eco dei suoi passi
su un pavimento che, adesso, era a scacchi bianchi e neri, come
quello nell'ingresso della signora Pentstemmon. Gli scaffali, che
una volta avevano contenuto i cappelli, erano vuoti, fatta
eccezione per un vaso di rose di seta e un mazzolino di primule
gialle in velluto. Sophie si rese conto che ci si aspettava da lei
un segno di ammirazione, così se ne stette zitta.
— Ho trovato i fiori nel magazzino sul retro — la informò
Howl. — Vieni a vedere l'esterno.
Aprì la porta che dava sulla strada e la stessa campanella di
un tempo risuonò in modo familiare. Sophie avanzò nella via,
ancora vuota vista l'ora mattutina. La facciata del negozio era
stata ridipinta di verde e giallo. Sopra la vetrina, a caratteri
svolazzanti, era scritto: H. JENKINS FIORI FRESCHI TUTTI I GIORNI.
— Vedo che hai cambiato opinione sui nomi più comuni...
— Solo per non dare nell'occhio, mia cara Sophie...
Preferisco sempre Pendragon.
— E da dove arriveranno i fiori freschi? Non puoi avere
un'insegna del genere e pretendere di vendere rose finte per
cappelli!
— Aspetta e vedrai — le rispose Howl, riconducendola in
negozio. Attraversarono la bottega vuota e uscirono nel cortile
che Sophie aveva calpestato fin da bambina. Era ridotto alla
metà delle sue antiche dimensioni, poiché il cortile del castello
ne occupava una parte. Sophie guardò oltre il muro di mattoni
che delimitava la corte del castello. Provò un sentimento strano
nel vedere la nuova finestra che sapeva appartenere alla camera
di Howl, e un sentimento ancora più strano la pervase quando si
rese conto che da quella finestra non si vedeva il panorama che
lei aveva ora davanti agli occhi. Là, sopra il negozio, c'era poi la
finestra di quella che era sempre stata la sua cameretta Era
conscia del fatto che non avrebbe mai più potuto entrare nella
sua stanza da letto e questo la scombussolò del tutto.
Come rientrarono e raggiunsero di nuovo il ripostiglio, sul
volto di Sophie si dipinse un'espressione imbronciata. Veder la
sua vecchia casa ridotta in quel modo le creava un groviglio di
sentimenti diversi e un senso di panico.
— Penso che sia tutto molto carino — riuscì comunque a
dire.
— Davvero? — disse di rimando Howl, che, evidentemente,
era piuttosto urtato. Gli avrebbe fatto senz'altro piacere che il
suo lavoro fosse ben più apprezzato, pensò Sophie, mentre il
Mago rientrava nel castello e girava il pomello della porta sul
porpora. In ogni caso lei non l'aveva mai lodato, non più di
quanto avesse fatto Calcifer, e non vedeva il motivo di
cominciare a sperticarsi dagli elogi proprio adesso. La porta si
aprì. Cespugli enormi carichi di fiori stavano passando
lentamente sotto di loro. Poi il castello si fermò per farli
scendere. Fra i cespugli c'erano sentieri coperti d'erba verde che
brillava nel sole mattutino. Sembrava che si allontanassero in
mille direzioni diverse. Howl e Sophie cominciarono a
percorrere quello più vicino, mentre il castello li seguiva
spazzando via petali al suo passaggio. Sebbene fosse una
costruzione alta, nera e sbilenca, che emetteva nuvolette di fumo
ora da una torre, ora da un'altra, il castello non sembrava essere
fuori luogo. Naturalmente si trattava ancora di magia, Sophie lo
sapeva bene, comunque bisognava ammettere che l'edificio si
adattava perfettamente al paesaggio.
L'aria era calda, piena di vapori e ricca di migliaia di essenze
differenti che provenivano da tutta quella fioritura. Sophie si
trattenne appena in tempo dal dire che le venivano in mente tutti
i profumi che di solito uscivano dalla stanza da bagno di Howl.
Quel posto era veramente meraviglioso. Fra i cespugli carichi di
fiori purpurei, rossi e bianchi, l'erba umida era punteggiata da
fiori più piccoli: fiorellini rosa con solo tre petali, viole giganti,
flox selvatici, lupini di tutti i colori, gigli arancione, alti gigli
bianchi, iris e miriadi di altri fiori. C'erano poi piante rampicanti
cariche di fiori che sarebbero andati bene a guarnire i cappelli,
fiordalisi, papaveri e piante dalla foggia strana e dalle foglie di
un colore ancora più inusuale. Non assomigliava affatto al suo
sogno di avere un giardino simile a quello della signora Fairfax,
ma Sophie dimenticò del tutto la sua scontentezza e cancellò dal
suo volto il broncio che aveva tenuto fin lì, per lasciare il posto
a un'espressione deliziata.
— Guarda! —. Howl alzò un braccio e la sua lunga manica
nera disturbò centinaia di farfalle che banchettavano su un
cespuglio di rose gialle. — Possiamo tagliare i fiori ogni mattina
e venderli a Market Chipping ancora coperti di rugiada.
Alla fine del sentiero, l'acqua divenne acquitrinosa e videro
enormi orchidee che facevano capolino da sotto i cespugli.
Howl e Sophie presto arrivarono a uno stagno completamente
coperto di ninfee. La foschia del mattino stava alzandosi
lentamente e il castello costeggiò in parte lo stagno, poi si
diresse verso un altro sentiero, molto ampio e bordato da fiori
ancora diversi.
— Se vieni qui fuori da sola, porta sempre con te il tuo
bastone, per saggiare il terreno. Qui è pieno di sorgenti e di
acquitrini. E non proseguire per questa strada, non superare
questo punto — si raccomandò Howl. Indicò un punto a sud-est,
dove il sole era un disco bianco, luminoso nella nebbiolina. —
Laggiù ci sono le Terre Desolate... un caldo terribile,
desolazione e... completo dominio della Strega.
— Chi ha piantato questi fiori, proprio sull'orlo di quelle
Terre?
— Il Mago Suliman cominciò un anno fa — le spiegò Howl
tornando verso il castello. — Penso che intendesse far fiorire il
deserto e, in questo modo, liberare il mondo dalla Strega. Portò
sorgenti d'acqua calda in superficie e diede vita a queste colture.
Stava facendo proprio un bel lavoro, quando fu catturato dalla
Strega.
— La signora Pentstemmon mi ha detto che Suliman,
all'inizio, si chiamava in un altro modo e veniva dal tuo stesso
mondo. È vero?
— Più o meno, però io non l'ho mai incontrato. Pochi mesi
dopo la sua scomparsa arrivai qui e continuai per un po' la sua
opera. Mi sembrava una buona idea. È così che ho incontrato la
Strega. A lei non piaceva affatto quel progetto.
— E perché?
Il castello li stava aspettando Howl aprì la porta, ma si fermò
per un attimo. — Alla Strega piace pensare a se stessa come un
fiore, un'orchidea solitaria che fiorisce nel deserto. Veramente
patetica. Sophie diede un'altra occhiata a quella distesa di fiori,
poi seguì il Mago all'interno del castello, dove c'erano delle
rose, migliaia di rose.
— La Strega saprà che sei qui?
— Ho cercato di fare l'ultima cosa che lei si aspetta da me.
— E stai cercando di trovare il Principe Justin? — chiese
ancora Sophie, ma Howl evitò di risponderle precipitandosi
attraverso il ripostiglio e chiamando Michael a gran voce.
CAPITOLO DICIOTTO
In cui appaiono di nuovo lo spaventapasseri e la signorina
Angorian
Il giorno successivo aprirono il negozio di fiori. Come Howl
aveva previsto non poté essere più semplice di così. Alla mattina
presto, tutto ciò che avevano da fare era aprire la porta con il
pomello sul porpora e uscire nella tenue foschia per raccogliere i
fiori. Presto divenne per loro una routine. Sophie prendeva le
forbici e il bastone, che le serviva per saggiare il terreno, per
attirare a sé i rami troppo alti delle rose rampicanti e da...
interlocutore silenzioso.
Michael, in quelle loro uscite, si portava dietro una sua
invenzione di cui andava molto fiero. Era una tinozza larga e
leggera colma d'acqua, che fluttuava nell'aria e seguiva il
ragazzo per tutto il giardino. Li accompagnava l'uomo-cane, che
se la spassava correndo come un matto giù per i sentieri a caccia
di farfalle, o cercando di afferrare la tinozza di Michael oppure
gli uccellini che volavano fra i fiori.
Mentre faceva le sue scorribande, Sophie recideva lunghi
steli di iris o di gigli, fronde cariche di fiori arancione e mazzi di
hibiscus blu, nel frattempo Michael caricava la sua invenzione
di orchidee, rose, fiori bianchi a forma di stelle o qualsiasi altra
pianta che catturasse la sua fantasia. Insomma, tutti e tre se la
godevano un mondo.
Poi, prima che il caldo diventasse troppo intenso, portavano i
fiori appena raccolti in negozio e li sistemavano in una
collezione di vasi variopinti e di secchi che Howl aveva scovato
per loro fra la ferraglia del cortile. Due secchi, in effetti, erano
gli stivali delle sette leghe e Sophie, sistemandovi dentro un
fascio di gladioli, per l'ennesima volta pensò che Howl avesse
perso completamente interesse per Lettie, visto che non gliene
importava niente se gli stivali venivano usati come portafiori.
Quando Sophie e Michael erano in giro per la raccolta,
Howl era quasi sempre assente e il pomello della porta sempre
sul nero. Generalmente tornava in tarda mattinata per far
colazione, con l'aria sognante e l'abito nero addosso. Non
avrebbe mai detto a Sophie di quale vestito in effetti si trattasse;
se lei gliel'avesse chiesto, lui avrebbe dato una risposta tipo:
"Sono in lutto per la signora Pentstemmon". E se Sophie o
Michael gli avessero chiesto il perché delle sue lunghe assenze,
Howl sarebbe apparso offeso e avrebbe certamente detto: "Se
vuoi parlare a un'insegnante, devi beccarla prima che inizino le
lezioni".
Mentre Howl passava le sue due ore consuete a fare toeletta,
Sophie e Michael indossavano i loro abiti migliori e aprivano
bottega. Howl aveva insistito perché si vestissero con cura:
riteneva, infatti, che questo avrebbe attirato i clienti. Sophie,
invece, aveva insistito perché portassero almeno dei grembiuli
sopra gli abiti.
Dopo i primi giorni, quando la gente di Market Chipping si
era limitata a sgranare gli occhi davanti alla vetrina senza
entrare, il negozio divenne molto popolare. Era corsa voce che
Jenkins aveva fiori come non se n'erano mai visti prima, così
gente che Sophie aveva sempre conosciuto andò a comperare i
loro fiori a mazzi. Nessuno la riconosceva e questo la faceva
sentire piuttosto strana, anzi, tutti pensavano che fosse l'anziana
madre di Howl. Sophie, però, ne aveva avuto abbastanza di
recitare quel ruolo.
— Sono sua zia — disse quindi alla signora Cesari e da quel
momento fu conosciuta come Zia Jenkins.
Quando Howl arrivava in negozio, con un grembiule nero
che si adattava all'abito, lo trovava di solito affollato. E il suo
arrivo lo rendeva ancor più pieno di clienti. Da questo Sophie
dedusse che l'abito nero non era altro che la trasformazione del
vestito incantato grigio e scarlatto. Qualsiasi signora Howl
servisse era sicura di andar via con almeno il doppio dei fiori
che effettivamente aveva chiesto. Il più delle volte le clienti se
ne andavano dopo aver comperato dieci volte di più di quanto
non fossero state intenzionate a fare entrando in negozio, tanto
era il suo fascino incantato.
Dopo un po' Sophie si accorse che le signore sbirciavano
dalla vetrina, e se vedevano che c'era Howl a servire, non
entravano. Sophie non poteva biasimarle. Se vuoi comperare
solo una rosa da appuntarti sul seno, non puoi sentirti forzata ad
acquistare tre dozzine di orchidee! Così non scoraggiò Howl,
che cominciò a trascorrere lunghe ore nel laboratorio al di là del
cortile. Lui, comunque, si era premurato di darle una
spiegazione: — Prima che tu me lo chieda, ti dico che sto
preparando le difese contro la Strega. Quando avrò finito, non
troverà alcun sistema per entrare in questo posto.
Alle volte c'era un problema con i fiori che rimanevano.
Sophie non poteva sopportare di vederli appassire durante la
notte e scoprì che poteva mantenerli freschi se parlava con loro.
Così, dopo quella scoperta, cominciò a parlare spesso alle
piante. Inoltre ottenne da Michael un incantesimo di 'nutrimento'
che sperimentò in qualche secchio messo nell'acquaio e in
tinozze che aveva posto nel bugigattolo che un tempo usava
come laboratorio. Scoprì che poteva mantenere alcune piante
fresche per giorni. Così, naturalmente, fece altri esperimenti.
Portò in cortile della fuliggine e vi piantò alcune cose,
continuando a parlare senza sosta. Crebbe, quindi, una rosa blu
notte, che le diede un'immensa soddisfazione.
I boccioli erano neri come il carbone, poi, quando i fiori si
dischiusero, divennero sempre più blu, della stessa tonalità che
avevano le fiamme di Calcifer. Sophie era così deliziata dal
proprio esperimento che prese tutte le radici che si trovavano
nelle sacche appese ai travi e cominciò a sperimentare su di
esse, dicendo a se stessa che non era mai stata così felice in vita
sua.
Questo non era del tutto vero, non era completamente felice,
c'era qualcosa che non andava e lei, pur sentendolo, non riusciva
a individuare cosa fosse. A volte pensava che dipendesse dal
fatto che nessuno a Market Chipping la riconoscesse. Non osava
andare a trovare Martha per paura di non essere riconosciuta
nemmeno dalla sorella. Per lo stesso motivo non indossava gli
stivali delle sette leghe e non andava a far visita a Lettie. E non
poteva sopportare, comunque, di essere vista da loro ora che era
una vecchia.
Michael portava a Martha i fiori che non venivano venduti.
Qualche volta Sophie pensava che il problema fossero le lunghe
assenze di Michael: il ragazzo se ne usciva tutto felice e lei
rimaneva in negozio da sola sempre più spesso. Ma senz'altro
non dipendeva neanche da quello, visto che a lei piaceva
starsene da sola a vendere fiori.
Alle volte il problema sembrava essere costituito da Calcifer.
Il demone si annoiava. Ogni mattina non aveva altro da fare se
non muovere lentamente il castello per portarli a raccogliere
nuovi fiori, in nuovi vialetti. La sua faccia blu saltava fuori dalla
grata non appena Sophie e Michael rientravano carichi di fiori
recisi. — Voglio vedere com'è, là fuori — diceva. E Sophie gli
portava foglie profumate da bruciare, che riempivano il castello
di essenze simili a quelle che uscivano dal bagno. Ma Calcifer
confessò che gli mancava la compagnia, loro se ne stavano tutto
il giorno in negozio lasciandolo solo! Così Sophie decise di
lasciare Michael a servire da solo in bottega per almeno un'ora
ogni mattina, mentre lei restava a chiacchierare con il demone.
Arrivò a inventare degli indovinelli per tenere Calcifer
impegnato quando lei aveva da fare, ma era lo stesso scontento,
tanto che sempre più spesso cominciò a chiederle quando avesse
intenzione di scoprire come rompere il suo contratto con il
Mago.
Sophie cercò di sbarazzarsi di Calcifer con un "Sto lavorando
al tuo contratto, non ci vorrà molto, ormai", ma non era proprio
la verità. Aveva smesso di pensarci, a meno che non ne fosse
costretta. Quand'era riuscita a mettere assieme le cose dette dalla
signora Pentstemmon con tutto quello che aveva saputo sia da
Howl che da Calcifer in proposito, le erano balenate delle idee
piuttosto terribili riguardo a quel contratto. Era sicura che
romperlo avrebbe voluto dire la fine per entrambi, Mago e
demone. Howl poteva meritarselo, ma non Calcifer. E poiché
Howl sembrava che fosse tremendamente impegnato a evitare
quello che rimaneva della maledizione della Strega, Sophie
decise di non fare nulla.
A volte Sophie pensava che fosse l'uomo-cane a renderla
malinconica. Era una creatura così triste... L'unico momento in
cui sembrava spassarsela era alla mattina quando li
accompagnava a raccogliere i fiori. Per il resto della giornata se
ne stava attaccato alle gonne di Sophie, mandando profondi
sospiri.
Poiché Sophie non poteva fare nulla neanche per lui, fu
molto contenta quando la temperatura cominciò ad alzarsi, verso
il giorno di San Giovanni, e la bestia prese a passare sempre più
tempo sdraiata nelle zone d'ombra del cortile.
Nel frattempo le radici che Sophie aveva piantato erano
diventate piuttosto interessanti. La cipolla si era trasformata in
una piccola palma che dava piccole noci profumate di cipolla.
Un'altra radice aveva prodotto, invece, una sorta di girasole
rosa. Solo una cresceva piuttosto lentamente, e quando alla fine
mise fuori due foglie verdi, Sophie cominciò ad aspettare con
grande ansia che cosa sarebbe spuntato. Il giorno successivo alla
comparsa delle foglie, si sarebbe detto che la pianta potesse
essere un'orchidea. Le foglie stavano virando al color malva e
dal centro della pianta stava crescendo uno stelo con un grosso
bocciolo.
Il giorno dopo ancora, Sophie, lasciati a bagno nell'acqua
fresca i fiori che aveva appena raccolto, corse nel famoso
retrobottega per controllare i progressi di quella pianta strana.
Il bocciolo si era aperto in un fiore rosa simile a un'orchidea
passata sotto una pressa. Era piatto e unito allo stelo proprio
sotto un bottoncino rotondo. Aveva quattro petali che
spuntavano da un centro carnoso e rosa: due di essi puntavano
verso il basso, mentre gli altri due erano più sostenuti e messi
perpendicolarmente ai precedenti. Mentre Sophie guardava
stupita quella sua nuova creazione, sentì un forte profumo di
fiori primaverili che l'avvertì che Howl era arrivato e se ne stava
dietro di lei.
— Cos'è quella cosa? — le chiese. — Se ti aspettavi una
viola ultravioletta o un geranio infrarosso hai fallito il tuo
esperimento, la mia Scienziata Pazza.
— A me sembra un fiore neonato bello schiacciato —
intervenne Michael, che si era avvicinato a curiosare.
In effetti era una giusta definizione e Howl, sollevando la
pianta, lanciò un'occhiata allarmata al suo apprendista. Tolse il
fiore con tutto lo stelo dal vaso, separò con cura i bianchi peli
radicali dalla fuliggine e dai granelli di pozione magica usati
come nutrimento, e osservò la radice a fittone, marrone
biforcuta, che Sophie aveva messo in origine a germinare.
— Avrei dovuto indovinarlo. È la radice di mandragola.
Sophie ha colpito di nuovo. Hai un tocco particolare, vero
Sophie?
Rimise a posto con cura la pianta, la porse a Sophie e se ne
andò. Il suo viso era diventato mortalmente pallido.
Così la maledizione ormai si era avverata quasi del tutto,
pensò Sophie mentre sistemava i fiori nella vetrina del negozio.
La radice di mandragola aveva generato un figlio. Ora rimaneva
un'unica cosa: il mulinello che spinge l'onesto oltre ogni
tranello. Se significava che l'animo di Howl doveva diventare
onesto, c'era ancora qualche possibilità che la maledizione non
si compisse mai... in ogni caso Sophie si sentì preoccupata e
colpevole.
Mentre faceva queste riflessioni, si mise a sistemare un
fascio di gigli bianchi in uno dei due stivali delle sette leghe
proprio sul davanti della vetrina, quando un suono proveniente
dalla strada la colpì in modo particolare. Era un battito regolare
sul selciato, ma non si trattava senz'altro di un cavallo... era più
come un bastone che pestasse forte sulla via, nel suo ritmico
procedere.
Il cuore di Sophie cominciò a fare il matto. Sicuramente era
lo spaventapasseri che avanzava nel centro della strada. Sophie
finalmente osò alzare gli occhi e lo vide: gli stracci che gli
coprivano le braccia stecchite erano diventati più grigi e
sbrindellati e la rapa che formava la sua faccia era avvizzita in
un'espressione determinata, come se avesse continuato a battere
il terreno a zoppogalletto da quando Howl l'aveva scacciato per
ritornare, a ogni costo, al punto di partenza. Sophie non era la
sola a essere spaventata, le poche persone che erano già per
strada stavano scappando via più velocemente che potevano alla
vista dello strano spaventapasseri, che sembrava non curarsi di
nessuno e continuava testardo per la sua strada. Sophie nascose
il viso. — Non siamo qui! — bisbigliò per darsi coraggio.
— Tu non sai che noi siamo qui! Non ci potrai mai trovare.
Vattene via subito!
Ma mentre lo spaventapasseri si avvicinava al negozio, il
tump tump del suo bastone rallentò. Sophie avrebbe voluto
urlare per chiedere aiuto a Howl, ma sembrava che fosse solo
capace di ripetere: — Non siamo qui! Vattene via subito. Subito!
Non appena ebbe pronunciato quelle parole, il battito ritmico
sul selciato accelerò, proprio come lei gli aveva ordinato, e lo
spaventapasseri superò il negozio senza fermarsi, poi continuò
per la sua strada attraverso Market Chipping. Sophie pensò di
essere sul punto di svenire dalle vertigini, poi si rese conto di
stare ancora trattenendo il respiro, permise all'aria di scenderle
in profondità nei polmoni e fu scossa da un brivido di sollievo.
Se lo spaventapasseri fosse tornato, ora sapeva che avrebbe
potuto scacciarlo.
Quando Sophie rientrò nella stanza del castello, vide che
Howl se n'era andato.
— Sembrava terribilmente turbato — le disse Michael.
Sophie guardò il pomello sopra la porta: aveva la parte nera
rivolta verso il basso. Non abbastanza turbato per evitare di
vedere la signorina Angorian, però!
In mattinata uscì anche Michael per andare da Cesari, così
Sophie si ritrovò da sola in negozio.
Era molto caldo e, nonostante gli incantesimi, i fiori ne
soffrivano. Del resto c'erano poche persone che avevano voglia
di acquistare delle piante. Sophie, a quel punto, si sentì
tristissima: gli scarsi clienti, il caldo, la radice di mandragola e,
per finire, lo spaventapasseri, contribuivano tutti assieme alla
sua depressione.
— Penso che il mio stato d'animo dipenda soprattutto dalla
mia primogenitura... — sospirò rivolta ai fiori. — Guardatemi!
Mi ero messa in cerca del mio destino e sono finita esattamente
nel punto da cui ero partita, per di più vecchia come le colline!
A quel punto l'uomo-cane mise il naso dentro al negozio e
Sophie sospirò: non passava un'ora senza che quella creatura
non andasse a controllarla.
— Sono sempre qui — gli disse. — Dove pensavi che fossi
andata?
Il cane entrò nel negozio, si mise seduto, poi allungò le
zampe davanti a sé e cominciò a stirarsi con forza. Sophie
comprese che stava cercando di tornare a trasformarsi in un
uomo e cercò di essere gentile con lui. Povera creatura, dopo
tutto lui stava senz'altro peggio di lei.
— Provaci, provaci ancora con convinzione... stira la tua
schiena... puoi essere un uomo, se lo vuoi.
Il cane si stirò, tirò la schiena, spinse e tirò ancora, e proprio
quando Sophie pensava che avrebbe rinunciato oppure che
sarebbe finito di colpo in fondo al negozio, riuscì a sollevarsi
sulle zampe posteriori e a far emergere l'uomo dai capelli rossi
che aveva in sé.
— Invidio... Howl — disse respirando a fatica. — Lui fa...
così facilmente... Io ero... cane nella siepe... tu aiutasti. Detto
Lettie... Io ti conoscevo... Continuerò fare guardia... Io stato
qui... prima...
Poi cominciò a piegarsi su se stesso per trasformarsi di
nuovo in un cane, ma prima riuscì a ululare: — Con la Strega in
negozio! —. E cadde sulle mani, mentre gli cresceva una gran
massa di pelo grigio e bianco. Sophie fissò stupita l'enorme cane
irsuto che le stava di fronte.
— Eri con la Strega?!
Ora si ricordava. Era l'uomo fulvo che la guardava con gli
occhi pieni di orrore. — Allora sai chi sono e che sono sotto un
perfido incantesimo. Lo sa anche Lettie? Il testone irsuto che le
stava di fronte annuì.
— La Strega ti ha chiamato Gaston... Ora mi viene in mente.
Oh, amico mio, che cosa orribile ti ha fatto la Strega! Poi con
tutto quel pelo in questo caldo! Farai meglio a cercarti un
angolino fresco.
Il cane annuì di nuovo e se ne andò con un'aria miserevole
nel cortile.
— Ma perché Lettie ti ha mandato? — si chiese Sophie. Ora
si sentiva veramente a terra, tanto da starne male. Salì i gradini
per passare dal ripostiglio e andare a parlare con Calcifer. Il
demone, però, non le fu di grande aiuto. — Non fa nessuna
differenza se c'è o no molta gente che sa che sei vittima di un
incantesimo. Mi sembra che questo non abbia aiutato il cane,
per esempio...
— No, ma... —. Sophie non riuscì a finire la frase perché in
quel momento sentì lo scatto della porta che si apriva. Anche
Calcifer si mise in attesa. Il pomello aveva ancora la parte nera
rivolta in basso, quindi avrebbe dovuto entrare Howl. Ma con
immenso stupore di entrambi, chi stava entrando in punta di
piedi non era il Mago, bensì la signorina Angorian.
La giovane donna sembrò ugualmente stupita. — Oh, chiedo
scusa! Pensavo che il signor Jenkins potesse essere qui.
— È fuori — le disse Sophie seccamente, mentre si chiedeva
dove fosse Howl, se non era andato a trovare la signorina
Angorian.
La signorina lasciò andare l'uscio, a cui si era aggrappata per
la sorpresa, e la porta restò aperta sul nulla, mentre avanzava
con aria supplichevole verso Sophie, che si era alzata e si era
fermata immobile in mezzo alla stanza, come se volesse
impedire alla donna di muovere un altro passo.
— Per favore, non dite al signor Jenkins che sono stata qua.
Per dire la verità, io l'ho incoraggiato solo nella speranza di
ottenere notizie del mio fidanzato, Ben Sullivan. Sono certa che
Ben sia scomparso nello stesso luogo in cui il signor Jenkins
continua a scomparire. Solo che Ben non è mai tornato indietro.
— Qui non c'è nessun signor Sullivan — le disse Sophie che,
intanto, si era ricordata che Ben Sullivan era il nome del Mago
Suliman. Quella donna stava mentendo!
— Oh, lo so — continuò la signorina Angorian. — Ma
questo sembra proprio il posto giusto. Vi dispiacerebbe se mi
guardassi un po' attorno, giusto per farmi un'idea di che vita
conduce ora Ben?
Si mise una ciocca di capelli neri dietro un orecchio e cercò
di avanzare nella stanza. Ma Sophie le sbarrava la strada.
Questo costrinse la signorina Angorian a spostarsi, in punta di
piedi, di fianco verso il banco di lavoro.
— Che posto pittoresco! — e intanto guardava le bottiglie
dal collo ricurvo e i vasi pieni di polveri. — E che cittadina
caratteristica! — mentre spiava fuori dalla finestra.
— Si chiama Market Chipping — la informò Sophie, mentre
cercava di sospingere la donna verso la porta.
— E cosa c'è su per quelle scale?
— La stanza di Howl. Ma è un luogo privato! — le rispose
Sophie con fermezza, facendola arretrare ulteriormente.
— E là... oltre quella porta aperta? — continuò imperterrita
la signorina Angorian.
— Un negozio di fiori —. La risposta di Sophie fu più che
mai secca. Che ficcanaso era quella donna! A quel punto alla
signorina non restava che sedersi accanto al fuoco oppure
guadagnare l'uscita. Guardò Calcifer aggrottando le sopracciglia
come se non fosse sicura di quello che stava vedendo e il
demone sostenne il suo sguardo senza emettere un suono.
Questo fatto fece sentire meglio Sophie, che temeva di essere
stata troppo dura con l'intrusa. Solo la gente che capiva Calcifer
era la benvenuta in casa del Mago.
Ma la signorina Angorian evitò con un guizzo la sedia e
afferrò la chitarra di Howl che aveva visto riposta nell'angolo.
Poi si girò con lo strumento stretto al seno in un gesto di
possesso.
— Dove l'avete presa? — chiese con una voce bassa, carica
di emozione. — Ben aveva una chitarra come questa! Potrebbe
essere la sua!
— Howl mi ha detto di averla acquistata lo scorso inverno —
le disse Sophie, mentre avanzava di nuovo verso la signorina e
cercava di stanarla da quell'angolo e farle raggiungere la porta.
— Qualcosa è accaduto a Ben! — disse la donna con voce
vibrante.
— Non si sarebbe mai separato dalla sua chitarra! Dov'è
Ben? So che non può essere morto. Lo sentirei, qui nel mio
cuore!
Sophie si chiese se fosse il caso di dirle che la Strega aveva
catturato il Mago Suliman, mentre si guardava attorno per
vedere dove fosse finito il teschio. Le era venuta, infatti, una
mezza idea di sventolarlo in faccia alla signorina Angorian e di
dirle che erano le ossa di quel Mago. Ma il teschio era
nell'acquaio, nascosto dietro un secchio pieno di felci e gigli, e
sapeva che se si fosse diretta a prenderlo, l'intrusa si sarebbe
messa a curiosare per tutta la stanza. Inoltre sarebbe stato un
gesto poco carino.
— Potrei tenere questa chitarra? — le chiese la donna
stringendosela spasmodicamente al seno, — per ricordarmi di
Ben.
L'emozione vibrante nella voce della signorina Angorian
mandò Sophie su tutte le furie. — No. Non c'è alcun bisogno di
essere così svenevoli e sentimentali per quella chitarra, visto che
non c'è nessuna prova che sia sua.
Poi si avvicinò alla donna e afferrò la chitarra per il manico.
La signorina la guardò, sgranando due occhi angosciati. Sophie
tirò lo strumento, la donna cercò di tenerlo ancor più
saldamente. Dalla chitarra partì un orrendo, stonato blang, poi
Sophie riuscì a strappargliela di mano. — Non fate la sciocca.
Non avete nessun diritto di entrare nei castelli della gente e
prendere le loro chitarre. Ve l'ho già detto, il signor Sullivan non
è qui. Ora tornatevene in Galles. Su, andate —. E usò la chitarra
per spingerla indietro, fuori dalla porta. La signorina Angorian
arretrò nel nulla e sparì a metà.
— Come siete dura! — disse a Sophie con tono di
rimprovero.
— Sì, avete ragione. Sono dura! — e le sbatté la porta in
faccia, poi girò il pomello sull'arancione per impedire alla
signorina Angorian di entrare di nuovo. Andò nell'angolo e
rimise a posto la chitarra così seccamente da farla risuonare.
— E tu non osare dire a Howl che quella è stata qui! — disse
a Calcifer senza un vero motivo. — Scommetto che era venuta
per vedere Howl. Il resto era solo un sacco di bugie. Il Mago
Suliman si era sistemato qui anni fa. Probabilmente cercava di
sfuggire a quella sua voce melensa in modo odioso!
Calcifer dal suo rifugio gracchiò: — Non ho mai visto
nessuno essere messo alla porta con tanta fretta!
Le parole di Calcifer fecero sentire Sophie scortese e in
colpa. Dopo tutto anche lei si era intrufolata nel castello più o
meno nello stesso modo ed era stata molto più fastidiosa della
signorina Angorian.
— Uffa! — esclamò a voce alta mentre entrava nel bagno per
guardare allo specchio la sua vecchia faccia grinzosa. Prese in
mano un pacchetto contrassegnato dall'etichetta PELLE e poi
tornò ad appoggiarlo. Anche se la sua pelle fosse stata giovane e
fresca, il suo viso non avrebbe avuto la meglio in un confronto
con quello dell'insegnante.
— Uffa! Fa' qualcosa! — disse a se stessa. Tornò rapida nella
stanza e prese le piante che erano nell'acquaio per portarle in
negozio, dove le mise in un secchio di 'incantesimo di
nutrimento'. Poi cominciò a dire alle piante: — Diventate
margherite!
La sua voce gracchiarne era quella di una pazza, arrabbiata.
— Trasformatevi in margherite di giugno!
L'uomo-cane mise dentro alla stanza il naso umido, e visto lo
stato d'animo di Sophie fece subito dietro front e tornò
all'ombra, in cortile. A Michael, rientrato da una visita a Lettie
con un'enorme crostata, bastò l'occhiata che gli lanciò Sophie
per ricordare che Howl gli aveva affidato un incantesimo
urgente.
— Uffa! — gli abbaiò dietro Sophie. — Margherite!
Trasformatevi in margherite!...
Il fatto di sapere che si stava comportando come una sciocca
non la fece sentire affatto meglio.
CAPITOLO DICIANNOVE
In cui Sophie esprime i propri sentimenti con un diserbante
Howl aprì la porta del negozio a pomeriggio inoltrato e si
mise a gironzolare in bottega fischiettando. Sembrava che si
fosse dimenticato della radice di mandragola. Ma questo,
assieme al fatto che non fosse andato nel Galles, non fece
sentire meglio Sophie, che gli scoccò un'occhiata furiosa.
— Misericordia! Il tuo sguardo per poco non mi ha
trasformato in pietra! C'è qualche problema?
— Qual è il vestito che hai addosso?
Howl guardò il suo abito nero. — Fa qualche differenza?
— Sì — gli rispose Sophie con tono sempre più arrabbiato.
— E, per favore, non raccontarmi quella storia del lutto! Qual è
in realtà?
Howl si strinse nelle spalle cominciò a studiare il vestito, con
aria dubbiosa come se effettivamente non si ricordasse più che
abito avesse usato per ottenere quello attuale. Prese in mano il
lembo di una manica, mentre il nero scendeva dalla spalla e
lasciava prima il posto a un color marrone, poi a un grigio,
mentre la parte finale della manica, che il mago continuava a
reggere, diventava sempre più nera. Alla fine si ritrovò con una
manica quasi completamente grigia e argento, solo l'orlo era di
un nero catrame.
— Questo è il vestito che ho usato — e subito dopo aver
pronunciato quelle parole permise al nero di tornare a coprire
l'intera manica.
Sophie, però, era sempre più seccata e sul suo viso si leggeva
un sentimento di rabbia sorda.
— Sophie! —. Il mago pronunciò il suo nome nel modo più
buffo e supplichevole di cui era capace. Nello stesso istante
l'uomo-cane fece capolino dal cortile. Non avrebbe mai
permesso a Howl di chiacchierare con Sophie troppo a lungo.
Il Mago lo guardò sgranando gli occhi. — Adesso hai anche
un cane da pastore inglese — e felice della diversione che gli
veniva offerta continuò: — Due cani, però, mangeranno un po'
troppo... mi sembra siano un po' costosi...
— C'è solo un cane — lo interruppe Sophie, — e purtroppo è
vittima di un incantesimo.
— Davvero? — e Howl si precipitò sul cane, sempre più
contento di essere riuscito a cambiare discorso. L'animale, però,
non sembrava altrettanto felice e arretrò. Con un balzo Howl
riuscì ad acchiapparlo e a tenerlo fermo aggrappandosi alla folta
pelliccia, poi s'inginocchiò per guardarlo negli occhi, che si
potevano scorgere a fatica visto che il pelo irsuto gli copriva
anche il muso.
— Sophie, perché tenermi nascosta una cosa del genere?
Questo cane è un uomo! Ed è in uno stato pietoso!
Howl si girò, facendo perno su un ginocchio e continuando a
tenere il cane ben saldo. Lo sguardo che le lanciò era freddo
come il ghiaccio e Sophie si rese conto che ora Howl era
arrabbiato, arrabbiato sul serio. Bene. Sophie era proprio nello
stato d'animo adatto per litigare.
— Te ne saresti potuto accorgere da solo — gli disse
restituendogli un'occhiata gelida, ma temendo che vi fosse una
sovrapproduzione di melma verde aggiunse: — Del resto, il
cane non voleva che.'..
Howl era troppo infuriato per starla ad ascoltare. Balzò in
piedi e cominciò a trascinare il cane, facendolo scivolare sulle
mattonelle.
— Me ne sarei accorto, se non avessi avuto la mente
impegnata in qualcos'altro... Avanti, non fare storie, ti voglio
davanti a Calcifer.
Il cane puntò però saldamente tutte e quattro le sue zampe
pelose. Howl lo tirò ancora, mentre la bestia scivolava da tutte le
parti nel tentativo di resistere, e contemporaneamente urlò un
Michael perentorio. Il grido ebbe un tono d'urgenza e di
comando tale da far accorrere immediatamente l'apprendista.
— E tu sapevi che questo cane in effetti è un uomo? — gli
chiese il Mago, mentre entrambi portavano quella montagna di
pelo su per le scale.
— Ma è davvero un uomo? — chiese l'apprendista scioccato
e sorpreso.
— Bene, mi sembri sincero, quindi tu non c'entri. È solo
Sophie da biasimare —. Intanto erano riusciti a superare il
ripostiglio delle scope.
— Sempre Sophie! Ma tu lo sapevi, vero Calcifer? —. A
quel punto erano riusciti a sistemare in qualche modo il cane
davanti al focolare.
Il demone si ritrasse fino a toccare con le sue fiamme la
parete posteriore del caminetto. — Tu non me l'hai mai chiesto.
— Ah, sarei io a doverti chiedere cose del genere... Va bene,
dovrei essermene accorto da solo! Ma tu, Calcifer, mi disgusti!
La tua vita qui, paragonata a quella che la Strega fa fare al suo
demone, è stupendamente facile e... tutto ciò che ti chiedo in
cambio è che tu mi tenga informato delle cose che ho bisogno di
sapere. Questa è la seconda volta che non lo fai. Ora aiutami a
ridare a questa creatura il suo corpo, subito!
Le fiamme di Calcifer brillavano di un insolito punto di blu,
come se il demone si sentisse male. Comunque, tutto
imbronciato, rispose di essere pronto.
L'uomo-cane cercò di fuggire, ma Howl gli mise le spalle
sotto al torace peloso e spinse con forza, così l'animale, volente
o nolente, si ritrovò con tutto il peso sulle zampe posteriori. Poi,
con l'aiuto di Michael,
Lo mantenne in quella posizione. — Perché questa sciocca
creatura oppone resistenza? Sembra proprio uno dei simpatici
scherzi della Strega delle Terre Desolate...
— Sì, è uno dei suoi incantesimi, e sembra che vari livelli
siano sovrapposti uno all'altro — intervenne Calcifer.
— In ogni caso, prima di tutto eliminiamo il livello bestiale
—. Howl era d'accordo con il demone, ma d'altra parte voleva
essere utile a quel poveretto e cominciare a liberarlo.
Il fuoco ruggì e diventò di un blu profondo. Sophie, che se ne
stava prudenzialmente nascosta nel ripostiglio, vide le
sembianze del cane diventare sempre più evanescenti per
lasciare posto a quelle dell'uomo. Poi di nuovo il cane e,
finalmente, Sophie vide i contorni ben distinti di un uomo dai
capelli fulvi e l'abito marrone tutto spiegazzato, un uomo
giovane che Howl e Michael sostenevano, ognuno per un
braccio. Sophie non fu sorpresa di non averlo riconosciuto nelle
sue precedenti trasformazioni, poiché il suo viso mancava quasi
totalmente di qualsiasi personalità o espressione, fatta eccezione
per lo sguardo ansioso che non l'aveva abbandonato da quando
era entrato per la prima volta nel negozio di cappelli.
— Chi sei, amico mio? — gli chiese Howl con gentilezza.
L'uomo sollevò le mani, si toccò il volto e scosse la testa.
— Io... io non sono sicuro.
— Percival è il nome a cui ha risposto di recente —
intervenne Calcifer. L'uomo guardò il demone come se
desiderasse che Calcifer non fosse a conoscenza di questo
particolare. — Davvero ho risposto al nome Percival?
— Bene, per il momento ti chiameremo così — gli disse
Howl, poi lo fece girare e sedere sulla sedia. — Adesso siediti e
prenditela comoda, dicci che cosa ti ricordi. Dopo averti sondato
con i nostri poteri abbiamo sentito che la Strega ti ha posseduto
per un certo periodo di tempo.
Percival si sfregò di nuovo il viso. — Sì, mi ha tolto la testa.
Io... io ricordo che ero appoggiato su uno scaffale e da lì potevo
vedere la parte restante del mio corpo, separato da me.
Michael lo guardava a bocca aperta
— Ma tu, tu saresti stato un morto! — riuscì ad articolare a
fatica.
— Non necessariamente — spiegò Howl. — Tu non hai
ancora raggiunto quel livello di arti magiche, Michael. Io, con le
dovute tecniche, potrei prenderti via qualsiasi parte del corpo e
lasciarti vivo. Poi aggrottò le sopracciglia guardando
attentamente l'ex cane. — Non sono sicuro che la Strega ti abbia
rimesso insieme nel modo giusto. Calcifer, che stava cercando
di dimostrare quanto lavorasse seriamente, aggiunse: —
Quest'uomo è incompleto e possiede anche alcune parti di un
altro uomo.
Percival sembrò più sconvolto che mai, così Howl esortò il
proprio demone alla prudenza. — Non allarmarlo, Calcifer.
Deve già sentirsi abbastanza male così... Amico mio, conosci,
per caso, il motivo della tua decapitazione magica?
— No, mi spiace. Non mi ricordo niente.
Sophie sapeva che l'uomo poteva mentire nel rispondere a
Howl, così sbuffò piuttosto sonoramente, mentre a Michael,
improvvisamente, venne in mente l'idea più pazza e
affascinante. — Percival, hai mai risposto al nome di Justin... o
all'appellativo di Sua Altezza Reale? Sophie, alle parole
dell'apprendista, sbuffò di nuovo. Sapeva che la supposizione di
Michael era ridicola prima ancora che Percival rispondesse:
— No, la Strega mi chiamava Gaston, ma quello non è il mio
nome.
— Michael, non andare a mettergli altri pensieri e non far
sbuffare Sophie... È in uno stato d'animo tale che, se sbufferà
ancora, tirerà giù il castello.
Anche se la frase scherzosa stava, forse, a indicare che Howl
non era più molto arrabbiato con lei, Sophie si scoprì, invece,
più arrabbiata che mai. Andò diritta filata in negozio dove
cominciò a sbatacchiare di qua e di là per mettere via le cose per
la notte e chiudere bottega. Andò anche a dare un'occhiata alle
sue margherite. Qualcosa era andato orribilmente storto. I fiori
erano diventati delle cose marroni che pendevano tutte storte
fuori dal secchio, immerse in un liquido dall'odore più mefitico
che Sophie avesse mai sentito.
— Oh, accidenti anche a voi! — strillò sempre più nera.
— E adesso cosa c'è? — le chiese Howl, entrando nel
negozio. Si piegò sopra al secchio e annusò. — Sembra che tu
abbia ottenuto un efficace diserbante. Cosa ne dici di
sperimentarlo sulle erbacce che coprono il viale della tenuta?
— Lo farò. Ho proprio voglia di sterminare qualcosa!
Cominciò a sbattere a destra e a sinistra finché non trovò un
annaffiatoio, poi entrò nel castello e, con l'annaffiatoio e il
secchio in mano, si diresse alla porta che aprì dopo aver girato il
pomello sull'arancione, diretta alla tenuta trovata da Calcifer.
Percival alzò il suo sguardo ansioso su di lei. Stava creando dei
suoni orrendi con la chitarra, che gli era stata data come si dà un
sonaglio a un bambino.
— Percival, va' con lei —. Più che un suggerimento, sembrò
una raccomandazione da parte di Howl. — Nello stato d'animo
in cui è, potrebbe uccidere anche tutti gli alberi.
Il giovane, ubbidiente, appoggiò la chitarra e prese il secchio
dalle mani di Sophie, facendo molta attenzione. Scesero, quindi,
sul terreno ai confini della valle, in una dorata serata estiva.
Erano stati tutti troppo impegnati fino a quel momento per
prestare anche un minimo di attenzione alla tenuta. Ora Sophie
si rendeva conto che era molto più vasta di come le era sembrata
in un primo momento. Aveva una terrazza coperta di erbacce,
delimitata da delle statue e con dei gradini che portavano al
viale d'accesso.
Quando Sophie si girò con il pretesto di esortare Percival a
sbrigarsi, vide che la casa era molto grande, con altre statue,
ancora più numerose, lungo il tetto e file di finestre. Tutto, però,
era in uno stato di abbandono. Una muffa verde scendeva da
ogni finestra, giù per i muri a cui si stava scrostando l'intonaco.
Molte finestre erano rotte e gli scuri, che avrebbero dovuto
essere fermati ai loro lati, pendevano grigi e rovinati.
— Uh! Il minimo che Howl avrebbe potuto fare era rendere
questo posto almeno un po' più vivibile. Ma, no! È troppo
occupato a fare il galletto là nel Galles! Percival, non startene lì
impalato! Versa un po' di quella robaccia nell'annaffiatoio e poi
seguimi.
Percival fece quello che le era stato ordinato, con aria
sottomessa e mansueta. Non era per nulla divertente
tiranneggiare una persona del genere. Sophie sospettò che Howl
l'avesse mandato con lei proprio per quel motivo. Sbuffò e
rivolse la sua rabbia contro le erbacce. Qualsiasi cosa fosse
quell'intruglio che aveva ucciso le sue piante era veramente
potente: le erbacce del viale morivano non appena ne erano
bagnate. Con loro moriva, però, anche l'erba ai lati della strada.
Sophie cercò di calmarsi e di misurare meglio i suoi gesti.
La pace della sera l'aiutò a rasserenarsi. L'aria fresca del
tramonto soffiava giù dalle colline, in distanza, e s'incanalava
fra gli alberi maestosi che costeggiavano il viale.
Sophie aveva già liberato dalle erbacce almeno un quarto di
quel lungo viale.
— Tu ricordi molto di più di quanto tu non dica, vero
Percival? — lo accusò, mentre riempiva nuovamente
l'annaffiatoio. — Che cosa voleva in effetti la Strega da te?
Perché ti ha portato con sé nella cappelleria, quel giorno?
— Voleva scoprire qualcosa su Howl.
— Howl? Ma tu non lo conoscevi... o no?
— No, non lo conoscevo... ma devo aver saputo qualcosa...
qualcosa che aveva a che fare con la maledizione che lei gli
voleva inviare —cominciò a spiegare Percival, cercando di fare
anche ordine nei suoi pensieri. — Io, però, non ho idea di che
cosa fosse. Lei si è presa quel qualcosa dopo che siamo venuti al
negozio. Mi sento male per quello. Io stavo cercando di
impedirle di sapere, perché una maledizione è una cosa
malvagia, demoniaca... L'ho fatto pensando a Lettie. A quel
tempo avevo già Lettie in testa. Non so come l'ho conosciuta,
perché lei mi ha detto di non avermi mai visto prima che andassi
ad Upper Folding. Ma sapevo tutto di lei... o per lo meno sapevo
abbastanza, tanto che, quando la Strega mi ha costretto a
parlarle di Lettie, io le ho detto che gestiva un negozio di
cappelli a Market Chipping. Così la Strega è venuta alla
cappelleria per dare a entrambi una lezione. Tu eri là e lei ha
pensato che tu fossi Lettie, mentre io ero paralizzato dall'orrore
perché non sapevo che Lettie avesse una sorella.
Sophie sparse generosamente del diserbante, desiderando che
le erbacce fossero la Strega delle Terre Desolate. — E ti ha
tramutato in un cane subito dopo la visita al negozio?
— Appena siamo arrivati fuori città. Non appena le ho fatto
sapere quello che voleva sapere, ha aperto lo sportello della
carrozza e mi ha detto: "Corri via. Ti chiamerò quando avrò
bisogno di te". E io mi sono messo a correre, perché riuscivo a
percepire l'incantesimo che m'inseguiva. Mi ha raggiunto non
appena sono arrivato nei pressi di una fattoria. La gente di
quella casa mi ha visto mentre mi trasformavo da uomo in cane,
e pensando che fossi un lupo mannaro ha cercato di uccidermi.
Ho dovuto mordere una persona per riuscire a fuggire. Ma non
sono riuscito a liberarmi del bastone e della corda con cui
volevano strozzarmi, così, alla fine, il bastone si è impigliato
nelle siepe che volevo attraversare.
Mentre ascoltava, Sophie liberò dalle erbacce un'altra curva
del viale.
— Poi sei andato dalla signora Fairfax.
— Sì, stavo cercando Lettie. Sono state entrambe molto
gentili con me, anche se non mi avevano mai visto prima. Il
Mago Howl continuava a far visita a Lettie e a corteggiarla. Ma
lei non lo voleva e mi chiese di morderlo per liberarsi di lui,
finché Howl, improvvisamente, non cominciò a chiederle di te
e...
Per poco Sophie non si versò il diserbante addosso. Poiché
nel punto in cui cadde la ghiaia si mise a fumare, rischiò
comunque di rovinarsi le scarpe.
— Cosa?
— Il Mago le disse: "Conosco una di nome Sophie, un po' ti
assomiglia", e Lettie, senza pensarci, gli disse che doveva
trattarsi di sua sorella. Poi si preoccupò moltissimo, anche
perché Howl continuava a chiederle di sua sorella. Lettie mi ha
detto che avrebbe dovuto mordersi forte la lingua, piuttosto che
dirglielo. Il giorno che sei arrivata, Lettie stava facendo la carina
con il Mago per scoprire come ti avesse conosciuto. Howl
sosteneva che tu eri una donna anziana e la signora Fairfax le
disse di averti visto e glielo confermò. Lettie pianse a calde
lacrime, non riusciva più a smettere e diceva: "A Sophie è
successo qualcosa di terribile! E la cosa peggiore è che lei pensa
di essere al sicuro da Howl. Sophie è di animo troppo buono per
vedere quanto Howl sia senza cuore!". Ed era talmente turbata
che io riuscii a trasformarmi in uomo tanto da riuscire a dirle
che sarei venuto da te e ti avrei tenuto d'occhio.
Sophie spruzzò diserbante producendo un gran arco di fumo.
— Maledizione! È molto gentile da parte di Lettie preoccuparsi
così, e le voglio ancora più bene per questo. Sono stata molto in
pena per lei. Ma io non ho bisogno di un cane da guardia!
— Sì, invece. O meglio, ne avresti avuto bisogno...
Purtroppo, però, sono arrivato troppo tardi.
Sophie fece volare il diserbante in preda alla rabbia, e
Percival dovette correre dietro l'albero più vicino per mettersi al
riparo. L'erba moriva dietro di lui mentre correva a rifugiarsi.
— Maledetti tutti quanti! —. Sophie gridava con quanto fiato
aveva in gola. — Ho fatto tutto il possibile per voi e anche di
più! Scaraventò l'annaffiatoio fumante in mezzo al viale e si
diresse a grandi passi verso le statue che fiancheggiavano
l'ingresso.
— Troppo tardi! — brontolava fra sé mentre marciava
spedita. — Che stupidaggine! Howl non è solo senza cuore, è
impossibile. Per di più io sono una vecchia.
Ma non poté negare che qualcosa fosse andato storto da
quando avevano trasferito il castello mobile o forse fin da prima.
E quel qualcosa sembrava legato al fatto che lei non fosse stata,
misteriosamente, in grado di affrontare le sue sorelle.
— E tutte le cose che ho detto al Re sono vere! — continuava
a brontolare. Se ne sarebbe andata coi suoi piedi, altro che
stivali delle sette leghe, e non sarebbe tornata indietro.
Gliel'avrebbe fatto vedere lei, a tutti quanti! A chi importava se
la povera signora Pentstemmon aveva contato su di lei per
impedire a Howl di scendere oltre per una brutta china! Sophie
era un fallimento su tutta la linea.
Era così che succedeva alla primogenita di tre sorelle. E la
signora Pentstemmon aveva pensato che Sophie, in ogni caso,
fosse l'amata vecchia madre di Howl. Non lo era forse stata? A
questo punto, Sophie si sentì terribilmente a disagio poiché le
venne in mente che una signora con gli occhi così allenati alla
magia da vedere un piccolo incantesimo nascosto nelle cuciture
di un abito, aveva potuto accorgersi, senz'altro più facilmente,
del potente incantesimo di cui lei era preda.
— Oh, accidenti anche a quel vestito grigio e scarlatto! Mi
rifiuto di credere di essere una delle sue vittime!
Il guaio era che l'abito blu e argento sembrava aver avuto lo
stesso effetto di quello incantato. Mosse ancora qualche passo
lungo il viale.
— Comunque, io non piaccio a Howl! — disse a se stessa
con sollievo. Questo pensiero rassicurante sarebbe stato
sufficiente a farla camminare tutta la notte, se un suono
improvviso e familiare non l'avesse fatta sentire a disagio. Le
sue orecchie avevano colto un toc, toc, toc che si stava
avvicinando. Guardò con attenzione al di sotto della sfera rossa
del sole, basso all'orizzonte, e là, sulla strada oltre alle statue
d'ingresso, vide una sagoma dalle braccia scheletriche che
avanzava inesorabile. Sophie raccolse le gonne, si girò di scatto
e si affrettò a ripercorrere la strada fatta. La polvere e la ghiaia
le volavano attorno. Afferrò Percival, che se ne stava ancora
impalato non lontano dal viale, e lo trascinò dietro agli alberi
più vicini.
— C'è qualcosa che non va?
— Zitto! C'è di nuovo quel maledetto spaventapasseri —
riuscì a dire Sophie con il fiato corto. Poi chiuse gli occhi. —
Non siamo qui. Non puoi trovarci. Va' via. Va' via subito,
subito... subito!
— Ma perché...
— Percival, chiudi quella bocca! Non qui, non qui, non qui!
La voce di Sophie era disperata. Aprì un occhio. Lo
spaventapasseri era quasi arrivato alle colonne che segnavano
l'accesso al viale e ora se ne stava lì in equilibrio sul suo
bastone, incerto sul da farsi.
— Bene! Si è fermato — disse Sophie a bassa voce. — Non
siamo qui. Va' via veloce, più che veloce, velocissimo. Va' via!.
Lo spaventapasseri ondeggiò, ebbe un'esitazione, ruotò su se
stesso e cominciò a tornare indietro, su per la strada maestra.
All'inizio il bastone batté lentamente e in modo ritmico sul
terreno, poi aumentò sempre più la velocità, come gli aveva
ordinato Sophie. Lei intanto respirava a fatica, aggrappata a una
manica di Percival, che lasciò finalmente andare solo quando
quella cosa terribile fu lontana dalla vista.
— Perché non vuoi che si avvicini?
Sophie rabbrividì e pensò che finché quello spaventapasseri
fosse stato nei paraggi lei non avrebbe avuto il coraggio di
andarsene. Raccolse l'annaffiatoio e si diresse verso la villa.
Qualcosa che svolazzava attirò la sua attenzione. Era una lunga
tenda bianca che usciva, a tratti, da una porta-finestra aperta,
oltre le statue della terrazza. Adesso le statue erano bianche,
perfettamente pulite, e vide che la maggior parte delle finestre
erano adorne di tende. I vetri non erano più rotti, gli scuri
aggiustati e dipinti di fresco con la vernice bianca. Non c'era
traccia di muffa sull'intonaco color crema della facciata. La
porta d'ingresso era un capolavoro di legno nero ornato di
riccioli dorati. Al centro faceva bella mostra di sé un leone
dorato che teneva in bocca un anello battiporta.
— Uh! Che lusso... — mormorò Sophie, ma resistette alla
tentazione di entrare per quella porta-finestra e di andare a
curiosare dentro la villa, che era senz'altro quello che Howl
avrebbe voluto che lei facesse. Invece, andò diritta verso il
portone, sollevò l'anello dorato e quindi spinse l'uscio con
violenza, entrando nel castello come una furia.
Mago e apprendista erano al tavolo di lavoro cercando di far
sparire in fretta le tracce di un incantesimo. Parte di esso doveva
essere servito per ristrutturare la villa, ma il resto, come Sophie
ben sapeva, doveva avere a che fare con un incantesimo per
sentire a distanza. Howl e Michael si girarono all'unisono verso
di lei, con un'espressione carica di nervosismo e aspettativa, al
tempo stesso Calcifer si rifugiò con un guizzo sotto i ceppi del
focolare.
— Sta' dietro di me, Michael — gli suggerì Howl.
Intanto Sophie gli urlava contro: — Ficcanaso! Brutto
impiccione che non sei altro!
— Qualcosa non è di tuo gusto? Vuoi che facciamo anche gli
scuri neri e oro?
— Impertinente... — balbettò Sophie. — Quante cose hai
ascoltato? Tu... tu... da quanto tempo sapevi che io ero... che
sono...?
— Vittima di un incantesimo? — Howl completò per lei la
frase. — Be', adesso...
— Gliel'ho detto io — intervenne Michael, girandosi verso il
Mago a disagio. — La mia Lettie...
— Tu! — la voce di Sophie suonò come un grido strozzato.
— Anche l'altra Lettie ha vuotato il sacco — si affrettò ad
aggiungere Howl, — come tu ora ben sai. E quel giorno la
signora Fairfax ha fatto un mucchio di chiacchiere. C'è stato un
momento in cui sembrava che tutti mi volessero informare su
questa faccenda. Persino Calcifer l'ha fatto... quando gliel'ho
chiesto, naturalmente! Ma sii onesta con te stessa, pensi davvero
che io conosca talmente poco il mio mestiere da non accorgermi
di un incantesimo così potente quando me lo trovo davanti? Ho
provato diverse volte a togliertelo di dosso, quando non
guardavi. Ma sembra che niente funzioni nel tuo caso. Ti ho
portata dalla signora Pentstemmon con la speranza che lei
potesse fare qualcosa, ma evidentemente anche lei non ci è
riuscita. Sai cosa ti dico? Che sono giunto alla conclusione che
ti piaccia startene nascosta sotto un travestimento.
— Un travestimento! — strillò Sophie.
Howl rise e continuò in tono canzonatorio: — Dev'essere
così, poiché stai facendo tutto da sola. Che strana famiglia siete!
Anche il nome è davvero Lettie?
Questo era troppo per Sophie. In quel momento Percival si
stava affacciando alla porta, portando il secchio ancora mezzo
pieno di diserbante. Sophie posò l'annaffiatoio, strappò dalle
mani di Percival il secchio e lo lanciò contro Howl, che fu
veloce a tuffarsi di lato. Dietro di lui, anche Michael riuscì a
evitare il secchio con una mossa fulminea e il diserbante si
trasformò in una colonna di fuoco verde che andava dal
pavimento al soffitto. Il secchio, facendo un rumore assordante,
finì nell'acquaio dove i fiori rimasti morirono all'istante.
— Wow... Era bello potente! —. La voce di Calcifer, da sotto
i ceppi di legna, aveva un tono ammirato.
Howl andò a tirar fuori il teschio da sotto i resti fumanti dei
fiori e lo asciugò con una delle sue lunghe maniche. — Certo
che era potente, Sophie non fa mai le cose a metà!
Il teschio, ripulito dalla micidiale sostanza, era tornato bello
bianco e lucido, mentre la manica di Howl appariva sbiadita. Il
Mago appoggiò il teschio sul banco di lavoro e si guardò l'abito
con rammarico. A Sophie, intanto, era venuta una mezza idea di
andarsene all'istante scendendo per il lungo viale alberato, ma
l'immagine dello spaventapasseri la fece sedere sulla sedia
accanto al fuoco, dove rimase tenendo il broncio. Non avrebbe
parlato con nessuno di loro!
— Sophie... — Howl aveva un tono gentile. — Io ho fatto
del mio meglio. Non hai notato che ultimamente i tuoi dolori,
tutti i tuoi acciacchi, sono migliorati? O ti piace avere anche
quelli?
Ma Sophie non gli rispose, così la lasciò perdere e si rivolse
a Percival.
— Sono felice di scoprire che, dopo tutto, ti è rimasto un po'
di cervello. Mi avevi preoccupato.
— In effetti, non riesco a ricordare granché... — gli rispose
Percival, ma la smise di comportarsi come un mezzo scemo.
Raccolse la chitarra e l'accordò. Dopo pochi secondi dallo
strumento usciva un suono molto più gradevole di prima.
— Ecco rivelato il mio grande cruccio — confessò Howl con
voce patetica. — Sono un gallese privo di orecchio musicale
dalla nascita! Hai raccontato tutto a Sophie? O ti sei tenuto per
te quello che la Strega stava realmente cercando di scoprire?
— Voleva sapere del Galles — gli rispose Percival.
— Immaginavo che si trattasse di quello... Ah, bene... —. E
senza aggiungere una parola, se ne andò in bagno dove rimase le
due ore successive. Per tutto quel tempo Percival continuò a
provare sulla chitarra diversi accordi, in modo lento, come se
stesse riflettendo, come se si volesse esercitare con cura.
Michael, intanto, passava uno straccio fumante per terra, nel
tentativo di raccogliere tutto il diserbante. Sophie, invece, se ne
stava seduta senza dire una parola accanto al focolare, dal quale,
ogni tanto, Calcifer la sbirciava, facendo capolino fra i ceppi.
Howl uscì dal bagno tutto tirato a lucido, con il suo vestito
nero e i capelli bianchi, in una nuvola di vapore che odorava di
genziana.
— Potrei fare tardi — disse rivolto a Michael. — A
mezzanotte scoccherà il giorno di San Giovanni e la Strega
potrebbe tentare qualche suo tiro mancino. Quindi tieni alte tutte
le difese e ricordati tutto quello che ti ho detto, per favore.
— Senz'altro —. Michael cercò di rassicurare Howl, mentre
buttava i resti fumanti dello straccio nel lavandino.
Poi il Mago si rivolse a Percival: — Penso di sapere quello
che ti è successo. Toglierti di dosso tutti i livelli di quella
maledizione sarà un lavoretto divertente, ma faremo un tentativo
domani, al mio ritorno. Poi andò verso la porta e si fermò con
una mano sul pomello.
— Sophie, non mi vuoi ancora parlare? — le chiese con aria
triste. Sophie sapeva che Howl riusciva ad apparire terribilmente
triste e sconfortato, se gli faceva comodo. Poi l'aveva appena
usata per ottenere informazioni da Percival, perciò il suo no! le
uscì di gola strozzato e stizzito. Howl mandò un sospiro e uscì.
Sophie allora alzò lo sguardo e vide che il pomello aveva la
parte nera girata in basso.
— E sia! — pensò, — non m'interessa se domani è il giorno
di San Giovanni! Io me ne andrò.
CAPITOLO VENTI
In cui Sophie incontra ulteriori difficoltà a lasciare il castello
E venne l'alba del giorno di San Giovanni. Proprio quasi in
quel momento, quando la luce cominciava a farsi strada nel
cielo, Howl piombò nel castello con un rumore tale che Sophie
schizzò su dal suo lettuccio nel sottoscala, convinta che la
Strega gli fosse alle calcagna.
— Hanno una così alta considerazione di me, che quando
giocano non mi chiamano mai! — sbraitava il Mago.
Sophie si rese conto che stava semplicemente cantando la
canzoncina di Calcifer e tentò di riaddormentarsi, ma il Mago
cadde sulla sedia e i piedi gli rimasero impigliati nello sgabello,
che si schiantò dopo aver fatto un volo attraverso la stanza.
Poi Howl cercò di salire al piano di sopra prima passando
attraverso il ripostiglio, poi per il cortile posteriore. Era senza
dubbio disorientato, quando finalmente scoprì le scale, ma
scagliò il primo gradino, cadendo a faccia in giù e facendo
scuotere tutto il castello.
— Qualche problema? — gli chiese Sophie ficcando la testa
fra le colonne della ringhiera.
— La riunione del Club del Rugby — le rispose, cercando di
dare alla sua voce un tono di grande dignità. — Forse tu non sai
che sono io quello che fa volare di solito l'ala della mia
università. Lo sapevi questo, Signora Ficcanaso?
— Se stavi cercando di volare, devi aver dimenticato come si
fa!
— Sono nato sotto strani segni, cose invisibili da vedere... e
me ne stavo andando a letto quando tu mi hai interrotto. So dove
sono finiti tutti gli anni passati e chi taglia il piede del Diavolo.
— Vattene a letto, pazzo che non sei altro! — lo esortò
Calcifer, mezzo addormentato. — Sei solo ubriaco.
— Chi, io? Vi assicuro, amici miei, che sono assolutamente
sobrio.
Si rialzò e cominciò a fare i gradini, barcollando e tastando il
muro, come se temesse che la parete dovesse sfuggirgli di
fianco. Arrivato al piano di sopra, scagliò la porta della sua
camera.
— Sobrio... Che bella bugia ho detto! — confessò a se stesso
mentre cercava di entrare attraverso il muro. — La mia brillante
disonestà sarà la mia salvezza.
Provò più volte a entrare nella sua stanza da letto, finché non
trovò, finalmente, la porta. Sophie lo sentì cadere e rialzarsi,
lamentandosi che il letto gli sfuggiva di sotto.
— Che uomo impossibile! — e decise che se ne sarebbe
andata all'istante. Sfortunatamente per Sophie, tutto il fracasso
fatto da Howl aveva svegliato Michael e Percival, che dormiva
sul pavimento in camera con l'apprendista. Michael scese
proponendo di andare a raccogliere i fiori, visto che ormai erano
tutti svegli e stava già albeggiando. Quel giorno avrebbero
dovuto fare un buon numero di ghirlande per la festa di San
Giovanni, quindi tanto valeva darsi da fare approfittando delle
fresche ore del primo mattino. Sophie fu d'accordo con lui anche
perché era contenta di salutare, per l'ultima volta, quel fantastico
giardino.
Fuori c'era una nebbiolina lattiginosa e calda, densa di
profumi diversi. Camminò lungo i sentieri, aiutandosi con il fido
bastone e ascoltando le migliaia di uccellini che popolavano il
giardino, e provò un gran dispiacere all'idea di lasciare tutto
quanto. Raccolse un giglio coperto di rugiada e ne accarezzò i
lunghi stami, poi si girò verso la sagoma alta e nera del castello,
sospirando.
— L'ha molto migliorato — notò Percival mentre metteva un
fascio di hibiscus appena recisi nella tinozza fluttuante in aria.
— Chi ha migliorato cosa? — gli chiese Michael.
— Howl ha migliorato il giardino. Qui, all'inizio, c'erano
solo cespugli ed erano piuttosto piccoli e secchi.
— Ti ricordi di essere già stato qui? —. Michael era eccitato,
non aveva ancora accantonato l'idea che Percival potesse essere
il Principe Justin.
— Penso di essere stato qui con la Strega — ma la sua voce
suonava carica di dubbi.
Raccolsero due tinozze di fiori, e quando rientrarono per la
seconda volta nel castello, Sophie notò che Michael girava il
pomello della porta più volte. Quelle mosse dovevano avere a
che fare con le difese contro la Strega. Naturalmente c'erano
tutte le ghirlande da fare quel lavoro prese loro un sacco di
tempo. Sophie aveva pensato di lasciare i due ragazzi a lavorare,
ma Michael era troppo preso da tutta una serie di domande
intelligenti che continuava a porre a Percival, mentre
quest'ultimo era terribilmente lento e impacciato a intrecciare le
ghirlande.
Sophie sapeva che cosa rendeva Michael così eccitabile,
poiché c'era una sorta di strana atmosfera carica di aspettative
che accompagnava Percival. Anzi, Sophie si domandò anche
quanto potere della Strega gli fosse rimasto addosso, mentre
lavorava alacremente per fare quasi tutto il lavoro da sola.
In quella frenetica attività, qualsiasi pensiero che avesse
potuto ancora avere di aiutare Howl contro la Strega, svanì per
la fatica e la rabbia: il Mago avrebbe potuto intrecciare tutte le
ghirlande del mondo alzando semplicemente una mano, invece
se ne stava di sopra, russando in modo talmente sonoro che
Sophie poteva sentirlo chiaramente anche dal negozio.
Continuarono a lavorare, ma non avevano ancora finito
quando fu tempo di aprire bottega. Michael andò a prendere
alcune fette di pane e miele che sbocconcellarono, mentre
servivano la prima ondata di clienti che si era riversata in
negozio.
Sebbene il giorno di San Giovanni, come spesso accadeva
durante una festa, si fosse trasformato con il passare delle ore in
una giornata grigia e fredda, metà degli abitanti di Market
Chipping, tutti agghindati nei loro abiti migliori, arrivarono a
comprare le ghirlande per il festival. Per strada c'era la solita
folla festante e in negozio ebbero un continuo via vai di gente
fino a mezzogiorno, quando Sophie riuscì finalmente a
guadagnare le scale e a tornare nel castello. Lì si mise a
radunare un po' di cibo e i suoi vecchi vestiti in un fagotto,
mentre pensava che avevano guadagnato tanti soldi da far
aumentare il gruzzolo che Michael teneva come riserva di
almeno dieci volte.
— Sei venuta a parlare con me? — le chiese Calcifer.
— Faremo due chiacchiere fra un po' — gli rispose Sophie
mentre attraversava la stanza con il suo fagotto nascosto dietro
la schiena, poiché non voleva che Calcifer tirasse fuori la storia
del suo contratto. Stava allungando la mano per prendere il
bastone appoggiato alla sedia, quando qualcuno bussò alla porta
e Sophie dovette rivolgere uno sguardo interrogativo verso il
demone.
— E la porta della villa. Carne e ossa, senza alcun pericolo.
Il colpo alla porta fu ripetuto. Proprio tutte le volte che
cercava di andarsene. .. Sophie, comunque, girò il pomello
sull'arancione e aprì l'uscio. Sul viale era ferma una carrozza
trainata da due cavalli, che Sophie riuscì a scorgere oltre le
larghe spalle del robusto servitore che aveva appena bussato.
— La signora Sacheverell Smith, per far visita ai nuovi
vicini — annunciò il valletto.
— Molto inopportuna! — pensò Sophie. Questo era
senz'altro il risultato della ristrutturazione della villa appena
operata da Howl. — Mi spiace, ma noi non siamo ancora... —.
Ma la signora Sacheverell Smith spostò il suo servitore ed entrò.
— Theobald, aspettami in carrozza — ordinò al servo,
sorpassando Sophie e chiudendo il suo parasole.
Era Fanny... una Fanny che era l'immagine stessa della
prosperità con il suo vestito di seta color crema. In testa portava
un cappello dello stesso tessuto adorno di rose che Sophie
ricordava molto bene. Era il cappello a cui aveva detto, mentre
lo guarniva: "Farai un ricco matrimonio". E dall'aspetto di
Fanny era chiaro che la profezia si era avverata. — Oh, povera
me. Ci dev'essere stato un errore — stava intanto dicendo
Fanny, guardandosi attorno. — Questa è l'ala della servitù.
— Veramente... ecco... non ci siamo ancora trasferiti
completamente, signora — cercò di spiegarle Sophie,
domandandosi come si sarebbe sentita Fanny se avesse saputo
che il loro vecchio negozio era proprio dietro il varco aperto nel
ripostiglio.
La sua matrigna si girò e rimase a bocca aperta.
— Sophie!— esclamò con stupore. — Oh, misericordia...
Cosa ti è successo, bambina mia? Sembra che tu abbia
novant'anni! Sei stata malata?
E con gran sorpresa di Sophie, Fanny gettò via cappello,
parasole e i modi da gran dama per cingerla in un caloroso
abbraccio.
— Oh, non sapevo che cosa ti fosse successo! — disse fra le
lacrime. — Sono andata da Martha e mi sono informata presso
Lettie, ma nessuna delle due sapeva nulla. Quelle sciocchine si
sono scambiate di posto, lo sapevi? Nessuno, nessuno sapeva
niente di te! Ho promesso anche una ricompensa, se qualcuno ti
avesse trovato. Ed eccoti qui, a lavorare come una serva, mentre
potresti vivere nel lusso, là sulla collina, con me e il signor
Smith!
Sophie si ritrovò a piangere anche lei come Fanny. Lasciò
cadere il suo fagotto e condusse la matrigna alla sedia vicino al
focolare, poi prese lo sgabello e si sedette al suo fianco,
tenendole la mano. Ora stavano ridendo e piangendo al tempo
stesso, entrambe sinceramente felici di essersi ritrovate.
— È una lunga storia — disse Sophie dopo che Fanny le
aveva chiesto per la sesta volta cosa le fosse successo. —
Quando ho visto, riflessa nello specchio, la mia nuova
immagine, sono rimasta talmente scioccata che sono uscita e mi
sono messa a vagabondare...
— Troppo lavoro — la interruppe Fanny con tono colpevole.
— Come devo biasimare me stessa!
— No, no davvero, poi non devi preoccuparti perché il Mago
Howl mi ha accolto e...
— Il Mago Howl! — esclamò Fanny. — Quell'uomo
crudele? Quel maschio malvagio? È stato lui a ridurti così?
Dov'è? Presentamelo, che lo combino per le feste!
Prese in mano il parasole con tale veemenza e con un'aria
talmente bellicosa che Sophie dovette costringerla a sedersi di
nuovo. Non poteva nemmeno pensare alla reazione che avrebbe
avuto Howl svegliato di soprassalto dal parasole di una Fanny
infuriata!
— No, Fanny, no! Howl è stato molto gentile con me.
E pronunciando queste parole Sophie si rese conto che stava
dicendo la verità. Howl le aveva dimostrato gentilezza in modo
strano, tutto suo, ma in effetti era stato molto buono con lei,
considerando anche quante noie le gli aveva procurato.
— Ma dicono che si mangi le donne vive! — protestò Fanny,
che stava ancora cercando di alzarsi in piedi.
Sophie la tenne seduta agitando il parasole, mentre
continuava a parlare. — Non è vero niente. Ascolta, non è
affatto crudele! Dietro di lei sentì il fuoco che sfrigolava.
Evidentemente Calcifer stava assistendo alla scena con grande
interesse.
— Non è cattivo — continuò Sophie sia a beneficio di
Calcifer che rivolta a Fanny — per tutto il tempo che io sono
rimasta qui non gli ho visto fare un solo incantesimo cattivo! —.
E Sophie sapeva benissimo che stava di nuovo dicendo la verità.
— Insomma, devo crederti —. Fanny appariva ora più
rilassata. — Anche se sono sicura che sia stato merito tuo, se si è
ravveduto. Tu hai sempre avuto un dono particolare, Sophie.
Riuscivi a far smettere le crisi di nervi di Martha, quando io non
ci riuscivo affatto. E ho sempre detto che era merito tuo se
Lettie faceva come le pareva solo metà delle volte e non tutte!
Ma tu avresti almeno potuto dirmi dove ti trovavi, tesoro
mio! Sophie sapeva che avrebbe dovuto farlo. Aveva preso per
buono il punto di vista di Martha senza pensarci su, quando
invece avrebbe dovuto conoscere meglio la sua matrigna e avere
di lei un'opinione migliore. Ora se ne vergognava
profondamente. Fanny, intanto, ansiosa di raccontare a Sophie
del signor Sacheverell Smith, si era lanciata in un lungo e
particolareggiato racconto. L'aveva incontrato proprio la
settimana in cui Sophie se n'era andata e l'aveva sposato prima
ancora che quella stessa settimana fosse finita. Mentre la sua
matrigna si accalorava nel racconto, Sophie si mise a studiarla.
Il fatto di essere così anziana le dava di lei un punto di vista
completamente nuovo.
Fanny era una signora ancora giovane e graziosa, che aveva
trovato il negozio di cappelli noioso come l'aveva trovato
Sophie. Finché era vivo il loro babbo, Fanny era rimasta
coinvolta nell'attività di modisteria e nell'educazione delle tre
figlie e aveva cercato di fare il proprio meglio. In seguito aveva
temuto di diventare come Sophie: vecchia e senza una meta per
cui valesse la pena di tirare avanti.
— E poi, senza di te a cui passare l'attività del negozio,
sembrava che non ci fosse più alcuna ragione per mandarlo
avanti. Così ho deciso di vendere — stava proprio dicendo
Fanny a conferma dei pensieri di Sophie. In quel mentre si udì
uno scalpiccio di piedi nel ripostiglio. Michael avanzò nella
stanza.
— Abbiamo chiuso il negozio. Guardate chi c'è qui! — Così
dicendo spinse avanti Martha.
Era più magra e più chiara di capelli e molto più somigliante
a se stessa ora. Lasciò la mano di Michael e corse ad abbracciare
Sophie gridando: — Avresti dovuto dirmelo! —. Poi andò ad
abbracciare Fanny, nonostante tutto quello che aveva detto di
lei.
Ma non era finita lì. Dopo Martha, arrivarono anche Lettie e
la signora Fairfax, che portavano un grande cesto, e dopo di loro
entrò Percival, finalmente più vivace e animato. — Siamo
arrivate alle prime luci dell'alba con il barocciaio e abbiamo
portato... Dio ti benedica, questa è proprio Fanny!
Lasciò andare di colpo il manico del cesto, per andare a far
festa a Fanny, mentre Lettie posava anche l'altra estremità del
canestro per andare ad abbracciare Sophie.
A quel punto c'era un tale frastuono, dato da tutti quei saluti,
quelle esclamazioni e quelle grida festose, che Sophie si
meravigliò del fatto che Howl dormisse ancora saporitamente,
come lo confermava il russare che giungeva alla sue orecchie
nonostante il chiasso...
— Dovrò lasciare il castello questa sera — pensò Sophie,
però, era troppo felice di rivedere tutti i suoi cari per andarsene.
Lettie era molto presa da Percival. Mentre Michael portava il
cesto sul tavolo e ne tirava fuori polli freddi, bottiglie di vino e
dolci al miele, Lettie si aggirava per la stanza al braccio di
Percival, con un'aria di possesso che Sophie non si sentiva di
approvare, e gli faceva dire tutto quello che si ricordava. Ma al
ragazzo sembrava che tutto ciò non desse assolutamente
fastidio, anzi, e poi Lettie era così carina!
— Appena è arrivato ha continuato a trasformarsi in un
uomo, prima, poi in cani di razze diverse, insistendo che mi
aveva già conosciuto — spiegò Lettie alla sorella maggiore, —
mentre io insistevo di non averlo mai visto prima. Ma non fa
alcuna differenza... — e diede un colpetto rassicurante a
Percival su una spalla, proprio come se fosse ancora un cane.
— Ma tu hai mai incontrato il Principe Justin? — le chiese
Sophie.
— Oh, sì —. Così dicendo Lettie abbassò la voce e si mise
una mano davanti alla bocca. — Tienitelo per te, perché era
camuffato con un'uniforme verde, ma era comunque proprio lui.
Era così calmo e distaccato, e anche quand'era chiaramente
seccato per tutti quegli incantesimi di ritrovamento, si
comportava in modo regale... Gliene ho dovuti fare due dozzine,
perché tutti indicavano che il Mago Suliman era da qualche
parte fra la casa della signora Fairfax e Market Chipping, e lui
giurava che questo non era assolutamente possibile. E tutte le
volte che io mi rimettevo al lavoro, lui mi interrompeva,
chiamandomi 'dolce signora', ma con tono un po' sarcastico, e
mi chiedeva chi fossi, dove vivesse la mia famiglia, quanti anni
avessi... Pensai che fosse uno sfrontato! Avrei preferito il Mago
Howl, il che è tutto dire!
A quel punto tutti se ne stavano a chiacchierare, mangiando
pollo e sorseggiando un bicchiere di vino. Solo Calcifer
sembrava non partecipare alla festa e se ne stava timido e basso
sui ceppi, mandando solo qualche fiammella verde. Visto che
Sophie gli voleva presentare Lettie, cominciò a fargli un sacco
di moine.
— È davvero il demone da cui dipende la vita di Howl? —
chiese Lettie che guardava le fiammelle con aria poco convinta.
Sophie alzò gli occhi per assicurare Lettie che Calcifer era un
vero demone e vide la signorina Angorian ferma sulla soglia,
con aria timida e incerta. — Oh, scusatemi tanto, sono venuta
nel momento sbagliato, vero? Volevo solo parlare con Howell.
Sophie rimase incerta sul da farsi. Si vergognava di come
aveva trattato la signorina Angorian quand'era venuta la volta
precedente, solo perché Howl la corteggiava. In ogni caso, si
disse, non era costretta a farsi piacere quella donna.
Michael, inaspettatamente, le tolse le castagne dal fuoco,
poiché salutò la signorina Angorian con un sorriso smagliante e
un benvenuto forse un po' troppo gridato. — Howl sta
dormendo, in questo momento — le disse l'apprendista, — ma
venite a bere un bicchiere di vino, mentre aspettate.
— Molto gentile, da parte vostra!
Ma era chiaro che la signorina Angorian non fosse felice.
Rifiutò il vino e se ne stette a gironzolare, mentre rosicchiava
una coscia di pollo. La stanza era piena di persone che si
conoscevano piuttosto bene fra loro, lei era l'unica estranea.
Fanny non fu affatto d'aiuto, poiché l'unico commento che fece,
inserito in una conversazione non stop con la signora Fairfax,
fu: "Che strano abbigliamento, molto particolare!". Anche
Martha non aiutò la signorina Angorian a inserirsi nel gruppo,
anzi, visto lo sguardo ammirato di Michael quando le aveva dato
il benvenuto, Martha si adoperò perché l'apprendista parlasse
solo con lei o con Sophie. Lettie semplicemente ignorò la
signorina e andò a sedersi su per le scale con Percival. Molto
presto l'intrusa ne ebbe abbastanza di essere tale e si diresse
verso la porta. Sophie la vide che armeggiava per aprire e le si
avvicinò di corsa, sentendosi in colpa. Dopo tutto la signorina
Angorian doveva provare un sentimento molto forte per Howl,
per continuare a venire a cercarlo a casa.
— Per favore, non ve ne andate. Andrò a svegliare Howl.
— Oh, non dovete —. Intanto la signorina sorrideva a Sophie
con aria nervosa. — Ho il giorno libero e non mi dispiace
aspettare. Pensavo di andare a esplorare un po' i dintorni. Qui
dentro c'è un'aria pesante con quel buffo fuoco verde che brucia.
A Sophie sembrò una splendida occasione per liberarsi della
signorina Angorian senza liberarsi veramente di lei. Così le aprì
educatamente la porta che aveva il pomello girato, non si sa
come, sul porpora, ma forse questa cosa aveva a che fare con le
difese di cui Howl aveva parlato con Michael. Fuori c'era una
nebbiolina data dal calore e bordure cariche di fiori rossi e
purpurei.
— Che rododendri superbi! — esclamò la signorina
Angorian con la sua voce più roca e vibrante. — Io devo vedere!
—. E scese in fretta nell'erba acquitrinosa.
— Non andate verso sud-est — l'avvertì Sophie.
Il castello, in quel momento, si stava spostando di lato e la
signorina Angorian aveva il suo bel viso sepolto in un mazzo di
fiori bianchi.
— Non andrò affatto lontano — furono le sue parole.
— Santo cielo! Cos'è accaduto alla mia carrozza? — chiese
Fanny alle spalle di Sophie.
Sophie cercò di spiegarle quel tanto che poteva, ma Fanny
era talmente preoccupata che Sophie dovette girare il pomello
sull'arancione e aprire la porta. Allora Fanny poté constatare che
la sua carrozza non si era volatilizzata per magia, ma era ancora
là sul viale della villa, con il cocchiere e il valletto che
giocavano a carte mangiando salsicce fredde proprio sul tetto di
quella carrozza. Sophie cercò di spiegarle, senza in effetti
saperlo bene nemmeno lei, il funzionamento di quella porta
unica, che si poteva aprire su parecchi posti differenti. Stava
ancora parlando con la matrigna, quando Calcifer si alzò dai sui
ceppi di colpo, ruggendo. — Howl!
Il camino si riempì di una fiammata blu. — Howl! Howell
Jenkins, la Strega ha trovato la famiglia di tua sorella!
Ci furono due colpi violenti al piano di sopra. La porta della
camera di Howl sbatté e il Mago arrivò giù in un battibaleno,
scavalcando Lettie e Percival ancora sulle scale.
Fanny lanciò un debole grido vedendo il Mago, i cui capelli
erano come un covone di grano mentre gli occhi erano molto
arrossati.
— Beccato al fianco, nel mio punto debole, maledetta! —
urlò Howl mentre attraversava la stanza facendo fluttuare le
maniche nere. — Temevo che l'avrebbe fatto! Grazie Calcifer!
—. Spostò Fanny e aprì la porta. Sophie udì sbattere la porta
dietro di Howl, mentre si affrettava a raggiungere il piano di
sopra. Sapeva che quello voleva dire spiare, ma doveva
assolutamente vedere quello che sarebbe accaduto. Mentre
attraversava zoppicando la camera di Howl, sentì che tutti gli
altri l'avevano seguita.
— Che stanza sudicia! — Fanny non si poté trattenere
dall'esclamare. Sophie guardò fuori dalla finestra. Sul giardino
tutto ordinato, stava cadendo una pioggerella sottile. L'altalena
era ricoperta di gocce. Anche la criniera rossa della Strega ne
era imperlata. Se ne stava in piedi, appoggiata all'altalena, alta e
imperiosa nel suo abito rosso. Ripeteva un gesto con la mano
per chiamare qualcuno.
Mari, la nipotina di Howl, si trascinava sull'erba bagnata
verso la Strega, ma sembrava che non volesse affatto muoversi,
solo che non aveva altra scelta. Dietro di lei Neil, il nipote del
Mago, procedeva ancor più lentamente con un'espressione
feroce testimone del fatto che era costretto a fare qualcosa che
non aveva la minima intenzione di fare. Dietro ai due bambini
veniva, infine, Megan, che gesticolava e continuava a parlare
ininterrottamente.
Era chiaro che la Strega le stava rubando una parte della
mente, mentre la costringeva a procedere come i suoi figli.
Howl apparve all'improvviso, di schianto, sul prato. Non si
era curato, nella fretta, di cambiarsi i vestiti e non si diede
neanche la pena di tirar fuori le sue arti magiche, puntò
semplicemente e direttamente verso la Strega. Questa fece un
gesto per afferrare Mari, ma la bambina era ancora troppo
lontana da lei. Howl arrivò per primo alla nipote, la nascose
dietro di sé e caricò la Strega come un ariete. La Strega si mise a
correre come un gatto inseguito da un cane attraverso il prato e
svanì oltre la siepe ben tenuta, in un turbine di veli color
fiamma. Howl, come un cane da caccia, le stava dietro a non più
di un piede di distanza, con le sue lunghe maniche nere che
fluttuavano nell'aria. Poi la siepe nascose entrambi alla vista.
— Spero proprio che la prenda — fu il commento di Martha.
— La bambina sta piangendo.
Laggiù, nel suo giardino tutto ordinato, Megan aveva intanto
messo un braccio attorno alle spalle di Mari e ora stava portando
in casa entrambi i suoi figli. Non c'era modo si sapere cosa ne
fosse della Strega e di Howl. Lettie, Percival, Martha e Michael
tornarono al piano di sotto, mentre Fanny e la signora Fairfax
erano pietrificate dal disgusto per le condizioni della camera del
Mago.
— Guarda quei ragni, Fanny!
— E tu guarda la polvere sulle tende del baldacchino!
Annabel, ho visto delle scope in quel passaggio che abbiamo
attraversato per venire su.
— E vero, prendiamole. Appunteremo con qualche spilla il
tuo vestito, Fanny, e ci metteremo al lavoro. Non posso
sopportare che una stanza sia in questo stato!
— Oh, povero Howl! — pensò Sophie. — Lui ama quei
ragni.
Si attardò sulle scale cercando di escogitare come fermare
quelle due. Dal piano di sotto Michael la chiamava: — Sophie,
stiamo andando a dare un'occhiata attorno alla villa. Volete
venire con noi? Ecco la scusa ideale per impedire alle due
signore di fare le pulizie. Sophie chiamò Fanny e si affrettò a
scendere al piano di sotto. Lettie e Percival stavano già aprendo
a porta.
Lettie non aveva sentito la spiegazione di Sophie riguardo a
quell'uscio ed era chiaro che neanche Percival ne aveva sentito,
o capito, niente, infatti stavano aprendo con il pomello sul
porpora. Avevano già spalancato l'uscio, quando sopraggiunse
Sophie che voleva correggerli. Lo spaventapasseri apparve nella
cornice della porta su uno scenario fiorito.
— Chiudi! — strillò Sophie, che aveva capito quello che era
successo. Lei stessa, la sera precedente, aveva ordinato a quella
cosa di andare dieci volte più in fretta e lo spaventapasseri si era
semplicemente affrettato verso l'entrata del castello e aveva
cercato di entrare da lì. Ma fuori, fra le piante, doveva esserci
anche la signorina Angorian. Si domandò se giacesse svenuta o
morta di paura in qualche cespuglio.
— No, ti prego. No — mormorò Sophie debolmente.
Nessuno comunque stava pensando a lei. Il viso di Lettie,
che si era aggrappata a Martha, era eburneo come il vestito di
Fanny. Percival se ne stava impalato a bocca aperta e Michael
stava cercando di afferrare il teschio che sbatteva talmente forte
i denti da correre il rischio di cadere giù dal banco di lavoro
trascinando con sé una bottiglia di vino. Il teschio sembrava
aver prodotto anche uno strano effetto sulla chitarra che
emetteva un lungo, sonoro lamento. Calcifer alzò di nuovo le
fiamme verso il camino. — Quella cosa sta parlando e dice che
non ha nessuna intenzione di fare del male. Penso che dica la
verità. Sta aspettando il tuo permesso per entrare. Era vero, lo
spaventapasseri se ne stava fermo davanti alla porta senza fare
alcun tentativo di saltare dentro, come invece aveva fatto le
volte precedenti. E Calcifer doveva fidarsi di lui, poiché aveva
fermato il castello. Sophie guardò la faccia di rapa e gli stracci
che gli coprivano le braccia stecchite. Dopotutto non sembrava
poi così spaventoso. Le venne in mente di aver provato dei
sentimenti di pietà per quella cosa; il fatto, poi, che tutte le volte
che lei aveva deciso di lasciare il castello, lo spaventapasseri
fosse arrivato puntualmente a impedirglielo, forse dipendeva dal
suo stato d'animo: era lei che, in realtà, non aveva voluto
andarsene. A quel punto, però, non ci sarebbero state più scuse,
doveva andarsene in ogni caso: Howl preferiva la signorina
Angorian.
— Prego, accomodati —. L'invito di Sophie suonò solo un
po' roco, gracchiante.
— Ahmmmnng! — fece la chitarra. Lo spaventapasseri entrò
nella stanza con un balzo poderoso. Poi rimase a dondolarsi in
equilibrio, guardandosi attorno come se stesse cercando
qualcosa. Il profumo di fiori che aveva portato con sé non
riusciva comunque a coprire l'olezzo di polvere e di rapa marcia,
che pervase l'ambiente.
Il teschio ricominciò a battere i denti sotto le dita di Michael.
Lo spaventapasseri si girò a quel rumore, e apparve felice
mentre si dirigeva verso quelle povere ossa. Michael fece un
tentativo di salvare il teschio, ma poi si tolse velocemente di
mezzo poiché non appena lo spaventapasseri cadde sul bancone,
una scossa di potente magia percorse l'aria, e il teschio si
mescolò con la testa di rapa, anzi, sembrò che le ossa entrassero
nella rapa e la riempissero per bene, dando l'impressione di un
volto spigoloso. L'unico problema era che il volto era girato
all'indietro. Lo spaventapasseri si scosse, fece un salto un po'
incerto, poi girò a effetto il proprio corpo e si ritrovò con la
faccia girata nel verso giusto. Immediatamente le braccia
stecchite cominciarono a muoversi e ad abbassarsi lentamente
lungo i fianchi.
— Ora posso parlare — disse con voce impastata.
— Potrei svenire — annunciò Fanny, ferma sulle scale.
— Sciocchezze — intervenne la signora Fairfax alle sue
spalle. — Quella cosa è solo il golem di un Mago. Deve
compiere la missione che gli è stata affidata. I golem sono
creature, di solito, piuttosto innocue.
Anche Lettie sembrava sull'orlo di uno svenimento, ma
l'unico a cui mancarono davvero i sensi fu Percival. Scivolò sul
pavimento senza fare rumore e rimase là rannicchiato come se si
fosse addormentato. Lettie, nonostante fosse terrorizzata, corse
dal ragazzo, ma si dovette fare subito indietro poiché lo
spaventapasseri con un balzo si piazzò davanti a Percival. —
Questa è una delle parti che dovevo trovare. Poi con un altro
balzo fu davanti a Sophie. — Ti devo ringraziare. Il mio teschio
era molto lontano e io ho esaurito le forze prima di
raggiungerlo. Sarei rimasto sul margine di quella strada per
sempre se tu non fossi arrivata e mi avessi ridato vita,
parlandomi —. Quindi accennò un inchino a Lettie e uno alla
signora Fairfax. — Ringrazio anche voi due.
— Chi ti ha mandato? E cosa dovresti fare? — gli chiese
Sophie.
Lo spaventapasseri rimase in bilico sulla sua unica gamba.
— Più di quanto ho fatto finora. Ci sono ancora delle parti
mancanti. Ognuno di loro sembrava in attesa, troppo scosso per
parlare, mentre lo spaventapasseri ruotava su se stesso,
probabilmente pronto ad andarsene.
— Percival di cosa è parte? — gli chiese allora Sophie.
— Lascia che raccolga i suoi pezzi da solo — intervenne
Calcifer. — Nessuno gli ha chiesto di spiegare se stesso pri...
All'improvviso il demone si interruppe, e rabbrividì finché le
sue fiamme non diventarono di un verde tenue. Michael e
Sophie si scambiarono occhiate allarmate.
Poi, dal nulla arrivò una nuova voce. Era amplificata e
soffocata al tempo stesso, come se stesse parlando dentro una
scatola. Non c'era, però, ombra di dubbio: quella era la voce
della Strega.
— Michael Fisher, devi dire al tuo signore che è caduto in un
tranello. Ora io tengo prigioniera la donna chiamata Lily
Angorian nella mia fortezza nelle Terre Desolate. Digli che la
libererò solo se verrà lui a prenderla. È tutto chiaro, Michael
Fisher?
Lo spaventapasseri si tornò a girare e cominciò a saltellare
verso la porta.
— Fermatelo! — gridò Michael. — La Strega deve averlo
mandato per poter entrare qua dentro!
CAPITOLO VENTUNO
In cui viene concluso un contratto di fronte a testimoni
La maggior parte delle persone radunate nella stanza corse
dietro allo spaventapasseri. Sophie, invece, corse dalla parte
opposta, raccolse il suo bastone ed entrò in negozio.
— E colpa mia — brontolava con se stessa. — Ho una vera
dote per fare sempre le cose sbagliate! Avrei potuto trattenere la
signorina Angorian se solo mi fossi messa a chiacchierare
educatamente con lei, poverina! Howl può avermi perdonato un
sacco di cose, ma non mi perdonerà questa tanto facilmente!
Arrivata in negozio, si affrettò a togliere dalla vetrina gli
stivali delle sette leghe, li vuotò dei fiori che contenevano,
rovesciò l'acqua per terra e trascinò le enormi calzature fuori
dalla porta, sul marciapiede affollato.
— Mi scusi — dovette dire a varie scarpe e diverse maniche,
tanta era la gente in strada. Alzò gli occhi per controllare la
posizione del sole in quel momento, cosa non facile vista la
giornata grigia e nuvolosa.
— Vediamo... sud-est... In quella direzione... Mi scusi, mi
scusi...
Si ritagliò un po' di spazio sul marciapiede per posizionare
gli stivali nella direzione giusta, poi li indossò con un balzo e
cominciò a camminare a lunghe falcate.
Zip-zip, zip-zip, zip-zip, zip-zip, zip-zip, zip-zip, zip-zip.
Andare con due stivali era ancora meglio: maggiori sia la
velocità che la stabilità. Fra una lunga falcata e l'altra Sophie
lanciava delle brevi occhiate al paesaggio che scorreva sotto di
lei: la villa, circondata dagli alberi, alla fine della valle con la
carrozza di Fanny ancora ferma all'ingresso; le felci sulle
colline; un torrente che scendeva in una valletta verde; lo stesso
torrente che scorreva in una valle molto più ampia; la stessa
valle che si apriva a tal punto che non se ne scorgeva la fine e
l'orizzonte che sembrava tingersi di blu; poi in lontananza una
fila di torri e guglie che potevano essere quelle di Kingsbury;
poi la pianura ai piedi delle montagne; una montagna così
scoscesa che Sophie, nonostante il bastone, scivolò fino alle sue
pendici e corse il rischio di cadere in una gola profondissima
coperta di nebbiolina blu. A quel punto solo una veloce e
lunghissima falcata le impedì di cadere sulle cime degli alberi
che intravvedeva appena nell'orrido. Finalmente atterrò su un
fitto strato di sabbia gialla. Piantò il bastone e si guardò attorno
con fare circospetto. Oltre la sua spalla destra, lontane alcune
miglia, si scorgevano la montagne che aveva appena valicato,
coperte da una bruma lattiginosa. Al di sotto della nebbia si
vedeva una striscia verde scuro.
Sophie annuì, pensando che il castello, anche se da lì era
invisibile, doveva essere fermo proprio ai confini di quella zona
coperta da tutto quel vapore, là sotto c'erano senz'altro tutti i
loro bei fiori. Fece un'altra accorta falcata. Zip. Era caldo in
modo spaventoso. Ora la sabbia gialla si estendeva in tutte le
direzioni e l'orizzonte baluginava nella temperatura infuocata.
Fra la sabbia emergevano, qua e là, degli spuntoni di roccia.
L'unica cosa che cresceva in quel deserto erano dei radi cespugli
grigi e polverosi. Le montagne sembravano delle nuvole che
incombevano sull'orizzonte.
— Se queste sono le Terre Desolate — disse Sophie col
sudore che le bagnava il viso rugoso — allora mi dispiace per la
Strega che deve vivere qui. Sophie mosse un altro lungo passo.
Il vento provocato dallo spostamento non la rinfrescò affatto.
Ora la sabbia era più grigia, mentre rocce e cespugli erano
identici ai precedenti; all'orizzonte le montagne sembravano
aver oscurato il cielo. Sophie strinse un po' gli occhi per vedere
se riusciva a distinguere meglio, nella grigia linea dell'orizzonte,
qualcosa che fosse un po' più alto di una roccia. Poi fece un'altra
falcata. Sembrava di essere in un forno. Ma lontano circa un
quarto di miglio, c'era qualcosa dalla forma particolare, come
una palafitta sopraelevata su quel deserto di sabbia e rocce
sparpagliate a terra come immondizie. Aveva una sagoma
fantastica: torrette a torciglione si levavano da una torre
principale che si ergeva un po' storta, come il dito di una vecchia
mano artritica. Sophie si arrampicò fuori dagli stivali. Era
troppo caldo per portare qualsiasi cosa, così si avviò per cercare
di scoprire qualcosa, servendosi solo del suo bastone. La
costruzione sembrava fatta di argilla ricavata dal Deserto.
All'inizio Sophie si chiese se non potesse essere il nido di una
qualche strana specie di formica. Ma quando fu più vicino, vide
che era come se qualcuno avesse fuso migliaia di vasi da fiori,
porosi e gialli, in un unico mucchio affusolato. Sogghignò,
pensando che spesso aveva considerato il castello di Howl come
l'interno di un grande camino. Quell'edificio, in effetti, era una
collezione di comignoli. Doveva essere opera di un demone del
fuoco.
Non appena Sophie cominciò a percorrere la salita che
portava alla costruzione, non ebbe più alcun dubbio: era arrivata
alla fortezza della Strega delle Terre Desolate. Due piccole
figure arancione uscirono da uno scuro androne alla base
dell'edificio, e rimasero immobili ad aspettarla. Riconobbe i due
paggetti della Strega. Nonostante fosse accaldata e senza fiato
cercò di rivolgersi in maniera gentile per dimostrare che non ce
l'aveva con loro. — Buon pomeriggio!
La degnarono appena di un'occhiata, uno si inchinò
lievemente e stese la mano indicando un'arcata buia fra due
colonne. Sophie rabbrividì e lo seguì all'interno, mentre l'altro
paggio camminava dietro di lei. Naturalmente l'entrata svanì
non appena furono passati. Sophie rabbrividì di nuovo, avrebbe
dovuto affrontare un altro problema al ritorno. Si sistemò il
nodo dello scialle e cercò di stendere la gonna spiegazzata, poi
si incamminò dietro il paggio. Era un po' come passare
attraverso la porta del castello quando il pomello era sul nero. Ci
fu un momento di nulla, seguito da una luce tenebrosa. La luce
proveniva da alcune fiammelle di un colore giallo-verde che
bruciavano tutt'attorno, ma in modo talmente debole da non
fornire né calore né molta luce. Quando Sophie le fissava, le
fiamme non si trovavano mai dove stava guardando, ma sempre
in un punto a fianco. Naturalmente si trattava di magia. Sophie
rabbrividì di nuovo e seguì il paggio attraverso una galleria fatta
di comignoli.
Dopo aver percorso parecchia strada il paggio la condusse a
una specie di tana centrale, o forse era solo un grande spazio fra
tutti quei comignoli. Sophie era confusa: la fortezza sembrava
enorme, ma poteva trattarsi di un inganno, proprio come per il
castello. La Strega la stava aspettando. Era difficile dire come
Sophie nuovamente avesse la certezza che quella fosse la
Strega, tranne che non poteva essere nessun altro.
Questa volta la Strega era alta e ossuta e aveva i capelli
biondi acconciati in una coda attorcigliata come quella a ricciolo
di un maiale che le ricadeva su una spalla scheletrica. Indossava
un abito bianco. Quando Sophie si diresse verso di lei
brandendo il bastone, la Strega si ritrasse.
— Non devo essere minacciata! — disse con tono stanco e
fragile.
— Allora dammi la signorina Angorian e non ti minaccerò
più. La prenderò con me e me ne andrò via.
La Strega si ritrasse ulteriormente gesticolando con entrambe
le mani. I paggi, allora, si trasformarono in due grossi e viscidi
globuli arancione che si levarono in aria e volarono verso
Sophie.
— Bleah! Andate via! — gridò Sophie cercando di colpirle
con il bastone. I due ammassi non sembravano interessarsi al
bastone, lo scansarono, volando qua e là, poi attaccarono Sophie
alle spalle. Stava giusto pensando di aver avuto la meglio
quando si trovò incollata a uno di quei comignoli che fungevano
da pilastro. Una sostanza vischiosa arancione le bloccava le
caviglie quando cercava di muoversi e le tirava i capelli in modo
piuttosto doloroso.
— Preferirei la melma verde di Howl! Spero che quelli non
fossero dei veri ragazzi.
— Solo delle emanazioni — le disse la Strega.
— Lasciami andare!
— No! — fu la secca risposta della Strega che si girò e
sembrò perdere del tutto ogni interesse per Sophie.
Sophie cominciò a temere di aver fatto come al solito una
gran confusione. Quella specie di colla sembrava diventare più
dura e più elastica a ogni secondo che passava. Quando cercò di
muoversi fu violentemente trattenuta contro il pilastro. — Dov'è
la signorina Angorian?
— Non la troverai — rispose la Strega. — Aspetteremo
l'arrivo di Howl.
— Non verrà. Ha più buon senso di me e la tua maledizione
non è stata poi così efficace.
— Lo sarà! — disse la Strega sorridendo. — Ora che sei
caduta nel nostro tranello e sei prigioniera qua, Howl dovrà
essere onesto almeno per una volta.
Fece un altro gesto, questa volta rivolto verso le fiammelle, e
subito comparve fra due pilastri una specie di trono che si fermò
proprio di fronte alla Strega. Lì seduto c'era un uomo che
indossava un'uniforme verde e dei lunghi stivali lucidi.
Prima Sophie pensò che dormisse con la testa ripiegata di
lato, cosicché non poteva vederla, ma a un nuovo gesto della
Strega l'uomo si sedette eretto e Sophie vide che la testa
mancava del tutto su quelle spalle e si rese conto di stare
guardando tutto ciò che era rimasto del Principe Justin.
— Se fossi Fanny, direi che temo di svenire! Rimettigli
subito la testa! Così ha un aspetto orribile!
— Qualche mese fa avevo a disposizione entrambe le teste,
ma ho venduto il teschio del Mago Suliman quando ho venduto
la sua chitarra — le spiegò la Strega. — La testa del Principe
Justin sta vagabondando con le altre parti rimaste. Questo corpo
è una mescolanza perfetta del Principe Justin e del Mago
Suliman. Sta aspettando la testa di Howl per fare la nostra
creatura umana perfetta. Quando avremo la testa di Howl,
avremo il novo Re di Ingary e io sarò la Regina.
— Tu sei pazza! — riuscì a dire Sophie. — Non hai nessun
diritto di trattare le persone come se fossero dei puzzle! E ti
sbagli se pensi che la testa di Howl esaudirà un tuo desiderio.
Sfuggirà via in qualche modo...
— Howl farà esattamente come abbiamo detto —. E la
Strega sorrise in modo subdolo e scaltro. — Noi controlleremo
il suo demone del fuoco. A quel punto Sophie si rese conto di
essere veramente spaventata. Sapeva di aver fatto una gran
confusione di tutto.
— Dov'è la signorina Angorian? — chiese, agitando il
bastone.
Alla Strega non piaceva che Sophie agitasse il bastone verso
di lei e si ritrasse di qualche passo.
— Sono molto stanca. Continuate a rovinare i miei piani.
Prima il Mago Suliman non voleva neanche avvicinarsi alle
Terre Desolate, così ho dovuto minacciare la Principessa Valeria
affinché il Re gli ordinasse di venire. Poi, quando è arrivato, ha
cominciato a far crescere alberi e piante. Quindi il Re ha
impedito per mesi al Principe Justin di seguire Suliman, e
quando il Principe finalmente è riuscito ad allontanarsi da
Kingsbury, se n'è andato a nord, da qualche parte per qualche
oscuro motivo, e io ho dovuto utilizzare tutte le mie arti per
attirarlo qui. Howl mi ha causato problemi anche maggiori. Se
n'è andato una prima volta. Ho dovuto trovare il giusto
sortilegio per riprenderlo. Mentre stavo scoprendo su di lui
abbastanza per poter completare il sortilegio, sei arrivata sulla
scena tu, che ti sei imbattuta in quello che era rimasto del
cervello di Suliman e mi hai creato ulteriori guai. E ora io ti
trascino qui, ma tu mi minacci con il tuo bastone e pretendi di
discutere con me. Ho lavorato molto duramente per arrivare a
questo momento e non devo essere messa in discussione da
nessuno —. Si girò e si mise a gironzolare nella penombra.
Sophie fissò la figura alta e bianca che si muoveva alla
debole luce delle fiammelle.
— Penso che la sua veneranda età le abbia dato alla testa! —
rifletté Sophie. — È pazza! Devo liberarmi e soccorrere in
qualche modo la signorina Angorian!
Le sovvenne che quella roba arancione aveva evitato di
entrare in contatto con il suo bastone, proprio come aveva fatto
la Strega, così se lo passò ripetutamente dietro alle spalle,
proprio dove l'appiccicume la tratteneva al comignolo.
Mentre faceva questa operazione diceva con voce imperiosa:
— Vattene da lì! Lasciami andare!
I capelli erano ancora attaccati in più punti, ma la colla
cominciava a cedere sulla schiena e se ne andava scivolando dai
suoi fianchi. Visto il risultato mosse il bastone con lena
maggiore.
Era già riuscita a liberare tutti i capelli e le spalle, quando ci
fu un botto sordo che fece ondeggiare le fiammelle e scosse il
pilastro a cui Sophie era imprigionata. Poi, con il rumore di
mille servizi da tè che vanno in pezzi contemporaneamente, una
vasta porzione di parete crollò. Dallo squarcio prodottosi entrò
la luce e una figura che procedeva a balzi. Sulle prime Sophie si
girò con la speranza che fosse Howl, ma la sagoma nera aveva
una gamba sola... di nuovo lo spaventapasseri!
La Strega cacciò un urlo pieno di rabbia e gli si avventò
contro, con la coda di capelli biondi che le svolazzava su una
spalla e le braccia rinsecchite protese. Anche lo spaventapasseri
le si avventò contro, ed entrambi furono avvolti da una nuvola
magica, mentre scoppiava un forte rombo di tuono, proprio
come quando c'era stato lo scontro fra la Strega e Howl nel mare
di Porthaven. La nuvola alzò nugoli di polvere ed emise scoppi
e lampi ripetuti che fecero rabbrividire Sophie e le fecero
crepitare i capelli. La nuvola era distante solo qualche iarda da
Sophie e si spostava in un raggio abbastanza ridotto; anche
l'apertura nel muro non era tanto distante da lei, fattori, questi,
che le confermarono quanto le dimensioni della fortezza fossero,
in realtà, abbastanza ridotte. Tutte le volte che la nuvola passava
davanti alla breccia nel muro, Sophie intravvedeva le due
sagome rinsecchite che battagliavano in quella sorta di nebbia e
lei si dava da fare con foga sempre maggiore per liberarsi.
Le erano rimaste ancora intrappolate solo le gambe, quando
osservando in controluce e per l'ennesima volta la nuvola che
racchiudeva in sé i duellanti, vide che un'altra persona era
arrivata attraverso la fenditura. Questa volta Sophie riconobbe
immediatamente due maniche nere che vorticavano. Poi Howl,
perché era proprio lui, si mise a osservare il combattimento a
braccia conserte e per un momento sembrò che non volesse
intervenire affatto.
A un tratto le maniche batterono come un paio di grandi ali,
mentre il Mago sollevava le braccia e gridava una strana, lunga
parola accompagnata da un prolungato rombo di tuono. Sia la
Strega che lo spaventapasseri sobbalzarono. Degli scoppi
cominciarono a risuonare fra i pilastri di terraglia, a riecheggiare
sempre più lontano, portando con sé un po' di quella nuvola
magica, che svanì in riccioli sempre più piccoli e si perse in
piccoli mulinelli debolmente illuminati. Quando la nuvola fu del
tutto trasformata in una nebbiolina lattea, la bianca figura della
Strega cominciò a vacillare, poi sembrò piegarsi su sé stessa, più
magra e bianca che mai. Finalmente, quando anche la nebbiolina
si disperse del tutto, cadde ridotta a un mucchietto di ossa,
davanti al quale si ritrovarono a fronteggiarsi Howl e lo
spaventapasseri, fra milioni di deboli eco che morivano attorno
a loro.
— Bene! — pensò Sophie mentre si liberava completamente
dei residui di colla e si dirigeva verso il trono dove sedeva
ancora il corpo senza testa. Quel tronco acefalo cominciava a
darle proprio ai nervi!
— No, amico mio — disse Howl rivolto allo spaventapasseri
che stava rovistando fra il mucchietto d'ossa con la sua unica
gamba, — il suo cuore non lo troverai qui. L'avrà senz'altro il
suo demone del fuoco. Penso che abbia avuto il dominio su di
lei per molto tempo. Molto triste, davvero.
Poi, mentre Sophie si toglieva lo scialle e lo aggiustava
attorno alle spalle del Principe Justin, aggiunse: — Penso che il
resto di quello che stavi cercando sia qua —. Così dicendo
mosse alcuni passi verso il trono con a fianco lo
spaventapasseri. — Proprio tipico di te, Sophie! Io mi rompo il
collo per arrivare qui e cosa trovo? Te che fai tranquillamente
ordine e pulizia! Sophie alzò lo sguardo su di lui. Alla cruda
luce del giorno che entrava dallo squarcio nella parete, si vedeva
chiaramente che Howl non si era dato la pena di radersi o di
aggiustarsi i capelli. Aveva ancora gli occhi cerchiati di rosso e
le maniche strappate in più punti. Non c'era molta differenza fra
Howl e lo spaventapasseri in quel momento!
— Poverino, deve amare davvero la signorina Angorian —
pensò Sophie, e quindi gli spiegò: — Sono venuta qui per la
signorina Angorian.
— E io che pensavo che se ti avessi organizzato una visita
della tua famiglia, la cosa ti avrebbe tenuta tranquilla per un
po'!— le disse Howl con voce che voleva suonare carica di
disgusto — Ma no...
A questo punto lo spaventapasseri arrivò saltellando davanti
a Sophie.
— Sono stato mandato dal Mago Suliman. Scacciavo gli
uccelli che altrimenti venivano a becchettare i cespugli che
aveva piantato nelle Terre Desolate, ma poi la Strega l'ha
catturato, e lui mi ha passato tutta la magia che è riuscito a
liberare prima di cadere del tutto preda di quella donna, e mi ha
ordinato di venire in suo soccorso. Ma la Strega l'ha suddiviso in
pezzi e ha sparso le varie parti in posti differenti. E stato un
compito molto duro. Se tu non mi avessi ridato la vita,
parlandomi là nella siepe, avrei miseramente fallito la mia
missione.
Rispondeva, così, alle domande che lei gli aveva posto prima
che tutti e due si precipitassero alla fortezza della Strega. Ora
Sophie cominciava a capirci qualcosa. — Così, quando il
Principe Justin ha ordinato tutti quegli incantesimi di
'ritrovamento', l'ha fatto per ritrovare te...
— Ritrovare me o il suo teschio — le rispose lo
spaventapasseri. — Noi siamo le sue parti migliori.
— E Percival è composto dal Mago Suliman e dal Principe
Justin, vero? Sophie non era sicura che a Lettie piacesse questa
parte della storia.
— Sì, ed entrambe le parti mi hanno detto che la Strega e il
suo demone non erano più uniti, e che quindi potevo sconfiggere
quella donna crudele proprio nella sua tana. Ti ringrazio per
avermi dato la possibilità, con il tuo ordine, di andare dieci volte
più velocemente di prima.
A quel punto Howl s'intromise nel loro dialogo: — Porta
quel corpo con te al castello, vedrò di trovare una soluzione
quando saremo là. Sophie e io dobbiamo tornare
immediatamente prima che il demone della Strega trovi il modo
d'infiltrarsi nelle difese che ho posto a guardia del castello —.
Così dicendo strinse il polso di Sophie. — Dove sono gli stivali
delle sette leghe?
Sophie, però, si ritrasse. — Ma la signorina Angorian? —
protestò.
— Ma non hai ancora capito? — Howl continuava a tenerla
per il polso e trascinarla. — La signorina Angorian è il demone
del fuoco. Se entrasse nel castello, sarebbero guai seri sia per
Calcifer che per me!
Sophie riuscì a liberarsi dalla sua stretta e si coprì la bocca
con entrambe le mani. — Lo sapevo, ho combinato un grande
pasticcio! La signorina... il demone c'è già entrato due volte. Ma
lei... lui se n'è andato.
— Oh, buon Dio! — L'urlo di Howl era disperato. — Ha per
caso toccato qualcosa?
— La chitarra — ammise Sophie.
— Allora è ancora là... vieni!
Sospinse Sophie sulle macerie del muro, mentre urlava allo
spaventapasseri di seguirli e di fare attenzione. Poi spiegò a
Sophie come se ne sarebbero andati. — Farò alzare un gran
vento. Non abbiamo tempo di cercare gli stivali adesso. Tu devi
semplicemente correre più forte che puoi e mantenerti in
movimento, altrimenti non riuscirò a tenerti sollevata.
Sophie, aiutandosi con il bastone e sorretta da Howl, riuscì a
superare le macerie abbastanza in fretta. Quando furono usciti,
si alzò un mulinello d'aria che cominciò prima a far volare la
sabbia grigia che copriva tutto il terreno circostante, per poi
tramutarsi in una tempesta vera e propria. Sophie fece quello
che Howl le aveva ordinato e cominciarono a muoversi con
velocità sempre maggiore. Non era un modo comodo di
viaggiare e, per di più, era piuttosto rumoroso, ma presto le
Terre Desolate furono passate.
Intanto Sophie, urlando per superare il frastuono del vento,
cercava di spiegare: — Non è stata colpa di Calcifer! Io gli ho
ordinato di non dire niente.
— Non l'avrebbe fatto comunque — le urlò il Mago di
rimando. — So che non avrebbe mai tradito un compagno,
demone come lui. Calcifer è sempre stato il mio punto debole.
— Io pensavo che fosse il Galles!
— No! Io, quel posto, l'ho lasciato spontaneamente. Sapevo
che mi sarei arrabbiato abbastanza da fermare la Strega se
avesse cercato di farmi qualche brutto tiro là. Dovevo lasciarle
un punto sul quale colpire, capisci? L'unica possibilità che
avevo di arrivare al Principe Justin era quella di usare la sua
maledizione per potermi avvicinare a lei.
— Cercavi veramente di salvare il Principe! — continuò a
urlare Sophie.
— Allora perché hai fatto fìnta di scappare? Per confondere
la Strega?
— Non è andata proprio così! Io sono un codardo, e l'unico
modo per costringermi a fare qualcosa di cui ho paura è dirmi
che non la farò!
— Misericordia! — pensò Sophie guardando la sabbia grigia
che ancora vorticava attorno a lei. — E onesto, in questo
momento Howl è onesto con me e con se stesso! E questo che ci
sospinge è un vero mulinello d'aria. Così l'ultima parte della
maledizione si è avverata!
La sabbia calda e vorticosa la sferzò con forza, mentre aveva
rallentato troppo colpita da quella rivelazione. La stretta di
Howl le fece male.
— Continua a correre o ti farai del male!
Sophie respirò a fondo e riprese velocità. Ora poteva vedere
le montagne e la linea verde segnata dai cespugli in fiore. E quel
paesaggio, per fortuna, si stava avvicinando velocemente.
— Avevo parecchi punti deboli! — continuò a spiegarle
Howl urlando.
— Confidavo sul fatto che Suliman fosse vivo. Poi, quando
sembrava che tutto ciò che rimaneva di lui fosse Percival, mi
sono spaventato al punto che sono uscito e mi sono ubriacato. E
poi tu, tu che ti vai a cacciare proprio nelle grinfie della Strega!
— Sono la più vecchia di tre sorelle e sono un vero
fallimento!
— Sciocchezze! Sai qual è il tuo problema? È che non la
smetti mai di pensare...
Ora Howl stava rallentando e la polvere si stava
trasformando in dense nuvole. Sophie sapeva che ormai i
cespugli dovevano essere vicini perché il sibilo del vento era
cambiato di tono. Infatti, di lì a poco, si ritrovarono fra il verde,
ma andavano ancora così in fretta che Howl dovette sostenere
Sophie durante una lunga corsa sul lago.
— E poi tu sei così carina — aggiunse Howl fra il fruscio
dell'acqua e le ninfee che sbattevano. — Io contavo che fossi
troppo gelosa per permettere a quel demone di avvicinarsi al
castello.
Toccarono le sponde del lago, coperte da una leggera nebbia,
e la loro corsa finalmente rallentò, mentre i cespugli attraverso i
quali passavano rilasciavano nuvole di petali e di uccellini. Il
castello, ora, stava scendendo lungo il sentiero verso di loro
fumando nel vento. Howl, che aveva rallentato la corsa ma non
si era fermato del tutto, spalancò di colpo la porta così che lui e
Sophie entrarono come proiettili.
— Michael! — urlò il Mago.
— Non sono stato io a far entrare lo spaventapasseri! —
rispose Michael con aria colpevole.
Ogni cosa sembrava normale e Sophie fu sorpresa nello
scoprire che era stata via per così poco tempo. Qualcuno aveva
tirato fuori il suo letto dal sottoscala e ora Percival vi stava
sdraiato sopra, ancora incosciente. Attorno a lui erano riuniti
Lettie, Martha e Michael. Dal piano di sopra provenivano le
voci della signora Fairfax e di Fanny che, evidentemente,
stavano unendo i loro sforzi per riassettare la stanza di Howl.
Dal rumore Sophie pensò che i ragni se la stessero vedendo
brutta.
Howl lasciò andare Sophie e si precipitò a prendere la
chitarra, ma prima di poterla toccare questa scoppiò con un
botto lungo e melodioso. Le corde si spezzarono e lo strumento
andò in mille pezzi, tanto che Howl fu costretto ad arretrare
proteggendosi il volto con una manica. E all'improvviso la
signorina Angorian fu di fianco al camino sorridente. Howl
aveva avuto ragione, doveva essere rimasta nella chitarra per
tutto quel tempo aspettando il momento favorevole.
— La tua Strega è morta — le disse Howl.
— Non è una gran perdita! — disse la signorina Angorian
rimanendo imperturbabile. — Ora posso crearmi da sola un
nuovo essere umano molto migliore. La maledizione si è
compiuta e io ora potrò mettere le mani sul tuo cuore.
Così dicendo si piegò sulla grata del camino e tirò fuori
Calcifer.
Le fiamme di Calcifer tremolarono strette nel pugno chiuso.
Appariva terrorizzato.
— Nessuno si muova — avvertì la signorina Angorian.
Nessuno osò farlo e Howl era il più immobile di tutti, mentre
Calcifer chiedeva debolmente aiuto.
— Nessuno può aiutarti — gli disse la signorina Angorian.
— Tu aiuterai me a controllare il mio nuovo essere umano. Ora
te lo mostrerò. Devo solo stringere la mia presa.
La mano che teneva Calcifer aumentò la stretta fino a che le
nocche non diventarono bianche.
Sia Howl che Calcifer gemettero. Calcifer si dibatteva
agonizzante, mentre il viso di Howl era diventato bluastro, poi
cadde sul pavimento come un albero abbattuto e rimase a terra
incosciente come Percival. Sophie pensò che non respirasse più.
La signorina Angorian era stupefatta, e mentre guardava
Howl sgranando gli occhi esclamò: — Sta fingendo!
— No, non sta fìngendo! — riuscì a gridare Calcifer, mentre
si contorceva ridotto a una debole spirale. — Il suo cuore è
davvero molto morbido... lascialo andare!
Sophie raccolse il suo bastone con un gesto lento e
circospetto, e questa volta, prima di agire, pensò. Poi cominciò a
mormorare: — Bastone, colpisci la signorina Angorian, ma non
far del male a nessun altro —. Quindi alzò il bastone e colpì la
signorina Angorian con tutta la sua forza.
La signorina Angorian emise un sibilo come un ceppo di
legna bagnato che bruciava e lasciò andare Calcifer. Il poveretto
rotolò sul pavimento perdendo fiamme e scintille e urlando di
terrore.
La signorina Angorian alzò un piede per schiacciarlo ma
Sophie, lasciando andare il bastone, si tuffò a soccorrere
Calcifer. Con sua grande sorpresa il bastone continuò a colpire
la signorina Angorian da solo e poi ancora e ancora. Ma era
naturale che lo facesse! pensò Sophie. Con le sue parole l'aveva
animato proprio come la signora Pentstemmon le aveva
spiegato.
La signorina Angoria barcollò e sibilò. Sophie rimaneva in
piedi con Calcifer nelle mani, mentre il bastone continuava a
colpire e cominciava a fumare scaldato dal calore emesso dalla
signorina Angorian. Al contrario, Calcifer non sembrava molto
caldo ed era di un colore blu lattiginoso per lo shock.
Sophie percepiva la massa scura del cuore di Howl che
batteva debolmente fra le sue dita. Doveva essere il cuore di
Howl quello che stava tenendo nelle mani: l'aveva dato a
Calcifer come pegno del contratto per mantenere vivo il
demone. Evidentemente doveva aver provato un gran dispiacere
per Calcifer, ma, al tempo stesso, era stata proprio una cosa
sciocca da fare!
Fanny e la signora Fairfax entrarono a precipizio portandosi
dietro le scope, e alla loro vista la signorina Angorian si
convinse del proprio fallimento. Così corse alla porta inseguita
dal bastone di Sophie che continuava a batterla.
— Fermatela! — urlò Sophie. — Non lasciate che esca!
Tutti si precipitarono a obbedire: la signora Fairfax si pose di
guardia alla porta del ripostiglio con la scopa alzata, Fanny si
mise sulle scale, Lettie a guardia della porta che dava sul cortile
e Martha vicino all'uscio del bagno. Michael corse alla porta del
castello, ma proprio in quel momento Percival si alzò e corse
anche lui verso la stessa porta.
Nonostante fosse pallido come un lenzuolo e tenesse gli
occhi chiusi, Percival fu più veloce di Michael, arrivò prima alla
porta e la aprì.
Con Calcifer fuori combattimento, il castello si era fermato.
La signorina Angorian vide, attraverso l'uscio aperto, i cespugli
immobili nella foschia e si precipitò verso l'uscita con una
velocità non umana. Prima che potesse guadagnare la fuga, fu
bloccata dallo spaventapasseri, che era appena arrivato
saltellando con in spalla il principe Justin che aveva ancora
addosso lo scialle di Sophie. Lo spaventapasseri allargò le
braccia stecchite sbarrando la strada e facendo ritrarre la
signorina Angorian.
Il bastone, che continuava a percuotere la signorina
Angorian, aveva preso fuoco e il suo puntale metallico brillava
incandescente. Sophie si rese conto che non avrebbe resistito a
lungo. Fortunatamente la signorina Angorian odiava talmente il
bastone che afferrò Michael per farsene scudo. Al bastone era
stato detto di non fare del male a Michael, così rimase in aria
ondeggiando, incandescente, senza colpire più nessuno. Ora poi
doveva evitare anche Martha, che era accorsa al fianco di
Michael. Insomma, pensò Sophie, ancora una volta aveva fatto
la cosa sbagliata.
Ma non c'era tempo da perdere. — Calcifer — gli disse
Sophie, — dovrò rompere il tuo contratto. Questo ti ucciderà?
— Morirei se qualsiasi altra persona tranne te lo rompesse —
si affrettò a risponderle Calcifer. — È il motivo per cui ho
chiesto a te di farlo. Tu puoi dare vita alle cose parlando con
esse. Ricordati cos'hai fatto con lo spaventapasseri e con il
teschio.
— Bene, allora ti auguro di vivere altri mille anni! — gli
disse Sophie con molto trasporto, in modo che la cosa si potesse
avverare anche nel caso che le semplici parole non fossero state
sufficienti. Poi si accinse a fare quell'operazione che la
preoccupava terribilmente. Con grande cautela pizzicò la massa
scura per tirare fuori Calcifer dal cuore di Howl, come avrebbe
fatto con un bocciolo morto per separarlo dallo stelo. Calcifer
volteggiò libero e si posò sulle spalle di Sophie, rimanendo in
equilibrio come una lacrima blu.
— Mi sento così leggero! —. Poi prese del tutto coscienza di
quello che gli era successo.
— Sono libero! — si mise a gridare. Poi volteggiò verso il
focolare, su per il camino e... scomparve dalla vista.
— Sono libero! — Sophie sentì ancora la sua voce sempre
più lontana che urlava, finché l'eco si perse fuori dal comignolo
del vecchio negozio di cappelli.
Sophie si diresse subito verso Howl, tenendo fra le mani la
massa scura del suo cuore mezzo morto. Ora l'assalivano mille
dubbi: sapeva che quella era la cosa giusta da fare, ma non
sapeva di preciso come farla.
— Certo va qui — si disse mentre s'inginocchiava accanto al
corpo di Howl e gli appoggiava il cuore sul petto, dalla parte
sinistra dove tante volte aveva sentito battere il suo
all'impazzata. Poi cominciò a spingere.
— Entra dentro! — gli disse. — Entra dentro e comincia a
funzionare!
Tenne premuta la massa scura con la mano e continuò a
premerla. Il cuore cominciò ad affondare nel petto di Howl, e
più affondava e più forte batteva. Sophie cercò di ignorare le
fiamme e il parapiglia che c'era intanto alla porta, cercò di
mantenere una pressione forte, ferma e costante. Era talmente
intenta così ferma in ginocchio di fianco al Mago, che la
pettinatura si sciolse e cominciarono ad andarle i capelli davanti
agli occhi, quelle che vedeva erano ciocche di capelli fulvi... ma
cercò di ignorare anche questo fatto e continuò a premere.
Finalmente il cuore entrò nel petto di Howl, che subito si
mosse, emise un lungo gemito e rotolò con la faccia in giù.
— Per tutti i diavoli dell'inferno... che sbornia! — si lamentò
il Mago.
No, hai solo sbattuto la testa per terra — cercò di consolarlo
Sophie.
Howl si tirò su e rimase appoggiato sulle mani e sulle
ginocchia, a fatica.
— Non posso stare qui... —. Sembrava che parlasse come in
sogno, — devo salvare quella pazza di Sophie.
— Io sono qui! — lo rassicurò Sophie, scuotendolo per le
spalle. — Ma è qui anche la signorina Angorian! Alzati e fa'
qualcosa... svelto!
A quel punto il bastone era del tutto in fiamme. I capelli di
Martha sfrigolavano e il demone della Strega stava cercando di
manovrare in modo che lo spaventapasseri prendesse fuoco.
Vedendo quella scena Sophie si sentì nuovamente colpevole:
non ne faceva mai una giusta!
A Howl bastò un'occhiata per rendersi conto della situazione,
si alzò di scatto, protese una mano e pronunciò una di quelle sue
frasi punteggiate di parole che suonavano come scoppi di tuono.
L'intonaco si staccò dal soffitto e tutto prese a tremare. Il
bastone era scomparso, mentre Howl aveva fatto un passo
indietro racchiudendo nella mano una piccola cosa dura e nera.
Avrebbe potuto essere un pezzetto di legno carbonizzato, tranne
che Sophie vide che aveva la stessa forma della massa che lei
aveva appena fatto entrare nel petto di Howl. La signorina
Angorian emise un suono come di un fuoco su cui viene
rovesciata dell'acqua e aprì le braccia con un gesto implorante.
— Temo proprio di non poter far altro — le disse Howl. —
Tu hai fatto il tuo tempo. Guardando quello che ho in mano ho
la conferma che tu volevi prendere il mio cuore e volevi lasciar
morire Calcifer, vero?
Così dicendo premette i palmi delle mani l'uno contro l'altro,
stritolando così quel pezzetto nero carbonizzato. Il vecchio
cuore della Strega si sbriciolò, trasformandosi prima in sabbia,
poi in fuliggine. Infine non ci fu più nulla. Anche la signorina
Angorian si era volatilizzata nel preciso istante in cui il cuore
del suo demone si era sbriciolato.
Accadde però anche un'altra cosa. Nel momento in cui la
signorina Angorian era sparita, era scomparso anche lo
spaventapasseri. Se Sophie si fosse presa la briga di guardare,
avrebbe visto al suo posto due uomini alti, le cui figure si
stagliavano nel vano della porta, che si sorridevano. Quello con
il viso più squadrato aveva i capelli rossicci, quello con
l'uniforme verde aveva, invece, i tratti meno marcati e lo scialle
ancora drappeggiato attorno al collo dell'uniforme. Ma Howl si
era girato proprio in quello stesso momento verso di lei per
dirle: — Il grigio non ti sta molto bene. L'ho pensato anche la
prima volta che ti ho visto.
— Calcifer se n'è andato. Ho dovuto rompere il vostro
contratto. Howl sembrò un po' triste, ma disse: — Tutti e due
speravamo che l'avresti fatto. Nessuno di noi voleva finire come
la Strega e la signorina Angorian. Come definiresti il colore dei
tuoi capelli? Fulvo, forse?
— Direi che sono del colore dell'oro rosso — gli rispose
Sophie. In Howl non c'erano stati cambiamenti evidenti, ma ora
che aveva riavuto il suo cuore, gli occhi del Mago sembravano
più profondi, erano... erano degli occhi e non due freddi pezzi di
vetro. Sophie non poté fare a meno di stuzzicarlo: — Soprattutto
il colore dei miei capelli è naturale, non come quello di certa
gente...
— Non ho mai capito perché si dia tanto valore alle cose
naturali — ribatté Howl con il solito tono canzonatorio. No, era
veramente cambiato poco.
Se Sophie avesse avuto voglia di fare attenzione a quello che
le succedeva attorno, avrebbe potuto vedere che, a quel punto, il
Principe Justin e il mago Suliman si stavano stringendo la mano
e si davano pacche sonore sulle spalle.
— Farò meglio a tornare dal mio reale fratello — disse poi il
Principe, mentre si dirigeva verso Fanny, che era la persona
meglio vestita della compagnia. Le fece un profondo inchino,
dicendole: — Ho il piacere di salutare la signora di questa casa?
— Ecco... in realtà no, non sono io — rispose cortesemente
Fanny, cercando di nascondere la scopa, che teneva ancora in
mano, dietro la schiena. — La signora di questa casa è Sophie.
— O comunque lo sarà presto — soggiunse la signora
Fairfax con un sorriso benevolo.
Intanto Howl e Sophie continuavano un dialogo tutto loro,
che non lasciava spazio a nessuno dei presenti. — Mi sono
domandato tante volte se non saresti mai più tornata a essere la
bella ragazza che incontrai alla festa del Calendimaggio. Perché,
poi, quel giorno avevi tanta paura?
Se l'attenzione di Sophie non fosse stata tutta per Howl, si
sarebbe accorta che il Mago Suliman era completamente preso
dalla sua sorellina. Ora che era tornato se stesso, era chiaro
quanto fosse forte di carattere e altrettanto cocciuto quanto lo
era Lettie.
La ragazza sembrava nervosa, mentre Suliman le stava
vicino e si chinava su di lei per dirle: — Probabilmente erano i
ricordi del Principe quelli che avevo di voi, non i miei.
— Ora comunque va tutto bene. È stato un errore — gli
rispose la ragazza con un'aria che cercava di essere spavalda.
— No, non è stato un errore! — protestò Suliman. — Mi
permetterete di prendervi almeno come allieva?
A queste parole il viso di Lettie s'imporporò e la ragazza non
trovò nulla da ridire.
Quello, in ogni caso, era un problema di Lettie, Sophie aveva
i suoi problemi da affrontare, visto che Howl le stava dicendo:
— Penso che dovremo vivere felicemente d'ora in poi —. E
Sophie capì che lo pensava davvero. Anche se sapeva bene che
vivere felicemente con Howl voleva dire avere una vita piuttosto
intensa, avventurosa, più di quanto lei si sarebbe mai sognata,
Sophie era ben decisa a tentare.
— Credo che si potrebbe dire che hai i capelli del colore
dell'uva passa... — aggiunse Howl sovrappensiero.
— So che mi sfrutterai — fu il commento di Sophie.
— E allora tu mi taglierai tutti i vestiti per darmi una lezione.
Se Howl e Sophie non fossero stati così presi da loro stessi,
si sarebbero accorti che il Principe Justin, il Mago Suliman e la
signora Fairfax stavano cercando di attirare l'attenzione di
Howl, e che Fanny, Martha e Lettie stavano tirando Sophie per
le maniche, mentre Michael si era attaccato alla giacca del suo
capo.
— E stato il miglior uso di poteri magici che io abbia mai
visto — cercava di dire a Howl la signora Fairfax. — Io non
avrei saputo cosa fare con quella creatura. Come dico spesso...
— Sophie, ho bisogno di un tuo consiglio —. La voce di
Lettie cercava di attirare invano l'attenzione della sorella.
— Mago Howl, devo chiedervi scusa per aver cercato di
mordervi così spesso — tentava di scusarsi il Mago Suliaman.
— Normalmente non mi sarei mai sognato di usare i denti
contro un collega.
— Sophie, penso che questo gentiluomo sia un principe —
andava dicendo Fanny.
— Signore, credo di dovervi ringraziare per avermi salvato
dalla Strega delle Terre Desolate — cercava di dire a Howl il
Principe Justin.
— Sophie, l'incantesimo è sparito! Mi senti? — le urlava
Martha. — Sei tornata giovane!
Ma Sophie e Howl si tenevano per mano, continuando a
sorridersi, incapaci di fermarsi. — Non seccarmi, Sophie. L'ho
fatto solo per denaro — le stava dicendo Howl con il suo sorriso
canzonatorio sulle labbra.
— Bugiardo! — rispose di Sophie. Ma la sua voce era più
dolce del solito.
— Ho detto — urlava intanto Michael — ho detto che
Calcifer è tornato! Questa fu l'unica frase capace di attirare
l'attenzione di quei due.
Si girarono entrambi per guardare verso la grata del focolare,
dove una faccia familiare di un bel blu intenso mandava fiamme
fra i ceppi di legna.
— Non avevi bisogno di farlo, Calcifer — gli disse Howl.
— Be', adesso che sono libero di andare e venire, non ha più
molta importanza... poi, sta piovendo là fuori, a Market
Chipping.
NOTE
A proposito della Maledizione di Howl...
La lirica di John Donne, massimo esponente della poesia
metafisica inglese del Seicento, usata nel testo come
maledizione della Strega delle Terre Desolate, si intitola Song.
Per mantenere sia la rima sia i doppi sensi, in funzione
dell'interpretazione che ne danno i personaggi nel racconto, è
stata leggermente adattata dall'originale di Diana Wynne Jones
che in realtà recita: Versi a pag. 97:
Go and catch a falling star, / Get with child a mandrake root,
/ Tell me where all past years are, / Or who cleft the devil's foot.
/ Teach me to hear the mermaids singing, / Or to keep off envy's
stinging /Andfind / What wind / Serves to advance an honest
mind. /Decide what this is about / Write a second verse yourself
Versi a pag. 123:
If thou beest born to strange sights, / Things invisible to see,
/Ride ten thousand days and nights / Till age snow white hairs
on thee. / Thou, when thou returnest, wilt tell me / All strange
wonders that befelt thee, /And swear /No where /Lives a woman
true, and fair. / If thou...
Da notare che gli ultimi due versi di pag. 97, Decide what
this is about / Write a second verse yourself sono un'aggiunta
dell'autrice.
Diamo qui la traduzione dei versi di Donne tratta da John
Donne, Liriche sacre e profane, a cura di G. Melchiori,
Mondatori, 1983.
'Va' ad afferrare una stella cadente, / impregna una radice di
mandragola, / dimmi ove son tutti gli anni passati, / o chi
fendette il piede del diavolo, / insegnami a udire il canto delle
Sirene, / o a evitare la trafittura d'invidia, / e trova / qual vento /
occorra per far progredire un animo onesto. / Decidi di cosa si
tratta / scrivi tu stesso una seconda strofa.'
'Se tu sei nato a strane visioni, / a veder cose invisibili, /
cavalca giorni e notti diecimila, / finché vecchiezza nevichi su te
bianchi crini. / Tu, al tuo ritorno, mi racconterai / tutti i portenti
strani che ti accaddero, / e giurerai / che in nessun luogo / vive
donna fedele e bella. / Se tu...'
l' Autrice
Diana Wynne Jones, classe 1934, vive a Bristol con il marito,
professore universitario di lingua inglese. Hanno tre figli. Inizia
a scrivere da bambina, per rimediare alla carenza di libri di cui il
padre faceva soffrire lei e le sue sorelle. I personaggi dei suoi
romanzi sono tutti proiezioni dei protagonisti della sua infanzia,
e in ognuno dei suoi libri, anche nei più fantastici, sono presenti
episodi della sua vita. È autrice di più di trenta romanzi, che
hanno riscosso grande successo in tutto il mondo. Tra quelli
apparsi in Italia ricordiamo Vita stregata (1992), I maghi di
Caprona (1993), Le vite perdute di Christopher Chant (1994),
Strega di classe (2003) e La congiura di Merlino (2004) tutti
pubblicati da Salani. L'indirizzo internet del suo sito personale è
www.dianawynnejones.com