BATTERIOLOGIA_Patogenesi_2007

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Microbiologia Update OE Varnier Pagina 1 di 9 AZIONE PATOGENA DEI BATTERI GENERALITÀ Un batterio patogeno per l'uomo può essere definito come un batterio in grado di invadere i tessuti di un organismo umano e di moltiplicarvisi, danneggiando il normale funzionamento dell'organismo ospite con la produzione di una o più sostanze tossiche. Capacità di moltiplicazione in vivo e tossigenicità sono i due componenti fondamentali del potere patogeno. La capacità di moltiplicazione in vivo è sinonimo di virulenza, che può essere usata come misura del grado di patogenicità, mentre l’invasività è la capacità di moltiplicazione in vivo. Le variazioni del potere patogeno sono in funzione delle oscillazioni di queste due fondamentali compo-nenti e possono essere indicate semplicemente definendo i batteri, molto o poco patogeni o apatogeni A) La moltiplicazione batterica in vivo Sebbene alcuni batteri penetrino nell'organismo attra- verso la puntura di un artropode vettore (ad esempio le Rickettsie) o siano inoculati direttamente nei tessuti profondi in seguito a traumi accidentali (ad esempio alcuni Clostridi), la maggior parte delle infezioni si verifica attraverso le membrane mucose e in parti- colare attraverso la mucosa enterica e respiratoria. Per poter iniziare un processo di infezione, un batterio patogeno deve inizialmente colonizzare una superficie mucosa, in competizione con i batteri commensali abituali e contrastando i meccanismi di detersione delle superfici mucose, rappresentati dal movimento del contenuto del lume del canale mucoso (intestino, uretra) o dalle correnti di muco convogliate dagli epiteli vibratili (mucose respiratorie). Adesività batterica Una fondamentale proprietà dei batteri patogeni, come del resto dei batteri commensali delle varie superfici mucose, è rappresentata dalla loro capacità di aderire specificamente e selettivamente alla superficie delle cellule di vari epiteli mucosi. Questo fenomeno è la conseguenza dell'interazione stereospecifica di struttu- re superficiali del batterio con la porzione glicidica di glicoproteine e glicolipidi presenti alla superficie delle cellule. Le strutture batteriche responsabili dei fenomeni di adesione prendono globalmente il nome di adesine. L’adesività batterica, che può essere monitorata in vitro rilevando la capacità del batterio di <agglu- tinare> una sospensione di emazie, è mediata da speciali proteine che, di norma, sono associate all'estremo terminale delle fimbrie o pili (FAA: fimbrial associated adhesins) o che sono rappre- sentate da proteine extra-cellulari (NFA: non fimbrial adhesins), associate in genere allo strato S. I due tipi di adesine sembrano mutualmente esclusivi e non sono noti batteri che li possiedano contem- poraneamente. Ambedue i tipi di adesine consistono di subunità proteiche (peptidi) di peso molecolare intorno a 12-35 kilodalton. In alcuni batteri l’adesività può dipendere dal- l’esistenza di altre strutture, come, ad esempio, le corte fibrille presenti alla superficie di Strep-tococcus pyogenes, le quali sono formate da una proteina di membrana, la cosiddetta proteina M che, complessata ad alcuni acidi teicoici, si proietta alI'esterno della parete cellulare. Anche alcuni polisaccaridi capsulari possono talo- ra stabilire delle connessioni dirette o indirette con alcune superfici di cavità mucose dell'organismo (ad es. Bacteroides fragilis e i glucani dello Streptococ- cus mutans, che aderiscono allla superficie dello smalto dentale. Il possesso di <adesine> però, se da una parte rappresenta un vantaggio per il batterio al momento della colonizzazione di una superficie mucosa, dall'altra, una volta che il batterio sia penetrato nei tessuti profondi, può rappresentare un elemento di svantaggio quando le adesine siano in grado di interagire con recettori presenti (ed è un caso relativamente frequente) alla superficie di cellule dotate di potere fagocitario, promovendo così l’ingestione e I'eliminazione del batterio patogeno ad opera dei fagociti. Un efficace strumento per contrastare gli effetti potenzialmente nocivi della interazione adesine-fagociti è rappresentato dalla sintesi dei materiali capsulari i quali, se presenti in notevole quantità (la sintesi dei materiali capsulari è particolarmente accentuata in vivo), sono in grado di mascherare le adesine impedendone l’interazione con i recettori superficiali delle cellule eucariotiche. I polimeri capsulari possono inibire il legame adesina-recettore, variando la carica di superficie del batterio, alterandone la idrofobicità di superficie o modificando l'orientamento spaziale delle adesine alla superficie della cellula batterica. È possibile dimostrare che i polisaccaridi capsulari dei meningococchi e dei pneumococchi e l’acido jaluronico della capsula di Streptococcus pyogene, sono in grado di interferire con l’ade-sione sia agli epiteli mucosi sia alle cellule fagocitarie. La sintesi di materiale capsulare come mezzo per impedire il legame adesine-fagociti, è più frequente in quei batteri, dove le adesine sono rappresentate da componenti permanenti delle strutture di superficie (come le fibrille di Streptococcus pyogenes), mentre nel caso dei batteri dove le adesine sono rappresentate da strutture non essenziali alla sopravvivenza del batterio (fimbrie), l’attacco ai fagociti può essere prevenuto oltre che con la sintesi di polimeri capsulari anche con la mancata produzione di fimbrie in particolari momenti critici del processo infettivo. Sopravvivenza dei batteri alla superficie delle mucose. Capacità invasiva e penetrazione nei tessuti profondi. Una volta ancorato alla superficie di una mucosa, un batterio che riesca a trovarvi condizioni idonee alle proprie necessità metaboliche e sia in grado di contrastare i meccanismi di difesa antimicrobica locali (concorrenza delle specie microbiche commensali, presenza di lgA specifiche, etc.) inizia a moltiplicarsi. I batteri che ne derivano rimangono adesi uno all'altro ed alla superficie mucosa dove formano una colonia, concentrando i loro prodotti tossici (strutture della superficie batterica, esoenzimi, tossine vere e proprie) in una zona limitata della mucosa il cui epitelio di rivestimento viene così danneggiato e va incontro a fenomeni degenerativi aprendo ai batteri un varco verso

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AZIONE PATOGENA DEI BATTERI

GENERALITÀ Un batterio patogeno per l'uomo può essere definito come un batterio in grado di invadere i tessuti di un organismo umano e di moltiplicarvisi, danneggiando il normale funzionamento dell'organismo ospite con la produzione di una o più sostanze tossiche. Capacità di moltiplicazione in vivo e tossigenicità sono i due componenti fondamentali del potere patogeno. La capacità di moltiplicazione in vivo è sinonimo di virulenza, che può essere usata come misura del grado di patogenicità, mentre l’invasività è la capacità di moltiplicazione in vivo. Le variazioni del potere patogeno sono in funzione delle oscillazioni di queste due fondamentali compo-nenti e possono essere indicate semplicemente definendo i batteri, molto o poco patogeni o apatogeni A) La moltiplicazione batterica in vivo Sebbene alcuni batteri penetrino nell'organismo attra-verso la puntura di un artropode vettore (ad esempio le Rickettsie) o siano inoculati direttamente nei tessuti profondi in seguito a traumi accidentali (ad esempio alcuni Clostridi), la maggior parte delle infezioni si verifica attraverso le membrane mucose e in parti-colare attraverso la mucosa enterica e respiratoria. Per poter iniziare un processo di infezione, un batterio patogeno deve inizialmente colonizzare una superficie mucosa, in competizione con i batteri commensali abituali e contrastando i meccanismi di detersione delle superfici mucose, rappresentati dal movimento del contenuto del lume del canale mucoso (intestino, uretra) o dalle correnti di muco convogliate dagli epiteli vibratili (mucose respiratorie). Adesività batterica Una fondamentale proprietà dei batteri patogeni, come del resto dei batteri commensali delle varie superfici mucose, è rappresentata dalla loro capacità di aderire specificamente e selettivamente alla superficie delle cellule di vari epiteli mucosi. Questo fenomeno è la conseguenza dell'interazione stereospecifica di struttu-re superficiali del batterio con la porzione glicidica di glicoproteine e glicolipidi presenti alla superficie delle cellule. Le strutture batteriche responsabili dei fenomeni di adesione prendono globalmente il nome di adesine. • L’adesività batterica, che può essere monitorata in

vitro rilevando la capacità del batterio di <agglu-tinare> una sospensione di emazie, è mediata da speciali proteine che, di norma, sono associate all'estremo terminale delle fimbrie o pili (FAA: fimbrial associated adhesins) o che sono rappre-sentate da proteine extra-cellulari (NFA: non fimbrial adhesins), associate in genere allo strato S. I due tipi di adesine sembrano mutualmente esclusivi e non sono noti batteri che li possiedano contem-poraneamente. Ambedue i tipi di adesine consistono di subunità proteiche (peptidi) di peso molecolare intorno a 12-35 kilodalton.

• In alcuni batteri l’adesività può dipendere dal-l’esistenza di altre strutture, come, ad esempio, le corte fibrille presenti alla superficie di Strep-tococcus pyogenes, le quali sono formate da una proteina di membrana, la cosiddetta proteina M che, complessata ad alcuni acidi teicoici, si proietta alI'esterno della parete cellulare.

• Anche alcuni polisaccaridi capsulari possono talo-ra stabilire delle connessioni dirette o indirette con alcune superfici di cavità mucose dell'organismo (ad es. Bacteroides fragilis e i glucani dello Streptococ-cus mutans, che aderiscono allla superficie dello smalto dentale.

Il possesso di <adesine> però, se da una parte rappresenta un vantaggio per il batterio al momento della colonizzazione di una superficie mucosa, dall'altra, una volta che il batterio sia penetrato nei tessuti profondi, può rappresentare un elemento di svantaggio quando le adesine siano in grado di interagire con recettori presenti (ed è un caso relativamente frequente) alla superficie di cellule dotate di potere fagocitario, promovendo così l’ingestione e I'eliminazione del batterio patogeno ad opera dei fagociti. Un efficace strumento per contrastare gli effetti potenzialmente nocivi della interazione adesine-fagociti è rappresentato dalla sintesi dei materiali capsulari i quali, se presenti in notevole quantità (la sintesi dei materiali capsulari è particolarmente accentuata in vivo), sono in grado di mascherare le adesine impedendone l’interazione con i recettori superficiali delle cellule eucariotiche. I polimeri capsulari possono inibire il legame adesina-recettore, variando la carica di superficie del batterio, alterandone la idrofobicità di superficie o modificando l'orientamento spaziale delle adesine alla superficie della cellula batterica. È possibile dimostrare che i polisaccaridi capsulari dei meningococchi e dei pneumococchi e l’acido jaluronico della capsula di Streptococcus pyogene, sono in grado di interferire con l’ade-sione sia agli epiteli mucosi sia alle cellule fagocitarie. La sintesi di materiale capsulare come mezzo per impedire il legame adesine-fagociti, è più frequente in quei batteri, dove le adesine sono rappresentate da componenti permanenti delle strutture di superficie (come le fibrille di Streptococcus pyogenes), mentre nel caso dei batteri dove le adesine sono rappresentate da strutture non essenziali alla sopravvivenza del batterio (fimbrie), l’attacco ai fagociti può essere prevenuto oltre che con la sintesi di polimeri capsulari anche con la mancata produzione di fimbrie in particolari momenti critici del processo infettivo. Sopravvivenza dei batteri alla superficie delle mucose. Capacità invasiva e penetrazione nei tessuti profondi. Una volta ancorato alla superficie di una mucosa, un batterio che riesca a trovarvi condizioni idonee alle proprie necessità metaboliche e sia in grado di contrastare i meccanismi di difesa antimicrobica locali (concorrenza delle specie microbiche commensali, presenza di lgA specifiche, etc.) inizia a moltiplicarsi. I batteri che ne derivano rimangono adesi uno all'altro ed alla superficie mucosa dove formano una colonia, concentrando i loro prodotti tossici (strutture della superficie batterica, esoenzimi, tossine vere e proprie) in una zona limitata della mucosa il cui epitelio di rivestimento viene così danneggiato e va incontro a fenomeni degenerativi aprendo ai batteri un varco verso

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la sottomucosa ed il resto dei tessuti profondi dell'organismo. A seconda delle possibilità offensive del batterio e delle sue caratteristiche fisiologiche, la colonizzazione batterica può • arrestarsi a livello della mucosa che viene lesa anche

per l’instaurarsi di fenomeni infiammatori locali, • complicarsi con la eventuale produzione di lesioni

generalizzate o comunque distanti dalla sede di colonizzazione, per la diffusione di prodotti tossici solubili nel resto dell'organismo (ad esempio: infezione difterica),

• può diffondere attraverso la sottomucosa ai tessuti profondi, e da qui per le vie ematiche o linfatiche nel resto dell'organismo.

Fattori che influenzano la moltiplicazione in vivo Una volta penetrato nei tessuti dell’ospite, un batterio patogeno deve essere in grado di metabo-lizzare e di moltiplicarsi, sia mantenendosi localmente nel punto di penetrazione, sia diffondendosi nell’organismo, lungo le vie linfatiche o il circolo ematico. Per crescere e moltiplicarsi deve possedere due qualità:

capacità biochimica di metabolizzare nelle condi-zioni nutrizionali fornite dai tessuti dell’ospite

contrastare i meccanismi difensivi dell’organismo che altrimenti lo ucciderebbero o porterebbero alla sua eliminazione.

Il potere <<aggressivo>> dei batteri In aggiunta alla capacità metabolica di crescere nei tessuti dell'ospite, i batteri devono produrre sostanze che agiscono contrastando le difese antibatteriche di quest'ultimo. Tali sostanze si possono dividere in due categorie. • Nella prima sono comprese quelle, non neces-

sariamente tossiche, che promuovono la crescita batterica in vivo inibendo le difese dell’ospite. Queste sostanze le indicheremo globalmente <aggressine> per definirne il ruolo biologico in modo operativo senza alcuna implicazione sulla loro natura chimica o sulle basi biochimiche del possibile meccanismo d'azione.

• La seconda categoria comprende una serie di sostanze costantemente tossiche le quali sono responsabili della sintomatologia morbosa delle varie affezioni e della morte dell'ospite e sono rappresentate dalle <tossine> batteriche.

Le aggressine svolgono un ruolo fondamentale nel primo, decisivo, periodo dell’infezione, quando i pochi batteri che hanno invaso i tessuti dell’ospite sono vulnerabili dalle difese di quest'ultimo. Il potere aggressinico dei batteri patogeni si esplica principalmente nei confronti della fondamentale linea difensiva di cui l’organismo dispone per contrastare l’iniziale invasione batterica e cioè la fagocitosi e la digestione intra-cellulare dei batteri. • L’azione aggressinica antifagocitaria dei batteri si può

esplicare in vario modo e nelle diverse tappe della interazione batteriofagocita.

• Vi può essere un'azione inibente nei confronti della migrazione dei fagociti che impedisce il contatto fra batterio e cellula fagocitaria, mentre in altri casi strutture batteriche o sostanze prodotte dai batteri agiscono impedendo l’ingestione del batterio da par-te del fagocita. Sotto questo profilo la capsula bat-terica è la più importante e diffusa difesa antifa-

gocitaria. La maggior parte dei batteri extra-cellulari in grado di causare infezioni, sono capsulati almeno in vivo.

• Il potere fagocitario può essere contrastato attra-verso la produzione di sostanze che agiscono danneggiando i leucociti, le quali sono indicate complessivamente con il nome di leucocidine (tossine con un bersaglio cellulare molto specifico rappresentato dai fagociti); oppure con altri meccani-smi come nel caso della cougulasi prodotta da alcuni stafilococchi che agirebbe precipitando il fibrinogeno intorno alla cellula batterica che sarebbe resa resistente alla fagocitosi.

• Una terza linea di estrinsecazione dell’attività ag-gressinica antifagocitaria dei batteri patogeni è quella che si verifica all’interno del fagocita stesso. Una volta inglobati da una cellula fagocitaria, i batteri sono uccisi e digeriti all’interno dei fagosomi dalle idrolasi lisosomiali.

Uno dei principali meccanismi che sono alla base dell’uccisione intrafagocitaria dei batteri è costituito da un sistema formato da: • Un enzima perossidasico presente nei leucociti

(mieloperossidasi) • un alogenuro (ioduro, in genere, che nei leucociti è

presente in concentrazione maggiore di quella del plasma) e

• perossido di idrogeno (H202)o un sistema capace di generarlo.

Nel fagolisosoma questo sistema viene attivato e, tramite l’azione della mieloperossidasi sul perossido di idrogeno, si ha l’ossidazione dell'alogenuro nell'aloge-no corrispondente che si combina a sua volta con le proteine batteriche denaturandole. Inoltre, nel fago-soma l’aumentato consumo di ossigeno porta alla formazione di superossido (02). In presenza di sali di ferro, 02 e H 202 reagiscono insieme e formano il radicale idrossilico OH- che può attaccare e danneggiare tutte le molecole biologiche ed indurre la perossidazione lipidica. Mentre la maggior parte dei batteri patogeni non sono in grado di resistere all’azione microbicida dell’ambiente intracellulare e sono di norma parassiti extracellulari (si riproducono nei fluidi tissutali), gli stipiti virulenti di alcuni batteri patogeni resistono anche all’interno delle cellule fagocitarie dove possono moltiplicarsi portando a morte il fagocita. La resistenza di tali batteri all'azione microbicida intrafagocitaria sembra in relazione con un alto contenuto in catalasi ed in superossido dismutasi entrambi enzimi deputati alla riduzione dei prodotti tossici sopracitati cioè H202 e 02. Molto importanti ai fini della sopravvivenza sono anche alcune proprietà dei batteri che permettono a questi di resistere ai fattori immuni umorali di difesa dell’ospite. Un ulteriore aspetto dell'azione aggressiva dei batteri è rappresentato dalla elaborazione di sostanze (enzimi) che favoriscono la diffusione dell’infezione nei tessuti dell’ospite. I principali rappresentanti di questa ultima categoria di aggressine sono costituiti da: • ialuronidasi, prodotta da molti batteri patogeni

Gram-positivi, che agisce depolimerizzando l’acido ialuronico della sostanza fondamentale del connet-tivo;

• cinasi prodotte dagli stafilococchi e dagli strepto-cocchi (rispettivamente stafilocinasi e streptocinasi) che catalizzano la dissoluzione dei coaguli di fibrina;

• collagenasi prodotte da vari clostridi che dissolvono la componente collagena del tessuto muscolare.

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Tutti questi enzimi in vario modo sono in grado di facilitare l’apertura di varchi nella compagine tissutale, che consentono la diffusione dei batteri che li produco-no e, per questo motivo, sono globalmente denominati <invasine>. B) LA PRODUZIONE DI TOSSINE

La produzione di tossine o tossigenicità è una delle due componenti (essenziali) del potere patogeno di un batterio.

Le tossine o veleni batterici sono le responsabili della sintomatologia morbosa e del danno provocato all'organismo ospite, nelle varie infezioni batteriche, possono essere suddivise in due grandi categorie indicate rispettivamente con i termini esotossine ed endotossine.

Per esotossine si è inteso inizialmente quella cate-goria di veleni batterici che si liberano nell’ambiente man mano che vengono prodotti e sono facilmente separabili dai batteri (per filtrazione, centrifugazione, etc.), sono di natura chimica proteica

Per endotossine si è inteso invece il gruppo di veleni contenuti nella cellula batterica o comunque legati ad alcune strutture batteriche e che non si liberano nell’ambiente se non dopo la lisi dei batteri stessi, sono di natura chimica lipo-polisaccaridica

Alcune tossine proteiche (esotossine) tipiche come ad esempio la tossina tetanica o botulinica si accumulano dentro la cellula e vengono eliminate solo quando inizia la lisi cellulare, mentre alcune tossine proteiche prodotte da batteri Gram-negativi (shigelle, yersinie, bordetelle, vibrioni) che hanno una chiara localizzazione endocellulare (citoplasmatica) e che per-tanto meriterebbero la denominazione di endotossine, dal punto di vista della natura chimica sono proteine e quindi, sotto questo profilo, tipiche <esotossine>.

Differenze fisico-chimiche che caratterizzano le due classi di veleni batterici: le esotossine sono, tranne poche eccezioni (tossina eritrogenica streptococcica, enterotossina stafilococci-ca, streptolisina S): • termolabili • distrutte dai succhi gastrici (ad eccezione dell'ente-

rotossina stafilococcica e della tossina botulinica); • il loro potere tossico è neutralizzato dall'anticorpo

corrispondente • alcune sono trasformabili in anatossine; l’endotossina è: • termostabile • ha un potere antigene complessivamente inferiore,

dovuto alla porzione polisaccaridica • il suo potere tossico (legato alla porzione lipidica) non

è neutralizzato dall'anticorpo corrispondente (che è evidentemente diretto contro la porzione antigene)

• è più resistente all'azione dei succhi digerenti • non può essere detossificata in materiali para-gonabili

alle anatossine. La struttura molecolare delle esotossine • le esotossine sono di natura proteica, alcune

tossine (in particolare la maggior parte delle tossine citolitiche vedasi oltre) sono monomeriche, nel senso che sono costituite da un'unica molecola proteica

• la maggior parte delle tossine, che svolgono la loro azione tossica dopo essere penetrate nella cellula bersaglio (le tossine ADP-ribosilanti, la tossina di Shiga e le tossine assimilabili, le tossine botulinica e

tetanica ecc.), sono dimeri formati da due diversi peptidi (sovente tenuti insieme da ponti disulfurici) denominati A e B. Con la lettera B si indica generalmente il peptide che, grazie alla sua peculiare conformazione, è in grado di interagire con recettori presenti alla superficie della cellula bersaglio, provocando nella membrana cellulare una serie di alterazioni che consentono la traslocazione intracellulare del peptide A che è quello dotato della azione tossica specifica e che deve essere considerato la tossina vera e propria e che, però, da solo sarebbe completamente atossico in quanto incapace di interagire con la cellula e di penetrare al suo interno. In alcuni casi la tossina viene già eliminata dalla cellula batterica sotto forma di due peptidi tenuti assieme da ponti disulfurici. In altri casi la tossina viene eliminata dalla cellula batterica come un'unica molecola ed è separata nei due peptidi funzionalmente diversi ad opera di proteasi dell’ospite che tagliano la molecola in corrispon-denza di sequenze aminoacidiche sottese da un ponte disulfurico che garantisce il mantenimento dell'unione tra le due parti della molecola, consen-tendo al frammento B di veicolare il frammento A sul bersaglio finale.

• In alcuni casi, inoltre, la tossina è una struttura multimerica in cui il componente B, è un oligomero formato da un certo numero di peptidi identici (enterotossina colerica ed entero-tossine di Escheri-chia coli, tossina di Shiga e tossine assimilabili) o diversi (esotossina di Bordetella pertussis).

• Un caso particolare è costituito dalle tossine multifattoriali, formate da monomeri differenti e di per sè nulla o poco tossici in cui uno dei monomeri ha la funzione di legarsi alla membrana cellulare dove provoca alterazioni che smascherano i recettori per gli altri componenti del complesso tossico (leucocidina stafilococcica) o viene esso stesso modificato da proteasi cellulari, consentendo successivamente l’ancoraggio (e la traslocazione nel citosol) dei componenti tossici veri e propri (tossina di Bacillus anthracis).

I caratteri antigeni delle esotossine

Data la loro natura proteica, le esotossine sono ottimi antigeni in grado di indurre una buona risposta immunitaria umorale e la loro azione tossica è neutra-lizzata dagli anticorpi corrispondenti.

Alcune esotossine sono caratterizzate da un diver-so grado di polimorfismo immunologico, che consiste nel fatto che • differenti stipiti batterici di una stessa specie pos-sono

produrre la stessa esotossina, in un certo numero di varietà antigeniche differenti,

• una situazione inversa è quella che si osserva per alcune esotossine che, prodotte da specie batteriche diverse, presentano tuttavia caratteri antigeni e funzionali comuni.

È questo il caso delle emolisine (citolisine) tiol-dipendenti che comprendono più di una dozzina di esotossine elaborate da differenti specie di batteri prevalentemente, anche se non esclusivamente, Gram-positivi (e di cui il prototipo è la streptolisina 0 prodotta da Streptococcus pyogenes), la cui attività tossica dipende dalla presenza di gruppi tiolici (sulfidrilici) sulla molecola e, conseguentemente, viene persa in presenza di 02 (tossine ossigeno-labili). Le emolisine tiol-dipendenti presentano numerose comu-

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nanze antigeniche indipendentemente dalla specie batterica produttrice (per cui gli anticorpi prodotti nei confronti di una tossina, reagiscono anche con le altre tossine di questo gruppo). Meccanismo d'azione delle esotossine • L’azione delle tossine proteiche è caratterizzata dalla

specificità degli effetti dannosi, che sono tipici di ciascuna esotossina (o gruppo di eso-tossine), al contrario dell'endotossina, che pre-senta un'attività tossica molto simile, quale che sia il batterio produttore.

• Un'altra caratteristica delle esotossine è rappresen-tata dalla intensità dell'azione tossica che risulta molto più elevata, e di vari ordini di grandezza, rispetto a quella di altri veleni animali, vegetali o prodotti per sintesi.

Le dosi minime mortali (per l’animale più sensibile) delle esotossine sono distribuite fra i 2x10-5 µg della tossina botulinica e gli 1-5 µg della maggior parte delle altre tossine proteiche. Naturalmente la sensibilità verso una data tossina varia grandemente fra le diverse specie animali: la cavia è mille volte più sensibile alla tossina di Shiga rispetto al topo; il coniglio e la cavia sono estrema-mente sensibili alla tossina difterica mentre il topo ed il ratto sono praticamente insensibili, ecc. A seconda del livello e del risultato dell'azione tossica, nei confronti della singola cellula, le varie esotossine batteriche possono essere classificate in: • tossine che agiscono a livello extracellulare (ad

esempio: tossina epidermolitica di Staphylococcus aureus);

• tossine che ogiscono a livello della membrana cellulare (ad esempio: tossine emolitiche prodotte da diversi batteri);

• tossine che penetrano nella cellula modificandone la regolazione (ad esempio: enterotossina colerica, tossina della pertosse);

• tossine che penetrano nella cellula uccidendola (ad esempio: tossina difterica).

Le manifestazioni tossiche delle diverse tossine nell'organismo sensibile variano (tossine neurotrope, enterotossine, tossine citolitiche, etc.) in funzione dell'organo bersaglio principale, la cui identifica-zione deriva sia dalla presenza di recettori cellulari idonei a fissare la tossina sia dalla via di diffusione della tossina nell'organismo.

Le principali tossine proteiche prodotte da batteri di interesse clinico si possono distinguere in: 1. Tossine citolitiche: (in grado di ledere le mem-

brane delle cellule bersaglio provocandone la morte) denominate anche emolisine per il fatto che le emazie rappresentano il tipo di cellule più facilmente utilizzabili in vitro per dimostrarne l’azione;

2. Tossine neurotrope: le cui cellule bersaglio sono localizzate nel sistema nervoso centrale o periferico;

3. Enterotossine: attive a livello delle cellule della mucosa dell’intestino (soprattutto dell'intestino tenue) e la cui azione tossica si traduce essen-zialmente nella comparsa di diarrea;

4. Tossine pantrope: in grado di danneggiare (attraverso l’alterazione, la deregolazione o il blocco di peculiari eventi metabolici) qualsiasi cellula in possesso di recettori idonei a fissare la tossina.

Tossine che agiscono a livello extra-cellulare La principale tossina che agisce a livello extra-cellulare è la cosiddetta tossina esfoliativa o tossina epidermolitica prodotta da alcuni stipiti di Staphy-lococcus aureus. Questa tossina è la responsabile di un'affezione esclusiva della prima infanzia e varia-mente denominata: necrolisi epidermica acuta, dermatite esfoliativa generalizzata, malattia di Ritter, sindrome della cute ustionata (scalded skin syndrome o S.S.S.). La malattia è conseguente alla colonizza-zione dell'epidermide ad opera di stafilococchi produt-tori della tossina, la quale, diffondendo nell’epidermide, provoca la rottura dei desmosomi che mantengono unite tra loro le cellule dello strato granuloso, con il con-seguente scollamento spon-taneo, o alla minima pressione, di ampie zone degli strati superficiali di epidermide necrotica. Il meccanismo d'azione della tossina esfoliativa non è ancora definito nei suoi termini molecolari (anche se è possibile che la tossina sia una serino-proteasi ed abbia proprietà di superantigene) e non è chiaro se ad agire sulle strutture di connessione intercellulare sia direttamente la tossina o siano, invece, enzimi preesistenti nell'epidermide e nei cui confronti la tossina funga da attivatore. Tossine che agiscono sulle membrane cellulari (citolitiche, emolisine) Le tossine citolitiche hanno come bersaglio la membrana cellulare di cui modificano l'integrità fisiologica e strutturale, provocando, spesso, la lisi e, comunque sempre, la morte della cellula bersaglio. Le modalità di azione delle varie tossine citolitiche sono diverse ed alcune ancora sconosciute (come quella della tossina gamma di Staphyococcus aureus e del fattore CAMP). Per le tossine i cui meccanismi d'azione sono noti, essi sono fondamentalmente riconducibili a due meccanismi principali: la forma-zione di pori o di canali attraverso la membrana e la distruzione enzimatica di componenti lipidici della membra-na. A) Formazione di pori o canali transmem-branari.

Alcune tossine citolitiche sono formate da polipeptidi con carattere amfifilico (con regioni, cioè, alternativamente idrofiliche o idrofobiche), che si inseriscono nel doppio strato lipidico della membrana formando piccoli polimeri che delimi-tano una serie di pori o canali che mettono in comunicazione diretta il citosol con l’ambiente esterno, alterando la funzionalità della membrana Le principali tossine proteiche che agiscono con questo meccanismo, sono rappresentate dalle tossine (emolisine) alfa e delta di Staphyococcus aureus, dalla streptolisina 0 di Streptococcus pyogenes e da tutte le altre tossine tiol-dipendenti (ossigeno-labili) prodotte da batteri diversi, dalle emolisine prodotte da Escherichia coli e da altri entero-batteri, e dalla emolisina di Bordetella pertussis.

B) Azione enzimatica sui lipidi di membrana. Alcune tossine proteiche citolitiche sono veri e propri enzimi in grado di idrolizzare alcuni componenti lipidici della membrana. L’attività enzimatica è, in genere, di tipo fosfolipasico C ed ha come bersaglio la fosforilcolina.

Le leucocidine Con questa denominazione si indicano due tossine, prodotte, rispettivamente, da Staphylococcus aureus e da Pseudomonas aeruginosa, che sono citotossiche

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esclusivamente per le cellule fagocitarie (leucociti polimorfonucleati e macrofagi) e sono sprovviste di attività litica per le emazie (tossine citotossiche non emolitiche). Queste tossine agiscono con un mecca-nisrno complesso e ancora incompletamente noto, che si esplica attraverso alterazioni della membrana e, soprattutto, attraverso la stimolazione irreversibile delle vie metaboliche (attivazione di fosfolipasi C, idrolisi del fosfatidilinositolo con produzione di diacilgli-cerolo e di inositolo trifosfato, mobilizzazione del calcio intracellulare, attivazione di fosfolipasi A2, attivazione della proteinocinasi C, ecc.), legate alla trasduzione dei segnali di membrana ed alla attivazione cellulare. Nell’azione tossica delle leu-cocidine, particolarmente importante sembra la fosforilazione di una proteina delle membrane lisosomiali, in conseguenza della attivazione della proteinocinasi C, calcio-dipendente, con la rottura della membrana lisosomiale e la libera-zione degli enzimi lisosomiali nel citosol, con la conse-guente necrosi della cellula. Le tossine ADP ribosilanti Un numero notevole di tossine batteriche, di grande rilevanza in diversi processi patologici, sono accomu-nate dal fatto di essere enzimi ADP-ribosilanti.

Il processo di ADP-ribosilazione è catalizzato da appositi enzimi (ADP-ribosiltrasferasi) che agiscono sul NAD, staccando la nicotinamide e trasferendo il resto della molecola (adenosina-difosfato-riboso) su una molecola proteica bersaglio. La ADP-ribosilazione è un processo di modificazione post-traduttiva delle proteine, in grado di modularne la funzionalità. Nei batteri le ADP-ribosiltrasferasi sono in genere enzimi mono-ADP-ribosilanti ed hanno il loro bersaglio in alcune proteine della cellula eucariotica. Sono tipiche tossine dimeriche o oligomeriche in cui la porzione B della molecola ha la funzione di legare la tossina ai recettori di membrana e di consentire la traslocazione intracellulare del componente A che è quello dotato dell'azione tossica. Le principali tossine proteiche ADP-ribosilanti sono: tossina difterica, tossina A di Pseudomonas aeruginosa, tossina colerica, entero-tossina termolabile di Escherichia coli, tossina pertossica, tossina C2 di Clostridium botulinum (da tenere distinta dalla tossina botulinica che ha un diverso meccanismo d'azione), tossina <iota> di Clostridium perfringens ed alcune tossine simili prodotte da altri clostridi, che hanno tutte come bersaglio una serie di proteine che controllano una serie di circuiti cruciali della cellula eucariotica come la sintesi proteica, la trasduzione di segnali di membrana e la struttura del citoscheletro e hanno in comune la caratteristica di appartenere alla famiglia delle <proteine G>, formata da proteine accettrici di guanosina-trifosfato (GTP) o GTP-binding-proteins, con l'unica eccezione dell'actina, bersaglio delle tossine ADP-ribosilanti prodotte da clostridi che lega ATP anzichè GTP. La tossina difterica e la tossina A di Pseudomonas aeruginosa La tossina difterica è una tossina <pantropa> la cui azione tossica è legata alla inibizione della sintesi proteica cellulare. La molecola della tossina è costituita da una catena polipeptidica di 62,000 daltons di peso molecolare, con due ponti disolfurici, dei quali uno si trova fra i residui aminoacidici 186 e 201 e sottende 14 aminoacidi tra cui sono inclusi tre residui di arginina i cui legami sono il bersaglio di numerose proteasi che

tagliano la molecola in due frammenti, indicati rispet-tivamente come frammento A (21500 daltons) e frammento B (40500 daltons) che rimangono uniti esclusivamente attraverso il ponte disolfurico.

Il frammento B, con la sua parte COOH-terminale, reagisce con recettori presenti alla superficie cellulare ed attraverso un processo lento ed irreversibile si lega alla parte idrofoba della membrana in prossimità del recettore, penetrando in parte la membrana in cui crea un canale attraverso il quale il frammento A penetra all’interno della cellula. La rottura del ponte disolfurico tra i due frammenti, ad opera di sostanze riducenti (glutatione) intracellulari, libera il frammento A che, a questo punto, è enzimaticamente attivo (enzima ADP-ribosilante) ed agisce sul NAD distaccandone la nicotinamide e catalizzando il legame covalente della porzione residua della molecola (ADP-riboso) con il fattore EF2 che, nella cellula eucariotica, interviene nella biosintesi della catena polipeptidica a livello della traslocazione (polipeptidil-t-RNA transferasi) sul ribosoma.

II complesso EF2-ADP-riboso che ne risulta ancora in grado di combinarsi con il ribosoma ed il guano-siltrifosfato (GTP), però l’idrolisi del GTP necessaria alla reazione di traslocazione viene bloccata e viene quindi arrestata la sintesi proteica.

In conseguenza della peculiare azione della tossina è facile comprendere come il frammento A da solo sia enzimaticamente attivo (in vitro) ma non tossico (in quanto incapace di legarsi alle cellule), mentre il frammento B da solo sia in grado di legarsi alle cellule ma non tossico.

Anche la tossina A di Pseudomonas aeru-ginosa, pur essendo antigenicamente diversa dalla tossina difterica, ha una struttura simile ed un identico mecca-nismo di azione. La tossina (enterotossina) colerica e le entero-tossine correlate La tossina colerica è il prototipo di un gruppo di tossine proteiche funzionalmente e sierologicamente correlate, prodotte oltre che da Vibrio cholerae, anche da altri batteri, tra i quali, ad esempio, gli stipiti enterotossigeni di Escherichia coli (stipiti ETEC), Campylobacter jejuni, Aeromonas hydrophyla, ed alcuni batteri del genere Salmonella (Salmonella enteritidis, Salmonella typhi-murium) e Klebsiella.

Questo gruppo di tossine rappresentano le entero-tossine sensu stricto, la cui azione si esplica fondamentalmente a livello dell’intestino tenue, con l’accumulo intraluminale di una grande quantità di liquidi e la produzione di costanti manifestazioni diarroiche piùo meno intense.

La molecola della tossina colerica (peso molecolare di 80000 daltons) è rappresentata da un oligomero formato dall'unione non covalente di una subunità A (peso molecolare 29000) e di 5 o 6 subunità B (identiche fra di loro) ciascuna del peso molecolare di 10600 daltons. Con ogni probabilità le subunità B circondano come una co-rona la subunità A che si trova al centro dell’oligomero e che è la responsabile dell'azione tossica.

La molecola completa (tossica) prende anche il nome di coleragene, mentre la molecola formata dalle sole subunità B è detta anche colera-genoide e rappresenta l’anatossina spontanea.

La subunità A è formata a sua volta da due catene polipeptidiche, indicate rispettivamente come A1, del

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peso molecolare di 23000 daltons, e A2 (5500 daltons) tenute insieme da un ponte disolfurico. La catena A1 è la vera responsabile dell'azione tossica, mentre la catena polipeptidica A2 sembra necessaria all'unione della sub-unità A con le varie subunità B nell'oligomero definitivo. Le subunità A e B sono contemporaneamente neces-sarie per l’estrinsecazione dell'azione della tossina. Infatti, le subunità B, disposte alla periferia dell'oligo-mero, sono le responsabili dell'interazione e del legame tra la molecola tossica ed i recettori specifici di membrana delle cellule bersaglio (recettori di natura gangliosidica). Il legame con il recettore induce nella molecola tossica alcuni cambiamenti conformazionali sufficienti ad inde-bolire il legame tra le varie subunità ed a consentire la liberazione della subunità A, che diviene così in grado di attraversare la membrana penetrando nel citosol cellulare. In questa sede la presenza di sostanze riducenti interrompe il legame disolfurico tra i due polipeptidi della subunità A liberando il fram-mento A1, che e dotato di attività enzimatica ADP-ribosilante NAD-dipendente. Il frammento A1 in presenza di NAD, provoca la ADP-ribosilazione di una proteina accettrice di GTP che è la proteina attivatrice della adenilatociclasi e che viene immobilizzata nello stato <<attivato>>, provo-cando a sua volta l’attivazione ininterrotta dell'enzima . L’attivazione dell'enzima ha come conseguenza la produzione di una notevole quantità di AMP-ciclico che, come è noto, ha una serie di effetti e, in partico-lare, interviene nella regolazione degli scambi idrici ed elettrolitici .

La tossina colerica inducendo una notevole quantità di AMP-ciclico nelle cellule della mucosa intestinale (intestino tenue) provoca una perturbazione nel passaggio di acqua ed elettroliti che si traduce nella perdita di acqua verso il lume intestinale con la conseguente diarrea e disidratazione dell'organismo.

Anche la tossina termolabile di Escherichia coli e, probabilmente, anche le enterotossine di Klebsiella pneumoniae, Salmonella typhimurium e Salmonella enteritidis agiscono con un meccanismo simile a quello della tossina colerica con la quale sono anche immu-nologicamente correlate. La tossina pertossica La tossina pertossica è la principale tossina proteica prodotta da Bordetella pertussis.

La tossina pertossica ha un peso molecolare di 105 kDa ed è formata da 5 differenti subunità, denomi-nate da S1 a S5 secondo la rispettiva mobilità elettro-foretica. La porzione attiva A della molecola è formata dal monomero S1, mentre la porzione B è un oligo-mero formato a sua volta da due dimeri (rispettiva-mente S2 + S4 ed S3 + S4) ed un monomero (S5).

La proteina che rappresenta il bersaglio principale della attività ADP-ribosilante è anche per la tossina pertossica (come per la tossina colerica e le entero-tossine correlate) una proteina G, regolatrice del-l’adenilato ciclasi presente nella membrana cellulare. Mentre la tossina colerica ha come substrato una proteina attivatrice che immobilizza nello stato attivato, la tossina della pertosse ha come substrato una proteina (anch'essa in grado di accettare GTP) con funzione inibitoria che viene resa inattiva.

Ll’adenilato-ciclasi si trova nella membrana cellulare, dove converte ATP in AMP ciclico (cAMP);

quest'ultimo è un <<secondo messaggero>>, in grado di indurre l’attivazione dei promotori di diversi geni, per cui le cellule ri-spondono ad aumenti di cAMP, esplicando la funzione a cui sono adibite: cellule delle insule pancreatiche rispondono secernendo insulina, cellule della tiroide secernendo ormoni tiroidei.

È ovvio che un enzima che esplica una funzione così importante come l’adenilatociclasi, sia regolato in modo molto fine; infatti due proteine (chiamate proteine G, poichè legano GTP) modulano la sua funzione: una di queste (Gs) è capace di stimolare l’adenilatociclasi, l’altra la inibisce (Gi). Gs riceve i messaggi da recettori (Rs) che si trovano sulla superficie della membrana cellulare, i quali a loro volta ricevono i messaggi da ormoni stimolatori (Hs) presenti nel medium extracellulare. Analogamente, Gi riceve messaggi inibitori da recettori inibitori (Ri), i quali a loro volta vengono comandati da ormoni inibitori (Hi). Come abbiamo già detto la proteina Gs (stimolatrice) è il substrato della tossina colerica, che la immobilizza nello stato attivato, per cui si ha un enorme aumento della quantità di cAMP, mentre il substrato della tossina della pertosse è la pro-teina Gi (inibitoria) che viene inattivata in modo tale che non è più capace di inibire l’adenilato-ciclasi .

La trasmissione di stimoli esterni all'interno delle cellule, tramite il complesso adenila-tociclasi-proteina G, è associato a recettori beta-adrenergici (Rs) e alfa-adrenergici (Ri). Uno degli effetti della tossina della pertosse è il blocco dell'azione alfa-adrenergica.

Questo blocco può spiegare alcuni degli effetti più vistosi della tossina della pertosse, come la sensibiliz-zazione all'istamina (HSF) e la stimolazione delle insule pancreatiche (IAF).

L’inoculazione di istamina in animali da laboratorio provoca vasodilatazione, aumento della permeabilità vascolare e quindi ipotensione. Normalmente gli ani-mali rispondono con un rilascio di catecolamine, che causano vasocostrizione tramite il meccanismo alfa-adrenergico. Negli animali trattati con tossina della pertosse il meccanismo alfa-adrenergico è bloccato e la vasodilatazione è fatale.

L’azione della tossina pertossica, oltre che im-pedire l’azione della proteina G-inibitoria dell'attività dell'adenilato-ciclasi, coinvolge una serie di altre proteine G che intervengono nella trasmissione di segnali di membrana, in differenti tipi di cellule, per cui è chiaro come la tossina della pertosse possa contemporaneamente avere una serie di attività diverse. In seguito all'azione della tossina, infatti, tutte le cellule reagiscono in modo anomalo agli stimoli che provengono dall'esterno, e gli effetti più marcati (ipo-glicemia, iperpotassemia, linfocitosi, aumento della permeabilità e fragilità capillare) possono spiegare anche le manifestazioni encefaliche spesso associate alla malattia. Le tossine ADP-ribosilanti attive sul citoscheletro Mentre le tossine ADP-ribosilanti descritte sin qui hanno come bersaglio una proteina G, esiste un gruppo di tossine ADP-ribosilanti prodotte da clostridi le quali hanno, però, come bersaglio, il network di microfilamenti del citoscheletro cellulare. Il prototipo di questo sottogruppo di tossine ADP-ribosilanti è la tossina C2 prodotta da Clostridium botulinum (struttu-ralmente e funzionalmente diversa dalla tossina botulinica neurotropa), che agisce ADP-ribosilando l’actina monomerica che perde la proprietà ATP-asica e

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la capacità di polimerizzare nei filamenti funzional-mente efficaci, con la conseguente alterazione del network intracellulare di actina che si traduce morfo-logicamente nella modificazione della forma della cellula che assume una forma rotondeggiante. Altre tossine che agiscono in modo analogo sono la tossina <iota> di Clostridium perfringens e le tossine ADP-ribosilanti prodotte da Clostridium spiriforme e Clostridium difficile. Tossina botulinica e tossina tetanica Si tratta di due classiche tossine <neurotrope>, il cui meccanismo d'azione molecolare è stato chiarito solo recentemente. Le tossine botulinica e tetanica interferiscono con i meccanismi di trasmissione dell'impulso nervoso rispettivamente a livello periferico e centrale e provo-cano la morte in seguito all’instaurarsi di una paralisi flaccida (tossina botulinica) o di una paralisi spastica per contrattura muscolare generalizzata (tetano). L’attività della tossina botulinica, essenzialmente circoscritta al sistema nervoso periferico, si estrinseca attraverso il blocco della trasmissione colinergica mediata dall'acetilcolina. Gli effetti della tossina si manifestano quindi sulle terminazioni delle fibre nervose pregangliari para-simpatiche e simpatiche del sistema nervoso autonomo, sulle terminazioni finali delle fibre del sisterna nervoso parasimpatico e sulle termi-nazioni delle fibre dei motoneuroni che innervano i muscoli striati. La tossina agisce a livello presinaptico inibendo la liberazione dell’acetilcolina dalle vesci-cole sinaptiche e bloccando così la trasmissione dello impulso nervoso. L’intossicazione botulinica si traduce in una paralisi generale dell'attività neuromuscolare (paralisi flaccida) e del sistema nervoso autonomo cui segue rapidamente la morte. La tossina tetanica agisce a livello del sistema nervoso centrale bloccando l’impulso nervoso inibitore del riflesso da stiramento muscolare, per cui ad ogni contrazione muscolare segue la contrazione dei muscoli antagonisti con una contrattura spastica di tutta la muscolatura che si traduce nella incapacità funzionale della muscolatura stessa (paralisi spa-stica). La tossina tetanica diffonde al sistema nervoso centrale (midollo spinale) per via centripeta lungo le fibre nervose e si fissa a livello di recettori ganglio-sidici della membrana dei motoneuroni. La tossina agisce a livello pre-sinaptico impedendo la libera-zione dei differenti neurotrasmettitori inibitori, bloccando i processi inibitori spinali.

Tossine ciliostatiche Numerose specie batteriche producono una serie di veleni attivi sulle cellule eucariotiche che possiedono cilia o flagelli, nei cui confronti provocano una serie di effetti che vanno da asincronia nel movimento delle cilia alla totale paralisi del movimento ciliare, fino alla necrosi delle cellule ciliate. Queste tossine sono strut-turalmente diverse ed i batteri produttori più importanti sono rappresentati da Bordetella pertussis e Neisseria gonorrhoeae, in cui le tossine cilio-statiche sono pro-babilmente da identificare con frammenti di peptido-glicano e da Pseudomonas aeruginosa, i cui veleni ciliostatici sono almeno due. I meccanismi d'azione delle diverse tossine ciliostatiche non sono noti, ma è intuibile come la produzione di questo tipo di veleni possa favorire la colonizzazione degli epiteli ciliati (epiteli delle mucose respiratorie ad opera di Bordetella

pertussis o di Pseudomonas aeruginosa, epiteli tubarici ad opera di Neisseria gonorrhoeae) e contribuire decisamente al potere patogeno dei batteri produttori.

La tossina carbonchiosa La patogenicità di Bacillus anthracis dipende essen-zialmente dal potere antifagocitario della peculiare capsula formata da un polimero dell'acido D-glutami-co e dalla produzione di un'altrettanto peculiare tossina proteica.

La peculiarità della tossina dipende dal fatto che essa è una tossina <multifattoriale>, formata da tre diverse proteine che individualmente sono prive di potere tossico. In realtà due proteine sono i componenti tossici, denominati: • <fattore edematogeno> o EF (edema factor) e • <fattore letale> o LF (lethal factor). Nessuno dei due componenti tossici è in grado di interagire con la membrana delle cellule eucariotiche e di penetrare, quindi, all’interno della cellula. La funzio-ne di mediare la penetrazione intracellulare di uno o I'altro (o di tutti e due) i componenti tossici, è svolta invece dal componente PA (protective antigen) che è in grado di interagire con un recettore di membrana pres- sochè ubiquitario nelle cellule animali. Una volta legato alla superficie cellulare il componente PA di circa 83 kDa di peso molecolare, viene attaccato da proteasi cellulari che ne distaccano un frammento di 20 kDa scoprendo una zona della molecola che permette l'attacco dei componenti LF o EF consen-tendone poi l’internalizzazione attraverso un processo di endocitosi. Sotto questo profilo, quindi, l'azione della tossina carbonchiosa può essere considerata come la risultante dell'azione di due distinte tossine: la tossina edematogena (formata da PA + EF) e la tossina letale (formata da PA + LF) che hanno in comune il fattore che ne consente I'ancoraggio e la penetrazione nelle cellule bersaglio. • Il componente EF è un'enzima e precisamente una

adenilato ciclasi che, in presenza di Ca++ e Ca-modulina, è in grado di convertire ATP in AMP-ciclico, che si accumula all’interno della cellula, in concentrazioni eccezionalmente elevate, provo-cando una serie di perturbazioni metaboliche di cui la più evidente è l’azione edematogena per l’accu-mulo di liquidi negli spazi intercellulari.

• Il componente LF (in grado di uccidere l’animale da esperimento se inoculato insieme al componente PA) è una metallo-proteasi che agisce, inattivando alcune chinasi (enzimi fosforilanti) e precisamente MAPKKi e MAPKK2 (mitogen-activated protein--kinase kinase 1 e 2) che fosforilano, a loro volta, le proteino-chinasi attivate da stimoli mitogeni (mito-gen-activated protein- kinase o MAPK).

• Il componente PA deve il suo nome al fatto che la presenza di anticorpi nei suoi confronti ne provoca la <neutralizzazione> bloccandone il legame al recet-tore specifico, ed impedendo di conseguenza il successivo legame e l’azione dei due componenti dotati di tossicità.

Tossina di Shiga e tossine assimilabili (tossine Vero o SLT: Shiga like toxins) Shigella dysenteriae di tipo 1 (il batterio prototipo del genere Shigella) produce una tossina proteica, inizial-mente descritta, con la denominazione di tossina di Shiga, come una neurotossina per alcuni effetti neu-rologici evidenti negli animali da esperimento. La

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tossina di Shiga, è un oligomero formato da un peptide A di circa 32 kDa di peso molecolare unito a 4 o 5 peptidi B di peso molecolare molto più basso. Una volta penetrato nella cellula, il peptide A viene privato di un piccolo peptide A2 ad opera di proteasi cellulari ed il peptide A1 residuo è la porzione attiva. La tossina di Shiga inibisce irreversibilmente le sintesi protei-che cellulari

Sul finire degli anni '70 si dimostrò che alcuni stipiti di Escherichia coli producevano delle tossine proteiche in grado di uccidere cellule animali in coltura. Poichè le colture cellulari impiegate inizialmente erano rappre-sentate dalla linea cellulare denominata <Vero>, le tossine furono operativamente indicate come <tossine Vero>. Successivamente si è dimostrato che le <tossi-ne Vero>, di cui si conoscono almeno due tipi diversi, hanno lo stesso meccanismo d'azione della tossina di Shiga, con la quale presentano anche una sequenza aminoacidica molto simile e numerose comunanze antigeniche, per cui esse sono oggi più propriamente indicate come <Shiga-like toxins> I e II (SLT-I e SLT-II). Tossine batteriche che agiscono come super-antigeni Si tratta di un gruppo di tossine proteiche mono-meriche (formate da una singola catena peptidica) che hanno in comune una serie di proprietà (sono tutti veleni pirogeni, mitogeni, induttori di shock e immu-nocitotropi) e comprendono fondamentalmente la tossina eritrogenica prodotta da Streptococcus pyogenes, una serie di veleni proteici prodotti da Sta-phyococcus aureus, come le cosiddette tossine stafilo-cocciche pirogene, la tossina stafilococcica dello shock tossico (toxic shock syndrome toxin type 1 o TSST-1) e le tossine stafilococciche impropriamente denominate <<enterotossine>> nonchè l’ enterotossina prodotta da Clostridium perfringens. Oltre ad alcune azioni tossiche peculiari di ciascuna tossina (o gruppo di tossine) ed ancora incompletamente chiarite (vasodila-tazione dei capillari cutanei ad opera della tossina eritrogenica streptococcica, azione emetica centrale delle enterotossine stafilococciche, etc.) gran parte de-gli effetti dannosi prodotti da questa categoria di tossine sembra correlato ad un peculiare meccanismo di attivazione policlonale dei linfociti T e di altre cellule del sistema immune, in virtù di un loro caratteristico comportamento che ha valso loro la denominazione di superantigeni. Come è noto, un antigene convenzionale (in genere, una proteina) che penetri in un organismo animale, è captato da una serie di cellule (monociti, macrofagi, linfociti B, etc.) che provvedono alla sua elaborazione ed alla sua presentazione alle cellule immunocompe-tenti. Questo processo consiste sostanzialmente nella frammentazione della proteina antigenica in una serie di corti peptidi, alcuni dei quali (e precisamente quelli che corrispondono stericamente alla nicchia pre-sente nel complesso maggiore di istocompatibilità di tipo II o MHC-II di quel particolare individuo) vengono esposti alla superficie della cellula, legati alle proteine del MHC-II e, in questo contesto, sono riconosciuti dai recettori specifici dei linfociti T helper che vi si legano risultandone attivati. In conseguenza di questo meccanismo di ricono-scimento, strettamente regolato, ogni antigene conven-zionale è capace di attivare esclusivamente uno o pochissimi cloni di linfociti T helper (quelli dotati di

un sito combinatorio del recettore, specifico per l’anti-gene presentato) i quali, a loro volta, attiveranno, tra le cellule effettrici della risposta immune, solo ed esclu-sivamente i cloni corrispondenti a quella precisa specificità antigenica. Un superantigene, invece, è in grado di attivare numerosissimi cloni di cellule T helper. Un super-antigene, infatti, è in grado di legarsi direttamente alle proteine del complesso maggiore di istocom-patibilità di classe II presenti alla superficie delle cellule monocito-macrofagiche, senza necessitare una preventiva internalizzazione e manipolazione da parte dei macrofagi e, una volta legato al MHC-II del macro-fago, diviene a sua volta capace di interagire in modo aspecifico (prescindendo cioè dalla complementarietà di configurazione strutturale con il sito combinatorio del recettore cellulare) con la porzione variabile della catena P (VP) del recettore dei linfociti T helper che ne risultano <<attivati>>. In questo modo un superantigene, combinandosi diret-tamente al MHC-II delle cellule monocito-macrofa-giche, da una parte, e, dall'altra, legando aspecifica-mente una serie numerosa di linfociti T helper, a prescindere dalla loro specifica capacità combinatoria, funziona come un mitogeno bivalente e provoca una massiccia liberazione di citochine (in particolare: interleuchina-1, interleuchina-2, interleuchina-3, inter-ferone gamma, ed i cosiddetti fattori della necrosi tumorale (α e β o TNF-α e TNF-β) ai cui effetti si deve gran parte della sintomatologia clinica (febbre, iper-catabolismo proteico, shock emodinamico, disregola-zione del sistema immune, etc.) più rilevante, che so-miglia, anche nel meccanismo fisiopatologico, a quella prodotta dall'azione della endotossina. Il lipopolisaccaride batterico LPS o endotossina Abbiamo già visto come le esotossine che agiscono come superantigeni causino i loro principali effetti dannosi attraverso la stimolazione di alcune cellule alla massiccia liberazione di una serie di citochine. Questo meccanismo fisiopatologico è ancora più evidente per quanto riguarda l’azione tossica delle endotossine. I batteri Gram-negativi possiedono un doppio involucro di membrane e la membrana esterna, presente solo in questo gruppo di batteri, ha una struttura asimmetrica in quanto il suo strato lipidico esterno è formato da un composto assolutamente peculiare rappresentato dal cosiddetto lipopolisaccaride (LPS) batterico. ll LPS ha una porzione glicolipidica, il cosiddetto lipide A, formato da un disaccaride (glucosamina) fosforilato ed esterificato con diversi acidi grassi saturi, che forma lo strato lipidico superficiale della membra-na esterna e rappresenta l’endotossina vera e propria. AI LPS è legato un corto etero-oligosaccaride caratterizzato dalla presenza costante di alcuni zuc-cheri particolari (acido cheto-deossioctonoico o KDO e un eptoso rappresentato in genere da L glicero- D-mannoep-toso), che forma la porzione denominata <core> praticamente costante o molto simile in tutti i batteri Gram-negativi. Dal core si diparte poi una lunga catena polisaccaridica formata dalla ripetizione di subunità tri-, tetra- o pentasaccaridiche che sono formate da zuccheri diversi (oltre che da zuccheri non usuali) nelle diverse specie batteriche cui conferiscono differenti proprietà antigeniche (antigene 0) che possono essere perdute dalle varianti rugose che sono in grado di produrre un LPS provvisto solo della porzione oligosaccardica del core.

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Tutti i sistemi cellulari e, in particolare, le cellule monocito-macrofagiche sono estremamente respon-sivi al lipopolisaccaride batterico, quasi che, nel corso dell'evoluzione, l’organismo animale avesse affinato in tutte le cellule la presenza di sensori in grado di avvertire immediatamente la presenza di batteri Gram-negativi e di montare immediatamente una risposta antagonista efficace. Questa situazione può spiegare il meccanismo alla base di una serie di osservazioni sperimentali che dimostrano come tracce minime di LPS, assorbite quotidianamente dall'organismo, svolgano una funzio-ne fisiologica positiva, mantenendo allertati e posi-tivamente stimolati una serie di sistemi cellulari (dal sistema monocito-macrofagico al sistema immuni-tario). Una massiccia introduzione di LPS, come accade tutte le volte che si abbia una colonizzazione di tessuti profondi o una batteriemia da batteri Gram-negativi, provoca invece una serie di fenomeni dannosi anche di notevole rilievo. Le basi molecolari dell'azione dell'endotossina sono ancora sconosciute ma è certo che essa non agisca tanto direttamente quanto attraverso una disregola-zione nel rilascio in circolo di numerosi mediatori endogeni ad opera di una serie di elementi cellulari e dei macrofagi, in conseguenza del contatto con l’endotossina stessa, cui segue: • liberazione massiccia di alcune citochine, • I'interazione con gli endoteli vascolari, • l’attivazione del complemento attraverso la via

alternativa e • l’attivazione della cascata di eventi legati alla

coagulazione del sangue. Di particolare rilievo è l’induzione dei macrofagi alla liberazione di alcuni mediatori cellulari di cui i più importanti sono: • Il TNF (tumor necrosis factor), una citochina

pleotropa con una serie di effetti su numerosi tipi cellulari e parenchimi (induzione di shock, azione proinfiammatoria, riassorbimento del tessuto osseo, cachessia, etc.) è probabilmente il mediatore chiave della sintomatologia da intossicazione endotossinica

• IL-1, responsabile principale dell'azione pirogena (febbre)

Il TNF insieme a IL-1 induce • la stimolazione della via metabolica dell'acido

arachidonico con produzione di prostaglandine (PGE2 e PGI1) e conseguente azione sugli endoteli (aumento della permeabilità vascolare, vasodilata-zione, ipotensione, shock emodinamico), induce l’aumento del catabolismo proteico (cachessia),

• provoca la stimolazione dei linfociti T con incre-mento nella produzione di interferon,

• ha una serie di effetti pro-infiammatori come la stimolazione della produzione di beta2-micro-glubulina, di amiloide (in genere di proteine cosiddette della fase acuta),

• provoca il rallentamento del metabolismo del ferro, e agisce sul fegato con conseguente ipoglicemia.

Alla presenza di LPS, l’organismo reagisce anche con l’attivazione del complemento, attraverso la via alternativa, con conseguenze positive come l’'attiva-zione del sistema fagocitario ma, quando la quantità di endotossina sia notevole, anche con conseguenze negative per la liberazione di massicce quantità di alcuni componenti del sistema complementare (C3a,

C5a) con azione pro-infiammatoria e favorente la comparsa di shock emodinamico per l'azione, diretta e indiretta, sugli endoteli. Di particolare rilievo fisiopatologico e patogenetico è anche l’azione sulla coagulazione del sangue che il LPS è in grado di svolgere attivando l’attività procoa-gulante dei linfomonociti, favorendo l’aggregazione piastrinica ed attivando la via intrinseca della cascata coagulativa a partire dal fattore di Hageman. Le conseguenze dell'attivazione nell’ospite del sistema coagulativo si estrinsecano in tutta una serie di mani-festazioni trombo-emorragiche che, nei casi più gravi di sepsi, conducono il paziente a morte per coagu-lazione intravascolare disseminata (CID). Tale patolo-gia rappresenta il cosiddetto <equivalente clinico> del-le reazioni di Schwartzman. Le cosiddette reazioni di Schwartzman generalizzata e localizzata, sono reazioni patologiche che si produ-cono in seguito alla inoculazione, adeguatamente intervallata, di due dosi di endotossina ognuna delle quali, da sola, non produrrebbe alcun effetto patologico grossolanamente evidente. La reazione generalizzata fu probabilmente osservata per la prima volta da Sanarelli durante ricerche sulla patogenesi del colera e successivamente descritta in modo organico da Schwartzman (reazione di Sanarelli-Schwartzman). Normalmente questo tipo di risposta si osserva solo nel coniglio (animale giovane adulto) ed è pro-vocata dall'inoculazione endovenosa di due dosi subletali di endotossina a 24 ore di distanza l’una dall'altra. L'animale viene di solito a morte 18-24 ore dopo la seconda iniezione e la lesione caratteristica della reazione generalizzata di Schwartzman è rappre-sentata da una diffusa necrosi corticale in ambedue i reni, i cui capillari glomerulari, all'esame istologico, appaiono occlusi da una massa di fibrina. Fenomeni necrotici sono presenti anche a livello dei tubuli e lesioni emorragiche interessano sia la zona corticale sia la midollare del rene. Depositi di fibrina, di minore intensità, sono evidenziabili anche nei piccoli vasi di altri organi (milza, fegato, polmone). La reazione localizzata può essere provocata nel coniglio e nel criceto e, con minore evidenza, nella cavia e nel topo, e può essere descritta brevemente in questi termini: inoculando una piccola quantità di endotossina per via intradermica (o sottocutanea) ad un coniglio si provoca una reazione eritema-to-edematosa localizzata che inizia 4-6 ore dopo l’iniezione che raggiunge il massimo di intensità dopo 24 ore, tendendo poi a diminuire di intensità fino a scomparire in due o tre giorni; se al coniglio così trattato si inietta, a distanza di 24 ore, una seconda dose di endotossina per via endovenosa, la sede della prima inoculazione diviene rapidamente (dopo 2-6 ore) sede di un'evidente lesione necrotico-emorragica.

Aggiornato 2 settembre 2007