Backstage press gennaio 2015

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anno III n. 1 - Gennaio 2015 - Poste italiane s.p.a. sped in abb. postale D.L. 353/2003 (conv. in L. n. 46 del 27/02/2004) art. 1 comma 1 - DCB - Caserta

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Periodico di Musica, Cultura, Arte, Spettacolo

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Cià Guagliò

Il Duemilaquindici si apre con una notizia che non avrem-mo mai voluto leggere, una di quelle a cui si stenta a credere e per le quali si spera fino alla fine che possa trattarsi di uno scherzo.

La perdita di Pino Daniele, ci piace ricordarlo con una frase che lui stesso diceva quando gli chiedevano se sentiva la man-canza di Massimo Troisi…fac-ciamo finta che ci siamo “ap-piccicati”, che abbiamo litigato ed è solo per questo che non ci si incontra più.

Tornando a Backstage Press, questo mese di gennaio ci porta alcune novità, diamo il benvenuto a Giuseppe Maffia fotografo di esperienza e pro-fessionalità che arricchisce le nostre pagine di scatti impec-

cabili, Ambra De Vincenzi che ci racconta i principali concerti live della capitale e non solo e Francesco Ruoppolo musici-sta e musicologo.

Aces in My Book è invece la nuova rubrica che è curata da Alfonso Papa (omonimo del nostro caporedattore) esperto di libri e di cinema. Ha fre-quentato il master biennale in Tecniche della narrazione pres-so la Scuola Holden di Torino, un corso annuale di sceneg-giatura alla Scuola del fumetto di Milano e un corso annuale presso la Scuola di Giorna-lismo e Pubbliche Relazioni Carlo Chiavazza di Torino. Tra le altre cose ha collaborato con la casa editrice Einaudi in qua-lità di lettore e ha lavorato su alcuni set cinematografici, tra cui “Radiofreccia” di Luciano Ligabue e “Un amore” di Gian-luca Maria Tavarelli. Dal 1999

al 2007, prima per l’Associazio-ne Cinema Giovani e poi per il Museo Nazionale del Cinema si è occupato dell’organizza-zione del Torino Film Festival. Attualmente lavora in quali-tà di production manager per la Film Commission Torino Piemonte, dove fa anche parte della commissione di valuta-zione dello Short Film Fund. Ha scritto qualche saggio e articolo pubblicato qua e là (BestMovie, Quaderni del Pre-mio Letterario Giuseppe Acer-bi) e un sacco di roba sparsa inedita. Nell’ottobre 2014 ha fondato il blog magazine “Aces in My Book”. Prima o poi ter-minerà il suo primo romanzo. Forse. Vive a Torino.

Non ci resta che iniziare a sfo-gliare questo nuovo numero di Backstage Press e scoprirne tutti i contenuti.

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www.backstagepress.it

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ELISA

PINO DANIELE

TEMPO DI MUSICA

FIORELLA MANNOIA

BACALOV, REA, PIZZO

MARCHEL DUCHAMP

EMERGIAMO

ACES IN MY BOOK

TEATRO

PALLANTE

REDAZIONE Alfonso Morgillo, Wanda D’Amico, Alfonso Papa, Marica Crisci, Domenico Ruggiero, HANNO COL-LABORATO: Michela Drago, Alessan-dro Tocco, Francesco Ruoppolo, Alfon-so Papa (To), Giuseppe Maffia, Ambra De Vincenzi. REGISTRAZIONE n. 815 del 03.07.2013 presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (CE). Co-municazione Editore: Il Sogno è Sem-pre Onlus Sede Legale: Via Botteghino, 92 – 81027 San Felice a Cancello (CE) Sede Operativa: Via Giacomo Matteotti, 20 – 81027 San Felice a Cancello (CE) – Fax. 0823.806289 – [email protected] – www.backstagepress.it Distribuzione: Gratuita Stampa: Pieffe Industria Grafica

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TUTTI I DIRITTI SONORISERVATIBackstage Press è edito dall’as-sociazione culturale “Il Sogno è Sempre Onlus”. Tutti i diritti sono riservati. Manoscritti, dattiloscrit-ti, articoli, disegni e fotografie non si restituiscono anche se non pub-blicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere ripro-dotta in alcun modo senza l’au-torizzazione scritta preventiva da parte dell’editore. Gli autori e l’e-ditore non potranno in alcun caso essere responsabili per incidenti o conseguenti danni che derivino o siano causati dall’uso improprio delle informazioni contenute.

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L’anima Vola in the Clubs

Elisa

tx Ambra De Vincenzi

ph Giuseppe Maffia

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Si è concluso il 20 di-cembre all’Atlanti-co di Roma L’Anima

Vola Live in the Clubs, che ha portato Elisa sui palchi di alcuni dei più importan-ti club d’Europa per la terza tranche del tour legato alla promozione del fortunato album “L’Anima Vola”, pub-blicato il 15 ottobre 2013 per Sugar Music.

Una serie di successi, per-sonali e di vendita, hanno reso l’anno appena concluso particolarmente fruttuoso ed importante per Elisa. La cantautrice bisiaca è infatti finalmente riuscita ad af-frontare (e vincere) la sfida costituita per lei, da sempre, dall’italiano, sua lingua ma-

dre ma al contempo figura mostruosa, affascinante ma ostica, spaventosa perché costringe a spogliarsi com-pletamente, a svestirsi da tutte le maschere, a mettersi a nudo abbandonando ogni filtro. Il risultato di questa faticosa ricerca è appunto “L’Anima Vola”, il primo al-bum di Elisa scritto e can-tato interamente in italia-no. E se non mancano gli “aiutini” di qualche illustre collega (A modo tuo è un regalo di Ligabue, mentre i testi di E scopro cos’è la feli-cità ed Ecco che sono opera, rispettivamente, di Tiziano Ferro e Giuliano Sangior-gi), il grosso dei testi sono farina del sacco della stessa Elisa, che a questa sua svol-

ta linguistica ha dimostrato di tenere moltissimo, e que-sto forse è bastato a fugare i dubbi di quanti hanno avuto il sospetto che si trattasse di una mera trovata commer-ciale.

Il pubblico di Elisa, a giudi-care dai risultati di vendita ottenuti dal disco, pare pro-prio aver capito ed apprez-zato la direzione intrapresa dalla sua musica: l’album, infatti, è stato certificato di-sco di Platino dalla FIMI con più di 60.000 copie ven-dute.

E non è tutto, perché il 17 novembre scorso è stata pubblicata una riedizione del fortunato album, “L’Ani-ma Vola – Deluxe Edition”,

ph Giuseppe Maffia

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ph Giuseppe Maffia

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contenente tre canzoni ine-dite (Pugni sotto la cintura, L’abitudine di sorridere e Ti dirò di sì), due cover (One degli U2 e Bridge over trou-bled water di Simon & Gar-funkel) e un bonus DVD con interviste ed estratti dal-la data bolognese della pri-ma parte del tour.

Dopo un’annata così ricca di successi, una serie di date nei palazzetti a marzo, qualche data estiva con gran finale il 27 settembre all’Arena di Ve-rona, una tournée nei club di tutta Europa, Elisa ave-va parecchio da festeggia-re. Sul palco dell’Atlantico, oltre che dalla sua band (il compagno Andrea “Ringo” Rigonat alle chitarre, Chri-stian “Noochie” Rigano alle tastiere, Victor Indrizzo alla batteria, Curt Schneider al basso, Roberta Montanari, Lidia Schillaci e Bridget M. Cady ai cori), è stata accom-pagnata da due ospiti spe-

ciali: il cantautore londinese Jack Savoretti, che ha aper-to il concerto ed ha duettato con Elisa sulla sua Changes e sulla splendida Hallelujah di Leonard Cohen, ed il ro-mano Andrea Faustini, re-duce dall’ultima edizione di X Factor UK, che ha accom-pagnato Elisa in Forgiveness e in una deliziosa versione di (Sittin’ on) the dock of the bay di Otis Redding.

Elisa ha offerto un concer-to dall’attitudine rock, nel modo più puro ed assoluto possibile. La dimensione più intima e raccolta dei club è quella che più le si addice, valorizzandola tout court e rendendo possibile uno scambio più diretto con il pubblico. I suoi musicisti, d’altra parte, producono un suono compatto, esplosivo, da vera rock band d’altri tempi. Senza dubbio questa vocazione risulta un po’ pe-nalizzata dalla scaletta ab-

bondantemente infarcita di grandi successi che di rock hanno ben poco, ma si sa: quando il pubblico cresce bisogna dare un colpo al cer-chio e uno alla botte. Il risul-tato, nel caso di Elisa, è co-munque quello di un ottimo show, in cui a ballad emo-zionanti ed eteree come Fai-ry girl e Dancing si alternano pezzi energici ed esplosivi, dalle storiche Labyrinth, It is what it is, Rainbow, Cure me, alla nuovissima Pugni sotto la cintura. Si è riconfermato anche il momento jukebox inaugurato nella prima par-te de “L’Anima Vola Tour”, in cui Elisa e la sua band usano concedersi senza riserve. In occasione della data romana hanno regalato ben 5 pez-zi fuori scaletta: Electricity, Rock your soul, I know, Gift e Redemption song (classico di Bob Marley).

Il saluto finale di Elisa è un arrivederci a data da desti-narsi, perché il tour è giunto al termine e di notizie certe sul prossimo album ancora non se ne hanno. Ma Elisa, forse, ci spiazzerà tutti di nuovo: pare che al momento sia tornata a scrivere in in-glese. Non ci resta che aspet-tare!

ph Giuseppe Maffia

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Pino Danieletx Francesco Ruoppolo

Napule è…

Sono le 8 del mattino di lunedì 5 gennaio 2015, ho dormito a casa dei

miei genitori. Entra mia ma-dre e mi chiede se sono sve-glio, quindi mi dice “è morto Pino Daniele”. Ci metto qual-che minuto per capire che non si tratta di un incubo. Accendo il cellulare e vado su internet, pregando ogni dio possibile che si tratti di una bufala. Ma non è così, “zio Pino” ha raggiungo Massimo in Paradiso, perché se esiste davvero, non può che acco-gliere persone come loro.Vi è mai caduta una monta-gna addosso? Ecco, quella è la sensazione che ho provato: una montagna di ricordi, tut-

ti insieme, una montagna di dolore… non so da quel mo-mento quanto ho pianto. Chi non è di Napoli può ca-pire fino ad un certo punto, chi non è un musicista na-poletano può capire ancora meno. Pino Daniele non è stato solo un cantante, un chitarrista, non uno qualsiasi, Pino Daniele È Napoli, con le sue contraddizioni, con la sua bellezza, coi chiaroscuri, il ritmo frenetico, la melodia potente capace di conquistare il mondo, è popolo e cultura elevata, è Scampia e Vomero, denuncia e rassegnazione, impegno e superficialità. Ci ha talmente descritti, descri-vendo sé stesso, che ormai

siamo totalmente identificati in lui.Qualcuno che dovrebbe co-gliere l’occasione per star zitto ha detto cose assurde, tipo che Pino aveva preso le distan-ze dalla città, andandone via. Ora, per quanto possa infasti-dire che un tuo mito non stia alla porta accanto, bisogna però mettersi nei panni di un artista, che ha l’esigenza lavora-tiva di vivere prima di tutto in posti dove sia “centrale” la sua attività (Roma, Milano), e poi dove sia meno sotto i riflettori e anche con un po’ di distanza dal troppo affetto (quello sì) che un popolo come quello na-poletano può nutrire. Pino da subito si è trasferito, a Formia, dove aveva casa, studio. Poi altri spostamenti fino al buen ritiro in Toscana. Detto ciò bi-sogna sottolineare che non ha mai rinnegato la sua città; ci ha sempre difesi, ma al tem-po stesso pungolati, stimolati al cambiamento. Se prese mai distanze, queste furono quelle da cartolina, dalle immagini oleografiche che ancora oggi qualcuno si ostina a usare per coprire da una parte i problemi reali, dall’altra una città che di-venta sempre più moderna ed europea, con tutta la fatica che può esserci in una realtà come Napoli.Napoli nel dialetto, nell’accen-to, nel carattere, nel sorriso,

ph Giovanni Canitano

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ph Roberto Panucci

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sempre presente tra le note e nei tanti modi di dire presenti nelle sue canzoni, che ha fat-to scoprire a molti la parlesia, noi che ci chiedevamo chi fosse lo “jammone”.Perché Pino Daniele è così rappresentativo ed amato dai napoletani? Prima di tutto perché rappresenta un sim-bolo di rivalsa, un talento che ha sudato ogni risultato ottenuto. Nascere in un quar-tiere popoloso, difficile, in una famiglia numerosa, mo-desta, ed arrivare a suonare coi più grandi musicisti del mondo… se non è questa ri-valsa! È il nostro “sogno ame-

ricano”, il faro, l’obiettivo cui puntare, il riferimento di ogni ragazzo che va a comprare la sua prima chitarra, che scrive la sua prima canzone. Napoli oggi è purtroppo pie-na di un sottobosco fatto di improbabili cantanti e autori, dove è nata la forma canzone oggi spopolano più che mai (segno del degrado culturale cui versa la città) i cosiddetti neomelodici (e qualche colpa di questo fenomeno va data anche a qualche giornalista che ha lucrato sullo sdoga-namento degli stessi). Guar-dando questa pochezza però ti fermavi e pensavi “vabbeh,

© Riproduzione riservata

però abbiamo anche Pino Daniele”. Non poter dire più questa frase fa male da una parte, ma dall’altra investe di nuova responsabilità chi cre-de in una realtà artistica di-versa della nostra città.Pino credo sia stato l’artista con l’apertura mentale mag-giore in Italia e forse nel mon-do. Pronto dall’inizio a qual-siasi contaminazione, perché nato in una cultura metic-cia di natura, ha mischiato generi, linguaggi, sonorità, dalla tradizione partenopea al blues, jazz, rock; Europa, America, Africa hanno con-vissuto nelle sue composi-zioni, anima latina e rabbia metropolitana, fino a sfociare negli esperimenti madrigali-stici di Gesualdo da Venosa.Ha collaborato con chiun-que: Baglioni, Vasco, Giorgia, Pat Metheny, Al di Meola, per fare pochi nomi della lunghissima lista; ha riempi-to con concerti memorabili stadi, palazzetti, piazze… su tutte la più cara, Piazza Ple-biscito, teatro del fiume di gente del 1981, passando per altre occasioni, fino al mare di gente di ogni generazione di mercoledì 7 gennaio 2015, per l’ultimo saluto. Io ero lì e la cosa che mi ha colpito di più è stato il silenzio irrea-le che già un’ora prima si era impossessato della piazza… eravamo quanti, 150mila? 150mila persone in silenzio in attesa di dare l’ultimo ap-plauso al nero a metà, anima viva e vera di Napoli.

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Il tuo ultimo lavoro “Uffi-cialmente pazzi”, in que-sta società attuale siamo

veramente tutti pazzi?

Bella domanda, ovviamen-te questa è la mia visione il mio modo di guardare. Uffi-cialmente pazzi che è il titolo del disco, quindi non sono da solo ufficialmente pazzo altri-menti il titolo sarebbe stato diverso. Ci sono due chiavi di lettura, la prima è che ufficial-mente pazzi è anche il titolo

di un brano contenuto nel disco che ho scritto insie-me ad una carissima ami-ca, che purtroppo ha avu-to una brutta esperienza, quella di trovarsi all’inter-no di un manicomio ed al termine di questa espe-rienza è riuscita a scrivere delle cose meravigliose. Me ne ha donata una e dopo un po’ di tempo ne ho fatta una canzone. Mi piaceva che il titolo fosse questo, per ringraziare

Pallantetx Alfonso Papa

Ufficialmente Pazzi

quella persona e la sua for-za. L’altro senso è quello a cui facevi riferimento nel-la domanda e cioè che mi sembra evidente che come genere umano, come abi-tanti di questo pianeta sia-mo un po’ andati oltre e per certi versi un po’ folli. Nes-sun altro essere vivente che abita il nostro pianeta si autodistrugge o distrugge il territorio, come facciamo noi.

Il disco è stato anticipato dal singolo “Tutto quel-lo che resta (del perduto amor), che ha visto la par-tecipazione di Alex Britti in una veste decisamente inedita. Ci parli di questa collaborazione?

E’ stata molto divertente, come lo sono tutte le cose che faccio con Alex. La col-laborazione nasce da un’a-micizia più che ventennale. Un giorno mentre suona-vamo sul divano è venuta fuori questa canzone ove Alex ha suonato il basso e la batteria ed Erica Mou ha fatto i cori impreziosendo ulteriormente il brano.

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L’album nasce completa-mente immerso nella na-tura, in un bosco dell’Um-bria. Tu ami molto la natura e la non violenza verso gli animali. Ritieni che la musica sia un buon canale per promuovere questi messaggi?

Credo che la parola è un metodo fondamentale e la musica lo sia altrettanto, sia un qualcosa di eccezionale per tutti i tipi di comunica-zione. Io nella vita sono così e la mia musica ne è diretta conseguenza.

Questo aspetto sarà pre-sente anche nella parte live?

Sicuramente si, sia perché frequenterò dei posti un po’ inusuali “cruelty free”, ma anche perché il mio impe-gno non si ferma certamen-te al fatto di avere un disco certificato “Vegan ok”, sono una persona che in pieno aderisce a questa filoso-fia o se vogliamo semplice pensiero della non violen-za. Anche la manifattura è stata fatta sempre tenendo presente che non fossero impiegati materiali che de-rivano dagli animali.

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Come tutte le correnti, sia musicali che artistiche in genere, il rock pro-

gressive sinfonico, fu d’ispira-zione ad altre sotto tendenze.

Alcune di queste, come il rock d’avanguardia, che aveva la par-ticolarità di mischiare il rock britannico al jazz rock, ebbe molto successo tra le note di gruppi come Arti e Mestieri e i Perigeo, due gruppi che riusci-rono a portare la propria musica soprattutto all’estero. Del grup-po Arti e Mestieri ricordiamo

album come  Tilt (immagi-ni per un orecchio), pub-blicato nel 1974, e Giro di valzer per domani  (1975). Del Perigeo, invece, l’otti-mo Abbiamo tutti un blues da piangere  del 1973 e il successivo Genealogia.

Di più difficile collocazio-ne è il genere che gli Area proponevano, il loro era un misto, oltre che di rock pro-gressive, di musica araba, greca e di free jazz. Nacque-ro quasi per caso durante la

registrazione dell’album Ra-dius, incisero il loro disco di esordio nel 1973, Arbeit Macht Frei, che contene-va il brano Luglio Agosto Settembre (nero), questo gruppo in particolare mise da parte l’idea che l’arte do-vesse fare solo arte e utiliz-zarono la musica come vero e proprio strumento di mili-tanza politica, così come già da tempo stavano facendo gli Stormy Six, gruppo rock progressive del milanese.

tx Wanda D’Amico

Italia Rock Progressive,Le Contaminazioni

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Di questo gruppo (nato nel 1969) si ricordano L’unità, un brano del ’73 e il brano Sta-lingrado/la fabbrica.

Altri gruppi, se non per vera e propria militanza politica, scelsero comunque di uti-lizzare la musica come stru-mento di denuncia sociale, mischiando il rock progressi-ve al folk, come i Canzonieri del Lazio famosi per il brano Quando nascesti tune. Al-tro gruppo di spicco con le stesse intenzioni di denun-cia sociale furono i Napoli Centrale, che vedeva come front man James Senese alla voce e al sax. Questo gruppo spicca anche per essere stato uno dei primi a fare musica di “recupero” dei brani tradizio-nali (come il brano Campa-gna) come anche gli Osanna. Questa corrente mista vide gli esordi anche di un giova-nissimo Alan Sorrenti che fu autore di una fantastica ope-ra prima dal titolo Aria, che mescola il suo stile intimista

ad un virtuoso uso della voce e che segue le influenze di Tim Buckley. Il “metodo” di Alan Sorrenti non fu isolato, all’interno della stessa cerchia di può inserire Fabrizio De Andrè primo sicuramente dal punto di vista letterario e che nell’album La buona no-vella riuscì a raggruppare tut-ti i musicisti che formeranno poi la PFM. Da quest’ultima corrente, cantatutorale inti-mista, emersero, lentamen-te e con molto indugio, altri cantautori che provenivano da altre tendenze, ad esem-pio Claudio Rocchi (bassista degli Stormy Six) proveniente da una cultura psichedelica del quale si ricorda uno dei suoi album di esordio Volo Magico n°1.

Di grande rilevanza è l’opera rock Orfeo 9 di Tito Schi-pa Jr., incisa su doppio LP, e documentata in un film spe-rimentale. Il film, prodotto dalla Rai, trattava argomenti come la droga, un tabù per

l’epoca. Questo fece si che il film e l’opera rock fossero spinti nel dimenticatoio. Solo dopo 35 anni il film viene ri-portato alla luce e proiettato al festival di Venezia. Anche i Giganti avevano prodotto nel 1971 un lavoro in forma di concept dal tema altrettan-to scottante (in questo caso la mafia), intitolato Terra in bocca, osteggiato dalla RAI e finito senza alcuna eco. Tra i pochi album di artisti dal grande successo commercia-le, possono considerarsi pro-gressive, Amore e non amore di Lucio Battisti, pubblicato nel 1971 e nel quale suona la futura PFM, e due dischi dei Pooh in cui sono presenti an-che due suite, la prima conte-nuta in Parsifal del 1973, la seconda in Un po’ del nostro tempo migliore del 1975 (Il tempo, una donna, la città).© Riproduzione riservata

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Fiorella Mannoiatx Ambra De Vincenzi

Un viaggio attraverso la musica.

È un vero e proprio viag-gio indietro nel tem-po quello che Fiorella

Mannoia propone nel suo ul-timo album, “Fiorella”, usci-to il 27 ottobre, prodotto da Piero Fabrizi per la Durlin-dana e distribuito dalla Sony BMG; un’antologia in due cd pensata per festeggiare i 60 anni della cantante romana, compiuti il 4 aprile, e soprat-tutto per celebrare i suoi 46 anni di carriera.

Lo stesso senso ha il Fiorella Live Tour, iniziato a novem-bre e conclusosi il 30 dicem-bre a Roma con l’ultima delle

quattro date in calendario alla Sala Santa Cecilia dell’Audi-torium Parco della Musica, tutte sold out. Un ulteriore modo per festeggiare a con-tatto col pubblico e rivivere le tappe più importanti della sua carriera. E non soltanto attraverso le canzoni, ma an-che con i cambi d’abito ispira-ti ai diversi stili adottati negli anni.

A colpire di Fiorella Man-noia non è il punto di vista prettamente vocale, sebbene il particolarissimo timbro di voce da contralto e l’impec-cabile controllo della voce la

rendano interessante anche in questo aspetto. Ciò che di lei ammalia maggiormente è l’eleganza, il sentimento e la partecipazione con i quali dà significato ad ogni singola parola che canta, raccontan-dola, riempiendola di senso.

Sul palco Fiorella è accom-pagnata dalla sua band di sei elementi: Carlo Di Francesco alle percussioni, Davide Aru alle chitarre, Luca Visigalli al basso, Fabio Valdemarin al pianoforte, Diego Corradin alla batteria, Clemente Fer-rari alle tastiere e alla fisar-monica. La magia della musi-

ph Giuseppe Maffia

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ca è amplificata dalla location mozzafiato della Sala Santa Cecilia e dagli splendidi gio-chi di luce che hanno accom-pagnato lo spettacolo.

Il viaggio parte dal Festi-val di Castrocaro del 1968, quando una Mannoia 14enne propose la sua versione di Un bimbo sul leone di Adriano Celentano. Si prosegue con i primi successi degli anni ’80, da Caffè nero bollente (Sanre-mo 1981) a Come si cambia (Sanremo 1984) e Quello che le donne non dicono (Sanre-mo 1987), accompagnati dal-le immancabili giacche con le “spallone” tanto in voga all’e-poca. I ricordi vanno avanti, e la serata è tutta un alternarsi di momenti emozionanti e divertenti, tanto che nomi-narne solo alcuni è difficile.

Centrale, nella carriera dell’artista, è sempre stato il rapporto con i grandi autori che hanno subito compreso il suo talento di interprete e che le hanno regalato gli im-mensi capolavori che l’hanno resa celebre, Enrico Ruggeri ed Ivano Fossati in primis. La Mannoia, dunque, come dichiara lei stessa, non ha mai avuto il “complesso della cover”, e in questo tour, come d’altra parte nell’album, in cui sono presenti ben 18 duetti, ha deciso di omaggiare non solo i cantautori con cui già aveva collaborato in passato, ma anche quelli che comun-que l’hanno in qualche modo segnata con la loro musica.

Eccola dunque cimentarsi con una cover de La stagione dell’amore di Franco Battiato (uno dei momenti più emo-zionanti della serata), con Cercami di Renato Zero, e ancora La casa in riva al mare del compianto Lucio Dalla, al quale la Mannoia aveva già dedicato un album-tributo nel 2012, “A te”, reinterpre-tandone alcune canzoni.

A metà concerto Fiorella rac-conta col sorriso sulle labbra della sua trasformazione sti-listica databile ai primi anni ’00 quando, dopo decenni passati a tenersi lontana dagli orpelli e dagli “sculettamen-ti” affinché ci si concentrasse solo sulla musica, sull’emo-zione e sul messaggio che aveva a cuore e voleva tra-smettere, ha scoperto la sua femminilità e la liberazione nel mostrarla agli altri: di-smessi i rigorosi tailleur, Fio-rella passa all’elegante vestito rosso che, per l’occasione, ha ritirato fuori da un cassetto ed è tornata ad indossare.

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I temi che stanno a cuore alla cantante si ritrovano tutti nel-le canzoni che propone, siano esse scritte di suo pugno, come la recente In viaggio, che parla di maternità ma anche di emi-granti, o di altri autori, come La paura non esiste, firmata da Tiziano Ferro, che Fiorel-la decide di dedicare a tutte le donne vittime di violenza do-mestica.

Via con me di Paolo Conte e Il cielo d’Irlanda, composta per la Mannoia da Massimo Bu-bola, sono i trascinanti pezzi con cui Fiorella e la sua band salutano il pubblico, e lo fanno senza risparmiarsi: la cantante scende dal palco e attraversa la platea ballando divertita tra la folla, concedendo foto e ab-bracci come se si trovasse ad una grande festa tra amici. E forse è proprio così che si sen-te, Fiorella, col suo pubblico.

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prende forma l’elaborazione di Gounod, che usò questa composizione come accom-pagnamento per la sua Ave Maria. Bach non è un caso (verrà più volte citato dai maestri durante il concerto), essendo – per la sua genia-lità vissuta in ogni direzione della tastiera – un riferimen-to per ogni jazzista. Bacalov, Rea e Pizzo eseguono brani

Lunedì 12 gennaio 2015, al teatro Dia-na, la notte si è illu-

minata di stelle, le tre stelle del pianoforte presenti sul palco, tre generazioni a confronto: il premio Oscar Luis Bacalov, un mago del jazz spesso prestato alla musica leggera d’autore italiana, Danilo Rea, e l’a-stro nascente Alberto Piz-

zo, il cui percorso artistico ha come obiettivo quello di avvicinare la musica classica ed il jazz. Questa finalità, sposata anche dai due ospiti, è subito eviden-te all’inizio della serata: i tre iniziano, scambiandosi accompagnamenti e parti soliste, con il I Preludio dal Clavicembalo ben tempe-rato di J.S. Bach, dal quale

Luis Bacalov, Danilo Rea, Alberto Pizzo

tx Francesco Ruoppolo

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in trio, duo, a solo. Il pri-mo suonando brani di Vin-cente Greco (compositore argentino di chiare origini italiane), spaziando tra il tango tradizionale, pas-sando per Astor Piazzolla (potente l’esecuzione a tre di “Libertango”), compo-sitore dedicatario di Asto-reando, non unica opera di Bacalov eseguita al Diana, dato che non poteva man-care la colonna sonora del Postino di Troisi. Rea, col suo inconfondibile stile percussivo, inizia con una rielaborazione jazzistica di Te voglio bene assaje, cita Gerswin introducendo

Tammurriata nera, quindi la miscela di melodie cele-bri, tra De Andrè, Sinatra, temi da film (come Moon River), nascoste tra sosti-tuzioni, riarmonizzazioni, clusters, cambi di metro, tipici del linguaggio jazzi-stico. Pizzo principia il suo spazio solistico eseguendo temi di Ennio Morricone, le musiche di Cinema Pa-radiso, standard jazz suo-nati col tocco di un moder-no Bill Evans; spicca Over the rainbow miscelata con Quando di Pino Daniele, e al grande artista parte-nopeo da poco scomparso che con Danilo Rea esegue

Napule è.Il pubblico, numeroso, tor-na a casa ricco di emozioni, con le orecchie cariche di note e il sorriso di chi sa go-dere della musica vera.

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P.zza Caduti di Nassiriya (ex P.zza Mercato) - Airola info: 328. 6763077

- Chimica generale- Chimica organica- Stechiometria

- scuole superiori- universitari

corsi collettivie individuali di: per studenti:

CHIMICAndo

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tx Marica Crisci

Ogni fenomeno uma-no non può essere capito se non lo si

inquadra nel suo corrispon-dente periodo storico. Que-sto accade in particolar modo per il Dada. Movimento cul-turale nato nei terribili anni della prima guerra mon-diale, quando tutti i valori umani furono stravolti dalla logica del grande conflitto. Nasce così un disgusto ver-so tutto ciò che viene fatto in suo nome e verso tutte le cause che l’hanno generata. Ed è proprio questo spiri-to di disgusto che anima un gruppo di giovani intellettua-li che diedero vita al Dada: una rivolta totale contro tutti gli aspetti della civiltà. “Dada vuole distruggere tutto, per ricostruire il mondo com-pletamente diverso, rendendo all’uomo quel ruolo di prota-gonista, autore di se stesso”. Contro la letteratura, contro la poesia, contro l’arte, con-tro ogni cosa bella e perfet-ta e contro tutte le correnti artistiche. Dada vuol dire libertà, un nuovo modo di concepire l’arte: un oggetto comune messo in una certa posizione invece che in un’al-tra, diventa più interessante generando uno shock nello

spettatore, distogliendolo dalle sue abitudini mentali. Grande scandalo, ma anche un grande interesse, fu su-scitato dalla figura di Marcel Duchamp (Blainville 1887 – Neuilly 1968). Nel 1917 egli inviò sotto falso nome, ad una mostra dove faceva parte del comitato organiz-zativo, una scultura dal nome Fontana: era un orinatoio maschile in maiolica bianca capovolto e collocato su un piedistallo di legno. Lo scan-dalo fu immenso e la scultura fu rifiutata. Tuttavia l’opera di Duchamp rappresentava al meglio il concetto di arte Dada: trasformare un ogget-to della quotidianità in opera d’arte, cambiandone sempli-cemente il contesto. Oggetti che egli stesso chiamò i rea-dy-mades e cioè “belli e fatti”. Di notevole importanza sto-rica la figura di Duchamp, non soltanto per l’impatto emotivo che le sue opere han-no determinato sui contem-poranei, ma anche per tutte le conseguenze che hanno avuto sull’arte dei decenni successivi.

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Belli e fatti arte

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Fontana(1917)

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Benny Moschinitx Alfonso Papa

emergiamo

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Trentenne napoleta-no, si definisce un’ec-cezione che “trasgre-

disce” la regola. In realtà, DJ con vasta esperienza in-ternazionale e cantautore. Studi di canto e pianoforte, ha viaggiato molto e con cu-riosità in tutti i continenti e di ogni luogo ha assorbito culture e influenze musica-li: bossa nova, funky, tanto pop, moltissimo rock. Così, nel primo album (2005), complice l’incontro con Carmerita Esposito della C.E.Production, ha trasfu-so atmosfere soul e funky mescolate con le contamina-zioni afroamericane. “Rab-bia” (2009, IRMA Records) è rock tutto italiano, così come le produzioni del 2012 e 2013 nate anche dall’incon-tro con Renato Droghetti e Luca Longhini e che porta-no agli ultimi progetti rock e all’ album “Sono qui an-cora”. Un percorso con un

bilancio lusinghiero: 5 sin-goli, due album, altrettanti DVD e una compilation. C’è poi l’attività di DJ (col nome d’arte Benny Càmaro) che, dal 2001, lo portai nei loca-li più alla moda della Costa Smeralda e della Versilia, ma anche Barcellona e ol-tre Atlantico (Los Angeles). Gioca per solidarietà con la Nazionale DJ.

“La musica è l’arte dei suoni. La prima cosa che impari al Conservatorio, ma che solo vivendola fino in fondo ne comprendi il vero significato, tanto importante e totaliz-zante da diventare la ragione di vita. Sono stato fortunato: ho cominciato ad amare la musica all’età di 4 anni. Di tutti i giocattoli che avevo mi appassionava solo una tastie-ra di un’ottava…”.

Quali sono i generi musi-cali che ami di più?

“Canto principalmente rock, soul e funky, ma mi piace viaggiare attraverso tutti i ge-neri e studiarli a fondo, come i paesi che visito”.

Quali esperienze ti intriga-no maggiormente?

Sono cantante, pianista, Dj. Giro molto e sarebbe diffici-le precisare tutti i momenti. Quello che m’è rimasto più dentro è certamente il Radio Cuore Tour, con dieci tappe di bella musica in giro per l’I-talia. Ma anche i tantissimi locali in cui mi sono esibito: l’Hollywood e il Just Caval-li di Milano, il Billionaire, il Sopravvento e il Sottoven-to o l’Utopia di Varsavia, il Cavalli di Miami, ma anche Punta Cana, Mexico, Bar-cellona. Non disdegno le feste di piazza. Vado dovunque mi chiama la musica.

Raccontaci del tuo ultimo disco.

“Sono qui ancora” è un con-cept, racconta una lunga storia con le difficoltà che la vita, normalmente, pone lungo la strada. Ogni testo di ogni singola canzone rac-conta un’avventura, un mo-mento, un dolore o una gioia. Racconta la vita.

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Come mai  avete deciso di candidare “Fegato e cuore” al programma AdaptLab?“Fegato e cuore” è stato il pri-mo libro in assoluto della Casa Editrice BookSalad di Anghia-ri, pubblicato a Maggio 2012: siamo giovani e piuttosto naïf, al limite della sfacciataggine. Fare nuove esperienze e tentare nuove vie è nella nostra natura. Questa, poi, ci sembrava poter essere un’opportunità seria e concreta. Ci abbiamo provato, è andata bene.Quali sono secondo lei le maggiori difficoltà quando ci si propone di trasformare un romanzo in un film, che ci si augura possa avere successo?Enormi. Non per niente, quasi sempre, i lettori più affezionati ad un libro restano delusi dal-la trasposizione cinematogra-

Il  programma europeo di training professionale TorinoFilmLab, dedicato

in particolare allo sviluppo di storie per il cinema, che si declina attraverso una varietà di offerte rivolte a professio-nisti di tutto il mondo, ha tra le sue proposte anche quella dedicata in modo specifico all’adattamento cinematogra-fico. AdaptLab è ormai già al suo nuovo via per il 2015, vi-sto che la scadenza della “call for entry” per quest’anno è stata il 5 gennaio. Chi si fosse distratto troppo a causa dei festeggiamenti natalizi quindi dovrà aspettare la prossima occasione. Ad ogni modo ci sembrava interessante parlar-ne, dando voce, per così dire, a una delle controparti - giu-sto  per offrire un punto di

vista trasversale - su uno dei progetti sviluppati nell’am-bito dell’ultima  edizione, ov-vero non a uno degli sceneg-giatori-registi che hanno par-tecipato attivamente al pro-gramma di training, ma allo scrittore di uno dei romanzi proposti per l’adattamento.Alessandro Marchi, che ha ac-cettato di rilasciare una breve intervista sulla sua personale esperienza con AdaptLab, è nato a Bologna nel 1979 ed è l’autore del romanzo “Fegato e cuore”, pubblicato dalla gio-vanissima e interessante Casa Editrice BookSalad e scelto appunto per partecipare al programma AdaptLab dello scorso anno, conclusosi con il Meeting Event di Torino del-lo scorso novembre:

Il romanzo Fegato e cuore di Alessandro Marchi si “adatta”.

tx Alfonso [email protected]

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fica. Prima difficoltà, credo, sia quella strettamente legata al tempo. Il libro ha tutto il tempo che vuole per narrare la propria storia, il cinema no. In circa due ore devi con-densare centinaia di pagine, che una persona impiega de-cine e decine di ore a leggere. Questo, sotto un altro aspetto, è un vantaggio per il cinema, ovviamente: chiunque può spendere due ore per vedere un film. In pochi sono dispo-sti a spendere una settimana per leggere un libro, che spes-so viene lasciato a metà. Ol-tre al tempo, c’è il ritmo. Sulla pagina scritta dare ritmo è difficile, senz’altro, ma è con-cesso anche qualche rallen-tamento (non troppi) prima che il lettore chiuda il volume. Al cinema se il film stagna lo spettatore si annoia. D’altro canto il film ha la straordi-naria potenza dell’immagine dalla sua, rispetto alla parola scritta. Specialmente per i col-pi di scena, un’immagine è più efficace. Altra difficoltà è quel-la di riuscire a mantenere uno stile narrativo che in qual-che modo ricordi quello dello

scrittore. Penso, ad esempio, a “La versione di Barney”. Un libro che ho adorato, con una narrazione vulcanica che è andata completamente persa nel film, una totale delusione. E poi, più pragmaticamen-te, i costi. Fare un film costa tantissimo e non è facile cam-biare direzione se ci si accorge di andare in quella sbagliata. Anche lo scrittore fatica a li-berarsi di quelle pagine scritte che non funzionano, ma in fondo basta un po’ di coraggio e il tasto “canc” per farlo.Da scrittore cosa pensa del binomio editoria-cinema?È un binomio che funziona perché fa gioco sia all’editoria, sia al cinema. Il mondo della pellicola ha nei libri ogni giorno pubblicati in tutto il mondo un bacino di storie potenzialmente ine-sauribile dal quale trarre film. Mentre l’editoria ha la possibi-lità di fare quel salto di quan-tità (quantità, appunto, non qualità) che solo attraverso il grande schermo è possibile. Il libro resta sempre lo stesso ma, se il film ha successo, può ampliare il proprio pubblico

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di lettori in maniera enorme – possibilità altrimenti preclusa. Sono assolutamente convinto che ogni scrittore dovrebbe avere l’ambizione e il proposito di portare la propria storia e il proprio messaggio a più perso-ne possibile. Il cinema fornisce questa opportunità, per cui l’atteggiamento snob che a vol-te si registra nei confronti delle versioni cinematografiche dei film è del tutto fuori luogo. Anche se non ben riuscito, e succede spesso come ho detto, il film raggiunge comunque un numero di persone immensa-mente più grande di un libro – una piccola parte delle quali leggerà anche l’opera lettera-ria. Se quindi il film avrà fatto guadagnare anche solo un let-tore, ne sarà valsa la pena.

Continua a leggere l’intervi-sta su:

www.backstagepress.it

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concerti

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teatro

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sIl Cerchio Primotx Alfonso Papa

E45 Fringe Napoli Tea-tro Festival Italia Lo spettacolo è scritto

e diretto da un collettivo di artisti IF0021, di provenien-za artistica diversa, che speri-mentando nelle nuove tecno-

logie audiovisive, uniscono e contaminano i linguaggi, indagando nelle infinite pos-sibilità creative.Spazio circolare, plasmato dal movimento e dalle azio-ni sceniche del performer, in

dialogo con un violoncellista.Spazio circolare, immagina-rio, come luogo di incontro tra proiezioni mentali e pro-iezioni reali, spazio circola-re confinato da sensori che codificano il movimento in suono, creando una barriera sonora, tramite un processo di live-coding.Silenzio e suono si alternano alla ricerca di una sintesi tra corpo | suono | ambiente.Un esperimento coreo-vi-deo-sonoro in cui il movi-mento nello spazio circolare si traduce in “visione simboli-ca” e “spazio timbrico”.Il cerchio primo è inoltre il luogo d’incontro tra un uomo e un albero.Albero come antenna tra cielo e terra per connettere, attraverso l’uomo, due di-mensioni e manifestarne l’in-tegrazione.

Info spettacolo:Piccolo Bellini, 24 e 25 gen-naio – sab ore 21:15, dom. ore 18:00prezzo biglietto:euro 10,00-15,00

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