Balarm Magazine | Idee, personaggi e tendenze che muovono la Sicilia | numero 10

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Balarm Magazine è un bimestrale di approfondimento culturale e di costume stampato in 12.000 copie e distribuito gratuitamente a Palermo, Mondello, Monreale, Bagheria

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balarm magazinebimestrale di cultura, costume e societàanno III n°10 aprile/maggio 2009 registrazione al tribunale di palermo n° 32 del 21.10.2003

editoreassociazione culturale balarm

direttore responsabilefabio ricotta

redazione via nicolò gallo 1 - 90139 palermotel. 091.6113538 / fax 091.6114523 [email protected]

pubblicità w5 mediafactory srltel. 091.6113538 / mob. [email protected]

articoliadriana falsone, alessandra sciortino, claudiabrunetto, claudia scuderi, daniela genova,dario prestigiacomo, federica sciacca, gigirazete, giorgio aquilino, giulia scalia, giuliogiallombardo, letizia mirabile, luca giuffrida,manuela pagano, marina giordano, marinasajeva, sonia papuzza, sveva alagna, tommaso gambino, vassily sortino

fotografieantonia giusino, cinzia garofalo, danilo corallo, federico maria giammusso, francesco d’alleo, gleb kosorukov, leo butera, luca savettiere, valentina glorioso

progetto webfabio pileri

stampa artigiana grafica

tiratura e distribuzione numero stampato in 15.000 copie edistribuito gratuitamente a palermo,monreale, mondello, bagheria e comprensorio in circa 250 punti diaggregazione culturale e mondana (la lista dei punti è consultabile suwww.balarm.it/distribuzione.asp)

abbonamenti per ricevere il magazine via posta ordinaria in tutta italia basta cliccare suwww.balarm.it/abbonamento.asp

l’associazione balarm è iscritta nel registro degli operatori di comunicazioneal numero 18155

in copertina eleonora abbagnato (ph gleb kosorukov)

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SOMMARIO

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www.balarm.it

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PRIMO PIANO6_Eleonora Abbagnato, la sicilienne dell’Opéra

MUSICA10_Flora Faja, l’esordio con “Italian songs”12_Mario Crispi, con “Arenaria” i suoni della terra14_Germano Seggio, il vintage di “Life Box”16_Palermo in un “Tour de Forst”17_Sabù e la vigilia, da Villabate a “Sanremo”

TEATRO18_Paride Benassai, ritratto di un attore20_Moschella&Mulè, tra ironia e riflessione

ARTE22_Antonio Miccichè, pittura senza pittura24_Il Museo Guttuso riapre le porte25_Villa Cardillo Alliata, arte in cantiere

LIBRI 28_Salvo Sottile, “Più scuro di mezzanotte”30_In libreria: le proposte di Balarm31_In libreria: le proposte di Balarm

CINEMA34_Vincenzo Ferrera, l’ispettore di “Agrodolce”36_Un “corto” per Li Vigni & Li Vigni

COSTUME & SOCIETA’38_Matrimoni & Superstizioni, la guida40_Siamo tutti nella stessa barca41_”Troni pubblici”, una guida sul web42_Un movimento “Per Palermo”

CIBO46_”Grattò”, l’orgoglio della zia48_Casa Pitrè: tra cucina, arte e storia

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Cari lettori, lo scorso mese di marzo dopo una lunga e sofferta malattia si è spento Lucio Forte, storico collabora-tore di “Repubblica” a Palermo fin dai primi numeri, ma anche di Balarm.it e Balarm magazine. Sua è infatti la rubri-ca “Le storie di ieri”, pubblicata per circa tre anni su Balarm.it, e l’articolo su Santa Rosalia che ha inaugurato il nume-ro zero di questo magazine. Lucio era una persona sobria, sincera e disponibile. Ha insegnato per oltre trent’anni lin-gua e letteratura inglese. Era uno degli amministratori della fondazione “Salvare Palermo” e per questo girava sem-pre con la macchina fotografica al collo per immortalare le mille facce della città e del suo centro storico. E non solo.Oltre al giornalismo, a cui ha dedicato molto del suo tempo dopo essere andato in pensione, c’era il jazz. Infatti, percirca dieci anni ha ricoperto l’incarico di addetto stampa del Brass Group, del quale è stato socio fondatore e sosteni-tore, avendo combattutto tutte le battaglie che hanno portato alla nascita dell’omonima fondazione. Lucio aveva 69anni. A lui dedichiamo questo Balarm magazine numero dieci, e alla sua famiglia va il nostro abbraccio ideale. E orapassiamo alla novità di questo numero che riguardano l’abbonamento al magazine, semplice ed economico perchéveniamo noi da voi a ritirare il pagamento. Infatti, solo per i residenti a Palermo, è possibile abbonarsi al costo di 8euro per un anno e ricevere sei numeri del magazine via posta ordinaria direttamente a casa. L’abbonamento si puòsottoscrivere online compilando, in ogni caso, l’apposito modulo di registrazione presente su www.balarm.it/abbo-namento.asp. Una volta compilato il modulo con i vostri dati e selezionata l’opzione “Contrassegno”, un nostro inca-ricato vi contatterà per il ritiro del pagamento in contanti presso il luogo da voi indicato (una comodità che dunqueviene a costare solo due euro in più rispetto alla formula di abbonamento già esistente). Vi ricordo a questo proposi-to che è sempre possibile acquistare l’abbonamento anche online (tramite PayPal, quindi carta di credito, Postepay ealtre carte prepagate) oppure presso la nostra redazione, in via Nicolò Gallo 1 a Palermo (W5 mediafactory). Il costo èsoltanto di 6 euro (giusto la copertura delle spese di spedizione) per sei numeri del magazine. Altre novità riguarda-no invece l’aspetto grafico del magazine, più in particolare quello legato alla fotografia, a cui già dal numero scorsoabbiamo deciso di dedicare due pagine ospitando collage a tema di fotografi palermitani. Perciò, chiunque volesseproporre le proprie foto può farlo inviandole all’indirizzo [email protected]. Buona lettura.

di FABIO RICOTTANumero DIECI, il ricordo

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“L’Aterballetto” di Mauro Bigonzetti. Questo il suo pri-mo, imminente, grande progetto del quale le si può attri-buire la maternità. Ma Eleonora arriverà prima in Sicilia,per un evento molto atteso. Dall’15 al 21 maggio torna alTeatro Massimo, per un classico tra i più romantici da leiinterpretati, ma in una nuovaversione. Eleonora sarà aPalermo per un Romeo eGiulietta targato LucianoCannito, ma strutturato sumisura per e con lei. Da qui amaggio, però, non starà micaferma Eleonora, che della suavita privata non ama parlare troppo, il “curtigghio” sì, èconcesso, ma solo tra intimi, non sui giornali. Quello chepossiamo confermare è che le relazioni con DavidCharvet (ex bello di Baywatch, che io conobbi qui aPalermo, nella meravigliosa villa Abbagnato, in un “after

Teatro di Verdura”, ndr), e con l’attaccante del TorinoRolando Bianchi, sono reali, ma finite. Sono invece solopresunte quelle con Matteo Marzotto e Lapo Elkann,«carissimi amici, e splendide compagnie, ma nulla di più».Quanto ad ulteriori impegni, aspettando il Teatro

Massimo, il nostro orgoglioper la danza nel mondo, dopoun recente week end in cittàper vedere Cannito e stare unpo’ con la sua famiglia, il 20aprile torna in Italia, per uncalendario fitto di appunta-menti: il 21 sarà su Rai 1 per

incontrare la Caterina Balivo de “I sogni son Desideri”,per proseguire con una serie di incontri dei quali nonpossiamo svelare ancora troppo, ma solo un assaggio,sotto voce: pare si paventi la possibilità di una collabora-zione con il Teatro Petruzzelli di Bari per un Gala in favo-

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In giro per il mondo sempre, ma di abbandonare queste

radici non se ne parla, perché,come ripete spesso: «puoi

andare ovunque nel mondo, ma senza radici affondi»

Sguardo imperscrutabile, ma che scruta. Sorrisoaccattivante, dolce, ma attento, lucido, osservatore. Itratti sono quelli di una donna bella e forte, e se la cono-sci meglio bella lo è, e forte anche, ma la sua dolcezzaviene fuori velocemente, se solo sai toccare le giuste cor-de. Eleonora Abbagnato ha forgiato il suo carattere conil rigore e la disciplina di un’arte tra le più formative e“catartiche” per il corpo e per la mente, la danza. È natacon uno scopo e l’ha ottenuto lasciando mamma e papàad appena 11 anni per seguire uno dei coreografi piùgrandi del secolo scorso, Roland Petit, e con lui un sogno.«È un uomo difficilissimo, sa essere crudele. Anche perquesto mi ha fatto crescere». Oggi, una volta raggiuntala sua ambizione più grande, prova con fermezza a rag-giungere gli altri suoi due scopi, quasi come adempiere adei compiti: avvicinare il grande pubblico italiano alladanza è il suo obiettivo primario, il suo grande desideriodi oggi. E diventare mamma, un giorno, «quando sarà ilmomento e con l’uomo giusto. Voglio che i miei futurifigli crescano con me e non con una babysitter». La sici-lienne dell’Opéra (così la chiamano in Francia), a giugno31enne, a soli 14 anni passa l’audizione con Claude Bessyper entrare nella scuola di danza dell’Opéra di Parigi,dopo la tournèe con Petit per “La Bella addormentata”,durante la quale frequentava ancora la sua prima scuola

di danza, quella di MarisaBenassai, a Palermo, accantoalla boutique di mammaPiera. Sarà allora che decide-rà di trasferirsi in Francia,giovanissima e sola, macaparbia e tenace comepochi adulti. Io me la ricordo,Eleonora. Io conoscevo lei,ma lei non conosceva me.Ero parte di quella folta taccache inondava la boutique diPiera, e di quella elite che hapotuto vederla ballare perMarisa, perché la mia miglio-

re amica era sua compagna di danza.Me la ricordo, con quella espressioneammiccante e grintosa già allora,quando prendeva parte, già giovane“special guest”, di quei saggi di danza.A 18 anni supera tutti gli esami edentra nel corpo di ballo del grande tea-tro parigino. La data fatidica è il 21febbraio 2001, giorno della nomina aprèmiere danseuse, che le permetteràdi danzare per nomi quali Nureyev,Balanchine, Martha Graham e PierreLacotte. Spetta al Ministro dellaCultura francese la nomina di étoile,«ma a me non cambierebbe nulla, bal-lerei gli stessi ruoli». Ci fa notare, però,quanto questa decisione sia tenuta ingran conto in Francia, come la danzatutta, cosa un po’ diversa nel nostropaese, dove un’Accademia comel’Opéra «ce la sogniamo». Da qui, infat-ti, la sua voglia di mettere in evidenzal’importanza della danza anche attraverso il suo recentepercorso che l’ha vista al fianco di Paolo Bonolis in que-st’ultimo Sanremo, e la sua partecipazione a nuovi, gran-di progetti in Sicilia. Oggi è felice di poter coordinare unprogetto da lei stessa ideato mettendo insieme i teatrigreci di Agrigento, Taormina e Siracusa, per un festival diballetto a 360 gradi, «perché il pubblico la ami e la segua,come accade in Francia, deve conoscere la danza in ognisua espressione». Dal 12 al 19 luglio la manifestazione,finanziata dall’Assessore Regionale Antonello Antinoro, sidistricherà tra l’hip hop dei danzatori di strada dellefavelas di Rio de Janeiro (il 12 a Taormina), un“Abbagnato & Friends” di cui la stessa Eleonora sarà pro-tagonista, insieme al corpo di ballo dell’Opéra al comple-to, per un repertorio di estratti dai più importanti ballet-ti da lei stessa danzati, tra il classico e il contemporaneo(il 17 al Tempio della Concordia di Agrigento e il 18 aSolunto). Il festival si concluderà il 19 ad Eraclea con

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La sicilienne dell’Opéra torna a Palermo, dal 15 al 21maggio al Teatro Massimo, con “Giulietta e Romeo”, unclassico tra i più romantici ma in una nuova versione

ELEONORA ABBAGNATO

di CLAUDIA SCUDERI

ph. Gleb Kosorukov

PRIMO PIANO

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re dell’Abbruzzo. Vedremo. Dal 27 maggio all’8 giugno sitorna a Paris, all’Opéra Garnier, per “Proust et les inter-mittances du coeur”, una sorta di “ritorno alle origini” inquanto le coreografie sono di Roland Petit, per poi torna-re a casa, come dicevamo, per il festival Teatri Greci diSicilia. Insomma, in giro per il mondo sempre, ma diabbandonare queste radici non se ne parla, perché,come ripete spesso e come infatti “suona” la stessa pagi-na My Space di Eleonora, «puoi andare ovunque nelmondo, ma senza radici, affondi». Sette ore di allena-mento al giorno da sempre, un ottimo stipendio fisso, latredicesima, le ferie pagate e la pensione a 42 anni, il tut-to all’interno di un accademia che non ha eguali nelmondo, e come lei stesso fa notare, non trova competi-tor in Italia. «La Scala ha un’ottima scuola e una grandecompagnia. Anche Aterballetto è una bella compagnia.Ma manca un’Accademia con tanto di internato».Dunque in Italia, e di questo lei ne è certa, non avrebbefatto la strada che ha fatto, Eleonora Abbagnato, coleiche si è definita “maniaca del balletto” a soli 3 anni,quando ha iniziato a ballare. Un grande rammarico, chesi lega al suo obiettivo di avvicinare il grande pubblicoalla danza, è il vedere che l’arte debba spesso piegarsi aimeccanismi della tv per affermarsi e farsi conoscere: «ame in Italia mi conoscevano solo perché sono andata aBallando sotto le stelle, la trasmissione di Milly Carlucci,perché ho ballato la salsa con Massimo Ranieri su Rai 1 eperché sono stata ospite di Pippo Baudo a Domenica In.Ho più fan in Giappone che a casa mia». Anche se oggi,dopo Sanremo, le cose stanno cambiando. Viaggia tanto,Eleonora, e per svariati motivi. La danza il primo, maanche la moda fa parte dei suoi “impegni/passioni”,recente la sua partecipazione come guest all’ultima sfila-ta di Roberto Cavalli a Milano. Io infatti la incontro alPrincipe di Savoia, in jeans, giacca e sorriso sfavillante. Alpassaggio di Milla Jovovich, che scambia un saluto cor-diale e amichevole con lei, io rimango di sasso, e a leiconfido «ah, Milla…», prendendomi un po’ in giro. Lei èraggiante e disinvolta come sempre, ma mostra unmomento di stanchezza, quindi le chiedo: «Dunque, seiumana anche tu! Come gestisci questo aspetto della tuavita con l’Opéra?». Lei mi incalza subito, seria: «Bastasemplicemente che io non salti una sola lezione, e nonpossono dirmi nulla», e allora lì ti rendi conto che c’è “chipuò e chi no”, ed Eleonora Abbagnato… può. Dal festi-val di Sanremo ai teatri Greci, dalle sfilate di alta moda alTeatro Massimo, il 24 e 25 luglio si sposterà in Spagna, alTeatro di Malaga, per prendere parte al Gala di danza,con Manuel Legris, collega dell’Opéra. Possibile cheEleonora Abbagnato sia una soltanto? Ebbene sì.

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PRIMO PIANO

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straordinariamente simbiotici con le atmosfere origi-nali, sia nelle musiche che nei testi, al punto che è dif-ficile credere che quelle architetture non siano nateproprio così come proposte nel disco; altre volte se nedistaccano, giocano sui contrasti e propongono diffe-renti prospettive emotive. Dasottolineare, ancora, la quali-tà dell’incisione ottenuta dal-lo studio palermitanoLabmusic (solo il mastering èstato effettuato al prestigio-so Nautilus di Milano) e illivello dei musicisti impegna-ti, il gotha del jazz siciliano, a parte il trombettista tori-nese Fabrizio Bosso: Francesco Cafiso, Orazio Maugerie Gaspare Palazzolo, sassofoni, Ruggiero Mascellino,fisarmonica, Vito Giordano e Aldo Oliveri, tromba, TotòPizzurro, trombone, Riccardo Lo Bue, contrabbasso,Fabrizio Giambanco e Sebastiano Alioto, batteria, Toti

Denaro, percussioni, Beppe Vella, Dario Effettivo eFrancesco Petralla, cori. Resta da dire, infine, della per-formance di Flora Faja e della sua caratteristica granavocale calda e sabbiosa. «Ho voluto sfruttare tutta lagamma della mia voce, dalle note più basse a quelle

più alte, ma sempre congrande naturalezza, senzacercare inutili virtuosismi,dando maggior peso al calo-re interpretativo». In delizio-so bilico tra jazz e canzoned’autore, “Italian songs” ècome un bacio a fior di lab-

bra: fresco, delicato e sensuale. C’è da chiedersi, sem-mai, perché Flora abbia atteso tanto a scoccarlo. Neigiorni scorsi il disco è stato tra i più graditi nelle colon-nine d’ascolto della Mondadori di Milano mentre daUsa e Giappone sono già arrivati cospicui ordinativi:insomma, non è mai troppo tardi.

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«L’idea ispiratrice viene dallamusica americana, quella con cui sono cresciuta e formata

artisticamente, ma la mia cultura è quella italiana»

Col bianco e nero molto glamour, la foto in coper-tina di Flora Faja è decisamente rassicurante: rassicu-rante nel fascino levigato del volto, nel morbido giocodi luce dei capelli, nel sorriso appena accennato e nel-lo sguardo trasognato. E rassicurante lo è, nella suasemplicità, anche il titolo dell’album: “Italian songs”.Perfino l’etichetta che lo pubblica, la prestigiosaPhilology che da oltre vent’anni documenta il migliorjazz di Phil Woods (da cui il marchio), Chet Baker, LeeKonitz e di moltissimi big italiani e stranieri, rassicurasul contenuto sonoro dell’argenteo dischetto. Poi, girila custodia e giunge la prima sorpresa: Flora a testa ingiù! Per un istante pensi ad un errore di stampa o con-fezionamento ma subito ti accorgi che titoli e scrittesono corretti: Flora è proprio fotografata a testa in giù,col sorriso aperto, lo sguardo malizioso e la chiomascompigliata dalla gravità. «È stato un impulso sponta-neo e spiritoso, proprio come sono io – confessa lacantante palermitana, giunta solo adesso, dopo quasi35 anni di carriera, al debutto discografico – Ma è sta-to anche un voler suggerire di guardare le cose edascoltare la musica da una differente angolazione,

costringendo chi hain mano il disco acapovolgerlo, a chie-dersi il perché diquesta stranezza». Di“stranezze” il discone riserva ben altre.Il titolo, ad esempio:è in inglese ma con-tiene famose canzoniitaliane: “Eppur mison scordata di te” diM o g o l / B a t t i s t i ,“Senza fine” e “Lagatta” di Gino Paoli,“Parlami d’amoreMariù” di Neri/Bixio,“Donna” di Gorni

Kramer, “Breve amore” diSordi/Piccioni, “Ma l’amore no” diD’Anzi/Galdieri. «L’idea ispiratriceviene dalla musica americana,quella con cui sono cresciuta eformata artisticamente, ma la miacultura è quella italiana. Insomma,ho voluto sottolineare il legametra l’esperienza acquisita col voca-lese anglosassone e le mie radicinaturali: quindi, titolo inglese macanzoni e parole rigorosamenteitaliane». Le sorprese aumentanosfogliando il raffinato e documen-tato libretto, corredato di testi eformazioni. Sì, le canzoni sonoquelle prima citate ma all’internodi ciascuna di esse c’è una parteoriginale aggiunta, con musiche diGiovanni Mazzarino (del progettopianista e geniale direttore musi-cale) e parole della stessa Faja. «In realtà scrivo da tan-to tempo – prosegue Flora – ma finora ho sempretenuto tutto nel cassetto. Solo adesso il coraggio deimiei anni mi ha fatto tirar fuori questi testi e mi haindotto a inserire nel disco anche due canzoni, “Uncolore che non so” e “Primavera sarà”, interamentescritte da me e Giovanni. Ecco perché “Italian songs”rispecchia davvero me stessa». E così il celebre branodi Battisti s’attorciglia a “La vita è strana”, “Senza fine”sfuma in “Rido”, la vecchia pagina di Bixio incarta amo-revolmente “Ricordi lontani”, il successo del QuartettoCetra swinga con “Donna sei tu”, le note del pezzo diAlberto Sordi vanno a incastrarsi in quelle di “Pensierocostante”, la gatta di Paoli fa le fusa con “Sogno di gat-ta” e “Cosa vuoi dalla vita” si scioglie insensibilmente in“Ma l’amore no”. Non una semplice operazione dimedley, dunque, ma una vera ricostruzione di mitiintoccabili che Flora trasforma in canzoni assolutamen-te nuove, inedite. Gli elementi aggiunti sono talvolta

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La cantante palermitana esordisce, insieme al gothadel jazz siciliano, con il disco “Italian songs”, unviaggio tra “stranezze”, brani inediti e super classici

FLORA FAJA

di GIGI RAZETE

MUSICA

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Le geografie dei luoghi sono contraddistinte da unparticolare paesaggio sonoro che subisce le stratifica-zioni delle ere geologiche e gli incalzanti cambiamentidovuti al progresso industriale e tecnologico. Le inter-ferenze di una città contemporanea muovono nell’uo-mo la volontà e il bisogno di un recupero del paesaggiosonoro rurale, dove riscoprire i suoni naturali e modu-larli sugli strumenti musicali in una sintesi che coniugal’anima ancestrale di un luogo e le sue radici multietni-che, senza rinnegare il contemporaneo. Sembra essere

questo il percorso di “Arenaria”, l’ultimo disco di MarioCrispi (www.mariocrispi.it) che ne ha composto e inter-pretato le tredici tracce. Inciso per Suono Records e giàin distribuzione nelle edicole con la rivista SuonoMusica, il cd sarà distribuito da maggio anche neinegozi di dischi. Si tratta di un viaggio al centro dellaSicilia, tra le suggestive rifrazioni dell’arenaria, rocciasedimentaria rappresentativa di un paesaggio primiti-vo e sempiterno, una tonica immutabile del paesaggiosonoro nostrano. Un viaggio che invera la tradizionesiciliana senza prescindere dalle influenze dell’Est euro-peo, del Medioriente e del Nord Africa che campeggia-no nella ricerca di Crispi, nei suoi “Soffi dal mondo”, esi intrecciano con le esperienze degli altri musicistiospiti, dalle esplorazioni sonore di Enzo Rao agli ArchiEnsemble che scantonano abilmente dal loro generenella seducente melodia di “Cannitu”. La prima tracciamuove i passi proprio da Palermo, dal suo mercato delpesce alla Cala. La registrazione notturna dei suoni delmercato ittico (un documento etnografico che diventauna soundscape composition) è lo spunto per un branoin dialetto che racconta la vita dei pescatori intonato daCrispi (voce, friscalettu, tamburi a cornice, darbouka),Maurizio Curcio (stick bass), Massimo Laguardia (tam-buri a cornice), Giuseppe Lomeo (chitarre) ed Enzo Rao(violino). Da Palermo ci si sposta nelle Grotte dellaGurfa ad Alia, un monumento di architettura rupestre,anche questo ricavato dall’arenaria rossastra, databileall’età del rame. Qui sono registrati “Gurfah” (presenteanche nella versione remix di Danilo Rispoli) e l’elegia-co “Tholos” con la chitarra di Sergio Laviola il cui titolofa riferimento alla tomba a campana di cui la secondastanza della grotta è testimonianza. Nell’arghoul egi-ziano che evoca le melodie dell’Alto Nilo si fanno senti-re le influenze nord-africane che non a caso risuonanoda quella grotta della Gurfa che la tradizione popolarevuole sia un antico insediamento saraceno. Nel tholosdella Gurfa si riverbera anche la melodia di un cantotradizionale siciliano evocato in “Focu” così come di ecotradizionale è anche “Carrittera”, ispirato al canto deicarrettieri bagheresi in un’originalissima versione cheospita duduk, sintetizzatore, scacciapensieri indiano epianoforte (Salvatore Bonafede). Ancora sull’onda dellatradizione, la tecnica del cunto palermitano è alla basedel testo di “Cuntu ri guerra” dalla ritmica estrema-mente efficace. Ci si addentra poi nell’agrigentino conla ninna nanna di Calamonaci registrata nella tomba delPrincipe a Sant’Angelo Muxaro dove si aggiungonoFrancesco Calabria (elettronica) e Rajaz (insert dub,programming).

“Arenaria” è l’ultimo disco delmusicista palermitano: un viaggio al centro della Sicilia

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di ALESSANDRA SCIORTINO

MARIO CRISPI

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La granitica chitarra di Germano Seggio va dritta alsuo scopo senza troppi fronzoli: colpire chi l’ascoltacon immediata semplicità, evitando, nello stesso tem-po, di essere troppo prevedibile. La scommessa è alta,non c’è che dire. Una prova che il chitarrista palermi-tano sembra, comunque, aver superato a pieni voti,con la sua nuova fatica discografica, “Life Box”, dapoco in distribuzione in tutti i negozi di dischi della cit-tà. Il disco prodotto dalla Modern Music Academy, lascuola di musica creata da Seggio, con l’associazione

Art End, è un colorato inno al vintage. Siamo di frontead un disco da classico trio: chitarre, basso e batteria.Le sonorità sono, quindi, smaccatamente rock, nono-stante siano presenti interessanti sviluppi blues e jazz.Il punto di forza del lavoro di Seggio, semplice e diret-to all’ascolto, ma profondamente strutturato al suointerno, sta proprio nel compatto amalgama sonoroche è riuscito a restituire con i suoi nove brani. Uno sti-le “vintage fusion”, come ama definirlo il chitarrista,ovvero sintetico rispetto ai generi musicali che attra-versa, con, in più, un’attenzione speciale al calore deisuoni. Serpeggia tra i pezzi una vaga nostalgia del rockda vinile anni ‘70, quello fatto in modo artigianale, sec-co e con pochi orpelli: chitarre ruvide, bassi pieni ebatteria asciutta. Non è un caso, infatti, che il disco siastato registrato con il trio base dal vivo, proprio perdare all’ascotatore il senso del suonare insieme. I due“compagni di viaggio” che hanno partecipato all’al-bum, sono Fabrizio Francoforte alla batteria e percus-sioni e Mario Tarsilla ai bassi elettrici ed acustici, oltre,ovviamente, alle chitarre suonate dallo stesso Seggio.«“Life Box è appunto un contenitore di vita – spiegaGermano – un disco concepito mentre mia moglieaspettava nostra figlia. Il lavoro acquista quindi unduplice significato: da un lato contiene la vita trascor-sa, ovvero è il frutto delle mie esperienze musicaliaccumulate fino ad ora, dall’altro contiene la nuovavita che sarebbe nata dopo pochi mesi. Infatti, un bra-no dell’album, “Juliet”, è dedicato proprio a mia figliaGiulia». Il chitarrista palermitano sembra aver voltatopagina, dopo il precedente disco “Back to life”, uscitodel 2005. «In fondo, quello era un disco da vetrina, –confessa Seggio – un disco con cui ostentavo troppo latecnica per mettermi in mostra. Questo nuovo lavoro,invece, è nato da una motivazione profonda. Non rie-sco a fare musica a programma. Non compongo perforza, ma ho bisogno di continui stimoli». I nove pezzidi “Life Box” corrono come la Dodge Charger arancio-ne in primo piano sulla copertina del disco. Si susse-guono liberi e senza schemi, con ritmi serrati che alter-nano parentesi di respiro. C’è il rock orecchiabile continte jazz di “Hypnopotamo”, il blues aggressivo di“Blues Outside”, le note intime da ballata di “Juliet”, lamartellante “Rock Dream” fino alle trame libere di“Sky”, un brano ricco di aperture sorprendenti, dallevaghe suggestioni orientali. Germano Seggio è sul webcon il suo sito personale www.germanoseggio.comdove, tra l’altro è possibile acquistare il disco, e anchesu Myspace all’indirizzo www.myspace.com/germa-noseggio.

Il chitarrista palermitano escecon il suo ultimo cd “Life Box”,un colorato inno al vintage

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di GIULIO GIALLOMBARDO

GERMANO SEGGIO

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Non capita tutti i giorni di vivere l’esperienza delfestival di Sanremo, seppur non in maniera canonica, peruna settimana intera, dopo anni di gavetta. È ciò che èsuccesso ai Sabù e la vigilia, grazie a una nuova catego-ria della manifestazione musicale ligure,“Sanremofestival.59”, un modo diverso per arrivare algrande pubblico, attraverso la visibilità non convenzio-nale del web. Questi ragazzi di Villabate (Sabù Alaimo allavoce e chitarra, Giovanni Villafranca al basso, Salvo LoCicero alla batteria e Sal Cavallaro alla chitarra solista)hanno superato tutte le selezioni di rito col brano“Meglio di così”, e sono stati tra i novanta artisti invitatidurante la settimana sanremese; la gara virtuale non liha visti vincitori, ma la visibilità che hanno ottenuto èstata notevole, tanto che il brano con cui hanno parteci-pato è stato inserito nella tracklist di “Sanremo 59 web”,la compilation ufficiale, uscita il 10 aprile nei negozi(distribuzione Edel). Un’iniziativa, questa, che, secondola band, «dà forza e voglia di andare avanti anche a chinon ha la stessa visibilità dei soliti noti: la gente è stancadi ascoltare sempre le solite cose, non a caso anche inuna vetrina tradizionale come quella di Sanremo negliultimi tempi è stato dato spazio al pop-rock più giovani-le e addirittura all’hip-hop». Il successo ottenuto in que-sti ultimi mesi non può che giovare alla promozione delloro primo disco, “Schemi”. «Siamo ingabbiati da schemiinvisibili, creati scrupolosamente a tavolino»: questo ilsenso principale che vuole indicare il titolo del disco, unmodo per sottolineare i tempi in cui stiamo vivendo.«Uno dei pochi antidoti a questa condizione è sicuramen-te la musica - dice Sabù - deve far prendere coscienza diquello che ci succede intorno». È difficile che la musicacambi il mondo, ma può dare una sveglia, un segnaleforte, essere un piccolo tassello di un cambiamento. Inquesto senso è davvero significativo, all’interno dell’al-bum, il brano “Apri gli occhi”: non un ritratto amaro del-la nostra terra, ma la focalizzazione del buono che laSicilia possiede. “Il fresco odore del mandarino il compro-messo soffocherà” è una frase forse fin troppo utopisti-ca, ma di certo rappresenta un atteggiamento più pro-

positivo rispetto all’atavica rassegnazione di molti. Untema importante, come lo è quello della visibilità ottenu-ta a tutti i costi, un concetto ormai palese nell’era deireality-show: è quello che Sabù e la vigilia “teorizzarono”già nel 2002 con il brano “L’audience”, rimasto però fuo-ri dalla tracklist del disco (non è detto però che non tro-vi spazio nel prossimo lavoro). «Gli schemi sono anchequelli che ci impone la televisione – aggiunge il leaderdella band - coi suoi programmi che speculano sulleemozioni della gente per distrarla da quello che le succe-de intorno: purtroppo ci si sta convincendo fin troppoche alla visibilità equivalga la qualità, dimenticandosicosa vuol dire fare la gavetta». Adesso il futuro dei Sabùe la vigilia sembra ancora più chiaro, con un’estate intour sulle spiagge per conto di Radio 105, il video di“Cosa resta” diretto da Davide Salmeri e concerti checavalcheranno l’onda di questo successo d’improntabrit-rock. Sul web: www.myspace.com/sabuxx.

I quattro ragazzi di Villabatesono gli unici siciliani presentinel disco “Sanremo 59 web”

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di LUCA GIUFFRIDA

Sabù e la vigiliaMUSICA

ph. Leo Butera

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L’idea è di quelle così semplici da apparire rivoluzio-narie: dare vita a un tour musicale tra piazze e locali del-la città, mettendo alla ribalta esclusivamente il sottobo-sco della musica da cantina palermitana. Niente nomipiù o meno di spicco del panorama italiano o internazio-nale (che poi basta un passaggio su Mtv a dare l’attesta-to “di spicco”). Solo la buona musica proveniente dalventre di Palermo, da questa fabbrica improvvisata checontinua a crescere in qualità e quantità, quasi infi-schiandosene dell’immobilismo culturale che vi ruotaintorno. «Abbiamo un’offerta artistica di alto livello.Basta leggere le recensioni delle più importanti riviste

musicali per accorgersene. Ma spesso, siamo noi paler-mitani i primi a dimenticarcene», dice Simone Vesco diAlcapone records (al centro nella foto), ideatore e pro-motore del “Tour de Forst”, giunto quest’anno alla terzaedizione. Un festival itinerante che vedrà alternarsi sulpalco il meglio della musica palermitana: Matrimia,Famelika, Serenella, Venus in drop, Mezcagano, Asharr,Marco Sabatino, Laya, Moque e la “cricca” Malintenti,con Akkura, Don Settimo, Om, Toti Poeta e Sadpony. Siva dal folk al jazz, passando per l’hip hop e il post rock.Insomma, i vari filoni su cui sta crescendo un movimen-to musicale che ha poco da invidiare al resto del paese,se non le strutture e le opportunità che altrove si trova-

no. «Nonostante le mille carenze del nostro territorio,band e singoli artisti sono riusciti a maturare, a perfezio-nare la qualità delle loro produzioni – continua Vesco – Ilproblema è che non si fa ancora nulla per aiutare questomovimento spontaneo. Eppure, la musica ha un notevo-le spessore sociale, influisce su questa città in un modoche solo la nostra classe politica non riesce a vedere». Gliesempi a sostegno di tale tesi sono tanti. Vesco ricordale recenti primarie dei giovani del Partito democratico.«A votare, in tutta la provincia, saranno stati non più diduemila ragazzi. Se fai un concerto a piazza Magione, tene ritrovi almeno il triplo». Ma non è solo questione di

numeri. «La musica, e più in gene-rale l’arte, traggono linfa dal con-flitto sociale – spiega – e questorapporto, se coltivato nel giustomodo, può risultare costruttivoper la società in cui si vive». Non èun caso, quindi, che l’organizza-zione del “Tour de Forst” sia stataorientata alla responsabilità socia-le. Innanzitutto, perché il festivalsarà il primo evento culturale diPalermo a basso impatto ambien-tale. Grazie alla collaborazionecon Exalto, società specializzata insoluzioni tecnologiche per mini-mizzare i consumi puntando suefficienza energetica, nel corsodel tour verrà calcolato l’impatto

ambientale dei concerti. Alla fine del festival, Exaltoprovvederà a piantare un numero di alberi che serviran-no a compensare l’inquinamento prodotto complessiva-mente nel corso delle varie serate. In tale ottica, buonaparte del materiale di promozione sarà stampato su car-ta riciclata. Inoltre, nel corso dei concerti, saranno orga-nizzate delle raccolte di fondi per il Ciss, la più importan-te organizzazione di cooperazione internazionale dellaSicilia. Queste le tappe del tour: 24 aprile, Montevergini;2 maggio, piazza Bologni; 7 maggio, Candelai; 16 mag-gio, piazza Unità d’Italia; 22 maggio, Malox; 30 maggio,piazza Magione. Maggiori informazioni sul sitowww.myspace.com/alcaponeecolabel

Palermo in un “Tour de Forst”di DARIO PRESTIGIACOMO

Giunge alla terza edizione il festival itinerante che punta sul meglio della musica palermitana

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«Avevo appena finito di preparare l’esame di procedu-ra penale. Quando mi sono presentato all’esame e hovisto quella calca tremenda ho capito che io non appar-tenevo a quel mondo. Tornai a casa e dissi ai miei geni-tori che volevo fare altro». E dire che già da bambino, a4-5 anni, intratteneva i coetanei, e non solo, interpre-tando una nota maschera siciliana: «Inventai un teatri-no fai da te e gli altri bambini mi guardavano. Poi a seianni mia sorella Marisa, che allora danzava al TeatroMassimo, mi fece fare un provino per interpretare ilDelfino di Francia in “Maria Antonietta”, proprio alMassimo. Loro cercavano un bambino biondo ma io glipiacqui così tanto che mi misero una parrucca. Stavosempre in scena e avevo di fatto imparato tutta l’ope-ra a memoria, tanto che il soprano certe volte si rivol-geva a me più che al suggeritore». Insieme con ungruppo di compagni umbertini, Benassai fonda il grup-po “I pizzicagnoli”: «Ci esibivamo al centro culturale “Lafamiglia trapanese”, che allora si trovava in via Libertà.Eravamo veramente alle prime armi ma in scena cerca-vamo di dare il meglio di noistessi. Là conobbi per la pri-ma volta Mimmo Cuticchio,prima ancora che diventassefamoso. Ci incoraggiò e ci dis-se che anche lui cercava unaforma espressiva diversa daquella tradizionale della suafamiglia». Da quell’occasionenacque lo spettacolo “Prosa,pupi e cabaret”, di scena alteatro di via Bara. E durante l’intervallo venivano offer-te panelle e vino. «Erano altri tempi ma ci siamo davve-ro divertiti. Poi conobbi Nino Drago, fondatore delPiccolo Teatro di Palermo, un teatro storico della città,e iniziò la nostra collaborazione. E dire che diversi annidopo, dal 1983 al 1988 mi occupai proprio io della dire-zione di questo teatro. Allora sì che mi ritornarono uti-li gli studi di giurisprudenza – aggiunge sorridendo – inquesto teatro si è formata un pò tutta la vecchia guar-dia, tutti recitando comunque con una cifra stilisticadiversa. Un grande successo, ad esempio, fu tributatoa “Palermo cara”, scritto da Gigi Burruano. Per diversianni replicammo con il tutto esaurito». Il teatro diParide Benassai nasce proprio da Palermo e sembraquasi dialogare con la città, seppur misurandosi con lacultura europea ed internazionale. C’è la vita quotidia-na, c’è la storia e ci sono le riflessioni sul futuro.«L’esperienza più bella è portare il teatro in strada –aggiunge Benassai – Lo scopo del teatro dovrebbe

essere proprio questo, andare incontro alla gente sen-za aspettare che questa entri a teatro. Ogni esibizione,infatti, è da considerare quasi un rito collettivo». Tra glialtri spettacoli ricordiamo “Chewing-gum” con 230repliche solo nella città di Palermo, “AspettandoPalermo”, trasmesso anche da Rai Tre, “A memoria”rappresentato anche a New York, Detroit, Filadelfia,“Palermo fatta a scale”, “Molo Santa Lucia” e tanti altri.Nel teatro di Benassai c’è l’uso sarcastico ma non vele-noso dell’intelligenza, la tragedia, lo scetticismo, l’arro-ganza, il gusto sapiente per il sorriso, oltre naturalmen-te alla voglia di portare sulla scena il territorio palermi-tano, il linguaggio e la gestualità che Palermo produce.Da qui, ad esempio, lo spettacolo “Munnizza” (in repli-ca dal 22 maggio, per due settimane, all’Agricantus diPalermo), un problema siciliano e non solo: «Passeremoalla storia come la civiltà del rifiuto - aggiunge ironica-mente. - Il teatro ha un linguaggio universale che pre-scinde della lingua in cui si recita. Sono stato invitatodal Ministero della Cultura ad esibirmi ai figli degli

immigrati in Argentina. Lospettacolo era in siciliano maanche se gli immigrati prove-nivano da tutta l’Italia com-prendevano comunque ilsenso». Il teatro di Benassai èsempre aperto ad un con-fronto suggestivo tra moder-nità e tradizione coniugandoil teatro popolare con i nuovilinguaggi della scena. Non

mancano, poi, anche le esperienze cinematografiche etelevisive. “Nuovomondo”, “Baaria”, “Il sette e l’otto”,“My name is Tanino”, “L’amaro caso della baronessa diCarini”, “Il commisario Montalbano”, “Il figlio dellaluna”, solo per citare alcuni titoli. Nonostante il ricono-sciuto successo non ha perso l’umiltà e ammette: «Intelevisione e nel cinema so che devo ancora trovare ilgiusto modo per esprimermi, posso fare molto di più.Un lavoro a cui sono molto affezionato, tra gli altri, è“Brancaccio”, il film su Padre Puglisi. Qui non ho recita-to soltanto nella parte di attore ma sono stato ancheassistente alla regia. Il punto di vista della macchina dapresa è completamente diverso da quello del teatro.Sul palcoscenico non puoi bluffare. Mentre la regia fil-mica, infatti, crea un punto di vista soggettivo, a teatroè l’occhio umano che mette a fuoco. E il compito del-l’attore è quello di trasmettere energia. La guida deveessere il pubblico. Tra attore e platea si crea una sortadi volano, uno scambio continuo di energie».

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«L’esperienza più bella è portareil teatro in strada. Lo scopo delteatro dovrebbe essere proprio

questo, andare incontro allagente senza aspettare che questa entri a teatro. Ogni

esibizione è un rito collettivo»

TEATRO

Il teatro con la “T” maiuscola, un modo per raccon-tare le proprie “scaglie di verità”. Così Paride Benassai,attore, regista e autore di diversi testi teatrali, prova adefinire il suo mondo, costruito nel tempo, spettacolodopo spettacolo. «Per me esiste il teatro e basta, puòfar ridere o piangere, ma soprattutto deve far riflette-

re». A cinquantadue anni, portati più che bene,Benassai è uno degli attori più rappresentativi della cul-tura siciliana e ha dimostrato di essere versatile esoprattutto aperto sempre a nuove sfide. A otto mate-rie dal conseguimento della laurea in giurisprudenza,Benassai ha capito che la sua strada era un’altra:

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Teatro, riflessione e cabaret: il ritratto di uno degliattori più rappresentativi della cultura siciliana

PARIDE BENASSAIdi ADRIANA FALSONE

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TEATRO

È il 2005 quando il regista Giuseppe Moschella e l’at-trice Emanuela Mulè decidono di creare un sodalizio arti-stico e di investire la loro creatività in progetti comuni.Poco dopo nasce “Scarafaggi/Beatles”, lo spettacolomusicale che i critici definiscono una stand up comedy alvetriolo con l’intento di ironizzare sugli stereotipi, sui luo-ghi comuni della nostra società e in particolare sui pregiu-dizi che segnano come un marchio indelebile la Sicilia.

Merito di Moschella&Mulè è stato quello di far ridere conl’amaro in bocca del malessere di vivere, una scommessadifficile che, a giudicare dal successo della loro ultimatournée nazionale, è stata decisamente vinta.“Scarafaggi/Beatles”, nella nuova versione arricchita dasketch sempre più caustici che si alternano a quelli stori-ci come “la moglie del latitante” e “la sauna”, ha varcato iconfini regionali, approdando al teatro Zelig Cabaret diMilano, una piazza impegnativa dove ha superato qua-lunque aspettativa, e poi al teatro del Sale di Firenze e alteatro L’Arciliuto di Roma. Da nord a sud si ride allo stes-so modo, con una frizzante ironia che fa riflettere.«L’esperienza di “Scarafaggi/Beatles” - diconoMoschella&Mulé - ci ha confermato che basta trovare lachiave giusta per parlare al cuore della gente e muoverele corde di un sentire comune che, attraverso il riso, supe-ra i regionalismi. Abbiamo ironizzato su situazioni chetipicamente connotano la nostra città ma che, senza trop-pi sforzi, si adattano perfettamente alla ‘fredda’ Milano oalla “caciarosa” Roma». Sul palco dove la recitazione e lamusica degli evergreen inglesi si fondono in un tutt’uno,gli attori sono accompagnati da due apprezzati interpretidel panorama musicale nazionale: il pianista DiegoSpitaleri che ha curato gli arrangiamenti e la cantanteValeria Milazzo. Anche se non mancheranno altre replichedello spettacolo in Sicilia e a Palermo, Moschella&Mulènon si fermano un istante e stanno già pensando ad altriprogetti che questa volta riguardano il cinema.Parallelamente all’esperienza teatrale, entrambi hannorecitato in due film recenti: Giuseppe Moschella ha indos-sato i panni di Liborio Galfo, ex ballerino anni ‘50 di boo-gie-woogie in “Quell’estate felice” di Beppe Cino mentreEmanuela Mulè ha interpretato il ruolo di pubblico mini-stero ne “La siciliana ribelle” di Marco Amenta. «Siamo inattesa - dice Moschella - dell’approvazione della SiciliaFilm Commission per un mediometraggio intitolato “Uvattiu” diretto da me e interpretato da Emanuela e daErnesto Mahieux, protagonista de “L’Imbalsamatore” diMatteo Garrone». Dopo i film brevi “Ferragosto” e“L’avvoltoio” (che ha ottenuto il riconoscimento delCertificato del Chicago International Film Festival 2007)che ruotavano attorno al tema dell’usura e dei boss,anche questo film verrà girato in Sicilia. Il battesimo a cuiallude il titolo rappresenta l’iniziazione di un ragazzoomosessuale nel clan di appartenenza del padre, unarealtà che, pur spettandogli di diritto, non gli appartiene.La storia diventa quindi un pretesto per trattare la delica-ta questione sociale dell’identità sessuale, un’identità cheaspetta di essere riconosciuta e dichiarata apertamenteanche a costo delle conseguenze più estreme.

Da Palermo al teatro Zelig diMilano: ecco il duo palermitanodall’ironia che fa rifletteredi MANUELA PAGANO

Moschella&Mulè

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nessun cadavere, non sono reali simulacri di morte,senza cadaveri non c’è neanche la speranza di unaresurrezione, sono la metafora assoluta di un’assenza,sono la terra desolata, emblema di un tempo non ulti-mo, ma penultimo come quello che stiamo vivendo,ancora non pronto a rinasce-re nonostante eventi apoca-littici, dalle guerre al crollodelle Torri Gemelle, un tem-po sterile». Anche il titolo dellavoro, “Aprile è il mese piùcrudele”, riprende fedel-mente l’incipit del primocanto del poema di Eliot, “Lasepoltura dei morti”, che in pochi versi sintetizza que-sto forte senso di sterilità, l’arida lontananza dellaciviltà moderna dai ritmi vivificanti della natura (neltesto del poeta americano persino il contatto con l’ac-qua, fonte di vita per eccellenza, diventa causa di

morte). L’assistere ignavi o impotenti a questo tre-mendo vuoto dei personaggi proiettati nel video (altrevolte è stato lo specchio ad accompagnare le installa-zioni) evoca, secondo l’artista, il processo concettualedella rappresentazione pittorica, quel riprendere la

realtà senza riproporla mera-mente, quella distanza trareale, immagine, raffigura-zione, che il già citatoMagritte aveva messo a fon-damento della sua poetica.In questo abbandono totaledella pittura Miccichè nonsente uno iato con i suoi pre-

cedenti lavori, che invece hanno vissuto fasi legate alvirtuosistico segno grafico o alla decisa matericità del-le paste cromatiche, miste a catrami e colle, ma affer-ma: «È una delle mie opere più pittoriche, perchéragiona sui meccanismi della pittura stessa».

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Sviluppare una profonda riflessione sulla pittura,sul processo della rappresentazione, sul ruolo dell’os-servatore che diventa al contempo soggetto e fruito-re del quadro, parlare di pittura senza pennelli e colo-ri, attraverso oggetti, luci, ricorrendo al bianco assolu-to di un ambiente, un bianco che non è assenza masintomo di una pregnanza. E attraverso ciò, parlaredell’Uomo, dei tempi che stiamo vivendo, sposando illinguaggio visivo alla straordinaria forza evocativa diun testo letterario e teatrale, “The Waste Land” (Laterra desolata) di T. S. Eliot. È questa l’ultima sfida del-l’artista palermitano Antonio Miccichè (1966), da ven-t’anni presenza costante della scena artistica cittadi-na, pittore, virtuoso disegnatore, scenografo, autoredi installazioni e docente presso l’Accademia Abadir diSan Martino delle Scale. Dopo essersi concentrato,nelle sue opere più recenti, sul tema del waterfront edel paesaggio, egli ritorna al codice espressivo dell’in-stallazione e al suo rapporto con la performance e ilteatro nel suo ultimo lavoro, allestito in un grandesalone di 180 mq di Palazzo Resuttano, spazio esposi-tivo diretto da Maria D’Agostino (direzione generale) eBeatrice Feo Filangeri (direzione artistica). Antonio

aveva già lavorato sull’ope-ra di Eliot realizzando nel2003 le scenografie per laversione di Claudio Collovàmessa in scena al TeatroBellini di Palermo, e lo stes-so Collovà, oltre a scrivereuna testimonianza in occa-sione di questa nuova ope-ra, è tornato a recitare “Laterra desolata” dentro l’in-stallazione in occasione del-l’inaugurazione, lo scorso 9aprile (l’opera è visibile finoal 24 aprile presso PalazzoResuttano, piazza diResuttano, 5, tutti i giorni

tranne il lunedì dalle 17 alle20), unico attore, per un sologiorno e per soli 30 minuti,nella penombra di una lucelunare, silente, tra file di lettivuoti. Già in altre occasioniMiccichè aveva posto questiultimi al centro dei suoi lavori:a Palazzo Rammacca, allaVucciria, nel 2000, nell’ambitodella manifestazione “Doppiacroce++, il Parco dell’Arte”, o aBerlino, in una installazionedal titolo “Il sogno dell’arte”,presso il Kunsthaus Tacheles ea Stoccarda presso il ZapataCentro Culture Institute, nel2002. In uno spazio totalmen-te azzerato, dominato dalbianco delle pareti e del gessosul pavimento, soltanto unafinestra, aperta citazione del capolavoro del pittoresurrealista René Magritte “Il mese della vendemmia”(1959), riproposto attraverso l’immagine più leggera,un video in loop con la fotografia e il montaggio rea-lizzati da Salvo Cuccia e Peppino Sciortino. Stavoltaperò, al posto dei personaggi in bombetta tipici del-l’iconografia magrittiana, ripetuti ossessivamente inuna folla che sta come una falange dietro una finestraaperta, cloni di se stessi, uomini senza qualità ed iden-tità, a porsi come alter-ego dello spettatore sono vol-ti di individui palermitani, silenziosi, immobili, che solodopo il passare dei minuti manifestano qualche segnoimpercettibile di movimento, accompagnati, comesottofondo, dal frinire delle cicale, dal rumore deglielicotteri, dal rombo dei tuoni (il video è stato giratocon un audio ambientato). Dichiara Antonio Miccichè:«Questa installazione, con i letti vuoti, con le lenzuolaappena sgualcite e drappeggiate in modo da ricorda-re l’iconografia dei sarcofagi antichi, non accolgono

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L’artista, pittore e scenografo palermitano, torna afar parlare di sè con un’installazione che evoca leatmosfere sospese de “La terra desolata” di Eliot

ANTONIO MICCICHÈ

di MARINA GIORDANO

«Questa installazione è la metafora assoluta di un’assenza,

la terra desolata, emblema di un tempo come quello che stiamo vivendo ancora non

pronto a rinascere»

ph. Federico Maria Giammusso

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Una delle pagine più affascinanti della storia diPalermo è stata scritta nelle ville settecentesche chepunteggiavano le campagne circostanti la città, soprat-tutto nella zona della Piana dei Colli, dove molti nobilipalermitani costruirono le loro residenze estive, nellatradizione dei luoghi di delizia arabo-normanni. A parti-re dagli anni ’60 del Novecento, in concomitanza con loscempio edilizio di cui fu oggetto la città, l’importanza diquesti luoghi è stata dimenticata e occultata. Oggi, gra-zie alla volontà della famiglia Lodetti Alliata e al co-finan-ziamento dall’Assessorato ai Beni culturali della RegioneSicilia, la villa Alliata Cardillo, significativo esempio diquella cultura, è stata interamente recuperata e trasfor-mata in prestigiosasede del Centrod’arte Piana dei Colli(www.pianadeicol-li.net) che ha inau-gurato le sue attivi-tà il 18 aprile con lamostra fotografica“Visioni di Cantiere”.Le foto, commissio-nate dalla famigliaAlliata a RiccardoScibetta (BesanaBrianza, 1971), sonostate realizzate adhoc durante i lavoridi restauro e sono ilfrutto dell’incontro tra la specificità di un luogo e losguardo curioso e indagatore dell’artista. Le immagini dicantiere resteranno in permanenza, dopo la mostra, neilocali della villa. Il progetto di ripristino della residenza èstato supervisionato dalla famiglia proprietaria e dallastorica dell’arte Giulia Ingarao, direttore artistico delcentro e curatrice della mostra. Villa Cardillo, incastona-ta nella Piana dei Colli, è nata dal rifacimento di un origi-nario baglio agricolo e, appartenuta nel ‘700 a DomenicoCardillo, passò nell’800 agli Alliata. Stefania AlliataLodetti ha fortemente voluto il recupero di questa dimo-ra salvandola da un grave stato di abbandono. Sono sta-ti così recuperati la facciata lesenata con il fastigio della

famiglia, le terrazze panoramiche, la cappella con il suoaltare, il giardino e il cosiddetto “passeggio”. All’internodei saloni a enfilade del piano nobile è stato inoltre rea-lizzato un percorso multimediale, una sorta di archiviopermanente, corredato da dodici totem interattivi, inti-tolato “Storia ed evoluzione di un territorio: Palermo e laPiana dei Colli”. Sono stati girati cinque video-documen-tari che intendono analizzare il rapporto tra la villa e ilterritorio circostante attraverso differenti punti di vista.Le tematiche, affrontate da vari esperti, sono urbanisti-co- architettoniche, socio-antropologiche, botaniche,paesaggistiche e storico- artistiche. Nel video che riguar-da l’ambito storico artistico, realizzato con l’intervento

dell’artista Anne-Clémence de Grolée, l’attuale realtàsuburbana si confronta con il passato, evidenziando ilruolo delle periferie e riflettendo sulla possibile valoriz-zazione dell’antico. Il centro ospiterà, dunque, mostre divaria natura ed è dotato di biblioteca multimediale,bookshop, attrezzature all’avanguardia per la realizza-zione e fruizione di prodotti audiovisivi e multimediali.La villa è sede inoltre dell’Osservatorio Outsider Art,diretto da Eva di Stefano (Cattedra di Storia dell’Artecontemporanea dell’Università di Palermo). Un centrod’arte di cui si sentiva il bisogno, importante per la riva-lutazione del territorio, del suo patrimonio e per la pro-mozione dell’arte contemporanea.

Villa Cardillo Alliata, arte in cantieredi GIULIA SCALIA

Trasformata nel Centro d’arte Piana dei Colli, la villaapre con la mostra fotografica “Visioni di cantiere”

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Domenica 29 marzo il Museo Guttuso (Villa Cattolica,Bagheria) ha riaperto le sue porte dopo dieci mesi direstyling. La copiosa affluenza dei visitatori ha rappresen-tato un’ulteriore conferma del ruolo centrale che il museoriveste sia nella vita culturale della cittadina di provincia,sia più in generale nel sistema del musei palermitani. Lavilla tardo barocca ospita il Museo Guttuso dal 1973, mada allora nuove opere sono state acquisite e nuove sezio-ni hanno incrementato quella collezione che allora il pitto-re donò alla città natale in un progetto culturale che oggiraggiunge la sua forma più completa; da ciò il bisogno diuna risistemazione degli spazi e delle opere. Infatti, perdare una sede alle nuove sezioni, come quella della pittu-ra di carretto (legata alla primissima formazione di

Guttuso a Bagheria), del libro d’artista, del disegno e del-la fotografia, gli spazi espositivi sono stati raddoppiati (leopere occupano adesso 1500 mq della villa), anche perchéle sezioni già esistenti della pittura e della scultura sonostate a loro volta aumentate grazie a recenti acquisizionidi giovani artisti; la sezione della cartellonistica cinemato-grafica (donazione Fratelli Lo Medico, presente dal 2004)si trova, invece, staccata dal corpo centrale della villa. I cri-teri delle acquisizioni rispondono all’aspirazione propriadel Maestro, ossia, come dice il figlio adottivo FabioCarapezza Guttuso, quella di essere un testimone del suotempo; per questo motivo Guttuso non ha mai concepitoil museo come il “suo” museo, ma come un luogo dove lesue opere avrebbero potuto dialogare con quelle dei suoiamici artisti. Dopo la sua morte, chi ha preso le redini del

museo ha continuato su tale scia, pensando il museocome un luogo dinamico, dove proporre mostre tempo-ranee di largo respiro, non soltanto dell’artista di Bagheria(come ad esempio la mostra del 2007 “La potenza dell’im-magine”, a cura di Fabio Carapezza Guttuso e DoraFavatella Lo Cascio, direttore del Museo Guttuso, ultima diuna trilogia sul pittore iniziata dal 1987), ma anche di altriartisti. Alcune opere di questi sono diventate parte dellacollezione permanente, a dimostrazione di un lento macontinuo desiderio di evoluzione dell’eredità guttusiana,rinnovando e dando continuamente nuova linfa vitale aquel serbatoio creativo che dovrebbe essere il museo.L’idea di museo a cui si fa riferimento non è sicuramentequello del Guggenheim, che centuplica esageratamente le

sue sedi, esempio di “museo in franchising”; al contrario ilMuseo Guttuso, nella sua rinnovata veste, ribadisce la suaprecipua caratterizzazione, quella di essere legata al terri-torio in cui è nato e vive. Molti tra vecchie e nuove pre-senze sono di Bagheria, ricordiamo i fotografi Scianna,Pintacuda, Falcone e, ovviamente, il premio OscarPeppuccio Tornatore, presente all’inaugurazione ancheper la presentazione del libro curato da Biagio Napoli eMimmo Aiello “I ragazzi di Via Sant’Angelo. Tornatore eCo. Dal 1975 al 1980 a Bagheria”, sulla storia del circolo “L’Incontro”, fondato dal famoso regista bagherese. Propriosulla fotografia l’organizzazione del museo intende indi-rizzare le sue prossime iniziative, insieme (è auspicabile)all’inserimento di apparati didattici più adeguati a un luo-go così importante per la cultura dell’Isola.

Il Museo Guttuso riapre le portedi MARINA SAJEVA

Dopo dieci mesi di restyling Villa Cattolica ritorna adospitare l’arte del Maestro e dei suoi “amici” artisti

ARTE

ph. Antonia Giusino

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“Un palermitano alla conquista dell’etere” sidirebbe di lui se non fosse che Salvo Sottile è un

noto mezzo busto televisivo da tempo (Mediaset Tg5 eSky news 24). Trentaseienne da poco e figlio d’arte dasempre (il padre Giuseppe, già cronista de L’Ora e delGiornale di Sicilia, era un giovane cronista che racconta-va la strada e i grandi delitti di mafia nella Palermo anni‘70). Sottile nel 2007 esordisce da scrittore con“Maqeda” (Baldini Castoldi Dalai) e oggi si riconfermacon un giallo, in classifica tra i primi dieci libri più letti,dall’emblematico titolo “Più Scuro di Mezzanotte”(Sperling & Kupfer, Pagg. 360 - € 18,90). Sottile, però,non s’accontenta del piccolo schermo ed è ora impe-gnato alla riduzione cinematografica del suo primoromanzo. «Ciò che accomunai tre distinti ruoli di giornali-sta, scrittore e sceneggiatore– afferma Salvo Sottile – è loscrivere, e farlo mi piace. Soloche i tempi di scrittura in tele-visione sono minimi, mentresui libri si ampliano. In questiposso creare storie e perso-naggi o trovare più spazi, mala tv la porto addosso ormai,così scrivo per immagini». Ed è un passato di tuttorispetto, quello di Sottile, che inizia collaborando adiciassette anni col quotidiano La Sicilia di Catania ed ilmensile Sicilia Motori, quindi con l’emittente regionaleTelecolor Video 3. «Ricordo – aggiunge – che i primiesercizi di scrittura li facevo su un quaderno di scuola, incui annotavo tutto ciò che mi passava per la mente, manon come un diario: sceglievo una cosa che m’avevacolpito e ne scrivevo tre versioni, al passato, al presen-te, al futuro. Poi il mio esordio giornalistico: un radunodi auto per una rivista di motori». La grande opportuni-tà è nel 1992, durante un’eruzione dell’Etna che minac-cia di travolgere Zafferana Etnea. Enrico Mentana, allo-

ra direttore del Tg 5, lo mette di fronte a una telecame-ra e lo promuove inviato sul campo per il Tg nazionale;da quel momento l’ascesa inarrestabile e Sottile diventaun appuntamento fisso per tutti i telespettatori. «Nelnovanta, da poco ventenne – dice – raccontai di Capacie Via d’Amelio e della strategia stragista della mafia.Negli anni a seguire sono stato testimone di un pezzodella nostra storia, come la cattura di Totò Riina, cherappresentò la fine di un’epoca, fino ai bombardamentiin Afganistan in cui ero in prima linea». Tra i modelli delgiornalismo nazionale annovera Zavoli, Montanelli eCapuozzo (a quest’ultimo legato da profonda amicizia) edel padre Giuseppe confida bonariamente: «Non mi hadissuaso né incoraggiato nella scelta della professione,

lasciandomi libero di decide-re. Ho scelto di fare il giorna-lista anche per capire comemai crescevo da solo, vistoche mio padre essendolo, erasempre lontano da casa». Unascelta di vita, scrittura e cartastampata, fatta sempre calco-lando i tempi. L’ultimo suolibro è un giallo di mafia, masenza nessun contatto con il

precedente: «Facendo un parallelismo, “Maqeda” è unraccontino di vita, “Più scuro di mezzanotte” semplice-mente un giallo, un mistero da risolvere, l’ossessione didue donne che diventano una sola». Scrivere ancora unavolta, dunque, raccontare un mondo o inventarselo,perché «scrivere un libro– conclude – permette di misu-rarmi con la scrittura vera e propria. Una cosa è raccon-tare una notizia, un’altra imbastire una trama. Unascommessa da vincere, che resterebbe irrisolta se michiedessero di raccontare cosa mi manca di Palermo: lascrittura non sempre è in grado di descrivere la sensa-zione dell’odore di salsedine che t’impregna non appe-na scendi dall’aereo e sei nella tua Isola».

LIBRI

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SALVO SOTTILE

di TOMMASO GAMBINO

Il ritratto del giornalista e scrittore palermitano che torna inlibreria con “Più scuro di mezzanotte”, un giallo che raccontal’ossessione di due donne che diventano una sola

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«Scrivere un libro permette dimisurarmi con la scrittura. Una cosa è raccontare una

notizia, un’altra imbastire unatrama: una scommessa cheresterebbe irrisolta se mi

chiedessero di raccontare cosami manca di Palermo»

Più scuro di mezzanotte / 352 pagg. / € 14 / Sperling & Kupfer

Rosa Martinez sognava di diventare una ballerina e conoscere il mondo. Si è sposatacon un boss corleonese pensando che questi l'avrebbe liberata dalla gabbia del padre,non sapendo che così, sarebbe solo passata da una prigione all'altra. Quando si rendeconto che i delitti della nuova criminalità, di cui fa parte suo marito, non risparmianopiù nessuno, allora, per ridare un senso alla propria vita, e riconquistare tutto ciò di cuiè stata privata, sceglie di prender parte a un gioco molto pericoloso, che nessuna don-na prima di lei aveva avuto il coraggio di condurre. La storia è ben raccontata dal gior-nalista e scrittore Salvo Sottile, già autore del romanzo Maqueda, i cui diritti sono staticomprati dal produttore cinematografico Valsecchi. (di Adriana Falsone)

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IN LIBRERIA

CUBA / 280 pagg. / € 65 / BazanPhotos Publishing

Ernesto Bazan è approdato a Cuba quasi per caso, nell'autunno del 1992. E per le stra-de dell'Avana ha ritrovato la sua infanzia siciliana perduta. Grazie alle foto scattate nelsuo incessante deambulare per l'isola, ha vinto alcuni dei più importanti premi interna-zionali fra cui il W. Eugene Smith Fund considerato l'Oscar della fotografia documenta-ristica mondiale, il primo premio nella categoria di vita quotidiana al World Press Photo,e una borsa di studio dalla prestigiosa Fondazione Guggenheim. Il libro "Cuba" contienestralci del suo diario, provini, riflessioni e citazioni di vari autori. La pubblicazione, com-pletamente autoprodotta, racconta la storia del fotografo in maniera personale e inti-ma, senza tralasciare la natura del reportage. (A. F.)

IL SONAGLIO / 195 pagg. / € 12 / Sellerio editore

Un mondo ormai perduto, un sud lontano dove è la natura a dominare gli animi e leregole che contano sono quelle dell'onore e non del peccato. E' la storia di Giurlà, unadolescente mandriano di capre affascinato dagli odori e i colori della campagna, dallago, profondo e taciturno, e dalla solitudine. Unica compagnia: le capre. In partico-lare ce ne è una che non lo lascia mai: è Beba. Durante le sere ascolta le donne can-tare strane storie: racconti di dei e metamorfosi, di trasformazioni nel nome del-l'amore. E così Giurlà guarda Beba con occhi nuovi. Andrea Camilleri abbandonaancora una volta il commissario Montalbano per cimentarsi in un racconto immagi-nifico e sognante, ambientato nelle aride e cocenti campagne siciliane. (A. F.)

MONDO BASTARDO / 240 pagg. / € 12 / Duepunti edizioni

Paura del diverso e criminalizzazione indistinta degli stranieri, anche a causa del caoticobombardamento mediatico. Giusto Catania propone un'ipotesi "scomoda" sullo statoattuale delle cose: la società multiculturale non è una speranza per il futuro, ma, al con-trario, è l'emblema della contrapposizione costante tra culture perchè si sta sempre dipiù affermando un modello di società nei fatti xenofoba. Si dovrebbe costruire un mon-do in cui le culture possano contaminarsi, in cui il "meticciato" diventi l'unica opzioneplausibile. Da qui la definizione positiva di "bastardo", una mescolanza tra culture edetnie. L'autore è parlamentare europeo per la Sinistra unitaria europea, ed è vice-presi-dente della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. (A. F.)

SCONOSCIUTI E DIMENTICATI / 158 pagg. / € 12 / Navarra Editore

Forse non tutti sanno che in corso Pisani c'è una coppia di orologi, risalenti al 1802,che era destinata originariamente a indicare l'ora l'uno ai sani, l'altro ai pazzi. E poiancora cosa si cela dietro la strada del Capo detta "via Scippateste"? Lino Buscemi,con ironia e un pizzico di critica agli amministratori della città di Palermo, ha raccol-to una settantina di articoli dedicati a luoghi, monumenti e personaggi poco noti del-la storia cittadina, apparsi tra il 1998 e il 2001 su La Sicilia nella rubrica "PalermoSconosciuta", dando corpo ad un libro pieno di curiosità e aneddoti. Ai giovani l'invi-to ad indagare la storia "minore"con attenzione rivolta verso un patrimonio storico-artistico sconosciuto ai più e non sufficientemente valorizzato. (A. F.)

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IN LIBRERIA

PEPPINO IMPASTATO, UN GIULLARE CONTRO LA MAFIA / 128 pagg. / € 14 / Becco Giallo

Il giovane Peppino Impastato moriva il 9 maggio del 1978. Con le sue parole ha cer-cato di combattere la mafia fin tanto che non è stato ucciso. Adesso la sua storia ispi-ra perfino un fumetto, raccontando per immagini i suoi combattivi interventi attra-verso la radio e, infine, il suo omicidio. Peppino Impastato, un giullare contro la mafia,è l'ultimo fumetto della casa editrice Beccogiallo. Gli autori sono due ragazzi sicilianiMarco Rizzo e Lelio Bonaccorso. Attraverso le parole di Radio Aut, la radio in cuiPeppino e la redazione sbeffeggiavano pubblicamente i mafiosi, viene ripercorsa lastoria di questo giovane ragazzo. Un giornalista combattivo, che è andato contro tut-to e tutti. Perfino contro la propria famiglia. (A. F.)

PALERMO GUIDA ALL'ARCHITETTURA DEL '900 / 280 pagg. / € 18 / Salvare Palermo

Non è una storia dell'architettura ma una storia del tessuto cittadino attraverso leopere presenti in città. Questa guida, nell'intento di Matteo Iannello e Glenda Scolaro,nasce come strumento di conoscenza per i turisti, gli studiosi o i semplici appassio-nati che siano disposti ad affrontare un itinerario inedito. Non sempre infatti, ciò cheè sotto gli occhi di tutti è visibile. Una mappa della città accompagnerà il lettore nel-la ricerca dei cento progetti descritti all'interno delle tavole di riferimento, interval-lando ciascuna scheda con pagine speciali sulle principali vicende urbane legate allastoria dei piani urbanistici, dei concorsi, delle demolizioni e delle ricostruzioni, dellespeculazioni edilizie e del difficile recupero del centro storico. (A. F.)

VENTO SCOMPOSTO / 405 pagg. / € 19 / Feltrinelli

Un disegno ambiguo realizzato dalla piccola Lucy Pitt sta per strappare una bambinae la sua sorellina alla propria famiglia. Come vengono tutelati i bambini vittime diabusi? Forte della sua esperienza come avvocato, Simonetta Agnello Hornby presen-ta il suo nuovo romanzo giudiziario ricco di spunti di riflessione e avvincente comeun thriller. Un'indagine che si snoda all'interno della middle class londinese, descri-vendo il paradosso della norma giuridica chiamata Children's Act: pensata per tute-lare il minore, infatti, può finire, nella prassi giudiziaria, proprio per penalizzarlo. La Londra di Kensington e l'opulenza della city rivivono mettendo insieme alta-bor-ghesia e appartamenti di periferia, aule di tribunale, parchi e mercati. (A. F.)

LA VERITÀ SCOMODA / 176 pagg. / € 15 / Aliberti

Mauro De Mauro, nel 1962, ritrova un vecchio verbale di polizia: sono le rivelazioni di unpentito mafioso, risalenti al 1936, che descrivono l'organigramma completo di CosaNostra. Il giornalista de "L'Ora" pubblica in tre puntate il verbale sul celebre giornalepalermitano. Quel documento potrebbe rappresentare una svolta decisiva per far lucesulla scomparsa di De Mauro, avvenuta il 16 settembre 1970. L'inchiesta di FrancescoViviano, inviato speciale di "Repubblica" sostiene che dietro la morte di De Mauro cisarebbe il tentato golpe di Junio Valerio Borghese e la ricostruzione, con troppi anni d'an-ticipo, degli interessi che la mafia siciliana tesseva insieme a illustri personalità del mon-do politico e imprenditoriale, che collegava Palermo con Roma. (di Adriana Falsone)

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ta che hanno la caratteristica di essere leggeri, siacome struttura che come percezione visiva, ma tutta-via solidi e duraturi), con estrema attenzione sia ai cri-teri antisismici che all’impatto ambientale. Così è pos-sibile trovare nella struttura molte bioarchitetture,pannelli solari per il fabbisogno energetico, ma anchetetti-giardino, senza tralasciare l’idea della dinamicità,del movimento, e soprattutto, del luogo di incontro, èanche prevista la connessione wireless gratuita su tut-ta la superficie del campus. Inoltre, da una convenzio-ne stipulata con l’Amministrazione comunale diPalermo, sono state anche stanziate delle borse di stu-dio per i studenti più meritevoli, per cui l’Istituto siimpegna a darne due per ogni classe dei corsi. L’interaopera, che verrà completata nel 2014, prevede seicostruzioni per una superficie coperta di 4.210 metriquadrati e 16.857 di area verde circostante, dove, oltreal Campus Lincoln verrà ospitata anche l’Università di

Malta (Link Campus), con corsi di studio che apparter-ranno principalmente a due aree: quella economica equella giuridica, che alla fine, rilasceranno agli studen-ti dei titoli riconosciuti, a tutti gli effetti di legge, sia inItalia che all’estero. La storia del Campus Lincoln sem-bra così calcare quella della Columbia University, unadelle università più all’avanguardia d’America, proget-tata da Renzo Piano e sorta ad Harlem, un quartiere diNew York: allora si concepì un nuovo modo di farearchitettura orientata alla socialità. Infatti allaColumbia, così come al Campus Lincoln, l’architetturanon è un’imposizione verticale sul territorio e i suoiabitanti, ma diventa un movimento che non può pre-scindere dalla compartecipazione degli abitanti e dal-l’interazione con il territorio. Il Campus è aperto ai visi-tatori sin da adesso. Per maggiori informazioni, inoltre,è possibile anche visitare il sito Internet ufficiale all’in-dirizzo web www.campuslincoln.it.

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Da un sodalizio importante tra pubblico e privato,nasce a Palermo, immerso nel verde di VillaggioRuffini, un polo d’eccellenza. È il Campus Lincoln, pri-mo grande complesso scolastico stile Usa: un luogo incui l’istruzione si fonde con lo sport e il tempo libero.Palestre attrezzate, aule a norma, una piscina, un cam-po da basket, sei campi da tennis, un auditorium, unasilo nido, una biblioteca, una mensa con annessa lacaffetteria, ma soprattutto una struttura residenzialecon 220 posti letto: sarà tutto questo il CampusLincoln, pronto ad ospitare quei giovani pieni di vogliadi cultura, di crescita, sport e di condivisione. Così, pro-prio a Palermo, in un’area tra le più povere di servizi e

di attrezzature per la realizzazione e la gestione di unascuola superiore, nasce la struttura, grazie all’entusia-smo di chi ha creduto e portato avanti il progetto, invia Eleonora Duse, tra la vegetazione che circondal’area dove di recente il Comune di Palermo ha avviatoun piano di riqualificazione. «Per noi, che abbiamo stu-diato all’estero, è normale concepire una scuola che siaanche residenziale con campi sportivi, biblioteche eristoranti. In Europa è così, e abbiamo voluto dareanche ai giovani palermitani l’opportunità di studiarein un vero e proprio campus». Sono le parole diGiuseppe Tumminelli (nella foto a sinistra), uno dei due

dirigenti della Lincoln Srl insieme a Massimo Muscato(nella foto a destra), che possono ormai ritenersi d’ar-te nel settore; la famiglia Muscato vanta alle spalle unagrande tradizione in fatto di scuole paritarie, avendo-ne gestite già dal secondo dopoguerra (tra licei e isti-tuti tecnici). Per definire l’intero progetto, commissio-nato ad un studio di professionisti, tra cui quattro inge-gneri e un architetto (tutti siciliani e under 35), ci vor-ranno altri cinque anni, ma due blocchi verranno com-pletati a breve, ed è proprio qui che la scuola si trasfe-rirà in primavera. Ma non sarà solo l’utenza scolasticaa giovare della struttura. Infatti, anche la collettività ela cittadinanza intera potrà usufruire degli impianti

sportivi, delle biblioteche, dell’asilo nido e del-l’auditorium. «È stato molto importante esignificativo - continua Tumminelli - potercirendere conto delle professionalità d’eccel-lenza che esistono nella nostra terra. Ci siamoavvalsi delle competenze specifiche di circaquindici imprese tutte diverse, che, da quan-do è stato avviato il cantiere, hanno lavoratoininterrottamente, con grande cura per i det-tagli». Così la Lincoln Srl, che fa parte diConfindustria, lancia messaggi ottimistici almondo dell’imprenditoria siciliana: «Bisognaavere fiducia e credere in questa terra – con-tinua Tumminelli - così per noi che crediamoprofondamente nel futuro della Sicilia evogliamo assicurare un futuro migliore ai gio-vani e ai nostri figli, fin da subito abbiamocreduto fortemente in questo progetto. E

quando un’attività privata interviene sul territorio condelle idee valide anche le banche le supportano.Adesso, nonostante qualche notte insonne, non vedol’ora di raccogliere i primi frutti». Così con il supportodell’amministrazione comunale e il sostegno finanzia-rio di Banca Nuova, la nuova realtà che sta per nasce-re a villaggio Ruffini darà posti di lavoro a circa150/200 docenti. Estrema attenzione è stata rivolta poiall’architettura, infatti lo studio al quale è stata com-missionata l’opera ha pensato a particolari tecniciall’avanguardia ed anche eco-compatibili: dalle faccia-te ventilate, al brise-soleil (dei pannelli di lamiera fora-

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Inaugura a Palermo il primo grande complesso scolastico stileUsa: un polo d’eccellenza tra istruzione, sport e condivisione

CAMPUS LINCOLN

ph. Luca Savettiere

ph. Luca Savettiere

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Un attore diretto e solare, di una semplicità coin-volgente, qualità piuttosto rare, per un artista.

Faccia pulita, jeans e maglietta, Vincenzo Ferrera ha 36anni, è palermitano ed è l’ispettore Stefano Martorananella soap “Agrodolce”, in onda tutte le sere su Rai 3.In realtà, prima del piccolo e del grande schermo, l’ar-tista si è formato sul palcoscenico: fra il 1994 e il 1996ha seguito laboratori e seminari su singoli aspetti dellarecitazione, per poi debuttare con l’Amleto portato inscena da Carlo Cecchi, che lo ha voluto con sé ancheper altre pièces. Nel 2003, ha recitato per Toni Servilloin “Sabato, domenica e lunedì” di Edoardo De Filippo eper Glauco Mauri in “Enrico IV” di Pirandello. Una pre-messa tutta teatrale, dunque. «Il teatro è la mia passio-ne - spiega l’attore. – Esso richiede inevitabilmente ilfatto di riuscire a cogliere più sfumature interpretative;questa ricerca, per di più applicata ad un teatro di qua-lità è assolutamente appagante». Dopo 12 anni aRoma, tra tournée e il debutto cinematografico nel1999 con “Il Manoscritto del principe” di Roberto Andò(con cui ha collaborato anche nel 2005 in “Viaggiosegreto”) Vincenzo si fa notare dal grande pubblicorivestendo i ruoli di Beppe Montana ne “Il capo deicapi” e Vincenzo Li Muli ne “Gli angeli di Borsellino”.Cosa lega tutti i ruoli che ha interpretato? «Cerco direcitare in modo naturale», afferma. Sembra una con-traddizione in termini, ma Vincenzo spiega che ha in sécome un “database emozionale”, legato senza dubbioall’esperienza teatrale, da cui attinge per assumere unruolo. «Nel calarmi nel personaggio uso la spontaneità- continua - e non riesco ad ammiccare troppo alla tele-camera». Racconta di imbarazzarsi quando i fan lo rico-noscono, sebbene si definisca un egocentrico e un indi-vidualista. «Non come Stefano Martorana, che ha com-pletamente dedicato la sua vita agli altri», prosegue. «Ilfatto è, che si può essere artisti, senza ostentarlo».Sempre sottovoce e con i piedi per terra racconta:«Nella fiction il rapporto tra il mio personaggio Stefanoe il figlio Michele è stato una sorta di tirocinio».Vincenzo Ferrera, infatti, si è ristabilito a Palermo peruna congiuntura di cose, in primis è neo papà: «Eropreoccupato inizialmente, pensavo che il mio lavoropotesse non essere ideale per un bambino, ma poi hocapito che non è la quantità di tempo trascorsa insie-me ma la qualità a fare la differenza». Una sensazionenuova quella di genitore - educatore, tanto che il suosogno è aprire una scuola di recitazione a Palermo:«vorrei coinvolgere tutti i talenti locali, oltre i miei ami-ci e colleghi Ernesto Maria Ponte e Orio Scaduto; vorreitutti gli attori siciliani al mio fianco, da Claudio Gioè, a

Paolo Briguglia, fino a Corrado Fortuna». Come ulterio-re motivo di riconciliazione con Palermo, l’attore, è sta-to coinvolto nel progetto “Agrodolce”. Nel cosiddetto“romanzo popolare” sei famiglie vivono nell’immagina-ria città di Lumera, sulla costa siciliana, dove le lorovicende si intrecciano. Onesto e generoso, Stefano èl’ispettore del commissariato di Lumera, un poliziottoconcreto che conosce la realtà in cui lavora. Sono pas-sati anni da quando ha perso la moglie Gabriella, maper Stefano, rimasto con il piccolo Michele, non è sem-plice ricostruire. Vincenzo racconta di essere anche luiun nostalgico. Ossessionato dal tempo che scorre, con-vive con quella malinconia speciale legata al momentoche non ritorna. Lo prende insomma una memoireinvolontaire di proustiano retaggio, al rivivere dellesensazioni, anche nel modo e nel momento più inatte-so. “Agrodolce”, un progetto in evoluzione, nonostan-te la non semplice posizione all’interno del palinsesto

televisivo (la fascia oraria dedicata ai TG), «segue unalinea sempre più verosimile. “Agrodolce” ha innegabil-mente dato la possibilità a tantissime persone di lavo-rare e di costruire a Termini un polo di opportunitàlavorative», suggerisce l’attore. Come tralasciare, infi-ne, che Vincenzo Ferrera è la voce dei “A noi ci piacevintage” (il gruppo creato da un progetto con il percus-sionista Dario Sulis)? E in quanti hanno partecipato nelmese di dicembre all’atelier del Teatro Monteverginialla trasposizione locale della kermesse di Sanremo?Idea sua. «È un gioco, con Orio Scaduto ci siamo inven-tati una cosa carina che non c’era», dice. InsommaVincenzo Ferrera, ama reinventarsi, con slancio ecuriosità. Rifiuta l’idea di molti attori che sostengono“non avrei potuto fare altro”: «sarei potuto diventaremedico, come mio padre». La verità è che, spesso, èl’arte, in qualche sua forma, che sceglie te.

CINEMA

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VINCENZO FERRERA

di SVEVA ALAGNA

Faccia pulita, jeans e maglietta, l’ispettore Stefano Martoranadel romanzo popolare “Agrodolce”, racconta la sua “riconciliazione” con Palermo e il suo mestiere di attore

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ph. Valentina Glorioso

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Alienazione, auto-isolamento, terrore di mischiarsiagli altri? Sono le paure che oggi il progresso ci porta avivere, ma limitazioni da affrontare e sconfiggere. Daquesti temi nasce il cortometraggio “Far Finta di nonessere soli”, diretto dal regista Alex Madia Levi (napo-letano d’origine ma emigrato per lavoro a Londra) edinterpretato dai fratelli Giuseppe, Marco e Silvia LiVigni. Un tema attuale e complicato che il regista haperò voluto affrontare con dei personaggi che nellavita fanno i comici e la cui interpretazione, senz’altrospontanea, rende un tema difficile più leggero. MadiaLevi lancia così un unico chiaro messaggio: bisognatirarsi fuori dalla politica del terrore alla quale siamo

sottoposti ogni giorno. Ecco che allora vediamo tre fra-telli ricreare ogni mattina la stessa situazione, si sve-gliano, si preparano per uscire e si incontrano per stra-da fingendo di essere vecchi amici, e, come accadequando la situazione è però reale, passano ore a rac-contarsi gli anni trascorsi. Poi il ritorno a casa e allanormalità. Quattro minuti girati con un effetto vicino aquello della camera rotoscopica, che aggiunge al cortoun sapore fumettistico e che raggiunge il surreale alpunto da fare ridere e pensare: questa è pura follia! Ilsorriso diventa improvvisamente amaro se però pen-siamo che sono in tanti oggi a sentirsi soli e a non sape-re bene interagire con il mondo. Nella scelta del titolo ilregista ha voluto rendere un omaggio a Giorgio Gabermescolando in un unico ibrido i titoli di due suoi famo-

si pezzi, “La solitudine” e “Far finta di essere sani”, cheformano la colonna sonora. Nessuno come Gaber èinfatti riuscito a cogliere le sfumature delle stranezze ele anomalie dell’uomo medio italiano tra gli anni ‘60 e‘90. La simpatica coppia di comici palermitani Li Vigni &Li Vigni era già stata scelta dallo stesso regista per gira-re il corto “200” arrivato finalista di un concorso lancia-to su Youtube e anche questo ambasciatore di una con-dizione surreale: il desiderio di un vecchio che a due-cento anni vuole ma non riesce a morire. “Far Finta dinon essere soli” (su www.youtube.com digitando iltitolo del cortometraggio nella barra di ricerca o suwww.youtube.com/mewproductions) sarà invece pre-

sentato a Cannes 2009 nell’ambito della rassegna“Short Film Corner”. Ancora con i Li Vigni, Madia Leviporterà avanti un terzo progetto che questa volta livedrà nei panni di due serial killer poco probabili, pro-tagonisti di uno spoof horror. La carriera cinematogra-fica di Levi registra già alcune vittorie iniziate con il cor-tometraggio “Murderer either way” girato nel 2004,con il quale analizza in modo introspettivo la condizio-ne di un ragazzo di razza mista nella moderna societàbritannica, arrivato in semifinale al Festival di LosAngeles. Nel 2006 a Cuba, su invito del governo, dirigepoi un cortometraggio a sfondo sociale sul tema dellaprostituzione, vincitore nel 2007 come MigliorDocumentario al Festival di Miami e premiato nel 2008con il Nastro d’Argento al Festival di San Francisco.

Un “corto” per Li Vigni & Li Vignidi DANIELA GENOVA

I fratelli palermitani sono i protagonisti di “Far finta dinon essere soli”, che affronta le paure della società

CINEMA

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È ufficiale. È arrivata la primavera. Il sole è più cal-do, i fiori sbocciano e le persone si innamorano, e

quelle che invece si sono innamorate primavere fa... sisposano. In effetti, quale se non la primavera potrebbeessere la stagione più adatta per convolare a nozze?Ora, care future sposine, sono certa che nell’organizza-zione del giorno del sì non abbiate dimenticato nulla,pignole come siamo noi donne, in questo genere dicose. Ma tra musiche, partecipazioni, organizzazione deitavoli, scelta del menù, e tutta la lista infinita di cose chevi vede affaccendate da un anno, c’è una cosa che nes-sun diario di bordo matrimoniale vi ricorderà: tutti gliscongiuri perché questo matrimonio vada bene. E nonmi riferisco al corso prematrimoniale, ma di gran lungapiù laicamente, a tutte quelle superstizioni da seguirescrupolosamente. Perché, si sa, anche se non ci credia-mo, in fondo che ci mettiamo a farle? Insomma, perchéproprio tentare la sorte con tutti i guai che dicono ciaspetteranno? E allora prendete appunti e armatevi,anche se il giorno delle nozze è lontano perché “non sisa mai!”. Intanto, la prima,vecchia quanto il cucco: diVenere e di Marte nè si sposané si parte. Secondo la cre-denza popolare, infatti, ilmartedì appartiene al Dio del-la guerra, mentre il venerdìsecondo la cabala è il giornoin cui furono creati gli spiritimaligni. E quindi, voglio dire,ce ne sono sette di giorni disponibili, per sì e per no, sce-gliete gli altri. Poi: non vedere lo sposo dopo la mezza-notte del giorno del sì e non mostrargli l’abito da sposa.Ma questa secondo me, andrebbe seguita per un altromotivo, e cioè: visto il vestito, tolto lo stupore, no?Certo, a meno che non vi siete fatte prendere la mano escelto un look che forse potrebbe “stupire” un po’ trop-po... (mi raccomando, la semplicità è sempre l’arma vin-cente, specialmente il giorno delle nozze). Anzi, a segui-re proprio la tradizione, si dice anche che neanche lasposa stessa dovrebbe guardarsi allo specchio con ilvestito, o ad ogni sguardo dovrebbe aggiungere unindumento nuovo. Questa secondo me è la superstizio-ne più crudele: non vedersi col vestito che si è sognatoda sempre! Magari però, per non tentare proprio la sor-te guardatevi quando ancora vi manca qualcosa, cosìpare che si neutralizzi la sfiga. Altra cosa che si dice èche le perle sono lacrime e non vanno assolutamenteindossate. Questa non la sottovalutate. Anche perché miè stata recentemente confermata da un’amica, adesso

separata dal marito, che mi ha confessato che non è cheavesse solo un semplice ciondolino di perle il giorno delsuo matrimonio, ma addirittura tutta la parure comple-ta... insomma, non se la poteva scampare! Invece,meglio mettere l’acquamarina che dicono assicuri fedel-tà e un felice matrimonio. Oltre a questo la sposa poidovrebbe indossare quattro cose: una vecchia, una nuo-va, una cosa prestata da una persona cara e una cosablu. L’oggetto nuovo e quello vecchio simboleggiano ilpassaggio dalla fanciullezza alla nuova condizione, quel-lo in prestito significa far partecipare strettamente allacerimonia una persona cara, mentre l’oggetto blu è tra-mandato dalla tradizione ebraica di ornare le spose conun nastro di questo colore, segno di purezza e fedeltà. Epoi ovviamente il velo, che deve essere immancabil-mente regalato da una sposa felice. Se poi ne conosce-te una, che otre ad essere felice abbia anche buongusto, meglio per voi. Ancora un’altra cosa ha invece ache fare con il letto nuziale, vero cuore pulsante delmatrimonio: lo si prepara in due e andrebbe fatto la sera

prima del matrimonio da dueragazze nubili, meglio se ver-gini, in segno di purezza. Poi,il giorno stesso del matrimo-nio la sposa deve uscire dicasa con la gamba sinistracome buono auspicio per lenozze e una volta sposati,impossibile da dimenticare,anche perché sicuramente c’è

chi ve lo ricorderà: il lancio del bouquet. Ma mi racco-mando, mirate sempre la vostra amica o sorella single,perché se va a finire in mano dell’invitata odiosetta esempre piena di uomini, magari non vi porterà sfiga, macertamente vi farà veleno. E poi non scordatevi il risoall’uscita, augurio di ricchezza e gioia, e conservate unafetta di torta nuziale: vostro marito vi sarà sempre fede-le (almeno così si dice, ma non garantisco). Invece,lasciate perdere il detto: sposa bagnata e sposa fortuna-ta, solo un modo per indorare la pillola. La festa di addioal nubilato, infine, non c’entra niente con le superstizio-ni, ma fossi in voi, non me la perderei affatto: per qualesanto rinunciare ad una sana serata in stile “Sex and thecity”? A maggior ragione che potrebbe essere l’ultimaoccasione... Perciò non fatevi pregare, state al gioco, esoprattutto non fatelo insieme al futuro partnter, se noche gusto c’è? Credenze popolari? Tutte scemenze?Forse sì, ma se non altro fatele per ridere e allentare unpo’ la tensione di quei giorni... E poi insomma, tentarenon nuoce!

COSTUME

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Tra musiche, partecipazioni,organizzazione dei tavoli e tutta

la lista infinita di cose che vivede affaccendate, c’è una cosa

che nessun “diario” matrimonialevi ricorderà: gli scongiuri perchéquesto matrimonio vada bene

Matrimoni & Superstizioni

di FEDERICA SCIACCA

Un piccolo vademecum di regole d’oro per tutte le future sposine, tra riti propiziatori e gesti scaramantici, per un matrimonio antisfiga e a prova di malocchio

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Anni fa, armato di chitarra, Roberto Benigni li esalta-va in “L’inno del corpo sciolto” cantando: «Evviva i cessi/ sian benedetti / Evviva i bagni, le toilette e i gabinetti».Oggi, potenza della rete Intenet, li possiamo anche foto-grafare, mettere online e giudicare. Già, perché non èfacile rapportarsi al wc. Soprattutto quando non si usaquello di casa, ma la “tazza” di un locale pubblico: spes-so sporco, malsano e che fa un odore irritante. Però,quando – nei ristoranti, in pizzeria o al cinema – ti pren-de quel bisogno di “incipriarsi il naso” (per le donne) o“lavarsi le mani” (per gli uomini), non resta altro da fareche prendersi di coraggio e affrontare l’orinatoio. Prontia trovare di tutto, un po’, come degli Indiana Jones, e a

mettere da parte, in nome della minzione, anche le piùelementari regole igieniche. Ma quale è effettivamentel’orinatoio più sporco? A chiarirci le idee ci ha pensatoallegramente la giornalista Maria Letizia Affronti, sup-portata da Gabriele Maira, creandowww.iltronodeire.com, un sito che, leggendo l’homepage, “nasce da un’esigenza concreta che riguarda tuttigli esseri umani: quella di trovare un luogo consono perespletare le improvvise ma necessarie espressioni fisio-logiche”. E così i due burloni si sono divertiti a girare (ebollare con tanto di adesivo) alcune toilette pubbliche diPalermo, Enna, Caltanissetta, Ragusa e Trapani, dandoun preciso giudizio con tanto di scheda e foto. «In prati-ca è una guida “Michelin” delle toilette – dice la Affronti– che nasce dalla valutazione del fatto che spesso i pro-prietari dei ristoranti o gli esercenti cinematografici, tra-scurano la qualità del gabinetto, quasi come se non

facesse parte del locale». E così, per ogni “trono” c’è unascheda, con tanto di location e foto, indirizzo, descrizio-ne, voto e il consiglio se frequentarlo o tenersi alla larga.Il fenomeno provocato dal sito si è allargato, al puntoche gli utenti, hanno cominciato a fornire loro stessimateriale da recensione per “pisciatoi” degni di nota. Ecosì, limitandoci ad alcune voci della pagine palermita-ne, si legge che nel “trono” del bar del Foro di piazzaVittorio Emanuele Orlando, quello di fronte il tribunaleper intenderci, «non vi è la minima attenzione alla suapulizia, igiene e cura». Se la passa un po’ meglio il “sedi-le” del Al 59” in piazza Verdi dove «sussiste un odoresgradevole in tutto il blocco servizi, composto da 3 vani

wc. Il wc handicappati non è a norma». Neanche i cine-ma vengono risparmiati. Così, il “trono” del King di viaAusonia 111 è classificato come «appena sufficiente. Unsolo lavabo è veramente poco per un’utenza numerosa,concentrata spesso in un breve lasso di tempo». Pienivoti invece per la toilette di “Luci e calici” di viaSammartino 121: «Uno dei migliori. Non solo perchécurato nei minimi dettagli ma anche e soprattutto per-ché è un vero e proprio luogo dedicato al relax e allatranquillità. Oltre alla dolce musica all’ingresso si è accol-ti da un forte odore di incenso». Resta una curiosità.Quale è la toilette cittadina nelle peggiori condizioni?Secondo i visitatori del sito iltronodeire.com e come dicela Affronti ridendo: «Collica in viale Strasburgo, con il“trono” a pochi centimetri dal bancone della rosticceriae dei gelati, un bagno unisex e senza l’area per disabili.Senza carta igienica e addirittura senza tavoletta».

“Troni pubblici”, una guida sul webdi VASSILY SORTINO

Una “guida Michelin” utile e divertente che passa inrassegna le toilette pubbliche palermitane e non solo

COSTUME

Tira in ballo una delle allegorie più antiche di tutti itempi. E lo fa con uno sguardo rivolto all’attualità e allacapacità di far ridere la gente. “Siamo tutti nella stessabarca”, il nuovo talk-show diretto da Ignazio Mannelli inonda su Tgs e Trm da qualche settimana si avvale di unacoppia già collaudata: Gianni Nanfa e Marcello Mordino.Trenta minuti a puntata girati sul set del teatro AlConvento di via Castellana Bandiera trasformato in unabarca con tanto di vela ammainata e timone. E Nanfa eMordino come conduttori faranno la parte del nostromoe del mozzo. A condire le interviste ci sarà anche lo sguar-do curioso e attento della “topocam” che dal basso,appunto, sbircerà tutto ciò che accade. «La grande novità- dice Ignazio Mannelli, ideatore del format - sta nella tea-tralità del tutto. E ci saranno delle “boe teatrali” da supe-rare. Come il giuramento dei politici che prendono partealla trasmissione di non remare mai contro la città. Il miointento è quello di riuscire a creare a Palermo uno sguar-do televisivo attento ai problemi della città, ma anche ditutta l’Isola. Desideravo portare un po’ di potenza dicomunicazione nella realtà televisiva della Sicilia occiden-tale da tempo surclassata dal polo di Catania». Torna cosìdopo più di dieci anni l’atmosfera della fortunata trasmis-sione “Non parlare al conducente”, girata sugli autobus di

linea con l’interazione degli stessi passeggeri sui temi diattualità. «È un talk-show alternativo - dice Nanfa - al pas-so con i tempi. Abbiamo rinunciato alla classica strutturaun po’ ingessata con poltrone e interviste per qualcosa dipiù dinamico. La componente del gioco è molto impor-tante. Una trasmissione impegnativa, ma allo stesso tem-po divertente». I conduttori faranno salire a bordo ognivolta ospiti diversi del mondo della politica, dello spetta-colo, della cultura, dell’imprenditoria e della Chiesa.«Passeremo dal serio al faceto - dice Mannelli - con la spic-cata irriverenza di Mordino e un presentatore graduatocome Nanfa». Si navigherà sulle difficili acque della crisieconomica, della precarietà del lavoro e del futuro deigiovani. Molto importante sarà anche il supporto del pub-blico che sulla barca avrà il ruolo della ciurma. «Con que-sto format - continua Nanfa - nasce anche un nuovomodo di condurre. Si tratta di un gioco fra il nostromo, gliospiti e il comico ormeggiatore. Poi si crea un’atmosferada “siamo tutti marinai” dove le cariche non esistono ocomunque non valgono più. Anche questa è una rotturarispetto al solito schema». La trasmissione va in ondamartedì alle 20.30, mercoledì alle 22.15, sabato alle 20.30e domenica alle 21 su Tgs, sabato alle 23.30 su Trm elunedì, mercoledì e venerdì alle 00.25 su Med 1.

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Siamo TUTTI nella stessa barcadi CLAUDIA BRUNETTO

“Sbarca” in tv il nuovo talk-show alternativo per rompere gli schemi, tra risate e attualità

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Il nome è netto, “Per Palermo”. Il simbolo è un tastod’accensione, un’antica runa che segna l’apertura dalbuio alla luce. Già dai primi segni, quelli esteriori, il nuo-vo movimento palermitano offre subito l’idea di quelloche si propone di fare: operare concretamente perché lacittà diventi migliore, un impegno al cambiamento chepassi da progetti condivisi con il maggior numero possi-bile di persone. Il movimento è stato presentato ufficial-mente il 14 dicembre e già il 22 marzo, data del secon-do incontro cittadino, il pubblico era quasi raddoppiato.Perché il desiderio di cambiare è tanto e le idee per far-lo altrettante. E non c’è più la pazienza di aspettare chelo facciano gli amministratori della cosa pubblica. «”PerPalermo” è l’ultima cosa che avremmo voluto fare –spiega Giuseppe Valenti, presidente del movimento –perché significa che qualcosa non funziona. I politici chedovrebbero far funzionare la città, e intendo sia quelli didestra che di sinistra, ci danno invece solo un fruttomalato. La nostra città è malata. Il lavoro, la cultura,l’ambiente, la qualità di vita: niente risponde ai criteriminimi». Lo scopo del movimento, formato da una tren-tina di fondatori e aperto a chiunque voglia farne parte,è quello di studiare i problemi della città e di creare deigruppi di lavoro che, ognuno nel proprio settore, pro-

pongano delle soluzioni. Gli spunti di lavoro sono tantis-simi: individuare criteri e regole per lo sviluppo sportivo,culturale e artistico di Palermo; l’attenzione al turismo; irifiuti; progettare un organico Piano urbano del traffico;speculazione urbanistica e riqualificazione del centrostorico. E molti altri ancora gruppi di lavoro e discussio-ne a cui si può dare il proprio contributo sul sito delmovimento: www.perpalermo.it. «Ormai c’è un distaccototale fra i cittadini e chi li amministra – continua Valenti– il cittadino viene offeso continuamente e ci si abitua.Noi invece vogliamo che il movimento cresca con tuttele persone di buona volontà che vogliano rimboccarsi lemaniche per la loro città. Noi siamo quello che faccia-mo, non quello che diciamo di fare». Tra le frecce all’ar-co di “Per Palermo” per farsi conoscere, oltre agli incon-tri cittadini (il prossimo sarà il 14 giugno) e il sito inter-net, c’è anche la trasmissione con Gianni Nanfa (che èuno dei fondatori del movimento) e Marcello Mordino“Siamo tutti nella stessa barca” in onda su Tgs, Trm eMed1. I primi risultati concreti degli studi avviati sullamobilità e sui rifiuti saranno presentati durante l’incon-tro cittadino di fine anno. «È l’ultima cosa che ci rimaneda fare – conclude Valenti - perché dai politici non pos-siamo aspettarci altro».

SOCIETA’

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Un movimento “Per Palermo”di SONIA PAPUZZA

Nasce a Palermo un movimento di liberi cittadini apertoa tutti, per un cambiamento concreto della città

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distacco, fondamentale per scucire informazioni, gli ave-vo detto, facendo leva sul suo senso di cavalleria: “Io ado-ro il grattò, magari mi dai un’idea sul condimento”. Lui,con la ritrosia di chi non vuol compiere alto tradimento,mi aveva risposto: “Na volta cci mette la carne, un’altrabbasciamella e formaggi e prociutto, quello che capita ccimette”. L’importante è la chia-rezza delle informazioni! “Unosi serve anche delle cose cheha in casa”. “Noo! Macchiè esecondo te c’ave cose per trechili di grattò? Le compra fre-sche!” Come avevo potutodubitare della freschezza degliingredienti? Comunque a finepasto l’unica cosa che avevo saputo è che il grattò dellazia era ottimo. In effetti il grattò non è solo buono, èun’ottima alternativa alla pasta col forno. Può essere con-dito in qualsiasi modo: ragù, verdure, formaggi, salumi,alcuni poi lo farciscono con uno stufato di interiora, conconseguenze apocalittiche per gli stomaci. La base èsempre la stessa. Per un chilo di patate lessate, spellate e

schiacciate servono: tre uova sbattute da amalgamarealla purea, un po’ di formaggio grattugiato a vostra scel-ta, un po’ di burro per ammorbidire il tutto (la quantitàdipende anche dal tipo di patata), sale, pepe e alcuniaggiungono noce moscata, altri cannella, tutte le speziedipendono dal proprio gusto. Si mescolano gli ingredien-

ti fino a ottenere un compostoomogeneo. Si versa dell’olio inuna teglia, si sparge un po’ dipan grattato e si versa metàdell’impasto. Si copre con unostrato di condimento e si rico-pre con l’altra metà dell’impa-sto. Infine si spolvera con ilpan grattato, si aggiunge un

filo d’olio e si fa cuocere in forno caldo a 200° per mez-z’ora circa. L’ideale sarebbe lasciarlo addimurare unpoco, ma non mangiarlo troppo freddo, soprattutto se cisono formaggi o carne. Salutando il giovane cameriere misono permessa una battuta: “Ah, grazie per quella ricet-ta! Lo prepariamo spessissimo!” Gli ho strizzato l’occhio eme ne sono andata. Per un crasto, un crasto e mezzo!

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Il grattò non è solo buono, èun’ottima alternativa alla pastacol forno. Può essere condito inqualsiasi modo: ragù, verdure,formaggi, alcuni lo farcisconocon uno stufato di interiora

L’ABBINAMENTO IL VINO

di GIORGIO AQUILINO

Non è raro trovarsi a discutere sulla funzione dell’abbi-namento e sulla reale importanza di questa materia. Ciòperché si trascura troppo spesso la funzione sociale cheil vino ricopre, cioè quella di essere servitore della tavo-la. Grazie alla naturale capacità di animare il cibo senzaessere né invadente né arrendevole, il vino pulisce labocca fra un boccone e l’altro ravvivando, così, il desi-

derio del boccone successivo e uscendone, in caso di abbinamento corretto, asua volta esaltato. Questo è poi il fine ultimo della nostra missione. Trattandodel caso concreto, precisiamo innanzitutto che i cibi a base di patate, con laloro tendenza dolce, vanno contrapposti ad una certa durezza del vino, datada elementi di acidità, sapidità o effervescenza. Le altre variabili saranno comesempre valutate degustando il piatto finito: una preparazione a cui è consiglia-bile abbinare un vino rosato con un bouquet fruttato, morbido, fresco, dimedia struttura e buona persistenza aromatica intensa. Tuttavia è inevitabileche l’aggiunta di altri ingredienti, quali formaggi e salumi, possa cambiare inqualche modo alcune di queste considerazioni, facendo vacillare la bilanciasensoriale verso altre direzioni. Ad ogni modo, considerando la nota ricetta del“grattò”, la scelta migliore sembra essere il rosato prodotto nella Doc Sambucadi Sicilia.

“Finalmente la primavera, che gioia! Gli uccellini cin-guettano, si annusano profumi di magnolia e di mandor-lo, i prati rinverdiscono…”. Facevo queste romanticheconsiderazioni, in compagnia di un’amica, quando ilcameriere del bar, in cui eravamo sedute, servendoci unacoppa di gelato, con panna e brioscina – se si deve pec-care, bisogna farlo con tutti i crismi! - si è intromesso e miha detto: «A me la primavera mi piace perché mi smuovela fame!». E mi ha fatto l’occhiolino. Sono rimasta stordi-ta. Che voleva dire? Non sono così gnucca, il parallelismofra cibo e goduria, fra gola e lussuria lo conosco anche io,ma perché questa intromissione? Voleva una lauta man-cia? Gli sembravamo donne disperate in libera uscita evoleva aiutarci a innalzare il livello di autostima? Sguardiinterrogativi tra me e la mia amica hanno gelato l’attimo.Lui, imbarazzato, è fuggito via. Noi siamo scoppiate inuna risata, che ha rasserenato anche il giovane impiega-to. Noi, brave comari, abbiamo cominciato a improvvisa-re illazioni sui motivi dell’intromissione. “Ti ha strizzato

l’occhio, gli piaci”, “Ma che dici? Avrà avuto una pulce nel-l’occhio, una piattola nella pupilla, un moscerino nel nasoe gli veniva da sternutire”. Quando il ragazzo è tornato,gli ho chiesto, per sfidarlo un po’, cosa volesse dire. Aquel punto lui ha cominciato a bofonchiare: «Non ti… nonsi ricorda? Ci siamo conosciuti da Peppe. Io prima lavora-vo lì». Ma certo! Lui lavorava in una trattoria agreste, chefrequentavo qualche anno fa. Ricordo una sera, dopoPasqua, in cui, avevamo parlato di gitarelle, di pranzi, inparticolare della scampagnata che avrebbe fatto il 25aprile. Mi aveva osannato le meraviglie del grattò dellazia. “Mizzica, un lusso, attrocchiè! Ne deve fare pe llomeno tre chili, attrimenti non abbasta!”. “Ma perché sie-te assai?” avevo domandato io. “Macchiè! Anche fossimotre, sempre tre chili ne deve fare!”. Incuriosita avevoavanzato la richiesta della strepitosa ricetta. “E io che neso?”, “Si, ho capito, almeno dimmi cosa c’è dentro”.“Miiii, un sacco di cose!”. Il solito atteggiamento omerto-so dei siciliani, che devono farsi preziosi. Con un certo

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Patate, uova, formaggio, burro e pan grattato sono la base del “grattò”, tutto il resto è fantasia

“Grattò”: l’orgoglio della ziadi LETIZIA MIRABILE

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“Luogo di sosta per consentiti pubblici piaceri”: reci-ta così il “sottotitolo” del ristorante e wine bar CasaPitrè “Art in progress”, a Palermo in via principe diVillafranca 1. Una frase che in poche parole riassumeperfettamente il senso di questo luogo, in perfettoequilibrio tra storia, arte e buona cucina. Casa Pitrè èinfatti innanzitutto un luogo storico visto che il risto-rante ha preso il posto della dimora del grande medi-co, scrittore e filologo, Giuseppe Pitrè. Ma è anche esoprattutto un luogo d’incontro, dove far sentire a“casa” i propri ospiti, un posto dove celebrare senzaformalismi “i consentiti pubblici piaceri” e le arti in tut-

te le loro forme, a cominciare da quella culinaria. Giàentrando dal piccolo giardino, l’atmosfera che si respi-ra ha un chè di rilassante e di esotico al tempo stesso:un angolo con i quotidiani del giorno, musica soft,arredamento sobrio ed elegante, e l’arte “spennellata”lungo tutte le pareti, a cominciare dalla “pareteBottari” con le opere di Lorenzo Maria Bottari inmostra permanente, per finire con le esposizioni che sisusseguono di quadri, sculture e fotografie di artistisiciliani e non. «Ho avuto la fortuna di viaggiare tantoin giro per il mondo, dalle Americhe all’Indonesiadall’Europa all’Africa, e da questi luoghi ho “rubato” i

piatti tradizionali, che oggi, rivisitati secondo il nostrogusto, propongo a volte ai miei ospiti»: parla con lapassione negli occhi di chi ama il suo lavoro, DaniloPassalacqua (al centro nella foto), l’ideatore del proget-to fin nel suo più piccolo dettaglio. «Qui concepiamo ilcibo come un momento di piacere, e per questo primodi tutto, non rinunciamo alla qualità delle materie pri-me. Il nostro menù, infatti, cambia almeno due volte asettimana a secondo del pescato del giorno e delle pri-mizie di stagione. In cucina siamo un “team di pensa-tori”: creiamo, sperimentiamo, proviamo, assaggiamo,e quando il piatto ha raggiunto il suo massimo equili-

brio allora lo portiamo ai tavoli»: -continua Danilo. È una cucina trainnovazione e tradizione, infatti,quella di Casa Pitrè, territoriale sì, maanche con accostamenti etnici. Ed ècosì che vengono fuori le zuppe dicozze e todaretti, i bucatini alle aran-ce, i piatti a base di formaggi deinebrodi, ma anche Lomo Saltado(piatto tipico peruviano), il ribeyargentino, le carni scozzesi, le crépesarabes e i libidinosi dessert preparatisempre da quel team di pensatori,che evidentemente, oltre che a pen-sare, è bravo anche a creare. Il tuttoannaffiato da vini di tutto rispetto,tra autoctoni e non, insieme ad unaparticolarissima carta di birre belghe.«Da aprile a giugno, oltre a concertinilive nella parte all’aperto del locale

ed a un ciclo di “mostre evento degustazione” -aggiunge Danilo- partirà la terza edizione delle cened’autore: cioè delle cene a tema letterario, il cui menùè tratto dal titolo o dal contenuto di un libro, che trauna portata e l’altra viene letto dal suo stesso autore».Infine una chicca in anteprima: «“La terrazza a mare”di Casa Pitrè, per i nostri “pubblici e privati piaceri”…»: dice sorridendo. Il locale è aperto dal lunedì al saba-to dalle 12 alle 15.30 e dalle 19 alle 2. Per informazionio per prenotare, è possibile telefonare allo091.6119087 o 340.9882436 oppure visitare il sitowww.casapitre.it.

Casa Pitrè: tra cucina, arte e storiadi FEDERICA SCIACCA

Il ristorante e wine-bar nel cuore di Palermo, dovecelebrare e assaporare “consentiti pubblici piaceri”

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Bisogna cominciare bene per procedere alla gran-de, per diventare grandi. Bisogna provare, guardarsiintorno, sperimentarsi, assaggiare, toccare con manoche la vita offre mille opportunità, mille suggestionida prendere al volo. Ognuna di esse è una promessa,una possibilità di riconoscimento del proprio talento,della propria passione, del proprio personalissimomodo di stare al mondo. Per questo Kids’ BritishSchool, la scuola “creativa” paritaria dell’infanzia,punta tutto sui laboratori, in cui, sotto la silenziosaregia di una squadra di insegnanti-artisti, i bambinipossono, giocando, sperimentare la propria creativi-tà, mettersi allaprova, impararead essereresponsabili delproprio compi-to, realizzandocon le propriemanine, facen-do da sé. Eccoperché l’offertaformativa dellascuola si basa suuna program-mazione perobiettivi cherisulta aperta,flessibile erispondente alleesigenze dei piccoli allievi. A questa prima fase esplo-rativa, di scoperta della varietà del mondo, si affian-ca, quindi, il necessario momento di sintesi: ognilaboratorio (grafico-pittorico-manipolativo, espressi-vo-musicale, di inglese ed educazione motoria), infat-ti, offre il proprio contributo alla realizzazione di unprogetto teatrale annuale, una vera e propria rappre-sentazione in cui ogni talento e ogni suggestionepotrà comporsi in armonia con quella del propriocompagno, imparando a procedere in gruppo al con-seguimento di un obiettivo comune. La scuola, è allo-ra chiaro, diventa un momento di progettazione del-la socialità, basato sulla cooperazione e l’incontro con

l’altro. Ogni attività, infatti, viene portata avanti,giorno per giorno, con un metodo d’insegnamentobilingue, che vede l’inglese sempre protagonista, conuna docente madrelingua costantemente presente,durante tutte le attività. Grazie a questo mix esplosi-vo di competenze la Kids, come tutti affettuosamen-te la chiamano, si offre come primo momento disocializzazione, guidando il bambino alla scoperta ealla costruzione della propria identità ma anche occu-pandosi di ogni necessità della vita quotidiana: ascuola i bambini potranno usufruire di tutti i servizi dicura della persona e effettuare dei pranzetti golosi e

genuini. A luglio,inoltre, partirà, ilprogetto “Estatecreativa”, chepropone a tutti ibambini, anchea coloro che nonfanno parte del-la scuola, di“saggiare” perun mese la ric-chezza di sugge-stioni della scuo-la, magari men-tre papà e mam-ma sono a lavo-ro, prima delleferie. Durante

questo mese di attività i bambini potranno conosceree sperimentare le basi delle tecniche artistiche piùaffascinanti, sperimentandosi, con matite e colori, inun vero e proprio laboratorio grafico, cimentandosinella pittura e nella scultura e infine dando spazio allapropria creatività in un laboratorio “libero”, in cuiogni bimbo potrà sperimentare senza inibizioni. Kids’British School si trova in Via Umbria 2, si rivolge abambini in un’età compresa tra 2 anni e 6 mesi e 5anni e 6 mesi ed è aperta tutti i giorni. Per maggioriinformazioni è possibile visitare sul web il sitowww.kidsbritishschool.it, sempre aggiornato, oppuretelefonare allo 091.514150.

Kids’ British School, spazio creativoGrafica, pittura, scultura, espressione libera: a Palermo la scuola“creativa” paritaria dell’infanzia punta tutto sui laboratori

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