Axiologico, praktologico e deontico in Herbert...

24
1 Dr.ssa Barbara Malvestiti Relazione per il Seminario di Fenomenologia Dottoranda in Filosofia analitica e Università Vita-Salute San Raffaele Teoria generale del diritto XXV ciclo Università degli Studi di Milano Facoltà di Giurisprudenza Dipartimento di Scienze Giuridiche Cesare Beccaria Sezione di Filosofia e sociologia del diritto Axiologico, praktologico e deontico in Herbert Spiegelberg. Saggio sulla fondazione dei diritti umani

Transcript of Axiologico, praktologico e deontico in Herbert...

1

Dr.ssa Barbara Malvestiti Relazione per il Seminario di Fenomenologia Dottoranda in Filosofia analitica e Università Vita-Salute San Raffaele Teoria generale del diritto XXV ciclo Università degli Studi di Milano Facoltà di Giurisprudenza Dipartimento di Scienze Giuridiche Cesare Beccaria Sezione di Filosofia e sociologia del diritto Axiologico, praktologico e deontico in Herbert Spiegelberg. Saggio sulla fondazione dei diritti umani

2

Sommario

0 La fondazione del normativo di Herbert Spiegelberg .................................................................. 3

0.1 Herbert Spiegelberg (1904-1990) ........................................................................................ 3 0.2 Tre dimensioni di fondazione del normativo ....................................................................... 3 0.3 Due sensi di normativo ........................................................................................................ 4 0.4 Presentazione delle dimensioni di fondazione del normativo .............................................. 4

0.5 Livelli di fondazione del normativo ..................................................................................... 6 1 L’ axiologia di Herbert Spiegelberg ............................................................................................. 6

1.1 Ontologia formale del valore ............................................................................................... 7

1.1.1 Distinzione tra valore e fondamenti del valore .............................................................. 7 1.1.2 Il significato di ‘valore’.................................................................................................. 7 1.1.3 La natura del valore ....................................................................................................... 7

1.2 Ontologia formale dei fondamenti del valore ...................................................................... 8

1.2.1 La natura del fondamento del valore ............................................................................. 8

1.2.2 La relazione tra fondamento e valore ............................................................................ 9

1.2.3 Valori intrinseci ed estrinseci ........................................................................................ 9

1.3 Ontologia materiale dei fondamenti del valore ................................................................. 10

1.3.1 Teorie sui fondamenti del valore e proposta di Spiegelberg ....................................... 10 1.3.2 Primo fondamento del valore: l’armonia. .................................................................... 10 1.3.3 Secondo fondamento del valore: l’individualità .......................................................... 12

2 Praktologia................................................................................................................................. 13

2.1 Il fenomeno della dignità (dignity) .................................................................................... 13

2.2 Otto accezioni del termine ‘dignità’................................................................................... 14 2.3 Dignità come valore intrinseco e dignità come esser meritevole di rispetto ..................... 14 2.4 ‘Dignità’ al plurale e ‘dignità’ al singolare: estensione ed intensione del termine ............ 16

2.5 I fondamenti della dignità .................................................................................................. 17 3 Deontica ..................................................................................................................................... 18

3.1 Aspetto deontico ed aspetto axiologico di una fondazione del normativo ........................ 18 3.2 Prius e maximum della fondazione: aspetto axiologico, aspetto deontico ......................... 18 3.3 Una fondazione fenomenologica dei diritti umani ............................................................. 19

3.3.1 Dignità e rispetto: fondamento ed oggetto dei diritti umani ........................................ 19 3.3.2 Distinzione tra pretese (claims, iura) e diritti (rights) ................................................. 20

3.3.3 Valore intrinseco: responsabilità e capacità di sviluppo personale ............................ 20

3.3.4 Armonia ed individualità nell’ambito dei diritti umani ............................................... 21

3

0 La fondazione del normativo di Herbert Spiegelberg

0.1 Herbert Spiegelberg (1904-1990)

Herbert Spiegelberg (1904-1990), tedesco alsaziano, studente di legge ad Heidelberg, si dedicò allo studio del diritto naturale e della filosofia. Trascorse un semestre all’università di Freiburg, dove incontrò Edmund Husserl (1859-1938). L’incontro fu decisivo per la prosecuzione dei suoi studi, che Spiegelberg concluse a Monaco, dove cominciò a lavorare con Alexander Pfänder, fenomenologo, (1870-1041). A Monaco si laureò in legge, ma preparò la dissertazione di dottorato in filosofia, sotto la direzione di Pfänder 1. Nel 1938 Spiegelberg si trasferì in America, dove diede un forte impulso allo sviluppo del movimento fenomenologico2. L’intera opera di Spiegelberg può essere letta come un intero tentativo di fondazione del normativo o della sfera pratica. La produzione di Spiegelberg si suddivide in due periodi:

- Il periodo tedesco, in cui Spiegelberg getta le basi di una fondazione della sfera pratica o del normativo.

- Il periodo americano, in cui Spiegelberg porta a compimento il suo progetto di fondazione del normativo, di cui la fondazione dei diritti umani rappresenta un exemplum.

0.2 Tre dimensioni di fondazione del normativo

Ho individuato tre dimensioni connesse nel progetto di fondazione del normativo di Spiegelberg:

1. La dimensione axiologica 2. La dimensione praktologica 3. La dimensione deontica.

In questo scritto intendo:

i. Illustrare i tratti essenziali di queste tre dimensioni ii. Mettere in luce i loro nessi quali livelli di fondazione del normativo.

1 Si tratta di Gesetz und Sittengesetz (1935), in cui Spiegelberg prova a mostrare l’importanza delle analisi ontologiche per l’indagine sull’etica e sul diritto. La dissertazione è seguita dall’altra opera cardine di Spiegelberg, un’opera di «ontological deontology», Sollen und Dürfen (1937, 1989). L’espressione «ontological deontology» compare in Herbert Spiegelberg, Herbert Spiegelberg, in Eugene F. Kaelin e Calvin O. Schrag (eds.), American Phenomenology. Origins and Developments, Kluwer, Dordrecht 1989. Mi pare, considerato l’ambito di ricerche di Spiegelberg, che un buon modo per tradurre «ontological deontology» sia ‘ontologia deontica’. Di Sollen und Durfen (pubblicata nel 1989 a cura di Karl Schuhmann) vi è un manoscritto del 1937, depositato presso la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera. Il suggerimento è contenuto in Paolo Di Lucia, ‘Sollen’ in Herbert Spiegelberg, in D. Veronesi (ed.), Linguistica giuridica italiana e tedesca, Unipress, Padova 2000, p. 69. 2 Proprio a lui si deve l’espressione ‘Phenomenological Movement’, che ricorre in un’opera storiografica dell’autore, The Phenomenological Movement: A Historical Introduction (1960). Questi cenni biografici su Herbert Spiegelberg sono tratti da Herbert Spiegelberg, Herbert Spiegelberg, in Eugene F. Kaelin e Calvin O. Schrag (eds.), American Phenomenology. Origins and Developments, Kluwer, Dordrecht 1989.

4

0.3 Due sensi di normativo

In Spiegelberg ho individuato due sensi di “normativo”. 1. Come aggettivo: qualcosa vuole essere «normativo», cioè avere «pretesa di verità»3. 2. Come sostantivo: il normativo è l’insieme delle norme, le quali non hanno necessariamente

«pretesa di verità». Ad esempio i comandi sono norme che non ce l’hanno, in quanto esternazioni di volontà o sentenze di potere.

È il primo senso di ‘normativo’ che il progetto di fondazione di Spiegelberg prende in considerazione, poiché solo ciò che ha pretesa di verità può vantare la possibilità di una fondazione. Parleremo d’ora in poi di ‘normativo’ come ciò che può pretendere una fondazione. ‘Pratica’ è la sfera dell’agire umano che corrisponde a ‘normativo’:

«Wollen…praktische Gedanken mehr sein als bloße unbegründete Behauptungen, als

Stimmungsäußerungen oder Machtsprüche, wollen sie auf Wahrheit Anspruch haben, so müssen sie...begründet sein».4

«Se i pensieri pratici vogliono essere qualcosa di più che pure affermazioni infondate come esternazioni di stati d’animo o sentenze di potere, se vogliono avere pretesa di verità, allora devono essere fondati»5.

0.4 Presentazione delle dimensioni di fondazione del normativo

Il progetto di fondazione del normativo di Spiegelberg contempla tre dimensioni, che hanno come oggetto una il concetto di «valore», un’altra quello di «forma pratica», la terza quello di «dovere». Chiamo le discipline che si occupano di questi oggetti rispettivamente axiologia, praktologia e deontica. Eccone una breve presentazione:

1. L’ axiologia è la «teoria del valore», che tratta due sfere connesse, ma distinte: a) Un’ontologia del valore o del «buono» b) Un’ontologia dei fondamenti del valore.

3 Spiegelberg, H., Sinn und Recht der Begründung in der axiologischen und praktischen Philosophie, in E. Heller e F. Loew (eds.), Neue Münchener philosophische Abhandlungen, Leipzig 1933, p. 109. Husserl dice: pretesa di «validità razionale». Cfr. Husserl, E., Vorlesungen über Ethik und Wertlehre, 1908-1914, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht/Boston/London 1988. Traduzione italiana a cura di Paola Basso e Paolo Spinicci: Lineamenti di etica formale, Le lettere, Firenze 2000, p. 54. 4 Cfr. Spiegelberg, H., Sinn und Recht der Begründung in der axiologischen und praktischen Philosophie, in E. Heller e F. Loew (eds.), Neue Münchener philosophische Abhandlungen, Leipzig 1933, p. 109. 5 Traduzione dal tedesco mia del passo precedente. Troviamo qui la distinzione tra comunicare ed esercitare certi effetti sul parlante. I comandi hanno un contenuto che vuol essere comunicato? Soltanto laddove c’è un contenuto che vuol essere comunicato può forse esserci una pretesa di validità razionale. Husserl distingue « proposizioni normative» e «proposizioni imperative». Le prime «sono enunciate con il senso di validità razionale». Le seconde «enunciano richieste nel modo della suggestione. Il parlante si aspetta che l’enunciazione del comando sarà psicologicamente efficace, ma non ha pretese circa la sua validità razionale e la sua approvazione». Cfr. Husserl, E., Vorlesungen über Ethik und Wertlehre, 1908-1914, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht/Boston/London 1988. Traduzione italiana a cura di Paola Basso e Paolo Spinicci: Lineamenti di etica formale, Le lettere, Firenze 2000, p. 54.

5

2. La praktologia si definisce come scienza dei «prakta», le forme della sfera pratica, o del

normativo, in cui rientrano – dice Spiegelberg – non solo le forme del «Sollen»,– «doveri», «pretese», «esigenze» – ma anche quelle del «Dürfen» – «poter essere» e «poter fare»: «diritti» (Berechtigungen), ovvero norme 6. L’elemento di novità della praktologia sta nel considerare, tra le forme della sfera pratica, le quali hanno una «pretesa di verità», non soltanto i doveri, ma anche i diritti. Se in passato la filosofia pratica ha provveduto alla fondazione dei doveri – si pensi alla Critica della ragion pratica di Kant – , Spiegelberg vuole provvedere ad una fondazione dei diritti. «Praktische Philosophie richtet sich auf bisher nur ganz unzureichend untersuchte…Gebilde. Sie umfaßt nicht nur das Sollen (…Seinsollen und Tunsollen und deren Derivate: Pflichten, Forderungen, Ansprüche usw.), sondern auch Gebilde wie das Dürfen (…Seindürfen und Tundürfen (Berechtigungen)), und das Nicht-dürfen (…Nichtseindürfen und Nichttundürfen). Wir bezeichnen diese Gebilde zusammenfassend als Prakta»7. «La filosofia pratica si dirige su forme che finora sono state esaminate in modo assolutamente insufficiente…Essa include non solo il Sollen (…“dover essere” e “dover fare” e i loro derivati: “doveri”, “pretese”, “esigenze”, ecc.), ma anche le forme come il Dürfen (… “poter essere” e “poter fare” (diritti )) e il Nicht-dürfen (… “non poter essere” e “non poter fare”). Noi chiamiamo l’insieme di queste forme Prakta»8.

3. La deontica è la «teoria del dovere», che rappresenta il punto più alto del progetto di

fondazione del normativo di Spiegelberg. Ho individuato tre nessi di fondazione del normativo:

a) Relazione di fondazione della sfera praktologica sulla sfera axiologica. b) Relazione di fondazione della sfera praktologica sulla sfera deontica. c) Co-implicazione delle sfere axiologica e deontica nella fondazione della sfera praktologica.

È la sfera praktologica che deve essere fondata – essa corrisponde al normativo. Le altre due dimensioni – dimensioni axiologica e deontica – sono le basi di fondazione della sfera praktologica. 6 La praktologia può essere definita come scienza dell’azione che esige giustificazione razionale. In tal senso è distinta dalla praxiologia, la scienza dell’azione efficace. Il termine praxiologia traduce l’inglese praxiology, che è stato utilizzato nel titolo della traduzione inglese di un’opera di Tadeusz Kotarbiński, grande esponente della filosofia della logica polacca, il quale si è occupato di praxiologia, definendola come la scienza dell’azione efficace. Cfr Tadeusz Kotarbiński, Praxiology. An introduction to the science of efficient action (1965), trad. inglese di Traktat o dobrej robocie (1955). Un’azione efficace si distingue da un’azione che ha pretesa di giustificazione razionale perché potrebbe avere pretesa di giustificazione, ma non è detto che l’abbia: essa si definisce per la sua efficacia, non per la sua pretesa di giustificazione. Viceversa, un’azione che ha pretesa di giustificazione razionale non è detto sia efficace. Un lavoro di Alexander Pfänder, Imperativenlehre, riflette su possibili deduzioni di imperativi sprovvisti di valore di verità. Cfr Pfänder, A., Imperativenlehre, in Spiegelberg, Herbert/AvéLallement, Eberhard (eds.), Pfänder-Studien. The Hague, M. Nijhoff, 1982. D’altro lato, Pfänder ritiene che certi tipi di inferenza siano materialmente condizionati, ovvero che il contenuto determini, in certo modo, la validità dell’inferenza! Cfr Di Lucia, P., L’analogia in Norberto Bobbio, in Antonio Punzi (ed.), Metodo, linugaggio, scienza del diritto. Omaggio a Norberto Bobbio. Numero monografico dei Quaderni della Rivista internazionale di filosofia del diritto, n. 6, 2006. Nel saggio utilizzerò ‘pratico’ come sinonimo di praktologico e non di praxiologico. Qualcosa può essere “pratico” se efficace; tuttavia qui utilizzo il termine ‘pratico’ secondo l’accezione che è stata assunta nella Critica della ragion pratica di Kant, ovvero dell’agire che ha pretesa di giustificazione razionale. 7 Cfr Herbert Spiegelberg, Sinn und Recht der Begründung in der axiologischen und praktischen Philosophie, in E. Heller e F. Loew (eds.), Neue Münchener philosophische Abhandlungen, Leipzig 1933, p. 101. 8 Traduzione dal tedesco mia del passo precedente.

6

0.5 Livelli di fondazione del normativo

Le tre sfere possono essere lette come i gradini di una scala di fondazione:

1. I livello: sfera axiologica 2. II livello: sfera praktologica 3. III livello: sfera deontica

L’ axiologia sta a fondamento delle forme della sfera praktologica, le quali, tuttavia, hanno, come fondamento ultimo, le forme della sfera deontica. La sequenza ‘axiologia’, ‘ praktologia’ e ‘deontica’ può essere letta come una sorta di climax. Vediamone dunque le tappe e i nessi, a partire da tre saggi di Spiegelberg:

i. What Makes Good Things Good? An Inquiry into the Grounds of Value (1947), dedicato all’axiologia o «teoria del valore».

ii. Human Dignity: a Challenge to Contemporary Philosophy (1971), dedicato all’analisi di un valore particolare, la dignità, che Spiegelberg rinviene a fondamento di quel particolare tipo di forma pratica o praktologica costituita dai diritti umani. Il saggio mette in luce una scoperta importante, a monte della fondazione dei diritti umani: la fondazione axiologica del normativo

iii. Justice presupposes Natural Law (1939), che mette in luce un’altra importante scoperta: la fondazione del praktologico sul deontico.

1 L’ axiologia di Herbert Spiegelberg L’ axiologia di Spiegelberg, presentata in What Makes Good Things Good? An Inquiry into the Grounds of Value, è suddivida in:

1. Un’ontologia del valore. 2. Un’ontologia dei fondamenti del valore.

Presenterò qui i punti principali dell’axiologia di Spiegelberg, tenendo presente che un’ontologia del valore è il presupposto di un’ontologia sui fondamenti del valore. Queste due ontologie sono formali. Esse indagano le proprietà universali del valore e dei fondamenti del valore, ovvero forniscono una risposta alle domande: che cos’è il valore? Che cosa sono i fondamenti del valore? Quali caratteristiche deve avere un valore per essere tale? Quali caratteristiche devono avere i fondamenti del valore per essere tali? Vedremo anche le ontologie materiali dei fondamenti di valore e dei valori. Esse si occupano di individuare quali sono i fondamenti del valore e i valori, descrivendone le proprietà essenziali. Un valore di cui Spiegelberg si occupa è la dignità.

7

1.1 Ontologia formale del valore

1.1.1 Distinzione tra valore e fondamenti del valore

Il primo passo di un’ontologia del valore è costituito dalla messa in luce della distinzione tra:

a) Fenomeno del valore. b) Fondamenti del valore.

Un’ontologia dei fondamenti del valore presuppone un’ontologia del valore, che si suddivide in:

(i) Un’analisi del significato di ‘valore’ (ii) Un’indagine sulla natura del valore.

Analizziamo distintamente i punti (i) e (ii).

1.1.2 Il significato di ‘valore’

Due sono gli elementi di un’analisi del significato di ‘valore’:

1. I termini ‘buono’ e ‘valore’ sono interscambiabili. 2. I termini ‘buono’ e ‘valore’ designano caratteristiche di cose.

1.1.3 La natura del valore

La risposta alla domanda sulla natura del valore è la risposta alla domanda ontologica: che cos’è il valore? Spiegelberg risponde: Valore è la caratteristica di un oggetto che gli conferisce la pretesa ad un atteggiamento positivo…o favorevole …nei suoi confronti. Questo atteggiamento implica l’approvazione dell’essenza di un oggetto e generalmente, sebbene non necessariamente, della sua esistenza9. Spiegelberg mette l’accento sulla distinzione fondamentale, già implicita nella citazione, tra:

(i) Valore; (ii) Pretesa ad un atteggiamento positivo verso il valore.

Il valore di una cosa – dice Spiegelberg – non deve essere identificato con la pretesa ad un atteggiamento positivo verso di esso e neppure con il concetto di “richiesta” in generale. La pretesa ad un atteggiamento positivo verso il valore costituisce una delle essenziali proprietà estrinseche del valore, che è basata su sue necessarie implicazioni. Essa non dice che cos’è il valore «in sé».

9 Herbert Spiegelberg, What Makes Good Things Good? An Inquiry into the Grounds of Value, in “Philosophy And Phenomenological Research”, Vol. 7, N. 4, 1947, p. 580; traduzione dall’inglese mia. É possibile concepire anche cose buone immaginarie.

8

Un’ulteriore distinzione di Spiegelberg è tra: (i) Valore e (iii) Qualità di valore.

Le qualità di valore individuano le «basi immediate» di valore di una cosa. Esempi di qualità di valore sono la bellezza e la bontà morale. Queste non coincidono con il valore: è possibile ammettere la bellezza di una cosa senza impegnarsi nell’ulteriore ammissione che essa sia un valore. Il fenomeno «in sé» del valore non può essere esplicato, ma può essere espresso solo da «analogie», che rendono l’idea del valore come «caratteristica». Le analogie sono suggerite sia dal tipo di «esperienza» che si ha del valore, sia dall’utilizzo conseguente di certi sinonimi di ‘valore’. Tra i sinonimi di ‘valore’ Spiegelberg individua ‘rilievo’ (prominence), ‘accento’ (accent), ‘risalto’ (stress). Essi suggeriscono una somiglianza del valore con i fenomeni della luminosità ottica. Espressioni come ‘prominenza/emergenza’ (outstandigness), ‘emergere da uno sfondo meno illuminato’ (standing out from a less illuminated background), evocano le idee della luminosità ottica e ben si addicono al concetto di valore. In virtù di tali «analogie», il fenomeno del valore si caratterizza per Spiegelberg come forma di luminosità, una luminosità axiologica (axiological brightness) che si manifesta in una modalità di «esperienza» di tipo «emotivo» (emotional)10.

1.2 Ontologia formale dei fondamenti del valore

L’analisi di Spiegelberg sui fondamenti del valore parte dalla distinzione di due elementi:

(I) La natura del fondamento del valore. (II) La relazione tra fondamento e valore.

Proverò ad enucleare i due elementi.

1.2.1 La natura del fondamento del valore

La domanda sulla natura del fondamento del valore è la domanda su che cos’è il fondamento del valore. Fondamento del valore è «ciò che rende buone le cose buone»11. Questo non dice ancora nulla sul tipo di relazione che sussiste tra il fondamento e il valore. L’ontologia formale dei fondamenti del valore indaga la natura del fondamento di valore e la relazione tra fondamento e valore.

10Spiegelberg mette in luce il nesso che c’è tra il valore e il fenomeno della luminosità ottica. Amedeo G. Conte mette in luce il nesso che c’è tra il valore e un altro campo della sensorialità, quello dell’udito. In alcune lingue, vi è un nesso, a livello lessicale, tra il campo semantico del valore e quello dell’udire. Ad esempio, in polacco, la radice della parola ‘Słuszność’ (‘giustezza’, ‘rightness’) è la radice del sostantivo ‘słuch’ (‘udito’, ‘ hearing’, ‘ Gehör’, oído’). Cfr. Amedeo, G. Conte, Deóntica de la negación en Jerzy Sztykgold. Taduzione castigliana di Carlos Alarcón Cabrera. In "Theoria. Segunda época", 10 (1995), número 22, p. 179. 11 La risposta alla domanda su che cos’è il fondamento del valore si trova già nel titolo del saggio che stiamo analizzando, What Makes Good Things Good? An Inquiry into the Grounds of Value.

9

1.2.2 La relazione tra fondamento e valore

Il tipo di relazione sussistente tra fondamento e valore è data dall’esclusione di certe caratteristiche. In particolare, la relazione tra fondamento e valore non può essere identificata con: 1. Una relazione di “fine”, che spiega in virtù di quali scopi una cosa è buona. 2. Una relazione di “causa”, che ha senso solo in connessione con stati od occorrenze di oggetti temporali. La relazione di fondazione non rientra nella sfera temporale e naturale. É una relazione «intrinseca» ed «intellegibile», «il fattore che immediatamente e necessariamente implica il valore»12. La distinzione tra causa e fondamento è bene espressa dalle diverse sfumature di significato del verbo to make nei seguenti enunciati:

a) «What…makes an otherwise sickly girl look so well…(is) a change in her diet» b) «What makes a girl good-looking?»

In a) abbiamo in mente una causa, in b) certe caratteristiche dalle quali dipende generalmente il bell’aspetto. Tuttavia, nel caso di tali caratteristiche non abbiamo a che fare con fondamenti che stanno in una relazione necessaria con il valore, poiché il bell’aspetto dipende da queste caratteristiche solo generalmente13. Spiegelberg vuole andare più a fondo nella ricerca dei fondamenti del valore. Il suo tentativo è di individuare i fondamenti ultimi del valore, ovvero quei «fattori» che implicano valore in modo necessario ed intellegibile.

1.2.3 Valori intrinseci ed estrinseci

L’idea di cosa sia un fondamento ultimo di valore emerge dalla distinzione di Spiegelberg tra:

1. Valori intrinseci o diretti. 2. Valori estrinseci o indiretti.

I portatori di valori estrinseci o indiretti sono il «prodotto» o i «produttori» di qualcosa che è buono «in sé» o «intrinsecamente» buono. A tali portatori viene conferito valore dal fatto che essi stanno in una relazione «essenziale» con qualche altro bene a loro fondamento. Se sono «produttori» di qualcosa che è buono «in sé» o «intrinsecamente» buono, essi hanno valore in quanto strumento utile alla realizzazione di un determinato fine.

12 Herbert Spiegelberg, What Makes Good Things Good? An Inquiry into the Grounds of Value, in “Philosophy And Phenomenological Research”, Vol. 7, N. 4, 1947, p. 584, traduzione dall’inglese mia. 13 Si può dire che queste caratteristiche, da cui generalmente dipende il valore, vadano ricondotte alla classe di quelle che Spiegelberg chiama “law of essential tendencies” (The Phenomenological Movement, 1965, p. 205). Ne L’universale della promessa, Paolo Di Lucia fa notare che Herbert Spiegelberg (The Phenomenological Movement, 1965, p. 205) è stato il primo a parlare, a proposito di Adolph Reinach, di «law of essential tendencies», nel giuridico. Di Lucia distingue in Reinach due specie di relazioni eidetiche: relazioni necessarie vs relazioni tendenziali. Dice Reinach: «possiamo distinguere due tipi di connessioni essenziali: le connessioni essenziali che valgono in ogni circostanza e le connessioni essenziali che valgono a condizione che non si presentino alcune fattispecie». A queste ultime, dice Reinach, «conviene la loro realizzazione…come l’ammirazione conviene alla bella opera d’arte e l’indignazione alla cattiva azione» (Cfr. Paolo Di Lucia, l’Universale della promessa, Giuffré, Milano 1997, p.100-103). La domanda che pongo è la seguente: il rispetto delle persone, come qualità morale quale l’ammirazione o l’indignazione, conviene o è necessario? Il senso di questa domanda si chiarirà nel testo.

10

Il problema di Spiegelberg consiste nel cercare i fondamenti di ciò che è buono «in sé» o «intrinsecamente» buono: cosa fa sì che qualcosa sia buono «in sé» o «intrinsecamente» buono? È il fondamento ultimo del valore. Le analisi di Spiegelberg si dirigono, a questo punto, verso la ricerca dei fondamenti del valore, ovvero verso un’ontologia materiale dei fondamenti di valore.

1.3 Ontologia materiale dei fondamenti del valore

1.3.1 Teorie sui fondamenti del valore e proposta di Spiegelberg

Spiegelberg elenca alcune teorie che offrono un resoconto dei fondamenti del valore:

a) La teoria aristotelica, di lunga tradizione, che trova nella soddisfazione dei desideri il fondamento del valore.

b) Una teoria della perfezione, che trova nella perfezione stessa il fondamento del valore. c) Una teoria che rinviene nella «costruttività» il fondamento del valore.

Dopo aver analizzato queste teorie e mostrato le difficoltà in cui incappano, Spiegelberg introduce la sua. Per l’economia del discorso, vorrei lasciare da parte tali difficoltà e soffermarmi fin da subito sulla proposta di Spiegelberg. Spiegelberg rinviene due fondamenti di valore, distinguendo due casi: quello di entità semplici e quello di entità complesse. Spiegelberg parte dal caso di entità complesse: fondamenti di valore nel caso di entità complesse sono due fenomeni: l’armonia delle parti e la loro individualità. Fondamento di valore nel caso di entità semplici è la loro individualità. L’idea che il fenomeno d’armonia sia fondamento di valore – ricorda Spiegelberg – risale ad un’antica tradizione, inaugurata da Platone. Nel Simposio, Platone identifica il “non armonico” con il “brutto” e l’“armonico” con il “bello”, considerando l’armonia delle parti dell’anima o dello stato la condizione, se non l’essenza, del giusto vivere. Spiegelberg descrive il fenomeno dell’armonia e rinviene i tratti che la rendono fondamento di valore di entità complesse.

1.3.2 Primo fondamento del valore: l’armonia.

Gli strumenti di cui Spiegelberg si serve per l’analisi del fenomeno dell’armonia sono:

1. Un’indagine etimologica del temine, che permette una preliminare, seppure non definitiva, comprensione della «struttura» o «natura» del fenomeno. La parola ‘armonia’, dalla radice greca harmo, ha il significato originario di legame. Tale radice appare nel verbo greco harmozein, che significa ‘congiungere’.

2. Una descrizione «diretta» dei fenomeni che vanno sotto il nome di armonia, quale strumento principale di indagine della «natura» del fenomeno e dei tratti che lo rendono un fondamento di valore. I tratti essenziali dell’armonia sono i seguenti:

11

a. L’armonia è la relazione tra due o più elementi che concorrono alla produzione di una unità superiore.

b. L’armonia è il carattere unificante (Gestalt-character) che integra gli elementi in una più alta unità.

c. L’armonia è il complesso armonico che abbraccia gli elementi in unità comprensiva. A partire dall’analisi di questi tratti, Spiegelberg individua gli elementi che fanno dell’armonia un fondamento di valore. Essi sono:

i. L’ intellegibilità della relazione tra elementi che concorrono alla produzione di un’unità superiore, diversa da un mero «fatto bruto», prodotto di una relazione casuale tra elementi.

ii. La libertà tra gli elementi che concorrono alla produzione di un’unità superiore, la quale si sviluppa come libera intercambiabilità tra elementi, che possono reciprocamente cambiare posizione all’interno della relazione14. Possiamo dire che la relazione d’armonia è fondamento di valore poiché è una relazione fatta di elementi legati da nessi intellegibili – le cose “brute”, prodotto di relazioni casuali, non sono “belle” (di valore) – ma che, al contempo, devono essere liberi di muoversi tra loro – ciò che è meccanico non è “bello”. L’armonia si distingue da due fenomeni: I. La «compatibilità». Si tratta di un fenomeno che include “troppo poco” rispetto all’armonia: due suoni disarmonici sono ontologicamente compatibili, poiché possono coesistere allo stesso tempo e nello stesso luogo. II. La «coerenza». Implica “troppo” rispetto all’armonia: la sua caratteristica essenziale sta nella necessità con cui gli elementi sono connessi, come quelli di un argomentazione logica. L’armonia permette, invece, una considerevole intercambiabilità tra i suoi elementi. Possiamo dire che la relazione di armonia ha come condizione necessaria, ma non sufficiente, la relazione di compatibilità: essa si caratterizza come relazione di elementi non incompatibili (che si respingono), poiché i suoi elementi devono coesistere nello stesso tempo e nello stesso luogo. Tuttavia ciò non basta: elementi disarmonici possono essere compatibili. Cosa deve avere in più l’armonia? Deve avere la presenza di una base intellegibile tra elementi, che elementi disarmonici compatibili non hanno. L’armonia ha in comune l’elemento dell’intellegibilità con il fenomeno della coerenza15. Tuttavia, dalla coerenza l’armonia si distingue per la libertà dei suoi elementi: gli elementi dell’armonia devono essere elementi compatibili, ma non necessariamente affini (che si attraggono), come nel caso della «coerenza».

14 Riprendendo una terminologia della scuola di Amedeo G. Conte, potremmo dire che il complesso armonico, prodotto della relazione d’armonia, non è certamente un fatto bruto, ma neppure il prodotto di «regole costituitive», che sono convenzionali e non intellebibili (“essenziali” e “necessarie”). Potremmo dire che il complesso armonico è il prodotto di regole eidetiche? Sulla differenza tra essential rules e consitutive rules, cfr. Conte, A. G., Regola costitutiva in John R.Searle, in Passerini, L. (ed.), Ricerche di filosofia del diritto, con contributi di A. G. Conte, P. Di Lucia, A. Incampo, G. Lorini, W. Żełaniec, Giappichelli, Torino 2007. Inoltre, un elemento che caratterizza la relazione armonica è la libertà dei suoi elementi. La domanda che mi pongo è allora la seguente: sono liberi gli elementi che costituiscono il prodotto di regole costitutive? Per una risposta, cfr. Amedeo Giovanni Conte, Dimensions of Nomic Freedom, in Ian Carter e Mario Ricciardi (ed.), Freedom, Power and Political Morality. Essays for Felix Oppenheim, Palgrave, 2001, pp. 69-78. 15 L’aspetto della compatibilità è il concetto privativo di ‘armonia’, che può essere definita come assenza di incompatibilità; l’aspetto positivo del concetto di armonia è invece quello di coerenza.

12

Spiegelberg descrive, in ultima analisi, l’armonia come relazione di «libera» cooperazione tra i suoi elementi. Il termine ‘cooperazione’ rende l’idea del «mutuo» apporto da parte degli elementi della relazione alla produzione di una «unità» superiore, la quale è resa possibile solo da nessi intellegibili, e non casuali; il termine ‘libera’ rende l’idea, al contempo, della libertà degli elementi. L’elemento della libertà – afferma Spiegelberg – si espleta un «rispetto» reciproco da parte degli elementi l’uno nei confronti dell’altro. La relazione di rispetto è qualcosa di più di una mera «tolleranza», ovvero della neutralità di elementi, che si ammettono soltanto. La nozione di rispetto viene in seguito specificata da Spiegelberg Nella parte finale del saggio What Makes Good Things Good? Spiegelberg lega la questione della cooperazione internazionale a quella dell’armonia: le nazioni (elementi di una relazione d’armonia) possono cooperare (relazione di cooperazione) alla creazione di un comunità mondiale (complesso armonico), in cui le diverse parti cooperano poiché ciascuna riconosce la presenza e il peso dell’altra (rispetto come riconoscimento di libertà). Il concetto di armonia apre in Spiegelberg a quello di diritti umani: essi sono sia strumenti di cooperazione, sia di rispetto, inteso come riconoscimento della libertà dell’altro. Specificherò, in seguito, il concetto di riconoscimento della libertà dell’altro.

1.3.3 Secondo fondamento del valore: l’individualità

Spiegelberg analizza quindi diversi tipi di armonia, al fine di mostrare che il fenomeno dell’armonia costituisce una condizione necessaria, ma non sufficiente di valore. Non tutti i tipi di armonia implicano valore. Basta, perché vi sia valore, una libera cooperazione tra elementi? Non bisogna forse chiedersi: come devono essere tali elementi? Spiegelberg descrive tre tipi di armonia:

a) Armonia unisonante, rappresentata in musica dall’ottava. Per quanto modello di austera grandezza, non può costituire un valore universale – difficilmente infatti è godibile – poiché, diversamente da una polifonia, i diversi elementi che la costituiscono non sono più riconoscibili: l’armonica fusione di note produce un unisono monotono.

b) Armonia meccanica, rappresentata dal lavoro di una macchina. La mancanza di vitalità e libertà nella relazione tra i suoi elementi la rende un caso estremo di armonia, incapace di supportare valore.

c) Armonia sdolcinata, rappresentata da una cartolina o da canzoni sentimentali, inadeguata a supportare un reale valore.

Nei tre casi di armonia vi è una caratteristica comune che spiega la loro incapacità di supportare valore: i loro elementi non hanno sufficiente «carattere» o «individualità». L’individualità costituisce, insieme all’armonia, il fondamento di valore di entità complesse. Il fondamento di valore nel caso di entità semplici risiede, secondo Spiegelberg, nell’individualità: prima dell’ingresso in complessi armonici, entità semplici trovano il loro fondamento di valore nel dispiegamento di un’individualità o «purità d’essenza». Il tratto che marca l’aspetto dell’individualità, in una relazione d’armonia, è il «rispetto». Il rispetto si configura come l’atteggiamento che ciascun elemento assume verso l’altro, in quanto ne riconosce l’autonomia e l’individualità. Il riconoscimento dell’individualità dell’altro è il riconoscimento della sua libertà.

13

L’osservazione finale del saggio What Makes Good Things Good? è che le idee di individualità e di armonia possono coincidere l’una con individualità spesso antagonistiche tra loro, quali sono le nazioni; l’altra con un una loro organizzazione, finalizzata al superamento di un’originaria disarmonia e alla promozione di armonia. L’unico modo per realizzare un’armonia da parte di nazioni fortemente individualistiche è, per Spiegelberg, il riconoscimento da parte di ciascuna dell’individualità dell’altra, come giusto prezzo per una cooperazione. Di cooperazione e riconoscimento dell’individualità dell’altro, i diritti umani devono occuparsi. Ma vediamo passo passo il nesso tra l’axiologia di Spiegelberg e la sua fondazione del normativo o praktologico, nel quale rientrano i diritti umani.

2 Praktologia L’utilizzo del titolo Praktologia, anziché del più specifico Fondazione dei diritti umani, in questa seconda parte del lavoro, è motivato da due elementi:

1. I diritti, benché oggetto di questo saggio, sono solo una delle forme della sfera praktologica. 2. L’ipotesi che si possa sviluppare una scienza dei prakta, chiamata praktologia, è un primo

passo per la distinzione che Spiegelberg farà tra i prakta e i loro fondamenti. In questa seconda parte del saggio distinguo i prakta e i loro fondamenti; in particolare, i diritti umani e la dignità, in quanto fondamento dei diritti umani. L’elemento interessante della seconda parte del saggio, costituisce un nesso tra l’axiologia e la praktologia, in quanto la dignità è un valore. Il legame tra l’axiologia di Spiegelberg e la sua fondazione del normativo è quello di una fondazione axiologica del normativo.

2.1 Il fenomeno della dignità (dignity)

Le analisi di Spiegelberg sulla dignità mettono in luce i seguenti elementi:

- Otto accezioni del termine ‘dignità’. - I due tratti fondamentali della dignità. - ‘Dignità’ al singolare e ‘dignità’ al plurale: intensione ed estensione del termine - I fondamenti della dignità: ciò che fa sì che qualcosa sia portatore di dignità.

Alla messa in luce di ciascun elemento corrisponde uno strumento di indagine fenomenologica. Rispettivamente:

- Una fenomenologia linguistica. - Un’analisi diretta dei fenomeni (going to the things). - Un’indagine del significato del termine. - Un’analisi diretta dei fenomeni (going to the things).

14

2.2 Otto accezioni del termine ‘dignità’

Attraverso una fenomenologia del linguaggio ordinario, che si ispira alle analisi del maestro Alexander Pfänder (1870-1941), nonché a quelle di John Langshaw Austin (1911-1960), Spiegelberg individua otto accezioni del termine ‘dignità’. L’idea di Spiegelberg è che i significati delle parole, veicolati dall’uso del linguaggio ordinario, rivelino qualcosa della «struttura» dei fenomeni, nascosta dietro lo «schermo» verbale. Affinché i significati delle parole rivelino qualcosa della struttura dei fenomeni, è necessario sbrogliare le confusioni del linguaggio ordinario sulla semantica dei termini. Spiegelberg attua una simile operazione alla semantica del termine ‘dignità’ ed individua otto accezioni del termine ‘dignità’. 1. Dignità come valore intrinseco dell’uomo. 2. Dignità come manifestazione di 1. attraverso comportamenti interiori ed esteriori. 3. Dignità come riconoscimento di 1. e 2. da parte di terzi. 4. Dignità come pretesa di riconoscimento di 1. 5. Dignità come trattamento concreto preteso in virtù di 1. 6. Dignità come tratto della persona motivato da 1 – essere meritevole di rispetto – l’assenza di riconoscimento del quale non implica l’inesistenza di 1. 7. Dignità come senso della dignità, l’assenza di consapevolezza del quale – ad esempio perché ho sempre vissuto in schiavitù – non implica l’inesistenza di 1. 8. Dignità come modalità di trattamento di una persona: trattare qualcuno con dignità.

2.3 Dignità come valore intrinseco e dignità come esser meritevole di rispetto

Tra le varie accezioni del termine ‘dignità’, Spiegelberg individua due tratti fondamentali della dignità, messi in luce dall’«esperienza» che abbiamo di noi stessi o degli altri. I due tratti fondamentali sono quelli espressi dalle accezioni 1. e 6.:

a) Dignità come valore intrinseco dell’uomo. b) Dignità come tratto – esser meritevole di rispetto – motivato da a).

Dignità come valore (worth) intrinseco indica il valore che l’essere umano ha in quanto tale. Il concetto è espresso da Spiegelberg con l’espressione ‘dignità intrinseca’, che indica il valore che un essere ha in sé, senza richiedere alcun complemento esterno. Il primo senso di dignità motiva il secondo: in quanto portatore di valore intrinseco l’essere umano è meritevole di rispetto. L’esser meritevole (worthy) di rispetto indica un tratto un poco più “aggressivo” (è un termine utilizzato dallo stesso Spiegelberg) della dignità: il valore consiste nell’essere meritevoli, ma l’essere meritevoli implica qualche cosa: si dice, infatti, essere meritevoli di qualcosa. Verso questo qualcosa, ciò che è meritevole ha qualcosa come una pretesa, ad esempio una pretesa di attenzione, approvazione o supporto. La dignità in questo secondo senso ha bisogno di un complemento, ragion per cui è detta anche ‘dignità estrinseca’16. Mentre il primo concetto di dignità è oggetto di mera contemplazione, il secondo rivendica azione o soddisfazione di una pretesa. In generale l’essere umano – afferma Spiegelberg – è molto più consapevole del secondo tipo di dignità, poiché fa affidamento a lui stesso. Tuttavia, vi è un’intima connessione tra i due tipi di 16 Che entrambe le “dignità” siano valori è giustificato dal fatto che entrambe sono caratteristiche: la prima è una caratteristica posseduta dall’uomo in quanto tale, la seconda una caratteristica motivata dalla prima, che necessita di un complemento . Che i due sensi di dignità corrispondano a due valori è suggerito anche dalla somiglianza lessicale di ‘valore’ e ‘meritevole’ in inglese, worth e worthy, che corrispondono ai due sensi di dignità.

15

dignità. Per essere meritevoli di qualcosa – dice Spiegelberg – il meritevole deve avere qualche valore in se stesso. Dignità come valore intrinseco dell’uomo e dignità come esser meritevole di rispetto sono due lati della stessa medaglia del fenomeno della dignità: ne rivelano i tratti essenziali. Spiegelberg fa una fenomenologia della dignità, attraverso la descrizione dei due tratti. I. Dignità come esser meritevole di rispetto Spiegelberg comincia dall’analisi della dignità come esser meritevole di rispetto perché, tra le due, è la caratteristica che mostra immediatamente «la dignità umana in azione e permette di esperirla verosimilmente»17. Spiegelberg dà corpo all’idea di dignità come esser meritevole di rispetto attraverso un’analisi fenomenologica di diversi tipi di “rispetto”. L’analisi permette di tratteggiare il tipo di rispetto richiesto dall’essere umano in quanto tale o portatore di valore intrinseco. Ecco quattro tipi di rispetto: a) Rispetto come atteggiamento nei confronti non solo degli esseri umani, ma anche della natura nella sua interezza, degli animali e delle piante, della verità, delle leggi. Esso è reso dal termine respect. b) Rispetto come atteggiamento riservato agli esseri umani, che esprime un atteggiamento di distanza («a standing back from what is respected») o non interferenza («an attitude of noninterference with it»). È espresso dal termine regard, che sta ad indicare la «disponibilità a lasciare solo colui che è meritevole di simile indipendenza» («willingness to leave the respected alone as deserving such independence») 18. c) Rispetto come mera tolleranza (tolerance, respektieren), che esprime un atteggiamento passivo, di non partecipato rispetto: «rispettare visioni diverse dalle proprie» («to respect dissenting views») è diverso dall’«avere rispetto per esse» («to have respect for them»)19. d) Rispetto come “reverenza” o “venerazione’ (reverence o worship): sono sentimenti che si manifestano nei confronti degli uomini non in quanto tali, ma in quanto portatori di qualità particolari. Tali sentimenti si manifestano, per esempio, nei confronti degli eroi o di Dio. Né Dio né gli eroi sono oggetti di semplice rispetto come regard. Quest’ultimo è rivolto ad esseri al proprio stesso livello, e si impegna a trattarli come tali. Il tipo di rispetto richiesto dall’essere umano in quanto tale risponde al concetto espresso in b). Non a quello espresso in a), in quanto si riferisce genericamente a diversi tipi di entità. Non a quello espresso in c), in quanto esprime un atteggiamento di mera indifferenza, anziché di riconoscimento di valore intrinseco, come in b).

17 Herbert Spiegelberg, Human Dignity: a Challenge to Contemporary Philosophy, in Gotesky, R. e Laszlo, E. (ed.), Human Dignity, Gordon e Breach, New York 1971. Riedito in Herbert Spiegelberg, Steppingstones toward an Ethics for Fellow Existers, M. Nijhoff, Dordrecht/Boston/Lancaster 1986, p. 194, traduzione dall’inglese mia. 18 Herbert Spiegelberg, Human Dignity: a Challenge to Contemporary Philosophy, in Herbert Spiegelberg, Steppingstones toward an Ethics for Fellow Existers, M. Nijhoff, Dordrecht/Boston/Lancaster 1986, p. 194, traduzione dall’inglese mia. Cfr. le impressionanti somiglianze con il concetto di rispetto contenuto in Scheler, M., Zur Rehabilitierung der Tugend (1913). Traduzione italiana a cura di Laura Boella, Riabilitare la virtù, in La vita emotiva, Guerini, Milano 1999. 19 Herbert Spiegelberg, Human Dignity: a Challenge to Contemporary Philosophy, in Herbert Spiegelberg, Steppingstones toward an Ethics for Fellow Existers, M. Nijhoff, Dordrecht/Boston/Lancaster 1986, p. 194, traduzione dall’inglese mia.

16

Non a quello espresso in d), in quanto si riferisce non agli esseri umani in quanto tali, ma a loro qualità particolari. II. Dignità come valore intrinseco L’altro tratto della dignità, il valore intrinseco dell’essere umano, quello per cui un essere umano ha valore in sé ed è indipendente dalla sua utilità per altro, il tratto non-relazionale della dignità (vd. sotto) non è sempre chiaro. Una persona può avere qualità non strumentali come la bellezza, l’eleganza o la santità, ma tali qualità non possono essere identificate con la dignità umana, per quanto spesso lo si faccia: esse si aggiungono al valore intrinseco di una persona.

2.4 ‘Dignità’ al plurale e ‘dignità’ al singolare: estensione ed intensione del termine

Un’altra distinzione di Spiegelberg è quella tra ‘dignità’ al plurale e ‘dignità’ al singolare, data da un indagine sul significato del termine. Secondo l’Oxford English Dictionary, scrive Spiegelberg, ‘dignità’ al plurale (dignities) indica qualità distintive che posizionano coloro che le possiedono ad un rango superiore rispetto a coloro che non le possiedono. Il concetto di dignità è da intendersi, in tal senso, come una questione di gradi. Esso riflette un’immagine gerarchica della realtà, ponendosi in linea di continuità con la tradizione della «grande catena dell’essere». “Dignità’, in tal senso, sono anche delle specie di entità, superiori od inferiori, che si posizionano lungo la catena dell’essere. In quanto entità, le ‘dignità’ sono soggette a cambiamenti, incrementi e decrementi; come qualità, possono essere guadagnate o perse: vengono conferite ai «dignitari» attraverso onori o titoli, in virtù di comportamenti più o meno decorosi20. Spiegelberg chiama questo primo concetto di dignità «dignità relazionale»: essa si definisce in relazione a determinate caratteristiche. ‘Dignità’ al singolare è tutt’altra cosa. Il suo concetto implica la negazione di un ordine gerarchico di “dignità”: la ‘dignità’ individua un minimum che appartiene a tutti gli esseri umani in quanto tali, che non ammette gradi, è uguale per tutti, non può essere guadagnato né perduto. Possiamo definirlo, in opposizione al concetto di dignità come entità, una sorta di “tratto” o modus essendi comune agli esseri umani, che li attraversa in misura eguale. Spiegelberg chiama questo secondo tratto della dignità «dignità non-relazionale»: esso non ha bisogno di altro per definirsi. Avanzo l’ipotesi che al concetto di dignità si possa applicare un’intuizione di Amedeo G. Conte: l’idea che i due sensi di ‘ontologia’, ontologia quale «teoria dell’ente» (al singolare) e ontologia quale «teoria degli enti» (al plurale), possono essere formulati anche nei termini del paradigma “intensione” vs. “estensione”, come distinzione tra ontologia intensionale ed ontologia estensionale. Come «teoria dell’ente», l’ontologia indaga la intensione del termine ‘ente’. In questo primo senso, l’ontologia è teoria di ciò che Aristotele di Stagira (384-322 a. C.), nella Metaphysica, chiama «l’ente in quanto ente»21.

20 ‘Dignità’, v. ‘degno’, lat. dignus, ant. dec-nos, agg. in – no – della rad. DEK di decet, ‘è conveniente’, che si ritrova in decens, ‘decente’, e in decorus, ‘decoro’. Cfr. Devoto, G., Avviamento alla etimologia italiana. Dizionario etimologico, Le Monnier, Firenze 1967. Secondo Amedeo G. Conte ed altri (cfr. l’opinione di H. Hosthoff contenuta in Walde, A. e Hofmann, J. B., Lateinisches Etymologisches Wörterbuch, Heidelberg, Winter (1965-1982)), dignus è imparentato con dicere e con deivknumi. 21 Aristotele, Metaphysica, libro IV, 1003 a21-22.

17

Come «teoria degli enti», l’ontologia indaga non l’ente stesso (al singolare), ma gli enti (al plurale) i quali formano la estensione del termine ‘ente’22. Paolo Di Lucia nota che la documentazione di questo secondo senso di ontologia si trova nella risposta di Aristotele alla domanda: Che cos’è la sostanza? Aristotele scrive: “alcuni dicono che sia una sola, altri dicono che sia più d’una, alcuni dicono che le sostanze sono finite, altri che sono infinite” 23. Ritengo che la distinzione di Amedeo G. Conte si possa applicare al concetto di dignità, nella misura in cui ‘dignità’ al singolare e ‘dignità’ al plurale (dignities), distinte da Spiegelberg, corrispondono rispettivamente all’intensione e all’estensione del termine ‘dignità’, o, in altri termini, all’ente/concetto “dignità” e agli enti che sotto tale ente/concetto ricadono. ‘Dignità’ indicherebbe, da un lato, le proprietà universali della dignità; dall’altro, gli enti che tali proprietà condividono, pur avendo loro proprietà distintive.

2.5 I fondamenti della dignità

Un’altra distinzione fondamentale è tra il fenomeno «in sé» della dignità e i suoi fondamenti. Dignità come esser meritevole di rispetto e dignità come valore intrinseco sono due valori: l’uno è una caratteristica dell’uomo in quanto tale, l’altro è una caratteristica dell’uomo motivata dalla prima. Il valore della dignità intrinseca è al contempo fondamento, in quanto è in virtù di tale valore che l’essere umano è meritevole di rispetto. Ma che cosa sta a fondamento del valore intrinseco dell’uomo? Se esistono valori che si qualificano per questo tipo di dignità – afferma Spiegelberg – devono avere delle caratteristiche particolari: non possono certamente essere la bellezza o la bontà morale, poiché queste si aggiungono al valore intrinseco di una persona. Secondo Spiegelberg, i valori candidati a qualificarsi per questo tipo di dignità possono essere individuati a partire da un’analisi che metta in luce ciò che le persone hanno di distintivo rispetto agli altri esseri, che le rende meritevoli di un rispetto particolare. Un’analisi dei fenomeni rivela che il tratto distintivo delle persone rispetto agli altri esseri è la responsabilità di sé: diversamente dalla bellezza o da altri doni naturali, la persona ha sotto controllo il suo proprio divenire, in quanto ha parte, almeno fino ad un certo punto, alla sua realizzazione. La dignità è, dunque, il tipo di valore che si attaglia all’essere umano in quanto tale in virtù della sua capacità di essere una persona responsabile. Tale capacità è il fondamento della dignità come valore intrinseco, che è a sua volta il fondamento della dignità come esser meritevole di rispetto24. Il tratto della responsabilità si specifica come responsabilità che l’essere umano ha dello «sviluppo delle capacità»25 e, in particolare, del «proprio essere»26.

22 Conte, Amedeo G., Radici della fede: fides wiara truth, in: Giuspeppe Galli (ed.), Interpretazione e fiducia. Atti del XIX Colloquio sulla interpretazione (Macerata, 30-31 marzo 1998). Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 1999, pp. 151-185. Riedito in: Conte, Amedeo G., Filosofia del linguaggio normativo. III. Studi 1995-2001, Giappichelli, Torino 2001, pp. 843-879. 23 Aristotele, Metaphysica, libro VII, I, 1028 b1-7. Cfr. I lezione del corso di Paolo Di Lucia alla Facoltà di Teologia di Lugano (2009-2010). 24 Tuttavia, sottolinea Spiegelberg, non sempre è chiara la distinzione tra la dignità e i fondamenti della dignità. Talvolta per ‘dignità’ si può intendere ‘essere una personalità’. Altre volte per ‘dignità’ si intende la peculiare caratteristica di un essere umano, basata sul fatto che il suo possessore ha personalità. 25 Herbert Spiegelberg, Justice Presupposes Natural Law, in “Ethics”, Vol. 49, N. 3, 1939, p. 346, traduzione dall’inglese mia.

18

La cosa interessante che Spiegelberg sottolinea è che tale responsabilità è un «dovere»27. Di qui si apre il passaggio all’ultima parte del mio saggio, intitolata Deontica, in cui cerco di mettere in luce le implicazioni che un tale dovere ha, come punto più alto di una fondazione del normativo e, in particolare, dei diritti umani.

3 Deontica

3.1 Aspetto deontico ed aspetto axiologico di una fondazione del normativo

Poiché la responsabilità è un dovere e poiché, insieme, è ciò che rende le persone degne di rispetto, Spiegelberg sta dicendo che le persone sono meritevoli di rispetto nella misura in cui sono portatrici di un dovere. La scoperta importante di Spiegelberg è che un «dovere» sta a fondamento dei diritti . I diritti umani, strumento di garanzia di rispetto, hanno ragion d’essere nella misura in cui gli uomini hanno un dovere, il dovere di dare sviluppo al proprio essere personale. D’altro canto, se nel saggio Justice presupposes Natural Law, Spiegelberg parla «dovere», nel saggio Human Dignity parla di «diritto»: gli esseri umani hanno una capacità di sviluppo «in se stessi»28 e in loro «diritto»29. Tale capacità è allora un «diritto» o un «dovere»? Io ritengo che per Spiegelberg sia entrambe le cose e che, con esse, ci troviamo di fronte a due fondamenti del normativo. Si tratta di una fondazione che coinvolge due aspetti: da un lato, i diritti si fondano sul valore di ciascun essere umano in quanto individuo capace di sviluppo – aspetto axiologico della fondazione –; dall’altro, i diritti si fondano sul dovere che tale capacità implica – aspetto deontico della fondazione. Altra questione riguarda il rapporto tra questi due aspetti.

3.2 Prius e maximum della fondazione: aspetto axiologico, aspetto deontico

Ritengo che si debbano distinguere due livelli nella fondazione del normativo di Spiegelberg:

1. Da un lato, l’aspetto deontico rappresenta il punto più alto o maximum della fondazione del normativo e, in particolare, dei diritti, di Spiegelberg: il valore di un essere umano è l’implicazione di una capacità che l’essere umano ha anzitutto il dovere di sviluppare.

2. D’altro lato l’aspetto axiologico costituisce un prius nella fondazione dei diritti umani rispetto a quello deontico. Se così non fosse, il valore dell’uomo, che sta a fondamento dei

26 Herbert Spiegelberg, Justice Presupposes Natural Law, in “Ethics”, Vol. 49, N. 3, 1939, p. 348, traduzione dall’inglese mia. 27 Herbert Spiegelberg, Justice Presupposes Natural Law, in “Ethics”, Vol. 49, N. 3, 1939, p. 346, traduzione dall’inglese mia. 28 Herbert Spiegelberg, Human Dignity: a Challenge to Contemporary Philosophy, in Herbert Spiegelberg, Steppingstones toward an Ethics for Fellow Existers, M. Nijhoff, Dordrecht/Boston/Lancaster 1986, p. 193, traduzione dall’inglese mia. 29 Herbert Spiegelberg, Human Dignity: a Challenge to Contemporary Philosophy, in Herbert Spiegelberg, Steppingstones toward an Ethics for Fellow Existers, M. Nijhoff, Dordrecht/Boston/Lancaster 1986, p. 194, traduzione dall’inglese mia.

19

diritti umani, come mostrano le Carte30, deriverebbe dai doveri compiuti, con la conseguenza che si riconoscerebbe un valore e un rispetto diversi agli individui, a seconda del numero di doveri compiuti. L’apporto dei diritti umani è stato invece quello di aver mostrato che ciascun essere umano ha il medesimo valore in quanto ciascuno ha in comune con l’altro un minimum qualitativo, che gli conferisce il medesimo valore. Tale minimum, che i diritti umani chiamano dignità, è dato dalla capacità di responsabilità, indipendentemente dalla misura in cui viene esercitata. La conseguenza è un eguale rispetto per ciascun individuo. Il valore derivato dai doveri può essere oggetto di ammirazione o riconoscimenti, ma non fondamento dei diritti umani. In quanto oggetto di ammirazione o riconoscimenti, il concetto di valore coincide con quello di dignità al plurale: dignities venivano conferite in misura diversa. In quanto fondamento dei diritti umani, il valore coincide con il concetto di dignità al singolare: esso non ammette gradi. L’articolo primo della Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948 afferma: «Tutti gli esseri umani sono nati liberi ed eguali in dignità e diritti»

Nell’ultima parte del lavoro vorrei soffermarmi sull’aspetto axiologico della fondazione dei diritti umani in Spiegelberg, tenendo ben presente però che il momento deontico rappresenta il punto più alto della fondazione. L’aspetto axiologico della fondazione si collega all’axiologia o «teoria del valore» di Spiegelberg e alla sua fenomenologia della dignità.

3.3 Una fondazione fenomenologica dei diritti umani

In quest’ultimo paragrafo metterò in luce le implicazioni che l’axiologia e le analisi sulla dignità hanno sulla fondazione dei diritti umani. Cominciamo dalle analisi sulla dignità.

3.3.1 Dignità e rispetto: fondamento ed oggetto dei diritti umani

Spiegelberg ha individuato due tratti fondamentali della dignità:

a) Dignità come valore intrinseco. b) Dignità come essere meritevole di rispetto.

Il primo tratto coincide per Spiegelberg con il fondamento dei diritti umani; il secondo con l’oggetto di cui i diritti umani si fanno strumento di garanzia: il rispetto. In quanto portatori di valore intrinseco gli essere umani sono meritevoli di rispetto, di cui i diritti umani si fanno strumento di garanzia. Spiegelberg si preoccupa di giustificare il passaggio dalla dignità come valore alla dignità come fondamento, criterio di legittimazione o giustificazione, dei diritti umani.

30 Alcuni esempi sono: la Carta delle Nazioni Unite del 1946, che, nel suo preambolo, basa la nuova organizzazione sulla determinazione di «riaffermare la fiducia nei diritti umani fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana»; la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, che, ne suo preambolo, inizia così: «il riconoscimento della dignità intrinseca, degli eguali e inalienabili diritti di tutti i membri della umana famiglia, è la fondazione della libertà, della giustizia e della pace nel mondo». Cfr., Spiegelberg, H, Human Dignity: a Challenge to Contemporary Philosophy, in Spiegelberg, H., Steppingstones toward an Ethics for Fellow Existers, M. Nijhoff, Dordrecht/Boston/Lancaster 1986, p. 176; traduzione dall’inglese mia.

20

3.3.2 Distinzione tra pretese (claims, iura) e diritti (rights)

Spiegelberg utilizza alcuni strumenti che rendono ragione di tale passaggio: A. Una fenomenologia del linguaggio ordinario, che mostra la presenza nel sentire comune dei concetti di: 1. Dignità come valore intrinseco dell’uomo. 4. Dignità come pretesa di riconoscimento di 1. 5. Dignità come trattamento concreto preteso in virtù di 1. 1. rivela una percezione generalizzata della dignità come tratto saliente dell’umanità; 4. e 5. una pretesa di riconoscimento e tutela di tale tratto, attraverso il rispetto e l’effettività dei diritti umani. In Justice presupposes Natural Law, Spiegelberg distingue tra pretese (claims, iura) e diritti (rights): - Con pretese (claims, iura) Spiegelberg intende certe cose dovute all’individuo indipendentemente da qualsiasi regolamentazione artificiale: il rispetto. - Con diritti (rights) Spiegelberg intende ciò che dà possibilità di fare qualcosa – l’effettività del rispetto – distinguendoli dalle pretese, in quanto dirette all’ottenimento di qualcosa31. B. Una fenomenologia degli accadimenti reali: non solo carte, dichiarazioni, perfino encicliche32, ma anche gli esseri umani in carne ed ossa esprimono una chiara consapevolezza dell’aspirazione ai diritti. Un esempio per tutti: la ribellione di Mrs. Rosa Park in Alabama contro la discriminazione dei neri, in nome del «personale senso della dignità e del rispetto di sé»33.

3.3.3 Valore intrinseco: responsabilità e capacità di sviluppo personale

I valori qualificati per il tipo di valore intrinseco dell’uomo, che gli conferisce dignità, sono la capacità di responsabilità e sviluppo personale. Questi forniscono il contenuto materiale a fondamento dei diritti umani. Spiegelberg fornisce alcuni strumenti che rendono ragione di tale affermazione:

A. Una fenomenologia degli accadimenti reali: l’idea che il valore della dignità umana abbia a fondamento lo sviluppo dell’esser proprio personale si manifesta nel linguaggio delle rivendicazioni e dei diritti umani. Un esempio per tutti, che Spiegelberg fa in Human Dignity, è la lettera dalla prigione di Birmingham, in cui Martin Luther King rivendica il rispetto da parte di tutti gli uomini della «dignità» e del «valore della personalità umana».

31 Riprendendo il lessico di Spiegelberg e Kotarbinski, possiamo dire che le pretese sono praktologiche, mentre i diritti sono praxiologici. 32 Alcuni esempi sono: l’enciclica Pacem in Terris (1958) di Papa Giovanni XXIII, che è uno dei più importanti documenti che dimostrano il ruolo stringente che il concetto di dignità umana giocò nel programma di aggiornamento del Cattolicesimo di Papa Giovanni XXIII; la Dichiarazione del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa, Dignitatis Humanae. 33 Cfr. Spiegelberg, H., “Human Dignity: a Challenge to Contemporary Philosophy” , in Spiegelberg, H., Steppingstones toward an Ethics for Fellow Existers, M. Nijhoff, Dordrecht/Boston/Lancaster 1986, p. 177, traduzione dall’inglese mia.

21

B. Un’esperienza di tipo concreto: l’indignazione che si prova verso agli affronti subiti da simili in situazioni particolari segnale che all’uomo sta a cuore preservare qualcosa di molto simile alla personalità. Spiegelberg fa degli esempi concreti, invitando ad immaginare cosa si prova in tali situazioni: 1. L’esser torturati ed obbligati a confessare. 2. L’essere consegnati ad un lavoro privo di valore aggiunto e condannati a ripeterlo senza fine. 3. L’essere segregati a causa del colore della pelle o di altre caratteristiche tipiche della razza di appartenenza. Se si chiede di specificare cosa si prova in tali situazioni – fa notare Spiegelberg – la risposta è: un sentimento di ripugnanza che verte non tanto sull’accadimento fisico, quanto sul fatto che, in tali situazioni, è attentata la personalità umana.

3.3.4 Armonia ed individualità nell’ambito dei diritti umani

Infine, vediamo le corrispondenze tra l’axiologia o «teoria del valore» di Spiegelberg e la sua fondazione dei diritti umani. Gli elementi della fondazione dei diritti umani sono implicati da quelli più generali dell’axiologia; questi ultimi sono specificati da quelli della fondazione dei diritti umani. Le corrispondenze che ho individuato sono le seguenti: 1. I concetti di fondamento, valore intrinseco ed entità semplici, analizzati dalla «teoria del valore» di Spiegelberg, trovano corrispondenza rispettivamente in quelli di fondamento, dignità ed esseri umani, analizzati dalla sua fondazione dei diritti umani. In particolare, il concetto di dignità specifica uno dei tipi di valore intrinseco che entità semplici possono avere: il valore intrinseco di entità semplici quali sono gli esseri umani. 2. L’axiologia e la fondazione dei diritti umani individuano lo stesso fondamento di valore di entità semplici: l’individualità. Questa caratterizza, ad esempio, le note di un pezzo musicale, facendone un pezzo di valore, così come l’essenza di un essere umano, facendone un individuo portatore di valore intrinseco. La capacità di sviluppo personale, a fondamento dei diritti umani, altro non è che la capacità di uno sviluppo sempre diverso da individuo ad individuo. I diritti umani devono garantire la possibilità di sviluppo personale a ciascun individuo, poiché in questa sta il loro valore intrinseco. Il rispetto, che Spiegelberg descrive, in relazione al fenomeno d’armonia, come il riconoscimento da parte di ciascun elemento della libertà dell’altro, è, nella sfera dei diritti umani, il riconoscimento da parte di ciascuno dell’autonomia e dell’individualità dell’altro; ciò che, in altro modo, Spiegelberg chiama «disponibilità a lasciare solo colui che è meritevole di indipendenza». 3. L’axiologia e la fondazione dei diritti umani individuano lo stesso fondamento di valore di entità complesse: l’armonia. L’ axiologia la descrive come relazione tra entità semplici che si rispettano nella loro individualità e collaborano, al tempo stesso, ad un’unità superiore. La fondazione di diritti umani la descrive come relazione tra singole entità, individui umani o nazioni, che si rispettano nella loro individualità e, quindi, nella loro differenza, e, perciò stesso, possono collaborare alla realizzazione di un ordine più grande, come un ordine mondiale.

22

Bibliografia [1] Conte, Amedeo Giovanni, Deóntica de la negación en Jerzy Sztykgold. Taduzione

castigliana di Carlos Alarcón Cabrera. In "Theoria. Segunda época", 10 (1995), número 22, pp. 163-190.

[2] Conte, Amedeo Giovanni, Radici della fede: fides wiara truth, in: Giuspeppe Galli (ed.),

Interpretazione e fiducia. Atti del XIX Colloquio sulla interpretazione (Macerata, 30-31 marzo 1998). Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 1999, pp. 151-185. Riedito in: Conte, Amedeo G., Filosofia del linguaggio normativo. III. Studi 1995-2001, Giappichelli, Torino 2001, pp. 843-879.

[3] Conte, Amedeo Giovanni, Dimensions of Nomic Freedom, in Ian Carter e Mario Ricciardi

(ed.), Freedom, Power and Political Morality. Essays for Felix Oppenheim, Palgrave, 2001, pp. 69-78.

[4] Conte, Amedeo Giovanni, Regola costitutiva in John R.Searle in Passerini, L. (ed.), Ricerche di filosofia del diritto, con contributi di A. G. Conte, P. Di Lucia, A. Incampo, G. Lorini, W. Żełaniec, Giappichelli, Torino 2007.

[5] Devoto, Giacomo, Avviamento alla etimologia italiana. Dizionario etimologico, Le

Monnier, Firenze 1967. [6] Di Lucia, Paolo, L’universale della promessa, Giuffré, Milano 1997. [7] Di Lucia, Paolo, ‘Sollen’ in Herbert Spiegelberg, in D. Veronesi (ed.), Linguistica giuridica

italiana e tedesca, Unipress, Padova 2000.

[8] Husserl, Edmund, Vorlesungen über Ethik und Wertlehre (1908-1914), a cura di U. Melle, in Husserliana, Vol. XXVIII, 1988. Traduzione italiana di P. Basso e P. Spinicci: Lineamenti di etica formale, Le lettere, Firenze 2000.

[9] Scheler, Max, Zur Rehabilitierung der Tugend (1913). Traduzione italiana a cura di Laura Boella, Riabilitare la virtù, in La vita emotiva, Guerini, Milano 1999.

[10] Spiegelberg, Herbert, Sinn und Recht der Begründung in der axiologischen und praktischen

Philosophie, in E. Heller e F. Loew (eds.), Neue Münchener philosophische Abhandlungen, Leipzig 1933, pp. 100-142.

[11] Spiegelberg, Herbert, Justice Presupposes Natural Law, in “Ethics”, Vol. 49, N. 3, 1939,

pp. 343-348. [12] Spiegelberg, Herbert, What Makes Good Things Good? An Inquiry into the Grounds of

Value, in “Philosophy And Phenomenological Research”, Vol. 7, N. 4, 1947, pp. 578-611. [13] Spiegelberg, Herbert, Human Dignity: a Challenge to Contemporary Philosophy, in

Gotesky, R. e Laszlo, E. (eds.), Human Dignity, Gordon e Breach, New York 1971. Riedito in Spiegelberg, H., Steppingstones toward an Ethics for Fellow Existers, M. Nijhoff, Dordrecht/Boston/Lancaster 1986.

23

[14] Spiegelberg, Herbert, Herbert Spiegelberg, in Eugene F. Kaelin e Calvin O. Schrag (eds.), American Phenomenology. Origins and Developments, Kluwer, Dordrecht 1989.

[15] Żełaniec, Wojciech, Regola costitutiva, in Passerini, L. (ed.), Ricerche di filosofia del diritto, con contributi di A. G. Conte, P. Di Lucia, A. Incampo, G. Lorini, W. Żełaniec, Giappichelli, Torino 2007.

24