B. Williams - La Psicologia Morale Minimalistica Di Nietzsche

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20. La psicologia morale minimalistica di Nietzsche Nietzsche, Wittgenstein e la derivazione della teorìa Nietzsche non è una fonte di teorie filosofiche. A certi livelli la questione è ovvia, ma lo diventa meno quanto più si va in profondità. Sotto questo aspetto vi è un'antitesi con Wittgenstein. Wittgenstein ebbe a ripetere, e non solo nella sua opera tarda, che non intendeva ofMre una teoria filosofica e che non biso- gnava leggerlo in tal senso, poiché una teoria filosofica non esi- ste. Ma la sua opera era meno idonea di quella di Nietzsche a so- stenere postumamente una posizione del genere. E ciò per pivi d'una ragione.' Wittgenstein pensava che la sua opera non sol- tanto richiedesse la fine della teoria filosofica, ma la fine della fi- losofia - ciò che per lui si combinava con la fine della richiesta a se stesso di fare filosofia. Questa combinazione - della fine del- la teoria filosofica con la fine della filosofia - non nega l'idea che, ove vi sia filosofia, essa debba assumere la forma della teoria; an- zi la coiTobora. Inoltre gli argomenti sui quali Wittgenstein vo- leva che non vi fosse piti filosofia - gli argomenti, per lui, della filosofia - erano argomenti tradizionali della filosofia accademi- ca. Non sorprende che chi prosegue il lavoro teorico su tali ar- gomenti cerchi nell'opera di Wittgenstein degli elementi a parti- re dai quali strutturarlo. Indubbiamente molti di coloro che così fanno non vedono con adeguata ironia ciò che fanno ai testi wittgensteiniani, ma il loro atteggiamento non è in alcun senso rilevante un tradimen- to: in ogni caso meno di quanto lo sia l'atteggiamento di quelli che pensano che Wittgenstein abbia posto fine alla teoria filoso- fica su quegli argomenti, e approvano un'attività accademica che consiste nel ripetere esattamente la stessa cosa. Tra coloro che pensano che ci sia ancora spazio per una teoria filosofica su que- ' Anche lasciando da parte il fatto che, nel caso di Nietzsche, una sola ope- ra {La volontà di potenza) non è opera sua, mentre le ultime opere di Wittgen- stein, come volumi complessivi, sono sue in misura molto variabile.

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B. Williams - La Psicologia Morale Minimalistica Di Nietzsche

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  • 20. La psicologia morale minimalistica di Nietzsche

    Nietzsche, Wittgenstein e la derivazione della teora

    Nietzsche non una fonte d i teorie filosofiche. A certi l ive l l i la questione ovvia, m a lo diventa meno quanto pi si va i n profondit. Sotto questo aspetto vi un'antitesi con Wittgenstein. Wittgenstein ebbe a ripetere, e non solo nella sua opera tarda, che n o n intendeva o f M r e una teoria filosofica e che non biso-gnava leggerlo i n tal senso, poich una teoria filosofica non esi-ste. M a la sua opera era meno idonea d i quella d i Nietzsche a so-stenere postumamente una posizione del genere. E ci per pivi d'una ragione.' Wittgenstein pensava che la sua opera non sol-tanto richiedesse la fine della teoria filosofica, m a la fine della f i -losofia - ci che per l u i si combinava con la fine della richiesta a se stesso d i fare filosofia. Questa combinazione - della fine del-la teoria filosofica con la fine della filosofia - n o n nega l'idea che, ove v i sia filosofia, essa debba assumere la f o r m a della teoria; an-zi la coiTobora. Inoltre g l i argomenti sui qual i Wittgenstein vo-leva che non vi fosse p i t i filosofia - gli argomenti , per l u i , della filosofia - erano argomenti tradizionali della filosofia accademi-ca. N o n sorprende che c h i prosegue i l lavoro teorico su tali ar-gomenti cerchi nell'opera d i Wittgenstein degli elementi a p a r t i -re dai qual i strutturarlo.

    Indubbiamente m o l t i d i coloro che cos fanno non vedono con adeguata ironia ci che fanno ai testi wittgensteiniani, ma i l loro atteggiamento n o n i n alcun senso rilevante un tradimen-to: i n ogni caso meno d i quanto lo sia l'atteggiamento d i quel l i che pensano che Wittgenstein abbia posto fine alla teoria filoso-fica su quegli argomenti, e approvano un'attivit accademica che consiste nel ripetere esattamente la stessa cosa. Tra coloro che pensano che ci sia ancora spazio per una teoria filosofica su que-

    ' Anche lasciando da parte i l fatto che, nel caso d i Nietzsche, una sola ope-ra {La volont di potenza) non opera sua, mentre le u l t i m e opere d i W i t t g e n -stein, come v o l u m i complessivi, sono sue i n misura m o l t o variabile.

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    gli argomenti, e che Wittgenstein vi abbia contribuito, alcuni de-vono spiegare perch egli avrebbe cambiato idea. Ma spiegarlo si potrebbe, e potremmo arrivare a capire che se Wittgenstein non vedeva piti l'edificio di una disciplina intellettuale, la sua ce-cit non era quella di Sansone ma semmai quella di Edipo a Co-lono, che scomparendo lascia dietro di s acque salutari.

    I testi postumi di Wittgenstein, pur non essendo intesi a ma-nifestare o incoraggiare urna teoria, non ne escludono realmente la derivazione. Con Nietzsche invece la resistenza alla continua-zione della filosofia con mezzi consueti sostanziata nel testo, che blindato non soltanto contro i l tentativo di ricavarne una teoria, ma in molti casi contro qualsiasi esegesi sistematica che 10 assimili a una teoria. A questo la scrittura di Nietzsche arriva, in parte con la scelta dei suoi argomenti, in parte con il suo stile e gli atteggiamenti che esso esprime. Queste caratteristiche si op-pongono a una mera esegesi di Nietzsche o a una sua incorpo-razione nella storia della filosofia come fonte di teorie. Alcuni ri-tengono che queste caratteristiche si oppongano all'incorpora-zione di Nietzsche nella filosofa come operazione accademica, ma concluderne che Nietzsche non abbia importanza per la filo-sofa, sicuramente un errore. Nell'insistere sull'importanza di Nietzsche per la filosofia, intendo qualcosa che non pu essere eluso da una definizione di "filosofa". In particolare non pu es-sere eluso appellandosi a un'antitesi tra filosofa "analitica" e fi-losofia "continentale". Questa classificazione ha sempre com-portato una contaminazione piuttosto bizzarra di metodologia e topografa, come se si volessero classificare le automobili in au-tomobili a trazione anteriore e automobili giapponesi; ma, a pre-scindere da questo e da altri aspetfi assurdi della distinzione, c' 11 fatto pi immediato che nessuna classificazione di qLiesto ge-nere pu eludere le persistenti continuit tra l'opera di Nietzsche e l'attivit di ci che chiamano filosofia. Ignorarle, perlomeno nella filosofia morale, non significa soltanto adottare uno stile, ma scansare un problema.

    A ragione Michel Foucault ossei"v in una delle sue ultime in-terviste che non esiste un unico nietzscheismo e che la giusta do-manda da porre "che uso serio si pu fare di Nietzsche?". Un uso serio di aiutarci con istanze che emergono in qualsiasi fi-losofia seria (in particolare nella filosofia morale) che non eluda la pi sostanziale delle sue questioni. Nietzsche non ci aiuter se lo si prende come un pensatore che ci imponga un certo meto-do. Ho gi detto che considero i suoi testi ben al sicuro da un'e-segesi che voglia derivarne una teoria; da questo per non con-segue, ed importante che non consegua, che quando tentiamo di far di lui un uso serio, la nostra filosofia non debba contene-

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    re una teoria. Ci perch le persistenti continuit tra i suoi pro-blemi e la nostra attivit vanno in entrambe le direzioni. Alcuni degli argomenti da lu i toccati verranno meglio affrontati - i l che vuol dire: affrontati in maniera da comprenderli meglio - con tutt'altri stili di pensiero e forse con qualche teoria di diversa pro-venienza; sicuramente non con formule magiche teoriche, o an-che antiteoriche, che si vorrebbero tratte dallo stesso Nietzsche.

    Naturalismo e realismo in psicologia morale

    Vi un certo accordo sul fatto che abbiamo bisogno di una psicologia morale "naturalistica", mediante cui la nostra com-prensione delle facolt morali sia coerente, anzi sia forse nello spi-rito della nostra concezione degli esseri umani come parte della natura. Un'istanza cos formulata sar forse accolta dalla maggior parte dei filosofi, eccetto qualche ancien combattant della guerra del libero arbitrio. I l guaio di questo ampio e felice consenso, e indubbiamente anche la sua condizione, per che nessuno sa che cosa esso comporti. Le formulazioni di questa posizione ten-dono a eliminare o troppo o troppo poco. Una posizione elimina troppo se tenta riduttivamente di ignorare cultura e convenzione; questo erigalo anche dal punto di vista scientifico, nel senso che vivere in una cultura parte basilare dell'etologia di una specie.^ Elimina troppo poco se include molte cose che facevano parte del-l'immagine che la morale ha di s, come certe concezioni della co-noscenza morale; una teoria non favorir la causa del naturali-smo in questo senso, se ammette come caratteristica sostanziale della natura umana la facolt di intuire la struttura della realt morale. E seducente dire che una psicologia morale naturalistica spiega le facolt morali in termini di stixitture psicologiche non specificamente morali. Ma molto dipende da quel che qui vale co-me spiegazione e da quel che si intende per elemento psicologico specificamente morale, a tal punto che continua a non essere chia-ro se la formula vada considerata moderatamente accomodante o gravemente riduttiva, o una via di mezzo.

    Si tratta di una difficolt sistematica. Se una psicologia mo-rale "naturalistica" deve caratterizzare l'attivit morale in un vo-cabolario ugualmente applicabile a qualunque altra parte della natura, essa si vota a un riduzionismo fisicalistico chiaramente senza uscita. Se invece essa deve definire l'attivit morale in ter-mini applicabili a qualcos'altro ma non a qualsiasi altra cosa, non

    ^ Esamino pi ampiamente questo punto in Making Sense of Humanity, in Making Sense of Humanity and Other Philosophical Papers 1982-1993, cap. 7.

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    abbiamo granch idea d i quali siano questi termini o come pos-sa configurarsi vm'attivit morale "speciale" aderente al natura-l i smo. Se ci consentito di definire l'attivit morale i n qualsiasi m o d o l'attivit morale sembri suggerire, i l naturalismo n o n esclu-der nulla e noi ci r i troveremo al punto d i partenza. I l guaio che i l termine stesso "naturalismo" richiede u n approccio vert i -cistico, nel quale si presume che conosciamo gi quali t e r m i n i ci vogliano per definire u n qualsiasi fenomeno "naturale", e siamo i n v i t a t i ad applicarli all'attivit morale. N o i per non sappiamo qual i siano quei t e r m i n i , a meno che n o n siano ( inuti lmente) i t e r m i n i della fisica; ed questo che porta alla difficolt.

    I n questo imbarazzante frangente possiamo trovare in Nietz-sche sia un atteggiamento generale sia dei suggerimenti specifi-c i che possono esserci d i grande aiuto.^ Dir qualcosa pi avan-t i sul m i o modo d i intendere certi suoi suggerimenti. I l suo at-teggiamento generale ha due aspetti che ci riguardano, e che van-no considerati insieme. Primo, alla domanda "Quanto debbono le nostre spiegazioni dell'attivit specificamente morale aggiun-gere alle nostre spiegazioni della restante attivit umana?", la r i -sposta : " I l meno possibile". E quanto pi una visione morale degli esseri umani sembra ricorrere a materiah specialmente de-p u t a t i agli scopi della morale (certe concezioni della volont, ad esempio), tanto pi abbiamo motivo d i domandare se n o n possa darsi una spiegazione pi i l luminante che si fondi soltanto su concezioni di cui ci serviamo comunque i n al tr i ambi t i . Questa richiesta d i un m i n i m a l i s m o psicologico morale non per sem-plicemente applicazione d i un'occamistica volont d i economia: e questo i l secondo aspetto dell'atteggiamento generale d i Nietz-sche. Senza farci guidare dall'idea d i qual i materiali ci servano p e r l e nostre spiegazioni economiche, un simile atteggiamento ci far semplicemente ricadere nella difficolt in cui gi siamo i n -corsi . L'impostazione d i Nietzsche di individuare u n eccesso d i contenuto morale nella psicologia richiamandosi in p r i m o luogo a ci che un interprete esperto, onesto, acuto e non ot t imist ico comprenderebbe della condotta umana. Questo interprete sa-rebbe - per sen'irci d i un'espressione sfacciatamente valutativa - "realistico", e n o i d i r e m m o che questa impostazione ci spinge i n direzione d i una psicologia morale piuttosto realistica che na-turalistica. I n gioco n o n soltanto l'applicazione di un programma

    ^ Ovviamente l'interesse di questa analisi si indirizza in prevalenza alle ope-re maggiormente "scettiche" di Nietzsche, pi che alle sue idee (per esempio) di autosuperamento. E non si pu negare che anche queste abbiano la loro utiht. Come che sia, non c' speranza di ottenere qualcosa dalle sue aspirazioni libera-torie senza contrapporle al suo discorso sulla morale coiTente.

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    scientifico gi def ini to , ma un'interpretazione informata 'di espe-rienze e attivit umane i n rapporto con altre.

    Un'impostazione del genere i m p l i c a certo, per dir la con le no-te parole d i Paul Ricoeur, un'"ermeneutica del sospetto". Come tale, essa non pu dimostrare costrittivamente n deve cercar di farlo. Sollecita invece a far propria una prospettiva e, i n certa m i -sura, una tradizione (contrassegnata da figure quali Tucidide, per esempio, o Stendhal, o gli psicologi inglesi della morale che Nietz-sche chiamava "vecchi ranocchi"), nella quale ci che sembra r i -chiedere pi materiale morale ha senso i n termini d i ci che ne richiede d i meno. L'operazione pu riuscire, per, solo nella m i -sura i n cui i l sospetto evocato non sospetto d i tutto. G l i studiosi d i Nietzsche normalmente prestano pi attenzione alle sue af-fermazioni, o a quelle che sembrano essere le sue affermazioni , che cio ogni opinione sui rapport i t ra esseri umani e realt aperta al sospetto, che tutto, per esempio, intei-pretazione. Qua-lunque cosa si debba dire a questo l ivello, altrettanto impor-tante i l fatto che quando Nietzsche dice che non esistono feno-m e n i morali , ma soltanto interpretazioni morali , ' ' statuisce un giudizio speciale sulla morale. Ci non significa che c i si debba semplicemente dimenticare, anche i n questo caso, delle affer-mazioni pi generali. Dobbiamo riuscire a comprendere pi a fondo dove si t rovino questi p u n t i d i particolare sospetto, e pu esser utile passare attraverso affermazioni pi generali per arr i -vare poi ad affermazioni pi ristrette. cos soprattutto se te-niamo presente che i n realt "affermazione" di rado, per Nietz-sche, la parola giusta. Non solo troppo debole per certe cose che dice e troppo forte per altre; possiamo utilmente ricordare, nondimeno, (o forse fingere) che anche quando suona insisten-te o petulantemente espositivo, Nietzsche non necessariamente c i dice qualcosa, m a ci spinge a chiedere qualcosa.

    Nel resto d i questo capitolo cercher d i mettere insieme al-c u n i dei suggerimenti d i Nietzsche su u n fenomeno d i presunta natura psicologica, quello del volere. Lascer da parte molte co-se interessanti che Nietzsche dice su questo concetto, e partico-larmente sulla sua storia. I l mio intento di illustrare, con una trattazione schematica del suo esempio centrale, come u n meto-do del sospetto - la ricerca, quasi si potrebbe dire, d i u n colpe-vole - possa aiutarci a costruire una psicologia morale r idot ta e pi realistica.

    '' Nietzsche, Al di l del bene e del male, 108.

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    Illusioni dell'io Seriamente parlando, ci sono buone ragioni per sperare che in filo-sofia ogni dogmatizzare, per quanto si sia atteggiato in maniera pom-posa, definitivamente e universalmente valida, possa essere stato soltanto una nobile bambocciata e una cosa da principianti; e che forse assai prossimo il tempo in cui si comprender sempre pi che cosa propriamente stato sufficiente per fornire le fondamenta a ta-li sublimi e assolute costiarzioni dei filosofi, quali i dogmatici fino a oggi hanno edificato - una qualche superstizione popolare di et im-memorabile (come la superstizione dell'anima che, quale supersti-zione del soggetto e dell'io, ancor oggi non ha cessato di creare di-sordini), forse un qualche giuoco di parole, una seduzione a opera della grammatica o una temeraria generalizzazione di dati di fatto molto angusti, molto personali, molto umani, troppo umani.^

    L'asserzione generale qui fatta da Nietzsche (condivisa da Wittgenstein, e da J.L. Austen, sulla straordinaria leggerezza del-le teorie filosofiche) mira a un'idea pcirticolare, che cio l'io sia una sorta di finzione. Pi oltre nella stessa opera Nietzsche se-gue Lichtenberg nel ricondurre, criticandolo, i l cogito a un'abi-tudine grammaticale. In altro luogo fa un'asserzione simile rife-rendosi pi specificamente all'azione. Fa parlare uno scettico:

    "Non ho la minima idea di quel che faccio\n ho la minima idea di quel che devo farei" Hai ragione, ma non aver dubbi: tu sei fattoi In ogni attimo. In tutti i tempi l'umanit ha scambiato l'attivo con il passivo, il suo eterno sproposito grammaticale.*

    Molte idee possono ricavarsi da questo complesso: ad esem-pio, che noi non facciamo mai veramente una cosa, che nessun accadimento un'azione. Ancor pi interessante una lettura di Nietzsche secondo cui l'azione una categoria interpi-etativa fun-zionale, ma locale o prescindibile; a me questo pare altrettanto poco plausibile, ma c' chi l'ha accolta.'' Se gli uomini compiono

    ' Ivi, Prefazione. Il riferimento a Lichtenberg, pi oltre, si trova nel para-grafo 17.

    *> Nietzsche, Aurora, 120. Il passo sull'alba, citato oltre, si trova anch'esso in Aurora, 124.

    ' Per esempio Frthjof Bergmann, Nielzsche's Critique of Muralily in Reading Nietzsche, a cura di Robert C. Solomon e Kathleen M. Higgins, Oxford University Press, New York 1988, pp. 29-56. Bergmann include l'agire individuale" (unita-mente a concetti quali individualit, libert e colpa) in un elenco che si presume specifico della nostra morale; lui stesso asserisce (eiToneamente, ritengo) di segui-re Clifford Geertz nel sostenere che esso era ignoto nella Bali tradizionale. Errori simili si sono fatti trattando delle concezioni della Grecia omerica: si veda oltre, nota 10. L'idea che Vazione, nella nostra accezione ordinaria, sia un concetto pre-scindibile e fi-ainteso condiwsa da una filosofia molto diversa, l'eliminativismo: e in questo caso, per ragioni scientifiche.

    20. L A P S I C O L O G r A M O R A L E MLNFMALrSTTCA DI N I E T Z S C H E 329 l ' i

    delle azioni, le compiono perch pensano o percepiscono certe cose, e tanto basta per disfarsi, in aggiunta, di un rozzo epifeno-menalismo che potrebbe rintracciarsi in certe frasi di Nietzsche, forse nel suo suggerimento che ogni azione come un voler che i l sole sorga quando i l sole sta appunto per sorgere.

    I dubbi nietzscheani sull'azione possono pi utilmente r i -guardarsi, a pai-er mio, come dubbi non sull'idea di una persona che faccia qualche cosa, ma piuttosto su un'interpi-etazione mo-ralmente significativa dell'azione, in termini di volont. Credere nella volont implica per lui due idee in particolare: che la vo-lont pare qualcosa di semplice mentre non lo ; e che ci che pare semplice pare anche una specie particolare, imperativa, di causa.

    I filosofi sono soliti parlare della volont come se fosse la cosa pi. nota di questo mondo [...] Tuttavia [...] [i]l volere mi sembra so-prattutto qualcosa di complicato, qualcosa che soltanto come paro-la rappresenta una unit - e appunto nell'uso di un'unica parola si nasconde il pregiudizio del volgo, che ha prevalso sulla cautela dei filosofi, in ogni tempo esigua.*

    Nietzsche passa poi a spiegare che ci che si dice "volere" un complesso di sensazioni e di pensieri, e una passione del co-mando. Addita le conseguenze del fatto che noi siamo tanto la parte che comanda che quella che ubbidisce, e della nostra "tra-scuranza di tale dualit".

    Poich, nel maggior numero dei casi, si voluto soltanto quando ci si poteva aspertere l'effetto del comando, quindi l'obbedienza, quin-di l'azione, allora l'apparenza si trasferita nella sensazione che esi-sta una necessit d'effetto: insomma, chi vuole crede, con un suffi-ciente grado di certezza, che volont e azione siano in qualche mo-do una cosa sola - egli attribuisce il successo, l'attuazione del suo volere ancora alla volont stessa e gode in ci di un accrescimento di quel senso di potenza che ogni successo porta con s.

    Qual esattamente l'illusione che Nietzsche espone qui? Non l'idea che una certa esperienza sia causa sufficiente di un'azio-ne. Lui pensa anzi che le esperienze implicite nel "volere" non r i -velino, e possano anzi occultare, i l complesso mutevole di forze psicologiche e fisiologiche che stanno dietro a ogni azione, i mo-ti costanti, sconosciuti, insaziabili che fanno di noi, per usare la sua immagine, una sorta di po l ip i .Non che l'esperienza si arro-

    ^ Nietzsche, Al di l del bene e del male, 19. Tutto il paragrafo pertinente. ' Nietzsche, ylMrora, 119.

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    ghi d i essere la causa. Semmai l'esperienza sembra rivelare un diverso genere d i causa e suggerisce che la causa non risieda i n u n qualche evento o stato d i cose - si t r a t t i di esperienza m i a o d'altro - ma i n qualcosa che per me " io" . Questa causa sembra rapportarsi all'effetto solamente a mo ' d i prescrizione, attraver-so un imperativo; e dal momento che quest'ultimo non ha alcun rapporto con una qualunque serie causale d i eventi, pare pro-dun-e i l proprio effetto ex nihilo.

    Naturalmente qualsiasi ragionevole teoria dell'azione, che conceda che azione v i , e che i pensieri non hanno con essa un rapporto meramente epifenomenico, dovr concedere che la mia coscienza di agire non coincide con la coscienza che un m i o sta-to causi un certo effetto. Ci consegue semplicemente dal fatto che la coscienza d i p r i m a persona che ha chi implicato i n un'a-zione non pu al tempo stesso essere una coscienza di terza per-sona di tale implicazione. Ma la coscienza di prima persona che u n agente necessariamente ha non deve d i per s portare a l l ' im-magine contro C L i i Nietzsche si scaglia: l'azione non impl i ca ne-cessariamente questa cognizione di s.' L'immagine particola-re, strettamente associata alla nozione del "volere", e, quando presente, non semplicemente una teoria dell'azione, ma pu ac-compagnare mol t i dei nostri pensieri e delle nostre reazioni mo-r a l i . Dunque da dove viene, e che cosa fa?

    Parte della spiegazione eli Nietzsche si r itrova i:n uno dei suoi passi pi famosi:

    Allo stesso modo, infatti , i n cui il volgo s e p a r a il fulmine dal s u o ba -gliore e ritiene quest 'u l t imo un fare, u n a produzione di L U I soggetto, c h e viene c h i a m a t o h i l m i n e , cos l a m o r a l e del volgo tiene a n c h e la forza distinta dal le estr insecazioni d e l l a forza, come se dietro i l for-te esistesse im s o s t r a t o indifferente, a l quale sarebbe consentito estr insecare forza o p p u r e no. M a u n tale sostrato n o n esiste : non esiste a lcun " e s s e r e " al di sotto del fare, dell 'agire, del d i v e n i r e ; " co -lui che fa" non c h e fittiziamente aggLmto al fare - il fare tutto. I l volgo, i n fondo, d u p l i c a il fare; allorch vede il f L i l m i n e m a n d a r e L m barbaglio, questo u n far-fare; p o n e lo stesso evento p r i m a co-m e causa , e poi a n c o r a u n a volta c o m e effetto d i e s s a . "

    Questo i l lust rato chiaramente dal modo in cui alcuni studiosi conside-rano la concezione omer ica dell'azione; non trovando in Omero quest'idea d'a-zione, hanno ritenuto che i greci dell'et arcaica o non avessero alcuna idea d'a-zione, o ne avessero una imprecisa, dalla quale era assente i l concetto d i volont. Esamino questa e altre concezioni errate af f ini i n Shame and Necessity: se ne ve-da in particolare il capi to lo 2,

    " Nietzsche, Genealogia della morale, P r ima dissertazione, sez. 13,

    20. LA PSICOLOGIA M O R A L E M I N I M A L I S T I C A DI N I E T Z S C H E 331

    Ci sono due idee u t i l i i n questo discorso. Una che l ' imma-gine contro cui Nietzsche si scaglia impl ica una sorta d i conto doppio. L'io che la causa viene ingenuamente introdotto come causa di un'azione. Se i l mio io-agente produce soltanto un i n -sieme d i eventi, non avr forse quanto basta per un mio coinvol-gimento nell'azione: sar tutt'al pii i l "pilota della nave" d i cui parla Descartes. La duplicazione dell'azione deriva anche dall ' i -dea che la forma della causazione sia quella del comando. Ubbi -dire a un comando consiste i n un'azione; ma comandare a sua volta un'azione. L'io pu agire ( in u n momento piuttosto che i n u n altro, ora piuttosto che prima) solo facendo qualcosa - la co-sa che fa volere; ma, per piri d'una ragione, ci che cos compie sembra essere a sua volta un'azione. Nel fare di un'azione qual-cosa che introduce u n agente-causa, i l ragionamento rivela una poderosa tendenza a produrre due azioni.

    I l secondo pensiero utile che si ricava da Nietzsche che un ragionamento tanto particolare deve avere uno scopo, e che lo scopo morale.

    L'oggetto della riprovazione

    Lo scopo del ragionamento pu leggersi a partire dal modo i n cui vi vengono accostate due idee che contribuiscono alla sua i n -coerenza e che, unite, la aggravano. Una che esista vma speciale unit metafisica, un'azione reale, diversa da qualunque altra cosa individuabile nei processi del mondo. L'altra che essa stia i n una relazione non mediata - qualcosa d i simile a un effetto ex nihilo -con qualche cosa d i genere completamente diverso, anzi unico, co-me una persona, u n io, un agente. C' tm'idea che ha bisogno di elementi che stiano esattamente in una relazione di questo tipo: u n certo concetto purificato di riprovazione.

    La riprovazione ha bisogno d i un'occasione (un'azione) e di un oggetto (una persona): la persona che ha compiuto l'azione e che dopo l'azione riceve la riprovazione. Questa la sua natura o, si potrebbe dire, la sua forma concettuale. Nel mondo reale queste cose non sono necessarie nella forma pura e isolata i m -pl ic i ta nel discorso sulla volont. I greci d i Omero riprovavano gl i uomini per le loro azioni, e qualunque cosa entrasse in que-sta riprovazione, n o n era tutto. Semmai, questa versione dell'oc-casione e dell'oggetto sar richiesta da una concezione purif ica-ta della riprovazione, concezione similmente richiesta dalla giu-stizia morale. importante osservare che la semplice idea del giusto risarcimento non avanza questa richiesta, n una qualche idea d i responsabilit. Se A stato danneggiato da un'azione scon-

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    siderata d i B, si potr attr ibuire a B la responsabilit del danno ed esigere da lu i ragionevolmente d i r isarcire A, sebbene i l dan-no recato ad A non fosse parte d i ci che B voleva. Una concen-trazione esattissima sulla volont d i B, e la concezione mera-mente focalizzata della riprovazione che l'accompagna sono r i -chieste non soltanto dalla responsabilit o da richieste d i risar-c imento in sede giur idica, ma da qualcosa d i pi specifico.

    Non difficile trovare una spiegazione della richiesta pi spe-cifica. Essa consiste nell'apparente rivendicazione di giustizia, che l'agente cio venga riprovato per quanto era in suo potere, n pi e n meno. Ci che l'agente ha provocato (e per cui, nell 'ordine consueto delle cose, si pu esigere da lu i u n risarcimento) pu be-nissimo essere questione d i fortuna, ma ci per cui egli pu, a ri-gore (nella terminologia d i queste concezioni, "moralmente"), es-sere riprovato non pu essere questione d i fortuna e deve dipen-dere i n senso stretto e ben identificabile dalla sua volont. cor-retto dire che ci che dipende dalla sua volont ci che rigo-rosamente in suo potere: i n relazione a ci che vuole, l'agente stes-so ha i l senso della potenza in azione d i cu i parla Nietzsche. I n quanto agenti, e altres in quanto riprovatori sub judice, no i ab-b iamo interesse a questa immagine delle cose.

    I bisogni, le richieste e le sollecitazioni del sistema della mo-ralit bastano a spiegare la particolare psicologia della volont. M a va detto d i pi sul fondamento del sistema stesso. notissi-m o che Nietzsche sostenne che una fonte specifica andasse ri-cercata nel sentimento del ressentiment - un sentimento avente a sua volta un'origine storica, per quanto egli non le dia una col-locazione molto precisa. Non esaminer qu i l'aspetto storico, ma ritengo che valga la pena suggerire una breve considerazione sul-la fenomenologia della riprovazione focalizzata, che ha con la "genealogia" di Nietzsche una relazione sufficientemente stretta da essere, forse, una versione di essa.'^

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    Una genealogia nietzscheana d i no rma coniuga, in una forma che la f i -losof ia anal i t ica trova imbarazzante , storia, fenomenologia, psicologia " rea l i -s t i ca" e interpretazione concettuale. L'uso del la s tor ia , po i , varia marcatamen-te da u n contesto a l l 'a l t ro . Alcune delle procedure nietzscheane vanno viste spe-c i f icamente alla luce del la Fenomenologia d i Hege l e del suo r icorrente stupo-re per l'esistenza del cr is t ianes imo. Alcune sono certamente meno u t i l i d i altre, m a la semplice idea che sia necessario che quegl i e lementi cooperino s icura-mente giusta. Ci necessario capire quali pa r t i del nostro schema concettuale s iano, e i n che misura, cu l tura lmente local i . Lo cap iamo al meglio quando ca-p i amo uno schema u m a n o reale che sia per cer t i aspetti diverso dal nostro . Un mezzo impor tant i ss imo per localizzare questo schema di r in t racc ia r l o nella s tor ia , soprattutto nel la s tor ia del nostro stesso schema. Per capire que l l 'a l t ro schema, e per capire perch vi sia tale diversit t ra quegli uom in i e no i , dob-b i a m o comprender lo come u n o schema umano : cio comprendere le diversit

    20. LA P S I C O L O G I A M O R A L E M I N I M A L I S T I C A DI N I E T Z S C H E 333

    Se c' chi lamenta d i essere v i t t ima d i u n danno, c i sono an-che un agente da r iprovare e un atto d i questo agente che ha pro-vocato i l danno. L'ira della vi t t ima passa dal danno all 'atto del-l'agente; e i l r isarcimento o indennizzo offerto dall'agente equi-varr all'ammissione sia del danno sia dell'esserne lu i stato cau-sa. Poniamo che l'agente danneggi la v i t t ima, e che lo faccia inten-zionalmente e volontariamente: dove non si assume che "intenzio-nalmente e volontariamente" richieda i l meccanismo speciale del-la volont, ma si intende soltanto che l'agente sapeva quel che fa-ceva, voleva farlo ed era i n uno stato mentale normale nel farlo. Poniamo che l'agente non sia disposto a risarcire o indennizza-re la v i t t ima, e che quest 'ultima non abbia i l potere d i costr in-gervelo. Nel rifiutare una riparazione l'agente rifiuta d i r icono-scere la vitt ima o i l suo danno: che una prova particolarmente viva dell 'impotenza della vitt ima.

    Queste circostanze possono generare, nella vitt ima o i n altra persona che ne prenda e parti , una fantasia molto particolare d i prevenzione restrospettiva. I n quanto v i t t ima, io ho la fantasia di introdurre nell'agente u n riconoscimento della mia persona che sostituisca esattamente quell'atto con cui m i ha danneggiato. Vo-glio credere che se avesse riconosciuto la mia persona, avrebbe evitato d i farmi del male. Ma l'idea non pu essere che io in qual-che modo empirico avrei potuto prevenirlo: quest'idea contiene solamente i l rimpianto che ci non sia avvenuto realmente e, co-s stando le cose, i l ricordo d i un'umiliazione. L'idea dev'essere i n -vece che io, adesso, vorrei trasformare l'agente, da uomo che non m i riconosceva come persona, i n uomo che m i riconosceva. Que-sta fantasticata trasformazione magica non implica realmente la trasformazione d i nul la, e non ha dunque nulla a che fare con ci che potrebbe, semmai, avere veramente trasformato la realt. Pre-suppone semplicemente l'idea dell'agente nel momento dell'azio-ne, quella dell'azione che m i ha fatto del male e quella del r i f iu to d i tale azione, i l tut to isolato dalla rete d i circostanze in cu i l'a-zione dell'agente era effettivamente inserita. Implica esattamen-te l ' immagine della volont che gi stata svelata.

    Da questo sentimento fondamentale possono derivare molte cose. Esso pone le fondamenta della pi pura e semplice inter-pretazione della pena, ed assai significativo che i l l inguaggio della retribuzione impieghi naturalmente concetfi teleologici d i conversione, educazione o emendamento ("dargli una lezione", "fargliela vedere") insistendo in par i tempo che i l suo intento

    in l .ermini di somiglianze, i l che richiede un ' interpretaz ione psicologica Con mo l t a approssimazione poss iamo dire che una genealogia nietzscheana pren-de le mosse da Davidson pi la storia.

  • 334 IL SENSO DEL PASSATO

    totalmente retrospettivo e che, i n quanto puramente retributivo, non mira a una vera riforma. '^ M a Finterpretazione fianziona al-meno altrettanto quando non si t rat ta d i una pena reale, ma so-lo dei concetti puramente moral i d i colpa e riprovazione. Essa implica allora un'ulteriore astrazione: introduce non soltanto l ' i -dea retributiva della causazione retrospettiva, ma l'idea morale della legge autori tat iva ma senza sanzione, d i u n g iudiz io la cui forza non va oltre i l gitidizio stesso.

    Conclusione

    Questo ovviamente non che l'abbozzo di un'esposizione pos-sibile tratta (direttamente) da mater ia l i nietzscheani. I l suo ca-rattere pi rilevante ai nostri f i n i la sua struttura. Partiamo da u n presunto fenomeno psicologico, i l volere, congiunto al con-cetto dell'io i n azione. I l fenomeno pai"e riscontrabile nell'espe-rienza, e pare altres avere ima certa autorit. La sua descrizio-ne presenta gi delle difficolt e dei p u n t i oscuri, ma i tentativi d i dissiparli a mezzo d i spiegazioni o di ignorarl i sembrano in genere aver ignorato qualcosa d' importante, anzi d i omettere l'es-senza dell'azione. Rammentando che i n civilt diverse si sono avute diverse i m m a g i n i dell'azione, e che i l concetto stesso d'a-zione tutt 'a l tro che trasparente, r iusciamo a vedere che l'inte-grit dell'azione, la presenza genuina dell'agente in essii, pu man-tenersi senza quel l ' im magine della volont... anzi pu m a n tenersi soltanto senza d i essa. I l processo col quale arr iviamo a qLiesta conclusione pu essere complesso e per noi abbastanza doloro-so da farci avvertire non tanto d i aver imparato una verit, quan-to piuttosto d i essere stati sgravati da un peso.

    Dato che l ' immagine non n coerente n universale, ma ha tuttavia questa autorit, dobbiamo chiedere donde proviene e che cosa opera. N o n d i per s manifestamente legata alla mot-ale, of-frendo invece un' immagine dell'azione volontaria in generale, ma v i un fenomeno morale, un certo concetto di riprovazione che vi si accorda direttamente. I l concetto, a sua volta, non tmiver-sale, ma parte d i u n complesso speciale d i idee etiche avente al-tre caratteristiche particolari correlate. L'accordo tra i l concetto

    " Un esempio part icolarmente i l l u m i n a n t e l'analisi che Rober t Nozick fa della pena re t r ibut iva nelle Ph'dosophical Explanations, Oxford Univers i ty Press, Oxford 1984 ( t r i t . Spiegazioni filosofiche, i l Saggiatore, M i l a n o 1987), pp. 363 sgg. I l suo sforzo eroico per esprimere ci che la mera retr ibuzione intende pro-durre (in antitesi a ci che essa effettivamente fa) rivela, a me sembra, che non c' spazio logico perch lo sforzo possa aver successo.

    20. LA PSICOLOGIA MORALE MINIMALISTICA D[ NIETZSCHE 335

    psicologico speciale e le esigenze della morale ci consente d i ve-dere che questa psicologia anch'essa u n concetto morale, e se-gnatamente una. psicologia che condivide certe dubbie caratteri-stiche con quella morale particolare. Oltre a ci, sapremmo for-nire ulteriori concetti psicologici che ci aiutino a capire le moti -vazioni d i quella forma particolare dell'eticit. Tali concetti, che Nietzsche raccoglie sotto i l nome d i risentimento, portano sicu-ramente fuor i della sfera etica, nelle categorie d'ira e d i potenza, e non pu essere semplicemente una questione filosofica decide-re quanto tali categorie siano in grado d i spiegare. Potrebbero es-sere necessarie altre spiegazioni, e pu darsi che po i si dimostiri-no pi int imamente legate a concetti di equit, per esempio. Ma contrapponendo l'una all'altra quelle spiegazioni, e interpretando la psicologia del volere come esigenza del sistema morale, ci tro-veremo a seguire u n percorso peculiarmente nietzscheano i n d i -rezione della naturalizzazione della psicologia morale.

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