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Banchieri e politici. Nitti e il gruppo Ansaldo-Banca di sconto. dì Anna Maria Falcherò Le vicende economiche e politiche che dettero origine alla Banca italiana di sconto sono or- mai in larga parte note, grazie ad un saggio di Ernesto Galli della Loggia ('). Assai meno note sono invece le vicende successive dell’organiz- zazione bancario-industriale che faceva capo a tale istituto 0 e che concordiamo nel ritenere “il momento più alto mai raggiunto dal capita- lismo italiano nella presa di coscienza delle proprie possibilità di influenzare tanto le scelte politiche del paese quanto l’indirizzo economi- co generale” (3). Non è nelle intenzioni di chi scrive, almeno in questa sede, tentare una rico- struzione di tali vicende, bensì di offrire un modesto contributo alla comprensione dell’in- fluenza esercitata da quella organizzazione at- traverso l’analisi dei rapporti intercorsi tra il gruppo Ansaldo-Banca italiana di sconto ed una delle figure di maggior spicco nel panora- ma politico dell’epoca: Francesco Saverio Nitti (4). Alla luce della nuova documentazione da noi esaminata, questi rapporti furono strettis- simi e non certo, come alcuni studiosi sembra- no ritenere, episodici (5). Nitti si impegnò infatti in prima persona nella realizzazione del proget- to di una “banca italiana”, che nelle intenzioni dei suoi promotori doveva costituire il punto di partenza per l’attuazione di un “programma nazionale” indubbiamente affine, nelle sue grandi linee, a quel disegno complessivo di sviluppo dell’economia italiana e dei suoi rap- 0) Ernesto Galli della Loggia, Problemi di sviluppo industriale e nuovi equilibri politici alla vigilia della prima guerra mondiale: la fondazione della Banca Italiana di Sconto, “Rivista storica italiana”, 1970, n. 4, pp. 824 sgg. (2) Alle vicende della Banca italiana di sconto è dedicata la tesi di laurea, in corso di stesura, affidatami dal professor Giorgio Mori della facoltà di Economia e Commercio di Firenze. Sulla nascita della BIS esiste una vasta documentazione nell’Archivio del Senato della Repubblica, dove sono conservati gli atti del processo agli amministratori dell’Istituto (ASR 234), tra cui l’Atto di costituzione della banca, l’Atto di fusione tra la BIS, la Società bancaria italiana e la Società italiana di credito provinciale, lo Statuto, i vari Regolamenti etc. (ASR 234, C. 5 (265), aff. IO). Numerosi riferimenti alle vicende che portarono alla fondazione del nuovo Istituto si trovano inoltre nei verbali degli interrogatori di testi ed imputati (ASR, 234, C.3 (263), C.4 (264), C. 16(278), C. 16bis (279), C. 17(280)e 17bis (281), nelle Memorie presentate dagli imputati rinviati a giudizio (A SR 234, C. 28 (292) e da quelli prosciolti (ASR 234, C. 31) e, naturalmente, nei verbali del dibattimento (ASR 234, C. 46 e C. 47). Notizie sull’attività della Banca italiana di sconto nel periodo 1915-1921 si trovano sia nei Bilanci dell’Istituto relativi a quegli anni (A SR 234, C. 5 (265), aff. 19-74) che nei Verbale della Commissione di vigilanza costituita dai creditori della Scontro (ASR 234, C. 9 (269), aff. 1-214) e nelle “Perizie” dei professori Titi e Savoia (ASR, 234, C. 21). (3) E Galli della Loggia, Problemi di sviluppo industriale, cit., p. 825. (4) Evitiamo ogni riferimento generale alla vastissima bibliografia nittiana, per la quale si rinvia a R. Coppini e R. Nieri (a cura di), Francesco Saverio Nitti, Scritti politici, Milano Feltrinelli, 1981, Ci preme invece segnalare la documentazione archivistica che qui si utilizza per la prima volta, e che è conservata in Archivio del Senato della Repubblica (da ora in poi ASR), nell’Archivio Nitti presso la Fondazione Luigi Einaudi di Torino (d’ora in poi A.N.), nelle Carte Nitti in via di riordino esistenti nell’Archivio Centrale dello Stato (d’ora in poi ACS) e nei National Archives di Washington Archiv o f thè Department o f State (da ora in poi ADS). (5) E questa, ci sembra, la posizione espressa nel volume di Alberto Monticone, Nitti e la grande guerra (1914-1918), Milano, Giuffrè, 1961. Galli della Loggia, nel citato saggio sulla nascita della BIS, accenna invece all’importanza del sostegno offerto da Nitti al nuovo istituto, lasciando però in sospeso l’analisi dei rapporti intercorsi tra questi ed i promotori della Sconto. ‘Italia contemporanea”, giugno 1982, n. 146-147.

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Banchieri e politici.Nitti e il gruppo Ansaldo-Banca di sconto.

dì Anna Maria Falcherò

Le vicende economiche e politiche che dettero origine alla Banca italiana di sconto sono or­mai in larga parte note, grazie ad un saggio di Ernesto Galli della Loggia ('). Assai meno note sono invece le vicende successive dell’organiz­zazione bancario-industriale che faceva capo a tale istituto 0 e che concordiamo nel ritenere “il momento più alto mai raggiunto dal capita­lismo italiano nella presa di coscienza delle proprie possibilità di influenzare tanto le scelte politiche del paese quanto l’indirizzo economi­co generale” (3). Non è nelle intenzioni di chi scrive, almeno in questa sede, tentare una rico­struzione di tali vicende, bensì di offrire un modesto contributo alla comprensione dell’in­fluenza esercitata da quella organizzazione at­

traverso l’analisi dei rapporti intercorsi tra il gruppo Ansaldo-Banca italiana di sconto ed una delle figure di maggior spicco nel panora­ma politico dell’epoca: Francesco Saverio Nitti (4).

Alla luce della nuova documentazione da noi esaminata, questi rapporti furono strettis­simi e non certo, come alcuni studiosi sembra­no ritenere, episodici (5). Nitti si impegnò infatti in prima persona nella realizzazione del proget­to di una “banca italiana”, che nelle intenzioni dei suoi promotori doveva costituire il punto di partenza per l’attuazione di un “programma nazionale” indubbiamente affine, nelle sue grandi linee, a quel disegno complessivo di sviluppo dell’economia italiana e dei suoi rap-

0) Ernesto Galli della Loggia, Problemi di sviluppo industriale e nuovi equilibri politici alla vigilia della prima guerra mondiale: la fondazione della Banca Italiana di Sconto, “Rivista storica italiana”, 1970, n. 4, pp. 824 sgg.(2) Alle vicende della Banca italiana di sconto è dedicata la tesi di laurea, in corso di stesura, affidatami dal professor Giorgio Mori della facoltà di Economia e Commercio di Firenze. Sulla nascita della BIS esiste una vasta documentazione nell’Archivio del Senato della Repubblica, dove sono conservati gli atti del processo agli amministratori dell’Istituto (ASR 234), tra cui l’Atto di costituzione della banca, l’Atto di fusione tra la BIS, la Società bancaria italiana e la Società italiana di credito provinciale, lo Statuto, i vari Regolamenti etc. (ASR 234, C. 5 (265), aff. IO). Numerosi riferimenti alle vicende che portarono alla fondazione del nuovo Istituto si trovano inoltre nei verbali degli interrogatori di testi ed imputati (ASR, 234, C.3 (263), C.4 (264), C. 16(278), C. 16bis (279), C. 17(280)e 17bis (281), nelle Memorie presentate dagli imputati rinviati a giudizio (ASR 234, C. 28 (292) e da quelli prosciolti (ASR 234, C. 31) e, naturalmente, nei verbali del dibattimento (ASR 234, C. 46 e C. 47). Notizie sull’attività della Banca italiana di sconto nel periodo 1915-1921 si trovano sia nei Bilanci dell’Istituto relativi a quegli anni (ASR 234, C. 5 (265), aff. 19-74) che nei Verbale della Commissione di vigilanza costituita dai creditori della Scontro (ASR 234, C. 9 (269), aff. 1-214) e nelle “Perizie” dei professori Titi e Savoia (ASR, 234, C. 21).(3) E Galli della Loggia, Problemi di sviluppo industriale, cit., p. 825.(4) Evitiamo ogni riferimento generale alla vastissima bibliografia nittiana, per la quale si rinvia a R. Coppini e R. Nieri (a cura di), Francesco Saverio Nitti, Scritti politici, Milano Feltrinelli, 1981, Ci preme invece segnalare la documentazione archivistica che qui si utilizza per la prima volta, e che è conservata in Archivio del Senato della Repubblica (da ora in poi ASR), nell’Archivio Nitti presso la Fondazione Luigi Einaudi di Torino (d’ora in poi A.N.), nelle Carte Nitti in via di riordino esistenti nell’Archivio Centrale dello Stato (d’ora in poi ACS) e nei National Archives di Washington Archiv o f thè Department o f State (da ora in poi ADS).(5) E questa, ci sembra, la posizione espressa nel volume di Alberto Monticone, Nitti e la grande guerra (1914-1918), Milano, Giuffrè, 1961. Galli della Loggia, nel citato saggio sulla nascita della BIS, accenna invece all’importanza del sostegno offerto da Nitti al nuovo istituto, lasciando però in sospeso l’analisi dei rapporti intercorsi tra questi ed i promotori della Sconto.

‘Italia contemporanea”, giugno 1982, n. 146-147.

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porti con l’estero che l’uomo politico lucano andava elaborando sin dal 1907 ed avrebbe esposto chiaramente, nel febbraio 1915, all’Ac­cademia delle scienze di Napoli (6).

Contrariamente a quanto si riteneva, le pri­me tracce che abbiamo ritrovato di una corri­spondenza diretta tra Francesco Saverio Nitri e l’allora Amministratore Delegato della Società italiana di credito provinciale, Angelo Pogliani, risalgono all’aprile 1914 e sembrano accreditare l’ipotesi che il banchiere avesse avvicinato il deputato lucano, che aveva lasciato il proprio incarico governativo da meno di un mese, in veste di consulente legale f7).

I contatti tra i due personaggi risalivano però certamente al periodo in cui Nitri aveva rico­perto la carica di ministro di Agricoltura Indu­stria e Commercio, ed ipotizziamo non fosse loro mancata l’occasione per un confronto tra le rispettive posizioni in merito alle tematiche di fondo dello sviluppo economico del paese. Nel maggio 1914, comunque, l’ex ministro era già stato messo al corrente delle intenzioni di Po­gliani in merito alla costituzione di un nuovo istituto di credito, nonché del ruolo che, in riferimento a queste, il banchiere gli attribuiva.

“La di lei assenza dal potere in momenti così difficili” scriveva infatti Pogliani a Nitri l’i l maggio 1914 “è universalmente rimpianta. Ella solo avrebbe avuto l’autorità di riunire in un fascio le forze più vitali della finanza italiana, ella solo avrebbe, col chiaro ritratto dei rimedi che la situazione esige, imposto un salutare programma” (8). Nitri era dunque tenuto al corrente dell’andamento delle trattative, e più in generale dei disegni che andavano maturan­do, ma, almeno per adesso, non ci risulta che in questa fase abbia svolto un particolare ruolo di sostegno, se si esclude il contributo politico che i suoi studi sul capitale straniero in Italia, espo­sti il 28 febbraio 1915 (9), ma certamente prepa­rati in questo periodo, fornivano all’intera ope­razione. Sarà negli ultimi mesi del 1914, quan­do aveva preso definitivamente corpo l’idea di fondare una banca “italiana”, che Nitri si impe­gnerà attivamente nell’attuazione di tale pro­getto. Pogliani avrebbe detto in seguito a Cesa­re Rossi che Nitti fu “largo di consigli” a propo­sito della fondazione della Banca italiana di sconto (1o), ma i Memoranda che abbiamo ritrovato (") sembrano dimostrare che non tanto di “consigli” ad altri si trattasse, quanto

(6) Il discorso di Nitti venne pubblicato pochi mesi dopo. (F.S. Nitti, Il capitale straniero in Italia, Bari, Laterza, 1915).(7) La prima lettera di Nitti, in risposta ad una di Pogliani che non abbiamo rintracciato, è del 18 aprile 1914 ed ha per oggetto una vertenza legale della Società italiana di credito provinciale, di cui egli accetta di occuparsi. Vi si accenna inoltre alla concessione della ferrovia del Sulcis, di cui Nitti scrive non potersi occupare come avvocato “trattandosi di concessione di Stato” ed essendo deputato, ma a cui promette di interessarsi “se occorrerà e s'intende a titolo assolutamente gratuito [...] essendo cosa di pubblico interesse” (A.N., fase. Destinatari ignoti ora in fase. Pogliani). La risposta di Pogliani, in data 30 aprile 1914, se ci conferma che Nitti aveva già fornito in precedenza consulenze legali al Credito provinciale, e si stava interessando alla questione ferrovia del Sulcis, non aggiunge però elementi di rilievo (ACS Carte Nitti, 5 fase. 12, sf. 1).(8) Questa lettera di Pogliani, di tono confidenziale, dimostra tra l’altro come in tale data i rapporti tra i due uomini fossero decisamente cordiali. Vi si legge infatti tra l’altro: “Gli affari della mia banca vanno sempre bene. Il denaro però più a buon mercato renderà, forse, meno abbondanti gli utili. A misura che progredisco sento che mi si combatte di più. Ma non mi scoraggio: oso anzi dire che la lotta non mi dispiace. Abbiamo aperto una sede a Torino, assorbendo la B.ca G. Donn & C. antidiluviana e molto stimata. Ciò ha reso gli avversari ancor più furibondi”. Nel contesto della lettera, scritta da Milano. Pogliani accenna inoltre ad un suo viaggio a Parigi e Londra, previsto per i giorni successivi. Questo viaggio si inserisce nel quadro di quelle iniziative francesi per una maggior penetrazione finanziaria in Italia di cui parla Galli della Loggia e a cui erano da tempo interessati sia il Credit Français che la Banca Dreyfus. La tappa prevista a Londra dimostra come già in quel periodo Pogliani avesse contatti con finanzieri inglesi, contatti che si concretizzeranno dopo la nascita della BIS, come vedremo. (ACS, Carte Nitti, loc. cit.).(’) Galli della Loggia fa risalire la “lettura” di Nitti al 3 marzo. La data esatta viene invece stabilita dallo stesso Nitti in una lettera a Thomas Nelson Page, ambasciatore degli Stati Uniti, che citiamo a p. 9 di questo lavoro.(lo) Cesare Rossi, L’assalto alla Banca Italiana di Sconto. Colloqui con Angelo Pogliani, Milano, Ceschina, 1950, p. 327. (") ACS, Carte Nitti, b. 4, fase. 8, s. fase. 4. I Memoranda che abbiamo ritrovato sono cinque, dal 10 novembre al 24 dicembre 1914, ma dovevano osservene certamente altri. Tra le carte di Nitti si trova inoltre la “scheda di sottoscrizione” provvisoria del capitale iniziale della BIS (ACS loc. cit.).

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della predisposizione di un proprio program­ma economico e politico complessivo (12). D’al­tra parte, la Banca italiana di credito, nata il 31 dicembre 1914 come un coacervo di forze e di interessi cui il conflitto mondiale aveva offerto obiettivi comuni e la possibilità di unificarsi contro un comune “nemico”, la “banca tede­sca”, al momento della sua fondazione “travali­cava il suo significato e tendeva ad assumere quello di un tentativo operato dagli ambienti governativi antigiolittiani di creare un contrap­peso “italiano” alla Banca Commerciale” (13).

E di questo più ampio significato, che le guadagnò, oltre all’appoggio aperto dei nazio­nalisti, il “fervido benestare” di Salandra e Sonnino, l’adesione di Stringher ed il sostanzia­

le contributo di Francesco Saverio Nitri, non fu fatto davvero mistero sulla stampa dell’epoca (14). La fondazione della BIS suonava, appun­to, come una dichiarazione di guerra e abbia­mo ragione di credere che Nitti ne sottoscrives­se la sostanza: non a caso, infatti, egli attribuiva notevole importanza alla denominazione che il nuovo istituto avrebbe assunto, dal momento che, condividendo quindi le aspirazioni del suo futuro Amministratore Delegato, Angelo Po- gliani, riteneva dovesse assumere compiti che andavano ben al di là di quanto il titolo “Banca Italiana di Depositi e Sconti” (così Bonaldo Stringher suggeriva di battezzarla) lasciasse presagire (15).

Quella che Nitti avrebbe voluto battezzare

f12) Si legge infatti nel Memorandum del 10 novembre 1914: “Nel memorandum di ieri parlando del capitale della nuova Banca ho indicato come cifra 150 milioni solo a titolo di esempio. Ma è bene forse ora mantenerci a 100 milioni. Il programma deve essere: - Direttamente o con l’aiuto del capitale americano (che è il più ben disposto e meno esigente) tenerci pronti ad acquistare i titoli delle società belghe, tedesche e austriache dopo la guerra. Ho già riunito e completerò i dati sull’argomento”. (ACS. loc. cit.).f13) E. Galli della Loggia, Problemi di sviluppo industriale, cit. p. 850.f14) Valga quale esempio quanto il 28 dicembre 1914 pubblicava il “Corriere d’Italia”: “Informazioni assunte presso seria fonte, ci pongono in grado di confermare che la costituzione di un poderoso istituto bancario “italiano” può considerarsi un fatto compiuto. La Banca Italia di Sconto sarà costituita il 30 corrente ed avrà la sede sociale in Roma [...]. Gli stranieri si sono troppo abituati a considerare la nostra timidezza finanziaria come deficienza, come incapacità: la attuazione del grandioso progetto in parola può — per il benessere e per il buon nome d’Italia — affrancarci da legami che troppo hanno inceppato ed inceppano la nostra vita economica, finanziaria ed anche politica!”. Si vedano inoltre “L’Idea Nazionale” del 16 ottobre 1914 e “La finanza Italiana” del 2 gennaio 1915.(I5) ACS, Carle Nitti, b. 4, fase. 8 s. fase. 4. Nitti attribuiva molta importanza alla denominazione della futura banca, tanto da dedicarvi uno dei memorandum che abbiamo ritrovato, in data 9 dicembre 1914, e che riportiamo integralmente: “Il titolo Banca Italiana di Depositi e Sconti non appare molto opportuno. Prima di tutto nuoce una certa assonanza con il titolo Banca d'Italia e poi la Banca non farà solo depositi e sconti.Bisognerebbe che il titolo fosse fin da ora definitivo e non si fosse costretti a variarlo dopo. Vi sono parecchi titoli su cui l’attenzione si può fermare:Società Nazionale di Credito.Banca di Credito Nazionale Società di Credito Nazionale Unione NazionaleMa ancora il migliore titolo e più semplice è Banca Nazionale. Esprime il vero concetto del nuovo Istituto: il titolo è breve e semplice. Vi è l’inconveniente che era l’antico titolo della Banca d’Italia: Banca Nazionale del Regno d’Italia. Ma credo che il Comm. Stringher non può dispiacersi che altri prenda metà dell’antico nome del suo Istituto.Si può osservare che se la nuova Banca va all’estero il titolo Banca Nazionale è forse poco opportuno. Ma siccome il titolo rimane con la parola italiana anche in paese estero, questa difficoltà non ha fondamento. D’altra parte il titolo Banca Nazionale Italiana sarebbe quasi pleonastico. Si può tener presente, dando importanza a questa osservazione, il titolo: Banca Nazionale d'Italia, Ma è sempre meglio Banca Nazionale.Occorre ricercare che nessun altra banca abbia questo nome.Volendo conservare il nome Banca Italiana si può intitolare invece che di depositi e sconti più semplicemente: Banca Italiana di Credito.(In passato, una delle banche d’emissione, prima della legge del ’93 si chiamava: Banca Toscana di Credito)".Che il titolo della futura Banca ssumesse, nel clima che caratterizzava la sua nascita, una importanza notevole, è dimostrato dal fatto che, sei giorni prima della costituzione dell’Istituto, in un “Memorandum” di Nitti in data 24 dicembre, si legge: “Ho appreso che, per consiglio di Stringher, il nome definitivo è Banca Italiana di Sconto. Non è un titolo desiderabile; era migliore Banca Nazionale. Si badi almeno che sconti sia al plurale: Banca Italiana di Sconti [...]”.

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“Banca Nazionale” doveva infatti, secondo il suo programma, tenersi pronta “ad acquistare i titoli delle società belghe, tedesche ed austria­che dopo la guerra” (16), cioè a dire ... molta parte delle industrie italiane!

Che Nitti attribuisse alla costituzione del nuovo Istituto una importanza decisiva ai fini dell’attuazione del proprio progetto politico ed economico, appare evidente anche dal contri­

buto che dette alla raccolta dei capitali necessa­ri, rivolgendosi in particolare agli ambienti in­dustriali e commerciali del Mezzogiorno (l7). Sembra inoltre assodato che si debba proprio a Nitti, di cui era amico da molti anni, il fatto che Guglielmo Marconi abbia accettato la presi­denza della Banca italiana di sconto, contri­buendo al suo capitale iniziale con ben cinque- centomila lire (18). La presenza di Marconi alla

(16) ACS, Carle Nitti, b. 4, fase. 8, s. fase. 4 “Memorandum” in data 10 novembre 1914. / Memoranda sono di pugno di Nitti, ma la data vi è stata aggiunta.(17) A.N., fase. “Fontana Russo Luigi”.Le lettere di Fontana Russo a Nitti a proposito della futura costituzione della Sconto sono due, scritte a pochissima distanza l’una dall’altra (la prima è del 12 e la seconda del 4 novembre 1914) in risposta a lettere di Nitti che non abbiamo ritrovato. Le riproduciamo entrambe, a testimonianza dell’interesse del direttore della “Finanza Italiana” nei confronti dell’operazio­ne “banca italiana” e del ruolo che attribuiva a Nitti. “Roma, 12 novembre 1914, Carissimo tu mi domandi a che punto si trova il nostro Pogliani. Mi è caro di comunicarti che Egli è a buon punto; ma che abbisogna della cooperazione — non troppa del resto — del Mezzogiorno. Lui si contenterebbe che Napoli desse un milione. Pietro Alvino mi ha scritto che Peirce era disposto a sottoscrivere per 200.000 lire. Credo che Alvino possa fare di più o meglio [...]. Qui con me, al consiglio del commercio, si trova il Mele. Gliene parlerò subito. Ma la tua parola sarebbe molto più ascoltata della mia [...].P.S. La Commerciale è furibonda con me per un innocente trafiletto pubblicato nell’ultimo fascicolo (V. pag. 670). Continua il suo atteggiamento antipatico, per cui è invisa a tutta l’Italia. Nel detestare tale Istituto il nostro pubblico è unanime come non lo fu e non lo sarà mai. È un’indecenza!”. La seconda lettera è scritta da Roma su carta intestata del Regio Istituto Superiore di Studi Commerciali, di cui Fontana Russo era il Direttore, e nella parte che ci interessa dice: “Ho avuto con me, a colazione, Mele e Pogliani; per farli conoscere bene, per farli intendere, per concludere qualcosa. Mele si darà d’attorno alla raccolta del capitale. Lo ha fatto capire, ma ha fatto capire anche di voler entrare nel consiglio di amministrazione della futura banca. Ma non metterà nero su bianco se non quando avrà parlato con te. Credo che Pogliani non sia alieno dal contentar Mele, ma a patto che Mele contenti Pogliani, impegnandosi presto e bene in favore di lui. Anche qui sarai tu la chiave di volta [...]. Della F.I. possono dirti ben poco come previsioni per l’avvenire. Io prevedo nero. Ma tutto dipenderà dalla riuscita di Pogliani. Le perdite potrebbero essere compensate dalle maggiori entrate prodotte attraverso la futura banca [...]”.Si veda inoltre il Memorandum di Nitti del 9 dicembre 1914, in cui si legge: “La sottoscrizione a Napoli procede sempre lenta. Col tempo si potrà fare molto; ma ora bisogna contentarsi di poco. Al tenerne nel cassetto non è il caso di pensare. Alvino spera, — ma non sa se farà in tempo — di portare un milione di capitalisti americani. In seguito potrà fare assai di più. Se farà un viaggio negli Stati Uniti, date le sue relazioni, potrebbe far sottoscrivere alcuni milioni. Se raggiungerà i due milioni deciderà però essere nel Consiglio di Amministrazione, ciò che è giusto. In ogni caso sarebbe opportuno fare questo primo Consiglio di pochi nomi: cinque al più e autorevolissimi e riserbarsi, dopo l’ingrandimento dell’Istituto e la fusione con gli altri Istituti, di fare un grande consiglio veramente nazionale di ventuno membri con un comitato esecutivo ristretto e competente”. (ACS, Carte Nitti, b. 4, fase. 8 s. fase. 4). Riteniamo che Pietro Alvino, che sottoscrisse al nome proprio cinquanta mila lire, sia riuscito nel suo intento, dal momento che venne eletto tra i Sindaci dell’Istituto al momento della sua costituzione, ma non c’è stato possibile accertarlo. Il parere di Nitti in merito alla composizione ed al numero iniziale dei componenti il Consiglio della Sconto fu comunque attentamente seguito al momento della sua fondazione, infatti, la Banca aveva solo sei consiglieri.('*) Marconi, nella sua posizione all’istruttoria per il processo contro gli amministratori della BIS, l’il dicembre 1922, dichiarò: “Nel 1914, dopo lo scoppio della guerra europea, e rilevo il momento veramente storico, fui sollecitato con grande insistenza ad accettare la Presidenza di un nuovo Istituto Bancario prettamente Italiano, che stava per sorgere, perchè si credeva da molti che il mio nome, conosciuto all’estero, avrebbe potuto recar prestigio ad un organismo finanziario destinato a funzionare in tempo di guerra specialmente in Paesi ove si riteneva che l’Italia avrebbe avuto particolari interessi politici ed economici e che io vi avessi una particolare influenza [...].Prima però di decidermi ad accettare la carica, volli ottenere il consiglio di personaggi autorevoli e competenti, e ne parlai a S.E. l’On. Giovanni Giolitti, a S.E. il Marchese di San Giuliano, allora Ministro degli Affari Esteri, come pure al Commendator Bonaldo Stringher, Direttore Generale della Banca d’Italia. Questi autorevoli personaggi mi espressero l’opinione che l’accettazione della carica offerta sarebbe stata di grande utilità alla nuova Banca” (ASR 234, C. 16 bis, aff. 10) .Lo stesso Nitti, in un “memorandum” del 24 dicembre 1914, vi accenna scrivendo: “L’accettazione della presidenza da parte di Marconi gioverà assai al programma futuro di espansione”. (ACS, loc. cit.). Nè l’uno nè l’altro fecero comunque cenno al

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presidenza della Sconto assumeva per Nitri e per Pogliani un’importanza notevole, alla luce dei programmi di espansione della banca: la stima da cui era circondato in Inghilterra e negli Stati Uniti, e la sua ottima conoscenza degli ambienti finanziari di quei paesi furono oltre­modo utili per quello che intendeva divenire “un grande Istituto intemazionale” (l9).

La fondazione della Banca italiana di sconto era però soltanto il primo passo, di per sé insufficiente a contrastare l’egemonia della Banca commerciale italiana nel campo del credito industriale nel nostro paese: e le forze che avevano presieduto alla sua nascita ne era­no ben conscie. I mesi successivi furono quindi dedicati alle lunghe e laboriose trattative per giungere alla fusione tra la BIS e le due banche a partecipazione francese, la Società bancaria italiana e la Società italiana di credito provin­ciale, cui Nitri (che degli atti di fusione fu il principale estensore) (2o) dette il proprio contri­

buto, partecipando tra l’altro a due riunioni tenutesi nell’aprile 1915 a Roma tra i rappre­sentanti dei vari gruppi interessati (2I). Mentre proseguivano le trattative, nel tentativo di su­perare le divergenze esistenti tra i gruppi fran­cesi “sulla natura economica che avrebbe dovu­to avere il nuovo istituto" (22), nonché, sospet­tiamo, su questioni riguardanti i bilanci della SBI e della Probank (23), il governo Salandra si preparava a fornire il proprio aiuto all’opera­zione in corso “presentando alla Camera un disegno di legge che apportava alcune modifi­che al Codice di Commercio allo scopo di facilitare la fusione tra gli istituti di credito” (24).

Anche in questa circostanza, l’aiuto dell’uo­mo politico lucano si rivelò prezioso: secondo quanto scrive Magno Magni a Nitri in una lettera del 17 aprile 1915, sembra infatti che si debba proprio a quest’ultimo il disegno di legge sulla fusione fra le società per azioni che, elimi­nando il diritto di recesso, avrebbe impedito

fatto che la proposta di affidare tale carica a Marconi fosse partita da Nitti, o che questi si fosse incaricato di trasmettere al primo. In questo senso testimonierà però Pogliani, nei suoi colloqui con Cesare Rossi (C. Rossi, L’assalto alla Banca italiana di Sconto, cit., p. 327) e su questa testimonianza sembra basarsi l’affermazione in merito di Galli della Loggia. Anche Giancarlo Masini, nella sua biografia di Marconi accenna a questa proposta di Nitti situandola però (abbastanza inverosimilmente nel 1919 e trascurando il fatto, di non poco rilievo, che tra i sindaci della banca, eletti al momento della sua costituzione, si trovava anche il marchese Luigi Solari segretario particolare di Marconi ed interessato in molte delle sue imprese. (Giancarlo Masini, Marconi, Torino, Utet, 1976).09) Relazione del consiglio di amministrazione all’assemblea generale ordinaria degli azionisti della Banca italiana di sconto per l’esercizio 1919, 25 marzo 1920. (ASR 234, C. 5, aff. 56-63).(20) Le bozze degli atti di fusione sono oggetto, insieme alla relazione dell’Assemblea straordinaria degli azionisti del Credito provinciale, di una serie di biglietti dell’avvocato Carlo Casati a Nitti. Sia delle bozze che della relazione abbiamo comunque ritrovato le minute di mano di Nitti. (ACS, Carte Nitti, b. 4, fase. 8, s. fase. 4, ins. 2).(21) Alla prima di queste riunioni, tenutasi il 24 aprile 1915 nello studio romano di Nitti, parteciparono Pogliani, l’avvocato Casati della Società italiana di credito provinciale e l’avv. Luigi Parodi, longa manus dei Perrone in queste ed altre imprese. Scopo di tale riunione pare sia stato l’esame degli atti di fusione, preparati da Nitti, che dovevano essere sottoposti, pochissimi giorni dopo, ai rappresentanti della Banca Dreyfus, della Società bancaria italiana e della BIS, nella riunione che si tenne il 27 aprile all’Hotel Minerva. (Lettera di Pogliani a Nitti, 23 aprile 1915. ACS, Carte Nitti, b. 4, fase. 8 s. fase. ins. 2). La seconda riunione doveva tirare le fila delle trattative, lunghe e laboriose, che si erano svolte in quei primi mesi del 1911 tra Parigi e Milano e vi presero parte, oltre all’Amministratore Delegato del Credito Provinciale, Leo Rapport per la Banca Dreyfus, Raffaele Jona ed Aldo Ambron per la Sconto, che Pogliani, in una lettera a Nitti del 26 aprile 1915, definisce "la triade giudaica". Non abbiamo notizie di eventuali altri partecipanti alla suddetta riunione, cui Nitti prese parte solo in un secondo tempo, probabilmente per dare ai francesi l’impressione di aver svolto un ruolo esclusivamente “tecnico”, di semplice consulenza legale. (Lettera di Pogliani a Nitti, 26 aprile 1915. ACS loc. cit.).(22) E. Galli della Loggia, Problemi di sviluppo industriale, cit. p. 851.(23) Da un promemoria non datato che abbiamo rinvenuto tra le carte di Nitti, e che riteniamo vada attribuito allo stesso Nitti, si desume che le basi dell’accordo per la fusione fossero inizialmente meno vantaggiose per la Società bancaria di quanto non risultassero al momento della fusione stessa. Le trattative su questo punto non dovettero essere facili, tanto che le assemblee delle tre banche, inizialmente previste il 9 e 1’ 11 maggio dovettero essere spostate a fine mese. (ACS, Carte Nitti, b. 4, fase. 8, s. fase. 4, ins. 2, sins. 2).(24) E. Galli della Loggia, op. cit., pag. 852.

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agli avversari di ostacolare la fusione tra la Banca italiana di sconto e le due banche a partecipazione francese (25).

Nitri, cui si debbono non solo gli atti di fusione ma anche la minuta della relazione all’assemblea straordinaria degli azionisti del Credito provinciale (26), non si limitò comun­que ad un contributo esclusivamente “tecnico”: anche in questo caso traspare il contenuto “ide­ologico” che il deputato lucano attribuiva alla fondazione di una forte “banca italiana”. La minuta è quindi di estremo interesse, non solo in quanto dimostrazione evidente della pro­fonda conoscenza di Nitti delle condizioni del Credito provinciale, ma soprattutto perché ne riflette il pensiero in merito alla sua più generale visione dello sviluppo economico e politico del paese. Scriveva infatti Nitti: “Più che mai in questo momento, le condizioni del Paese ri­chiedono di riunire e disciplinare le opere dis­giunte e divergenti per avere azione efficace. Mentre intorno a noi imperversano tutte le lotte e masse enormi di ricchezza sono ogni giorno distrutte, benefizi duraturi si possono solo ottenere da organismi solidi e poderosi che non abbiano alcuna causa di debolezza e che rappresentino la riunione di forze vitali”. E più avanti: “l’Italia è fra i maggiori paesi ancor quello che ha il minor numero di Istituti di credito con capitale superiore a 50 milioni; ne ha anzi in numero molto esiguo. Vi è dunque larga opera da compiere per tutti e largo cam­mino da percorrere se ai nostri intenti corri­sponderà, come siamo sicuri, l’opera tenace e perseverante” (27).

È evidente, in queste righe, il proposito co­munque che unisce l’attività di Nitti a quella di

Pogliani e dei fratelli Perrone: realizzare, sulle orme di quanto era avvenuto negli anni prece­denti in altri paesi a capitalismo più avanzato, una forte concentrazione bancaria ed industria­le, che permettesse all’Italia un rapido sviluppo economico ed il raggiungimento di fatto di quel ruolo di “grande potenza” che solo formalmen­te le veniva riconosciuto. Condizione necessa­ria per realizzare tale progetto era, secondo i suoi ideatori, l’estromissione del capitale stra­niero presente nelle industrie italiane e la sua sostituzione con capitali “meno esigenti”.

Alla ricerca di questi capitali, oltre che, come abbiamo visto, alle trattative per la fusione con la Società bancaria italiana ed il Credito pro­vinciale, furono dedicati i mesi successivi alla fondazione della Banca italiana di sconto. Nelle intenzioni di Nitti, comunque, si sarebbe dovu­to concludere su questi due punti prima dell’en­trata in guerra dell’Italia. Scriveva infatti il 24 dicembre 1914: “[Ma] sarebbe bene congegna­re l’atto di costituzione in guisa che all’aumento ulteriore di capitale si possa andar subito. La partecipazione dell’Italia alla guerra è assai probabile e bisogna aver prima definito tutto” (28). Come vedremo in seguito, Nitti dimostrò anche in questo caso di avere una perfetta co­noscenza dell’ambiente finanziario statuniten­se: sarà infatti proprio l’entrata in guerra dell’I­talia a ritardare l’apporto di capitali americani e l’aumento di capitale della Banca italiana di sconto.

Pochi giorni dopo la costituzione della BIS, mentre la stampa nazionalista si preparava ad attaccare pesantemente la Banca Commerciale italiana, Nitti, che in passato aveva fornito,

(25) AN, fase. “Magni Magno”. Scriveva Magni: “Qui si dice che fosti tu il grande artefice della nuova legge sulle Anonime. Dio ti benedica...”. Sui tentativi effettuati dagli avversari per ostacolare la fusione, si veda il citato saggio di Galli della Loggia. L’aiuto fornito dal governo Salandra modificando le disposizioni del Codice di commercio per quanto riguardava il diritto recesso, acquista notevole significato; non a caso, infatti, la Banca commerciale, tramite il banchiere Pisa, aveva tentato di acquistare le azioni della SBI possedute dal gruppo Dreyfus: l’Istituto di Piazza della Scala sapeva evidentemente di poter contare su numerosi alleati nel Consiglio di amministrazione della Bancaria e, valendosi del diritto di recesso, sarebbe probabilmente riuscito a far fallire il progetto di fusione, o comunque a ridurne notevolmente l’importanza.P ) ACS, Carte Nitti, b. 4, fase. 8, s. fase. 4, ins. 2, sotto ins. 2.F ) Ivi.(“ ) Ivi.

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nella sua qualità di avvocato, consulenze legali anche a quest’ultimo istituto bancario, tagliava (con tempismo perfetto) i ponti con la “banca tedesca”. In risposta ad una lettera di Pietro Fenoglio del 12 gennaio 1915, egli scriveva: “Per ragioni di delicatezza, dopo la dichiara­zione di guerra e in questo periodo così agitato, non ho accettato il patrocinio di alcuna causa delle maggiori banche e ho sospeso anche ogni consulenza legale. Poi che in questo violento contrasto di discussioni e di passioni, potrà capitarmi di portare una parola serena e obiet­tiva ho voluto essere libero di ogni impegno, sia pure formale” P ) . Pochi giorni dopo, il 28

febbraio, Nitri esponeva, all’Accademia delle scienze di Napoli, le priprie idee sul capitale straniero in Italia, idee che per più di un verso rispecchiavano i propositi che avevano portato alla fondazione della Sconto, e che in parte anticipavano il ruolo che, nei mesi successivi Nitti si sarebbe assunto nei confronti della pro­gettata fusione tra le banche.

In questa occasione Pio Perrone si mise di­rettamente in contatto con l’ex ministro, con una lettera datata 4 marzo 1915, che non ab­biamo ritrovato, ma di cui conosciamo a gran­di linee il contenuto, poiché il destinatario vi fa riferimento nella sua risposta (3o).

(®) AN, fase. “Fenoglio Pietro”. La lettera di Nitti a Fenoglio porta la data del 18 gennaio 1915.p ) AN, fase. “Perrone Pio”. La lettera di Nitti a Perrone è già stata pubblicata da Galli della Loggia nel saggio citato; riteniamo comunque utile riportarne i passi salienti. Vi si legge: “Io ho dimostrato:1. che il capitale straniero in Italia è assai meno importante che il pubblico non creda. I soli capitali investiti a lungo termine (tranvie, ferrovie secondarie, acquedotti, miniere, ecc.) sono belgi e francesi e in proporzione minore inglesi;2. che niuna gratitudine l’Italia deve ai tedeschi. I tedeschi hanno investito pochissimi capitali: si limitano a controllare alcune industrie e non poche società. Esse rappresentano una organizzazione di persone, piuttosto che associazioni di capitali;3. che in avvenire l’Italia deve contare sulle sole forze: quindi né francesi, né tedeschi, né inglesi [...].Nel mio discorso ho sostenuto che si deve per legge impedire che i cittadini stranieri siano amministratori e direttori di società bancarie che accettano depositi. È un provvedimento che io ritengo necessario, che avevo già preparato da Ministro, sotto forma di un disegno di legge. Ella va più in là ritenendo che gli amministratori e direttori di tutte le società per azioni esercenti in Italia non possono essere che cittadini italiani. È un argomento grave. Che cosa avverrebbero per le società esistenti? Non si potrebbe averne un danno? A ogni modo è argomento da considerare. Credo che gioverebbe anche non poco la modifica della legislazione sui brevetti. Fatti come quelli cui Ella si riferisce non sarebbero possibili se il legame dei brevetti non creasse all’Italia una vera inferiorità. L’Italia è nella sua ora decisiva. Si vedrà presto se saprà essere un grande paese e se conserverà la sua soggezione economica. Il testo del mio discorso spero non Le dispiacerà, poiché molte delle tesi che Ella sostiene vi sono contenute (...)”. Per quanto riguarda la sostanza delle tesi sostenute da Nitti, se concordiamo con Hertner che “in ultima analisi l’ipotesi di una manipolazione cosciente (dei dati utilizzati) da parte di Nitti non si può scartare con sicurezza”, ci sembra però che tale manipolazione fosse tutt’altro che “neutrale” e, soprattutto, non contrastasse affatto con quanto la stampa nazionalista, certo con minor sottigliezza, andava in quei mesi sostenendo. Un’attenta e, crediamo, necessaria rilettura di quanto l’agosto 1914 ed il giugno 1915, nonché degli articoli apparsi su l’“Idea nazionale” dal gennaio al giugno 1915 mostra evidenti e tutt’altro che superficiali analogie con le tesi sostenute da Nitti. “Questo predominio” — scriveva infatti Preziosi — la Germania ha saputo procacciarsi il Italia senza neppure impegnare somme ingenti perché il capitale della Società Anonime Italiane non sale a cifre rilevanti. Il predominio si esercita in realtà con capitale irrisorio (il corsivo è mio) il quale per essere concentrato nelle mani di pochi, rende possibile un’azione di prevalenza sopra un complesso organismo azionario che, pur essendo considerevole, è sparpagliato in tutto il paese, e sopra un insieme di società il cui capitale è suddiviso fra centinaia di migliaia di azionisti sparsi in tutta Italia. (Giovanni Preziosi, "Come la banca tedesca ha asservito l’Italia", “La vita italiana all’estero”, fase. XXI, settembre 1914). Se dunque le valutazioni di Nitti, non sappiamo quanto strumentali, in ordine alla scarsa consistenza dei capitali tedeschi, investiti in Italia erano tutt’altro che in contraddizione con quanto andavano contemporaneamente sostenendo i nazionalisti (il periodo citato non é che un esempio, ma di simili affermazioni fu in realtà costellata la campagna di stampa contro la “banca tedesca”), ancor meno contraddittorie appaiono le sue affermazioni in merito al fatto che i tedeschi rappresentassero in realtà “una organizzazione di persone piuttosto che associazioni di capitali”. Certo, spetterà ai nazionalisti additare all’opinione pubblica i membri di tale “organizzazione”... ma la presa di posizione di Nitti in merito alla nazionalità degli amministratori e direttori degli Istituti di credito era già di per sé piuttosto trasparente!Quanto a “concedere al Nitti il merito di aver riconosciuto all’influsso di esperti tedeschi, i metodi di direzione di gestione tedeschi nell’industria e nel settore del credito importante funzione che ad esso spetta” (Peter Hertner, Il capitale straniero in Italia (1883-1914), “Studi storici”, ottobre-dicembre 1981, p. 771), riteniamo necessario puntualizzare che tale “merito”, andrebbe condiviso anche da Preziosi e Mario Alberti, che proprio dal riconoscimento di tale influsso (nonché dalla scarsa competenza degli amministratori italiani), prendevano le mosse per chiedere l’allontanamento di Joel e di Toeplitz!

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Dalla lettera di Nitti, in data 8 marzo, si evince che egli non aveva ancora incontrato personalmente il presidente dell’Ansaldo, ma, come abbiamo visto, molti erano gli interessi comuni ai due uomini, a partire proprio dalla comune convinzione della necessità di “nazio­nalizzare” le banche italiane, e dal comune pro­getto di estrometterne il capitale tedesco. Se l’affermazione di Nitti “che in avvenire l’Italia deve contare sulle sue sole forze: quindi né francesi, né tedeschi, né inglesi” può sembrare in contrasto con la sua azione in favore della fusione tra istituti bancari quali la Società ban­caria éd il Credito provinciale, in cui il capitale francese era presente in misura considerevole, non bisogna dimenticare che l’obiettivo da col­pire in quel momento era principalmente la “banca tedesca” e che l’azione di Nitti era tesa alla ricerca di un apporto alla nuova banca di capitali americani, coerentemente con la sua affermazione, secondo la quale “l’Italia non potrà contare che sui suoi capitali. Sarebbe nondimeno utile e prudente che il capitale nord-americano, il quale ora quasi non è rap­presentato in Italia, avesse urta partecipazione maggiore” (31).

Inoltre, le tesi esposte da Nitti non esclude­vano affatto la necessità di contributi stranieri alla formazione dei capitali delle industrie ita­liane, ma puntavano piuttosto ad un “equili­brio” nelle partecipazioni dei vari capitali stra­nieri, tale che nessuno di questi risultasse domi­nante rispetto all’economia italiana (32).

L’uomo politico lucano si rendeva in sostan­za perfettamente conto del fatto che il capitale

accumulato in Italia era del tutto insufficiente a garantirne lo sviluppo economico, ed a render­la quindi “un grande paese”; riteneva però che il contributo di capitali stranieri non dovesse ne­cessariamente tradursi in una soggezione dell’I­talia agli imperialismi più potenti. Indicativo in questo senso è quanto Nitti scrisse in un memo­randum indirizzato, nel 1916, ad un finanziere americano. “Gli Stati Uniti considerano il commercio come scopo a se stesso, non come mezzo di dominio; essi hanno, come tutte le grandi democrazie, il rispetto degli altri popoli e l’amore della libertà, che è anche più della ricchezza e troveranno quindi in Italia la mi­gliore accoglienza” (33). Sulla base di queste convinzioni Nitti, che si era già rivolto, tramite Pietro Alvino, a finanzieri americani perché sottoscrivessero il capitale iniziale della nuova banca, si assunse in prima persona il compito di ottenere negli Stati Uniti i fondi per l’aumento- di capitale della Sconto da 70 a 100 milioni, che avrebbe dovuto aver luogo pochissimo tempo dopo la fusione tra le banche. A questo propo­sito scrisse perciò una serie di lettere, di conte­nuto pressoché identico, a banchieri ed indu­striali americani con cui era in contatto. Di queste lettere, scritte nel marzo 1915, abbiamo ritrovato alcune minute. La prima, datata 18 marzo, è indirizzata ad Ira Nelson Morris p*) ed espone, a grandi linee, il progetto di aumen­to del capitale sociale della Banca italiana di sconto (per cui occorrerebbero 5 o 6 milioni di dollari) e la necessità, al fine di incrementare il commercio tra l’Italia e gli Stati Uniti, dell’aper­tura di una sede della Sconto a New York. (35).

(31) F.S., Nitti II capitale straniero in Italia, cit., p. 56. Nitti proseguiva scrivendo che “ciò non solo gioverebbe dal punto di vista commerciale ma gioverebbe anche alla emigrazione italiana negli Stati Uniti. Non è compito difficile, date le disposizioni ripetutamente manifestate dalla finanza e dalla industria americana a questo riguardo”.(32) Ivi, p. 57 “nessuno straniero deve avere nella nostra finanza, nelle nostre banche, nella nostra industria una azione dominante (il corsivo è mio).(33) AN, fase. “Renè Leprestre”. Il Memorandum era allegato ad una lettera datata 15 luglio 1916.(34) Ira Nelson Morris nacque a Chicago l’8 marzo 1875 e mori il 15 giugno 1942. Sposato a Costance Lily Rothschild, era interessato in molte banche, ferrovie e società per azioni americane, svolse anche attività diplomatica, e nel 1913, all’epoca in cui Nitti era ministro di Agricoltura, Industria e Commercio, fu commissario generale per l’Italia del Dipartimento di stato di Washington.(35) AN, fase. “Morris”.

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Dopo aver sollecitato l’interessamento di Mor­ris alla sua attuazione, Nitri conclude scriven­do: “If you agree, we cac without delay begin the work. I am completely at your disposal; if necessary we can meet also with the Senator Marconi and Mr. Pogliani” (36). La seconda lettera, senza data ma in risposta ad una diD.A. Truda, amministratore delegato della Trunk Line Association di New York, del 18 marzo 1915, rifletteva la fondata occupazione di Nitri che la prossima entrata in guerra dell’I­talia pregiudicasse la riuscita dell’opera­zione (37).

In attesa di conoscere l’esito della sua propo­sta ai vari uomini di affari americani, Nitri si rivolse, nell’aprile del 1915, a Thomas Nelson Page, a quell’epoca ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, inviandogli copia del suo saggio sul capitale straniero. In questa occasione, con una lunga lettera in cui riassumeva le proprie tesi, egli sottopose all’ambasciatore il progetto

(“ ) Ivi.(” ) AN, fase. “Truda D.A.”.(38) AN, fase. “Nelson Page Thomas”, aprile 1975, riservala e confidenziale. Riportiamo parte della lettera, che secondo noi è di grande interesse. “Gli Stati Uniti di America quasi non hanno capitali in Italia. [...] Nondimeno [...] sarebbe utile dal punto di vista commerciale che il capitale nordamericano avesse una maggiore partecipazione in Italia. Io ho avuto spesso in passato occasione di discutere questo argomento con parecchi finanzieri americani e so che vedono con simpatia una intensità di rapporti con l’Italia. Adesso nessuna banca italiana è in America. Io vedrei che qualcuna vi andasse per agevolare ed intensificare i rapporti commerciali. Per l’Italia gli Stati Uniti sono il mercato più importante e bisognerebbe che le relazioni di capitali fossero maggiori. Dopo la guerra gli Stati Uniti d’America avranno una situazione eccellente in Europa. Vi sono molti stati che fra loro non possono più scambiare prodotti. Sopra tutto la Germania avrà grandi difficoltà. Ora vi è una situazione importante, che La prego di esaminare. Si è formata in Italia la Banca Italiana di Sconto con 70 milioni di lire di capitale. È una banca tutta italiana, di cui è presidente il Senatore Guglielmo Marconi, il grande fisico, che ha inventato il telegrafo senza fili. Direttore generale è il comm. Angelo Pogliani, banchiere assai stimato e rispettato. La Banca ha una situazione eccellente: essa è risultata dall’incorporazione di due banche (Società Italiana di Credito Provinciale e Società Bancaria Italiana) con l’aggiunta di 22 milioni. [La fusione in realtà non era ancora avvenuta, ma Nitti la dava per scontata, a.m.f.]. Si vedrebbe con molta simpatia che la Banca elevasse il suo capitale a 100 milioni e che 30 milioni di lire fossero versati da banchieri americani. La Banca Italiana di Sconto dovrebbe proporsi di sviluppare gli affari fra l’Italia e gli Stati Uniti d'America e avere naturalmente subito un ufficio a New York. Ora il cambio è molto alto: sottoscrivere 30 milioni di lire vuol dire sottoscrivere meno di 5 milioni di dollari. Comunque volgano gli eventi politici, è un argomento questo che sottopongo a Lei confidenzialmente. È un argomento da studiare [...]”.(39) AN, fase. “Nelson Page Thomas”.(4°) AN, fase. “Destinatari ignoti”, ora in fsc. “Nelson Page Thomas” Nitti a Nelson Page, 3 maggio 1915.(41) AN, fase. “Nelson Page Thomas”. Nelson Page a Nitti, 5 maggio 1915.(42) /v/. La minuta della lettera a Nelson Page è oggetto di una breve lettura di Pogliani a Nitt, in data 28 giugno 1915 che ci ha permesso di ricostruire la vicenda. Dice infatti: “Onorevole amico, ricevetti la sua graditissima che mi accompagna la minuta della lettera da indirizzare all’Ambasciatore degli Stati Uniti. È riuscita benissimo e sarà senza dubbio molto efficace. Stamani la consegnerò a Marconi, perché la traduca e la consegni al più presto. [...]”. (ACS, Carte Nitti, b. 4, fase. 8, s. fase. 4, ins. 2). Il 10 luglio 1915, l’ambasciatore trasmise al Segretario di Stato a Washington una lettera firmata da Solari, in cui si sosteneva la tesi della necessità di un intervento del capitale americano nell’aumento di capitale della Sconto, e si preannunciava la lettera successiva a firma di Marconi. Nelson Page, nel trasmettere la lettera di Solari, premetteva: “I am being repeatedly approached by men prominent in business and politicai fife in Italy relative tho establishment here of an

di aumento del capitale della Sconto, aumento cui i banchieri americani avrebbero dovuto partecipare con almeno 30 milioni di lire (38).

Nella sua risposta del 27 aprile, Nelson Page si dichiarò estremamente interessato alle pro­poste di Nitti, tanto da voler trasmettere la lettera da questi indirizzatagli al segretario di Stato a Washington (39), ma il deputato lucano ribadì il carattere “riservato e confidenziale” che la sua partecipazione a questa operazione poli­tica ed economica doveva mantenere, invitan­do l’ambasciatore a fame partecipe esclusiva- mente il legatario di Stato del Tesoro, che avrebbe potuto favorirne maggiormente la ri­uscita (4o), e Nelson Page decise quindi di non inoltrarla a Washington (41).

Su questo stesso argomento Nitti sarebbe ritornato due mesi dopo, nel giugno 1915, pre­parando la minuta di una lettera che, firmata da Marconi, sarebbe stata inviata ai primi di luglio allo stesso Nelson Page (42). Questa lette-

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ra, anch’essa piuttosto lunga, sviluppava i temi di quella confidenziale inviata all’ambasciatore in aprile, sottolineando in particolare la necessi­tà di “raccogliere con abilità, con garbo, la successione della Germania” in tutti i rami del­l’industria. A questo scopo si riteneva necessa­rio che “una grande banca italiana prepari l’o­pera di penetrazione delle industrie americane”. Anche i progetti della Sconto sulla funzione di una propria sede a New York venivano illustra­ti con molta chiarezza: la Sconto si proponeva di raccogliere le rimesse degli emigrati italiani (da 60 a 80 milioni di dollari all’anno) e di fungere da tramite per gli acquisti effettuati in America e per i pagamenti del Tesoro dello Stato Italiano (43). In conclusione “noi abbiamo visto con profonda preoccupazione che la Germania considerava il commercio come l’al­leato dell’esercito; la penetrazione economica come un mezzo di penetrazione politica. E però l’Italia vuole uscire da rapporti che sono insie­

me un mericolo e un danno [...]. Noi deside­riamo che, nella più larga misura possibile, gli Stati Uniti d’America prendano nel commercio il posto che altri deve lasciare, poi che noi sappiamo che aumentare il commercio con gli Stati Uniti è aumentare le simpatie e compiere opera veramente democratica (44).

Al momento, però, i finanzieri americani non sembravano avere intenzione di agire nel senso desiderato da Nitri e dai dirigenti della Sconto, pure esprimendo un’adesione di mas­sima al progetto che veniva loro sottoposto (45). A rendere problematico, almeno per il momen­to, l’apporto di capitali statunitensi, contribui­vano sia l’entrata in guerra dell’Italia che l’opi­nione corrente in America che “le condizioni finanziarie e commerciali abbiano molto sof­ferto per via della guerra e che quindi ci sia disagio e malcontento, che il costo della vita sia enormemente aumentato, le industrie siano pa­ralizzate e l’agricoltura trascurata per mancan-

America-Italian in bank. Attache hereto is a copy of a letter from Mr. S. Solari the President of Marconi Company in Italy upon this subject Mr. Marconi himself is also deeply interested in the project [...]. I am informed that steps have already been taken for the establishment here of an English bank, backed by the London & County Bank of London. I will not burden the Departmen with detailed statements of the reasons advanced by the advocates of an American-Italian bank, except to say that one of their many arguments is that the war will force Italy, for a long time to come to be a heavy purchaser in the United States, and this trade will be greatly enlarged and facilitated by having an American-Italian bank there. They submit many facts to prove that there are enormous profict sand great financial and commercial advantages to be gained by the opening there of such a bank. I have promised these gentlemen to submit the matter to my Governement, and I shall be glad if the Department can bring the suggestion to the attention of the banking interests of the United States with a view to their sending a representative here to look into what seems to be a most promising opportunity”. (ADS Microcopy n. 527, Roll 2/865.516/1). Il giorno successivo l’l 1 luglio 1915, Nelson Page trasmise al Segretario di Stato la lettera, a firma Marconi, di cui Nitti aveva steso la minuta. (ADS, Microcopy n. 527, Roll 2, 865.516/2).(43) AN, fase. “Nelson Page Thomas”.(«) Ivi.(45) La risposta di Truda, l’unica che abbiamo ritrovato, è in questo senso indicativa delle ragioni che trattenevano in quei mesi i banchieri americani dall’impegnarsi concretamente nella BIS “Onorevole signore" — scriveva il 18 giugno da New York — “ricevetti a suo tempo la sua gentilissima alla quale non risposi immediatamente perchè il signor McDonnell cercò di interessare nell’operazione da lei delineata alcuni interessi di grande potenza nel mondo finanziario degli Stati Uniti. A quanto pare però stante l’entrata in guerra dell’Italia, hanno deciso di rimandare la cosa all’avvenire che spero sia poco lontano”. (AN. fase. “Truda). Pogliani, cui Nitti aveva trasmesso la lettera di Truda, gli scrisse in proposito il 15 luglio 1915: “Le ritorno la lettera del Sig. Trunk (Pogliani, non nuovo a simili errori di distrazioni, confonde il nome della ditta Trunk Line Association, con quello dell’Amministratore delegato), il cui contenuto mi ha fatto molto piacere, quantunque la desiderata partecipazione della finanza americana alla nostra banca, non possa aversi subito. È però buona la promessa che ci si fa e lo ripeto, ne sono contento”. (ACS, Carle Nini, b. 4, fase. 8, s. fase. 4, ins. 2).(tó) AN, fase. “Mackenzie Philip”. Il giornalista del “New York Sun”, Philip Mackenzie, in una lettera dell’8 novembre 1915, a proposito di una intervista concessa da Nitti al suo giornale, gli scriveva inoltre: “Gli americani vorrebbero sapere in quale misura potranno sostituire i tedeschi nel commercio con l’Italia. Certo le importazioni dall’America per l’Italia hanno già subito un forte aumento per via della guerra, ma non si è certi che tale aumento continuerà e si dubita che l’Italia possa emanciparsi commercialmente dalla Germania dopo la guerra. Infatti si dice che la Germania non abbia dichiarato la guerra all’Italia appunto per non perdere la sua posizione commerciale e finanziaria privilegiata in Italia. Potrà l’Italia fare a meno della Germania dopo la guerra ed in questo caso come si avvantaggerebbe l’America?"

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za di manodopera specialmente nel Mezzo­giorno” i46).

Se la risposta dei banchieri americani poteva aver deluso Nitri, è certo comunque che otten­ne il risultato di smuovere le acque della finanza inglese, preoccupata delle avances nei confronti degli Stati Uniti. Il 6 luglio 1915 l’ambasciatore britannico, Rennel Rodd, si rivolse al deputato lucano con una lettera in cui si esprimeva la disponibilità dell’Inghilterra ad impegnarsi maggiormente nelle banche italiane. “Il lavoro intensivo” scriveva l’ambasciatore “non mi ha permesso finora di studiare il suo libro, ma questo sarà per me un obbligo e un dovere. Proprio quella situazione mi ha preoccupato molto e da qualche tempo sono in corrispon­denza con diverse autorità in Inghilterra nella speranza di organizzare un’azione bancaria in Italia. Il suo consiglio sarà per me di grande valore. La nostra banca non lavora mai nel senso politico ma potrebbe agire per sviluppare relazioni commerciali che noi abbiamo pur­troppo trascurato (47). Le iniziative prese da Nitti, in pieno accordo con Pogliani, preoccu­pavano molto anche i francesi, che ne erano venuti a conoscenza. Scrive Galli della Loggia, citando un dispaccio dell’ambasciatore di Francia a Roma, del 19 settembre 1915, che “secondo quanto riferiva di aver appreso Bar- rère, il nuovo Istituto non solo era sul punto di ricevere l’apporto di capitali inglesi e americani, ma si proponeva di rilevare in tutte le società in cui gli fosse riuscito i crediti della Commerciale, sostituendo al suo il proprio dominio su di esse”(48) e che ’‘Barrère si mostrava assai meno pre­occupato di una simile eventualità che avrebbe potuto sortire l’effetto di “créer des liens d’inté- rèts trés sérieux entre les producteurs améri- cains, les industriels anglais et e marché italien”

(49). Le preoccupazioni di Camille Barrère non erano davvero infondate, alla luce dei docu­menti sin qui analizzati, anche se le trattative con la finanza inglese ed americana non sareb­bero andate in porto che due anni dopo. Gli amministratori della Sconto, e Pogliani in par­ticolare, giocavano la partita su più tavoli ed erano ben lontani dal permettere al governo francese di condizionarne le azioni. Le propo­ste che Nitti aveva avanzato ai finanzieri ameri­cani, dimostravano al contrario che uno degli obiettivi principali che la Banca italiana di sconto perseguiva, era proprio la creazione di quei “liens d’interèts” che tanto preoccupavano l’ambasciatore francese. Inoltre, qualche mese più tardi, nel corso di quello che Galli della Loggia definisce “il tentativo più deciso che i francesi misero in atto durante la guerra per impadronirsi del più potente organismo banca­rio del Regno” (5o), il gruppo Ansaldo-Banca italiana di sconto si sarebbe dimostrato perfet­tamente in grado, se non di imporre i propri progetti, almeno di bloccare i tentativi di arri­vare ad un accordo amichevole con la banca Commerciale, accordo che alcuni gruppi fi­nanziari francesi proponevano insistente­mente (51).

In effetti il tentativo francese di impadronirsi della Commerciale, messo in atto tra la fine del 1915 ed i primi mesi del 1916, aveva portato nell’assemblea degli azionisti della Comit il 25 marzo 1916, ad una situazione che Galli della Loggia definisce “di carattere interlocutorio” (52) e di cui gli uomini della Sconto e dell’Ansal­do erano ben lungi dall’essere soddisfatti. Per scalzare la “banca tedesca” dalla sua posizione di preminenza nella vita economica italiana occorreva, e gli amministratori della Sconto ne erano profondamente consapevoli, disporre di

(47) ACS, Carte Nitti, b. 4, fase. 8, s. fase. 4, ins. 2.f 8) E. Galli della Loggia, Problemi di sviluppo industriale, cit., p. 855.(«) Ivi, pp. 855-856, n. 73.(5°) Ivi, p. 855.(5l)/vi, pp. 855-871.(") Ivi, p. 867.

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un organismo finanziario ben più potente di quanto a quell’epoca fosse la BIS, tanto più che, fallito sostanzialmente il tentativo di im­padronirsi della Comit con l’aiuto del governo francese, il gruppo Ansaldo-Sconto era però riuscito a determinare una condizione estre­mamente favorevole per dare inizio a quella scalata ai vertici dell’economia italiana che co­stituiva il suo principale obiettivo. Se infatti l’indebolimento della Comit non era stato suf­ficiente ad ottenere la sua resa incondizionata, aveva però permesso alla banca italiana di sconto di entrare, nel breve volgere di un anno, nell’Olimpo bancario italiano, e le contraddi­zioni provocate dal conflitto mondiale all’in­terno del consiglio di amministrazione della Commerciale, ed acuite dalla campagna di stampa nazionalista, promettevano di offrirle ben presto ottime possibilità di soppiantarla nel dominio di alcuni rami dell’industria italiana (e pensiamo in particolare, al settore elettrico).

La stessa campagna di stampa, inoltre, ac­compagnata dal favore evidente del pubblico nei confronti della BIS, permetteva alla “banca italianissima” di rivolgersi nuovamente al capi­tale americano, e sarebbe spettato a Francesco Saverio Nitti, una volta di più, l’incarico di riproporre ai finanzieri d’oltre oceano il proget­to di aumento di capitale dell’istituto, cui, que­sta volta, si sarebbe accompagnato un progetto di inserimento nel settore elettrico. E proprio all’industria elettrica l’“Idea nazionale” aveva dedicato gran parte degli articoli contro la “banca tedesca”, sostenendo la necessità che l’intervento di capitali, anche esteri, le sottraesse il dominio, innegabile, su questo ramo dell’in­dustria italiana (53). I tentativi di ottenere capi­tali dagli Stati Uniti creando contemporanea­mente un rapporto privilegiato tra la finanza

americana e la BIS, ripresero nell’aprile del 1916. La proposta originale venne però note­volmente modificata, e non certo in modo tale da rassicurare il governo francese: era infatti venuto a maturazione, nel settore elettrico, un altro progetto cui Nitti e la Sconto erano for­temente interessati e che sarebbe stato collega­to, nelle loro proposte, a quello originale.

Si trattava della "nazionalizzazione”, da ef­fettuarsi con una ventina di milioni di dollari fomiti da finanzieri americani, della Socità me­ridionale di elettricità. Nitti espose l’intero pro­getto, sia pure a grandi linee, in una lettera del 27 aprile 1916, indirizzata a Giuseppe Franco­lini, Presidente della Italian Savings Bank, in risposta ad una lettera di questi che non ab­biamo ritrovato, in cui si chiedeva il parere di Nitti su un eventuale finanziamento, ad una impresa che si proponeva relettrificazione delle ferrovie (54).

“Potendo raccogliere, come Ella dice, senza grandi difficoltà 15 o 20 milioni di dollari” scriveva Nitti “io consiglierei quindi, per aprire le correnti del traffico e compiere opera utile all’Italia, di seguire il seguente indirizzo: a) aumentare il capitale della Banca Italiana di Sconto da 70 a 100 milioni di lire, mediante l’entrata di 4 o 5 milioni di dollari di capitale americano; b) aumentare il capitale della Socie­tà Meridionale di Elettricità di 10 o 15 milioni di dollari e prepararsi a compiere le grandi opere di trasformazione idraulica, come quelle della Sila e del Tirso” (55). Nella sua lettera, inoltre Nitti indicava quale società americana avrebbe potuto assumersi un tale onere: la American International Corporation, costitui­tasi poco tempo prima “per operare in Euro­pa”. “Promotrice” scriveva Nitti “è credo la

(53) Vedi L’Idea Nazionale, settembre-ottobre 1915. Per la “politica di movimento” della Sconto nel settore elettrico, si veda il saggio di Giorgio Mori, Le guerre parallele. L’industria elettrica in Italia nel periodo della grande guerra (1914-1919). “Studi Storici”, aprile-giugno 1973, n. 2.(54) AN, fase. “Francolini Giuseppe”.(55) Ivi. Sul retro della minuta si legge: “Scritto lo stesso parere a Oreste Ferrara”.

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National City Bank e vi sono nomi d’autorità finanziaria come J. Ogden Armour, C.A. Cof- fin, W.E. Corey, James H. Hill, C.C. Labin,J.D. Ryan, ecc.” (56). Lo stesso progetto, molto più dettagliato, sarebbe stato oggetto di due memoranda che, due mesi dopo, Nitti avrebbe inviato a René Leprestre, della Leprestre, Mil­ler & Co. ine. di New York (57). Per la parte che si riferisce all’aumento di capitale della Sconto, il memorandum si discosta ben poco dalla let­tera inviata, a firma di Marconi, all’ambascia­tore degli Stati Uniti circa un anno prima (58). I punti di discordanza sono però significativi, e dimostrano come il disegno iniziale fosse stato ampliato e si fossero moltiplicati, nelle inten­zioni dei promotori, gli obiettivi. Si legge infatti nel memorandum : “La Banca Italiana di Scon­to ha 70 milioni di capitale: bisognerebbe che il gruppo americano cominciasse con acquistare ciò che ha ora un gruppo francese (15 milioni circa) e poi aumentare il capitale di 15 o 20 milioni di lire. Non è opportuno fare rapidi aumenti, ma si possono fare successivamente, chiamando a contributo anche il capitale na­zionale. La Banca dovrebbe per emissioni suc­cessive aumentare fino al punto di essere la più importante d’Italia [...]. Bisogna che la Banca Italiana di Sconto serbi il carattere essenzial­mente italiano: il gruppo americano dovrebbe

avere carattere di integrazione e di cooperazio­ne industriale” (59). Se la prospettiva di divenire “la più importante d’Italia” non era più così remota, visti i brillanti risultati del primo anno di esercizio (6o), anche i progetti della Banca in merito alla sua espansione all’estero, si erano ampliati, a quanto risulta da quel che Nitti scriveva a Leprestre, e l’Istituto guardava con interesse alla possibilità di aprire proprie suc­cursali non solo negli Stati Uniti, ma anche in Brasile ed in Argentina (61). Se i progetti di espansione della Sconto sul continente ameri­cano restavano per il momento oggetto di trat­tative, e non si sarebbero tradotti in pratica che in un secondo tempo, non altrettanto si può dire avvenisse sul piano interno. La battaglia per il controllo sull’industria italiana era ormai aperta, e veniva combattuta aspramente con tutte le armi a disposizione (e non erano poche) sia gruppo Ansaldo-Sconto che dai suoi avver­sari. Nel novero delle “guerre parallele” che in quei mesi si erano andate sviluppando, quella che si combatteva nel settore dell’industria elet­trica non era certo la meno importante (62); il memorandum di Nitti a proposito della Meri­dionale di elettricità, se da una parte di inserisce in questo quadro di aspra lotta per il dominio sulle industrie, lascia d’altra parte trasparire una visione dello sviluppo economico italiano

(56) L’American International Corporation fu organizzata nel novembre 1915 da Vanderlip, che divenne il primo Presidente del consiglio di amministrazione di questa società. Il 50 per cento del capitale venne assunto dalla National City Bank, mentre il restante 50% fu venduto a “interessi” in grado di assisterla nel suo lavoro. Il consiglio di amministrazione dell’AIC comprendeva: J. Ogden Armour, Charles A. Coffin, James J. Hill, Joseph P. Grace, Ambrose Monell, Percy A. Rockefeller, John D. Ryan, Guy E. Tripp, Theodore N. Vail; non ci risulta facessero parte del Consiglio nè C.C. Labin, nè William Ellis Corey, efr, Mira Wilkins, The maturing o f multinalional enterprise american business abroadfrom 1914 lo 1970/ U.S.A., University Press, 1975.f57) AN, fase. “Leprestre Renè”. I due Memoranda sono allegati ad una lettera di Nitti a Leprestre del 15 luglio 1916.P ) Vedi p. 10 di questo lavoro.(59) AN, fase. “Leprestre Renè”.(6°) E. Galli della Loggia, Problemi di sviluppo industriale, cit., p. 855.(61) AN, fase. “Leprestre Renè”. "La Banca Italiana di Sconto ove avesse una partecipazione del capitale americano” — scriveva Nitti — “dovrebbe aprire subito succursali negli Stati Uniti d’America, a New York e in altri centri e in seguito aprirne anche in Argentina e nel Brasile, soprattutto a San Paulo. Una banca che riuscisse a incanalare oltre 600 milioni di rimesse degli emigrati, in tutto in gran parte, renderebbe il più gran servizio all’Italia; ma nello stesso tempo sarebbe arbitro dei cambi”.(62) cfr. G. Mori, Le guerre parallele, cit.

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coerentemente “meridionalista” (63).H progetto, per quanto ci consta, non andò

in porto (M), ma, se l’accostamento con l’ingres­so di capitali americani nella Sconto non era casuale, come a noi pare, il fatto stesso che fosse stato formulato in pieno accordo con Maurizio Capuano, pone quest’ultimo nel novero di quei franchi tiratori’ in seno alla Comit di cui Gior­gio Mori tratta nel suo saggio sulle “guerre parallele” (65). Se le istanze di autonomia di Capuano, alla stregua di quelle espresse nello stesso periodo (e con contenuti simili) da Ettore Conti, finirono per rientrare, e per parte sua la Sconto finì per stringere una più solida alleanza con la Edison, ciò nondimeno la vicenda che abbiamo esaminato resta, a nostro parere, si­gnificativa. Non tanto e non solo come ulterio­re conferma di quanto l’intervento della Banca italiana di sconto avesse scosso la compagine, di per sé già abbastanza agitata, degli elettrici e ne avesse messo alla prova la fedeltà nei con­

fronti della banca che, anni prima, li aveva tenuti a battesimo, quanto a riprova di come fossero mutevoli i vari schieramenti. I tentativi messi in atto da Francesco Saverio Nitri per interessare il capitale americano alla Sconto avrebbero ottenuto risultati positivi solo nell’a­gosto 1918 (“ ), quando ormai anche la Comit si era rivolta al mercato statunitense e, soprattut­to, il capitale della Banca italiana di sconto aveva già raggiunto la cifra, tutt’altro che indif­ferente, di 180 milioni di lire, mentre le trattati­ve condotte da Guglielmo Marconi per stabili­re un’alleanza tra la BIS ed un settore (non certo il più insignificante) del capitale inglese si erano concluse in tempi più brevi: nella prima metà del 1917, mentre Francesco Saverio Nitri e Guglielmo Marconi si recavano negli Stati Uniti al seguito della missione del Principe di Udine, le trattative con gli inglesi erano ormai concluse (67). A quell’epoca, comunque, la que­stione dell’aumento del capitale sociale dell’Isti-

(63) AN, fase. “Leprestre Renè”. Il progetto esposto da Nitti prevedeva che gli eventuali finanziatori americani si impadronis­sero, in collaborazione con il vicepresidente della SME, Maurizio Capuano, del pacchetto azionario di maggioranza della società, detenuto dalla Società financière italo suisse di Ginevra, rappresentata nella società dal presidente, Edmond Aubert, o acquistando direttamente il pacchetto azionario di maggioranza dalla società ginevrina, oppure (ed era questa la soluzione migliore secondo i promotori del progetto) attraverso un aumento di capitale della Meridionale sino a 100 milioni. Il programma di elettrificazione delle ferrovie e di sfruttamento delle risorse idriche meridionali, che questa seconda soluzione avrebbe permesso di attuare in tempi brevi, era decisamente colossale e prevedeva l’elettrificazione di circa 900 chilometri di ferrovie e la realizzazione degli impianti della Sila, del Sangro ed altri minori per circa 180.000 HP.(M) Nel 1918 la SME non solo conservava un capitale di 50 milioni di lire, ma restava saldamente ancorata al carro della Comit, come testimonia, nel saggio citato, Giorgio Mori. Sui motivi del fallimento di questa iniziativa possiamo formulare purtroppo, soltanto delle ipotesi. Sappiamo comunque, dalla minuta di una lettera inviata da Nitti a Leprestre il 15 agosto 1916, che quest’ultimo dava una grande importanza alle “garanzie di interessi” da parte dello Stato che Nitti escludeva dovessero venire ricercate (AN., fase. “Leprestre Renè”). Circa 5 mesi dopo, il 5 gennaio 1917, Nitti scriveva ad un destinatario che non abbiamo identificato chiedendo informazioni sul conto di Leprestre (AN, fase. “Destinatari ignoti”.). Le informazioni, ammesso che fossero pervenute a Nitti (noi non abbiamo ritrovato alcuna risposta), non dovettero però essere sfavorevoli, contrariamente al giudizio espresso in seguito dalla Commissione Parlamentare di inchiesta sulle spese di guerra, giacché il rappresentante della Sconto, Alvise Bragadin, inviato negli Stati Uniti nel novembre 1917, si rivolse immediatamente a Leprestre. Per l’attività di quest’ultimo e della sua ditta in rapporto agli acquisti di materiale bellico dell’Italia in America, si veda la relazione della Commissione Parlamentare d’inchiesta (Camera dei deputati, Relazione della Commissione Parlamentare d’inchiesta per le spese di guerra, Roma, 1923).Per i rapporti tra Leprestre e la BIS, si veda il chilometrico rapporto di Bragadin a Pogliani in data 15 gennaio 1918 che questi trasmise a Nitti. (ACS, Carte Nitti, b. 9, fase. 39, s. fase. 1).(65) G. Mori, Le guerre parallele, cit. pag. 327.(66) Il 17 luglio 1918, la BIS, in collaborazione con la Guaranty Trust & Company di New York, costituì la Italian Discunt & Trust Company, con capitale di 500 mila dollari, mentre il 9 novembre dello stesso anno fondò, col concorso della American International Corporation, la Società Italo-Americana di studi e lavori pubblici, con capitale di un milione di lire.(67) Degli accordi stipulati con la London and South Western Bank, cui subentrò successivamente la Barclays Bank Ltd., che aveva assorbito la prima, accordi che diedero vita all’Anglo-Italian Syndacate Ltd., con capitale di 50 mila sterline, sappiamo purtroppo ben poco; gli stessi azionisti della Sconto ne furono informati, infatti, almeno ufficialmente, solo due anni dopo, dalla Relazione all’Assemblea ordinaria del 12 marzo 1919. (ASR, 234, C. 5 (265), aff. 45-54).

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tuto era divenuta improrogabile: non solo in­fatti il rapporto tra il capitale proprio ed il capitale di prestito della Sconto aveva raggiun­to livelli pericolosi (68), ma i progetti del gruppo Ansaldo-Sconto ed il livello dello scontro da esso impegnato in vari settori dell’industria ita­liana dipendevano in sostanza dalla possibilità di rafforzare l’istituto di credito (69). D’altra parte gli enormi sovrapprofitti di guerra realiz­zati in quegli anni da gran parte delle industrie avevano ormai creato le condizioni di mercato adatte a reperire i milioni occorrenti sulla piaz­za italiana: per le 90.000 azioni di nuova emis­sione lo stesso amministratore delegato, Ange­lo Pogliani, dichiarò all’assemblea straordina­ria degli azionisti del 18 aprile 1917 che si era già formato il Sindacato di garanzia per il loro collocamento e che “il nuovo capitale è comple­tamente italiano” (7o). Data la presenza di uno dei consiglieri francesi, Leopold Mabilleu, e le

modalità dell’emissione, è probabile che questa affermazione suonasse lievemente esagerata e che i soci francesi della Sconto, i cui rappresen­tanti avrebbero continuato a far parte del suo Consiglio di amministrazione, si fossero assicu­rati una parte delle nuove azioni, ma ci sembra che si possa escludere la partecipazione di altri capitali stranieri f71).

Effettuato nell’aprile 1917 l’aumento a 115 milioni di lire del capitale sociale e conclusesi le trattative con la London & South Western Bank, si riproponeva comunque, e se possibile in modo ancora più pressante, la questione dei legami che la banca intendeva stringere con la finanza statunitense, legami la cui instaurazio­ne era divenuta irrinunciabile dal momento che proprio negli Stati Uniti si era aperto sul pro­blema degli acquisti militari italiani, un nuovo teatro delle “guerre parallele” e che, soprattutto, anche la Comit era ormai fortemente interessa-

(6S) La Banca italiana disconto, a quanto risulta dall’analisi comparata dei bilanci 1915-1917, nel 1915 garantiva con soli 19 centesimi di capitale proprio ogni lira prestatale e nei due anni successivi riduceva ulteriormente questa garanzia a 11 centesimi per ogni lira!(69) I Bilanci e le Relazioni agli azionisti dell’Ansaldo per gli anni 1914-1920 sono conservate in ASR, 234, C. 26aff. 23-30, ma stralci delle Relazioni vennero via via pubblicati su vari giornali. Sul “sistema verticale Ansaldo” e sul programma industriale di tale gruppo, che aveva richiesto investimenti enormi, si vedano non soltanto le Relazioni agli azionisti, assai poco esaurienti per il periodo 1915-1917, magli esaurientissimi documenti prodotti dai Perroneal processo in Alta Corte di Giustizia, ed in particolare la memoria di Mario Perrone intitolata La Banca d ’Italia e il gruppo Ansaldo. Memoria ai periti dell’Alta Corte (ASR, 234, C. 44), nonché la lettera del 18 agosto 1924 di Pio e Mario Perrone agli stessi periti, intitolata II patrimonio dell’Ansaldo in cui viene fornito un accuratissimo e dettagliato elenco delle proprietà del gruppo ed a cui sono allegate ben 14 cartelle dedicate ai vari settori. Numerosi riferimenti al “sistema verticale” ed alla concezione industriale che vi sottostava sono inoltre contenuti in varie pubblicazioni, anch’esse conservate tra gli atti del processo tra cui La distruzione dell’Ansaldo di Palumbo Vargas Manfredi, pubblicato a Genova nel novembre 1924 (ASR, 234, C. 44) t due memorie di Pio e Mario Perrone ai periti dell’Alta Corte intitolate rispettivamente Le delittuose svalutazioni degli impianti del gruppo Ansaldo e il saccheggio operato sulle merci esistenti nei magazzini dell’Ansaldo ("ASR, 234, C. 44), nonché nella replica alla parte civile, dal titolo Falsità e schiocchezze di concorrenti su! sistema verticale Ansaldo (ASR, 234, C. 45). Un’esposizione a grandi linee dei programmi del gruppo costituisce l’oggetto di due memorie presentate dai Perrone al Direttore della Banca d’Italia, Stringher, nel settembre-ottobre 1921, Gli impianti della Ditta Ansaldo in Valle d ’Aostae Cogne (ASR, 234, C. 27, aff. 39) e II programma industriale della Società Ansaldo (ASR, 234, C. 27, aff. 40-41). AH’Ansaldo è inoltre dedicato l’XI capitolo della “Perizia” dei professori Titi e Savoia, intitolato Partite Ansaldo (ASR, 234, C. 24).C°) Relazione del Consiglio di amministrazione all’Assemblea Generale straordinaria della BIS, 19 aprile 1911. (ASR, 234, C. 5).(7I) Ivi. Le nuove azioni, infatti, “in via eccezionale a parziale deroga dell’articolo 5 dello Statuto che fa obbligo di riservare ai portatori delle azioni l’opzione a solo un terzo del nuovo capitale emesso”, vennero offerte in opzione “un terzo, e cioè 30 mila azioni, ai sottoscritti del capitale iniziale della Società, quali sono elencati nell’atto costitutivo [...] in proporzione delle azioni da essi sottoscritte nell’atto medesimo; n. 56 mila azioni ai possessori delle 140 mila azioni sociali, rispettivamente possedute al momento dell’attuale nuova emissione, in ragione di due azioni nuove per ogni cinque azioni presentate”. Il consiglio di amministrazione si riservava quindi la facoltà di disporre delle restanti 4.000 azioni, che era assai probabile rimanessero nell’ambito del gruppo dirigente la BIS.

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ta ad aprire una propria filiale americana I72).Su eventuali contatti con i vari finanzieri

americani di Francesco Saverio Nitri e Gu­glielmo Marconi, recatisi negli Stati Uniti nel maggio 1917 come membri della missione del Principe di Udine, non abbiamo purtroppo alcun elemento. È certo, comunque, che i membri della missione, lungi dall’attribuire (come tenterà di fare alcuni anni dopo la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle spese di guerra) il carattere di mera “cortesia intemazionale”, si occuparono intensamente della questione degli approvigionamenti e degli acquisti da parte dell’Italia di materiale bellico negli Stati Uniti C73)- Inoltre, al ritorno da Wa­shington, Guglielmo Marconi e Francesco Sa­verio Nitti dettero inizio ad una durissima po­lemica di cui si fece portavoce il quotidiano genovese di proprietà del Perrone, contro l’ambasciatore italiano negli Stati Uniti, Vin­cenzo Macchi di Cellere, polemica che si sareb­be arricchita nei mesi successivi con contributo

di numerosi industriali italiani, tra cui natural­mente Pio e Mario Perrone e, che verteva es­senzialmente sui criteri con cui venivano (o non venivano) effettuati gli acquisti di materiale bel­lico per conto del governo italiano e dei singoli industriali f74).

Al ritorno di Nitti da Washington, i tempi erano ormai maturi per pensare ad un suo rientro nel governo, ed una tale ipotesi era tutt’altro che sgradita ai dirigenti del gruppo Ansaldo-Sconto C75).

I dirigenti dell’Ansaldo, che già nel luglio 1916 erano alla ricerca di un Clemenceau ita­liano e che vedevano in Nitti, innegabilmente, il principale candidato a tale molo C76), “furono, durante il periodo bellico, in frequente e cordia­le contatto col ministro del Tesoro, e non sol­tanto con lui in quanto titolare di un dicastero essenziale per la vita del paese in guerra, ma anche con lui in quanto personale conoscente. A Nitti” scrive Alberto Monticone, che pure tende a minimizzare la portata dell’accordo

(72) “Nell’America del Nord” si legge nella Relazione all’Assemblea della Commerciale del 26 marzo 1919 “La sede di New York iniziò nel decorso anno la propria attività con quel successo che facevano auspicare i vitali interessi italiani negli Stati Uniti ed il sempre più intenso movimento di traffici tra le due Nazioni. Allo scopo di più largamente sviluppare la sua azione l'Istituto acquistò recentemente la maggioranza assoluta della “Lincoln Trust Company” di New York, e prese larga parte nella gestione di questo solido e ben organizzato Istituto di depositi della metropoli Nord-Americana” (“La finanza italiana”, 29 marzo 1919).(” ) La sottocommissione A. della Commissione Parlamentare d’inchiesta per le spese di guerra, presieduta dall’On. Cefaly, inviò a Nitti un questionario in merito alla missione del Principe di Udine, nonché a varie questioni riguardanti i rapporti con gli Stati Uniti, in cui si sosteneva appunto il carattere di “cortesia internazionale” della missione stessa. Nitti rispose 1’ 11 novembre 1922, scrivendo tra l’altro: “Naturalmente non pensai un momento solo che la missione avesse unico scopo di cortesia internazionale. Altrimenti non avrei perduto il mio tempo nè rischiato le mie ossa: vi erano tanti personaggi decorativi da spedire che io non avevo tempo da perdere per far cortesie o per funzioni da parata, che ho sempre disdegnato [...]. È semplicemente sbalorditivo domandarci se esercitammo pressioni nel senso di avere aiuti di carattere economico. Questo lo scopo, questo il fine, questa la meta principale. Naturalmente non si trattava di far contratti con alcuno, nè di acquistare alcuna cosa, nè di trattare alcun affare; ma di spingere il Governo americano ad aiutare in queste cose il Governo Italiano”. (AN, “Nini alla Sottocommissione A. d’inchiesta per le spese di guerra). Si veda inoltre la già citata Relazione della Commissione Parlamentare l’inchiesta sulle spese di guerra, pp. 67-68.(,4) Sugli acquisti italiani negli Stati Uniti, e le polemiche sul ruolo dell’Ambasciatore Macchi di Cellere, si vedano, oltre alla citata Relazione della Commissione d’inchiesta, il volume di Giulio Casalini[Justus], Macchi di Cellere all’Ambasciata di Washington. Memorie e testimonianze, Firenze, Bemporad, 1920. Per un’esposizione specificatissima delle accuse rivolte dalla Sconto, oltre che dali’Ansaldo, all’Ambasciatore ed al personale dell’ambasciata; si veda inoltre il citato rapporto di Alvise Bragadin a Pogliani. (ACS, Carte Nitti, b. 9, fase. 39, s. fase. I).(75) Il luglio 1917, Angelo Pogliani scriveva a Nitti: “Onorevole amico, le dò il ben tornato, dolente di non poterla rivedere al suo passaggio da Roma [...] Le interviste pubblicate dai giornali, hanno già recato le di lei sommarie impressioni, ma sono desideroso di apprendere dalla viva voce di lei un mondo di cose interessanti. Ho veduto ieri Salandra, il quale mi parlò di lei in termini assai lusinghieri. Si mostrò desideroso di vederla, e mi disse di pregarla di voler recarsi da lui quando avesse occasioni di recarsi a Roma nella seconda metà di agosto. Com’ella saprà, la crisi ministeriale non si potrà evitare durante le vacanze [...]’’ (AN, fase. “Pogliani Angelo”).(76) Si veda la lettera di Pio Perrone a Nitti del 2 luglio 1916, citata nel volume di A. Monticone, Nitti e la grande guerra (1914-1918), cit., pp. 203-207.

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esistente tra il ministro del Tesoro ed il gruppo Ansaldo-Sconto "essi comunicarono, tra la fine del 1917 e l’autunno 1918 ogni loro iniziativa nel campo della produzione, informandolo minutamente dell’andamento delle fabbriche da loro dipendenti, dei progetti di ampliamento degli stabilimenti, delle difficoltà per procac­ciarsi la mano d’opera e l’energia necessaria, delle lentezze burocratiche, nonché di ogni altra questione che si riferisse direttamente o indiret­tamente alla guerra nel settore industriale” f77), e “appoggiando abilmente alcune posizioni di politica economica da Nitri enunciate sin dagli inizi del conflitto, i Perrone trovarono in lui l’uomo di governo che, deciso a realizzare le proprie idee ed a raggiungere lo scopo essenzia­le della guerra senza esitare di fronte ad alcun ostacolo, facilitò loro un’attività produttiva e l’ampliamento degli stabilimenti, pur non prendendo parte a loro sostegno nel terreno della stretta lotta di interessi fra gruppi bancari ed industriali f78).

Tralasciando di riesaminare la documenta­zione fornita da Monticone, che testimonia comunque degli stretti rapporti esistenti tra l’Ansaldo ed il ministro del Tesoro, le pagine successive intendono proporre un contributo alla discussione sull’affermazione conclusiva dello studioso in merito alla “neutralità” di Nitri nel corso delle “guerre parallele”, neutralità che ci pare abbondantemente contraddetta sia dai documenti sin qui esaminati, sia da gran parte di quelli pubblicati dallo stesso Monticone, ma che riteniamo comunque vada verificata in rife­rimento al’episodio più significativo di tali “guerre parallele”: la scalata alle banche del 1918. Quale necessaria premessa a tale verifica, riteniamo utile fornire, sia pure a grandi linee,

un’immagine di quale fosse la posizione nell’e­conomia del nostro paese che, attraverso le prime tappe di realizzazione del "sistema verti­cale Ansaldo”, e, soprattutto, attraverso la va­sta ed articolata attività di finanziamento al­l’industria della Banca italiana di sconto, il gruppo finanziario-industriale che vi faceva ca­po riuscì a raggiungere nei tre anni successivi alla fondazione dell’istituto (79). La Tabella 1 (cfr. p. 92), che raccoglie i dati statistici relativi alla presenza del gruppo (che molto spesso era in realtà vero e proprio dominio) nelle imprese italiane elencate dalle Notizie Statistiche sulle Società italiane per Azioni pubblicate dal Cre­dito Italiano (8o), riteniamo costituisca un utile indicatore per comprendere i risultati raggiunti da tale organizzazione alla fine del 1917.Il gruppo Ansaldo-Banca italiana di sconto si stava facendo rapidamente strada, come appa­re piuttosto evidente dai dati statistici elencati, verso il raggiungimento dell’obiettivo che i suoi dirigenti si erano posti, e che non avevano certo nascosto, sin dalla seconda metà del 1914; il dominio sull’economia dell’intera penisola. Questo programma presentava, nel corso della sua realizzazione, più di un rischio per quanto concerne le sue ripercussioni sulla solidità aziendale dell’Ansaldo che, alla fine del 1917, aveva una disperata necessità di capitali che le permettessero di ristabilire condizioni accetta­bili nel suo stato patrimoniale, nonché di nuove aperture di credito con cui portare a termine il proprio programma di integrazione verticale ed affrontare la riconversione degli impianti che la fine del conflitto mondiale avrebbe im­posto pochi mesi dopo. Tale programma ave­va, inoltre finito con l’accentuare enormemente la dipendenza di questa società sia dallo stato

t77) Ivi, p. 200.(78) Ivi, p. 253. Il corsivo è mio.(79) Per le fonti relative al “sistema verticale Ansaldo” si veda la n. 81. Per le attività di finanziamento alle imprese della Banca italiana di sconto, si vedano le Relazioni ed i Bilanci nel periodo 1915-1917 (ASR, 234, C. 5, aff. 19-43), ed i documenti citati nella n. 2.(80) Dati elaborati dalle Notizie Statistiche sulle Società italiane per Azioni, 1918.

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che dall’istituto di credito che la spalleggiava e non minori erano i rischi che la Banca italiana di sconto correva nel perseguirlo, giacché il capitale fornito dagli azionisti, che il 27 maggio 1918 aveva raggiunto i 180 milioni di lire, e quello prestato dai depositanti si dimostravano sempre più insufficienti a coprire l’enorme esposizione incontrata dall’istituto nella sua at­tività di finanziatore di settori sempre più vasti dell’industria italiana (81). Questo quadro, che testimonia della impellente necessità, da parte del gruppo Ansaldo-Sconto, di impadronirsi delle risorse finanziarie della Comit, o perlo­meno di ottenere da parte di questo istituto la richiesta “collaborazione” per realizzare tale “programma nazionale”, getta una luce nuova su quella complicata ed ancora non del tutto chiara vicenda che fu la “scalata alle banche” del 1918. Quanto agli aspetti immediati che in questo quadro dettero luogo all’assalto sferra­to, nella prima metà del 1918, dal gruppo Ansaldo-Sconto, contro la Comit, cui fece ri­scontro un’analoga manovra nei confronti del Credito italiano da parte del sodalizio Agnelli- Gualino, nonché dell’Uva nei confronti delle Meridionali, occorre far riferimento a due di­

versi teatri delle “guerre parallele”: al settore elettrico, dove la Comit tentava, nel dicembre 1917, di impadronirsi della Negri, da cui l’An­saldo dipendeva per la fornitura di energia ai propri impianti liguri, ed al settore meccanico, dove era in pieno svolgimento un aspro scontro tra l’Ansaldo e la Fiat, scontro che l’impresa ligure sperava di concludere vittoriosamente impadronendosi della Commerciale, principale fonte di finanziamenti della Fiat (82). La mec­canica della “scalata alle banche”, che provocò feroci polemiche giornalistiche (83), è, almeno nelle sue grandi linee, ben nota: ai massicci acquisti di titoli Comit effettuati dai Perrone tra il febbraio e l’aprile 1918, il gruppo Agnelli- Gualino rispondeva con acquisti altrettanto massicci di azioni del Credito italiano, nonché stringendo accordi con il trust siderurgico che faceva capo all’Uva (84). L’accordo raggiunto, alla vigilia dell’assemblea straordinaria del Credito italiano del 29 aprile 1918, tra il gruppo Agnelli-Gualino e gli amici degli amministrato­ri di tale istituto, accordo che stabiliva la costi­tuzione di un “sindacato di blocco” delle azioni e la partecipazione dei rappresentanti dei grup­po all’amministrazione dell’istituto, sventò, al-

(81) L’analisi comparata dei bilanci pubblicati dall’Ansaldo per il periodo 1915-1917 evidenzia una crescente dipendenza della società dai finanziamenti della Sconto e da quelli dello stato; il rapporto tra il capitale proprio ed il capitale di prestito, indicativo più di ogni altro della solidità o meno di una impresa, assunse d'altra parte un andamento particolarmente preoccupante: nonostante i due aumenti di capitale della società, infatti questo quoziente diminuiva vertiginosamente; se nel 1914 (con un capitale, ricordiamo, di soli 30 milioni rispetto ai 45 milioni del 1916 ed ai 100 milioni del 1917) ogni lira di capitale di prestito corrispondeva a 0,38 lire di capitale proprio (e non si trattava certo, intendiamoci, di una situazione rosea, dal momento che, almeno in teoria, ad ogni lira di capitale prestato dovrebbe corrispondere come minimo l’equivalente di capitale proprio), nel 1915 vi corrispondevano solo 20 centesimi, nel 1916 18 centesimi, nel 1917 lócentesimi. L’indice, facendo base 100 il 1914, era rapidamente sceso a 43, si era cioè più che dimezzato, a dimostrazione del fatto che i dirigenti dell’Ansaldo stavano in misura crescente rischiando denaro altrui. Per l’impostazione tecnica di questa analisi, che affronteremo più distesamente in altra sede, devo ringraziare il professor Pisone della Facoltà di Economia e Commercio di Torino: senza le spiegazioni fornitemi, con molta pazienza, sulle possibilità e sui limiti posti da simili bilanci, la loro analisi sarebbe rimasta certamente una mera intenzione. Si vedano in ogni caso i volumi: John N. Myer, L’analisi dei bilanci, Milano Etas, 1968; Giovanni Ferrerò, Le analisi di bilancio, Milano, Giuffrè, 1963; Vincenzo Masi, Analisi di bilancio delle imprese in relazione ai finanziamenti bancari, Zuffi, Bologna, 1953 ed Alberto Ceccherello, La tecnica di bilancio con speciale riguardo alle aziende bancarie, Vallardi, Milano, 1921.(82) A proposito dello scontro Ansaldo-Fiat, si veda il volume di V. Castronovo, Giovanni Agnelli, Torino, Utet, 1971, pp. 135-180.(83) Per una rassegna, sia pur parziale, di quanto pubblicarono i giornali dell’epoca, si veda l’articolo di E. Marchetti, Banques el industries en Italie. La lutte en 1918, in “Rivista delle Nazioni Latine”, 1919.(84) cfr. V. Castronovo, G. Agnelli, cit., pp. 181-184. È il caso di ricordare che nel marzo 1918, Nitti tentò di ottenere un accordo tra l’Uva e l’Ansaldo. Questo tentativo fallito, di cui si sa ben poco, ma che probabilmente avrebbe finito con Pisolare la Fiat, è oggetto di una lettera di Max Bondi a Nitti in data 16 marzo !918(ACS, Carte Nitti, 8, fase. 28, s. fase. 2), cui era allegata copia di una lettera dello stesso Bondi a Pio Perrone.

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meno in parte, la manovra dei Perrone, assicu­rando alla Fiat una nuova copertura finanzia­ria (85).fi tentativo del gruppo Ansaldo-Sconto di “sca­lata” alla Comit si concluse, comunque, il 12 giugno 1918 con un patto sindacale firmato da Toeplitz e Fenoglio per la Comit, da Giuseppe Volpi per il gruppo Marsaglia e da Pio e Mario Perrone, unitamente all’aw . Luigi Parodi, per il gruppo Ansaldo, che stabiliva la costituzione di un Consorzio “avente per suo scopo fonda- mentale: a) di assicurare di pieno accordo con l’attuale Direzione sempre più largamente la nazionalizzazione del capitale della Banca Commerciale mediante acquisto delle azioni che si trovino ancora all’estero; b) di garantire con armonica collaborazione il tranquillo fun­zionamento dell’Istituto ispirandosi sempre la condotta alla rigida tutela di tutti gli interessi ad esso collegati ed al progresso economico della Nazione nel dopoguerra”. L’accordo tra i Per­rone ed il gruppo Marsaglia prevedeva inoltre l’aumento di capitale della Comit da 156 a 208 milioni e la nomina di Ettore Conti, Emilio Bruzzone, Dante Ferraris, Nabor Soliani e Guido Donegani a consiglieri di amministra­zione dell’istituto, mentre i Perrone avrebbero avuto diritto “a richiedere la nomina a Sindaco

effettivo della Banca del Rag. Guglielmo Aimi”. Pochi giorni prima dell’assemblea stra­ordinaria della Commerciale, tenutasi il 9 lu­glio, che doveva dare piena attuazione all’ac­cordo deliberando il previsto aumento di capi­tale, l’Agenzia Stefani dava notizia della for­mazione di un “cartello” tra le quattro grandi banche italiane. Era questo il primo, notevole risultato delle esortazioni di Nitti, che apparen­temente sembravano ispirate alla concordia tra i grandi istituti di credito ed a cui aveva fatto seguito il suo diretto intervento, che riteniamo piuttosto energico, nei confronti degli ammini­stratori di quegli stessi istituti; era inoltre l’ulti­mo atto della “scalata alle banche” (86).

Quali furono i risultati raggiunti dal gruppo Ansaldo-Sconto con la “scalata” alla Comit del 1918? Se si fa riferimento alla motivazione, non sappiamo quanto pretestuosa, della “scalata” stessa, cioè alla necessità di impedire alla Commerciale di impadronirsi della Negri, il risultato fu certamente positivo: secondo le po­steriori dichiarazioni di Merio Perrone, infatti, al momento della firma del patto sindacale "si convenne che la Commerciale ci avrebbe cedu­to la metà delle azioni Negri che possedeva” l87). La difesa della Negri non era però certamente l’unico, e neppure il principale, motivo che ave-

(85) Sulla “scalata alle banche” abbiamo rinvenuto tra le Carte Nitti in riordino conservate nell’Archivio centrale dello stato (collocazione provvisoria ACS, Carte Nitti in riordino, scatola l.fasc. 3) un documento di estremo interesse: la Relazione del comitato d’inchiesta sugli accaparramenti di azione e sugli aumenti capitali di società anonime, istituito con Regio Decreto 29 maggio 1920 n° 670. Tale Comitato d’inchiesta, che venne istituto su proposta degli onorevoli Fulci e Cutruffelli a seguito della petizione presentata alla Camera il 5 maggio 1920 dall’on. Turletti, svolse un’accurata indagine sia sulla “scalata alle banche” del 1918 che sull’analogo episodio del 1920, chiamando a testimoniare tutti i principali protagonisti, da Angelo Pogliani a Joseph Toeplitz, dai Perrone a Riccardo Guaiino; la relazione contiene inoltre copia di tutti gli accordi firmati in entrambe le occasioni, nonché estratti dai verbali del Consiglio di amministrazione della Banca commerciale ad essi relativi. Copia integrale della deposizione resa, in data 11 febbraio 1921 dai fratelli Perrone dinanzi al Comitato stesso (di cui la Relazione cita solo alcuni stralci) si trova tra i documenti depositati dai Perrone in occasione del processo agli amministratori della BIS (ASR, 234, C. 26, aff. 10) mentre una attenta analisi di quanto pubblicarono i vari giornali, legati o meno ai diversi gruppi, dal 18 maggio al 27 luglio 1918 fornisce elementi importanti per la comprensione dell’uso “politico” che i contendenti intendevano fare di questa vicenda.Copie degli accordi sindacali tra i Perrone ed il gruppo Marsaglia del 19 giugno 1918, del 23 febbraio 1919 e dell’ 11 marzo 1920 si trovano inoltre in ASR, 234, C. 26, aff. 17, 18 e 19, dove si trovano anche copie delle lettere inviate dai dirigenti dell’Ansaldoal Consiglio di amministrazione della Comit in occasione della “scalata” del 1920 (ASR, 234, C. 26, aff. 21-22). (*6) Per il contenuto dell’accordo bancario, che non venne mai reso pubblico, si veda l’articolo pubblicato dalla “Finanza italiana” il 6 luglio 1918, dal titolo L’accordo fra le grandi banche italiane. Seia rivista nittiana se ne mostrava entusiasta, di ben diverso avviso era, tra gli altri, Luigi Einaudi, che il 2 luglio 1918 pubblicava sul “Corriere della sera” un articolo feroce e preoccupato dal titolo significativo Pericoloso il ‘carrello’ delle banche.(g7) Deposizione dei fratelli Perrone dinanzi al Consiglio d’inchiesta, 11 febbraio 1921, ASR, toc. cit.

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va deciso il gruppo Ansaldo-Sconto a tentare di impadronirsi della maggiore banca italiana: ben altre motivazioni di “strategia” industriale ne erano invece il fondamento.

Se infatti il “sistema verticale” dell’Ansaldo costituiva in effetti nient’altro che un’esplicita candidatura del gruppo al ruolo dominante nella vita economica dell’intero paese, la sua realizzazione presupponeva però un’abbon­danza di mezzi finanziari che la Sconto ed il banco di Roma (88) erano ben lontani dal pos­sedere e, soprattutto, presupponeva la sconfitta di analoghe “candidature” che altri gruppi in­dustriali e finanziari andavano presentando nello stesso periodo. Su questo secondo, e deci­sivo terreno, i risultati raggiunti dal gruppo Ansaldo-Sconto, se pure per molti versi positi­vi, non costituivano però la schiacciante vitto­ria cui esso aspirava e che avrebbe garantito al gruppo stesso il raggiungimento degli obiettivi che, fin falla fondazione della Banca italiana di sconto, si era proposto: estromettere dal consi­glio di amministrazione della Commerciale Jo­seph Toeplitz e realizzare, alla testa di un enorme trust finanziario e industriale, un pro­gramma “veramente nazionale”. Sul fatto che a fermare i fratelli Perrone ad un passo dal rag­giungimento di questi obiettivi sia stato l’inter­vento del governo, gli studiosi sono pressoché tutti concordi: Riccardo Bachi scriveva, pochi anni dopo, che “il governo intervenne per fare raggiungere un accordo fra i gruppi contenden­ti, accordo che attribuì ai dirigenti dell’Ansaldo posti nell’amministrazione della Commerciale ma fu ben lungi dall’attribuire all’Ansaldo la desiderata ingerenza sull’Istituto” (89). Negli stessi termini, e quasi con le stesse parole, si

esprimeva il giovane Piero Sraffa in un articolo dal titolo The bank crisis in Italy, apparso su “The economie joumal” del giugno 1922 (9o). Luigi Einaudi, nel suo saggio sulla condotta economica della guerra scrisse che “per quel­l’anno i tentativi degli industriali di impadro­nirsi delle banche non riuscirono; ed anzi, le banche poterono, sotto gli auspici del ministro del tesoro, on. Nitti, riunirsi, in principio di luglio, in un cartello” i91), e Valerio Castronovo attribuisce chiaramente a Nitti il merito di aver fermato la “scalata alle banche”, o meglio di aver fermato i Perrone, dal momento che il gruppo Agnelli-Gualino aveva già raggiunto, alla fine di aprile, i risultati desiderati. “Certo l’intervento di Nitti” si legge infatti nel suo saggio su Giovanni Agnelli “aveva poi impedi­to agli industriali di impadronirsi della gestione delle banche e cercato, per contro, di rafforzare il potere monopolistico dei principali istituti di credito nei confronti degli stessi enti di emissio­ne nella funzione direttiva del giro creditizio. Ma il ‘congelamento’ della situazione aveva visto per intanto gli uomini della Fiat salda­mente inseriti nel consiglio direttivo del Credito Italiano [nonché gli uomini dell’Uva nelle Me­ridionali, n.d.r.]. Mentre era rientrato nel frat­tempo, con il vincolo delle azioni rispettiva­mente possedute, il pericolo, ben più consisten­te di un’estromissione da parte dei Perrone del gruppo Marsaglia-Pollone, costituito dai vec­chi amministratori della Banca Commer­ciale O*).

A conferma di questa tesi stanno inoltre le dichiarazioni degli stessi fratelli Perrone: nel febbraio 1921, Mario Perrone dichiarava al Comitato d’inchiesta che la “scalata alle ban-

(88) Che i Perrone si fossero impadroniti, durante il conflitto, di un ingente pacchetto azionario del Banco di Roma è dato per scontato dal direttore generale del Credito italiano, Rossello, nella sua deposizione al Comitato d’inchiesta (ACS, toc. cit.). Tale ipotesi sembra inoltre confermata dal fatto che alla fine del 1921 i Perrone erano in possesso di ben 200 mila azioni dell’Istituto.(89) Riccardo Bachi L ’Italia economica nell’anno 1921, Città di Castello, 1922, pag. 54.(9°) Piero Sraffa, The bank crisis in Italy, “The economie joumal”, giugno 1922, n. 125.(91) Luigi Einaudi, La condotta economica e gli effetti sociali della guerra, Bari, Laterza, 1933.(92) V. Castronovo, G. Agnelli, cit., p. 190.

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che” “finì perché l’appoggio goduto dal signor Toeplitz nelle sfere politiche, ci obbligò a firma­re con lui quello che si chiama il primo sindaca­to” (93), e in un promemoria dal titolo La banca intemazionale e le istituzioni, che non sappia­mo a chi fosse diretto ma che sicuramente venne redatto negli ambienti Ansaldo, si legge che “prima della guerra e durante la guerra, la Banca Commerciale Italiana era effettivamente in mani straniere, perché 108.000 azioni di essa erano all’estero: i Fratelli Perrone erano riusciti a nazionalizzare questa Banca, ma gli Uomini di Governo non compresero tutta la vasta im­portanza di tale atto per la Monarchia, per le istituzioni, per la grandezza economica e l’indi­pendenza della Patria. S.E. Nitti volle che la Banca Commerciale ritornasse ad essere go­vernata da Toeplitz.

Per ben due volte, la prima come Ministro del Tesoro, la seconda come Presidente del Consiglio, impose ai fratelli Perrone di formare col Toeplitz dei sindacati che davano a costui la padronanza effettiva della Banca” f94).

La tesi che la “scalata” dei Perrone al pac­chetto azionario di maggioranza della Com­merciale sia fallita in seguito ad un intervento del governo, e soprattutto il ruolo che in tale vicenda viene attribuito al ministro del Tesoro, Francesco Saverio Nitti, ci sembra, nonostante le numerose e non sottovalutabili pezze d’ap­poggio, piuttosto discutibile. In primo luogo

perché il governo non adottò, in realtà, alcuno dei provvedimenti che il ministro dell’Industria Ciuffelli (e non Nitti, che si limitò ad esortare alla concordia!) annunciò essere “allo studio”. Questi eventuali provvedimenti, inoltre, sareb­bero comunque risultati del tutto inutili nel caso della “scalata” al Credito italiano del gruppo Agnelli-Gualino, nonché di Bondi- Fera-Luzzatto alle Meridionali, dal momento che queste operazioni si erano già felicemente concluse più di un mese prima, e l’intervento governativo avrebbe assunto l’aspetto di un attacco specifico contro il gruppo Ansaldo- Sconto. Analoga osservazione si può fare per quanto riguarda un eventuale (o almeno ipo­tizzato) intervento personale del ministro del Tesoro, Nitti, nei confronti dei fratelli Perrone per imporre loro la formazione di un “Sindaca­to di blocco” con gli amministratori della Co- mit f95). D ministro del Tesoro si sarebbe, in questo caso, schierato pesantemente a favore dei gruppi avversari dell’Ansaldo, e non soltan­to del gruppo dirigente della Commerciale, che avrebbe così posto in salvo, ma anche della Fiat e dell’Uva, cui nessuno aveva impedito di porta­re a termine le proprie “scalate”, se non la dura opposizione incontrata da parte degli ammini­stratori del Credito e delle Meridionali.

Ora, se é certo che l’accordo bancario siglato il 29 gennaio 1918, quando cioè il patto sinda­cale Marsaglia-Perrone era già stato stipulato

(93) Il promemoria, che non è esplicitamente indirizzato a Giolitti, ma dal cui contenuto è evidente sia la provenienza che il destinatario, si trova in ACS, Carte Perrone, b. 2, fase. 18.(94) Ivi.f95) “[...] i fratelli Perrone” scrive Catalano, che pure interpreta l’intero episodio come uno scontro tra “industria” e “banca” “potevano essere sicuri che nessuna inchiesta preventiva sarebbe stata svolta dal governo dal momento che esso rimaneva sempre fedele alla posizione chiaramente esposta dal ministro dell’Industria, Ciuffelli alla Camera il 16 giugno del 18: si era dimostrato, questi, consapevole dei pericoli che [’“anormale situazione” del nostro sistema creditizio faceva correre al paese, essendo evidente che quando le azioni di una banca erano possedute da una sola società industriale, questa avrebbe influito sulla scelta degli amministratori imponendo loro di servire ai suoi interessi a scapito delle società rivali e concorrenti; ed essendo inoltre evidente che, in caso di crisi dell’industria, la banca, che aveva il suo denaro impegnato in operazione a lunga scadenza e specialmente nelle aziende che appunto si trovavano in bisogno, non avrebbe potuto far fronte al panico diffusosi fra i depositanti e i correntisti. Eppure, una simile situazione non gli suggeriva nessun rimedio concreto ed egli respingeva qualsiasi provvedimento, per quanto prudente e misurato [...] Il che voleva dire che da parte dello Stato non sarebbe venuto alcun ostacolo alla scalata delle banche; i grossi gruppi industriali che erano riusciti dalla guerra notevolmente rafforzati — e in particolare i gruppi siderurgico-meccanici — potevano perciò stare tranquilli” (Franco Catalano, Potere economico e fascismo, Milano, Lerici, 1964).

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da più di due settimane, è frutto in gran parte dell’opera di mediazione svolta dal ministro del Tesoro, che infatti se ne attribuì il merito, non abbiamo trovato fino a questo momento alcun documento che testimoniasse l’intervento di Nitti nella stipulazione del Sindacato Marsa- glia-Perrone, se non le dichiarazioni degli stessi Perrone; dichiarazioni rilasciate in un momen­to posteriore, in cui i Perrone avevano ormai l’acqua alla gola e Nitti si era avvicinato alla Commerciale (%).

Le poche notizie che abbiamo su quanto fece nei mesi della “scalata alle banche” il ministro del Tesoro, che pure sappiamo aveva un ottimo servizio di informazioni, ed era perfettamente al corrente dell’andamento della “scalata” stes­sa, non depongono affatto a favore della tesi di un suo intervento per fermarla. Secondo quan­to lo stesso Nitti disse alla Camera dei Deputati “nel 1918, quando io ero Ministro del Tesoro, si incominciò una incetta di titoli della Banca Commerciale Italiana sul mercato di Genova [...]. Ricevetti un telegramma della Banca Commerciale Italiana che mi avvertiva di que­sto fatto. Allora eravamo in guerra e io avevo la

preoccupazione dei tedeschi: l’incetta, lo spio­naggio, il controllo dei nostri Istituti. E per uno strano caso, l’agente di cambio che faceva l’in­cetta aveva un nome tedesco. Io telegrafai al prefetto di Genova, telegrafai al questore, per­ché facessero subito indagini, per accertare i fatti e si trovò che erano i fratelli Perrone che comperavano le azioni della banca Commer­ciale Italiana. Conosciuti questi fatti procedetti, come era mio dovere di ministro del Tesoro: chiamai gli interessati, rimproverai loro di tur­bare il mercato e dissi che era necessario che non lo turbassero” f 7).

L’intervento di Nitti, quindi, causato in so­stanza da un equivoco sul cognome “tedesco” di un agente di cambio (98), sembra essersi limitato ad un’ammonizione che i fratelli Per­rone ignorarono, se pure vi fu, nella maniera più assoluta, ed alla pronta restituzione delle azioni sequestrate. Quanto alle proposte che il ministro del Tesoro avrebbe avanzato, in sede governativa, esse si riducono ad una soltanto, che venne resa pubblica: la nominatività dei titoli di società bancarie ed industriali. Che questo provvedimento fosse del tutto inadatto

(,6) A testimoniare una rottura tra Nitti ed il gruppo Ansaldo-Sconto, stanno una serie di “promemoria” dei Perrone, scritti nei primi mesi del 1921. In uno di questi promemoria, intitolato Elezioni e banche, si legge infatti: “11 sistema elettorale presente sembra fatto apposta per dare l’amministrazione del Paese nelle mani della plutocrazia bancaria. La grande potenza che la Banca Commerciale viene ad acquistare attraverso il finanziamento dei propri candidati, che si sono infiltrati in tutte le liste ed in modo speciale nei blocchi; nonché per il dominio che ha su Mussolini, capo dei fasci, da essa largamente finanziato, le ridarà una forza politica enorme, quale essa non aveva mai avuto prima [...]. Il gruppo Pogliani, che spenderà non meno di 15 milioni, non riuscirà certamente ha creare un contro altare abbastanza potente per porre argine alla potenza semita della Commerciale. La pace fra la Banca Commerciale e /’ On. Nitti è ormai un fatto compiuto. Il giornale IL PAESE èfinanziato da! Sen. Dante Ferraris con denaro della Banca Commerciale (il corsivo è mio)”. (ACS Carte Perrone, b. 2, fase. 18). I documenti in nostro possesso dimostrano, comunque, che fino alla fine del conflitto mondiale l’accordo tra l’uomo politico lucano ed il gruppo finanziario-industriale che faceva capo alla BIS non venne minimamente incrinato. Non escluderemmo comunque che una rottura si sia effettivamente verificata più tardi, anche se siamo ben lungi dall’esserne convinti, se è vero che un rapporto della Légation de Suisse en Italie a Motta, Capo del Dipartimento Politico Federale, dell’l 1 marzo 1921, sostiene: “En ce moment, à la suite d’un scandale et d’une vulgaire affaire de chantage à l’egard du Gouvernement, les journaux des frères Perrone et de la Banca Italiana di Sconto feignent d’abbandonner Nitti pour soutenir Giolitti mais à la présidence du Conseil on sait qu’à la première occasion ces mêmes personnes et ces mêmes journaux passerons dans le camp Nittien et qu’il ne faut pas de fier à leur attitude actuelle”, (il rapporto mi è stato gentilmente segnalato dal dott. Luciano Segreto e si trova in Bundes Archiv, 2300 Roma, nr. 21. Anche su questo aspetto del problema torneremo però più ampiamente in altra sede).(,7) F.S. Nitti, Rivelazioni. Dramtis personae, Napoli Edizioni Scientifiche Italiane, 1948, pp. 237-238.(,s) L’episodio è confermato dalla deposizione di Mario Perrone, secondo cui, nel gennaio-febbraio 1918, gli acquisti di azioni vennero fatti servendosi dell’“agente di cambio della Borsa di Genova, Signor Hirschgartner, che la Banca Commer­ciale, generando un equivoco sul suo nome di apparenza esotica, riuscì a far arrestare, ottenendo anche il sequestro di 30.000 azioni. Ma noi intervenimmo dimostrando che le compere erano fatte per conto nostro e l’Hirschgartner fu messo in libertà e furono restituite le azioni”. Cfr. Deposizione dei fratelli Perrone dinanzi al Comitato d’inchiesta ASR, loc. cit.

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a fermare la “scalata alle banche”, è stato am­piamente dimostrato dagli economisti liberisti dell’epoca, e da Einaudi in particolare, che lo osteggiarono pubblicamente ("); vi è però un altro aspetto di questa proposta, che essi non presero in considerazione: se la nominatività dei titoli non avrebbe certo fermato la scalata alle banche, avrebbe creato notevoli problemi al gruppo dirigente della Commerciale, che si sarebbe visto costretto a far rientrare precipito­samente le azioni che si trovavano all’estero (e che, nonostante le affermazioni contrarie, non erano poche) oppure, e questo era molto peg­gio, a rivelare pubblicamente chi fossero i pro­prietari delle azioni stesse. La proposta di Nitri, quindi, era ben lungi dall’ostacolare i progetti del gruppo Ansaldo-Sconto ed avrebbe finito invece, se applicata, per favorirli; non a caso le prese di posizione a favore di questo provvedi­mento provenivano proprio da ambienti stret­tamente legati all’Ansaldo (l0°).

Infatti il “Comitato centrale della Federa­zione delle Leghe d’azione antitedesca”, in un comunicato pubblicato dal “Popolo d’Italia” il 22 giugno 1918, mentre deprecava “l’annuncia­to intervento dello Stato nella questione”, d’al­tra parte rinnovava “la sua affermazione, cui hanno recentemente aderito alte personalità della scienza economica italiana, della necessità di trasformare in istrettamente personali le

azioni al portatore delle società bancarie ed industriali (lo1).

D’altra parte, i legami che siamo venuti fin qui ricostruendo tra il gruppo Ansaldo-Sconto e Francesco Saverio Nitri, di cui la convergenza di idee sulla necessità di “nazionalizzare”, ap­punto gli istituti di credito era una componente non indifferente, non testimoniano certo a fa­vore di una tesi che vede il ministro del Tesoro come il principale artefice del fallimento della “scalata” alla Comit da parte dei Perrone, tanto più che Nitti ribadì pubblicamente queste idee nel pieno della polemica giornalistica che si accompagnò alla scalata stessa (lo2). Nè vanno in questo senso gli elementi raccolti da Monti­cene sui rapporti tra il gruppo finanziario- industriale ed il ministro del Tesoro nei mesi immediatamente successivi alla “scalata alle banche”, rapporti che pure Monticone tende a sottovalutare (|o3). Sulle ragioni di fondo per cui il gruppo Ansaldo-Sconto non riuscì a por­tare fino in fondo l’attacco alla Commerciale, esclusi i provvedimenti da parte del governo (che in effetti non furono presi), e sul significato dell’accordo bancario promosso da Nitti, ci sembra si possa avanzare un’ipotesi abbastanza plausibile, se teniamo conto della enorme espo­sizione che la “scalata” alla Comit, cui si ac­compagnarono altre “scalate” minori a pac­chetti azionari di maggioranza di varie imprese,

(") Si veda, per tutte, la critica rivolta a tale provvedimento da L. Einaudi sul “Corriere della sera” del 4 giugno 1918. (10°) Che Nitti si muovesse in quei mesi di conserva con le esigenze del gruppo Ansaldo-BIS e non come arbiter superpartes, può ricavarsi anche dalle pur note vicende del siluramento di Bianchi e Dallolio, a proposito delle quali si veda il citato volume di A. Monticone, nonché Vincenzo Gallinari, Il Generale Alfredo Dallolio nella prima guerra mondiale, in “Memorie storiche militari 1977’, Roma, Stato Maggiore dell'Esercito, Ufficio Storico, 1977, pp. 139-141. Lungi dal considerare Nitti come un “sicario” dei Perrone, rileviamo però come la convergenza di idee tra il ministro del Tesoro ed il gruppo si verificò non solo sul terreno delle “nazionalizzazioni” di banche ed industrie, ma anche nell’individuare gli “ostacoli” da eliminare per realizzare i propri progetti.(!oi) “Q[j antitedeschi e la questione delle banche”, “Il popolo d’Italia”, 22 giugno 1918. Il corsivo è mio.C02) In un’intervista concessa al “Giornale d’Italia” il 26 maggio 1918, Nitti dichiarò: “Il mio pensiero, che ho ripetutamente manifesto, è che nelle grandi banche, in cui l’ammontare dei depositi supera l’ammontare dei depositi supera l’ammontare delle riserve e del capitale, gli amministratori devono essere italiani e che le azioni devono essere pressapoco regolate dal regime attuale della Banca di Italia. Tutte le obiezioni in contrario non hanno fondamento. Premesso ciò, devo aggiungere che ritengo assai utile che le grandi banche aumentino ancora, quando è necessario, il loro capitale [...]. Riconosco del pari che possa essere utile aumentare il capitale delle grandi aziende industriali [...]. Ma raccomando la maggiore prudenza e la maggiore oculatezza e sopratutto il maggior senso di unione. Noi dobbiamo evitare ogni cosa che non sia assolutamente inevitabile”. Il che, per un ministro del tesoro alle prese con il tentativo dei Perrone di realizzare una “unione bancaria”, “italianizzando” la Comit, non ci sembra davvero una dichiarazione da poco!(lo3) cfr. A Monticone, Nitti e la grande guerra (1914-1918), cit. pp. 200-252.

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comportava per la Banca italiana di sconto, e del pericolo, tutt’altro che ipotetico, che i Per- rone non riuscissero a raggiungere la maggio­ranza delle azioni e si ritrovassero quindi in mano un ingente pacco di titoli acquistati a prezzi altissimi, senza peraltro ottenere il do­minio sulla Commerciale.

Questa ipotesi, che verrà avanzata dalla stampa in occasione della “scalata alle banche” del 1920, e che a quella data si rivelerà del tutto inadeguata a spiegare il fallimento del secondo tentativo dei Perrone, può però darci una vali­da chiave di lettura degli accordi del 1918, soprattutto alla luce del fatto che le trattative in corso tra la direzione della Comit, che agiva per il gruppo Marsaglia, ed un gruppo di banche svizzere per l’acquisto di 50 mila azioni dell’Isti­tuto erano già, al momento della firma del Sindacato, a buon punto, ed avrebbero quasi sicuramente garantito al gruppo Marsaglia il dominio dell’assemblea convocata per il mese successivo.

Essendo svanita, con gli accordi fra la Fiat e il Credito italiano firmati alla fine di aprile, la possibilità di privare l’impresa torinese dell’ap­poggio finanziario, costringendola quindi a ve­nire a patti, era inoltre venuto meno un notevo­le incentivo ad una “scalata” ad ogni costo, ed il rischio di ottenere un “nulla di fatto”, rimetten­doci inoltre svariate decine di milioni, doveva apparire ben poco attraente ai fratelli Perrone e soprattutto alla Sconto, la cui esposizione do­veva avere praticamente raggiunto il limite massimo: con 180 milioni di capitale e 486 milioni di depositi, la cifra dei “corrispondenti saldi debitori”, cioè dei crediti concessi senza garanzia, aveva raggiunto, il 30 giugno, gli 870 milioni di lire! Visto alla luce di questa ipotesi, l’accordo bancario promosso da Nitti starebbe a significare non tanto il rafforzamento del

potere monopolistico di tutte le banche nei confronti di tutte le industrie, quanto invece il rafforzamento di un gruppo finanziario-indu- striale, il gruppo Ansaldo-Sconto, nei confronti di altri, con il risultato, come cercheremo di dimostrare, di ristabilire l’equilibrio, per quan­to precario, tra i grandi gruppi finanziario- industriali ad un livello più favorevole all’An­saldo ed alla Banca italiana di sconto.

A favore di questa interpretazione sta in primo luogo il fatto che il “primo, lieto frutto del cartello bancario” (,04) — così si esprimeva la nittiana “Finanza italiana” — consisteva nel­la garanzia fornita dalle quattro grandi banche italiane all’aumento di capitale dell’Ansaldo fi­no a mezzo miliardo, operazione questa che costituiva la soluzione della questione finanzia­ria dell’impresa ligure, che l’accordo con la Comit aveva lasciato insoluta. L’aumento di capitale da 100 a 500 milioni, che la Banca Italiana di Sconto non avrebbe certamente po­tuto garantire con le sue sole forze, venne attua­to mediante l’emissione di azioni da 250 lire al prezzo di 290 lire. “La emissione” scriveva Ric­cardo Bachi nel 1922 “avvenne mediante una sonora propaganda, che fece supporre a certo pubblico trattasi di una operazione patriottica, analoga alle sottoscrizioni di prestiti nazionali.La operazione è stata palesemente favorita dal governo, anche per mezzo della preventiva ap­provazione dell’incremento di capitale (appro­vazione che in questo, come in molti altri casi, significò illusoria garanzia per l’ignaro pubbli­co e costituì una ben grave responsabilità per lo Stato)” (>«).

In secondo luogo, leggendo attentamente tra le righe della relazione all’assemblea straordi­naria della Comit del 9 luglio, e ricordando le osservazioni in merito di Jon Cohen (lo6), ap-

(104) “L’accordo fra le grandi banche italiane”, “La finanza italiana”, 6 luglio 1918.(105) R. Bachi, L’Italia economica nell'anno 1921, cit., p. 55.(106) Jon Cohen, Financial industrialization in Italy, 1894-1914: The partial transformation o f a Late-comer, in “Journal of Economie History”, settembre 1967. “The effects of the concentration of assets” fa rilevare Cohen “were compounded not only because the Banca Commerciale was so much larger than its closest rival but also because that competitor, the Credito Italiano, frequently shared underwriting contracts, loan agreements, and other financial operations with the Banca Commerciale”.

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pare abbastanza evidente come gran parte delle clausole dell’accordo bancario fossero in realtà già in vigore tra la Banca commerciale italiana ed il Credito italiano, e ne fossero fino a quel momento rimasti esclusi i due istituti legati all’Ansaldo, il Banco di Roma e la BIS. Si legge infatti in tale relazione, in rapporto all’accordo bancario, come "si siano recentemente concre­tate fra i quattro maggiori Istituti privati di credito delle intese, parzialmente già prim a in vigore fra qualcuno di essi dirette tanto a me­glio coordinare l’esplicazione della loro opero­sità, integra rimanendo la loro singola libertà di iniziative e di lavoro, quanto ad assicurare una concorde loro efficienza in prò’ della economia nazionale e di fronte ai problemi del dopoguer­ra” (107).

L’accordo bancario promosso da Nitri non ebbe quindi, secondo noi, il carattere di un tentativo per fermare l’assalto dei Perrone e di altri industriali alle banche, rafforzando il pote­re di queste nei confronti delle industrie, ma, al contrario, coerentemente con i legami che sia­no andati documentando tra il gruppo Ansal­do BIS e lo stesso Nitri, assume il carattere di un contributo del ministro del Tesoro al tenta­tivo posto in atto da questo gruppo per assicu­rarsi i finanziamenti necessari alla realizzazione del proprio “programma nazionale”. Giova a questo punto ricordare il giudizio espresso da Giorgio Mori nel citato saggio sulle “guerre parallele”: la prassi italiana, scrive, “era quella di uno stato privo di ogni operante capacità di controllo, facile erogatore di risorse e di segni monetari nei confronti degli imperi privati che, in quanto loro espressione, sovrastano l’eco­nomia e la società nazionale in lotta reciproca e senza tregua e che postulavano di volta in volta

‘interventi’ e ‘libertà d’iniziativa’ a seconda delle loro convenienze e bisogni immediati ignoran­done ogni possibile effetto di insieme ed ogni compatibilità per il futuro. Perciò, sebbene non sia da escludere la possibilità di dimostrare che ognuno di tali Imperi’ avesse un proprio ‘piano’ ed una propria idea di ‘razionalizzazione’, me­no facile risulterà, in ultimo, poterlo fare per il ‘piano’ e l’eventuale capacità razionalizzante del modo di produzione capitalistico in una sua sezione non marginale quale quella italiana” (108).

Se questa scarsa capacità di razionalizzazio­ne contribuiva non poco a fare dell’Italia “l’a­nello debole della catena dell’imperialismo”, costituiva al tempo stesso un pericolo, e di quale portata!, per la classe operaia, e quindi per la democrazia.

Nel pieno di una delle più aspre battaglie di cui queste “guerre parallele” furono costellate, la “scalata alle banche” di cui ci siamo appunto occupati, Antonio Gramsci richiamava su que­sto pericolo l’attenzione dei lettori dell’“Avanti !”.

“Non possiamo illuderci” scriveva il 18 mag­gio 1918 “di impedire l’avverarsi di questo ac­cordo mentre tutti i poteri dello Stato assistono inerti ai grandi e temerari rivolgimenti indu­striali senza saper fare altro che dei decreti che lasciano libere le mani agli industriali. D’altra parte noi siamo indotti socialisticamente a con­siderare come fatali e ineluttabili questi grandi raggruppamenti industriali. Forse avvengono prematuramente e la ragione determinante sembra apparentemente quella sola della mi­gliore difesa contro la lotta di concorrenza e di predominio. M a serviranno in un tempo non lontano al duplice assalto contro lo Stato e contro il proletariato (Io9)”.

(I07) La Banca Commerciale Italiana porta il capitole da 156 a 208 milioni. “La finanza italiana”, 13 luglio 1918. L’articolo riporta ampi stralci dalla Relazione del Consiglio di amministrazione all’Assemblea straordinaria degli azionisti della Comit del 9 luglio 1918. Il corsivo è mio.(los) G. Mori, Le guerre parallele, cit. pp. 351-352.(io) “Avanti!”, ed. naz., 18 maggio 1918, Come si spiegano certe operazioni bancarie, a proposito dell’accordo Fiat-Ilva. Il corsivo è mio.

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Le radici del fascismo, quale “dittatura terrori­stica aperta degli elementi più imperialisti del grande capitale finanziario”, vanno ricercate, a nostro avviso, proprio nelle “guerre parallele” combattute dagli imperi finanziari ed industria­

li italiani in quegli anni, nelle alleanze, più o meno durature, che determinarono, e nei fra­gorosi crolli, primo tra tutti quello della Banca italiana di sconto e dell’Ansaldo, in cui si risol-

Anna Maria Falcherò

Tabella 1

Imprese elencate dalle N.S.S.A. 1918

PresenzaAnsaldo-

Sconto

% rispetto totale

imprese

% rispetto al capitale

complessivo

Navigazione m arittim a 46 9 19,5 40Meccaniche 106 14 13 34Elettriche 199 15 7,5 23Chimiche 128 15 11,5 28Lavorazione seta 14 3 21 42Linifici e Canapifici 10 4 40 74Cotonifici 88 11 12,5 16Estrattive 56 10 17,5 13Lavorazione gomma 7 1 14 10,8Acquedotti 16 2 12,5 13Edilizie 15 3 20 49Immobiliari 70 8 11,4 14Alimentari 120 8 6,5 13Calci e Cementi 50 3 6 10Istituti di Credito 91 4 4 17Soc. It. all’estero 24 5 21 20Ferrovie 63 8 12,5 11Tramvie 40 4 10 11Trasporti su strada 18 3 16,5 38