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    I edizione: novembre 2001

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    INDICE

    EMILIO BACCARINI La filosofia come inquietudine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

    CRISTIANO PIZZUTI Il mondo in percezione. La gnoseologia della percezione di Merleau–Ponty . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

    TOMMASO DELL’ERA

     Il rapporto tra storia e filosofia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41SABRINA MIPELLI

     La storia: l’identità dell’uomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59

    PIERPAOLO REDONDO VANTAGGIOUna filosofia per tutte le stagioni?  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89

    ANGELA SPINELLI

    P. K. Feyerabend tra storicismo e destorificazione  . . . . . . . . . . . 109

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     La filosofia come inquietudine

    E MI LI O B AC CA RI NI

     A Cristiano vinto dal peso immenso dell’inquietudine.Peso della vita divenuta insopportabile (1).

    Conosci te stesso

    “Conosci te stesso” disse Socrate, “se mi conoscessi scapperei via” rispose Goethe. Questo immaginario dialogo al di fuori deltempo è l’emblema dell’indagine filosofica, chi fa filosofia è animato

     dall’amore per il sapere, ovvero dal desiderio di conoscere, foss’an- che l’inconoscibile. Si potrebbe ribattere che anche il chimico o il fisico sono animati dalle stesse intenzioni e che dunque tale deside- rio non è proprio della sola filosofia. Vero, anzi verissimo, ma biso- gna ricordare che per molti secoli furono gli stessi filosofi ad occu- parsi della fisica come della chimica — pensiamo ai grandi alchimi-

     sti medievali — delle scienze naturali e di quelle matematiche —basta ricordare Descartes. La specializzazione del sapere è un fruttomolto giovane, che vede negli ultimi 3 secoli il momento storico in

     cui è nata e si è sviluppata portando alla nascita di nuove scienze che, per le loro intrinseche caratteristiche, si sono giustamente emancipate dalla filosofia.

    Tale cambiamento ha avuto come conseguenza la ridefinizione della filosofia stessa, dei suoi campi di indagine e dei suoi compiti.

    Questo problema lo si può tradurre nei termini di una semplice domanda: “oggi a cosa serve la filosofia?” Il pensiero contempora-neo si è posto ossessivamente tale domanda, dando tante risposte

     per quante sono le correnti di pensiero che lo hanno animato negliultimi cento anni, tuttavia credo che se ne possa dare un’altra,

    7

    (1) Queste pagine sono dedicate con un affetto profondo a CristianoPizzuti, nostro studente e giovane dottore dell’Università di Roma Tor

    Vergata, per il quale l’eros filosofico che praticava e viveva con una inten-sità rara, non è stato sufficiente per vincere il terribile ‘male di vivere’ chelo ha sopraffatto. La pagina iniziale di queste riflessioni appartiene a unsaggio che egli stava scrivendo dal titolo: Filosofia o storia della filosofia.Una questione di metodo per chi insegna e per chi apprende.

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     alquanto bizzarra, che superi le definizioni dottorali per lasciarsi riposare sulla via del dialogo: “Non è una leggenda. Pare proprio chela passione per la filosofia e il Corso di filosofia in sei ore e unquarto  abbiano salvato Witold Gombrowicz dal suicidio (2)”. Cosa

     vuol dire? Che la filosofia è la panacea per tutti i maniaco–depressi- vi del mondo?! No, ovviamente, Gombrowicz sfruttò la filosofia come un virtuale antidolorifico: nel periodo in cui scrisse il testo citato era afflitto da gravi problemi respiratori e spossato dai dolori,tanto da spingersi più volte al suicidio, tuttavia la possibilità ditenere delle lezioni ad un pubblico ristretto — la moglie Rita

     Labrousse e l’amico Dominique de Roux — quindi la possibilità diimpegnarsi in un dialogo stimolante, gli fu di grande aiuto in quel

     difficile momento. La ragione sta nelle parole della moglie quando,nel ricordare il ruolo svolto in questa occasione dall’amico de Roux, dice: “Dominique aveva capito bene che soltanto la filosofia, in quelmomento di decadenza fisica, aveva il potere di mobilitare il suo

     spirito (3)”. In questo senso la filosofia, o meglio il fare filosofia, si rivela come un esercizio capace di rigenerare lo spirito di chi lo pra-tica, il che non significa attribuirle una valenza mistica ma, univer-

     salizzando, constatare il valore (valenza?) poietico per la storia del-l’umanità stessa. Poiesis , in greco, sta per creare e la filosofia è unmodo di esprimersi della creatività umana, laddove per creare non

     si intende l’inventare dal nulla, ma il costruire — o distruggere — sulla base della realtà esistente, una realtà che è in continuo movi-mento e che per essere compresa va analizzata in rapporto a ciò che

     è stato e a ciò che è, in vista di ciò che sarà, ovvero sulla base dellanostra storia ed in funzione del nostro futuro”.

    Perché la filosofia: la domanda inquietante

     Insostituibilità della filosofia

    Tutte le scienze hanno uno specifico oggetto di indagine che lequalifica e insieme le definisce, fornendo ad esse la loro giustifica-zione. Anche la filosofia, fin dal suo primo costituirsi nel mondogreco, ha avuto la pretesa della scientificità. Ma qual è l’oggetto

    Emilio Baccarini8

    (2) F. M.CATALUCCIO, in W. Gombrowicz , Corso di filosofia in sei ore eun quarto, ed. Theoria, Roma 1994, p. 7.

    (3) Idem, p. 9.

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    della sua indagine, l’ontologia regionale che assicurandole il terre-no le fornisce insieme la giustificazione? Oppure, la filosofia èquella scienza particolarissima che si definisce per la mancanza diun oggetto determinato e ciò nonostante può esigere il rigore

    della scientificità? Queste domande sono le domande perenni chela filosofia si è posta nel corso del suo sviluppo storico e riguarda-no il suo stesso diritto ad essere. È ciò che oggi denominiamo

     crisi di legittimità, eppure la filosofia continua ad essere sicuradella sua insostituibilità, ed ineliminabilità. Tale coscienza va daPlatone–Aristotele fino a Kant o a Husserl.

    Fermiamoci a riflettere sulla cosiddetta  crisi di legittimità. Lafilosofia ha una particolare dimestichezza con la crisi. Il suo stes-

    so essere si esercita come funzione critica. Crisi non è soltanto unmomento negativo di frattura di un equilibrio raggiunto. Crisis hala stessa etimologia di critica, il verbo greco  crinein (distinguere,sceverare, secernere, separare, ma anche giudicare) e penso dipoter affermare tranquillamente che la critica genera la crisi.Questo esercizio critico è però teleologicamente guidato e orienta-to da una filia che fa dire a Platone che il filosofo è l’”amico delleidee”. Da questi primi elementi possiamo concludere che la filoso-fia  è volontà di verità che si concretizza non nell’appiattimentodell’ovvietà, ma nell’esigenza di porre la differenza.

    Tornerò tra breve su questi nuovi dati,  ovvietà e  differenza.Soffermiamoci ancora un momento sul concetto di legittimità. Cipuò essere una legittimità conseguente a una legittimazioneestrinseca, fondata cioè su una norma estrinseca. Più rigorosa-mente però il concetto di legittimità rimanda a una più fonda-mentale esigenza di  rendere ragione (logon didonai, direbbePlatone). La crisi della filosofia pertanto consisterebbe in una

    incapacità di dare ragione di se stessa, cioè in ultima analisi dimostrare il suo “oggetto scientifico”.

    Porre un oggetto significa però rimanere nell’ambito dell’ov- vietà, del già dato, senza interrogare questo dato oggettivo stessosul suo senso d’essere. Ogni scienza, nell’uso corrente del termine,usa l’oggetto, lo manipola, è in fine un sapere strumentale. La filo-sofia al contrario, “guarda” l’oggetto in modo epifanico, il suosapere è strutturalmente rivelativo. Rivelazione del significato e

    del modo d’essere non più soltanto dell’oggetto in individuum, manella totalità d’essere che il singolo oggetto manifesta. Siamo cosìgiunti allo “oggetto” proprio della filosofia: la totalità dell’essere edegli enti o, più precisamente, il senso d’essere dell’ente. Ma è evi-

     La filosofia come inquietudine 9

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    dentemente impossibile, se questo è l’oggetto della filosofia,dichiararlo, poiché né la totalità dell’essere né il senso d’esseredell’ente sono concretizzabili in un hic et nunc, in una determina-zione categoriale di alcun genere. Si collocano piuttosto nel domi-

    nio teoretico della differenza. Ciascuno di noi si è, almeno una volta, sentito in imbarazzo di fronte alla domanda sulla propria“professione”. Che fa il filosofo? Di che cosa si occupa la filosofia?Idealmente potremmo rispondere con Husserl: “La filosofia tra-scendentale è un’arte quanto mai inutile che non è di alcun aiutoai signori e padroni di questo mondo, agli uomini politici, agliingegneri, agli industriali. Ma forse non le si imputerà a difettoche essa ci liberi sul piano teoretico dall’assolutizzazione di que-

    sto mondo e che ci apra l’unica possibile porta d’ingresso scientifi-ca al solo mondo vero, nel senso più alto del termine, al mondodello spirito assoluto. E forse essa costituisce anche la funzioneteorica di una prassi e precisamente di quella prassi per la qualedevono compiersi gli interessi supremi e ultimi dell’umanità (4)”.

    Riprendendo ora il tema della crisi, possiamo dire che la ragio-ne della crisi odierna è la crisi della ragione, la crisi cioè nellafiducia e nella possibilità di dare significato al mondo e alla vitaattraverso un’autoresponsabilità che indica soprattutto la volontàdi non cedere, di non rinunciare, di continuare a lottare per ilsenso dell’umanità e per il proprio senso. Se la crisi della ragioneè l’indice di un processo di decomposizione della ragione teoricanella ragione tecnica possiamo anche accettarla, ma proprio perrecuperare la capacità teoretica, la capacità di guardare conocchio meravigliato prima e disincantato poi, al mondo, all’uomo,alla vita di questi in esso. Ciò, però significa recuperare il sensodel far filosofia, di porre domande. Il filosofo è l’uomo perenne-

    mente inappagato, alla continua ricerca del  perché. Ciò tuttavianon per uno sterile problematicismo inconcludente, ma per unapassione euristica, per una passione per la verità e il fondamentoche è volontà di consapevolezza, di coscienza desta, di vita inprofondità. In questo senso il filosofo ha oggi la profonda respon-sabilità di denunciare l’irrazionale, l’inumano e insieme il compi-to arduo di essere la cattiva coscienza dell’uomo che si assopisce,si adagia, si lascia andare. In questo compito di denuncia consiste

    l’insostituibilità e insieme l’ineliminabilità della filosofia. Sulpiano del soggetto che filosofa poi, la filosofia è orientata all’ac-

    Emilio Baccarini10

    (4) E. HUSSERL, Erste Philosophie, II, M. Nijhoff, Den Haag.

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    quisizione di un’autoconoscenza che è autocomprensione e auto-responsabilità. Il motto delfico, com’è noto, recitava “conosci testesso” e tale è sempre stato il compito, l’idea teleologica dell’uo-mo che filosofa. Edmund Husserl è stato, a mio avviso, il filosofo

    che nel pensiero contemporaneo ha maggiormente riflettuto suquesti temi, mi servirò perciò qui di alcune sue riflessioni perindicare l’orizzonte di un’esistenza filosofica.

    “Chiunque — egli scrive — vuole diventare filosofo nel sensopiù alto, conformemente  all’idea platonica e cartesiana di unascienza universale fondata su una giustificazione assoluta, devedivenirlo in maniera originaria attraverso tali prese di coscienzadi sé, deve divenirlo su quelle vie di autoformazione e autocono-

    scenza razionali. D’altronde queste prese di coscienza di sé, checominciano in maniera corretta e in ugual modo proseguono,appartengono anche al contenuto sistematico della filosofia stes-sa; da essa stessa è impossibile separare le fonti soggettive da cuitrae la sua forma oggettiva… Il filosofo (a differenza dello scien-ziato della natura) non può cominciare abbordando in modo ardi-to i problemi, egli non deve lasciar valere niente come pre–dato,egli ha e deve avere soltanto ciò che egli stesso si è dato in assolu-ta giustificazione. Precedentemente non ha alcun oggetto, per luinon vale nessun diritto evidente dell’esperienza naturale che glioffre generosamente oggetti esistenti; precedentemente egli nondeve lasciar passare inosservate manifestate in maniera ovvia,quali che siano i modi d’esperienza, anche se da esse non potessesorgere alcun sospetto; nulla deve essere accettato come evidentee antidpatamente. Nulla deve valere che non sia stato giu–stificatoin modo assoluto (5)”.

    “In tal modo la filosofia non può per principio sorgere dall’atti-

     vità conoscente ingenua, bensì soltanto da libere prese di coscien-za di sé o piuttosto da libere prese di coscienza di sé del soggettoconoscente, solo dalla radicale chiarezza riflessiva su se stessa esu ciò che il soggetto, come soggetto filosofico propriamente desi-dera, così come sulla via e sulla metodica che conformementedeve seguire nella realizzazione. Per poter realizzare una filosofia,l’io filosofante deve divenire per se stesso tema della volontà, ciòsignifica, ma soltanto in sequenza successiva, che esso deve dive-

    nire per se stesso il primo tema della sua conoscenza, cioè deve,sulla base di una certa appercezione metodica, comprendersi

     La filosofia come inquietudine 11

    (5) Idem, pp. 6–7.

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    come io trascendentale e io puro e in questo deve trovare ilcampo fondamentale del suo lavoro teoretico. “In sequenza suc-cessiva” — dicevo; infatti non è più esso stesso che appartiene alprimissimo cominciamento bensì appartiene già al risultato delle

    meditazioni come punto culminante a cui esse conducono. Mafermiamoci ancora alla forma del primo inizio di meditazionecon la decisione della volontà riflessivamente rivolta verso il sog-getto filosofante. Se consideriamo la forma di vita abituale di colui

     che diviene filosofo istituita da questa decisione, essa si caratteriz-za come la forma di una vita di conoscenza in una perfetta e con-tinua autoresponsabilità (6)”.

    L’autoresponsabilità, su cui insiste Husserl, non è una narcisi-

    stica ricerca di autonomia etico–teoretico–esistenziale, ma è piut-tosto la “piena volontà” di realizzare ciò che sta nell’etimo del ter-mine che designa la sua professione, “filosofia”, amore dellasapienza — è, ancora, la tensione del confronto diretto con questa‘sofia’. Il filosofo “è motivato dall’amore della saggezza, dal qualeegli prende il nome e che, innanzi tutto, non è altro che amoredella verità scientifica, vissuto alla maniera di una devozione abi-tuale al dominio di valore della verità incluso nell’essenza dellasfera del giudizio. Anch’egli si lascia determinare da questo amoredella verità per una permanente decisione di vita che è rivolta aciò che di più grande e di migliore c’è in questo regno della verità,nei limiti delle sue possibilità pratiche (7)”.

    La bidirezionalità del rapporto “verità–filosofia” implica però,per la totalità e assolutezza di dedizione che richiede, che non si

     può essere filosofi solo per professione, ma che si è filosofi solo per  vocazione: “Che abisso tra professione, nel senso quotidiano deltermine, e professione come vocazione. In effetti — c’è una

    distanza abissale; infatti la dimora di questa professione autenticaè il topos ouranios dell’idea assoluta, dell’assoluto o puro valore incontrapposizione al valore puramente presunto, anche se, d’al-tronde, questo possa contenere in sé qualcosa dell’autenticità, macertamente non la perfezione (8)”.

    Solo chi risponde all’appello delle idee, chi sa innalzarsi fino altopos ouranios è in grado di fornire una giustificazione assoluta alsuo sapere e soprattutto sa di poter comprendere il senso della

    Emilio Baccarini12

    (6) Idem, pp. 8–9.(7) Idem, p. 13.(8) Ivi.

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    sua vita; o, in altri termini, solo costui è capace di vivere in modosensato. “Ma questo radicalismo assoluto, per colui che vuoledivenire filosofo in questo senso più autentico, significa una corri-spondente assoluta e radicale decisione di vita, in cui la sua vita

    diviene una vita fondata su una vocazione assoluta. È una decisio-ne con cui il soggetto si definisce egli stesso e semplicementecome se stesso dal centro più intimo della sua personalità — per ilmigliore in se stesso nel dominio universale dei valori della cono-scenza e per una vita conseguente di fronte all’idea di questo benesommo. O, come anche potremmo dire, è una decisione in cui ilsoggetto, in un certo senso, “identifica se stesso in modo assoluto”con questo bene sommo. Un’espressione correlativa per questa

    stessa centrale e universale autodeterminazione è che il soggettoche si determina come filosofo sceglie la conoscenza suprema o lafilosofia come un assoluto fine ultimo della sua vita di impegno, lasceglie come la sua vera “vocazione” per la quale egli si è determi-nato e deciso una volta per tutte, alla quale si è votato, come iopratico, in modo assoluto. Il filosofo come soggetto di una talerisoluta decisione è sempre cosciente di questo fine ultimo che loguida, di questa sua vocazione; ciò naturalmente in senso bencompreso: il fine ultimo continua a vivere in lui con una durevole

     validità abituale ed egli può sempre divenirne cosciente, e semprepuò portarsi ad evidenza che questo è il permanente fine della sua

     vita, valido una volta per tutte. Esso si fonda sulla decisione origi-naria e continua in modo efficace come polo ideale che regge tuttigli atti di conoscenza. Di conseguenza per il filosofo, il filosofoesiste soltanto in forza di questo incentramento (Zentrierung)ideale; ogni aberrazione dal fine ultimo della sua vita significaun’aberrazione da se stesso, un divenire–infedele–a–se–stesso.

    Così pure, apparentemente, ogni attività della volontà di conse-guente e assoluta giustificazione derivante dalla volontà di vitafilosofica ha al tempo stesso e correlativamente il carattere diun’autogiustificazione del filosofo come tale (9)”.

     La filosofia come lotta per il senso dell’umanità

    La volontà di vita filosofica delineata da Husserl non vuoleperò significare un’aristocratica e quasi monastica chiusura e

     La filosofia come inquietudine 13

    (9) Idem , pp. 11–12.

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    disprezzo. Realizzare la propria conoscenza di sé ed autorespon-sabilità è sinonimo di innalzamento in sé di tutta l’umanità checiascuno porta in sé come membro della stessa specie. La teoresifilosofica assume in tal modo un risvolto antropologico che le è

    poi connaturale. Che significa concretamente oggi “lotta per ilsenso dell’umanità?” È ormai quasi una banalità ascoltare denun-ce dell’inumanità che ha investito il nostro tempo; ma il compitourgente della filosofia è allora quello di ricominciare a pensareall’uomo non più nei termini del sistema consequenziale. Pensarel’uomo e pensarlo dentro la crisi epocale del nichilismo. Inventareo reinventare l’uomo può essere oggi la valenza che assume l’auto-responsabilità, la sfida lanciata alla filosofia. Inventare significa

    “trovare”, “scoprire” (invenio); bisogna scrollarsi di dosso millena-rie stratificazioni culturali che hanno offuscato l’immagine del-l’uomo greca, ma anche e forse soprattutto biblica, che a me sem-bra tout court l’impensato della nostra tradizione filosofica occi-centale, per recuperare un prototipo.

    La filosofia è il pensiero dell’uomo sull’uomo, naturalmenteintendendo ciò nella massima ampiezza, per cui tutti i problemiteoretici sono problemi “umani”. E questo si presenta come uncompito immane e forse come la più rischiosa contraddizione delnostro tempo. Il pensiero moderno si è sempre più caratterizzatocome autoposizione del soggetto, come pensiero trascendentale,cioè come quel pensiero che ha cercato di trovare in se stesso ilproprio senso. L’uomo è misura di tutte le cose, potremmo ripete-re con Protagora. Ciò vale però finché la ragione umana ha fidu-cia in se stessa, nelle sue capacità e, insieme, ha la coscienzafeconda dei suoi limiti. Oggi però siamo investiti da una crisi dinegatività e di sfiducia che sono l’indice di uno scetticismo prati-

    co e teoretico, sintomi di stanchezza che trovano riscontro in unapiù generale crisi di valori. Che senso ha allora per noi oggi il farefilosofia? Mi servo ancora delle riflessioni di Husserl che scrive:“Ma come filosofi del presente siamo caduti in una penosa  con-traddizione esistenziale. Noi non possiamo rinunciare alla fedenella possibilità della filosofia come compito, nella possibilità diuna conoscenza universale. Sappiamo di essere chiamati a questocompito in quanto vogliamo essere seriamente filosofi. Eppure,

    come tener fermo a questa fede, che ha un senso soltanto in rela-zione con un fine uno, unico e a noi tutti comune, cioè con la filo-sofia? Noi siamo riusciti a comprendere, anche se soltanto nellelinee più generali, come il filosofare umano e i suoi risultati non

    Emilio Baccarini14

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    abbia affatto il significato puramente privato o comunque limita-to di uno scopo culturale Noi siamo dunque — e come potremmodimenticarlo? —, nel nostro filosofare funzionari dell’umanità. Lanostra responsabilità personale per il nostro, vero essere di filoso-

    fi, nella nostra vocazione interiore personale, include anche laresponsabilità per il vero essere dell’umanità, che è tale soltantoin quanto è orientato verso un telos, e che, se può essere realizza-to, lo può soltanto attraverso la filosofia (10)”.

    Lo spirito vivificante di questo discorso è la scoperta della dimensione filosofica dell’esistenza, e cioè “la capacità di dare libe-ramente a se stessa, a tutta la propria vita, regole fondate sullapura ragione, tratte dalla filosofia. La prima cosa è la teoresi filo-

    sofica. Deve essere messa in atto una considerazione razionale delmondo, libera dai vincoli del mito e della tradizione in generale,una conoscenza universale del mondo e dell’uomo che proceda inun’assoluta indipendenza dai pregiudizi — che giunga infine aconoscere nel mondo stesso la ragione e la teleologia che vi sinascondono e il loro più alto principio: dio. La filosofia in quantoteoria non rende libero soltanto il filosofo, ma rende libero anchequalsiasi uomo che si sia formato sulla filosofia. All’autonomiateoretica succede quella pratica (11)” . La dimensione filosofica del-l’esistenza è perciò, per Husserl, la capacità della vita di  essere

     desta;  vivere desti significa “vivere una vita personale in quantoio”, significa staccarsi e abbandonare la vita naturale “caratteriz-zata da un vivere diretto e ingenuo nel mondo”. Da questo distac-co nasce l’atteggiamento teoretico come recupero del greco thau-mazein, cioè come capacità di meraviglia e di stupore, da un lato,ma anche come funzione critica dall’altro. Husserl è convinto chesolo il recupero dell’atteggiamento teoretico sia garanzia di un

    ritorno alla vita significante. A Vienna egli aveva detto: “Le unichebattaglie veramente significative del nostro tempo, sono le batta-glie tra un’umanità che già è franata in se stessa e un’umanità cheancora è radicata su un terreno e che lotta appunto per questoinserimento o per uno nuovo. Le vere battaglie dell’umanità euro-pea sono lotte tra filosofie, cioè tra le filosofie scettiche — o megliotra le non–fìlosofie, che hanno mantenuto il nome, ma hannoperso la coscienza dei loro compiti — e le vere filosofie, quelle

     La filosofia come inquietudine 15

    (10) E. HUSSERL, Crisi delle scienze europee, Saggiatore, Milano 1968,pp. 45–46.

    (11) Idem , p. 37.

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    ancora vive. Ma la vitalità di queste ultime consiste in questo: esselottano per il loro senso vero e autentico e perciò per il senso diun’autentica umanità. Portare la ragione latente all’autocompren-sione, alla comprensione delle proprie possibilità, e perciò rende-

    re evidente la possibilità, la vera possibilità di una metafisica — èquesto l’unico modo per portare la metafisica, cioè la filosofia uni-

     versale, sulla via laboriosa della propria realizzazione (12)”.Recuperare la passione dell’uomo per se stesso e per il suo

    mondo è quindi la ricerca che oggi la filosofia deve condurre e ciòper ridare un senso all’uomo che si domanda “chi sono?”Vedremo più avanti, come già faceva notare Kant, che questadomanda è l’indice rivelativo, strutturalmente connaturato all’uo-

    mo, di una sproporzione, di uno squilibrio (13

    ).

     La filosofia come problema e l’improblematizzabile

    Come si sa una delle definizioni più felici della filosofia date daHusserl nel tentativo di stabilirne la rigorosa scientificità è

     Archäologie “poiché — egli scrive — essa intende esplorare siste-maticamente questo luogo originario ultimo che contiene in sétutte le origini dell’essere e della verità; e in seguito una talearcheologia ci deve insegnare, a partire da quella sorgente origi-naria di tutte le intenzioni e validità, che ogni specie di conoscen-za può essere elevata alla forma razionale suprema e ultima, quel-la della fondazione assoluta, della giustificazione assoluta, dellachiarificazione ultimamente pensabile del senso e della dimostra-zione della sua legittimità; a una forma quindi, nella quale essapuò, con assoluta buona coscienza, essere acquisita originaria-

    mente come compiuta, cioè non soltanto come valida, ma validain modo definitivo ed essere messa da parte una volta per tuttecome qualcosa con cui non si ha più nulla a che fare (14)”. Questa,nelle intenzioni di Husserl, la filosofia, paradossalmente però lascienza dei principi radicali trova proprio nel suo telos la sua pro-

    Emilio Baccarini16

    (12) Idem , p. 44.

    (13

    ) Per un ulteriore approfondimento di questo aspetto mi permettodi rimandare a un mio recente studio, Rottura e ricomposizione metodolo- gica. Ripensare il soggetto tra fenomenologia e interpretazione, in “Idee” n.34–35, gennaio–agosto 1997, pp. 89–109.

    (14) E. HUSSERL, Erste Philosophíe, II, cit., p. 29–30.

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    blematicità. In effetti è ciò che l’odierno sviluppo delle scienze hasempre più messo in evidenza attraverso l’enfatizzazione deimetodi. Il metodo delle scienze da ipotetico si fa assertorio, men-tre la filosofia non potrà mai giungere a un sapere orientato da

    leggi e principi assertori. Già Kant ha rilevato con estrema chia-rezza la logica interna della scienza e la dialetticità della metafisi-ca in ambito teoretico. La scienza si serve di giudizi determinantipoiché opera nel determinato, la filosofia invece, esige una  deter-minazione completa; che in quanto tale va al di là non solo dellapossibilità di determinazione, ma oltre anche la determinatezza efinitudine del soggetto che pone e vive l’esigenza di assolutezza edi radicalità. È il limite del trascendentale, limite costitutivo e

    strutturale, che proietta il soggetto oltre la propria soggettività. Lafilosofia ha sempre operato entro questa oscillazione tra la deter-minazione e l’impossibilità di determinare l’ulteriore, ciò che nonsi dà e che pure è ontologicamente fondante lo stesso darsi di ciòche si dà nella determinazione. In questa dialetticità la filosofianomina la trascendenza come ulteriorità. Ma ciò non soltanto nelsenso etimologico dello stare al di là, bensì nella pregnanza disignificato che la filosofia ermeneutica ci ha ormai educato a con-siderare. L’ulteriore è ciò che è presente pur non venendo a mani-festazione, è l’irrapresentabile presente nella rappresentazionecome telos intenzionale.

    Ma come è allora possibile cogliere questa ulteriorità cometotalità di senso? Se volessimo rispondere con linguaggio jasper-siano, potremmo dire che la filosofia è l’attenzione e la capacità dileggere le cifre della trascendenza nella costante tensione al tra-scendimento. Essa è il possest per dirla con Cusano di cui è possi-bile soltanto una  docta ignorantia. L’intenzionalità che informa

    questa trascendenza è senza riscontro, senza riempimento, perusare il linguaggio fenomenologico. Il suo darsi si opera soltantocome iterazione di infiniti adombramenti, di essa non è  possibile

     adaequatio. Sorge a questo punto un nuovo problema di carattereriflessivo e la questione si sposta dalla trascendenza al trascen-dentale. Com’è noto, dalla sua formulazione kantiana a quellahusserliana, il carattere del trascendentale è essenzialmente ope-ratività. Il soggetto trascendentale è un’intenzionalità donatrice di

    senso. Da qui l’altra aporia del trascendentale: il soggetto non puòessere autosignificante, non può dare a se stesso il proprio senso.Il significato–significante cioè (il soggetto che fornisce il senso alreale) che opera con la sua capacità mediale, si rileva come un

     La filosofia come inquietudine 17

  • 8/18/2019 Baccarini La Filosofia Come Inquietudine

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    limite, come esigenza di un significante che lo renda a sua voltasensato. La filosofia riflessiva è alla ricerca di questa globalità disignificato. L’uomo in questa ricerca si presenta come un man-

     que–à–être, una mancanza d’essere, per dirla con Lacan, che si

    può anche definire un essere della mancanza. È il terreno dell’atti- vità simbolica e la spiegazione più plausibile di quella metaforica.È lo stesso terreno su cui si articola l’essere–per–la–morte diHeidegger come compimento di tutte le possibilità. Ma l’esigenzadi una totalità di significato che proprio in quanto esigenza io nonposso porre, stabilisce anche nuovi orizzonti e apre nuove possi-bilità che qui mi limito soltanto ad accennare.

    Una prima possibilità è data dalla descrizione del “circolo

    ermeneutico” fornita da Heidegger. Una seconda, che non si limi-ta all’ambito ontologico, è quella di Gabriel Marcel, che descrive il“mistero dell’essere” come essere del mistero e come inoggettiva-bilità del metaproblematico. Una terza, infine, è data daEmmanuel Levinas nella bipolarità di totalità e infinito che sievolve verso un autrement qu’étre cioè oltre la totalizzazione onto-logica. Fermiamo un momento l’attenzione su queste riflessioniper coglierne gli elementi teoretici. Queste coppie aporetichehanno una loro ricorrenza nella storia del pensiero occidentale,oggi però esse sono l’indice di una insoddisfazione e della esigen-za di un nuovo metodo. Proprio quest’ultimo termine è la caratte-ristica del pensiero moderno oggi assunto in chiave polemica.Methodos è la struttura–simbolo di un certo modo di porre il pro-blema della filosofia e più specificamente della verità. Non è uncaso perciò che compaia in maniera tacitamente polemica nell’o-pera maggiore di Gadamer (Verità e metodo) o che una delle defi-nizioni più brillanti del pensiero di Marcel sia stata “metodologia

    dell’inverificabile” (Pietro Prini); mentre in Levinas è espresso inmodo esplicito il rifiuto del logos greco e del suo metodo. Il rifiutodel metodo non è però indice soltanto di una rivolta ma è soprat-tutto volontà di una anarchia del metodo entro cui trovi più facil-mente spazio la polivalenza dell’esistenza. Sia essa inserimento inun giuoco dove il soggetto è il giuoco stesso (Hans GoergGadamer, Eugen Fink); oppure impossibilità dell’oggettivazionedel mio “io sono” come problema nell’accettazione dell’infinita

    dinamica del mistero dove la dialettica è tra essere e avere.Proprio sull’avere si incentra gran parte della critica al logos chetrova la sua ubriacatura in Hegel come totalizzazione delle suepossibilità di manifestazione. Il concetto è forse la maggiore

    Emilio Baccarini18

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    espressione della sete di possesso che sempre ha guidatol’Occidente dal di dentro (Cum–capio, Be–greifen). Non è perciòun caso, ma una logica e necessaria deduzione che Hegel dichiarila fine della filosofia che perde il carattere di filia per acquisire la

    forma del possesso della  sofia. Ma la filosofia rinasce continua-mente dalle sue ceneri; in questo caso, da un punto di vista stori-co, dalla disgregazione del sistema hegeliano, mentre da un puntodi vista teoretico, è l’analitica dell’esistente che giustifica la per-manenza del desiderio della  sofia cioè della  filo–sofia. L’esistenteinfatti, si scopre come quel particolare essere di desiderio teso

     verso la trascendenza in un continuo trascendimento. Ognunoscopre il proprio ubi consistam in un luogo che non è il qui e in

    un tempo che non è l’ora. La filosofia è la ricerca di questo luogo edi questo tempo, presenti come intenzionalità teleologica, comeanticipazione, ma mai totalmente dati. Questa anticipazione infi-ne, colloca la filosofia nelle dimensioni del mistero dove la rappre-sentazione inglobante è muta e il significato ci viene incontro sol-tanto nella nostra capacità di esperirlo. La verità della filosofia è ilsuo essere itinerante e la sua ricchezza è la sua povertà (15).

     La filosofia come inquietudine 19

    (15) Il discorso, a questo punto, potrebbe essere ulteriormente amplia-to, ma mi limito qui soltanto a segnalare due possibili percorsi: uno che

    incontra  La logique de la philosophie di ERIC WEIL, in particolare con lasua proposta di una ripresa di Kant dopo Hegel e l’altro che invece incon-tra la suggestiva tematica del “risveglio” della coscienza o della coscienzacome veglia e quindi inquietudine, ma ormai inquietudine etica diLevinas.