Bari De Bosis, sciopero alla Pirelli, I ragazzi la storia di “Evaso”, la ... · 2015-10-01 ·...

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Bari I ragazzi di Bari vecchia di Mario Trani «Eravamo in tanti ragazzini, allo- ra, a lavorare nel porto. Pratica- mente tutti i ragazzi di Bari vec- chia. Gli adulti erano al fronte, an- che i miei fratelli maggiori, così toccava a noi. Caricavamo e scari- cavamo le navi, pure quelle dei te- deschi. (...) Ricordo che la sera dell’8 settembre, dopo aver ascol- tato alla radio il messaggio di Ba- doglio che annunciava l’armistizio, avevamo festeggiato fino a tardi. Per tutti noi era la fine della guer- ra. O, almeno, così speravamo. La mattina del 9 ci presentammo co- me al solito al lavoro, nel porto... arrivarono i tedeschi. Spararono, minacciarono tutti, fecero saltare alcune navi, uccisero quelli che avrebbero voluto impedirglielo. E noi non sapevamo cosa fare, erava- mo rimasti intrappolati... nel caos, riuscimmo infine a raggiungere le mura di Bari vecchia». Via di corsa verso le proprie case, in cerca di rifugio? Si sparava, c’e- ra fumo ovunque. Andammo di corsa dietro l’Ospedale consorziale in piazza San Pietro. C’era il gene- rale Bellomo con altri soldati. Era leggermente ferito. Ci guardò e ci disse: «Dovete difendere le vostre case, la vostra città». Ci fece vede- re, davanti all’Ospizio, alcune cas- se piene di bombe a mano. Prosegue Michele Romito: «Erano patria indipendente l 20 aprile 2008 l 51 Tanti racconti di lotta, antifascismo e tortura De Bosis, sciopero alla Pirelli, la storia di “Evaso”, la “giostra” I testi, le interviste, le testimonianze e i racconti, sono ripresi dal volume: “60 - Testimonianze Partigiane” edito da ANPI, Istituto A. Cervi e Zoo libri nel 2005 (Reggio Emilia), curato da Angelica Liuzzi Kira, Massimo Maffei Gricci e Cristiana Valentini Doris. Roma L’ultimo volo di Barbara Allason In Lauro De Bosis era nato un progetto: volerebbe su Roma, vi getterebbe un numero enorme di lettere di propaganda antifascista. Gli italiani dovevano essere illumi- nati, sapere la verità. Egli stesso ci ha narrato come, privo di mezzi, facendo il portiere d’albergo a Pa- rigi, sia riuscito ad imparare a vola- re e a procurarsi un primo aeropla- no, che dovette disgraziatamente abbandonare in Corsica, carico di ottanta chilogrammi di materiale di propaganda. Perseguitato, anche dalla polizia francese ed inglese, per un po’ do- vette nascondersi. Ma il pensiero di quel volo su Roma non lo la- sciava. Riuscì a procurarsi un nuovo appa- recchio: mise assieme l’enorme quantità di volantini da lanciare su Roma poi, in francese, con quella sua chiara scrittura, e quasi senza correzioni, scrisse la “Storia della mia morte”, destinata a venir pub- blicata ove non fosse più tornato. In questo documento che dovrà essere inciso sulle tavole di bronzo di questo nostro nuovo e più vero risorgimento, l’eroe riconosce che di tornare aveva poca fiducia: l’a- viazione italiana comandata da Balbo era vigile e pronta; il suo veicolo non poteva fare che 150 Km all’ora, mentre quelli di Mus- solini ne facevano 300; partiva so- lo, non potendo associare un com- pagno ad un’impresa così dispera- ta; capiva che la possibilità di scampare era minima. Ma che importa? Sorvolerà a 4.000 metri d’altezza la Corsica e l’isola di Montecristo, farà in volo planè gli ultimi 20 Km. Sa che vi sono a Roma 900 apparecchi che han l’ordine di sparare su ogni vei- colo sospetto: «Se il mio amico Balbo ha fatto il suo dovere, son tutti lì ad attendermi. Tanto me- glio: varrò più da morto che da vivo». Sui volantini diceva agli italiani: «Da nove anni vi si dà ad intende- re che torna conto sacrificare liber- tà e coscienza pur d’avere un go- verno forte e capace. Dopo nove anni vi accorgete di aver avuto non solo il più tirannico e il più corrot- to, ma anche il più bancarottiero di tutti i governi. Avete rinunciato alla libertà per vedervi tolto anche il pane». Così Lauro il 3 Ottobre volò su Roma. Per circa mezz’ora planò sulle stra- de e le piazze della città gettando i suoi volantini. Poi, calmo come era venuto, se ne andò. Ma allora una squadriglia di caccia si alzò in volo e si buttò all’inseguimento. Lauro De Bosis non è più tor- nato... Disegno di Lorenzo Mattotti. Disegno di Vittoria Facchini.

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Bari

I ragazzi di Bari vecchiadi Mario Trani

«Eravamo in tanti ragazzini, allo-ra, a lavorare nel porto. Pratica-mente tutti i ragazzi di Bari vec-chia. Gli adulti erano al fronte, an-che i miei fratelli maggiori, cosìtoccava a noi. Caricavamo e scari-cavamo le navi, pure quelle dei te-deschi. (...) Ricordo che la seradell’8 settembre, dopo aver ascol-tato alla radio il messaggio di Ba-doglio che annunciava l’armistizio,avevamo festeggiato fino a tardi.Per tutti noi era la fine della guer-ra. O, almeno, così speravamo. Lamattina del 9 ci presentammo co-me al solito al lavoro, nel porto...arrivarono i tedeschi. Spararono,minacciarono tutti, fecero saltarealcune navi, uccisero quelli cheavrebbero voluto impedirglielo. Enoi non sapevamo cosa fare, erava-mo rimasti intrappolati... nel caos,riuscimmo infine a raggiungere lemura di Bari vecchia».Via di corsa verso le proprie case,in cerca di rifugio? Si sparava, c’e-ra fumo ovunque. Andammo dicorsa dietro l’Ospedale consorzialein piazza San Pietro. C’era il gene-rale Bellomo con altri soldati. Eraleggermente ferito. Ci guardò e cidisse: «Dovete difendere le vostrecase, la vostra città». Ci fece vede-re, davanti all’Ospizio, alcune cas-se piene di bombe a mano.Prosegue Michele Romito: «Erano

patria indipendente l 20 aprile 2008 l 51

Tanti racconti di lotta, antifascismo e tortura

De Bosis, sciopero alla Pirelli,la storia di “Evaso”, la “giostra”

I testi, le interviste, le testimonianze e i racconti, sono ripresi dal volume: “60 -Testimonianze Partigiane” edito da ANPI, Istituto A. Cervi e Zoo libri nel 2005(Reggio Emilia), curato da Angelica Liuzzi Kira, Massimo Maffei Gricci e CristianaValentini Doris.

RomaL’ultimo volo di Barbara Allason

In Lauro De Bosis era nato unprogetto: volerebbe su Roma, vigetterebbe un numero enorme dilettere di propaganda antifascista.Gli italiani dovevano essere illumi-nati, sapere la verità. Egli stesso ciha narrato come, privo di mezzi,facendo il portiere d’albergo a Pa-rigi, sia riuscito ad imparare a vola-re e a procurarsi un primo aeropla-no, che dovette disgraziatamenteabbandonare in Corsica, carico diottanta chilogrammi di materialedi propaganda.Perseguitato, anche dalla poliziafrancese ed inglese, per un po’ do-vette nascondersi. Ma il pensierodi quel volo su Roma non lo la-sciava.Riuscì a procurarsi un nuovo appa-recchio: mise assieme l’enormequantità di volantini da lanciare suRoma poi, in francese, con quellasua chiara scrittura, e quasi senzacorrezioni, scrisse la “Storia della

mia morte”, destinata a venir pub-blicata ove non fosse più tornato.In questo documento che dovràessere inciso sulle tavole di bronzodi questo nostro nuovo e più verorisorgimento, l’eroe riconosce chedi tornare aveva poca fiducia: l’a-viazione italiana comandata daBalbo era vigile e pronta; il suoveicolo non poteva fare che 150Km all’ora, mentre quelli di Mus-solini ne facevano 300; partiva so-lo, non potendo associare un com-pagno ad un’impresa così dispera-ta; capiva che la possibilità discampare era minima.Ma che importa? Sorvolerà a4.000 metri d’altezza la Corsica el’isola di Montecristo, farà in voloplanè gli ultimi 20 Km. Sa che visono a Roma 900 apparecchi chehan l’ordine di sparare su ogni vei-colo sospetto: «Se il mio amicoBalbo ha fatto il suo dovere, sontutti lì ad attendermi. Tanto me-glio: varrò più da morto che davivo».Sui volantini diceva agli italiani:«Da nove anni vi si dà ad intende-re che torna conto sacrificare liber-tà e coscienza pur d’avere un go-verno forte e capace. Dopo noveanni vi accorgete di aver avuto nonsolo il più tirannico e il più corrot-to, ma anche il più bancarottierodi tutti i governi. Avete rinunciatoalla libertà per vedervi tolto ancheil pane».Così Lauro il 3 Ottobre volò suRoma.Per circa mezz’ora planò sulle stra-de e le piazze della città gettando isuoi volantini. Poi, calmo comeera venuto, se ne andò. Ma allorauna squadriglia di caccia si alzò involo e si buttò all’inseguimento.Lauro De Bosis non è più tor-nato...Disegno di Lorenzo Mattotti. Disegno di Vittoria Facchini.

bombe Balilla, quelle rosse. Tuttinoi ne prendemmo alcune. Io nepresi sei: due in mano e quattroinfilate nella maglietta. Lungo lemura corsi verso il ponte di SanNicola... mi nascosi dietro le co-lonne, allora la balaustra non c’era.In quel momento stavano arrivan-do due camion blindati tedeschi,armati con una torretta da cuispuntava una mitragliatrice. Vole-vano entrare a Bari vecchia, dovec’erano le nostre case, le nostre fa-miglie. (...)Il primo camion fece in tempo adentrare ma fu fermato davanti alsantuario di San Nicola. Il secon-do stava passando... io tirai unaprima bomba a mano dall’alto.Esplose proprio sulla torretta.Lanciai anche la seconda e fu uninferno... quell’affare prese fuococompletamente. Così l’ingressodei bastioni restò bloccato e iocorsi verso piazza San Pietro». Mi-chele si unì ad altri ragazzi e ad al-cuni militari: lanciarono altrebombe a mano sulle truppe ger-maniche, che premevano sull’altrolato dell’ospedale consorziale.Poco dopo i tedeschi si arresero,dopo aver raggiunto un accordocon i militari italiani. «Quando or-mai era tutto finito, in piazza arri-varono alcune decine di bersaglieriin bicicletta. Ma avevamo già fattotutto noi.I tedeschi si erano arresi» (...) «Itedeschi che assieme agli altri ave-vamo catturato purtroppo furonoliberati, per ordine del comandoitaliano...Purtroppo, perché risalirono fino aBarletta, a Trani e in altre città pu-gliesi, dove fecero stragi e sparseromolto sangue. Fu un errore, di cuinessuno si è mai pentito abbastan-za». (...)«Vorrei che fosse riconosciuto aBari vecchia il sacrificio dei suoi ra-gazzi. Io abito qui da sempre, cosìcome i miei genitori. Di noi oggisi parla solo per dire cose brutte.Ma nessuno ricorda quei giorni, ilnostro coraggio, il nostro orgo-glio, il nostro sacrificio. Fu unodei primi episodi di Resistenza,molto prima che succedesse nelNord Italia».Ci sono ancora a Bari vecchia gliex ragazzini di allora che, comelei, fermarono la Wehrmacht? «E

chi lo sa... dopo la guerra sa dovespedirono moltissimi barivecchia-ni, le cui case erano state distruttedai bombardamenti? Nell’ex cam-po di concentramento ai marginidi Bari. Poi al Cep e in altre perife-rie.So che c’è ancora qualcuno, isola-to laggiù. Ma non lo vedo più damolti anni. Mi piacerebbe incon-trarli ancora».

Biella (VC)

Evaso dalla mortedi Cesarina Bracco

Il 21 dicembre 1943, a Pavignano,in un’azione contro i tedeschi,Evaso venne catturato con un al-tro compagno e portato a Biellaall’albergo Principe, sede del co-mando tedesco, dove furono sot-toposti ad interrogatori e a tortu-re. (...)Vide schierarsi il plotone di esecu-zione poi il capitano ordinò lorodi alzare le mani; le torture lo ave-vano portato a pensare: «Menomale, fra un attimo tutto sarà fini-to». (...) Sette corpi giacevano aterra (...) Evaso sentiva un fortedolore al fianco e un forte senso dinausea lo invase, poi sentì le urladella gente (...) Istintivamenteprovò a muovere le dita della ma-no e vi riuscì, aprì leggermente unocchio e vide il capitano tedescoavvicinarsi con la pistola in pugnoper dare il colpo di grazia alle vit-time. Capì in quel terribile mo-

mento di essere vivo e di dovermorire un’altra volta; rimase im-mobile in attesa del secondo sup-plizio, sentì i passi avvicinarsi sem-pre più e poi la presenza del tede-sco accanto a lui. In quell’istante ilsuo compagno ebbe un fremito, simosse: il tedesco scarico la pistolasu di lui poi proseguì verso gli al-tri, dimenticando Evaso, il primodella fila. (...) Alcune donne si av-vicinarono ai corpi (...) «Ma que-sto è ancora vivo, guardate, respiraancora!». A quelle parole Evasotentò di alzarsi. Le donne si strin-sero subito una vicino all’altra percoprirlo alla vista dei tedeschi di-cendo: «No, no, stai giù, ci sonoancora i tedeschi, non ti muove-re!». (...) Si alzò di colpo, senzapensare alle ferite, e si mise a cor-rere verso l’albergo che si trovavasul fondo della piazza. Entrò nelcortile e si infilò per le scale, (...)l’unica porta che trovò aperta eraquella di un gabinetto e vi si rifu-giò, ansante, appoggiandosi almuro per riprendere fiato (...) Ipassi inconfondibili del tedescoche lo inseguiva si fecero sentireper le scale, poi vide la manigliadella porta abbassarsi. Fu un mo-mento terribile, trattenne il fiatoper controllare il fremito convulsoche lo invadeva e con voce calma,disse: «Occupato».Il tedesco, forse convinto dal tonodella voce, si allontanò dirigendosiverso altre porte. (...) Cautamentedecise di uscire dal suo nascondi-glio e, sforzandosi di rimanere cal-mo, cominciò a scendere le scale.

(...) Ebbe un sussultovedendo di fronte a séun civile: era il proprie-tario dell’albergo che siavvicinò subito al gio-vane cercando di soste-nerlo. Evaso chiese unpo’ d’acqua, mentre leforze stavano per ab-bandonarlo: l’acquafresca gli portò un po’di sollievo, (...) chiesedi uscire senza passaredalla piazza. (...) Lachiesa vicina poteva es-sere un nascondiglio si-curo, (...) il parroco ac-corse subito, ma il ter-rore delle rappresaglieebbe il sopravvento sul-

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Disegno di Alessandro Gottardo.

la pietà: li pregò di allontanarsiperché i nazisti avrebbero bruciatola chiesa. (...)Evaso si appoggiò al muro di unavecchia casa per riprendere fiato;un uomo in bicicletta passò inquel momento accanto a lui: eraun operaio che tornava dal lavoro.(...) «Sali sulla bicicletta», dissel’uomo, poi riprese a pedalare ve-locemente (...) fermandosi solo difronte ad una farmacia. Evaso ven-ne medicato e fasciato dal farmaci-sta, gli furono dati camicia e abitipuliti. (...)Quando si sentì in forze chiese diessere accompagnato alla stazione:la piccola stazione di Chiavazzaera poco controllata e vi sarebbepassato inosservato. Avrebbe volu-to esprimere la sua riconoscenzacon tante parole, ma la voce nonseguiva il pensiero, un nodo glistringeva la gola.Quando il treno partì e le figure diquegli amici quasi sconosciuti sva-nirono, si sentì nuovamente solo.(...)Riuscì ad arrivare fino ad Arboreo,(...) un partigiano vestito da cara-biniere lo accompagnò fino a Ver-celli, passando attraverso i posti diblocco. Giunto a casa venne cura-to dai familiari e, dopo quarantagiorni, tornò nelle formazioni par-tigiane a riprendere il suo posto dicombattente.Il suo nome di battaglia fu cam-biato da Ciccio a Evaso, evaso dal-la morte.

Milano

Sciopero alla Pirellidi Bruto Mauri

Ore 17 - Mi avvio verso la Pirelli,sempre in bicicletta. (...) Imboccola via Breda e in pochi minuti mitrovo davanti all’alto muro dellaPirelli a fronte della ferrovia.Davanti ad un grande cancello èstata messa di traverso, quale sbar-ramento, una vecchia locomotiva.Dal muro sporgono due operai intuta, con fucile a “bracciarm”. Miavvicino per chiedere loro comedevo fare per entrare, ma uno diessi mi punta contro il fucile e mi

intima di allontanarmi. In quelmomento si rivela come basti unapiccola dimenticanza per compli-care le cose: la “parola d’ordine”.Nessuno ci aveva mai pensato.Provo a gridare di chiamare Ninoo l’Emilio, ma costoro non sannoniente di Coscelli e di Franchini eripetono minacciosamente di al-lontanarmi. Mi viene in mente ilnome “Marco”, comandante della107a (Pirelli). Quando sentonoquesto nome, l’atmosfera cambiadi colpo. Uno dei due mi dice diattendere e dopo dieci lunghissimiminuti appare un volto conosciu-to: quello dell’Angela.Passa ancora un po’ di tempo pri-ma che trovino una scala a pioliadatta per tirarmi su, io e la bici-cletta.Mi accompagnano al quartier ge-nerale. Ci sono l’Emilio, Coscelli ealtre almeno venti persone, attor-no ad un tavolo, credo si tratti dipolitici. È arrivato anche Pitea condue camion di garibaldini.

Ore 19 - Il cielo è annuvolato ed atratti pioviggina. All’interno dellafabbrica è tutto un fervore di pre-parativi.Mi mostrano il servizio sanitario;ci sono almeno una cinquantina dipersone fra medici e infermieri.Anche le cucine sono pronte a ser-vire un piatto caldo e ce n’è davve-ro bisogno. (...)

Ore 21 – Siamo informati che sulviale Zara, all’altezza della Pirelli si

è attestata una colonnadi militari, circa due-cento, aventi una divisaparticolare.Sono arrivati su camione su autobus di linea,evidentemente requisi-ti. Si tratta di volontarifrancesi, quelli di Pé-tain, che hanno famapeggiore dei nostri re-pubblichini. Probabil-mente volevano acco-darsi alle colonne fasci-ste dirette in Valtellina,ma hanno sbagliatostrada.

Ore 22 - Una nostradelegazione porta l’in-

timazione di resa ai francesi; questirispondono che non ne hanno laminima intenzione e cominciano asparare con grosse mitragliatriciche hanno scaricato dai camion.(...) La sparatoria è violenta maper fortuna gli operai hanno fattoin tempo a mettersi al riparo e cisono soltanto alcuni feriti, nongravi, da pallottole di rimbalzo.(...)

Ore 24 - Viene approntato unaspecie di treno blindato applican-do dei lamieroni sulle fiancate diuna vecchia vaporiera che serveper il traino dei vagoni all’internodello stabilimento. La locomotivaviene instradata su un binario cheporta all’esterno, sul viale Sarca,dalla parte della Breda.Viene tolto lo sbarramento al can-cello di uscita e quindi la locomo-tiva parte sbuffando e sprigionan-do bagliori di fuoco; l’accompa-gnano un nutrito fuoco di fucileriache parte da quei pochi uominiche si sono accodati alla vaporierae dai posti di guardia vicini. Nonci facciamo troppe illusioni sui ri-sultati di questo stratagemma ma,sarà perché i francesi hanno effet-tivamente scambiato quell’arneseper un treno blindato, sarà perchénel frattempo c’è stato un ripensa-mento, fatto sta che i francesi alza-no bandiera bianca e si danno pri-gionieri.Il bottino questa volta è grosso:20 mitragliere da 20 mm e un in-tero camion di munizioni e ancora

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Disegno di Alessandro Gottardo.

armi automatiche e un paio di can-noncini anticarro.I garibaldini ora non sentono piùil freddo e la fame, tanto è il loroentusiasmo. Con quell’armamentoin nostre mani il problema delladifesa delle fabbriche è molto mi-gliorato.

Modena

La Giostradi Giuseppe Tanferri “Paride”

La “Giostra” era così fatta: si lega-vano le mani del prigioniero conuna catena o una corda, mentre lebraccia unite alle estremità veniva-no aperte sulle ginocchia unite econ le gambe rientrate vertical-mente, fino ad infilare fra le gam-be e le braccia una sbarra di ferro.La sbarra veniva sollevata e appog-giata su due cavalletti cosicché ilprigioniero nudo, veniva a trovarsicon i piedi aperti e protesi in ariain modo che non si potesseromuovere.In questa posizione venivano in-ferte le battiture (anche qui non sodire se con un bastone o con qual-che altro mezzo): il cuoio dei pie-di si gonfiava, diventava nero, manon si rompeva, perciò il doloreera sempre vivo ad ogni battitura.Mentre ero in questa posizioneuna volta mi misero in corrispon-denza delle natiche qualcosa di in-fuocato – non so bene che cosa –che mi provoco una bruciatura cheguarì dopo molto tempo. (...)

Ricordo che una volta mentre erosulla giostra uno colpendomi sulnaso, credo con un bastone, con-tro le disposizioni del buon Petti,me lo fracassò: per la posizione ro-vesciata della testa il sangue misoffocava e in quella condizionevenne uno, mi aperse di forza labocca, si raschiò in gola e mi spu-tò dentro!Al fine dello stordimento, il corpoveniva anche fatto ruotare attornoalla barra di ferro.Quando ero appeso per le braccia,la schiena veniva ridotta come hodetto, mentre la catenella permezzo della quale ero “impiccato”penetrava nelle carni dei polsi, le-dendo nervi e tendini (e infatti idue pollici mi sono rimasti semiparalizzati per anni...).Ci sono ancora nel viso e nellaschiena i segni cicatrizzati di que-ste torture che ho subito.Il giovane dottore che a Mantova,dov’ero stato trasferito, mi lavò leferite per la prima volta il giornodella liberazione chiamò la gente avedere in quali condizioni ero ri-dotto e proruppe in questa escla-mazione: «Avevo sentito dire che ifascisti torturavano i partigiani, mafino a questo punto non l’avreimai immaginato».Non potevo infatti stare in piedi acausa delle piante dei piedi divenu-te di un gonfiore enorme, non po-tevo stare coricato né supino nébocconi perché ero tutto rovinato:potevo riposarmi solo sui gomiti esulle ginocchia e per poco sui fian-chi, in una stanza fredda, sul nudopavimento, con le mani legate aipiedi dietro la schiena: questo du-rante tutta una settimana di cosìdetto “interrogatorio”.Durante l’interrogatorio uno deipiù accaniti aguzzini al servizio deimassacratori era un certo Scaldri-no, un ex partigiano che aveva tra-dito, il quale mi strapazzava tiran-domi per i capelli perché dicevache gli sporcavo i muri e i pavi-menti di sangue. Questo indivi-duo, caduto poi nelle mani deipartigiani nei primi giorni dopo laliberazione, venne da me visitatoin prigione e quando gli chiesiperché si era accanito con tantabestialità contro di me (...) si misea piangere, al che non ebbi nean-che la forza di attendere risposta.

Biella (VC)

Il dolore di una madre èdiverso da tuttodi Cesarina Bracco

Piazza Quintino Sella appariva co-me un campo di morte. (...) Nel-l’aria si sentiva l’odore della mortee solo l’urlo di una ragazza ruppequel silenzio, pesante come il do-lore. Con le braccia alzate e cor-rendo disperatamente, la ragazzaandò dall’uno all’altro di quei cor-pi senza vita in cerca del fratello.Poi giunse una madre.Il dolore di una madre che vede il proprio figlio trucidato colpisceprofondamente. È diverso da tutto.Si inginocchiò accanto a lui poi,delicatamente, come se avessepaura di fargli male, ne sollevo ilcapo e lo appoggio in grembo ac-carezzandogli il viso coperto disangue, come se fosse ancora bam-bino, ripetendo fra i singhiozzi ilsuo nome. (...)Giunse un’altra madre che, sapen-do il figlio ferito e prigioniero deitedeschi, era venuta a piedi da SalaBiellese con un cesto di viveri, ben-de e medicinali. Si era recata dauna caserma all’altra implorandoper sapere dove fosse il figlio. (...)La vedemmo arrivare sulla piazzacon il cesto sotto il braccio, passa-re dall’uno all’altro dei corpi e po-temmo leggere nei suoi occhi lasperanza di non trovare il propriofiglio in quel luogo di morte, il so-spiro di sollievo nel non trovarlo,

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Disegno di Andrea Chiesi. Disegno di Emanuela Orciari.

anche se il suo sguardo era colmodi dolore. (...) Poi, la conferma.La vedemmo cadere di schianto vi-cino ad un giovane con la testabendata. Era lui. Sentimmo il suonome pronunciato con straziantedolcezza: «Elio! Elio! Perché? Eragià ferito, perché me lo hanno am-mazzato?». (...)Sapemmo dopo che Elio Baudroc-co, partigiano della 75ª brigataGaribaldi, (...) ferito alla testa, ave-va rifiutato il ricovero in ospedalepreferendo seguire la sorte deisuoi compagni fino alla morte. Trefile di corpi giacevano in terra.«Ma allora li hanno fucilati sette ootto per volta!». Pronunciai questeparole ad alta voce, un uomo ac-canto a me fece cenno di sì con ilcapo.Mi sentii rabbrividire pensandoche una parte di quei giovani ave-va visto morire uno ad uno i com-pagni davanti al plotone di esecu-zione, aspettando il proprio turno.«Lei ha visto tutto?», chiesi all’uo-mo. (...)«Ero in piazza quando ho visto ar-rivare dei camion militari con so-pra molti giovani. Ho capito cheerano partigiani e ho pensato cheli portassero in qualche casermavicina, invece si sono fermati vici-no al monumento e li hanno fattiscendere. Poi, dopo un ordine sec-co, un gruppo di fascisti si è alli-neato con le armi pronte. (...) Adun tratto ho sentito suonare le si-rene dell’allarme aereo. (...) Hosperato che sospendessero l’esecu-zione, ma tutto e continuato.I primi sette partigiani sono statiallineati davanti al plotone di ese-cuzione. Volevo andare via e hocercato di allontanarmi, ma subitoi soldati che nel frattempo avevanocircondato la piazza mi hannospinto indietro, urlando che dove-vo vedere la fine che avrebberofatto i ribelli. La prima scarica èpartita senza che me ne rendessiconto e poi ho sentito quello checomandava urlare di portarne altrisette. (...)Quando si sono avvicinati per por-tarli accanto agli altri, uno di loro,ancora un ragazzo, si è aggrappatodisperatamente alla ringhiera checinge il monumento urlando:“Non voglio morire, mamma aiu-tami, non voglio morire!”.

Si sono avvicinati due fascisti e conil calcio del fucile hanno comincia-to a picchiare su quelle mani checercavano disperatamente di trat-tenere la vita, su quelle mani chesembravano fuse con il ferro dellaringhiera. (...)Poi ho visto un partigiano, unodegli otto, un giovane uomo conla barba avvicinarsi al ragazzo, par-lare con lui cingendogli le spalle.(...) Le mani del giovane, lenta-mente, con fatica, si sono staccate,come se avessero rinunciato alla vi-ta e insieme si sono avviati verso ilplotone di esecuzione».La voce dell’uomo si fece tremo-lante, vidi i suoi occhi pieni di la-crime e capii che tentava inutil-mente di ricacciarle. Poi, con unamano mi indicò la terza fila e li vi-di: la mano del partigiano era an-cora sulla spalla del ragazzo comein un abbraccio.

Provincia di Genova

Il ruggito dello “Stalli”di G.B. Canepa “Marzo”

Ora lo Stalli porta una barbetta ca-prina e l’aspetto suo è un tantinodimesso: tanto che l’avevo presoper un impiegato alle tasse o ungarzone di farmacia. A quei tempiperò il suo nome correva sullabocca di tutti e i fascisti si dicevache lo sognassero e allora finivaper diventare un incubo; me l’im-magino come me l’avevano de-scritto, con un barbone che gli co-priva persino gli zigomi, e la zaz-zera che gli scende fin sotto lespalle, in una parola un essere del-l’età della pietra, una specie di or-co delle caverne. Aggiungete quiche s’andava dicendo di lui, cheguai a chi gli capitasse nelle mani,non avrebbe risparmiato mancosuo padre: ed era una diceria diffu-sa da un capo all’altro della zona.Accadde un giorno che il sergentemaggiore della San Marco fu tra-sferito da quelle parti: era unosmargiasso che all’osteria, quandoaveva bevuto un po’, prometteva atutti lo sterminio dei partigiani eche allo Stalli avrebbe provvedutolui come si deve. Finché questesue vanterie non giunsero all’orec-

chio appunto dello Stalli che sen-z’altro chiamò due dei suoi – escelse a bella posta i due più giova-ni, che erano imberbi – e disse lo-ro di andare a prelevare il sergente:«Bastau doi dovei fioleti...» mispiego nel suo dialetto.E difatti fu una cosa semplicissima,da ragazzotti come erano, perchénon appena gli sbucarono davantiil nostro ammazzasette non feceche raccomandarsi, e quelli senzabadare ai suoi piagnistei se lo por-tarono via.Ma ora sentite, che viene il bello:arrivati cha furono in una “supen-na”, che e una specie di trullo do-ve i pastori si riparano dalle intem-perie, fu portato alla presenza delComandante. Quando seppe cheproprio dello Stalli si trattava, ech’era suo prigioniero, più nonresse e s’afflosciò per la grandepaura.Lo dovettero portare fuori per la-varlo, perché oltretutto s’era fattosotto e puzzava che non vi dico.Quando lo riportarono, lo Stalligli porse la sua ciotola: «Riempiti,ora che ti sei vuotato...».Ma il nostro sergente tremava tan-to da non riuscire ad afferrarla;finché quello, spazientito, si mise aurlare, e la sua voce è talmente cu-pa da mettere paura sul serio:«Prendi dunque e mangia, ti hodetto!». Così, il poveretto fu co-stretto a ingollare la loro sbobba.Intanto Stalli andava chiedendoglidelle sue imprese e del compensoche riceveva per ogni operazione;e se il sergente si metteva a prote-stare la sua innocenza, lui subito

patria indipendente l 20 aprile 2008 l 55

Disegno di Enrico Macchiavello.

alzava la voce e gli get-tava tali occhiatacce cheall’altro non restava chechinarsi sulla ciotola econtinuare a ingozzarsi.Infine chiamati a raccol-ta i suoi uomini, e chipiù chi meno gli somi-gliavan tutti, con tantodi zazzera e barbacciacominciò a presentar-glieli: «Vedi? questo sichiama il Biscia, e que-sto il Pirata, il Lupo, ilBoia...» e così via, fin-ché non li ebbe presen-tati tutti quanti. Eognuno di loro, quan-d’era chiamato, emette-va una specie di ruggitoe gli passava davanti fis-sandolo in modo tut-t’altro che rassicurante:sicché alla fine il poverosergente era ridotto più morto chevivo.«Sai tu il compenso che mi chie-dono quando tornano da un’azio-ne? Nientemeno che di far partedella prossima spedizione, di veni-re ancora con me, forse a morire...Questo è il loro guadagno, e orache lo sai, che hai visto, vattene!Tu non fai altro che cagare, cagaree piangere; questo soltanto sai fa-re...». E lo rimando giù in paese.Questo era dunque lo Stalli, checomandava una brigata della Divi-sione Cascione: un bandito chepassava per ferocissimo e in giro sidiceva che non avrebbe risparmia-to nemmeno suo padre...

Reggio Emilia

Bandiere al ventodi Gismondo Veroni

In città è addirittura un carnevale;le vie cittadine sono animate, lepiazze zeppe di gente, i partigianihanno già occupato tutti i puntinevralgici della città e coloro chesono di servizio lo compionoesemplarmente, gli altri godonodei festeggiamenti; molti ne ap-profittano per fare un salto a casa asalutare i familiari. I bar ed i nego-zi sono aperti e, nonostante la ca-restia dei prodotti, sono animati.

Tutta la notte è festa. A nulla val-gono le incoscienti azioni di rap-presaglia di isolati fanatici franchitiratori, che purtroppo ci procura-no qualche perdita.Il mattino seguente siamo adunatiin piazza della Libertà e dalla chie-sa di San Francesco provengonocolpi di fucile, così pure da alcunecase del piazzale Vallisneri. In po-chi minuti vengono fatte tacere lebocche e le armi di quei traditori.(...) La sfilata per le vie della città,il 3 maggio, di tutte le formazionipartigiane, brigata per brigata, èrimasta nella mia memoria come lacosa più commovente e quellagiornata è stata la più felice dellamia vita.Davanti a tutti l’alfiere che porta labandiera della nostra 285a BrigataS.A.P. Montagna, io lo seguo a di-stanza di 3 metri e poi vengono imiei compagni del Comando, se-guono tutti i battaglioni armaticome in montagna, vestiti con isoli panni che possedevano; cam-minano con passo veloce e nellostesso tempo marziale, con armi inposizione di parata, sfilano tra dueali di popolo festoso, ed ogni bat-taglione ha la sua bandiera tricolo-re con la stella rossa. I balconi, leterrazze e le finestre sono pieni digente.Fiori in quantità piovono su dinoi; le vie sono piene zeppe; iosento un’ebbrezza che mi fa solle-

vare, che mi fa tremare;mi pare quasi di esserenell’irreale, non soquante volte ho piantoin questa stupenda sfila-ta, ma le mie sono tuttelacrime di gioia. Osser-vo fra la moltitudine ilpallido colore di moltepersone, anche di giova-ni, che certamente han-no passato mesi nellecantine, nei solai, inmalsane camerette fuoridalla luce, dal sole e dal-l’aria aperta, sempre os-sessionati dalla preoccu-pazione della cattura.Al contrario ognuno dinoi ha la pelle quasibruciata dal sole, dalvento della montagnache ci ha abbronzati, re-si forti oltre che nel fisi-

co anche nel morale. Molti parti-giani si sono lasciati crescere labarba. Era nel popolo la leggendache voleva i partigiani con la barbalunga.Per i tedeschi ed i fascisti i parti-giani erano esseri mostruosi, conenergie soprannaturali. Invece, ec-coli qua: uomini semplici, genero-si, altruisti, felici solamente di po-ter cacciare il nemico e tornare adessere uomini in pace. Dopo un’o-ra di sfilata, entriamo nella piazzadella Vittoria.Le finestre, i balconi, gli edificipubblici sono ornati di grandibandiere, di pennoni e striscionitricolori che si mescolano alle ban-diere rosse ed alcune bianche.Mi trovo di fronte, entusiastica-mente applaudenti, i miei ex com-militoni del Comando Piazza, so-pravvissuti alle torture ed alla con-danna a morte: Barra (Gino Pran-di), Mariani (conte Carlo Calvi),Pellegrini (Luigi Ferrari).Mi abbracciano ed io solo ora socome sia la vera, grande e sublimefelicità di un uomo. Per cento,duecento metri camminiamo stret-ti l’uno all’altro ed il popolo, que-sto meraviglioso popolo, ci segue,comprende e ci applaude, pur essopartecipe della nostra grande gioia.Ed ora il nostro vessillo, la bandie-ra tricolore con la stella rossa e lascritta C.V.L., sventola su tutta lacittà, nell’aria di primavera.

56 l patria indipendente l 20 aprile 2008

Disegno di Anna ed Elena Balbusso.