Aveva quasi smesso di piovere, di Alois Braga

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Alois Braga Aveva quasi smesso di piovere Racconto a più movimenti e altri racconti brevi www.isogninelcassetto.it

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Raccolta di racconti

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Alois Braga

Aveva quasi smesso di piovereRacconto a più movimenti e altri racconti brevi

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Non sono le cose importanti che mandano un uomoal manicomio, la morte o l’omicidio, l’incesto, ilfurto, l’incendio, l’inondazione – quelli se li aspet-ta. No, è la continua serie di piccole tragedie, chemanda un uomo al manicomio… Non è la mortedel suo amore, ma il laccio della scarpa che sirompe quando ha fretta.

CHARLES BUKOWSKI

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ALOIS BRAGA (13 settembre 1978 - 23 maggio2004) è stato l’ideatore e fondatore del sito discrittura online I Sogni nel Cassetto.Sin da subito sceglie di pubblicare attraversouno pseudonimo, riuscendo ben presto a im-porsi sul web; scrive numerosi racconti brevi eun romanzo, anche se non ha mai osatodefinirlo tale,Poco prima di morire pubblica online Avevaquasi smesso di piovere, racconto lungo a piùmovimenti: forse il migliore, certamente quellodella maturità.L’aspetto più straordinario del suo stile èsicuramente l’eredità che ci lascia in termini dicompassione, nel significato buddista dellaparola. Così come ci sorprende sempre, in lui,la capacità impressionante di restituirci a volteuno sguardo malizioso, mordace, tormentato,al limite della violenza, e altre volte così puro einnocente da indurre alla commozione.È un sentire la scrittura, quello di Alois Braga,per il quale dovremmo tutti essergli grati inqualche modo. (MARNIKO)

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e-book gratuito fuori commercio, aprile 2012

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Alois Braga

Aveva quasi smessodi piovereRacconto a più movimentie altri racconti brevi

A cura di Marniko

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Prologo

Aveva quasi smesso di piovere. E lui si sentiva ilcuore in gola mentre percorreva camminando senza fretta le

viuzze poco illuminate del centro. Si fermò a un angolo per

accendere una sigaretta. Non sapeva se proseguire.

Esisteva ancora la possibilità seppur remota, si chiese

tutt'a un tratto, che la situazione potesse tornare allanormalità? A dire il vero, sperava di cogliere il destino alla

sprovvista. Si lasciava andare alle fantasticherie di questa

follia. Non sapeva quali. Eppure si sentiva bene. Come non

gli era mai successo. Lui, uomo un po' blasé, che si portava

appresso da tempo il germe di quella tristezza innata che loimmalinconiva ogni giorno di più. Dapprima con

indulgenza, poi con fastidio, e in ultimo con quella certa

disillusione che la vita finisce sempre col dare alle persone

della sua età.

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Erano da poco passate le sei del pomeriggio quando

finalmente Piero arrivò sul portone della casa. Portava i

soliti jeans e la solita giacca spiegazzata di velluto a coste di

colore blu scuro. Non sapeva bene cosa gli stava per succe-

dere. Né cosa avrebbe potuto fare per interrompere quellasensazione di incertezza che lo stava assalendo. Forse lo

immaginava appena. O forse neppure. Però di una cosa lui

era certo: non osava desiderare una parte più temeraria.

Richiamò il numero in memoria sul cellulare, senza

pensare. Gli lasciò fare due squilli: era il segnale. Poco doposentì lo scattò della serratura del portone di fronte a sé.

Rimase fermo lì accanto, un attimo o forse qualcosa di più,

come a raccogliere i pensieri nella morsa di un vero e

proprio dolore fisico. Poi di colpo scostò la porta con il

piede destro ed entrò.

Tutto era iniziato una settimana prima. Piero rimase

affascinato dall'idea. Del resto ci pensava da tempo, da

qualcosa come tre lunghi mesi. Sarebbe stato un gesto

liberatorio alla fine, un atto di sfida contro i propri rimpianti.Aveva deciso: da quel momento avrebbe desiderato solo

rimorsi. E pensò solo a se stesso e a quello che stava per

succedergli, ridacchiando come un bambino sul punto di

combinare una marachella.

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Dal canto suo, Piero non aveva del resto temuto per un

solo istante che si sarebbe potuto tirare indietro, che

all'ultimo minuto sarebbe potuto rimanere immobile,

pietrificato, al palo di partenza. Forse perché era ancora

ebbro delle numerose eccitazioni mentali che l'idea dipoterlo finalmente fare aveva scatenato dentro di lui. O forse

perché aveva semplicemente scorto l'opportunità che non si

sarebbe ripresentata un'altra volta tanto facilmente.

Senza nemmeno farci caso, Piero salì in un lampo le

scale arrivando all'ultimo piano. Sentiva crescergli dentrol'esaltazione di gradino in gradino. Per quanto poteva

sembrargli strano a questo rialzo dell'adrenalina seguì

tuttavia una tregua, un armistizio, che lo avrebbe aiutato ad

affrontare la cosa in una prospettiva migliore. Se c'era, una

prospettiva migliore! Lui stava tradendo, dopo quindici annidi esistenza coniugale. Per la prima volta. Se ne rese

davvero conto all'improvviso. Nel preciso istante in cui

questa consapevolezza si trasformò in desiderio di

trasgredire. Provò un dolore sordo, però. E si immobilizzò

sulla soglia del pianerottolo con il fiato in gola.Piero sapeva che la cosa sarebbe finita lì, che

comunque non poteva continuare. E questo lo faceva star

meglio. Tuttavia adesso, finalmente libero da tutte le remore

che lo avevano incatenato per anni alla propria morale

borghese del cazzo, Piero non si era mai sentito così vicino a

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detestarsi. Si detestava per aver imposto a se stesso un umi-

liante aut aut di cui non conosceva ancora l'esatta natura, ma

che evocava già in lui ricordi di iniquità puerili. Siamo

tuttavia più spietati quando vediamo la nostra bassezza - si

ricordò di aver letto da qualche parte - le nostre spregevoliipocrisie riflesse in quelle dell'altro.

Il ragazzo, fermo sulla porta ad attenderlo, gli sorrise

però. Non aveva la vanità eccessiva di chi fa marchette.

Piero lo notò subito.Aveva invece qualcosa di irresistibile nel viso, un'aria

sorprendente di gioventù. E questo gli ispirò un'immediata

passione. Un desiderio violento che aveva mai provato

prima. E la paura che pervase Piero all'improvviso - una

paura che non abbracciava soltanto la moglie, ma anche ilproprio futuro su questo pianeta - in quel pianerottolo,

all'ultimo piano di quel vecchio palazzo del centro, si

mescolò a una euforia quasi incontrollabile.

E allora pensò: la moglie lo avrebbe forse perdonato?

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Primo Movimento

Quando entrò per quella porta, Piero si sentì meglio.

Davvero.

Tutte le paure svanirono in un attimo. Adesso là, in

quell'appartamento desiderava solo toccare il ragazzo che

aveva dinanzi. Toccarlo però in un modo particolare, quasitenero. E non come avrebbe desiderato fare il cliente con la

propria marchetta. Anche se Piero sapeva perfettamente chi

era il ragazzo. Una marchetta conosciuta non più di una

settimana prima nella chat di un sito gay.

Pare che chi è sessualmente attivo sia meno vulne-

rabile alla depressione e al suicidio. Questa cosa, Pierol'aveva forse letta da qualche parte. E al momento di

chattare, averla pensata gli parve una grande stronzata. Lui

lo era ancora, però, sessualmente attivo. Ne era consapevole.

Ma era anche maledettamente propenso alla depressione.

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Allora?

Allora con il vigore di un adolescente che lotta per la

propria causa, Piero si convinse che, trasgredire tradendo la

moglie, per lui sarebbe stata una sorta di medicina. L'unica

medicina ancora in grado di attenuare quel senso dimalessere che cresceva tra di loro con il passare del tempo.

Una medicina che non dava assuefazione. E il suo organi-

smo aveva fin lì metabolizzato tossine ben più pericolose di

quelle che la componevano.

Ancora adesso mentre scrive, Piero si chiede che cosasia successo dopo, durante quella prima volta e gli incontri

successivi, perché lui si innamorasse del ragazzo con una

tale naturalezza ed intensità mai provate. In effetti si rese

conto quasi subito, e ancora meglio con il passare dei giorni,

che l'amore per il ragazzo bastava a colmare l'ansia cheaveva dentro, ridurre le paure, abbattere le inibizioni. Anche

se tutto questo lo faceva stare maledettamente male. Una

sofferenza che iniziava il momento prima del distacco e

svaniva all'incontro successivo.

Succedeva spesso che per questo, Piero finisse peraffrontare il ragazzo. Un bisogno di aggredirlo verbalmente

che veniva da lontano. Quasi a volerlo rendere colpevole dei

propri sensi di colpa e delle proprie frustrazioni, le gelosie

per gli altri amanti, il bisogno di possederlo potendolo avere

tutto per sé.

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Adesso, in quell'appartamento che gli sembrava fami-

liare, Piero era dominato dalla stessa sensazione di fatalismo

che aveva avuto mezz'ora prima quando si era trovato a

salire di corsa le scale di quel vecchio palazzo del centro.

Forse aveva ancora una chance, si disse. Qualcosa di se

stesso si era improvvisamente riversato nel ragazzo quando

quest'ultimo si era allungato verso di lui all'ingresso,

abbracciandolo. Gli aveva preso la mano, erano passati

davanti alla cucina, lo aveva guidato fino il fondo al lungo

corridoio nella sua camera da letto.Entrando in quella stanza, Piero rimase colpito dal

fatto che l'odore fosse quello che aveva immaginato. Un

aroma di legno e di polvere insieme, non sapeva esatta-

mente, e per un istante non si limitò a ricordare le emozioni

che aveva vissuto nelle sue fantasie bagnate; in quell'istante

le provò realmente.

La stanza era stipata di tante cose infilate negli angoli.

Gli parve il modo ordinato in cui si conserva il superfluo, al

contrario di lui che butta sempre via tutto. Era buffo come

quel ragazzo e lui fossero diversi e uguali allo stesso tempo.Erano entrambi feriti dalla vita e con una tenerezza

nascosta che la voglia di fare sesso insieme faceva emer-

gere.

Piero si sorprese a guardargli la schiena nuda mentre il

ragazzo iniziava a spogliarsi. Dalla pelle del collo spor-

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gevano le vertebre, mentre le scapole erano come supporti di

ali. Era sorpreso di quanto piccole sembrassero le sue ossa al

tatto e sproporzionata la dimensione del sesso che gli pende-

va enorme in mezzo alle gambe. In viso non era diverso

dalle foto che il ragazzo aveva messo su internet: solo i suoicapelli erano più corti. Rasati. E a Piero gli parve ancora più

bello.

D'un tratto, ecco che il ragazzo inizia a toccarlo. A

Piero gli era difficile credere di essere qui accanto a lui,

nudo. Egli non aveva previsto niente del genere. Però adessodoveva solo abbandonarsi a questa sensazione. Piero sentiva

il respiro del ragazzo sul collo. Era qualcosa di reale. Mera-

vigliosamente reale. Una certa instabilità si era fatta strada

in lui. Piccoli terremoti emotivi l'avevano attraversato. E si

scoprì a trattenere il fiato, mentre il ragazzo si era curvatoverso di lui e con un gesto al limite dell'indifferenza gli

aveva appoggiato la testa sulla spalla. Piero rimase

paralizzato, al sentire le labbra umide che si avvicinavano al

suo collo per baciarlo. Non aveva più pensieri. Solo la netta

impressione di essere vicino a una rivelazione.

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Secondo Movimento

Piero era cosciente di come quel tipo di contatto fisico,

per anni cercato, diventava ogni giorno particolarmente irre-

sistibile. Era come se avveniva con qualcuno che era stato

lontano per molto tempo e aveva ritrovato all'improvviso.

Ma c'era di più. Quel richiamo fisico riportava in superficieframmenti di tutta la sua vita. Il profumo quasi familiare

della pelle del ragazzo rispolverava quella serie di emozioni

e di pensieri che di solito precede la presa di coscienza del

sentimento. L'esaltazione di quei momenti, l'imbarazzo, il

desiderio, il brivido, a volte anche il disprezzo. E tutte quan-te insieme queste sensazioni si trasformavano a volte in una

visione insopportabile. Il futuro è incerto. Più che mai in

momenti rivelatori come questo, si disse Piero. Poi era sicu-

ro che questa rivelazione l'avrebbe condotto dove sperava?

Piero era portato a credere che alla fine la sua vita nonera necessariamente scontata in quel periodo. Non si vedeva

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oltre percorrere il sentiero fin lì battuto di una esistenza tutta

orientata al lavoro e sulla famiglia. Era stanco. Desiderava

allontanarsi. Per questo si era spesso concesso un po' di

vaghe fantasie sull'argomento della sua vita futura. In realtà

non aveva elaborato i dettagli. Forse non gli importava. Onon gli riusciva. Di certo la sua visione era un po' incom-

pleta. E l'idea persistente di trovare qualcuno era sempre

circondata da un alone di sospetto. Tutto quello che aveva

osservato in merito negli altri sembrava confermare un

epilogo di disperazione. Cercava di sublimare i modelli checonosceva o ne inseguiva di nuovi. Ma ciò che vedeva, o

non era adatto al suo carattere - non riusciva a immaginarsi

di avere un amante, anche il più desiderabile fra gli uomini -

o invece era irraggiungibile oppure altre volte non aveva la

benché minima idea di cosa stesse davvero cercando. Tutta-via non aveva perso la speranza di scoprirlo quando fosse

giunto il momento.

Ultimamente, con l'aumentare del numero delle volte

che incontrava il ragazzo, questa speranza si era però tramu-

tata in certezza. Sì, il momento adesso era proprio arrivato.Come un acquazzone improvviso. Sempre più spesso gli

succedeva di percepirlo evidente, come uno dei protagonisti

dei suoi racconti alle prese con una decisione importante,

quando digitava sulla tastiera del suo computer le parole che

componevano in una sorta di testamento il rifiuto di una vita

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monotona. Sì, quelli assieme al ragazzo erano i momenti che

avrebbe sempre voluto vivere. Momenti decisivi in cui la

vita gli appariva giusta. E adesso standosene lì abbracciato

all'amante schiacciato contro il lavello della cucina - durante

una delle tante cene in quell'appartamento all'ultimo piano diquel vecchio palazzo del centro - in una sorta di privilegio

d'amore che gli era concesso, adesso realizzava che questo

era uno di quei momenti. Qualcosa di molto simile all'idea

insistente che proprio quel ragazzo, seducente e indetermi-

nato come gli appariva, potesse trasformarsi nella personadestinata a lui.

Ma, un momento. Il passato parlava. Lui aveva una

moglie, una famiglia che non aveva mai pensato di lasciare

neppure una volta. Che differenza c'era ora? Sì, certo, lui

poteva avere più legami. Anche il suo corpo se n'era accorto.Però non si sentiva libero. Non poteva esserlo. Non lo era!

Era come camminare in una casa che si pensa di conoscere

bene e scoprire una stanza che non si è mai vista prima.

E allora senza lasciare quell'abbraccio, all'improvviso

Piero ebbe paura.

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Terzo Movimento

Quasi tre mesi dopo, così disteso, nudo, di traverso sul

letto matrimoniale dentro la camera della madre del ragazzo,

Piero sembrava appartenere per incanto a un bozzetto pitto-

rico del rinascimento, con le braccia penzoloni lungo i fian-

chi, le gambe divaricate e i piedi rivolti verso l'alto, gli occhichiusi e il viso rilassato. Avrebbe potuto essere morto per

davvero, se non fosse stato per la figura del ragazzo, an-

ch'esso nudo, che giù in fondo al letto gli abbracciava la

parte inferiore del corpo e muoveva la testa in modo inequi-

vocabile.Piero aprì gli occhi per un istante, di poco, e guardò

giù. Guardò con le palpebre semichiuse la testa rasata del

ragazzo premuta sul suo sesso. La sensazione che avvertiva

era piacevole e arrivava dritta al cervello. Mai provata. Una

specie di boomerang, che ritornando su se stesso faceva sì

che quella sensazione rimaneva confinata a ciò che stava

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accadendo poco più sotto. Lo eccitava soprattutto vedere il

ragazzo in quella posizione, e non sapeva immaginarsi nien-

te di più piacevole. Gli piaceva da morire. A chi non sarebbe

piaciuto?, si disse. E di sicuro glielo avrebbe detto. Se non

avesse cercato anche quella volta d’immaginare cosa il ra-gazzo stava pensando, e come mai gli aveva permesso di ri-

tornare per tutto questo tempo, e ancora se era sul punto di

pentirsi della sua scelta. Ma non voleva vanificare quel loro

essere di nuovo a letto insieme. Felici di starci.

Essere in quella posizione permetteva alla sua mentedi vagare in libertà, e Piero aveva quel giorno capito che po-

teva fidarsi del ragazzo. Assolutamente. Non perché questi

aveva rispettato il suo patto, aveva smesso di fare marchette.

Neppure perché questi gli aveva detto più volte di volergli

bene. Di amarlo, forse, se fosse stato capace di dirlo. Maperché adesso Piero sentiva che di lui si poteva finalmente

fidare. Aveva un vero talento per queste cose, e il ragazzo

gli sembrava schietto. Lo sentiva tutto per sé, come un dono

ricevuto per grazia del Cielo. E si convinse che doveva solo

abbandonarsi a quella sensazione che gli stava invadendo lamente, a ciò che il ragazzo gli stava facendo poco più sotto.

Alla fine di quel giorno, rivelatore improvviso del loro

amore, si baciarono a lungo in bocca. A Piero non bastava

mai avere a letto il ragazzo accanto, il contatto del suo cor-

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po caldo pressato al suo. Aveva imparato in quei momenti di

intimità che l'infelicità può consistere nel non riuscire a

trovare il giusto tipo di felicità. Lui adesso l'aveva trovato.

Piero non solo amava il ragazzo, ma gli era anche grato per

averlo liberato da se stesso, per avergli consentito di spie-gare le ali. E il desiderio che provava per l'amante gli esplo-

deva nella mente con la potenza di bombe dirompenti. Lì

dentro la camera della madre, nascosti a ogni sguardo

indiscreto.

'Fanculo, mondo!, esclamò Piero all'improvviso.

Non si aspettava lui, di vedere il ragazzo sorridere in

quel modo alla sua esclamazione. Gli piaceva vederlo fare.

La positività che si era intanto diffusa nella stanza come una

folata di vento era palpabile. Guardò il soffitto. E intanto

non smetteva di accarezzare il ragazzo che gli era allungatovicino con una gamba aggrovigliata alle sue. Se il loro amo-

re avesse avuto un senso, questo era il senso giusto. Il ragaz-

zo era il senso giusto. Quel loro stare insieme era il senso

giusto. Aveva la netta sensazione che essere qui con il suo

ragazzo fosse l'unica cosa che gli importava: questa dol-cezza, questa comunanza, questo tutto che non c'erano

parole per descriverlo. Allora pensò che una volta per

sempre doveva finirla con le paranoie, le ansie, le fitte di

gelosia e risentimento, il supplizio delle notti insonni tra-

scorse a rimuginare il possibile significato di una osser-

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vazione ambigua, come un mal di denti sordo e furtivo. E

che doveva solo abbandonarsi al loro amore. Che gli avreb-

be invaso la mente. Per sempre.

Dio, era così dolce quello che adesso il ragazzo glistava facendo poco più sotto, con una dolcezza sconcertante.

Piero non aveva mai provato niente di simile. Sentiva scor-

rere le labbra socchiuse dell'altro su e giù, mentre le dita gli

avvolgevano la base del pene e la lingua si inseriva come un

terzo labbro. All'improvviso Piero gli fece capire che stavaper venire. Si guardarono negli occhi per un attimo. E là,

nello spazio di un momento, Piero lesse di nuovo nello

sguardo dell'amante tutto il suo amore. La scossa fu forte.

Allora il ragazzo iniziò a masturbarlo. Era ipnotizzante quel-

lo che gli stava facendo. A Piero piaceva sentire lì quellamano che lo stringeva, e andava su e giù. Gli piaceva il fatto

che appartenesse proprio a lui. Al suo ragazzo. L'amore per

quella mano lo invase. Era una sensazione meravigliosa e

Piero voleva che non finisse. Voleva che durasse il più a

lungo possibile, voleva sentirne anche la sensazione più im-percettibile. Voleva davvero che il piacere che il suo ragaz-

zo gli stava adesso procurando lo trascinasse verso gli abissi

profondi della perdizione, verso l'invasione assoluta della

mente. Verso il punto di non ritorno: misterioso, potente,

magico.

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Allora Piero chiuse gli occhi, e nel momento dell'or-

gasmo, un attimo prima che il getto di sperma - uno sperma

ch'egli immaginò potesse brillare di minuscole scintille di

luce perlata d'amore - indugiò a mezz'aria per una frazione

di secondo come una fontana che si congela all'improvvisoproducendo un'alta nota musicale, egli sussurrò al suo ragaz-

zo Se mi lasci, m'ammazzo!

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Quarto Movimento

Il giovedì pomeriggio seguente, proprio su quel letto

Piero continuava da ore ad accarezzare il ragazzo che gli

dormiva accanto. Ogni tanto, quest'ultimo si svegliava nel

cuore del sonno e si girava per guardarlo. Con gli occhi

socchiusi gli sorrideva e lo baciava in bocca, poi si aggrovi-gliava a lui abbracciandolo, e si riaddormentava. Piero ne

sentiva la pelle calda sotto le coperte, la schiena nuda che si

schiacciava contro il suo petto, il sesso che gli cresceva in

mano. Lo strinse con forza. Voleva impregnarsi di lui, del

suo odore. Si sorprendeva ogni volta stare lì in quel modo,nella loro totale nudità. Ma quel pomeriggio fu diverso. Fu

bellissimo. Piero lo capì subito, da come il ragazzo lo guar-

dava, dal modo in cui gli risucchiava le labbra prima di ba-

ciarlo. Come mi piacerebbe se questo giorno non finisse,

pensò all'improvviso a voce alta, malinconico.

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Rischiarandola, il pallido sole di quel pomeriggio di

dicembre entrava timido nella stanza. Il ragazzo - bufalo

della notte - preferiva le stanze buie o illuminate dalla luce

elettrica. La luce del giorno non faceva per lui. Era troppo

comune rispetto al suo modo di intendere la vita. Peròadesso, coricato accanto a Piero nel letto della madre, nella

stanza che sentiva ancora estranea per alcuni particolari che

ignorava, il ragazzo non aveva previsto niente del genere.

Gli era difficile credere di essere attratto da Piero in quel

modo. Cosa ne era stato della regola di non lasciarsi coin-volgere emotivamente o di quell'altra, ancora più irremovi-

bile, di non innamorarsi? Ma con Piero sentiva che era di-

verso. Non si era mai fidato così tanto di qualcuno. Cazzo,

se si fidava! All'inizio l'aveva percepito in maniera amiche-

vole. Poi con il passare delle settimane, la passione di Pieroe l'insistenza con cui dimostrava il suo amore gli avevano

fatto sentire molto di più. Fino a fargli dire, quel giovedì po-

meriggio, Sei importante per me.

Lui era cosciente, seppur giovane, che quella insisten-

za avrebbe potuto fargli intraprendere una strada che, seall'inizio poteva sembrare meravigliosamente attraente e

affascinante, ben presto si sarebbe potuta trasformare in un

impenetrabile ammasso di rovi. Aveva dunque paura, il ra-

gazzo. Paura di innamorarsi. Paura di essere lasciato. Tut-

tavia adesso desiderava abbandonarsi a quella sensazione

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che gli cresceva dentro. Una nuova sensibilità si stava

diffondendo in lui, c'era poco da fare. Ma c'era di più.

Quella emozione era, a dirla tutta, intensa. Soprattutto per

un ragazzo della sua età. In parte l'aveva forse già provata in

passato, con altri, si disse. Ma la persona in questione gliapparteneva veramente.

Fu allora che il ragazzo si ricordò di Guido, l'uomo

incontrato cinque anni prima in quella sauna gay di Milano.

Ripensò alla passionalità con cui ci fece sesso la primavolta. Lui che fino a quel momento aveva solo fantasticato

di cazzi più o meno grossi, che tutto ciò che sapeva sull'ar-

gomento lo aveva appreso dai pochi giornaletti gay. Persino

la sua attrazione per i maschi. Quel senso di appartenenza

che non riusciva ancora a raffigurare ma che sentiva non sipoteva esaurire non tanto, o non solo, dal punto di vista della

ricerca di un partner con cui scopare.

Quello che provava ora per Piero era diverso da quello

provato allora in quella sauna gay, e in seguito con gli altriamanti. Il paragone gli dava proprio fastidio. Addirittura lo

addolorava averlo pensato. Con Piero sentiva per la prima

volta il desiderio di fermarsi. L'amava. Sì, lo amava come

mai aveva amato. Ma allo stesso tempo non si sentiva pron-

to, o forse ne aveva paura. Però sentire il calore del corpo di

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Piero che gli stava sdraiato accanto, e sulla nuca il suo alito,

lo rassicurava, lo faceva star bene. Le gambe che premevano

contro i suoi fianchi, il sesso che gli si induriva, i movimenti

dei suoi muscoli: tutto era così reale. Dannatamente reale,

nella camera della madre avvolta nella penombra di quelpomeriggio di dicembre ormai agli sgoccioli.

Allora il ragazzo tirò su con il naso e rimase un attimo

così, con i pensieri sospesi, appoggiato a Piero. Quindi si

volse, e gli mise un braccio intorno alle spalle. Poi s'inumidìle labbra, e lo baciò in bocca. Con una dolcezza e un senso

di appartenenza mai provato. Dopo stettero a lungo così, ab-

bracciati sotto le coperte e un po' in silenzio, perché per oggi

lui e Piero non avevano più nulla da dirsi. Adesso avevano

desiderio di sentire solo il loro respiro.Tutt'a un tratto al ragazzo sembrò che il vento caldo

del deserto lo stesse attraversando mentre Piero faceva scor-

rere le dita più in basso. Lo sfiorava dolcemente. Era come

salire sempre più in alto, fermandosi su ogni livello per sag-

giare l'ultima sensazione provata. Cosa mi stai facendo?,

mormorerà più di una volta. Dio, com'era dolce. Era davvero

quella la sensazione alla quale il ragazzo voleva abban-

donarsi definitivamente. Era esattamente quello il luogo, e il

momento, dove voleva essere. Ma capiva che non ci sarebbe

stato un annullamento totale fino a che lui non si fosse dona-

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to all'altro, per sempre. Gli piaceva pensare che l'altro fosse

Piero. Con il desiderio di trovarsi lì con lui, aggrovigliati nel

letto della madre, a fare l'amore. E ci si buttò a capofitto.

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Quinto Movimento

E così loro due s'incontrarono sempre più spesso in

quell'appartamento in centro.

Per quanto la mente e il cuore inspiegabilmente cer-

chino di sfuggirlo, il vero amore esiste. Tutti lo vogliono,

anche chi afferma di aver rinunciato a innamorarsi. Non tut-ti, però, sono pronti. E questa cosa Piero la pensò soprattutto

riferita al ragazzo. Verso sera di qualche pomeriggio dopo,

mentre il ragazzo preparava qualcosa da mangiare per loro.

Seduto tra il tavolo e la finestra della cucina, Piero lo ascol-

tava parlare, e lo osservava. Fuori era buio, e anche quellavolta aveva quasi smesso di piovere. Ogni tanto, Piero ab-

bassava lo sguardo sul tavolo per prendere appunti sul suo

inseparabile taccuino. Poi riprendeva ad osservare il ragaz-

zo. Che poco prima gli aveva detto con voce sincera, Voglioraccontarti ancora di me. Intanto rimaneva in silenzio e

contemplava il corpo del ragazzo: le spalle, i fianchi stretti,

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le gambe magre nei jeans. Ma quello che di lui gli piaceva

guardare attentamente erano gli occhi, l'espressione pro-

fonda degli occhi. Perché nessuno aveva occhi come quelli,

belli come quelli. Sorridevano, brillavano, raccontavano tut-

to di quel ragazzo. E così anche se lo desiderava, Piero nonriusciva a concentrarsi sulla scrittura. Voleva appuntare al-

cune frasi appena dette dal ragazzo, che poi avrebbe ripreso

nei suoi racconti, ma quegli occhi… La scrittura è un'ottimachiave per interpretare la vita, si disse a un tratto a voce

alta. Serve a stringere forti legami con il nostro esistere, cifa riflettere, ci fa commuovere.

Più avanti il ragazzo smise di raccontare. All'improv-viso. Si schiarì la gola. In quel preciso istante fu come se

qualcosa in lui si fosse bloccato. Qualcosa di ancestrale che

gli era riapparso in modo brusco. Ma c'era di mezzo anche

qualcosa come il timore di scoprire chissaché. Rimase lì im-

mobile, con le spalle contro il muro, stretto tra il lavellodella cucina e la lavastoviglie. Si fissarono negli occhi, per

un istante che sembrò infinito, come due segugi. Tu pensiche io sia un mostro, gli disse il ragazzo. Poi pensò alla sua

vita. Al suo futuro. Al fatto che Piero non sembrava cre-

dergli. E a un tratto si disse che non gli importava niente disapere se Piero gli avesse fin lì creduto oppure no. L'unica

cosa che voleva veramente era averlo per sé, per sempre.

Contava solo che Piero non lo lasciasse. Che potesse fi-

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Page 30: Aveva quasi smesso di piovere, di Alois Braga

nalmente fidarsi di lui. Allora il ragazzo, come gli succedeva

spesso quando l'aria era intrisa di una emozione violenta, si

voltò di scatto e si mise a ruggire come un pazzo. Glielo

disse di brutto, in faccia, che Piero non gli credeva, che lui

invece lo amava davvero, che gli venisse il più brutto deimali se mentiva. Ma lui no! Lui…

Lui, Piero, quella volta preferì tacere. Sentiva il cuore

battergli veloce in gola, ma preferì seguire il filo dei suoi

pensieri sgomitolarsi nell'aria. E si lasciò andare contro loschienale della sedia. Pensò a quella cosa - l'aveva letta una

volta da qualche parte e si convinse che era vera - che nono-

stante i suoi paradossi, gli piaceva usare ancora il sesso

come indicatore. Per questo trovava più semplice leggere i

segnali che riceveva nel toccare il ragazzo piuttosto che far-ne un’analisi del carattere. Questa era una delle cose più af-

fascinanti di questo rapporto. La gente che lottava, e il ra-

gazzo era come lui un lottatore nato, anche quella era affa-

scinante. Pure questo gli venne in mente mentre non aveva

smesso per un attimo di guardarlo. Le persone che la vitanon aveva provato almeno una volta erano escluse da molte

cose. Erano meno aperte. Era facile intravedere disponibilità

dalle persone provate. E aveva anche notato che spesso

erano proprio quest’ultime le più disposte a dare priorità al

sesso.

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Il fatto era che al momento il sesso con il ragazzo lo

metteva in uno stato mentale veramente ricettivo. Era questo

quello che realmente voleva? La risposta gli era semplice,

immediata e affermativa. Sì, ne era certo. Era l'amore di

quel ragazzo quello che realmente voleva. Il suo corpo e lasua anima. Però l'intensità della sua convinzione era forte al

punto da dargli l'impressione di emanare lui stesso luce, di

essere lui stesso radioattivo. Di solito quelli che lottano èsolo perché sono più coinvolti, gli venne in mente anche

questo. E lui, coinvolto lo era del tutto nella relazione con ilragazzo. Che lo teneva a bada, capiamoci. Eccome se lo

teneva a bada. Per questo Piero avrebbe voluto diventare di-

staccato - sì, anche solo per un attimo, approfittando di un

momento di distensione, di un dopo sbronza come una volta

gli suggerì un amico a cui aveva raccontato del ragazzo - pervedere le cose dalla loro giusta prospettiva. Perché il ragaz-

zo si comportava così con lui, e le persone distaccate hanno

potere. Piero lo sapeva bene. Tuttavia il fatto che fosse il

ragazzo ad essere il più forte, lo angosciava. Non riusciva a

evitarlo: era fisiologico. Forse era incapace di amarlo in unaltro modo, che non fosse l'insieme di desideri e di bisogni

che giorno dopo giorno si erano tramutati il lui in vera

passione. Nel modo sereno in cui il ragazzo, per esempio,

continuava a ribadirgli. Se questo fosse stato vero, cioè di

non riuscire ad amarlo in un altro modo - si disse tutt'a un

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tratto Piero - l'unica soluzione era tirarsene fuori: non a-

vrebbe dovuto, né potuto, angustiare oltre il ragazzo. Aveva

incasinato tutto, questo sì. Era perfettamente cosciente di

essere riuscito a incasinare le cose ancora una volta. Ma lui

non poteva tirarsene fuori. Non voleva. Ne sarebbe morto.Tuttavia morire era forse quello che voleva davvero, anche

se la sua vita si era conclusa tanto tempo prima.

Però anche quella volta il ragazzo dimostrò di sapere

leggergli dentro, e lo anticipò. Si girò verso di lui. Si trova-rono così faccia a faccia nel cucinotto di quell'appartamento.

Vide che gli occhi di Piero erano diventati lucidi. Gli sor-

rise. Poi si sedette sulle sue ginocchia, tra il tavolo e la

finestra, e gli mise un braccio intorno al collo per avvertire il

suo contatto. Piero si sentì un sopravvissuto. Il loro amoreera sopravvissuto a un altro assalto. All'improvviso venne

disturbato da una strana fitta quasi impercettibile. Come se

quella piccola fitta insistente volesse significare che niente

era cambiato, l'altro era sempre il suo ragazzo, e questa era

solo un'altra versione della stessa cosa. Si scrollò di dossoquel pensiero raggelante di prima - quello di tirarsene fuori -

e lasciò che invece il suo istinto seguisse la calda sensazione

che si diffondeva al suo posto. Il suo ragazzo si stava di

nuovo aprendo. Questa era la sensazione più bella. Forse da

tutto ciò sarebbe nato qualcosa di definitivo. O forse era già

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nato, e lui testardamente rifiutava di crederlo. Sentì una vaga

speranza raccogliersi in lui, qualcosa di imminente, qualcosa

di bellissimo che stava aspettando da una vita.

Allora Piero chiuse gli occhi. Con tutta la sua forza

strinse a sé il ragazzo. E si baciarono in bocca.

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Epilogo

Come quella volta all'inizio, quando si erano incontra-

ti, Piero aveva camminato per un po', prima di fermarsi sotto

il portone della casa del ragazzo.

Era una sera di fine giugno, e anche in questa occasio-

ne aveva quasi smesso di piovere. L'aria sapeva di asfaltobagnato. Questo gli ricordava la sua infanzia, la sua Milano,

l'odore delle cose che aveva sempre amato.

Di colpo era come se intorno, per un istante, tutto si

fosse fermato e, come in una scena finale del film sulla

propria vita, lui attendesse lo scorrere inesorabile dei titoli dicoda. E lui, Piero, dopo l'ultima volta che era stato lì, aveva

recuperato, anche se solo in parte, il coraggio di ritornare

davanti a quel palazzo in quel vicolo del centro.

Adesso, però, era come se quel vecchio palazzo fosse

stato evacuato dopo un bombardamento. L'impressione im-provvisa fu quella di trovarsi in una città uscita da una guer-

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ra, una città in cui le ostilità erano cessate di recente lascian-

dosi dietro solo rovine silenziose. Gli venne in mente quella

battuta di un film, di quel soldato che dice all'amico che

sono proprio questi i periodi più vulnerabili e pericolosi del-

la guerra, quando le cose appaiono tranquille ma non è anco-ra stata firmata una vera e proprio tregua. Un brivido di ri-

cordo gli fece stringere lo stomaco, e si sentì lacerare dentro

quei pochi brandelli di carne ancora integri. Appoggiò la

schiena contro il muro di mattoni vecchi lì vicino, e chiuse

gli occhi.

La tua bellezza - non molto tempo prima, Piero aveva

sussurrato all'orecchio del ragazzo - è la cosa più straordi-naria della mia vita. Anzi, tu sei la mia vita ed io ti amoperdutamente.

Come avrebbe fatto ad ammettere allora che adesso il

ragazzo non c'era più. Lui che, da oltre un anno e un mese,

ormai viveva di vita riflessa. Non aveva bisogno di focaliz-zare la propria attenzione, o di pensare a quello ch'era suc-

cesso, perché lui rispondesse in modo indipendente. Non

aveva bisogno di farlo. Anzi, aveva notato che ultimamente,

se si soffermava a pensare ad altro, l'energia contenuta in

esso rischiava di vacillare o di disperdersi.All'improvviso Piero aprì gli occhi. Puntò lo sguardo

verso quel portone che sentiva anche suo, come tutte le cose

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appartenute in precedenza al ragazzo. Adesso, però, sembra-

va tutto così distante, assorto, rilassato. Persino lui si sentiva

stranamente distante. Gli parve addirittura di fiutarlo nell'a-

ria, contemporaneamente a qualcosa che gli si era strozzato

in gola.Fin dall'inizio era stata un'attrazione fatale. Piero ne

era consapevole. Ma il sospetto, che quello che stava per

accadere fosse il giusto epilogo del dramma che si era

consumato solo un mese prima, era aumentato ed era stato

reso più tragico dalle sue aspettative. Era stanco di pensare.Stanco di pensare al ragazzo che non c'era più. Stanco di

pensare che non doveva pensare al ragazzo. Era stanco di

cercare di adattarsi, di provare a capire se una cosa andava

contro il suo destino o se era il suo destino ad andare in

direzione opposta. In un certo senso Piero era arrivato aquesto punto. Lui non aveva bisogno di una nuova moti-

vazione: si rifiutava di credere realmente che la vita potesse

continuare senza il suo ragazzo. Doveva finalmente proce-

dere all'impasto fra chi era vivo e chi era morto. Perché per

tutto questo tempo lui si era mantenuto in vita cibandosisolo dell'amore del ragazzo, sfamandosi della sua carne e

saziandosi della sua anima. Del resto con la morte dell'altro,

anch'egli era già realmente morto. Lui era con il ragazzo un

destino soltanto. Come avrebbe potuto mai distaccarsene?

Né lui avrebbe mai potuto contenere il proprio dolore in una

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sfera intima, distillandolo goccia a goccia in solitudine,

rendendo così possibile l'elaborazione finale del suo lutto.

Anche se non fregava un cazzo a Piero di socializzarlo, il

suo dolore, tendendo a quel valore di purificazione che ca-

ratterizza qualsiasi espressione pubblica di un sentimento.Lui che aveva dovuto nascondere il loro amore anche agli

amici più intimi, fino a provarne una sorta di dolore e

rabbia. E proprio per questo, anche adesso lui non poteva

esibire il suo dolore, obbligandolo alla clandestinità, al

segreto. Nessuna società borghese del cazzo riconoscerebbecome autentico un lutto come il suo; né, di conseguenza,

l'accetterebbe come quello che i sociologi chiamano il luttodel cuore. Allora, accettare di lasciarsi andare, farla finita,

come Piero stava facendo, aveva per lui il valore dell'unico

senso sulla via del superamento di quella catastrofe nonancora ufficializzata. Un non volere riconoscere alla morte

un tono minore rispetto alla vita che si è vissuta.

Di colpo Piero si ricordò di un pomeriggio – erano

sempre pomeriggi - in cui egli era ben disposto nei confrontidel ragazzo perché l'aveva fatto ritornare nonostante l'enne-

sima sfuriata. Si erano messi a letto, nella camera matri-

moniale della madre, stringendosi l'uno all'altro. E dopo un

po' il ragazzo gli aveva detto che ammirava la sua intelli-

genza, la sua sensibilità, quella specie di devozione che, me-

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se dopo mese, ormai gli riversava addosso e che adesso an-

che lui lo amava davvero.

Sì, ultimamente Piero ripensava spesso a quel pome-

riggio. Riusciva a percepirlo come un favore divino e, avere

avuto di nuovo il ragazzo disteso al suo fianco, l'aveva fattosentire un predestinato.

Adesso senza il suo ragazzo, però, Piero era solamente

uno straccio, un reietto. Niente è più banale che sentirsi dire

la vita continua, lo sapeva Piero. Per questo non poteva ba-

stargli. Non poteva accettarlo.All'improvviso Piero sollevò il capo, e girò lo sguardo

verso il portone. Allora, e solo allora, si accorse della donna

ferma sulla soglia.

Si scrutarono per un istante. E nel farlo si ricordò di

quella cosa che aveva letto in Castelli di rabbia, quando

Baricco descrive il volto di Jun Rail: Quando gli uomini diQuinnipak guardavano le loro donne pensavano al volto diJun Rail. I capelli, gli zigomi, la pelle bianchissima, lapiega degli occhi… La bocca di Jun Rail non ti lasciava inpace. Ti trapanava la fantasia, semplicemente. Ti impia-stricciava i pensieri.

In quel momento la donna gli andò incontro. Non si

mosse nulla nel suo volto mentre gli tendeva la mano, che

Piero afferrava, senza dire una parola. Poi vide che gli occhi

della donna erano invece diventati lucidi come i suoi. E lui

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avrebbe voluto farle capire che non si aspettava di trovarla

lì, ma come avrebbe potuto poi raccontarle tutto?

Lei gli sorrise, però. In una specie di gesto d'intesa. Fu

un attimo, poi disse con dolcezza So tutto di mio figlio e lei,di quanto vi siete amati… Non si può più tornare indietro,ma non si lasci morire. La prego, non lo faccia!

Piero sentirà una fitta diversa prendergli il petto, ilrespiro e lo stomaco. E nell'attimo preciso in cui la madre

del ragazzo lo abbraccerà prima di allontanarsi, rivedrà,

riflessi in quelli di lei, gli occhi del figlio come solo lui li

aveva visti l'ultima volta che fecero l'amore. Finalmente si

convincerà, con una consapevolezza commossa e anche di-sperata, che il suo ragazzo voleva così. Che doveva final-

mente procedere. Solo così il loro amore avrebbe resistito

perdutamente.

In seguito la donna, cento metri più avanti, si fermerà.

Avrà un attimo di esitazione, e si volterà. Piero alzerà unamano in segno di saluto e anche lei, sorridendo, lo farà. Poi

la donna continuerà a camminare, e gli occhi lucidi di Piero

la fisseranno finché non la vedranno svoltare l'angolo, in

fondo a quel vicolo del centro storico, sparendo per sempre.

***

Una settimana dopo, si leggerà in grassetto sul

principale quotidiano locale:

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Un uomo di quarantacinque anni, uscito illeso da untesta a coda, si è gettato dal viadotto della Statale. Volevafarla finita: in un volo di 12 metri.

I fatti - continuerà l'articolo nella pagina della cronaca

cittadina - si sono svolti ieri pomeriggio, fra le 15 e le 16.Secondo alcune testimonianze, un'auto di grossa cilindrataha improvvisamente sbandato dalla sua corsia e ha sbattutocontro il guard-rail che si trovava dalla parte opposta. Ilparapetto ha resistito allo scontro e ha fatto rimbalzare ilmezzo che è ritornato nella direzione di marcia originale. Aquel punto quello che poteva sembrare un incidente stra-dale, reso possibile da una distrazione o un malore, si èrivelato ben altro. All'improvviso dall'auto è sceso un uomoche ha iniziato a camminare sul ciglio della strada. Dopouna ventina di metri, ha scavalcato le protezioni del via-dotto buttandosi di sotto. La scena è stata vista da alcuniautomobilisti di passaggio che visibilmente sconvolti hannosubito avvisato i soccorsi. Dopo pochi minuti sono arrivati icarabinieri della vicina stazione locale che hanno con-statato la morte dell'uomo. In un biglietto, trovato in seguitodai carabinieri, l'uomo ha spiegato che quello di farla finitaera l'unico modo per riunirsi al suo ragazzo.

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Quella mattina, in particolare

La giornata si è presentata di merda.

Sai quelle mattine che iniziano storte, con la testa cheti fa male, gli occhi che non vogliono aprirsi, la bocca che sa

da far schifo. E se non bastasse, la moka trabocca tutto il

caffè. Senti il profumo che ti entra dentro ma non hai voglia

di prepararne un altro, allora succhi con la cannuccia quello

che è sparso per i fornelli, come fosse l'ultima cosa che ti èconcessa bere prima di morire.

Non ricordo un cazzo di ieri sera, o quasi. Forse ho

bevuto troppo, eppure quel succhiotto che mi vedo sul collo

specchiandomi in bagno, sono sicuro di non averlo avuto

prima. All'improvviso mi ricordo: del tipo incontrato in

discoteca, della bevuta al Desideria e infine della scopata.

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Ma adesso lui dov'è?, mi chiedo fissandomi allo specchio.

Già, lui, l'affascinante lui. Dove cazzo è?

Esco dal bagno e mi dirigo barcollando verso la stanza

da letto. È lì, lo vedo! Rimango fermo un attimo in piedi,

nudo come un verme, appoggiato allo stipite della porta afissarlo. È mai possibile che mi innamori sempre di chi si

mostra un po' gentile con me?, penso. Ma io sono fatto così,

mi rispondo a voce bassa; mi basta poco, basta che qualcuno

mi sorrida, e mi sciolgo come neve al sole.

Allora mi siedo sul bordo del letto, vicino a quel fondoschiena così bello. Non posso fare a meno di accarezzarlo.

Poi, è più forte di me. Risalgo lentamente la schiena,

sfiorando appena con le mani la pelle di quel corpo che

inizia ad emozionarmi, esattamente come la sera prima,

come la musica che adesso sento salirmi dentro in uncrescendo che mi arriva prima alla testa e finirà poi, lo so,

con lo scoppiarmi nel cervello.

Dunque mi chino verso quel corpo, ne annuso l'odore,

ci passo la lingua: mi nutro del sapore, intenso e delicato

insieme, e con la lingua lo percorro in lungo e in largo, quel

corpo, come farei con la mia Punto su per le strade di

montagna. E ci arrivo, con la lingua, al valico, al confine, tra

la mia bocca e la sua.

Allora quel che faccio è cercare di entrarci dentro,

facendomi largo attraverso quelle labbra socchiuse, rosse e

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carnose. Finalmente ci sono! E cerco l'altra lingua, che trovo

subito complice, e iniziamo a giocare, un gioco fatto di

movimenti lenti e caldi che si fanno via via sempre più ve-

loci e profondi. Frattanto i nostri sessi iniziano a sfiorarsi, e

ci tocchiamo come due amanti che sanno di aver trovato unaintesa fatta di complicità e di desiderio.

Dio, come mi piace stare così! Tra le sue braccia sento

una sensazione di pienezza che ci completa a vicenda. Un

appagamento che non è solo fatto di sesso, ma è qualcosa di

più profondo, una soddisfazione che mi fa sentire in pacecon me stesso. È come acquietare la propria coscienza di

fronte ai tanti mali del mondo, perché sai che su quel corpo,

su quei brividi intensi che stiamo provando lì, uno di fronte

all'altro, possiamo contare per sempre. E nulla avrebbe potu-

to farci del male fino a quando fossimo rimasti abbracciati,in quella posizione.

È strano, a volte, come le sensazioni di un momento

possano condizionare per sempre la propria vita. Condizio-

narla a tal punto da ridurti all'angolo, incapace di reagire.

Ecco io lì, tra le sue braccia, mi sentivo in questo modo:stranamente incapace di una reazione.

Non che non lo desiderassi di nuovo. Ma non è

possibile, cazzo!, che il mio star bene, il mio sentirmi appa-

gato equivalga ad un azzeramento delle reazioni. Questo

lasciarsi andare alla volontà e al desiderio dell'altro, compia-

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cersi del suo piacere e non cercare il proprio, come se questo

comportasse una predisposizione troppo forte di volontà a

cui io non sono preparato. E in quegli attimi in cui lui mi

sussurra all'orecchio parole di una dolcezza infinita, con un

calore di sentimenti che mi riempiono la schiena di brividi,io mi sto a chiedere se mai un giorno avrei potuto cambiare.

Stronzaggini! Non è da me tutto questo, penso. Io qui

a masturbarmi il cervello con queste paranoie da collegiale e

lui lì, invece, a stringere forte la mano attorno al mio sesso,

masturbandomi per davvero. E sento che lo fa con la consa-pevolezza di chi va oltre la semplice voglia di prendermelo

in mano e farmi godere.

Allora?, mi chiedo. Ci hai anche scopato con molti

ragazzi, e ti piaceva accarezzare i loro corpi, sentirne l'odore

particolare e unico, la loro pelle liscia e morbida, entraredentro di loro... Quella sensazione umida e calda che ti

accoglie, avvolgendoti. E allora?

- Va tutto bene? - mi dice, all'improvviso. Poi mi fissa

con lo sguardo che non si dimentica facilmente, di quelli che

dimostrano di sapere quello che ti sta per accadere, di quelliche vorresti non aver mai visto perché finiscono per mettere

a nudo le tue emozioni. E questo, a me, non piace.

- Cosa? - gli rispondo.

- Ho fatto qualcosa che non dovevo? - ribatte.

- No, scusa, non è colpa tua.

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- Possiamo parlarne?

- No no, è tutto okay - rispondo. E so perfettamente di

mentire.

- Sicuro? - insiste sedendosi sul letto.

Lo guardo in silenzio, per un attimo. Non smette difissarmi. Allora mi stacco, mi alzo. Indosso velocemente un

paio di jeans e una maglietta.

- Scusa, ma devo proprio andare... alle dieci ho

lezione.

E lo dico con un tono di voce poco credibile: lui saperfettamente quanto poco mi importi perdere una lezione, o

non andarci affatto all'università.

Infatti lui fa una specie di sorriso, senza voltarsi. Poi

mi viene vicino. Mi mette un braccio sulla spalla, mi guarda

dritto negli occhi, con lo sguardo profondo, di quelli impe-gnativi, il suo. E dice:

- Se non ti piaccio più, me lo devi dire... Non puoi far

finta di niente!

- No, è che ho bisogno di starmene un po' da solo. Di

capire come funziona...- Come funziona cosa? - dice, alterando leggermente il

tono della voce. - Mi piaci, ti piaccio, ci piace farlo insie-

me... Cazzo c'è da capire ancora?

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Quando finisce di dirlo, tengo già la maniglia della

porta stretta in mano, pronto a scappare da quella situazione

ormai diventata insostenibile.

Lui mi blocca.

- Dove vai? - dice con quel suo sorrisetto-presa-per-il-culo. - E' casa tua questa, o l'hai dimenticato?

- Appunto - gli rispondo. - Tira la porta quando esci.

E me ne vado, lasciandolo solo.

Quando mi comporto in questo modo, da vero stronzo,mi odio da solo. Ora questa cosa l'ho fatta senza una ragione

vera, senza che lui lo meritasse. Perché mi tirava il culo.

Mi tirava il culo per cosa?, mi domando, appena fuori

della porta. Per il semplice fatto che lui sa perfettamente che

non mi deciderò mai ad ammetterlo del tutto. Ammettere poicosa? Che mi piace andare con gli uomini, che mi piacciono

i cazzi?

Ecco, l'ho detto! O forse è perché lui ha compreso,

invece, che non ho le palle per sostenere una scelta così

impegnativa, che alla fine non riesco ad accettarmi com-pletamente per quello che sono, che non mi piace quello che

provo dentro, che vorrei sentirmi una volta tanto la serenità

della normalità addosso...

La serenità della normalità addosso?, urlo scendendo

di corsa le scale del condominio. Ma che cazzo sto a dire?,

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penso subito dopo, e mi metto a ridere come un matto. Un

riso incontrollato, isterico, di quelli con le lacrime agli

occhi. Parlare di normalità, ma che senso ha? Oggi, che

niente è più così ben definito e tutto invece è instabile,

sull'orlo del precipizio, e ci vediamo appesi all'esile filo diun confine immaginario.

Allora mi fermo di colpo, e mi siedo sui gradini. E

rimango lì, con le gambe di traverso, a pensare. Pensare a

cosa?, mi domando. Non c'è più tempo per pensare. È ora di

agire, lasciare finalmente che le cose vadano per il loroverso. Ecco, questa mi sembra l'unica soluzione possibile.

Prendersi troppo sul serio fa male, ed è un po' perdere la

giusta dimensione della realtà. È come vedere le cose, e gli

altri, non come sono effettivamente ma come vorremmo che

fossero. Una sorte di illusione perenne che ci conduce versouna lenta e graduale distruzione.

All'improvviso mi sento toccare sulle spalle. Mi volto

appena. Chinato verso di me, c'è lui che mi sorride. Lo

guardo per un attimo, e ricambio il sorriso. Allora quello che

fa e di baciarmi sulle labbra, con tenerezza. Troppo tenera-mente. E ancora una volta non mi rimane altro da fare che

sciogliermi, tra le sue braccia, come neve al sole.

Pochi istanti dopo faremo l'amore, abbandonati nel

letto della mia soffitta. Alla faccia dell'università, e di tutto

il resto.

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L’unico uomo

- Da che parte preferisci stare?- Da che parte? Non so, per me è indifferente.

- Be', va bene se mi metto a sinistra?

- Sì.

- Notte - disse Dillo spegnendo la luce.

- Notte - rispose Miro.

Miro aveva una storia avviata con Dillo, o qualcosa di

simile, ma non si vedevamo da alcuni mesi. E alla fine di

quel concerto dove si sono rivisti per caso, non sapendo

neppure il perché, Miro disse a Dillo che gli sarebbe piaciu-to restare a dormire a casa sua, se a lui non dava fastidio.

Dillo gli disse che poteva fare quello che voleva, quella era

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anche casa sua, e poi non gli dava di certo fastidio, anzi era

contento se rimaneva. Allora Miro gli disse che avrebbe

dormito sul divano, che non c'era problema, andava benissi-

mo il divano, ma Dillo fece un gesto vago nell'aria e rispose

che preferiva di no, che poteva benissimo dormire nel lettoinsieme a lui. E così è stato.

Quando Dillo spense la luce, Miro rimase sdraiato sul

letto a pensare proprio a quello, per un bel po'. Non riusciva

a prender sonno. La vicinanza dell'amico lo turbava. Tre

mesi sono pochi, direi proprio un cazzo per cancellare glianni vissuti insieme, si disse. A un certo punto, alzò brusca-

mente il capo e diede una sbirciata a Dillo. L'amico dormiva

profondamente, e Miro ebbe uno scatto come se volesse

balzare in piedi su quel letto e andarsene. Prese a fumare, al

buio di quella stanza, e rimase là con lo sguardo fisso nelvuoto, mentre una piega amara si delineava intorno alla

bocca.

Tre anni o forse quattro poco importa, e tutte le coseche mi girano per la testa, quei silenzi di prima a tavola, inpizzeria, sempre più pesanti, e adesso il non far niente inquesto letto, e tu che sai solo dormire così in santa pace...Dillo, io ti amo, cazzo quanto ti amo! Ti ricordi, la mattinafacevamo spesso l'amore appena svegli nel guardare dallasoffitta i tetti delle case, e restavamo abbracciati ore ore

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ore, poi ti preparavo il caffè, e mente lo facevo tu mi baciavisul collo e mi dicevi che era bello, bello restare con me aMilano, che non riuscivi proprio a lasciarmi nemmenoun'ora, chissenefrega dell'università, e ci gettavamo perterra sulla stuoia e facevamo l'amore di nuovo. E adesso tusai solo dormire, e io, non si vede, non lo vedi brutto stronzocome sono ridotto...

Miro si accese un'altra sigaretta, si voltò angosciato

verso l'amico, e si accorse che Dillo aveva nel sonno uno

sguardo dolcemente arrogante, sicuro di sé, e un volto dalla

espressione infantile ma selvaggia e tuttavia tenera.

Noi eravamo amanti, cazzo! Amanti, lo ricordi?, quasi

lo urlò nel buio della stanza, e si sentì invadere da un senso

di malinconia profondo.

Miro si sollevò sul letto, sospirando.

Entrando dall'unica finestra, le luci al neon fuori dellastrada spaccavano la stanza in tante parti scomposte, colo-

rate e piccole, e lui si sentiva il cuore scomposto nello stesso

identico modo lì, seduto sul letto, vicino al grande amore

della sua vita. Neppure adesso però, a distanza di tanto tem-

po, riusciva a spiegarsi il perché l'altro, quella mattinanebbiosa, dopo il caffè, dopo averci pure scopato insieme

sulla stuoia, lo avesse lasciato. Senza nessun motivo appa-

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rente, e senza che lui potesse avere il tempo di prepararsi

all'idea di quell'abbandono.

Miro tirò un'altra profonda boccata dalla sigaretta; poi

si voltò di nuovo verso l'amico, e poi ancora iniziò a

guardarsi intorno, come se cercasse in quel continuo voltarsie guardarsi intorno segnali d'aiuto capaci di risvegliare nella

stanza ricordi e emozioni che si celavano in un passato

remoto.

Dov'è la complicità profonda e misteriosa che citeneva uniti? Perché c'era tra noi, qualcosa di cui nonparlavamo, ma a cui pensavamo e che sentivamo crescercidentro. Ma tu stavi barando, cazzo!

Miro pensava questo, leggendoselo dentro in tono

solenne e sentimentale. E per un istante chiuse gli occhi,

come se si concentrasse profondamente nel buio di quella

stanza spezzato solo dalle luci fuori della notte. Tentò anche

di convincersi che quel suo star male non era dovuto alla suaossessione per l'altro, ma al pesante condizionamento cultu-

rale che indica all'uomo nella biunivocità eterosessuale

ancora l'unica, possibile e accettabile estrinsecazione della

propria sessualità. E lì si chiedeva ora, se la possibilità di

accettare, ad esempio, un'autonomia sessuale che allude eracchiude quella di una solitudine accettata - come il com-

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pletamento di noi che narcisisticamente continuiamo invece

a cercare nell'altra persona - significasse porsi seria-mente il

problema della solitudine. Porselo innanzitutto come

angoscia e dilacerazione, come abbandono dalla persona

amata, come rimpianto di un mondo e di una felicità perduti,

e viverlo come prolungato replay di un'altra più lontana

irrevocabile separazione, la cui angoscia l'amico che gli

dorme accanto serviva a placare.

Ma è evidente, si disse Miro accendendosi un'altra

sigaretta, che se mi limitassi all'esplorazione dell'universodella solitudine, il mio ri-incontro con Dillo finirebbe con

l'essere la fine di un periodo di espiazione e di dolore, ma il

non limitarsi a questo implicherebbe la riproposizione di

tutti gli stessi problemi di una coppia eterosessuale tradizio-

nale, fatta di convivenza, di scazzi, di abbandoni e ritorni,insomma di situazioni destinate al fallimento.

Allora gli venne alla mente quello che Dillo gli disse

una volta, ancora agli inizi, prima che si mettessero insieme

nella soffitta, a lui che quasi vomitava alla sola idea di fare

un pompino al suo migliore amico; una cosa che suonava

pressappoco così, che l'unico modo per togliere dalle spalle

delle donne, che comunque non lo vogliono più, il pesante

carico di consolatrici dell'umanità maschile è scoprire che

l'amore, la tenerezza, il lasciarsi andare, la gelosia,

l'innamoramento e fare sesso insieme non sono necessa-

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riamente riservati al chiuso dell'alcova eterosessuale e ban-

diti dai rapporti con amici, compagni e vicini di casa.

Sono la tangibile dimostrazione, gli disse sempre

Dillo, che la nostra contorta carica di affettività, bisogni e

sentimenti può essere invece vissuta in un universo moltospazioso del rapporto con una donna o tante donne. Perché

l'amore che abbiamo per un amico, con tutte le sue

scazzature e le sue paranoie, è pur sempre una cosa bellis-

sima ed unica che vale la pena di provare: perché è meravi-

glioso camminare tenendosi per mano o passare un pome-riggio insieme a letto o andare a baciarsi in un cinema di

terza. Perché in questo mondo di merda il sorriso di un

amico, il suo sguardo che incrocia il tuo per un attimo, dirgli

che lo ami senza essere imbarazzato ti fanno capire che la

vita è breve, e nulla è dato per caso all'uomo.

* * *

Non sappiamo nulla delle forze che spingono due

persone, che fino a poco prima si ignoravano, a incontrarsi esaldarle l'una all'altra in modo ancora più inquietante di

quanto unisca il rimorso, per poi di punto in bianco

separarle.

Anche Miro se lo stava chiedendo questo, seduto sul

letto, con la testa appoggiata alle ginocchia, incapace di

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qualsiasi reazione. L'alba ormai iniziava a farsi vedere oltre

la finestra, e Miro sentì un peso alla gola, forse aveva

fumato troppo, un peso come se dovesse esplodere, una

voglia di piangere fortissima.

Si appoggiò allora a Dillo, come in una sorta diabbandono estremo, e nel farlo un'angosciante sensazione di

abbandono gli attraversò di colpo il corpo spaccandolo in

due: provò un malessere profondo, totale, mai provato

prima, che gli fece temere per un attimo di averlo irrimedia-

bilmente perduto. E come quando muore una persona cara, eci si affanna o comunque si sente il bisogno che restino delle

testimonianze della vita di quella persona, che ha in qualche

modo fatto parte della propria, in quel momento lui si sentì

così: uno a cui è venuta a mancare la persona amata.

Questo fu veramente come perdere pezzi di sé, dellapropria esistenza, del proprio corpo, perché lui ebbe come

l'impressione di essere composto da un insieme di pezzi,

anche fisicamente, e d'improvviso si vide come quelle tavole

anatomiche dove l'immagine del corpo umano appare senza

pelle e rivela la sua consistenza di tendini e muscoli, soloche al posto di tendini e muscoli lui allora vide pezzi del

proprio amante, pagine di libri lette insieme, accordi musi-

cali di canzoni ascoltate insieme, che si scomponevano

come in puzzle che esplode all'improvviso e senza alcuna

possibilità di ricomporsi.

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Se cerco di guardare attraverso il ricordo, mio caroDillo, vengo sopraffatto dalla fantasia, e vedo te, mi vedobambino, nudo, e con la voglia di essere preso in braccio, diessere baciato e anche di essere coccolato... Come vorreiallungare la mano e toccarti, poterti amare senza nessunacosa castrante, senza tante perplessità o incertezze, vedercisereni, sul serio, te ed io finalmente di nuovo insieme senzasituazioni strippanti, non per fuggire o perché non voglioaccettarle, ma per far posto a cose nuove, perché abbiamobisogno veramente di cose nuove, tu ed io. Essere nudi,toccarsi, esprimersi e nutrirsi dello stesso-unico-grandeamore.

Miro rimase ancora per qualche istante seduto sul

letto, a fissare l'amico immerso nel sonno. Gli occhi erano

rossi e stanchi, a tratti anche lucidi.

Decise di scendere dal letto, e nel farlo scrutò dinuovo l'amico, con uno sguardo intenso. Le gambe gli si

bloccarono, le sentì improvvisamente pesanti. Miro non capì

quello che stava provando in quel momento, sentì soltanto

una violenza salire ed esplodere dentro che gridava imbe-

stialita verso l'altro, e mille sensazioni gli piombarono ad-dosso: sensazioni frenanti e angosciose, sensazioni di stan-

chezza e di euforia, voglia di abbracciare e di essere ab-

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bracciato, voglia di urlare ma anche di chiedere veramente

aiuto.

Penso di non uscirne più fuori, non mi importa se mirifiuta, non mi importa se mi ama ancora o no; voglioessere io a mettermi davanti questa volta, senza la preoc-cupazione o la paura che lui mi accetti, se mi desidera, semi aggredisce o non fa niente di tutto questo.

Così Miro scese dal letto, e andò stranamente al cesso:pisciò, liberando un getto potente nell'acqua dello scarico.

Poi si sciacquò la faccia, e per un istante si vide allo

specchio. E specchiandosi nella penombra della prima luce

del giorno che iniziava a filtrare dalla piccola finestra del

bagno, capì che avrebbe dovuto prendere le palle in mano eaffrontare l'amico, una volta per tutte. Capì, di colpo, che

glielo avrebbe detto ben sapendo di dover affrontare le

reazioni incontrollate dell'altro, il cui rifiuto tuttavia non lo

avrebbe potuto accecare maggiormente, né stordire maggior-

mente, né avrebbe potuto lacerargli maggiormente il cuore,quello no!, ma in seguito, forse sì!, giorno dopo giorno,

avrebbe potuto consumarlo inesorabilmente fino a farlo

impazzire del tutto.

Lo amo troppo, l'ho sempre amato, e proprio perquesto non posso giustiziarlo, trascinandolo ancora di più

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nel vortice del mio dolore e della mia ossessione... si dirà in

quel momento, in quell'attimo di azzerante pena, in bilico

fra la vita e l'assenza.

E forte di quella certezza capì che avrebbe chiesto a

Dillo di fare l'amore, anche se per l'ultima volta.

* * *

Appena Dillo fu sveglio, si trovarono così faccia a fac-

cia nella stanza da letto. Miro era immobile, lì davantiall'amico, ma l'inquietudine vibrava nel suo corpo e l'altro se

ne accorse quasi subito.

- Avanti, dimmi che c'è - esordì allora Dillo scuotendo

la testa, calmo ma non tranquillo.

Miro scostò il ciuffo di capelli, e alzò lo sguardo versol'amico, e si avvicinò al letto.

- Hai ragione, Dillo, quando dici che non ti posso

bastare, che l'amore che provo per te non è sufficiente a farci

felici, hai ragione, e ogni innamorato sa che il momento pri-

ma o poi arriva, e fin dal primo momento la sua angoscia èla consapevolezza di quel momento, solamente...

- Solamente... - lo rimbeccò Dillo.

- Sta succedendo questo, e io non posso fare un cazzo:

non posso piangere, non posso lamentarmi, non posso dirti

amiamoci ancora... Non posso fare a meno di te! Lo so cosa

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mi dirai, che abbiamo già ritentato tante volte, che pensi che

sia meglio soffrire tutto in un colpo e non capirci più niente

che dilatare nel tempo la sofferenza trascinandoci in una

storia che è gia finita... Ma ora capisco, probabilmente è

come quando arriva la morte per un ragazzo: è lì, la senti,non puoi farci nulla, solo piegare il capo, lo sai che devi

morire solamente ti aspetti che sia un po' più tardi... Non

così presto, troppo presto e non in questo modo, cazzo! Ma

in fondo è sempre troppo presto per tutti, e io non intendo

soffrire ancora, ecco.Dillo si accese una sigaretta, si alzò avvicinandosi alla

finestra. Guardò fuori, poi si voltò verso l'amico, ancora là,

seduto di lato sul letto, e si accorse che Miro lo stava

guardando in un modo spietato, con gli occhi di chi non ha

dormito tutta notte, con occhi indagatori che gli stavanoentrando dentro.

- Non ce l'ho con te... - disse, - tu non c'entri niente, è

solamente un mio problema, cerca di capire. Tu mi hai

troppo amato, sono stato felice con te, ma non posso conti-

nuare a farti soffrire con la mia vita, ora devo stare per contomio... Devo sparire!

E intanto si avvicinò a Miro, sedendosi sul fondo del

letto; non voleva essere alla portata delle sue mani né del

suo corpo: sarebbe stato tutto troppo difficile, allora.

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- Piantala, Dillo, non è vero niente! - lo interruppe

Miro, incazzato. - Ti sei stufato, e basta. Hai solo voglia di

dimenticarmi, e allora perché tutte queste stronzate su di te e

su di me?

- Non so come dirtelo, Miro, è un problema mio. Hovoglia di stare solo, tu non c'entri niente... Credimi, è cosi!

Miro tacque, alzo le spalle e si mordicchiò un dito.

Dillo accese un'altra sigaretta: se Miro stava di nuovo preci-

pitando nel buco nero dal quale era emerso solo per qualche

minuto, lui stesso era quasi con le ginocchia a terra. Sentì ilrimorso vagargli nello stomaco con un bruciore lancinante, e

per quanto malvagio dovesse apparire agli occhi dell'altro,

per affermare la sua libertà, teneva duro.

- Vorrei che tu mi baciassi... - gli disse Miro all'im-

provviso, - che tu facessi l'amore un'ultima volta con me, maso che tu non puoi.

- Ti prego, Miro, liberami da questo strazio. Non

rendere le cose ancora più difficili.

- Lo so che adesso c'è lei, e niente potrà nulla! - urlò

Miro. - Mi hai lasciato per gettarti da lei, non è così? Avanti,

non è così?

Dillo alzò gli occhi verso Miro.

- E così fosse, cazzo vuoi? - fissandolo come si fissa il

peggior nemico.

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Miro non rispose, gettò il viso dalla parte opposta a

quella dell'amico. Strinse gli occhi, e lo stomaco gli si

contorse. La ferita antica riprese a far male - se aveva forse

smesso per qualche istante - di un dolore disperato, ango-

scioso, straziante e adesso continuo.

Era dunque così, Dillo lo aveva lasciato per quella: era

stato tutto inutile, tutta la sua sofferenza inutile, tutto il suo

amore per l'altro gettato al vento. No, non avrebbe risposto a

Dillo, non voleva e non poteva, tremava troppo dentro per

poter dire anche una sola parola. Ora si sentiva ai bordi diuna vita desolata, la propria, e in modo irreversibile.

Dall'altra parte del letto, Dillo si alzò e si avvicinò

lentamente alla porta della stanza.

- Non sei abbastanza. Miro, ti amo, ma non sei abba-

stanza... - bisbigliò tra sé e sé, uscendo da quella porta. Enon si voltò a guardare per l'ultima volta l'amico: l'unico

uomo che avesse mai amato nella sua vita.

Miro non sentì, e non si accorse che Dillo se n'era

andato. L'aveva lasciato lì, sul letto, fra i rantoli della

propria sconfitta, abbandonandolo per sempre.D'improvviso scoppiò a ridere, di un risata isterica e

prolungata, poi si portò verso il bagno per vomitare. Si

sfogò, rivoltando le viscere nella vasca, e svenne sulle pia-

strelle gelide del pavimento.

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In quella stanza d’albergo

Quando entrai per la porta di quella stanza d'albergo

fui preso da un'ansia improvvisa allo stomaco. E stare lì,fermo, a misurare la tensione, i minuti, le ombre sulla porta,

era come giocare d'azzardo. Un falsopiano di cui non cono-

sci l'inclinazione: se corri non sai se potresti fermarti, se vai

piano gli altri ti sorpassano. Perché dipendeva dal supera-

mento di quella soglia se quella notte avrei potuto rinascere,e domani vivere, guardando l'amico con gli occhi di chi cre-

de in lui nuovamente.

Senza il corpo di Mirko il tempo si era fermato per

una immobilità maledetta. Da quando mi mancava non

sapevo se erano secoli, anni, o appena un minuto: sapevosolo che senza quel corpo, senza la certezza di quel corpo io

non potevo sperare di vivere oltre. Oltre ogni ragionevole

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dubbio. Oltre ogni ragionevole sensazione di pienezza. Oltre

la carne.

Le arterie battevano convulsamente. Guardai l'orolo-

gio, era in ritardo di mezz'ora. Forse non sarebbe mai

venuto. Impossibile, me l'aveva giurato. Vorrei poter tornareindietro, forse faccio ancora in tempo, del resto non mi ha

visto nessuno, il portiere di notte non conta. Ma perché è

così in ritardo?, pensai. Perché mi ha detto di piacergli anco-

ra e mostrato di starci, e adesso non viene?

Un innamorato gioca il tutto per tutto, dissi. Ma unopiù innamorato no, è debole! Tu ci credi che lui venga?,

perché il problema sta tutto qui. Perché se credi questo, tutto

è ancora possibile. E se non viene?, pensai. Dico sul serio: e

se non viene? Se ti dicessi che la vita senza di lui non mi

piace più, che la mattina mi alzo tardi e non vado all'uni-versità, e che la sera vado a letto prima per lo stesso motivo,

mi crederesti? Ho paura di lui, ecco la verità, pensai. Forse

ho paura di sapere che è finita, non posso saperlo, capisci? E

temo che invece sia vero, urlai nel vuoto di quella stanza

d'albergo.Mi avvicinai alla finestra. Pioveva. Ero quasi felice

che piovesse, così potevo sempre pensare che se lui non

veniva era per la pioggia; e non perché non mi amasse o non

gli piacessi, ma per la pioggia. Ma poi pensai che se fosse

stato anche solo un poco innamorato di me non gli avrebbe

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fregato un cazzo della pioggia, anche fino a inzupparsi fradi-

cio, pur di rispettare il nostro appuntamento, pur di venire.

Perché io lo avrei fatto. E allora?

Allora avrà senz'altro una scusa valida, sarà stato

trattenuto da qualche parte fino a tardi, non c'è dubbio: nonsi comporterebbe così! Lo vedi che sei proprio innamorato?

Neghi persino l'evidenza delle cose.

Mi buttai sul letto, sfinito. Accesi una sigaretta, e

rimasi in silenzio con lo sguardo puntato al soffitto. Ad un

certo punto capii che con lui scommettevo lì la mia esisten-za. Doveva tornare mio, a tutti i costi, e perché ciò accades-

se bisognava che io ne fossi convinto. Ne ero quasi sicuro,

anche se era su quel quasi che si basava la mia ansia.

L'urgenza di averlo testimoniava che tra me e lui c'era molto

di più di una semplice attrazione: ma se lui si giocavaun'occasione, per me era la vita.

Per un attimo ebbi l'assoluta certezza che lì, su quel

letto, sarebbe stato mio e io suo, come una prova capitale. E

fui già sopraffatto dal desiderio. M'immaginavo il calore

della sua pelle mano a mano che mi toglievo i vestiti, epotevo sentirne anche l'odore, un odore forte e intenso, e

delicato allo stesso tempo. Il suo fiato mi sfiorava le labbra,

mi sentivo avvolto, protetto nella fantasia di quel momento.

Non potevo più attendere, la forza della vita mi gridava

dentro. Allora mi strappai via quel poco che mi rimaneva

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addosso, mi liberai degli slip e afferrai il mio sesso. Lo

strinsi forte in mano, così forte da farmi male. Mi sentii

ricostruire, e mi guardai nello specchio mentre mi mastur-

bavo con un piacere animale. Fu come spegnere un fuoco. Si

consumò in un niente.L'attimo è chiuso come l'atomo, ma dentro e intorno

ha universi di spazi e infinite possibilità. A percorrerli da un

attimo all'altro ci vogliono secoli o decimi di secondo, e il

vuoto sotto può succhiarti via. Non me ne rendevo conto

unito com'ero a lui, ma già il sospetto era sicurezza che nonsarebbe venuto, ed era certezza anche se il sospetto apriva

l'insicurezza del dopo. La realtà era che Mirko non c'era, ma

realtà era anche questo piacere dell'attesa, questo tenermi

sospeso sugli abissi della solitudine, reali, tangibili, onni-

presenti, esaltando la mia possibilità di superarli.Anche se ne avvertivo la presenza lì, solo in quella

stanza d'albergo, ora Mirko era scomparso al di là della

curva del pensiero e del desiderio, perché in me si faceva

largo la voglia di sublimare quell'amore impossibile, diviso

in due parti. Nelle due parti in cui ricercavo nell'una ilsoddisfacimento, costruito con tappe di carne, e nell'altra

una carica in più verso l'amore; non quindi soltanto esercizio

sessuale del piacere, ma rappresentazione. E rappresentare è

dell'uomo, dei fatti dell'uomo, dell'accadere e del narrare

dell'uomo.

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Bussarono alla porta. Svegliandomi di soprassalto,

capii di essermi addormentato.

- Ci scusi, è quasi mezzogiorno, dovremmo riordinare

la stanza... - disse una voce di donna, dal di fuori.

- Si... solo un minuto! - risposi.Mi guardai attorno, e mi sentii soffocare. Si sprigio-

nava dal sangue e dalle viscere una specie di gorgo a rove-

scio di cui non si conosce il mistero.

Capii cinicamente quello che era successo. Quel

momento, come ogni altro, era parte del drammaticoprogramma dell'accadere. E noi non possiamo che adeguar-

ci. E capii che l'amore coincide con la morte di ogni amore.

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Ma tu lo sei, o lo fai?

- Ti andrebbe di fare sesso con me? - gli dissi, a

bruciapelo.Lui abbassò lo sguardo, e arrossì. Io rimasi a guardar-

lo, immobile e in silenzio. Forse ho sorriso appena. Si vede-

va che non era il tipo a cui piacciono gli uomini, però pensa-

vo di non riuscire a dirla quella cosa, e di averla solo pensa-

ta, e invece quella frase mi era davvero uscita.- Mi dispiace, ma a me piacciono le donne - rispose.

Mi accorsi che lui non ci aveva pensato su molto, e

forse era sincero. Ma in quel preciso istante ebbi come la

sensazione che quel tipo, con quel sorriso abbastanza

imbarazzato, stesse chiedendosi se quella cosa la desiderassiveramente, o magari l'avessi detta solo per saggiare la sua

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reazione. Così, lì al tavolo, mi sporsi un po' in avanti, e

ripetei tranquillamente:

- Ti andrebbe di fare sesso con me?

Questa volta il tipo non sorrise. Tirò fuori dalla tasca il

pacchetto di Pall Mall, e ne accese una. Stette in silenzio, afumare per un po'. Sembrava che non avessimo più niente da

dirci, lui ed io. Davvero. A un certo punto il tipo si alzò.

- Andiamo a casa tua? - mi chiese lentamente.

- Si, se ti va - gli risposi.

A dire la verità, l'idea mi frullava per la testa daparecchio tempo. Avevo più volte sentito il desiderio di far-

lo con un etero. Nicola, conosciuto qualche mese prima

all’università, mi era sembrato il tipo giusto. Si vedeva

lontano un miglio che non aveva mai sfiorato l'uccello di un

altro, e neppure gli sarebbe passato per l'anticamera del cer-vello. E allora, perché sì questa volta?, gli chiesi appena

mettemmo piede nella mia soffitta.

- Non so dirti - rispose, guardandosi intorno come se

cercasse nella stanza delle conferme. - Forse perché mi ri-

cordi qualcuna... O forse semplicemente perché mi è venutavoglia di farlo. Di avere un rapporto con un uomo.

Per un po' rimasi ad ascoltarlo in silenzio lì, uno di

fianco all'altro, mentre mi raccontava di quanto questa fanta-

sia lo tormentasse. Lui che si era chiavato tutte le fighe del

suo paese, adesso voleva farlo con un uomo, voleva sentire

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cosa prova un uomo quando scopa e viene scopato da un

uomo, e voleva farlo proprio con me.

Gli sorrisi. Poi mi diressi verso il cesso. Nicola mi

seguì.

- Ma tu lo sei, o lo fai? - disse.Mi si avvicinò che stavo pisciando. Slacciò la lampo

dei jeans, tirò fuori l'uccello, e iniziò a pisciare anche lui.

- Tu cosa pensi? - risposi.

- No, è che mi sembri normale, da come ti comporti e

ti atteggi.- Guarda che i gay non sono mica tutti checche come

nei film. Io non mi atteggio, semplicemente lo sono: come

tu sei etero, io sono gay. Sono me stesso, per quanto mi ri-

guarda, e non assumo ruoli: vivo come sento di vivere - dissi

lentamente.- Non ti offendere... ma non so se sarò in grado di fare

le tenerezze a un uomo.

- Si, lo so! Tu vuoi solo sapere cosa si prova a fare

sesso con un uomo.

- Proprio così - disse. E le sue labbra si dischiusero inun largo sorriso.

Ci spogliammo, e andammo sotto la doccia. Bagno

schiuma che colava, e mani che s'incrociavano sul corpo

dell'altro. Carezze rubate sul sesso, tra le natiche, ma niente

baci, solo sguardi negli occhi: i nostri accordi prevedevano

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che non ci saremmo mai baciati sulla bocca; questo andava

oltre la sua soglia.

Dopo ci sdraiammo sul letto, completamente nudi, e

per un po' restammo lì, uno di fianco all'altro, senza parlare.

A poco a poco il silenzio della stanza avvolgeva tutte lecose, e iniziavamo a sentirci protetti, avviluppati sotto le co-

perte. E i rumori fuori, della notte, cullavano e sostenevano

le nostre fragili esistenze.

Sentivo il suo respiro entrarmi dentro lentamente, fin

nel profondo. E come una dolce brezza estiva ridestava inme sensazioni ed emozioni che credevo perdute. Io ero lì nel

letto con un uomo, e non ci stavo scopando. Non riuscivo a

crederlo. Eravamo uno di fianco all'altro, i nostri corpi che si

sfioravano, e io mi sentivo pervadere di struggimento, quasi

adolescenziale, per quell'amico che mi piaceva sì, ma in unmodo che avvertivo nuovo, un'attrazione mai provata prima.

Era il semplice desiderio di stargli accanto che mi faceva

star bene, mi faceva sentire appagato in un senso di

gratitudine e di pienezza, senza l'ansia di quei momenti

strippanti di sesso, di lacrime, di abbracci e poi separazioni,infedeltà, tradimenti.

In quell'istante, d'amore, provai la felicità di vivere la

nostra finitezza come un valore che dava pace. Ma ora è

tutto più difficile, pensai, quasi senza via di scampo. Nicola

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si sentirà oppresso dalla sua scelta, ora non potrà più scappa-

re. Potrà solo tacere o defilarsi.

- Non funzionerebbe, lo sai vero? - disse lui all'im-

provviso.

- Cosa? - risposi.- Tra noi, non funzionerebbe - ripetè semplicemente.

Io rimasi zitto, però sorrisi, forse perché capii perfet-

tamente quello che voleva dirmi. Quindi lo lasciai prose-

guire.

- Vedersi sempre di nascosto, non potersi mostrare perquello che si è, questo essere costretti alla clandestinità...

Non lo sopporterei!

Nicola lo disse con grande sicurezza. Sembrava serio.

Poi si chinò verso di me, quasi a sfiorarmi il viso con la

bocca. E proseguì:- Ti ammiro per questo, veramente. - E rimase lì so-

speso per un attimo, a guardarmi.

Lo trovavo un ragazzo di grande dolcezza, simpatico e

decisamente bello con quell'aria viva, il volto ben disegnato

e la fossetta sul mento. Allora quel che feci, fu girarmi su unfianco dandogli la schiena. Mi sembrò che fosse questo che

lui stesse aspettando da me. Un gesto che lo lasciasse libero

di pensare, e decidere l'ultima mossa. Poi mi voltai appena

verso di lui, e a bassa voce dissi:

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- Sentiti libero di fare quello che vuoi, anche di far

niente.

Ci guardammo negli occhi, così da vicino. Poi lui,

molto lentamente, si chinò su di me e appoggiò dolcemente

le sue labbra sulle mie. E ci baciammo.Adesso, quello che restava da fare non gli fu difficile.

Lo fece. E fu bellissimo.

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Il treno per la consapevolezza

Riuscite ad immaginare due amici per la pelle? Bene,questi due ragazzini sono molto di più.

L'idea di amicizia, come tutte le idee del resto, ha una

sua storia, raccontata da una serie di pensieri e di visioni che

fanno parte della nostra vita.

La storia di questi due amici, appena quindicenni, haqualcosa di straordinario ed è fuori dagli schemi di vita soliti

degli adolescenti. Inizia molto tempo prima, quando alle

elementari si scoprono inconsciamente a contemplare la

grandezza e la bellezza del reale. In tutte le sue manife-

stazioni quotidiane.Proprio come con gli esercizi di ginnastica per

rafforzare i propri corpi, essi iniziano in un modo non

acquisito a svolgere semplici esercizi spirituali per dare toni-

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cità e forza alla loro interiorità. Per prepararsi ad affrontare

insieme le inevitabili difficoltà della vita.

L'attenzione delle antiche scuole buddiste sembra es-

sere innata in loro, e si traduce in un modo inconsapevole

nel tracciare il sentiero che porta a liberare la propria co-scienza dagli inutili fardelli della vita materiale. Protesi ver-

so la conoscenza di sé e alla realizzazione delle proprie po-

tenzialità.

Un giorno di estate, questi due amici predestinati

decidono di iscriversi al corso buddista La riflessione suldolore che si tiene a Roma. Una occasione speciale per

riflettere sulla grandezza e sulla complessità del messaggio

buddista, si diranno. Sui misteri che eccedono l'uomo e le

sue facoltà, il riflettere sulla fragilità della condizione

umana, per aiutare a dar valore a ciò che nella vita haveramente valore.

Quando il treno esce dalla stazione di Firenze i due

ragazzini sono in viaggio da alcune ore.

Dani si è appisolato da poco, accovacciato sul sedile di

questo scompartimento di seconda classe, tutto per loro.Paco è sdraiato sul sedile di fronte, con la camicia sbotto-

nata, le gambe leggermente sospese e i piedi nudi puntati

contro il bordo del finestrino. Ha divorato un paio di capitoli

del libro, comprato qualche giorno prima, Buddha. La viaper la salvezza. E adesso è lì a rifletterci sopra.

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All'improvviso alza lo sguardo. Vede che Dani si

tocca nel sonno con la mano infilata nei jeans. È la prima

volta che glielo vede fare.

Paco non sembra particolarmente a disagio: ha piutto-

sto un'attenzione fluida, direi vicina al compiacersi di guar-darlo. Difatti più continua ad osservarlo, e più quella sensa-

zione va oltre il consenso iniziale. Si trasforma in un deside-

rio fisico, evidente quanto straordinario, sempre più tangibi-

le dentro ai boxer.

Allora Paco si mette sul sedile con le gambe incrociateed il busto eretto. Inizia ad inspirare ed espirare brevemente,

e poi sempre più a lungo. Attraverso la percezione del corpo

pervaso dal respiro, Paco libera la mente. Ma non riesce a

sviluppare la percezione di come mai, in tutti questi anni di

frequentazione profonda e di intimità spirituale, non abbiaraggiunto in nessun momento la pur minima consapevolezza

d'immaginare di poter essere attratto fisicamente dall'amico.

E non riesce a darsi una spiegazione che sia credibile.

Anche se ora, su questo treno in corsa attraverso la campa-

gna toscana, la consapevolezza nel respiro conduce Paco aduna comprensione di sé e dell'altro vicina a qualcosa di

simile all'innamoramento. Si rende conto di molte cose, di

come avrebbe voluto desiderare molto tempo prima quel

corpo che adesso non si stanca mai di contemplare nella

mente, d'ispezionarlo dovunque perché, lui ne è certo, è

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perfetto - dalla pianta dei piedi andando in alto, e dai capelli

in giù, sino a entrarci dentro rivolgendo la sua attenzione al

corpo ravvolto nella pelle. E come inspiegabilmente sia

invece riuscito solo a impedire che ciò accadesse.

A un certo punto Paco si alza e si avvicina alla portadello scompartimento. Si guarda intorno. Chiude con calma

la porta, tira le tendine, e si siede accanto all'amico. Lo

chiama per nome: Dani non risponde. Lo scuote appena:

l'amico sembra dormire un sonno profondo. E intanto non

riesce a staccare lo sguardo da quella mano, anche orainfilata nei jeans.

A questo punto Paco prende coraggio, fa un lungo

respiro, e si allunga lentamente sul sedile verso l'amico.

Di colpo ha una fitta improvvisa al petto: abbastanza

forte da farlo indietreggiare un attimo. Sa che quello che staper succedere, può cambiargli la vita o rovinarlo per sempre.

Paco non ci pensa oltre: con una scarica impressionante

d'adrenalina, apre lentamente la patta dei jeans dell'amico.

Nel farlo sfiora appena la mano di Dani, e ha un brivido

improvviso.In quella posizione, con Dani immobile, Paco non

sente particolarmente la forza vitale dell'amico, anche se sa

che c'è. Sa che c'è in lui da qualche parte, quell'attrazione

irrefrenabile che lo sta travolgendo. E qui adesso, c'è la

prova. La stessa prova che, guidato da un istinto animale,

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trova con la mano. Fa scorrere le dita più in basso. È come

scendere dolcemente degli scalini, fermandosi su ognuno

per memorizzare l'ultima sensazione provata. Gli sembra

che il vento caldo del deserto lo stia attraversando,

espandendo il suo volume ma non il suo peso. Allora Paco sibutta a capofitto.

È davvero questa la consapevolezza che sto cercando?,

si domanderà. Bè, per il momento è esattamente dove Paco

vuole essere. Gli piace pensare che questa è la liberazione

che aspettava da tempo. Una specie di devozione. Anche sequesta non è proprio la consapevolezza di cui ha letto sui

libri di dottrina buddista.

* * *

Alle ore dieci e venticinque di due giorni dopo una

tremenda esplosione squarcerà la sala d'aspetto della secon-

da classe della stazione Termini. L'enorme stanza sarà inve-

stita da una valanga di macerie e detriti che in pochi istanti

soffocherà alcuni uomini e donne, una coppia sposata con illoro bambino e due ragazzini di appena quindici anni.

Più tardi un giovane vigile del fuoco ritroverà un libro,

tra i detriti, Buddha. La via per la salvezza. Ancora aperto

alla pagina del frontespizio, il libro porterà una dedica scrit-

ta a mano con il tratto di un pennarello viola:

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Io venni dallo splendore e torno allo splendore. Perquesto ti appartengo in questa vita, e oltre. Niente puòallontanarci: né tu né io possiamo cambiare il corso deldestino. Paco

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Page 83: Aveva quasi smesso di piovere, di Alois Braga

Il volto di lui com’era

- Mi ci sono voluti molti mesi per accettare l'idea diessere stata lasciata. Ma nel caos di queste ultime settimane

le cose sono cambiate. Mi sembra di ricavare da ciascun

giorno più di quanto avessi fatto in precedenza, e in questo

mio vivere alla giornata mi sento quasi più felice. Mi sembra

di apprezzare tanto di più a ogni momento che passa.Io la guardai mentre mi parlava dall'altra parte del

tavolo, con una sorta di attrazione che mi sembrava nuova

nei confronti di una donna.

- E' chiaro che all'inizio è stato un colpo durissimo... -

continua tranquillamente. - Mi ci sono volute molte settima-ne, dei mesi solo per accettare l'idea. E anche se preferirei

non essere stata lasciata, devo ammettere che questa condi-

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Page 84: Aveva quasi smesso di piovere, di Alois Braga

zione ha impresso in certo senso alla mia vita delle svolte...

positive.

- Quali? - chiesi a bruciapelo.

- Beh, ad esempio, per la prima volta nella vita ho

cominciato ad esplorare la spiritualità, e ho scoperto in que-sto modo tante cose su cui prima non avrei mai pensato di

riflettere…

Quasi nello stesso periodo in cui lei si era ritrovata ab-

bandonata dall'unico uomo della sua vita che le importasse

veramente, pensai in quel momento, il mio amico scoprivadi essere sieropositivo.

- …Ma in quest'ultimo periodo, il dover realizzare e

accettare la mia natura mortale mi ha svelato un mondo

nuovo.

Io scossi leggermente il capo, ma mi resi subito contoche lo disse con molta tranquillità. Era sicura di sé. Non

aveva dubbi. Sorrise. E lo fece con un gesto della mano tra i

capelli da cui, a un altro, sarebbe stato impossibile difen-

dersi. Ogni tanto qualcuno sfiorava il tavolo gettando uno

sguardo su di lei. Non mi ero mai reso conto prima, diquanto fosse bella: i capelli, il volto, la pelle bianchissima,

la forma degli occhi. Ma più di ogni altra cosa là, quella

sera, era la sua bocca a muovere la mia fantasia: sia che

ridesse o parlasse o tacesse. Poi lei si voltò stranamente a

guardare per un attimo oltre il bancone del bar, e continuò.

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- La felicità quotidiana è in gran parte determinata dal-

la nostra visione delle cose. Anzi, spesso il sentirsi felici o

infelici nei vari momenti della vita non dipende tanto dalle

condizioni assolute dell'esistenza, quanto dal modo in cui sipercepisce la situazione, da quanto si è soddisfatti di quel

che si fa.

Poteva essere una coincidenza, ma certo era strano.

A poco a poco mi convinsi che quella ragazza riusciva a leg-

gere in me molte più cose di quanto io potessi fare in lei.Naturalmente cominciai a chiedermi dove mai voleva arriva-

re: era anche difficile capire che stava passando nella sua

testa là in quel bar, quella sera di un autunno fuori nebbioso

e freddo.

Smettemmo per un attimo di parlare. Ci guardammonegli occhi, in un modo indagatore. Nello stesso istante mi

sentii sopraffatto dall'emozione. Fu allora che lei, di punto

in bianco, mi chiese se non avessi nulla da dire. Io mi sentii

cogliere di nuovo da un senso di stupore, molto più violento

di quello che avevo avvertito un attimo prima.- Cosa vuoi sapere? - mormorai sottovoce.

Allora si staccò dal tavolo; appoggiandosi allo schie-

nale della sedia diede un'occhiata in giro. Quasi subito mi

fissò di nuovo, sorrise e disse:

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Page 86: Aveva quasi smesso di piovere, di Alois Braga

- Di cosa hai paura? Perché tu hai paura! - E tornò a

guardarsi attorno.

In quel momento nel quale ogni cosa in quel bar sem-

brava non esistere più, perché stavo cercando di mettere in-

sieme le parole per dire una cosa di me che mi sarebbe pia-ciuto farle sapere, in quel preciso istante capii che di lei mi

potevo fidare. Completamente.

Allora là, al tavolo, mi sporsi un po' in avanti e dissi

quella cosa che avevo pensato qualche minuto prima.

- Quasi nello stesso periodo in cui tu ti sei ritrovata ab-bandonata dall'unico uomo ti importasse veramente, il mio

amico ha scoperto di essere sieropositivo.

Riprese a guardarmi, immobile e in silenzio. Mi inter-

ruppi per un attimo. Poi continuai.

- Milano, quel giorno, era bellissima nonostante la fo-schia che perennemente l'avvolge; a dispetto della solita sof-

ferenza metropolitana di una città abitata da persone

trivellate di buchi, di cavità, di pertugi doloranti come se

tutti fuggissimo da una battuta di caccia il cui unico fine non

è tanto quello di venire catturati, ma di arrivare ad esserestanati cambiandoci l'ordine del nostro habitat. Quasi im-

provvisamente, a poco più di vent'anni, quella mattina mi

resi conto di essere diventato un uomo. Non ero più il ra-

gazzo e non ero più l'immortale. Lui, il mio migliore amico,

mio amante, stava morendo in quel letto infame d'ospedale.

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Si tirò indietro una ciocca di capelli che le era scesa

sugli occhi. Per un attimo rimasi in silenzio ad osservarla.

- Quando varcai la porta di quella stanza, la luce del

primo mattino entrava dalla finestra quasi a volerla ri-

scaldare. C'era un forte odore di ospedale. Era tutto cosìcompiuto. Lui stava dormendo, o sembrava dormisse un

sonno leggero fatto di piccoli e impercettibili movimenti.

Quando mi vide in piedi accanto al letto, girò la testa

lentamente, verso il braccio in cui aveva infilato l'ago della

flebo. L'ago che lo stava nutrendo con una fatica estrema, eper l'ultima volta. Mi accostai piano e gli toccai appena la

mano. Mi guardò dai suoi occhi neri, profondi, in un volto

scavato, e fece a fatica un cenno con la testa. Dal fianco del

letto, da sotto le lenzuola candide scendevano alcuni tubicini

scuri; uno di questi terminava in un sacchetto di plasticatrasparente pieno di un liquido giallastro, orina presumevo.

Disse qualcosa che non capii, là al tavolo. Probabil-

mente mi chiese se ne volessi una, perché si accese una

sigaretta e si mise a fumare. Avrei voluto che dicesse qual-

cosa, ma lei non disse nulla. Allora andai avanti, fissandolanei suoi occhi grigi.

- Stringimi la mano, mormorò lui nel vuoto di quella

stanza d'ospedale, ho tanta paura di morire. Io deglutii

mentre gliela prendevo, quella mano ancora più lunga e

sottile, portandomela al viso. E sentendo il calore della sua

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pelle squarciata sulle mie labbra, avvertii all'improvviso che

le atrocità che aveva dovuto sopportare lo avevano già

ucciso. Inesorabilmente. E per la prima volta nella vita, vidi

quello sguardo: lo sguardo di chi sta per morire. Lo vidi nei

suoi occhi, negli occhi di un amico che mi era stato amante,che implorava senza fiducia un aiuto che non gli potevo

dare. E non gli verrà mai dato.

Si sporse in avanti, sul tavolo. Sentivo il suo sguardo

su di me, e non riuscivo a proseguire. Disse anche qualcosa

sottovoce, ma non ricordo cosa. Allora mi guardai intorno,come a cercare la via più breve per finire. Poi ripresi a

raccontare.

- Vedrai che uscirai presto, fu l'unica cosa che riuscii

invece a dirgli là in quel momento. Lui girò la testa dalla

parte opposta, e chiuse lentamente le palpebre. In quelpreciso istante mi resi conto che qualcosa in noi si era

definitivamente spezzato. Con il cuore devastato dalla sof-

ferenza, che mi urlava dentro, capii che era ora di andar-

mene, da là. Compresi che non potevo rimanere un secondo

di più, a cercare di aiutarlo a morire. Non lo avremmo sop-portato. Per oltre un anno abbiamo vissuto insieme, studiato

insieme; ci siamo strapazzati, anche odiati, ma soprattutto ci

siamo amati con passione. E adesso lui stava morendo. Il

ragazzo con cui avevo vissuto la mia prima grande

esperienza d'amore. Allora lo guardai per l'ultima volta in

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fondo alla stanza, e pensai che quando sarei uscito, da là,

sarei andato dalla madre, a dirle quanto le volessi bene e

quanto avessi amato suo figlio. Lo salutai così, prima di

vederlo uscire per sempre dalla mia vita: A presto, dissi,

cerca di guarire. Ma mi porterò dentro per sempre quegliocchi spalancati, sul letto bianco di quella stanza d'ospedale.

Emisi un sospiro profondo, e mi voltai verso di lei. Mi

stava di nuovo fissando. Però in un modo diverso.

Solo in quell'istante vidi, nel suo volto, il volto di lui

com'era, fresco e delicato, perfetto. Vidi quelle labbra soc-chiuse e quegli occhi in questi, e tutta la bellezza di lui ma-

nifestata in quella di lei. Allora mi avvicinai piano al suo vi-

so e gliele sfiorai appena con la punta di un dito, quelle lab-

bra che tanto ho amato. E la baciai, premendo quelle labbra

forte, sempre più forte, e con gli occhi chiusi.

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Milo,figlio di un Sinti e di una donna gagè

«Baranzate era un vecchio campo nomadi a nord della

periferia di Milano. Il terreno era appartenuto a una fabbrica

farmaceutica che era stata insolvente dal momento in cui

aveva aperto i battenti, agli inizi degli anni Settanta. Spe-

culazioni sbagliate e una gestione del management a dir po-co scandalosa avevano fatto sì che tutti gli operai erano stati

licenziati e costretti a sopravvivere con il sussidio della cas-

sa integrazione per parecchi mesi. Alla fine era stato ordina-

to di smantellare la fabbrica. Per evitare possibili disordini,

la chiusura dell'impianto era stata affidata alle forze dipolizia locale. I capannoni che ospitavano le macchine e le

attrezzature erano stati sbarrati e circondati con il filo spina-

to, e la palazzina degli uffici svuotata. Qualche mese dopo,

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una colonia di zingari aveva occupato i capannoni dismessi.

E la prima notte, la prima notte che i Sinti avevano passato

là, si dice che avevano dato una grande festa, che gli abitanti

della zona non avevano mai visto. In quella prima notte, io

sono stato concepito sotto le stelle appiccicate a quel cielostraordinario di periferia metropolitana; in compagnia di li-

beri eroi e suonatori di chitarre e bellissime ballerine di fla-

menco, attorniato da una folla di bambini e ragazzi e donne

anziane intorno al fuoco. Io, figlio di un Sinti e di una donna

gagé».

Intanto che Milo mi raccontava la storia della sua vita,

non smettevo un attimo di fissare la profondità dei suoi oc-

chi. E Dio sa quanto in quei momenti avrei voluto passargli

la mano tra i lunghi capelli corvini allungando il braccio

dall'altra parte del tavolo. Ma mi sono trattenuto dal farlo.«Mia madre» continuava Milo, «mi raccontava spesso

di come mio padre aveva ripudiato le prime tre mogli,

finendo per fuggire con lei, e di quanto questo aveva fatto

inferocire i genitori delle ragazze e la famiglia di mio padre.

Il problema vero per mio nonno era la religione, non tanto ilfatto in sé, perché situazioni del genere erano piuttosto co-

muni. Mio padre era musulmano, mia madre cristiana. Dal

canto suo, mia madre non voleva neppure sentire parlare di

conversione e minacciava mio padre di andarsene senza di

lui con me in grembo. A quel punto era avvenuto un mira-

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colo: con le lacrime agli occhi mia madre aveva cantato una

canzone triste su una sposa non amata in attesa di un figlio.

Mio nonno, il patriarca della comunità - un Sinti purosan-

gue, un uomo robusto di una cinquantina d'anni - non aveva

sentito una voce più bella e giurò a se stesso che non si sa-rebbe lasciato sfuggire un angelo simile. Immediatamente,

mia madre era stata accolta come un nuovo membro della

famiglia. E nove mesi dopo, sono nato io».

All'improvviso Milo si guardò intorno ad osservare la

gente che entrava. A vederci così, seduti comodamente con igomiti sul tavolo, su quella terrazza vista mare di Santorini,

parlando e bevendo vino bianco gelato nella migliore canti-

na delle Cicladi, sembravamo amici da sempre. Eppure ci

eravamo conosciuti la sera prima, al club vacanze dove lui

lavorava ed io trascorrevo alcuni giorni di ferie.«Una leggenda zingara…» Milo riprendeva poco do-

po, calcando la voce sulla parola zingara, «racconta che al

tempo della creazione a Dio sarebbe piaciuto creare gli esse-

ri umani a sua immagine. Così prese un bel po' di farina e di

acqua e li impastò formando dei piccoli uomini, li mise nelforno ma sfortunatamente se li dimenticò. Quando li tirò

fuori erano bruciati, così nacquero i neri. Allora impastò al-

tra farina con l'acqua, modellò ancor dei piccoli uomini e li

mise in forno. Questa volta, preoccupato che bruciassero, li

tirò fuori in anticipo, e questi furono i bianchi. Quando

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provò per la terza volta creò prima il tempo e l'orologio. Co-

sì quando tolse gli uomini dal forno erano cotti al punto giu-

sto, appena bruniti. Questi erano gli zingari».

A un tratto mi domandai se era vero quello che mi

stava raccontando, oppure se era una cosa inventata sul mo-mento per fare colpo su di me. Però la sua storia mi incurio-

siva, mi piaceva stare a sentirlo, e lui aveva un fascino parti-

colare nel raccontarla. E quel suo percorso a ritroso nella

memoria suonava come una confidenza che desiderava an-

dare oltre il semplice bere qualcosa insieme.Era bellissimo, cazzo. Bellissimo davvero, con quell'a-

ria sicura di sé, il viso appena brunito - esattamente come

nella leggenda - e il capelli corvini appena accarezzati dal

vento. E gli occhi, quegli occhi scuri in cui avrei voluto per-

dermi dannatamente, che mutavano espressione di continuo,ora sorridenti ora inquieti ora languidi, e si mescolavano al

significato delle parole aumentando al massimo l'eccitazione

e la curiosità in me.

Nel frattempo l'aria sapeva sempre più di mare, di sale

e di sole, di spezie, di paesi lontani, di cannella e di sanda-lo. Sapeva di troppo per non rimanerne sopraffatti. E mi

diventava difficile separare l'emozione di quei momenti

dall'atmosfera meravigliosa del posto, sospeso su quelle sen-

sazioni tremolanti. Voci e suoni si confondevano fino a sfu-

mare nella calura in un silenzio più vasto, che mi pervadeva

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e mi intorpidiva. E tutto, tutto aveva il sapore immenso

dell'emozione, quel sapore che era entrato in me ed ora mi

cullava dentro. Tanto che la cosa più importante al mondo in

quei momenti era per me starmene lì, seduto a quel tavolo

insieme a Milo, al mio amico non gagé.

Ma si faceva sempre più faticoso, tremendamente fati-

coso continuare ad ascoltarlo senza pensare a decidermi di

dichiarare il mio amore per lui; perché di questo si trattava.

E all'improvviso mi ritrovai a riflettere su come Milo avreb-

be potuto reagire, su cosa avrebbe potuto dire, pensare, fare.In cuor mio speravo che lui ricambiasse i miei sentimenti,

che si lasciasse prendere una mano da sotto il tavolo e, guar-

dandoci negli occhi, capisse.

Strani pensieri davvero, e assolutamente incongrui, per

uno come me che ha sempre amato la trasgressione. Sarebbebastato un minimo sforzo per dimostrare come fossero

sbagliati e assurdi, ma non avevo nessun desiderio di fare

quello sforzo. Come sempre mi sentivo eccessivo, instabile,

incostante, e ancora una volta vittima delle mie emozioni.

«Quanto può durare questo limbo?» avrei volutodomandargli tutt'a un tratto per riempire il silenzio creatosi

nel frattempo tra noi. «Forse fra pochi minuti l'incantesimo

che ci tiene uniti si dissolverà di colpo e allora, come un

conduttore esposto a un sovraccarico di elettricità, anche

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quel circuito avrebbe fatto saltare la valvola di sicurezza e

tutto sarebbe sprofondato nelle tenebre».

Invece ero talmente ripiegato su me stesso, paralizzato

dai dubbi, che l'unica frase che mi riuscì di dire con voce

sommessa, fu di una semplicità disarmante.«Insomma adesso fai l'animatore... È così che ti gua-

dagni da vivere?»

Di colpo le sue labbra si dischiusero in un largo sor-

riso. E credo di aver avuto una reazione di stupore mentre

glielo vedevo fare, anzi ne sono sicuro, di fascino e anche unpo' di paura. Preso dall'emozione, tutto mi ero rovinato in

una domanda, come quando fai un bel esame e alla fine sba-

gli un congiuntivo quando ti immagini già il voto bell'e

scritto sul libretto. Ora avevo l'impressione che nulla sareb-

be stato più raggiungibile e qualunque frase avessi nuova-mente cercato di imbastire sarebbe risultata ancora più pate-

tica. Allora lasciai che l'imbarazzante silenzio ci avvolgesse.

Ormai stavamo seduti lì da un po' come se atten-

dessimo qualcosa da un momento all'altro, quando sfioran-

domi con lo sguardo Milo si girò improvvisamente verso dime.

«Non l'ho mai fatto con un ragazzo... Sì, insomma, mi

piacerebbe provare con te».

Poi aggiunse: «Ti dispiace?».

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Lui sorrise nuovamente. Mi sembrava impossibile, e

un brivido mi corse giù per la schiena.

Un'ora più tardi Milo ed io rotolavamo sul pavimento

in legno del bungalow. L'odore del suo corpo sapeva di

verità. Una strana idea, ma era una sensazione reale. Ripen-savo a tutto il tempo passato a cercare di far colpo su di lui,

a struggermi, a scacciarne anche il solo pensiero e a temerlo.

Quanta dolcezza c'era invece adesso nell'accettarmi a

cuore aperto. Lo sentivo per certo. E pensavo che doveva

essere una sensazione simile a quella che si prova a essereun san-to. Magnanimità ed estasi. Sebbene non mi riusciva a

immaginare nessun santo in una posizione simile alla nostra.

E giurai a me stesso, che una volta ritornato a Milano, gli

avrei chiesto di accompagnarmi in quel vecchio campo no-

madi.

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«E' un gioco d'amore e libertà quello al qualei due protagonisti del racconto, a più movimenti,

stanno giocando.»

«L'armonia è così reale che anche solo aleggere le scene ci si sente come ladri colti

in flagranza di reato.»

«Non si può osservare la perfezionesenza avvertire un pizzico di malessere.

Alois Braga la scrive e basta. Senza mediazioni. »

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